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Università di Trieste - Dipartimento di Studi Umanistici Anno Accademico 17/18 Letteratura Spagnola I prof. G. Ferracuti Dispensa integrativa del testo base (Profilo storico della letteratura spagnola) QUADRO STORICO Nel 711 d. C., nel corso della guerra civile tra cristiani ariani e cristiani cattolici, scoppiata nel regno visigoto nella Penisola Iberica, sia per conflitti dinastici sia a seguito della conversione al cattolicesimo del re Recaredo, un piccolo esercito arabo e berbero entra in Spagna a sostegno della fazione ariana, determinando in breve il completo tracollo del regno e l’instaurazione di un nuovo assetto politico e sociale. Il territorio della Penisola, con l’eccezione di una piccola fascia a settentrione, sull’Atlantico e i Pirenei, va a costituire l’al-Ándalus musulmano, al cui interno convivono con una sostanziale tolleranza culturale e religiosa i cristiani di Hispania e gli ebrei di Sefarad: tre nomi per un Paese unico, la Spagna delle tre culture. Nel 773, abd al-Rahmán I dà vita all’emirato di Cordova, paragonabile a un regno nella terminologia politica cristiana; successivamente, nel 929, si costituisce il califfato, sotto la guida di abd al-Rahmán III [Abd ar- Rahman ibn Muhammad (891-961)]: all’autorità politica si aggiunge ora l’autorità spirituale e religiosa musulmana. 1 Il califfato dura fino al 1010, quando una guerra civile per la successione al trono causa la sua frammentazione in piccoli regni di taifas (famiglie, dinastie) militarmente molto deboli, ma di grande splendore culturale. Il recupero di Toledo da parte delle truppe cristiane (1085) spinge i musulmani di 1 ʿAbd al-Raḥmān ibn Muʿāwiya, detto al-Dākhil (731-788), ovvero l’immigrato, apparteneva alla famiglia omayyade, dinastia califfale siriana sterminata nel 750 dalla rivolta abbaside: si narra che sia scampato al massacro attraversando a nuoto l’Eufrate; recatosi poi in Palestina, sarebbe giunto in al-Ándalus nel 755, occupando Siviglia e Cordova l’anno successivo. Prende possesso di Saragozza dopo che i baschi sconfiggono nel 778 la retroguardia di Carlomagno a Roncisvalle. Inizia i lavori di costruzione della grande moschea di Cordova, probabilmente ampliando una basilica che i musulmani avevano condiviso con i cristiani ariani visigoti. Di origine basca per parte di madre, ʿAbd al-Raḥmān III viene descritto come di pelle bianca, occhi azzurri e capelli rossicci e aveva legami di parentela coi re di León e Navarra. Restaura l’autorità dell’emiro in al-Ándalus, per poi proclamarsi successore del profeta e principe dei credenti (califfo), in quanto discendente della famiglia califfale omayyade di Damasco. La proclamazione segna anche l’inizio di una serie di campagne militari nel nord della Penisola, per recuperare i territori riconquistati dai cristiani. Durante il suo lungo regno dà un forte impulso allo sviluppo degli studi e fa di Cordova una delle città più splendide dell’epoca. 1

€¦ · Web viewMartín de Braga, ovvero Martín de Dumio o Martín Dumiense (c. 510 - c. 579), vescovo e scrittore ispano, svolge un’importante opera di evangelizzazione nella

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Università di Trieste - Dipartimento di Studi Umanistici

Anno Accademico 17/18

Letteratura Spagnola I

prof. G. Ferracuti

Dispensa integrativa del testo base (Profilo storico della letteratura spagnola)

QUADRO STORICO

Nel 711 d. C., nel corso della guerra civile tra cristiani ariani e cristiani cattolici, scoppiata nel regno visigoto nella Penisola Iberica, sia per conflitti dinastici sia a seguito della conversione al cattolicesimo del re Recaredo, un piccolo esercito arabo e berbero entra in Spagna a sostegno della fazione ariana, determinando in breve il completo tracollo del regno e l’instaurazione di un nuovo assetto politico e sociale. Il territorio della Penisola, con l’eccezione di una piccola fascia a settentrione, sull’Atlantico e i Pirenei, va a costituire l’al-Ándalus musulmano, al cui interno convivono con una sostanziale tolleranza culturale e religiosa i cristiani di Hispania e gli ebrei di Sefarad: tre nomi per un Paese unico, la Spagna delle tre culture.

Nel 773, abd al-Rahmán I dà vita all’emirato di Cordova, paragonabile a un regno nella terminologia politica cristiana; successivamente, nel 929, si costituisce il califfato, sotto la guida di abd al-Rahmán III [Abd ar-Rahman ibn Muhammad (891-961)]: all’autorità politica si aggiunge ora l’autorità spirituale e religiosa musulmana.[footnoteRef:1] Il califfato dura fino al 1010, quando una guerra civile per la successione al trono causa la sua frammentazione in piccoli regni di taifas (famiglie, dinastie) militarmente molto deboli, ma di grande splendore culturale. Il recupero di Toledo da parte delle truppe cristiane (1085) spinge i musulmani di Spagna a chiedere aiuto agli almoravidi del Nord Africa:[footnoteRef:2] questi penetrano nella Penisola Iberica e cercano di riorganizzare lo stato in senso centralista e con un accentuato militarismo, ma non godono del consenso della popolazione di al-Ándalus, che si ribella in varie occasioni e dà nuovamente vita a una frammentazione del regno, appoggiando poi contro di loro l’arrivo nella Penisola degli almohadi.[footnoteRef:3] Gli almohadi, dopo iniziali vittorie contro le truppe cristiane, in particolare nella battaglia di Alarcos nel 1195, subiscono una pesante sconfitta a Las Navas de Tolosa nel 1212: è l’inizio della crisi del loro vasto ma effimero impero e l’avvio della fase finale della conquista cristiana dei territori musulmani.[footnoteRef:4] [1: ʿAbd al-Raḥmān ibn Muʿāwiya, detto al-Dākhil (731-788), ovvero l’immigrato, apparteneva alla famiglia omayyade, dinastia califfale siriana sterminata nel 750 dalla rivolta abbaside: si narra che sia scampato al massacro attraversando a nuoto l’Eufrate; recatosi poi in Palestina, sarebbe giunto in al-Ándalus nel 755, occupando Siviglia e Cordova l’anno successivo. Prende possesso di Saragozza dopo che i baschi sconfiggono nel 778 la retroguardia di Carlomagno a Roncisvalle. Inizia i lavori di costruzione della grande moschea di Cordova, probabilmente ampliando una basilica che i musulmani avevano condiviso con i cristiani ariani visigoti.Di origine basca per parte di madre, ʿAbd al-Raḥmān III viene descritto come di pelle bianca, occhi azzurri e capelli rossicci e aveva legami di parentela coi re di León e Navarra. Restaura l’autorità dell’emiro in al-Ándalus, per poi proclamarsi successore del profeta e principe dei credenti (califfo), in quanto discendente della famiglia califfale omayyade di Damasco. La proclamazione segna anche l’inizio di una serie di campagne militari nel nord della Penisola, per recuperare i territori riconquistati dai cristiani. Durante il suo lungo regno dà un forte impulso allo sviluppo degli studi e fa di Cordova una delle città più splendide dell’epoca.] [2: Gli almoravidi furono una dinastia musulmana di origine berbera, caratterizzata da un forte rigorismo religioso, ed estesero il loro dominio, tra XI e XII secolo, a Marocco, Algeria e Spagna. Cfr. la voce dell’Enciclopedia Italiana, disponibile online all’URL:.] [3: Dinastia berbera musulmana ostile all’interpretazione letterale del Corano sostenuta dagli almoravidi, e influenzata piuttosto dal sufismo di al-Ghazali, a orientamento mistico e aperto a interpretazioni allegoriche del testo sacro. Cfr. la voce dell’Enciclopedia italiana: .] [4: Cfr. Gianni Ferracuti, Don Chisciotte e l’islam, seguito da al-Ándalus, Hispania, Sefarad, la Spagna delle tre culture, Mediterránea - Centro di Studi Interculturali, Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Trieste 2016, disponibile online: . Cfr. anche: Titus Burckhardt (1977), La civilización hispano-árabe, trad. esp., Alianza, Madrid 2005; Alessandro Vanoli, La Spagna delle tre culture: ebrei, cristiani e musulmani tra storia e mito, Viella, Roma 2006.]

La Spagna musulmana

La versione leggendaria della perdita della Spagna

Non esistono testimonianze storiche contemporanee alla «perdita» della Spagna a seguito dell’invasione araba. La versione più nota degli eventi è affidata a una leggenda che ha dato vita a molti testi letterari, tra cui un ciclo di romances di pregevole fattura.[footnoteRef:5] Tutto viene ricondotto alla violenza che Cava, figlia del conte don Julián, subisce dal re visigoto Rodrigo: per vendicare tale violenza, Julián chiede aiuto agli arabi e spiana loro l’ingresso nella Penisola. Il romance che segue descrive Cava con le sue donzelle che si bagnano a una fonte, spiate nascostamente dal re: [5: I romances sono ballate trasmesse inizialmente ad opera di giullari e della tradizione orale. Nascono, almeno nella grande maggioranza dei casi, come frammenti di poemi epici più estesi. Successivamente, soprattutto grazie alla trasmissione orale, acquistano caratteristiche formali stabili e di grande effetto lirico, e diventano un genere poetico coltivato dai principali poeti di lingua spagnola, fino ai giorni nostri.]

De una torre de palacio

se salió por un postigo

la Cava con sus doncellas

con gran fiesta y regocijo.

Metiéronse en un jardín

cerca de un espeso ombrío

de jazmines y arrayanes,

de pámpanos y racimos.

Junto a una fuente que vierte

por seis caños de oro fino

cristal y perlas sonoras

entre espadañas y lirios,

reposaron las doncellas

buscando solaz y alivio

al fuego de mocedad

y a los ardores de estío.

Daban al agua sus brazos,

y tentada de su frío,

fue la Cava la primera

que desnudó sus vestidos.

En la sombreada alberca

su cuerpo brilla tan lindo

que al de todas las demás

como sol ha oscurecido.

Pensó la Cava estar sola,

pero la ventura quiso

que entre unas espesas yedras

la miraba el rey Rodrigo.

Puso la ocasión el fuego

en el corazón altivo,

y amor, batiendo sus alas,

abrasóle de improviso.

De la pérdida de España

fue aquí funesto principio

una mujer sin ventura

y un hombre de amor rendido.

Florinda perdió su flor,

el rey padeció el castigo;

ella dice que hubo fuerza,

él que gusto consentido.

Si dicen quién de los dos

la mayor culpa ha tenido,

digan los hombres: la Cava

y las mujeres: Rodrigo

Rodrigo si dichiara alla fanciulla, ottenendo un garbato rifiuto, e allora si impone con la violenza. Delicatamente, il romance non descrive il dramma, ma si ferma poco prima, lasciandolo intuire:

Amores trata Rodrigo,

descubierto ha su cuidado;

a la Cava se lo dice,

de quien anda enamorado.

Miraba su lindo cuerpo,

mira su rostro alindado,

sus lindas y blancas manos

él se las está loando.

-Sepas mi querida Cava,

de ti estoy apasionado:

pido que me des remedio,

yo estaría a tu mandado;

mira lo que el rey pide

ha de ser por fuerza o grado.

La Cava, como discreta,

en risa lo ha echado:

-Pienso que burla tu alteza

o quiere probar el vado;

no me lo mandéis, señor,

que perderé gran ditado.

El rey le hace juramento

que de veras se lo ha hablado;

ella aún lo disimula

y burlando se ha excusado.

