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Canadese o Eschimese D’acqua piatta, fluviale o da mare. D’acqua piatta, fluviale o da mare. A pala semplice o a pala doppia. A pala semplice o a pala doppia. Conosciamo da vicino le principali Conosciamo da vicino le principali caratteristiche della canoa e del kayak Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Cagliari il magazine dedicato al non convenzionale il magazine dedicato al non convenzionale Numero 06 Numero 06 MAGGIO / GIUGNO ANNO 2006 - €4,50 €4,50 N.06 MAGGIO / GIUGNO ANNO 2006 Cambogia, Cambogia, Terra Gentile Terra Gentile Pochi luoghi al mondo stregano come gli Pochi luoghi al mondo stregano come gli straordinari monumenti della Cambogia straordinari monumenti della Cambogia Annapurna Annapurna Mandala Trail Mandala Trail La corsa più dura del mondo tra La corsa più dura del mondo tra pietre, ghiaccio e neve pietre, ghiaccio e neve 60006 9 771825 815803

Xtreme Stuff Magazine 06

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Canadese o EschimeseD’acqua piatta, fluviale o da mare.

D’acqua piatta, fluviale o da mare. A pala semplice o a pala doppia.

A pala semplice o a pala doppia. Conosciamo da vicino le principali

Conosciamo da vicino le principali caratteristiche della canoa e del kayak

XTREMESTUFF MAGAZINE

Anno II

numero 06 Maggio

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ANNO 2006 - €4,50

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Cambogia, Cambogia, Terra GentileTerra GentilePochi luoghi al mondo stregano come gli

Pochi luoghi al mondo stregano come gli straordinari monumenti della Cambogiastraordinari monumenti della Cambogia

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06 Sommario

10 Felix conquista Torre MayorCi sono quasi 200 mila paracadutisti in tutto il mondo. Fra loro, solamente 500 non saltano da aeroplani; loro lo fanno da edifici, antenne, ponti e montagne

Capo VerdeUn eremo vulcanico, a soli 500 km dalla costa senegalese, ma molto distante dalla cultura e dall’ideologia dell’uni-verso africano.10 isole dell’arcipelago, una terra contesa per la sua posizione strategica nell’Atlantico. pag. 21

Storia della MTBNel 1933, negli Stati Uniti, una robustissima bicicletta, la Schwinn Excelsior, adottata, per la sua indistruttibilità, dai fattorini che conse-gnavano i giornali a domicilio. pag. 37

Felix conquista Torre Mayor

Ci sono quasi 200 mila paracad

utisti in tutto il mondo.

Fra loro, solamente 500 no

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“L’isola che non c’è”

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SLOPE GANG 2006Proposto e

ideato da Spiagames, il nuovo format

competitivo ha visto squadre composte da 4

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sfidarsi e giudicarsi

a vicenda in una serie di

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all’interno dello Snow

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mondo tra pietre, ghiac

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16 “L’isola che non c’è” dentro di noiUn viaggio tra dune di sabbia e ciottoli di pietra lavi-ca, ma soprattutto un’occasione per scoprire, dentro se stessi, angoli di anima inesplorati. Si presenta così la Boa Vista Ultramarathon

24 Nokia Snowboard FIS World CupMilano ha ospitato la tappa italiana dei Mondiali di Snowboard. Per gli appassionati, lo spettacolo di una pista innevata nel cuore della città e la presenza di oltre 60 migliori rappresentanti dello snowboard internazionale

28 Slope Gang 2006Proposto e ideato da Spiagames, il nuovo format competitivo ha visto 3 snowboarders e 1 freeski sfidarsi e giudicarsi a vicenda in una serie di run all’in-terno dello Snowpark di Prato Nevoso

34 Street riding in mtbUn muretto, una panchina, due gradini e una moun-tainbike! Semplici ingredienti per una moda america-na che sta prendendo sempre più piede in Italia. Ce ne parla Alberto Accettulli, massimo rappresentante italiano di Street