Fuese el rey dormir la siesta;

por la Cava ha enviado,

la Cava muy descuidada

fuese do el rey la ha llamado.

Consumato il crimine, Rodrigo viene svegliato da Fortuna che gli annuncia la vendetta di Julián e la tragedia della sua gente:

Los vientos eran contrarios,

la luna estaba crecida,

los peces daban gemidos

por el mal tiempo que hacía,

cuando el rey don Rodrigo

junto a la Cava dormía,

dentro de una rica tienda

de oro bien guarnecida.

Trescientas cuerdas de plata

que la tienda sostenían,

dentro había doncellas

vestidas a maravilla;

las cincuenta están tañendo

con muy extraña armonía,

las cincuenta están cantando

con muy dulce melodía.

Allí hablara una doncella

que Fortuna se decía:

`Si duermes don Rodrigo,

despierta por cortesía,

y verás tus malos hados,

tu peor postrimería,

y verás tus gentes muertas

y tu batalla rompida,

y tus villas y ciudades

destruidas en un día:

tus castillos, fortalezas,

otro señor los regía.

Si me pides quién lo ha hecho

yo muy bien te lo diría:

ese conde don Julián

por amores de su hija,

porque se la deshonraste

y más de ella no tenía.

Juramento viene echando

que te ha de costar la vida.'

Despertó muy congojado

con aquella voz que oía

con cara triste y penosa

de esta suerte respondía:

`Mercedes a ti, Fortuna,

de esta tu mensajería.'

Estando en esto allegó

uno que nuevas traía:

como el conde don Julián

las tierras le destruía.

Infatti Julián, che si trova a Ceuta, sulla costa africana, ha chiesto aiuto ai mori, impegnandosi a consegnare loro l’intera Spagna:

En Ceuta está don Julián,

en Ceuta la bien nombrada:

para las partes de allende

quiere enviar su embajada:

moro viejo la escribía,

y el conde se la notaba;

después de haberla escrito

al moro luego matara.

Embajada es de dolor,

dolor para toda España:

las cartas van al rey moro

en las cuales le juraba

que si le daba aparejo

le dará por suya España.

Madre España, ¡ay de ti!

en el mundo tan nombrada,

de las partidas la mejor,

la mejor y más ufana,

donde nace el fino oro

y la plata no faltaba,

dotada de hermosura

y en proezas extremada;

por un perverso traidor

toda eres abrasada,

todas tus ricas ciudades

con su gente tan galana

las domeñan hoy los moros

por nuestra culpa malvada,

si no fueran las Asturias

por ser la tierra tan brava.

El triste rey don Rodrigo,

el que entonces te mandaba,

viendo sus reinos perdidos

sale a la campal batalla,

el cual en grave dolor

enseña su fuerza brava;

mas tantos eran los moros

que han vencido la batalla.

No parece el rey Rodrigo,

ni nadie sabe dó estaba.

Maldito de ti, don Orpas,

obispo de mala andanza:

en esta negra conseja

uno a otro se ayudaba.

¡Oh dolor sobre manera!

¡Oh cosa nunca ciudada!

que por sola una doncella

la cual Cava se llamaba

que España sea domeñada,

y perdido el rey señor

sin nunca dél saber nada.

Così avviene: le truppe di Rodrigo sono distrutte nella battaglia del Guadalete:

Las huestes de don Rodrigo

desmayaban y huían

cuando en la octava batalla

sus enemigos vencían.

Rodrigo deja sus tiendas

y del real se salía;

solo va el desventurado,

que no lleva compañía.

El caballo, de cansado,

ya mudar no se podía;

camina por donde quiere,

que no le estorba la vía.

El rey va tan desmayado

que sentido no tenía;

muerto va de sed y hambre

que de velle era mancilla;

iba tan tinto de sangre

que una brasa parecía.

Las armas lleva abolladas,

que eran de gran pedrería;

la espada lleva hecha sierra

de los golpes que tenía;

el almete, de abollado,

en la cabeza se hundía;

la cara llevaba hinchada

del trabajo que sufría.

Subióse encima de un cerro,

el más alto que veía,

desde allí mira su gente

como iba de vencida;

de allí mira sus banderas

y estandartes que tenía,

como están todos pisados,

que la tierra los cubría;

mira por los capitanes,

que ninguno parescía;

mira el campo tinto en sangre

la cual arroyos corría.

El triste, de ver aquesto,

gran mancilla en sí tenía;

llorando de los sus ojos

de esta manera decía:

-Ayer era rey de España,

hoy no lo soy de una villa;

ayer villas y castillos,

hoy ninguno poseía;

ayer tenía criados,

hoy ninguno me servía;

hoy no tengo una almena

que pueda decir que es mía.

¡Desdichada fue la hora,

desdichado fue aquel día

en que nací y heredé

la tan grande señoría,

pues lo había de perder

todo junto y en un día!

¡Oh muerte!¿Por qué no vienes

y llevas esta alma mía

de aqueste cuerpo mezquino,

pues se te agradecería?

Questa bella leggenda ha pochi elementi storici, per non dire uno solo: l’ultimo re visigoto si chiamava effettivamente Rodrigo. Il resto è bella letteratura. Se vogliamo capire cosa è veramente successo, dobbiamo ricorrere a un’altra versione della vicenda, dal carattere più storico, almeno in apparenza, ma dovremmo fare una critica di questa seconda versione che, presa alla lettera, è insensata. Perciò conviene prima gettare uno sguardo sul mondo visigoto[footnoteRef:6]. [6: In ogni caso non cessa di stupire il fatto che, anche nella versione leggendaria, la perdita della Spagna viene attribuita a una colpa dei visigoti e non a cattiveria o cupidigia degli invasori.]

L’invasione araba secondo la storiografia tradizionale

Secondo la storiografia tradizionale, la Spagna viene invasa nel 711, appena conclusa la conquista musulmana del Nord Africa e prima che si realizzi una vera assimilazione delle popolazioni berbere pre-islamiche. In Spagna regna il visigoto Roderic (Rodrigo), alle prese con una serie di conflitti interni scatenatisi alla morte del suo predecessore Witiza, i cui figli rivendicano la successione al trono. Il governatore arabo Musa ibn Nusair, conoscendo lo stato di crisi del regno visigoto, avrebbe mandato nel 710 un piccolo corpo di spedizione in Spagna, episodio su cui non c’è consenso unanime degli storici; questa piccola spedizione avrebbe raccolto sufficienti indizi della debolezza del regno e si sarebbe avvalsa dell’aiuto logistico di don Julián, governatore Ceuta. Nel 711 Musa organizza una spedizione più consistente, al comando di Táriq ibn Ziyad, governatore di Tangeri. Attraversato lo stretto di Gibilterra, Táriq conquista Algeciras e successivamente sconfigge Rodrigo, il 19 luglio 711, nella battaglia di Guadalete.

Ṭāriq ibn Ziyād (Táriq nella trascrizione tradizionale spagnola) è un generale berbero, morto nel 720, il cui nome significherebbe «Il Castigatore». Dal suo nome deriverebbe quello dell’attuale Gibilterra, Gibraltar (Yabal Táriq, la rocca di Táriq). È possibile che Táriq, i cui soldati erano in maggioranza berberi cristiani o poco islamizzati, sia stato aiutato da nobili visigoti, ma di fatto la sua situazione sembra essere stata piuttosto precaria: si dice che potesse contare su un esercito di circa 7.000 uomini. Per la battaglia di Guadalete avrebbe avuto un rinforzo di 5.000 uomini. Táriq sconfigge la nobiltà gota in una seconda battaglia a Ecija, lascia quindi parte delle truppe a Malaga, Granata e Cordova, e si reca a Toledo in attesa di rinforzi. Musa, avrebbe attraversato lo stretto di Gibilterra con 18.000 uomini nel 713, muovendosi senza incontrare alcuna resistenza; seguono vittoriose spedizioni a Saragozza, Tarragona, Pamplona, e fino alla Galizia. Alla fine del 714 Musa e Táriq si sarebbero recati a Damasco per rendere conto della loro gestione della conquista. Da questo momento non si hanno più notizie di Táriq.

Secondo Ignacio Olagüe Videla, di cui riparleremo ancora più avanti, Táriq, con il suffisso -ik, significherebbe «figlio di Tar», secondo molti esempi germanici, e dunque Táriq sarebbe un governatore visigoto: il suo rientro in Spagna con un esercito sarebbe avvenuto in difesa dei figli di Witiza e contro Rodrigo.

In ogni caso, la conquista della Spagna visigota si rivela poco più di una passeggiata: alcune città cadono subito, come Cordova, altre si arrendono immediatamente, come Granada e Malaga, o si consegnano come Medina-Sidonia, Carmona e Siviglia: è possibile che alla base di questa apertura all’invasore vi fosse la ribellione degli ispano-romani e di parte della stessa nobiltà visigota contro il potere centrale. Favorito dalle lotte intestine al regno, Musa stabilisce accordi di capitolazione con i nobili goti, ai quali garantisce la conservazione del potere, dei beni, la libertà di culto, in cambio del riconoscimento della sovranità politica del wali (governatore) della Spagna. Musa avrebbe lasciato intatto il sistema di riscossione delle imposte, migliorando sia la condizione dei nobili sia quella dei meno abbienti. Avrebbe inoltre eliminato le leggi antiebraiche imposte dai visigoti.

I problemi per la conquista della Spagna sarebbero paradossalmente venuti dai conflitti interni al mondo musulmano: l’uccisione di Abd-al-Aziz, figlio di Musa, nel 716 apre un periodo di instabilità durato circa quarant’anni, senza tuttavia fermare l’espansione: nel 719 capitolano Pamplona e Barcellona e le ultime forze superstiti del regno visigoto sono costrette a rifugiarsi nelle montagne cantabriche o nei Pirenei. Un ulteriore tentativo di espansione arabo in Francia viene fermato a Poitiers nel 732 (anche se è molto probabile che si sia trattato di un tentativo, da parte araba, di vedere fino a che punto si poteva penetrare senza incontrare resistenza: non è chiaro quale fosse il loro interesse a spingersi nei Pirenei). Verso Nord l’espansione sarebbe stata fermata sulla costa cantabrica nella battaglia di Covadonga, ad opera di «un certo» don Pelayo nel 718: a seguito di questa vittoria si sarebbe costituito il regno di Asturias, rivendicando la continuità con le istituzioni visigote. Per la storiografia attuale la battaglia di Covadonga o è un’invenzione completa o si è trattato un episodio irrilevante.

Le principali fonti rimaste per ricostruire la storia dell’invasione sono le seguenti:

- Il trattato di Teodomiro, la cui datazione tradizionale è il 5 aprile 713, ma del quale abbiamo solo versioni posteriori.

- La Crónica de Alfonso III (883)

- La Crónica del Moro Rasis, cioè Ahmed al Rasi-Atariji, datata X sec., di cui si conserva una traduzione dal portoghese al castigliano. La traduzione portoghese dell’originale arabo sarebbe stata realizzata grazie alla traduzione di un intermediario arabo fatta a voce alta.

- Cronaca di ibn al Kotija (fine X o inizio XI sec.).

- Ajbar Machmua (inizi XI sec.).

Secondo la storiografia tradizionale, gli arabi avevano conquistato Alessandria nel 646 e da qui avevano iniziato una decisa espansione nel Nord-Africa. Venti anni dopo Uqba ben Nafi, arriva a Tunisi e sulla costa atlantica, dove avrebbe conosciuto il conte don Julián, chiamato Ilyán nelle fonti arabe. Nel 698 viene conquistata Cartagine ad opera di Musa ben Nusayr, e da questa città iniziano le scorrerie musulmane nel Mediterraneo, con incursioni contro la Sicilia, la Sardegna, le Baleari e al-Ándalus.