40 Annapurna Mandala TrailLa corsa più dura del mondo tra pietre, ghiaccio e neve

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06 Sommario

48 Lisbona-Dakar 2006240 moto, 188 auto e 80 camion hanno dato il via alla gara più entusiasmante del mondo, che ogni anno vede competere i campioni delle corse e gli amanti dell’avventura nel deserto

Ferrovia StoriaLa prima ferrovia pubblica fu quella costruita in Toscana per collegare la città di Firenze con quella di Livorno. I lavori comin-ciarono 1841 e termi-narono nel 1848 pag. 75

L'AntartideE’ un continente che si sviluppa quasi totalmente all’interno del Circolo Polare Antartico ed è coperto completamente da una calotta di ghiaccio, spessa anche più di 3 mila metri. pag. 95

Cambogia,

la Terra GentilePochi luogh

i al mondo stregano

come gli straordinari monumenti della

Cambogia.

Le pagode dorate

del palazzo reale,

il ricchissimo Museo arche

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dopo decenni

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mondo esterno,

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Lisbona-Dakar 2006 240 moto, 188 aut

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Canadese o Eschimese...D’acqua pi

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Conosciamo da vicino le principali ca

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54 Cambogia, la Terra GentilePochi luoghi al mondo stregano come gli straordinari monumenti della Cambogia. Le pagode dorate del palazzo reale, il ricchissimo Museo archeologico e, nella jungla, la città-tempio di Angkor che, dopo decenni di chiusura totale al mondo esterno, è ora nuovamente possibile visitare

64 Nell’arteria del giganteMarocco in mountainbike…L’avventura di Guido e Luana tra la millenaria Marrakech e i più bei paesaggi del sud marocchino, attraverso piste e percorsi poco battuti dal turismo di massa

70 Welcome to my HouseLa Stazione Leopolda è stata teatro del più impor-tante evento dedicato alla street culture. Un contest di skateboard e bmx, jam-session di musica hip-hop, performance di writing, dj-set e concerti punk-rock

78 Canoa VS kayakD’acqua piatta, fluviale o da mare. A pala semplice o a pala doppia. Conosciamo da vicino le principali caratteristiche di questo affascinante sport

92 55 giorni sul pack a 80° sotto lo zeroLa missione di un giovane ingegnere geofisico cagliari-tano, protagonista della prima spedizione scientifica al Polo Sud per studiare la Catena Transantartica

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Anno II - Numero 6 - BimestraleMaggio / Giugno 2006

www.xtremestuff.it

Direttore editoriale e responsabile

Gian Luca [email protected]

Art DirectorGrafica e impaginazione

Alessandro [email protected]

Responsabile di RedazionePatrizia Salaris

[email protected]

RedazioneEmanuele Concas

Paolo GianfantiStefania Corona

MarketingMassimo Pieranunzi

Hanno collaboratoAlberto Accettulli, Carlo Pesce

Guido Caporizzi, Marianna MacisMarzia Bonavita, Riccardo Monti

Sara Croce, Stefano Erriu

FotografieRedbull, Cometa Pess,

Autogerman, Riccardo Monti,Guido Caporizzi, Giovanni Marchesi

Matteo Forli, Andrea Cossu, Luana Hegglin

RingraziamoAlessia Tozini (IED)Manuela CaminadaManuela Spadoni

Paola Giovanettoni

Distributore per l’ItaliaSocietà Europea di Edizioni SpA

Via G. Negri, 4 - Milano

StampaArti Grafiche Amilcare Pizzi

Milano

EditorePubliteam s.r.l.

www.publiteam.com

Uffici e sede amministrativaZona Industriale Truncu is follas

09032 Assemini (CA)Tel. 070 9484010 - Fax 070 9484352

Indirizzo Postale: Publiteam srl - Casella Postale 279

09030 Elmas (CA)

Sede LegaleVia Togliatti, 78

09028 Sestu (Ca)

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Non si restituiscono testi e materiali illustrativi non espressa-mente richiesti. Riproduzione, anche parziale, vietata senza autorizzazione scritta dell’Editore. L’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può compor-tare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo firma e pertanto ne impegna la responsabili-tà personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comporta responsabilità alcuna per l’Edito-re. Xtremestuff Magazine è registrato presso il Tribunale di Cagliari al n° 14/05 Codice ISSN 1825-8158

IN COVERSteve Fisher, in un suggestivo passaggio tra le acque del Zambezi River, Zambia. Uno dei tanti campioni del team RedBull.

Photocredit: ©Desre Pickers - www.redbull-photofiles.com

EditorialeSicuramente questo è un editoriale diverso dal solito, intanto mi scuso con tutti voi per aver disatteso l’appunta-mento in edicola del numero prece-dente, vi chiederete il perché, abbia-mo fatto un grandissimo errore nella scelta di un partner importante che ha disatteso tutti gli accordi stabiliti, e con questo abbiamo appreso che certe volte la sostanza delle persone, anche

se ricoprono posizioni importanti, non è quella che appare, o vogliono far vedere, comunque con questo la fiducia nelle persone non è cambiata, abbiamo pagato a caro prezzo una bruttissima esperienza e una fiducia mal posta.Cambiamo argomento, siamo nuovamente in pista carichi più che mai e attenti a tutto il mondo del non convenzionale, in questo numero trovate avventure, curiosità, news, viaggi, sfide e competizioni, il tutto documentato come sempre da fantasti-che immagini. Inoltre alcuni consigli per lo shopping i test dei nostri esperti e gli appuntamenti prossimi.Vi lascio augurandovi una buona lettura e dandovi l’appunta-mento al prossimo numero che tratterà le discipline sportive freestyle legate alla stagionalità, le imprese speciali e i viaggi dei nostri lettori, e i grandi appuntamenti di triathlon, ultra-trail, kite surf e tanti altri.

Gian Luca Corona

OnLineXtremestuff.it

Nelle sezioni dedicate a Voi lettori, potrete pubblicare le vostre espe-

rienze, interagire con il nostro Forum di discussione, lasciare i vostri

messaggi nel Guestbook, scriverci le vostre NEWS che pubblicheremo

quotidianamente e tanto altro... Sarete Voi, con le vostre avventure, il

cuore del sito. Venite a trovarci su www.xtremestuff.it

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Si terrà dal 27 maggio al 4 giugno al “Colico Fun Center” di Colico (Lecco) il Fiat Freestyle Kiteboard World Cup 2006, prima tappa dei campionati del Mondo di Kiteboard (validi per il circuito Kpwt – Kiteboarding Pro World Tour)...Tra gli uomini ci sarà il campione in carica Thomas Coquelet (Francia), il vice campione del Mondo 2004 Mickael Fernandez (Francia) e diversi atleti provenienti da altri continenti: Alexandre Francese Scheid dalla Polinesia, Olivier Nicolas dalla Nuova Caledonia, Reno Romeu dal Brasile, Miguel Willis dall’Australia e Monteiro Mitu da Capoverde, sponsorizzato dalla Misultin Zone, azienda “Made in Lario” e partners della manifestazio-ne. Tra gli italiani: il laziale Piercarlo Ricasoli (sponsorizzato Fiat) e il tre volte campione italiano Max Di Ciccio.Il Fiat Freestyle Team apre le porte al mondo delle due ruote: l’ultima new entry della squadra più cool del momento è Alvaro Dal Farra, rider di moto-cross di freestyle FMX di fama internazionale.