Le fonti arabe (molto tardive rispetto ai fatti, come quelle cristiane) parlano di negoziati tra Julián e Musa, piuttosto logici, sia se si vede in Julián un governatore bizantino interessato all’alleanza coi nuovi arrivati per recuperare territori nella costa spagnola, sia se lo si vede come un visigoto legato alla fazione ariana, tuttavia è verosimile che Julián non sia mai esistito, e si tratti della trasformazione in nome proprio della carica istituzionale di comes iulianis, sostanzialmente un governatore visigoto della provincia di Ceuta.

Come si diceva, non si ha certezza sulla prima incursione di Tarif nel 710, con 400 uomini e 100 cavalli, anche se è plausibile che lo sbarco di Táriq del 711 sia stato pianificato. Secondo le fonti arabe, sarebbe avvenuto in varie fasi con al massimo 12.000 uomini, in maggioranza berberi, popolazione non ancora bene islamizzata e spesso ribelle agli occupanti arabi. Non è certo che sia avvenuto a Gibilterra, data la sfavorevole conformazione del territorio. 

Nel 714 Musa e Táriq si recano, dunque, a Damasco, lasciando il comando della spedizione al figlio di Musa, Abd al-Aziz, che si stabilisce a Siviglia. La tradizione riporta la notizia del matrimonio di Aziz con la vedova di Rodrigo o con una sua figlia, e questa notizia, se è vera, indica che, accanto agli episodi militari, peraltro di rilievo relativamente piccolo, la conquista di al-Ándalus si svolge soprattutto attraverso l’iniziativa politica. Certo è che Aziz viene assassinato nel 716. Pochi mesi dopo la direzione dell’operazione viene assunta dall’emiro di Qayrawan, sulla costa africana, al-Hurr, che trasferisce la capitale a Cordova. Da qui vengono dirette le spedizioni militari che arrivano fino a Bordeaux, e sono fermate a Poitiers da Carlo Martello nel 732.

Al tempo della conquista la religione islamica si basa soprattutto sul Corano e su interpretazioni orali: il lavoro teologico e interpretativo è appena agli inizi, così come la tradizione giuridica musulmana. Lo stesso testo del Corano, trascritto senza segni diacritici né vocali brevi, subisce molteplici interpretazioni. L’incontro tra cristianesimo e islam nell’VIII secolo non è paragonabile al confronto odierno tra queste due tradizioni religiose, ora consolidatesi e strutturate (o sclerotizzate) da una riflessione plurisecolare. Inoltre è comprensibile che i musulmani potessero contare sull’appoggio degli ebrei, che avevano subito dure discriminazioni da parte dei visigoti, particolarmente dalla fazione cattolica attraverso una legislazione fortemente discriminatoria promulgata nei concili di Toledo: si era iniziato con l’obbligo di battezzare i figli dei matrimoni misti, con misure di controllo sui convertiti, proseguendo poi con la proibizione di commerciare coi cristiani, e con vere e proprie persecuzioni, fino al sequestro dei beni e all’obbligo di battezzare i figli di età inferiore a sette anni. Di fronte a ciò, il Corano ammette la libertà di culto delle religioni rivelate e, anche se attribuisce un valore superiore al cristianesimo rispetto all’ebraismo, non consente discriminazioni nella vita quotidiana.

Il Corano non ammette conversioni forzate e chiede alle popolazioni di altre fedi il pagamento del tributo di capitolazione o chizya. Sotto il regno di Umar II il Santo (717-720), durante la conquista della Spagna, viene chiarito che tale tributo non deve essere pagato più da coloro che si convertono all’islam, e questa misura non è certo priva di conseguenze. Ma a parte questo, il principio coranico del tributo di capitolazione consente che un conte visigoto resti al potere nel suo contado, riscuotendo la tassa e versandola poi ai musulmani: sembra anche che questo abbia rappresentato per i popolani un notevole risparmio rispetto alle tasse pagate in precedenza.

Sostanzialmente l'occupazione musulmana non è una militarizzazione del Paese, ma è una sostituzione della classe dirigente, prevalentemente a seguito di un accordo politico. Risulta significativo il testo pervenuto della capitolazione di Teodomiro, che controllava un vasto territorio nel sud della Penisola, perché vi si legittima l’autorità locale visigota, inglobandola senza grossi cambiamenti nel nuovo assetto istituzionale. Successivamente, attraverso una trasformazione graduale, i nobili visigoti sarebbero anche stati accolti nell’amministrazione del nuovo stato, conservando il ruolo preminente delle loro famiglie.

In una fase successiva, man mano che si precisa la formulazione della legge coranica, viene proibito agli infedeli, o dimmíes di esercitare l’autorità sui musulmani, ma viene lasciata loro piena autonomia per ogni problema interno alla loro tradizione religiosa: amministrazione del diritto civile e, in parte, penale, imposizione fiscale, pratica della loro fede… e in al-Ándalus, curiosamente, la domenica resta giorno festivo, nonostante l’affermazione del Corano che Dio, essendo onnipotente, non aveva avuto bisogno di riposare il settimo giorno.[footnoteRef:7] [7: Cfr. Manuela Marín, Últimas teorías, in Aa. Vv. La invasión árabe de España, in ; Évariste Lévi-Provençal, Histoire de l’Espagne musulmane, Maisonneuve & Larose, Paris, 1950, 3 voll; cfr. anche España musulmana hasta la caída del califato de Córdoba, tradotto da Emilio García Gómez nella Historia de España diretta da Ramón Menéndez Pidal, Espasa-Calpe, Madrid 1965) accetta il racconto delle fonti arabe e spiega la velocità della conquista con la debolezza dello stato visigoto, ormai in dissoluzione. Vero è, però, che non ci sono fonti importanti per ricostruire la storia dell’ultimo periodo della monarchia visigota. Cfr. anche Pierre Guichard, al-Ándalus. Estructura antropológica de una sociedad islámica en Occidente, Barcelona, 1986.]

L’islamizzazione[footnoteRef:8] [8: Per questo paragrafo cfr. Juan Vernet, La islamización, in Aa. Vv. La invasión árabe de España, cit., .]

Nel 1948, Américo Castro pubblica España en su historia. Cristianos, moros y judíos.[footnoteRef:9] Castro parte dall’idea fondamentale che, prima della conquista musulmana, la Spagna come tale non esistesse, ed anzi è proprio con la conquista che inizia il processo storico che avrebbe portato nel tempo alla costruzione dell’idea stessa di Spagna: la convivenza delle tre religioni e il ruolo centrale dell’islam condizionano tutto lo sviluppo storico posteriore della penisola: non sarebbe mai esistito quell’orgoglio nazionale manifestatosi nella battaglia di Covadonga e nella volontà di reconquista. [9: Cfr. l’edizione Grijalbo, Barcelona 1996; il testo viene ripubblicato, con varie modifiche, col titolo La realidad histórica de España, a partire dal 1954.]

Le idee di Castro sono generalmente accettate dagli arabisti, mentre vengono contestate da un grande medievalista spagnolo, Claudio Sánchez Albornoz, che nel 1956 pubblica España, un enigma histórico.[footnoteRef:10] Per Sánchez Albornoz l’irruzione dell’islam rappresenta una deviazione dal cammino che la storia della Spagna stava seguendo e avrebbe seguito, e tuttavia l’islam avrebbe rappresentato una cultura sovrapposta a quella già esistente, senza modificare la forma di vita delle città e delle popolazioni. [10: Editorial Edhasa, Barcelona 2000.]

La storiografia posteriore cerca di revisionare i dati conosciuti, ricorrendo anche a fonti arabe. Ad esempio, nel 1967 l’arabista Joaquín Vallvé pubblica in un articolo intitolato «Sobre algunos problemas de la invasión musulmana»[footnoteRef:11] e in altri successivi sostiene che Julián non fosse governatore di Ceuta, ma di Cadige e che al-Ándalus non significherebbe l’isola dei vandali, ma farebbe riferimento ad Atlantide, atlantico. Le conoscenze geografiche degli arabi all’epoca si basano su fonti greco-latine e ne riportano gli equivoci. Inoltre tenta un’interpretazione critica di leggende e dati tradizionali nel tentativo di identificare fatti e personaggi reali. Questa interpretazione storico-filologica, pur discutibile in molte questioni singole, fa emergere in primo piano un fondo culturale pre-islamico che sarebbe continuato, con nomi diversi, in forma di mito o leggenda, peraltro senza mai mettere in questione il significato della conquista per la storia della Spagna. Nel 1969 viene pubblicata in francese l’opera di Ignacio Olagüe Les arabes n'ont jamais envahi l'Espagne (poi ampliata nella versione spagnola La revolución islámica de Occidente[footnoteRef:12]). Ne parliamo più avanti. [11: Anuario de Estudios Medievales, IV, 361-367.] [12: La revolución islámica de Occidente, Fundación Juan March, Barcelona, 1974.]

Chi sono gli arabi?

 In teoria gli arabi sono gli abitanti dell'Arabia prima della predicazione di Muhammad, tuttavia nell’espansione dell’islam il significato del termine tende ad ampliarsi, in quanto l’islamizzazione coincide in parte con l’arabizzazione (almeno con lo studio della lingua araba in cui è scritto il Corano).

Degli arabi prima della predicazione del Corano sappiamo molto poco, anche se abbiamo notizie sporadiche a partire dal IX sec. a.C. Arabaya fu una satrapia organizzata dai persiani (539 a.C.) e poi una provincia romana. Gli autori antichi chiamavano i loro abitanti «arabi che vivono nelle tende»; furono poi detti sarakenoi in greco e saraceni in latino. Erano considerati nomadi, e questo è tutt’ora il significato dell’espressione al arab.

La vita del deserto si basa prevalentemente sulla pastorizia, l’allevamento di cammelli e il commercio. Le difficoltà di sopravvivenza conducono da un lato a sviluppare un forte senso di solidarietà (familiare, etnica, di clan o di alleanza), e dall’altro alla frequente razzia. Si forma una visione giuridica basata sulla legge del taglione la quale, oltre ad avere una certa efficacia, decentralizza l’amministrazio-ne della giustizia e lascia un ampio margine alla trattativa giuridica (ad esempio per sostituire una pena corporale con un risarcimento economico).

Queste popolazioni arabe prima della predicazione del Profeta non avevano un sentimento nazionalista, essendo l’unità sociale fondamentale la famiglia, il clan o la tribù, tuttavia avevano usanze comuni e soprattutto una lingua: sia pure attraverso vari dialetti che venivano compresi tra loro, essa permetteva di distinguere tra «coloro che parlano chiaro» e «coloro che parlano confusamente», ovvero gli stranieri. Gli arabi del sud, stabilitisi nello Yemen, avevano dato vita a una millenaria civiltà basata sugli affari.

In Arabia l’agricoltura si praticava in prossimità delle oasi. In una di queste era situata la capitale Medina (Yathrib). Lo sviluppo della città era stato creato dagli ebrei: gli arabi vi giungono in un secondo momento, ma assumono il controllo politico della zona. Gli ebrei sono presenti, e a volte predominanti, in altre oasi: conservano la loro religione, ma adottano i costumi arabi, e non si esclude che alcuni gruppi fossero arabi convertiti all’ebraismo. Poco prima della predicazione del Corano, tra l’Arabia e lo Yemen è diffuso anche il cristianesimo: gli arabi hanno relazioni commerciali stabili con l’impero bizantino e quello abissino, entrambi cristiani. Sembra fossero presenti forme di paganesimo, che ammettono tuttavia un dio supremo al di sopra degli altri dèi. È del tutto priva di fondamento l’idea che la predicazione del Corano sia stata rivolta a popolazioni barbariche e ignoranti, dotate di scarso dinamismo sociale e poca capacità organizzativa, nonché inconsapevoli di una loro unità culturale.