Fiat Kiteboard World Cup 2006

News Abbiamo scelto per voi i prossimi eventi del panorama sportivo

Le informazioni sono suscett ibi l i di variazione. Eventual i modif iche sono di esclusiva responsabil i tà del le fonti organizzative del l 'evento o manifestazione

Le iscrizioni, arrivate a quota 2500, battono ogni record precedenteSono più di 2500 e arrivano da tutto il mondo gli appassionati che, dal 25 al 27 agosto 2006, saranno i protagonisti della quarta edizione della The North Face Ultra-Trail Tour du Mont Blanc, ultra-maratona non stop di 158 km che si snoda attorno al tetto d’Europa, il massiccio del Monte Bianco (4810 m), toccando Francia, Italia e Svizzera. I numeri della The North Face Ultra-Trail Tour du Mont Blanc confermano l’eccezionalità di questo evento, considerato l’ultramaratona più impegnati-va, lunga e prestigiosa d’Europa. I numeri sono impressionanti: 158 km di percorso, 8500 metri di dislivello attraverso 3 nazioni e un contesto straordi-nario in cui si percepisce la grandezza del Monte bianco con le sue 7 vallate, 400 vette e 71 ghiacciai.

The North Face Ultra-Trail 2006

Per sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità al fine di salvare uno dei tre skate- park indoor d’Italia, (struttura che rischia di chiudere per mancanza di fondi), per dimostrare che gli sport minori nel nostro paese fanno fatica a mettere le ali, i più grandi bmx rider stupiranno il pubblico con funambo-liche acrobazie, per incantare grandi e piccoli con i più famosi trick, regale-ranno momenti di puro spettacolo per dimostrare che il “loro” park NON DEVE CHIUDERE! L’ingresso è libero: Dalle 14,30 BMX Free Jam - Dalle 18.30 Energy Happy hour, aperitivo a base di Red Bull.

Skate-park New Roller di Salussola

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Felix conquista Torre MayorCi sono quasi 200 mila paracadutisti in tutto il mondo. Ci sono quasi 200 mila paracadutisti in tutto il mondo. Fra loro, solamente 500 non saltano da aeroplani; Fra loro, solamente 500 non saltano da aeroplani; loro lo fanno da edifici, antenne, ponti e montagne loro lo fanno da edifici, antenne, ponti e montagne

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A 2.240 metri sul livello del mare sorge l’antica Tenochti-tlan, meglio nota oggi come Mexico City, in cui si eleva la costruzione più elegante del mondo e la più alta dell’Ame-rica Latina: Torre Mayor. Con un’altitudine di 225 metri, il grattacielo è considerato un esempio di modernità e funzionalità. Nata dal genio dell’architetto Everard Zedler, la costruzione di questo capolavoro cominciò nel 1999 e fu ultimata nel 2003, con una parete di cristallo di quasi 30.000 metri. Visibile da molti punti della città, la torre è diventata una maestosa visione per la vita quotidiana di ogni messicano e, nonostante la sua taglia immensa, terra di conquista di Felix Baumgartner, l’atleta Red Bull famoso in tutto il mondo per aver sfidato la forza di gravità in luoghi come la Statua di Cristo a Rio de Janeiro, le Petronas Twin Towers di Kuala Lumpur, il Marmet Cave in Croazia e il Canale di Panama. Felix, il

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30 gennaio scorso, è saltato nel vuoto dal 52° piano della Torre Mayor ed è atterrato nel cuore di uno dei più importanti viali di Mexico City: Reforma. Intorno a mezzogiorno e un quarto, quando nessuno se lo sarebbe mai aspettato, Felix Baumgartner ha compiuto un mortale e ha aperto il suo paracadute col logo inconfondibile, cadendo dolcemente sul traffico della strada di Reforma. Normalmente, questa non sarebbe stata una sfida notevole per Felix, ma a causa dell’altitudine di Mexico City, la caduta libera e la velocità discendente si sono rivelate più lunghe di qualsiasi altro luogo, provocando un serio ritardo nell’apertura del paracadute di Felix. “Sono molto soddisfatto,” ha detto Felix al termine della sua impresa, “era un salto complicato perché dovevo manipolare il mio paracadute a causa dell’aria e degli edifici. Senza alcun dubbio, è stato un salto molto diverso da quelli che ho fatto finora, con un alto grado di difficoltà.”