La tradizione indica nel 570 d.C. l’anno di nascita del profeta Muhammad alla Mecca, dove diventa commerciante ed ha una normale vita familiare e professionale fino alla rivelazione, che avviene quando il profeta ha quarant’anni, e inizia la predicazione, in un clima di crescente ostilità. Islam significa sottomissione a Dio, e il primo messaggio si racchiude nell’accettazione dell’unico Dio e nel richiamo al suo giudizio. La diffusione della nuova fede presso i ceti popolari e la morte di uno zio che lo protegge, favoriscono la nascita di complotti contro Muhammad, che è costretto a fuggire a Medina nel 622: è la higra o egira, l’inizio di una nuova epoca, a partire dalla quale il mondo mussulmano inizia il computo degli anni. Dopo vari combattimenti il profeta torna vittorioso alla Mecca, che rapidamente si converte all’islam.

Il primo messaggio coranico è molto concreto, e afferma la necessità dell’onestà negli affari, la condanna dell’usura, il diritto dei poveri sui beni dei ricchi, la difesa di coloro che non appartengono a nessuna tribù, e degli stranieri rimasti senza alcuna protezione nella Penisola; così sono proprio i ceti popolari a fornire inizialmente il maggior numero di proseliti alla nuova religione. Dei primi compagni del profeta cinque sono schiavi: Bilal, Khabab, Suhaib, Ammar e sua madre Sumaya. Muhammad ebbe a dire: «Io sono il primo degli arabi, Salman è il primo dei persiani, Bilal il primo degli etiopi e Suhaib il primo dei greci». Successivamente entrano nell’islam i ceti sociali più benestanti, forse anche per neutralizzarne le tendenze più radicali: se il primo califfo dopo la morte del profeta è Abu Bakr, commerciante che usa tutto il suo denaro, fino alla rovina, per l’organizzazione dell’islam, il terzo califfo è ‘Osman ibn ‘Affan, del clan degli Umaya, ostili a Muhammad, e ricchi commercianti.

Con l’occupazione di Medina, che non viene saccheggiata, inizia una strategia di conversione graduale, di inserimento dell’islam nelle strutture sociali esistenti, che verranno poi trasformate dall’interno: l’organizzazione sociale pre-islamica viene rivitalizzata da una nuova idea di solidarietà, radicata ora su un fondamento religioso. I rapporti tribali di parentela vengono superati dalla fratellanza tra tutti i musulmani, di ogni lingua e razza. L’ultimo discorso del profeta insiste sull’uguaglianza tra arabi e non arabi entro l’islam.

Che l’espansione rapida dell’islam sia il frutto di una feroce conquista operata da truci guerrieri con il Corano in un mano e la spada nell’altro è una favola a cui non si può credere, se non nel quadro di una storiografia psichedelica. L’idea di un’occupazione militare di territori vastissimi nel giro di pochi anni, viene sostituita oggi dalla visione di un processo che, pur avvalendosi di episodi militari, è sostanzialmente un processo di islamizzazione o espansione religiosa e politica. Attaccata la Siria nel 635, nel 642 erano già conquistati Palestina, Iraq, Persia ed Egitto, praticamente senza neanche l’esistenza di un esercito organizzato e rifornito! È più ovvio pensare che singoli episodi militari, peraltro di dimensioni relativamente ridotte, siano lo strumento al servizio di una intelligente strategia politica che si inserisce in società spesso indebolite da forti contraddizioni e conflitti. Far consistere la sottomissione in un tributo, che lascia inalterata la struttura sociale, è stata l’arma vincente per creare la cornice politica entro cui sviluppare un processo culturale e sociale di islamizzazione.

Conquistato l’Egitto, l’espansione si dirige verso occidente, arrivando alla Libia e a Tunisi, nelle cui vicinanze viene fondata l’importante città di Qayrawan. Con la sottomissione dei berberi, un eccellente popolo guerriero è incorporato al disegno politico islamico. Naturalmente, la leggenda molto posteriore delle conquiste militari travolgenti e delle grandi imprese della cavalleria araba conveniva sia ai vincitori che agli sconfitti. Nel caso dell’invasione della Spagna, oltre alla bella figura militare, c’erano le aspirazioni di Cordova ad accrescere il proprio peso politico e il convergente interesse dei cristiani a usare il mito della conquista della Spagna come giustificazione della loro riconquista.

Critica della ricostruzione storiografica tradizionale

Come ha osservato Olagüe, secondo la versione storiografica tradizionale, un ridotto numero di arabi sbarca dalle parti di Gibilterra a gruppi di cinquanta per volta, e, invece di essere facilmente rigettato a mare, trasforma l’intera Penisola: i cristiani diventano musulmani, i monogami diventano poligami, cambiano abiti, costumi, tradizioni, tecniche di costruzione, divertimenti, e un tizio di etnia omayyade sbarca a Cordova con l’idea di diventare califfo, a dispetto degli occhi azzurri e dei capelli biondi che la tradizione gli attribuisce. 25.000 arabi sottomettono vari milioni di spagnoli cristiani fanatizzati o fanatizzabili dai loro vescovi. Poco importa che questi 25.000 non siano tutti arabi, ma copti, berberi, siriani, gente raccolta en passant, i cui cavalli non si preoccupano di riserve d’acqua e di biada. Questi 25.000 non parlano l’arabo ed è dubbio che tutti conoscano il Corano. Li comanda un gruppo di pastori che, fino al giorno prima, conosceva la transumanza più che l’arte della guerra, e doveva fare una vita poco diversa da quella dei beduini che portano a spasso in cammello i turisti occidentali.

Per operare nei terreni in cui si è svolta la conquista, ogni cavallo ha bisogno di 40 litri di acqua al giorno, che non si trovano facilmente nel deserto; i cavalli arabi dell’epoca non hanno i ferri e non esistono selle: dunque la mitica cavalleria araba cavalca a pelo bestie con le zampe distrutte. E comunque pare che i cavalli non sappiano convivere con i cammelli: sono razze poco compatibili e ciascuna è irritata dall’odore dell’altra. Per attraversare lo stretto di Gibilterra con quattro lance messe a disposizione di Julián gli uomini di Táriq avrebbero impiegato tre mesi, e i visigoti li avrebbero eliminati con facilità.

La prospettiva cambia se l’intervento di Táriq viene visto nel quadro della guerra civile visigota tra cattolici romani e ariani.

Ario era stato scomunicato dal concilio di Nicea del 325. La sua idea-forza è l’unità assoluta di Dio, del quale, di conseguenza, Cristo sarebbe solo un profeta e il dogma della Trinità viene negato. L’arianismo si radica con forza in Asia minore, costituendo il sostrato su cui successivamente s’innesta l’islam. In Spagna, quando inizia la diffusione dell’islam, non c’è una compattezza religiosa, ma esistono una presenza del paganesimo, un’importante comunità ebraica monoteista, una comunità gnostica e sincretista creata da Prisciliano, la maggioranza dei visigoti legati all’unitarismo ariano, e la componente cristiana trinitaria o cattolico romana. Va inoltre ricordato l’influsso, a seguito della presenza bizantina, di forme del cristianesimo orientale, al momento ancora non separato dal grande scisma d’occidente, e tuttavia già fornito di una sensibilità piuttosto diversa da quella del mondo romano. Quando viene sconfitto don Rodrigo, rappresentante del cattolicesimo trinitario romano, l’ideologia culturale politico-religiosa della fazione vittoriosa si può sintetizzare in questi punti: Dio è uno, Cristo è un profeta; quanto alla poligamia, è ammessa dall’arianesimo, dall’ebraismo e dalle antiche comunità iberiche. Questo quadro dottrinario evolve in direzione dell’islam, come avviene in Asia minore.

La ricerca di Olagüe mette in discussione le modalità della conquista araba del Nord-Africa, che secondo la tradizione sarebbe avvenuta attraverso varie scorrerie tra il 647 e il 701; in realtà la situazione nel Nord-Africa si stabilizza molto tempo dopo e ancora nell’VIII secolo ci sono ribellioni dei berberi che sembrano riconquistare buona parte del loro vecchio territorio. Di fatto, senza una situazione tranquilla in Maghreb, era molto difficile partire alla conquista della Spagna nel 711. 25.000 arabi occupanti, significa più o meno un arabo ogni 23 kmq: un po’ poco per islamizzare un Paese. Peraltro, si tratta di uomini appartenenti a molte tribù, che iniziano subito a farsi guerra tra loro. La Spagna visigota dovrebbe aver avuto circa cinque milioni di abitanti: non pare che ispano-romani e visigoti anti-trinitari fossero tanto interessati a liberarsi dell’invasore. D’altra parte non si risolve alcun problema ipotizzando l’invasione di un esercito più numeroso e poderoso, tale da realizzare realmente un’occupazione militare del territorio. In primo luogo un esercito del genere non esisteva; in secondo luogo, non c’era la possibilità reale di fargli attraversare il deserto libico a piedi o a cavallo, per di più in un territorio ostile, né esisteva una flotta capace di trasportarlo. Secondo ciò che sappiamo, la ferratura dei cavalli appare in Gallia in epoca merovingia e fino al secolo IX si cavalcava a pelo: in queste condizioni la traversata del deserto è impossibile.

Ricostruzione del contesto religioso

Nel 400, nel primo concilio di Toledo, alla presenza di 19 vescovi, si ha la proclamazione del dogma trinitario, in linea con la posizione del Concilio di Nicea. La questione trinitaria è centrale in questa fase della storia del cristianesimo, data la forte resistenza ad accettare l’idea della duplice natura, umana e divina, di Gesù di Nazareth, e la difficoltà di formularla restando all’interno di un rigido monoteismo. La formula della trinità adottata a Nicea impone di fatto la separazione delle comunità cristiane in due bandi: i trinitari e gli unitari.

Il I concilio di Toledo era stato convocato per condannare Priscilliano, cui viene attribuito un insegnamento di tipo gnostico, considerato molto pericoloso dalle gerarchie cattoliche. Tuttavia all’epoca la religione ufficiale dello stato visigoto è ancora l’arianesimo, e tale resterà fino alla conversione di Recaredo nel 589 (concilio III di Toledo): il re abiura l’arianesimo a nome suo personale e dell’intera della stirpe gota, ut tam de eius conversione quam de gentis Gothorum innovatione, scatenando forti ribellioni.[footnoteRef:13] [13: L’importanza di Priscilliano è enorme. Riguardo al problema della trinità aveva adottato la formula: Gloria Patri et Filio, Spiritu Santo. L’eliminazione della seconda et suggerisce la fusione della seconda e terza persona della trinità. Un concilio ariano riunito a Toledo nel 580 adotta una formula senza preposizioni: Gloria Patri, Filio, Spiritu Santo. Viene abolita la necessità di un nuovo battesimo ariano per quanti si convertivano dal cattolicesimo romano (romana religio): de romana religione ad nostram Catholicam fidem. Nel 582, viene adottata una nuova formula, ancor più vicina a quella romana: Gloria Patri per Filium in Spiritu Santo. Sembra che questo atteggiamento ariano abbia stimolato un flusso di conversioni, a cui mette fine la guerra civile scoppiata per l’abiura di Recaredo.]

I testi teologici cattolici della fine VII sec. - inizio IX non fanno menzione di Maometto né della sua dottrina, anche se sono scritti in gran parte per combattere posizioni eretiche. Se all’inizio dell’VIII secolo gran parte del Mediterraneo si fosse trovata dentro la fede islamica, sarebbe stato ovvio che i teologi cristiani attaccassero proprio l’islam come nemico per antonomasia. La novità del momento era invece l’adozionismo, cioè la concezione secondo cui Cristo era stato adottato da Dio Padre - tesi sostenuta tra l’altro dal vescovo di Toledo.

Le prime notizie sull’islam in ambito cristiano, a Cordova, sono attestate solo nella metà dell’800, quando un autore cristiano di Cordova, Eulogio, viene a sapere, stando all’estero, dell’esistenza di Maometto. Trovandosi sui Pirenei per affari personali, Eulogio non può attraversarli a causa della guerra tra ‘Abd al-Rahmân II e Carlo il Calvo. Si reca allora a Pamplona, dove viene per la prima volta a sapere dell’esistenza di Maometto.

Le due rive dello stretto di Gibilterra erano di fatto territorio visigoto, il che implica comunicazioni regolari e frequenti tra popolazioni che vivono in un comune contesto culturale. Peraltro questa comunicazione è attestata in tempi molto antichi. Di conseguenza l’intervento di Táriq nella guerra civile visigota non avrebbe niente di straordinario. L’unico personaggio arabo di una certa importanza sarebbe dunque Musa, sul quale, però, i dati tradizionali sono piuttosto confusi. Secondo le cronache arabe, sarebbe nato a La Mecca nel 640, e avrebbe dunque avuto 71 anni all’epoca dell’invasione. Non è chiaro come avrebbe potuto costituire il suo esercito ed è un’esagerazione pensare che abbia occupato la Penisola Iberica in poco più di tre anni. Ammesso che non sia un personaggio favoloso, le fonti berbere lo caratterizzano con tratti di profeta, di cui in seguito sarebbe stato accentuato il carattere militare.

al-Ándalus

La composizione etnica e culturale di al-Ándalus è molto complessa e include visigoti, berberi, arabi, ispano-romani, schiavi bianchi e neri; le tre grandi religioni monoteiste convivono con culti minori e residui di culture pre-islamiche e pre-cristiane. Inizialmente i musulmani sono in numero ridotto, e quando la loro consistenza numerica aumenta con le immigrazioni, si complica ulteriormente il quadro etnico.

Gli arabi costituiscono la classe di governo dal 711 alla fine della dinastia Omeya (secondo la trascrizione spagnola; Ommayyade, nella trascrizione italiana), nel 1031.[footnoteRef:14] Occupano le posizioni predominanti nella vita sociale, economica, politica e culturale del Paese. Diffondono l’islam anche presso le altre etnie, e l’arabo diviene la lingua di cultura, usata anche da ebrei e cristiani. La lingua araba era allora in una fase di continua trasformazione, e il linguaggio parlato era probabilmente assai vicino a quello coranico. In al-Ándalus la situazione linguistica avrebbe ostacolato un’arabizzazione forzata: nel Paese si parlano il latino, l’ebraico, i dialetti romanzi, e gli stessi berberi erano privi di una uniformità linguistica. [14: Cronologia di al-Ándalus:711-732: Penetrazione musulmana 756-929: Emirato di Cordova 929-1031: Califfato di Cordova1039-1085: Primi regni di taifas1085-1145: Arrivo degli Almoravidi 1144-1170: Segundi regni di taifas1147-1226: Arrivo degli Almohadi 1226-1238: Terzi regni di taifas1238-1492: Regno di Granada ]

Gli arabi di al-Ándalus praticano senza problemi matrimoni misti e accolgono al loro servizio molti cristiani, che adottano nomi, costumi e anche genealogie arabe. Restano tuttavia sempre divisi al loro interno e conservano le loro tradizionali rivalità tribali. I berberi sono il gruppo più importante nelle prime spedizioni militari in terra di Spagna. È possibile che usare un corpo di spedizione berbero sia stato un’abile mossa politica per alleggerire le ostilità degli stessi berberi contro gli arabi nella costa africana - ostilità che non cessano all’interno di al-Ándalus, dato che i berberi sono delusi della parte di bottino loro assegnata. I berberi amministrano in modo sostanzialmente autonomo i territori di Badajoz, Toledo, Malaga, Granada e Algeciras. Non si integrano pienamente con gli arabi e si dividono sul territorio, stabilendosi gli uni sulle montagne e gli altri nelle pianure. La loro organizzazione è di tipo tribale e risente di molte divisioni e conflitti interni. Il loro legame con gli arabi è dato dall’islam e, in misura minore, dalla lingua. Dotati di un forte spirito di indipendenza, nell’XI secolo prendono il potere in al-Ándalus e lo conservano fino all’arrivo degli almoravidi e degli almohadi. Questi conflitti, però, non intaccano la comune fede nell’islam, né hanno riflessi significativi sugli usi, i costumi, la lingua, la cultura.

Dell’islam spagnolo o andaluso fanno parte muladíes e musalimah, cioè musulmani di origine spagnola. Si tratta di due gruppi distinti dagli autori musulmani. I muladíes (muwalladun), che per gli spagnoli cristiani sono dei rinnegati, sono figli di matrimoni misti: padri arabi o berberi sposati con donne cristiane. I musalimah sono invece cristiani convertiti, per fede o per convenienza. Con l’andare del tempo, i muladíes diventano la maggioranza della comunità islamica di al-Ándalus. Adottano costumi, usanze, mode e lingua araba e arabizzano il loro nome. Notevole è poi la presenza di saqalibah (schiavi). Sono prigionieri di guerra o schiavi comprati nei mercati e provenienti dalle regioni più diverse; in genere assimilano rapidamente la cultura islamica. Non è raro il caso di schiavi saliti a posizioni di grande influenza o che acquisiscono grandi ricchezze. Restano fedeli alla dinastia ommayyade e, dopo la presa del potere dei berberi, allontanati dai posti di comando, fondano alcune entità politiche autonome, come a Tolosa, Valencia e nelle Baleari.

In al-Ándalus i non musulmani diventano una minoranza il cui stato giuridico è analogo a quello di altri paesi islamici. Cristiani ed ebrei sono trattati favorevolmente, in quanto fedeli di una religione del Libro (ahl al-Kitab, genti del libro, o ahl al-dhimmah, genti del contratto): l’islam considera l’Antico e il Nuovo Testamento come rivelazioni parziali in un percorso profetico che culmina nel Corano; il Corano contiene la rivelazione completa e le chiavi di lettura dei testi precedenti, ai quali viene comunque riconosciuta l’ispirazione divina. In base a ciò, cristiani ed ebrei godono di una protezione, basata sui precetti coranici, e possono svolgere il loro culto. Diversi nella fede, essi diventano comunque arabizzati nei costumi, al punto che esteriormente non sono distinguibili dai musulmani. Le loro pratiche sono permesse e hanno una giurisdizione autonoma su matrimoni, divorzi, regime alimentare e questioni di diritto civile; possono avere proprietà e svolgere qualunque mestiere. Viene però proibita la propaganda religiosa e non possono portare armi. Nelle cause giuridiche che coinvolgono dei musulmani la loro testimonianza non viene ammessa. In teoria non possono edificare nuove chiese o sinagoghe, ma nella pratica questo divieto viene aggirato abbastanza facilmente. In compenso cristiani ed ebrei ottengono anche la carica di ministri o consiglieri del sovrano.

Vi sono periodi in cui prevale temporaneamente un fanatismo musulmano che conduce a restrizioni delle libertà concesse a cristiani ed ebrei (ad esempio durante il governo almoravide); tuttavia non si verificano mai persecuzioni analoghe a quelle praticate nella Spagna visigota, e in altre parti del mondo cristiano, contro gli ebrei. Nell’essenziale, la tolleranza musulmana non viene mai meno e la partecipazione dei non musulmani alla vita sociale è attiva e proficua: la collaborazione tra ebrei e musulmani è massima ed è uno dei motori dello splendore culturale ed economico di al-Ándalus. In Siria, in Palestina, in Egitto, oltre che in Spagna, gli ebrei avevano accolto gli arabi come liberatori, perché sotto il loro governo cessavano di essere una comunità emarginata e perseguitata. In seguito si arabizzano a tal punto nei costumi che un importante esponente della comunità ebraica egiziana, Sa'adya Gaon (m. 942), sente il bisogno di tradurre la Bibbia in arabo per i suoi correligionari. Anche per i cristiani di al-Ándalus è necessario tradurre in arabo il Vangelo. Ebrei e musulmani collaborano finché non diventano entrambi vittime della repressione nei territori riconquistati dalla Spagna cattolica nel XV secolo e gli ebrei, quando vengono espulsi nel 1492, si rifugiano nei paesi islamici. Convertiti all’islam, o seguaci della propria fede, gli ebrei si islamizzano completamente dal punto di vista culturale, al punto che è difficile differenziare tra arabi ed ebrei nel campo della filosofia, della letteratura, delle scienze. Yahuda ibn Dawud scrive in arabo la prima grammatica della lingua ebraica con criteri scientifici, usando la grammatica araba come modello.

Mozárabes sono i cristoani che vivono nel territorio di al-Ándalus. Una parte di loro si converte all’islam, ma un nucleo importante rimane fedele al cristianesimo, arabizzandosi nella lingua, nei costumi e nella cultura: da qui la loro denominazione (mozárabes da al-Musta'ribun).[footnoteRef:15] Vivono in armonia con i musulmani e nelle città, dove hanno i loro quartieri, possono circolare liberamente; hanno, come si è detto, un’autonomia giuridica e amministrativa e sono governati da un conte (comes, qumis) che funge anche da intermediario con il governo centrale. Conservano in vigore il loro diritto visigoto, in particolare il codice detto Fuero juzgo. [15: Cfr. E. Vanoli, La Spagna delle tre culture, cit., 75: «Il termine “mozarabo” [...] non fu mai utilizzato durante il periodo della dominazione araba. La parola, certo, deriva dall’arabo, musta’rib, cioè “arabizzato”, ma non compare che agli inizi del secolo XII. Inoltre la troviamo solo in ambiente latino: già nelle prima leggi cittadine concesse ai toledani dai nuovi monarchi cristiani. Per secoli i governanti musulmani, invece, preferiranno rimanere sul generico, definendo i cristiani come mu‘âhidûn, “coloro che hanno stabilito un patto”». Naturalmente, se la parola viene usata in un testo scritto, per di più a carattere giuridico, vuol dire che essa era usata in precedenza nella lingua orale, dove aveva un significato univoco e preciso. Ed è difficile pensare che l’uso di questo termine abbia inizio nei territori cristiani: gli antichi etimologisti, Covarrubias in prima fila, non assegnano al termine un’origine araba, ma latina, da mixtiarabes (Sebastián de Covarrubias Orozco, Tesoro de la lengua castellana o española, ed. Felipe C. R. Maldonado, Castalia, Madrid 1995, s.v.). Solo un uso preesistente nei territori di al-Ándalus spiega che il termine sia diffuso in zona cristiana, ma che non se ne conosca l’origine.]

Sotto il regno di ‘Abd al-Rahmân II alcuni mozárabes vengono istigati da chierici fanatici al martirio, cercato insultando pubblicamente il profeta Muhammad, e questa strategia di provocazione è la scintilla che provoca alcune ribellioni; tuttavia dal punto di vista teologico una tale pratica era immorale e le autorità ecclesiastiche si impegnano per farla cessare.

Molto spesso i mozárabes si arruolano nell’esercito musulmano, e quindi combattono contro i cristiani del nord impegnati nella conquista dei territori andalusi. In altri casi raggiungono posti di rilievo nella gerarchia sociale. Non sono rari i matrimoni di cristiane con musulmani che permettono alle mogli di continuare a praticare la religione cristiana: spesso i membri di una stessa famiglia sono seguaci di religioni diverse. In questi casi la conoscenza dell’arabo e della lingua romanza, consente di stabilire un ponte ideale tra il mondo islamico e quello cristiano, attraverso il quale passa la trasmissione della cultura araba all’Europa. Nella società andalusa i mozárabes sono eccellenti artigiani, costruttori, funzionari pubblici e intellettuali. Purtroppo non è sufficientemente studiato il loro contributo alla letteratura e agli studi scientifici in arabo, che certamente non fu insignificante. È noto il caso del vescovo Recemundo, conosciuto dagli arabi come Rabi ibn Zayd al-Usquf al-Qurtubi, che fu grande scienziato e autore di trattati di astronomia.

La situazione dei cristiani di al-Ándalus, tuttavia, tende a peggiorare man mano che i cristiani del nord occupano i territori musulmani. Il progredire della conquista cristiana diventa un fattore di divisione dei mozárabes, causando tensione sociale e intolleranza religiosa. In seguito a ciò, almoravidi e almohadi adottano misure restrittive, tuttavia senza arrivare agli eccessi usati in seguito nei regni cristiani verso i musulmani che si ritrovano a vivere nelle terre riconquistate.

I musulmani nelle fonti spagnole vengono chiamati moros, termine derivato probabilmente da Mauritania (nord-est dell’Africa); più precisamente, moros erano i berberi, mentre gli arabi erano chiamati alárabes. Nei territori riconquistati, i musulmani rimasti in terra cristiana sono chiamati mudéjares, dalla parola araba mudachchan, «colui al quale è permesso di rimanere». Inizialmente, viene consentito loro di restare in territorio cristiano in cambio di una tassa: ciò permette di utilizzarne le eccellenti abilità nel commercio, nell’industria, nell’architettura, nelle arti; hanno libertà di culto, costumi propri e autonomia giuridica. Ma dopo la caduta del regno di Granada nel 1492 vengono imposte misure sempre più gravi di pulizia etnica, volte a deislamizzare il Paese. Si ricorre al battesimo forzato, che viene considerato comunque valido, indipendentemente dalla volontà e dalle convinzioni del battezzato: a seguito di ciò, il mudéjar viene considerato a tutti gli effetti cristiano cattolico, e viene chiamato morisco, o cristiano nuevo de moros. Come avviene per gli ebrei, qualora lo si sorprenda a praticare la sua antica religione, viene considerato apostata, e quindi passibile di condanna a morte.

Cordova

La creazione dell’emirato di Cordova (756, fino al 929) permette di avviare relazioni stabili con gli altri paesi islamici e di introdurre in al-Ándalus le opere maestre della letteratura e del sapere arabo. Sugli inizi di una produzione letteraria autoctona non siamo molto informati. I primi scritti andalusi in prosa araba sono costituiti da testi di oratoria o epistolari, legati all’attualità religiosa o politica. L’oratoria, già presente nel periodo pre-islamico, era particolarmente apprezzata, e l’oratore (jatib) era un personaggio molto stimato: la sua arte aveva regole ben precise relative alla forma del discorso, alla disposizione del contenuto, all’atteggiamento nella declamazione, ecc. Diviene abituale fare uso di una prosa rimata di grande livello letterario.

La prosa è uno dei principali veicoli dell’educazione (adab) islamica (àdab significa sia educazione, sia ampiezza di conoscenze che un uomo colto dovrebbe avere). Adab e ‘ilm (sapere) procedono insieme. Queste conoscenze riguardano la religione, la grammatica e la lessicografia arabe, la poesia, la storia, le massime, le scienze speculative e naturali, ma anche lo sport e i giochi, l’etichetta nel mangiare, nel bere e nella condotta sociale. I testi relativi a questo tipo di educazione vengono selezionati e raccolti in antologie, e vanno a costituire la letteratura dell’adab.

Uno schema approssimativo della struttura sociale andalusa potrebbe dare luogo alla seguente piramide:

Al vertice il re: vicario del Profeta, dunque situato idealmente fuori dalla struttura sociale, e membro di una famiglia per quanto possibile prossima a quella del Profeta. Il re ha il compito di governare la società. Contrariamente a quanto si è detto talvolta, i re andalusi usavano il trono e seguivano un protocollo che li distingueva dalla nobiltà.

Attorno al re la nobiltà: nell’emirato era la famiglia degli Omeya (ahl al-Qurays). L’aristocrazia ha beni propri, che amministra attraverso funzionari nominati per competenza e non per origine o sangue. Accanto a questa aristocrazia familiare sta un’aristocrazia funzionale, formata da capi, amministratori, dirigenti di alto rango che, nonostante le differenze giuridiche rispetto all’aristocrazia, erano di fatto considerati nobili.

A un livello più basso c’è una classe di notabili (a'yan): letterati, grandi artigiani, ricchi commercianti, proprietari terrieri, in maggioranza di origine muladí, che conservano i loro nomi o li traducono in arabo. Questa classe sociale rimane potente anche dopo la caduta dell’emirato e arriva sino alla fine di al-Ándalus. Vive generalmente nelle città e, quando si sposta in campagna, viene assimilata alla nobiltà nella considerazione generale. Molti notabili in effetti sono innalzati al rango di nobili durante i regni di taifas (nati dalla frammentazione del califfato, dopo il 1031) o all’epoca della monarchia nasri (o nazarí, nelle trascrizioni spagnole), che arriva fino alla caduta del regno di Granada.

Al di sotto sta la massa degli uomini liberi (‘amma): artigiani di basso livello, piccoli commercianti, servi, impiegati, contadini (quasi tutti di origine muladí), braccianti.

Dal punto di vista formale, cristiani ed ebrei non fanno parte della società islamica, tuttavia la loro articolazione nella società riflette i rapporti economici e di potere reali. Ad esempio, un musulmano povero, in teoria, non dovrebbe essere giuridicamente sottomesso alla nobiltà mozárabe, ma di fatto questo non si verifica, e la nobiltà mozárabe ha maggiore considerazione della massa islamica.

L’articolazione sociale dei mozárabes vede al vertice la nobiltà (comprendente anche l’alto clero), poi i notabili con il basso clero, quindi il popolo minuto e i servi. Se si tiene conto di alcune critiche di parte cristiana al comportamento dei mozárabes, bisogna concludere che i loro ceti più elevati non avevano niente da invidiare alla nobiltà musulmana.

La struttura della comunità mozárabe si disarticola dopo la caduta degli Ommayyadi, alla fine del califfato, e la conquista di Toledo ad opera di Alfonso VI (1085), che suscita un fenomeno di migrazione verso le terre cristiane.

La situazione sociale degli ebrei è simile a quella dei mozárabes dal punto di vista giuridico, ma l’articolazione e la struttura della loro comunità è diversa. Gli ebrei non hanno una classe nobiliare paragonabile a quella araba o cristiana, e assegnano un ruolo sociale più elevato alle guide spirituali, rabbini o maestri illuminati. Il resto della comunità è articolato dal punto di vista economico in ricchi, benestanti e poveri. Non possono possedere schiavi e hanno un forte legame religioso con la sinagoga. Conservano la memoria della loro terra d’origine, come popolo di Israele in esilio, ma di fatto la loro situazione in al-Ándalus (che in ebraico è denominata Sefarad) è positiva e il rimpianto di Gerusalemme ha spesso un valore retorico.

La vita quotidiana delle classi privilegiate è lussuosa e raffinata, si svolge in palazzi eleganti, nei giardini, nei bagni pubblici (hammam). La Cordova del X sec. è la città più cosmopolita e sofisticata del mondo musulmano e la sua architettura viene imitata in tutti i paesi islamici. Secondo le fonti arabe ha 1600 moschee, 900 bagni pubblici, oltre duecentomila case di abitazione, sessantamila ville e ottantamila negozi, il che dovrebbe significare un milione circa di abitanti. È possibile che si tratti di cifre esagerate, tuttavia l’esagerazione deve sottintendere un eccezionale sviluppo della vita urbana e dell’economia della Cordova musulmana, che non ha eguali nell’Europa del tempo.

Le case di abitazione sono costruite generalmente su due piani e hanno giardini e acqua corrente. È segno di distinzione destinare una stanza a biblioteca. I palazzi pubblici sono spesso dei veri e propri quartieri con uffici, dormitori, magazzini, luoghi di ricreazione e giardini. I bagni sono importanti luoghi di socializzazione ben organizzati. Normalmente aprono al mattino per le donne e il pomeriggio per gli uomini. Sono frequenti, laddove le condizioni economiche lo permettono, riunioni letterarie o di intrattenimento, per bere vino, ascoltare musica, giocare a scacchi e altro. Si tratta di comportamenti formalmente proibiti dalle leggi, ma praticati comunemente.

La vita familiare è centrata sul matrimonio, il cui rituale è uguale a quello in uso nel Maghreb o nell’oriente musulmano. La richiesta matrimoniale (jitba) include una discussione sull’ammontare della dote (mahr), che lo sposo paga alla futura sposa, e del corredo che questa porta da casa. La data delle nozze viene stabilita con la consulenza di un astrologo (munayyim). L’accordo è siglato alla presenza di due testimoni e i festeggiamenti durano una settimana, prima in casa della sposa poi, dopo una processione in pompa magna, in casa dello sposo, dove si svolge il pranzo di nozze (walima).

Dalle poesie femminili e dalle biografie sembra che le donne andaluse abbiano goduto di ampia libertà, potendo uscire liberamente in strada e partecipare a riunioni di ogni genere: sembra anzi che questa libertà fosse maggiore di quella che la donna godeva negli altri paesi islamici ed è significativo che, nel caso di un matrimonio misto, la donna cristiana continui a praticare la sua religione.

Nelle classi alte, la donna andalusa dedica molto tempo alla cura della propria bellezza e alle visite di amiche, che incontra anche nei bagni pubblici; il venerdì è tradizionalmente riservato al culto dei defunti con la visita al luogo della sepoltura. È abituale fare gite familiari soprattutto in occasione delle feste. La donna della classe media o popolare lavora abitualmente in casa, filando e tessendo.

La conversione all’islam richiede al neofita l’accettazione della formula fondamentale del monoteismo islamico e alcune pratiche abbastanza semplici. La professione di fede comporta la liberazione, se si è in condizione di schiavitù, e, inizialmente, l’esenzione dalle imposte, che erano pagate dagli adepti alle altre religioni. L’apostasia dall’islam era proibita e teoricamente punita con la condanna a morte, così come avveniva all’interno del cristianesimo e dell’ebraismo. È da notare che il Corano comanda il rispetto per i popoli sconfitti e proibisce le conversioni forzate o di massa.

Dopo le guerre civili del 711, i musulmani di seconda generazione nascono da matrimoni misti o sono spesso di sangue ispano, per così dire. Indipendentemente dalla conversione, molti cristiani colti adottano l’arabo come lingua di distinzione, mentre a livello popolare ci si intende in dialetto romanzo o in un arabo volgare arricchito da molte espressioni castigliane che lo rendono incomprensibile ai musulmani provenienti dall’oriente.

La scienza ispano-araba

Gli arabi del VII secolo sono discepoli diretti di greci e alessandrini, con il tramite della Siria, dove già nel VI secolo si sviluppa un’importante scuola di medicina, successivamente protetta dai musulmani. I califfi di Bagdad, Hārūn ar-Raschīd, il califfo delle Mille e una notte, e suo figlio Almamún (813-833), fondano scuole di scienza e filosofia. Nella Bagdad del X secolo sono numerose le biblioteche, le accademie e gli studi umanistici, che trasformano la città in uno dei maggiori centri culturali del mondo. Bagdad è un modello da imitare, e certamente il suo esempio viene seguito da Cordova.

Nelle scuole e nelle corti musulmane si incontrano e convivono sapienti di varie tradizioni: arabi, siriani, ebrei, indiani, iraniani, latini, in un tessuto sociale in cui, pur predominando l’islam, sono presenti comunità cristiane ed ebraiche, ma anche induiste e zoroastriane. Molti sapienti sono bilingue e trilingue e abbondano le traduzioni in arabo, che diventa la lingua comune agli intellettuali del tempo. Sulla base del sostrato alessandrino, la cultura è organizzata in discipline, anche se all’epoca la formazione ha un carattere enciclopedico. Ne troviamo un esempio nella Disciplina clericalis di Pedro Alfonso, che fu traduttore e maestro di scienza araba nella Spagna del XII sec. Le arti liberali sono Dialettica, Aritmetica, Geometria, Musica, Fisica, Astronomia e Negromanzia (oppure Filosofia, o Grammatica). La Fisica include la Medicina e l’Alchimia, nonché l’interpretazione dei sogni, mentre la Matematica include la costruzione degli strumenti musicali e le opere tecniche. Oltre a raccogliere la scienza alessandrina, gli arabi recuperano la Matematica e l’Astronomia indiana, l’Aritmetica egiziana e la Medicina persiana e iraniana, e apprendono dai cinesi la fabbricazione della carta, che rivoluziona la diffusione della cultura. Sono eccellenti e metodici cultori della sperimentazione. Il loro perfezionamento del linguaggio matematico permette lo sviluppo dell’Algebra e della Trigonometria, che non esistevano presso i greci. Il loro lavoro nell’astronomia è enorme e include l’invenzione di strumenti per l’osservazione e la misurazione dei fenomeni. Il sistema tolemaico era scelto per il suo carattere pratico, ma non era considerato un dogma.

L’Astrologia viene coltivata nelle scuole, anche se molti astronomi non hanno in essa alcuna fede. Più rigorosa è l’attenzione verso l’Alchimia. Gli alchimisti arabi elaborano molti strumenti poi rimasti nei laboratori moderni, come gli alambicchi, e scoprono sostanze come gli acidi sulfurici, l’ammoniaca, il vetriolo, ecc. Pur essendo l’Alchimia una scienza regia, mirante alla trasformazione esoterica della persona, viene sviluppata la sperimentazione in laboratorio.

Uno sviluppo eccezionale ha l’Ottica, disciplina avanzatissima e nettamente superiore alle teorie greche. La Fisica applicata porta a un enorme sviluppo dell’ingegneria e della tecnica delle costruzioni, con soluzioni molto avanzate nella realizzazione dei giardini e degli impianti idraulici.

Lo sviluppo della Medicina conduce alla realizzazione di ospedali assai progrediti e di tecniche terapeutiche che ricorrono anche alla psicologia e al rapporto interpersonale tra medico e ammalato. Non vi sono progressi sensibili nell'Anatomia, perché la religione non permette la dissezione dei cadaveri. Si presta invece grande attenzione allo sviluppo della chirurgia e dell’igiene.

Gli arabi coltivano con grande sapienza la botanica e l’agricoltura, classificando piante e animali con criteri che si avvicinano a quelli della scienza moderna. In al-Ándalus l’agricoltura è molto più sviluppata che nei regni cristiani ed è un importante fattore di differenziazione nella diffusione del benessere economico.

Dall’emirato al califfato

Nel 756 giunge a Cordova un Ommayyade esule da Bagdad, ‘Abd al-Rahmân I, che dà un forte impulso alla prosperità dell’Andalusia e alla raffinatezza della corte di Cordova. ‘Abd al-Rahmân I si rende indipendente dal califfato di Damasco, dando vita all’emirato di Cordova. Sotto la dinastia da lui fondata prosegue la prosperità del paese, grazie anche a un periodo di pace, sotto il suo successore ‘Abd al-Rahmân II (821-852), che introduce a Cordova lo splendore culturale di Bagdad. Questa influenza orientale viene recepita in modo attivo, e non soltanto importando e ripetendo mode, e l’Andalusia si differenzia dalle altre regioni musulmane negli stili artistici e nei costumi, ad esempio assegnando una maggiore libertà alla donna. Bisogna anche considerare, tra i tanti veicoli della diffusione culturale e dell’introduzione in Andalusia della scienza orientale il ruolo dei pellegrini andalusi che, in obbedienza a uno degli obblighi dell’islam, si recano alla Mecca per il loro pellegrinaggio e tornano portando libri e documenti.

Lo splendore di al-Ándalus raggiunge il culmine sotto la guida di ‘Abd al-Rahmân III (912-961), intellettuale colto e raffinato, che nel 929 proclama il califfato di Cordova, dichiarando la propria indipendenza religiosa da Bagdad. In questo periodo i re cristiani cercano spesso la mediazione musulmana o si rivolgono alla corte andalusa per avere architetti e medici. Nella Cordova del X secolo, con il califfo Alhakem II (961-976), la biblioteca di palazzo raggiunge i 400.000 volumi. In Andalusia soggiorna e studia il futuro papa Silvestro II, che sarà il primo, nell’Europa cristiana, a usare tecniche matematiche arabe e che probabilmente dagli arabi apprende il pensiero greco che i latini avevano perduto.

A seguito di questo forte impulso al sapere, l’Andalusia comincia a produrre scienziati autoctoni, inizialmente nel campo della medicina, dell’astronomia e della matematica, poi delle scienze naturali e dell’alchimia.

Il quadro cambia con l’avvento di Almanzor (Muhammad ibn Abī ‘Āmir), guerriero animato da uno spirito anti-intellettuale e da una politica militarista. Alla sua morte il califfato si smembra in 39 piccoli regni detti taifas, mentre sul fronte nemico si assiste alla riorganizzazione degli stati cristiani e all’inizio di una sistematica conquista di al-Ándalus. La debolezza politica dell’Andalusia ha come contrappeso il recupero dello splendore culturale, e i centri di studio fioriscono, oltre a Cordova, anche in altre città come Toledo, Siviglia, Saragozza, Valencia, Murcia, Granada, in un singolare contrasto tra crisi politica e raffinatezza.

Pur nella debolezza politica, la reazione intellettuale al clima oscurantista provocato dall’invasione almoravide è molto forte. Si segnala la personalità di ibn Tufayl, conosciuto col nome latino di Abubácer (Abu Bakr Muhammad ibn Abd al-Malik ibn Muhammad ibn Tufail al-Qaisi al-Andalusi, nato a Guadix, in provincia di Granada, tra il 1100 e il 1110), che critica fortemente la concezione tolemaica dell’universo. Suo discepolo è il grande Averroè (1126-1198), nato a Cordova, che introduce il pensiero di Aristotele nell’Europa del XIII secolo. Si intensifica anche l’attività di traduzione, cosa che avviene anche nella Sicilia musulmana. Toledo ne è il centro principale, grazie anche all’impulso dato a questa attività dal suo vescovo Raimundo. I principali intellettuali europei guardano con interesse a ciò che avviene nella città, o vi si recano personalmente per studiare e cercare testi. Gerardo di Cremona, che vi giunge ventenne nel 1135 e vi si ferma, traducendo più di ottanta opere scientifiche. L’attività di traduzione di Toledo, città riconquistata dai cristiani, si intensifica a seguito proprio del fanatismo almoravide, grazie al contributo di mozarabi ed ebrei fuggiti da al-Ándalus per sottrarsi alle persecuzioni. Purtroppo il fanatismo almoravide costringe molti studiosi a lasciare la Penisola Iberica. L’esempio più illustre è quello di Maimonide, il più grande pensatore ebreo del tempo, nato a Cordova (1135-1204), che si rifugia al Cairo, alla corte di Saladino il Grande, sultano che proteggeva le arti e la cultura, analogamente all’imperatore Federico II o al vescovo Raimundo.

Il processo di assimilazione della scienza araba ha un grande impulso anche grazie all’opera di re Alfonso X, el Sabio (1252-1284), quando ormai le più importanti città andaluse sono state conquistate. Le traduzioni realizzate alla sua corte sono considerate eccellenti e di enorme importanza è il lavoro svolto per adattare alle esigenze scientifiche la lingua romanza, quando si comincia a realizzare traduzioni non più in latino, ma in castigliano. Il sovrano coordina personalmente il lavoro intellettuale e, in alcuni casi, vi partecipa direttamente come autore.

Tutta questa attività è la base dei grandi studi realizzati da intellettuali cristiani come Ruggero Bacone, sant’Alberto Magno o Ramón Llull (Raimondo Lullo), eccellente arabista nato a Palma de Mayorca. Lullo ammira la cultura araba e in arabo scrive alcune opere. Rappresenta una corrente cristiana ostile all’idea di crociata e favorevole a una evangelizzazione basata sul dialogo intellettuale. Né va dimenticato il contributo dato dal catalano Arnaldo de Villanova (1234-1311).

La scienza araba è ancora vitale e creativa nel Trecento. In occasione di una terribile pestilenza ad Almería, i medici locali affrontano l’emergenza in termini scientifici, ignorando la credenza allora generale, sia nel mondo cristiano che nel mondo musulmano, secondo cui la peste era un castigo divino. Studiano per la prima volta il contagio (concetto sconosciuto anche alla scienza greca), fornendone spiegazioni eccellenti e molto avanzate. Tuttavia nel corso del secolo la cultura musulmana entra in decadenza, non solo per i progressi della riconquista, ma anche per la caduta del califfato di Bagdad, invaso da Gengis Kan, e per l’invasione dei mamelucchi nel Nord-Africa. Di fatto Granada rimane l’ultimo rifugio della scienza araba. Purtroppo la crisi del sapere musulmano non ha come conseguenza l’emergere di centri di sapere cristiano, che avviene, con un certo sfalsamento temporale, solo a seguito del rinascimento.

Letteratura ispano-araba

 La letteratura ispano-araba ha caratteristiche diverse da quella cristiana e ha maggiore affinità con quella ebraica.

È interessante notare che la letteratura araba non era molto sviluppata al momento dell’ingresso in Spagna nel 711, anche se sappiamo che le tribù pre-islamiche coltivavano un’importante poesia a trasmissione orale. Uno dei primi generi a diffondersi nella Penisola è la casida, un componimento monorimo senza divisione in strofe, legato ai temi della vita del deserto, sulla cui base si sviluppa la successiva poesia musulmana, legata alla Poetica di Aristotele, al gusto per la metafora, all’amore di ispirazione platonica, ma anche al canto dei piaceri e del vino, con poeti come Sîbawayhi (m.792), al-Jalîl (m.786) o ibn al-Muqaffâ´ (m.759), traduttore del Calila y Dimna. A noi sono giunte poche testimonianze di questa prima fioritura poetica ispano-araba, che doveva essere molto ricca ed esuberante. Lo stesso ‘Abd al-Rahmân I, scrive versi in cui traspone la sua nostalgia per la Siria, suo paese natale. Si arricchiscono le tematiche che includono anche argomenti satirici: di Abû-l-Majšî, si racconta che l’emiro gli fa tagliare la lingua per i suoi versi, ma questa gli sarebbe ricresciuta in breve tempo. Da tutto il mondo musulmano poeti e letterati si recano ad al-Ándalus, man mano che la sua fama si diffonde. Questa dimensione internazionale produce una fase di poesia moderna, cui segue un recupero classicheggiante della casida.

Se questa produzione poetica si muove sul terreno colto, gli arabi non disdegnano la poesia popolare, come è noto grazie alle jarchas. La poesia popolare, a differenza della casida, adotta la divisione in strofe. La forma più caratteristica è la moaxaja (muwashasha) che usa espressioni colloquiali e si conclude con un ritornello in dialetto romanzo mozarabe, appunto la jarcha (conclusione). La tradizione ne attribuisce l’invenzione al poeta cieco di Cabra Muqaddam ibn Muafá (m. 912), o Muhammad ibn Mahmud, di probabile origine ispanica.

La maturità letteraria di al-Ándalus viene raggiunta quando, nel 929, ‘Abd al-Rahmân III, si proclama califfo: viene dato spazio alla libertà creativa e alla mescolanza di versi e prosa (in particolare nel genere dell’adab, che ha uno scopo didattico, fortemente orientato alla vita pratica). Non sarebbe affatto fuori luogo immaginare una linea diretta che va dalla metafora e dalla varietà di temi della poesia andalusa fino a Góngora, poeta barocco che dell’Andalusia era originario: non a caso un poeta della corte di Almanzor, ibn Darrây al-Qastallî (Jaén, 958-1030), viene considerato quasi gongorino, con un interessante anacronismo. Ovviamente questa fioritura letteraria ha influenza sui mozarabi cristiani: non è raro che le autorità ecclesiastiche si rivolgano loro in lingua araba, e vi sono traduzioni in arabo dei canoni ecclesiastici. Verso la metà del X sec. la stessa Bibbia viene tradotta in arabo. È coltivata anche la storiografia, e si conserva la traduzione della Cronaca del Moro Rasis, che riporta notizie sull’invasione del 711.[footnoteRef:16] Figura di estrema importanza anche per lo sviluppo della letteratura cristiana è il citato ibn Hazm di Cordova (994-1063), autore del testo noto in occidente come Il collare della colomba,[footnoteRef:17] scritto verso il 1020, che diffonde la tematica conosciuta in occidente come amor cortese. [16: Ahmad ibn Muhammmad ibn Musà al-Razì, Crónica del Moro Rasis (Ajbār mulūk Al-Andalus), ed. Diego Catalán y María Soledad de Andrés, Gredos, Madrid 1975.] [17: ibn Hazm de Córdoba, El collar de la paloma, ed. Emilio García Gómez, pról. José Ortega y Gasset, Alianza, Madrid 2001 (Il collare della colomba, Hoepli, Milano 2008).]

L’ingresso degli almoravidi induce un cambio nella sensibilità e nei gusti, e porta a una poesia più austera nei componimenti accademici. Forse per reazione, nella poesia più popolare, aumentano i temi di evasione e il ricorso all’osceno. Abii-1-`Abbás al-A'má al-Tutili, poeta cieco di Tudela (m. 1126) è un rappresentante di questa corrente, insieme a ibn Quzmân (1086-1160)[footnoteRef:18], maestro dello zéjel, composizione in strofe con metrica sillabica, simile alla moaxaja. Nel suo canzoniere (Diwân) inserisce molte parole romanze ed esprime un aperto disprezzo verso la rozzezza degli almoravidi. [18: ibn Quzmân, Cancionero andalusí, Hiperión, Madrid 1996.]

In epoca almohade si diffonde nella Penisola un genere nato sul finire del X sec. a Bagdad, la maqâma, che consiste nella narrazione delle vicende di un personaggio emarginato, con molti tratti in comune con il pícaro della letteratura spagnola posteriore. Nella Penisola questo nome va a designare una scrittura epistolare divisa in capitoli (è curioso che anche il Lazarillo de Tormes abbia questa struttura). Posteriore all’epoca almoravide sembra essere anche un romanzo di avventure, Ziyad, el de Quinena, considerato un antecedente della letteratura cavalleresca spagnola. Altro autore di sicura influenza nella letteratura cristiana è il sufi ibn al-‘Arabî di Murcia (1165-1240), grande mistico e autore di poesia erotico-mistica.

Filosofi arabi

ibn Hazm (Abû Mwhâmmad ‘Alî ibn Ahmad ibn Sa’îd ibn Hazm al-Ándalusí al-Zahirí), poeta e storico, di famiglia aristocratica, nasce a Cordova nel 994 e muore a Huelva nel 1063. La sua opera più famosa, or ora ricordata, Il collare della colomba, in realtà è un testo giovanile: ibn Hazm è autore di alcune opere molto importanti: una Storia critica delle idee religiose, una Epistola apologetica di al-Ándalus, che è una prima breve storia letteraria andalusa, ed altri testi teologici e scientifici.

Il collare della colomba, trattato sull’amore e gli amanti (Tawq al-hamâna), scritto verso il 1022, ha per tema la natura e le forme dell’amore, illustrate con ricordi autobiografici che dànno un quadro molto vivace della vita sentimentale andalusa. Il testo è in prosa, ma è vivacizzato da molte citazioni di poesie, quasi tutte dello stesso autore. L’importanza di quest’opera, oltre al fascino e alla bellezza del testo in sé, si deve alla presenza, per la prima volta, delle teorizzazioni dell’amor cortese, che saranno poi al centro della poesia provenzale.

Il tema del sapere e delle scienze è trattato da ibn Hazm nell’opera Marâtib al-’ulûm (Categorie delle Scienze) e nel Kitâb al-ajlâq (Libro della Condotta), dove condanna l’ignoranza ed elogia il sapere come strumento per migliorare la propria vita quotidiana.

Abû-l-Walid Mohammad ibn Ahmâd ibn Rushd, filosofo e poeta, nasce a Cordova nel 1126 e muore a Marrakesh nel 1198. Il suo nome latino di Averroè deriva da ibn Rushd, che significa «il nipote», per distinguerlo dal nonno omonimo. Ha un’eccellente formazione negli studi islamici e in quelli giuridici, guadagnandosi una buona fama già da giovane. Successivamente si dedica alla filosofia e le sue opere più importanti vengono conosciute anche nell’Europa cristiana, grazie alle traduzioni latine, dalle quali si sviluppa la corrente nota come averroismo, nella scolastica del XIII sec.

Fondamentale è il suo Gran commentario ad Aristotele, composto nella seconda metà del XII sec., che lo rende giustamente famoso nella sua epoca. A noi è pervenuto attraverso traduzioni latine o parziali traduzioni ebraiche, e d’altronde il testo di Aristotele utilizzato per l’opera era una interpretazione araba di una traduzione siriana dell’originale greco.

Il pensiero di Aristotele è visto alla luce della cultura alessandrina e del neoplatonismo. Dio è atto puro, come in Aristotele, e il mondo esiste dall’eterno, in quanto ha un motore che opera dall’eterno e che è Dio stesso. Non è governato dalla provvidenza divina, perché altrimenti non si spiegherebbe il male. Averroè unifica l’intelletto attivo e il passivo di Aristotele in un unico intelletto, comune a tutti gli uomini: è un’unica anima intellettiva a cui ciascun uomo partecipa grazie alla sua anima sensitiva individuale, tuttavia questa partecipazione non produce una unità: l’anima intellettiva resta unica e separata. Ciò non impedisce tuttavia l’immortalità personale, che si ottiene grazie alla facoltà del cuore di intuire Allah e di abbandonarsi a lui. Da qui una dualità nella conoscenza, data dalla via filosofica e dalla rivelazione. Però questi due cammini arrivano alla stessa verità, non esistendo nessuna opposizione tra loro.

La difesa della filosofia e della sua compatibilità con l’islam è molto netta, e risponde all’attacco che, in nome dell’ortodossia islamica, era stato sferrato da al-Gazâlî contro i filosofi. Averroè ritiene che il Corano sia stato scritto per tutti gli uomini, e dunque utilizzi diverse forme di comunicazione, dalle espressioni allegoriche a quelle più complesse, che richiedono un’analisi razionale per venire alla luce. Questa concezione viene interpretata dai latini come teoria della doppia verità delle Scritture, anche se Averroè non intendeva affatto una cosa simile. L’idea secondo cui le forme religiose sono per gli individui ingenui, mentre gli individui colti credono nella scienza, non appartiene al pensiero di Averroè. Per lui, il testo rivelato è un’allegoria che si può comprendere con la ragione; per al-Gazâlî, la ragione non giunge fino alla comprensione ultima, riservata alla mistica, ed è possibilissimo che un credente privo di formazione filosofica sia più favorito nel conseguire questo livello di comprensione.[footnoteRef:19] al-Gazâlî aveva scritto una Distruzione dei filosofi. Averroè risponde con una Distruzione della Distruzione. [19: Averroè, L’accordo della legge divina con la filosofia, Marietti, Milano 1996; Id., L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi, UTET, Torino 1997.]

Di Abubacer (o ibn Tufayl) non si hanno dati relativi alla formazione. Medico famoso a Granada, diviene un uomo di grande prestigio, assai stimato presso il sultano: è lui a raccomandare Averroè e a farlo ricevere a corte. Si sono perse molte sue opere mediche e un trattato di metafisica menzionati da Averroè e altri dotti famosi del tempo: l’unica sua opera conservata fino a noi è il romanzo filosofico Hayy ibn Yaqzan, tradotto in latino come Philosophus Autodidactus. Il titolo completo originale era: Risalat Hayy ibn Yaqzan fi asrar al-hikma al-masriqiyya (Carta del Vivente figlio del Vegliante sui segreti della sapienza orientale). L’opera viene tradotta in ebraico nel 1349.

Il testo ha un carattere mistico, più che filosofico. Nella prima parte contiene una rassegna della storia della filosofia in al-Ándalus, che in linea generale gli piace meno della filosofia araba orientale: è molto affascinato e influenzato dal misticismo di Avicenna. Al termine dell’opera arriva alla conclusione che non esiste contraddizione tra ragione e fede. Protagonista del racconto è Hayy ibn Yaqzan, abbandonato in un’isola deserta e allevato da una gazzella, un essere umano totalmente naturale, la cui conoscenza evolve senza l’influenza della società e della tradizione, fino alla scoperta della religione, mediante la sola ragione umana. In seguito entra in contatto con Absal, che rappresenta l’interpretazione simbolica del testo sacro, e Salaman, che rappresenta la sua interpretazione letteralista. Per il primo sono importanti il ritiro e la meditazione, per il secondo è importante la vita in società. Hayy si trova perfettamente d’accordo con Absal, anche se non capisce il suo ricorso a parabole e simboli, mentre non gli risulta possibile insegnare le sue verità a Salaman e alla città che questi governa.

Come ha scritto Garaudy, ibn Tufayl «cercava di dimostrare come un essere umano, novello Adamo, non avendo a portata di mano né il contatto con gli uomini, né la loro cultura, né la loro fede, potesse realmente riuscire a scoprire da solo le leggi fondamentali della scienza, della morale e della religione. ibn Tufayl è stato il primo ad essersi proposto questo obiettivo partendo dall’isolamento assoluto. [...] Questo progetto attaccava le obiezioni di al-Ghazali che escludeva la filosofia dalle vie di accesso alla fede».[footnoteRef:20] [20: Roger Garaudy, ibn Thofail, in www.webislam.com. Cfr. anche Abentofail, El filósofo autodidacto, ed. Ángel González Palencia, edicione digitale completa in http://www.ilbolerodiravel.org/vetriolo/abentofail-filosofoautodidacto.pdf.]

Sefarad

La presenza degli ebrei nella Penisola Iberica (Sefarad) rimonta a tempi remoti e alla leggenda. Distrutta Gerusalemme, nuclei di ebrei si stabiliscono in Nord Africa e da qui passano nell’Hispania a seguito dei vandali di Genserico (400-477), stabilendosi sulla costa mediterrane