Marianna Macis

Negli USA è illegaleBASE sono le iniziali di Buildings, Antennas, Span, Earth ed e’ da questi posti che questa nuova generazione di paraca-dutisti si lancia: dai palazzi, dalle antenne, dai ponti o dighe e dalle montagne. E’ in assoluto la piu’ estrema disciplina di questo sport, i rischi sono molto alti, la concentrazione ed il sangue freddo indispensabili, specialmente quando questi oggetti sono poco alti, alcuni non arrivano ai 100 metri di altezza ed il tempo all’impatto al suolo e’ di appena pochi secondi. I tempi di reazione devono essere velocissimi ed un errore può costare la vita. Un altro rischio riguarda l’apertura del paracadute: si deve stare molto attenti a non urtarlo, un colpo di vento o una depressione può essere fatale. Molto spesso le zone di atterraggio sono impervie, con ostacoli come alberi, pali della luce, cavi ad alta tensione, altre volte si tratta di strade cittadine con semafori ed automobili che circolano, marciapiedi e pedoni. In conclusione per avvicinarsi a questo sport bisogna conoscere molto bene il paracaduti-smo, avere coraggio, un fisico reattivo ed iniziare per gradi, da una parete alta che non sporga, con un atterraggio ragionevole. Il Base Jump si pratica molto negli Stati Uniti ed e’ illegale, si rischia il ritiro dell’attrezzatura ed una bella denuncia. In Italia, invece, non è illegale, sempre che non si vada a saltare all’interno di proprietà private...

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Chi e'...Nome: Felix BaumgartnerNato a: Salzburg in AustriaNickname: B.A.S.E. 502Professione: B.A.S.E. Jumper, Stunt Coordinator, Free-fall Camera, Skydiver. Palmares: 1997, Campione del Mondo di Base Jumping in West Virginia. 1999, Record del mondo: il salto dall’edi-ficio più alto della Terra, le Petronas Twins Towers di Kuala Lumpur in Malaysia, 1.479 piedi, e il B.A.S.E più basso, dalla Statua di Cristo di Rio de Janeiro, in Brasile, 95 piedi. 2003, il primo ad affrontare in caduta libe-ra il Canale Dover – Calais. 2004, salto dal ponte del canale di Corinto (193 piedi), dal Marmet Cave nel Parco Nazionale di Velebit, in Croazia (623 piedi), dal Panama Bridge (393 piedi) e World Record, salto dal più alto ponte del mondo: il Millau Bridge in Francia (1.125 piedi)

Felix BaumgartnerX3M06 14 Maggio - Giugno

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“L’isola che non c’è” dentro di noiUn viaggio tra dune di sabbia e ciottoli di pietra lavica, ma soprattutto un’occasione per scoprire, dentro se stessi, angoli di anima inesplorati. Si presenta cosi la Boa Vista Ultramarathon

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A volte va così: una coincidenza, un incontro inaspettato ti mettono sulla strada giusta, poi sta a te decidere di percorrerla fino in fondo. Un anno fa, quando conobbi Pier Giorgio Scaramelli, l’ideatore della Boa Vista Ultramarathon, giunta quest’anno alla sua quinta edizio-ne, l’idea di partecipare ad una gara di questo tipo nemmeno mi sfiorava. “Roba da matti” pensavo. Non mi ero, però, ancora addentrata nel cuore di quest’iso-la: se una persona è convinta di aver visto e visitato tutto nella vita, allora Boa Vista offre la possibilità per ricredersi molto velocemente. La guida che ho comprato parla di 300 chilometri quadrati di spazi immensi dove inevitabilmente si perde lo sguardo, scenari al limite del surreale, ognuno con caratteristiche diverse, dove

la natura è ancora la protagonista princi-pale, capace di stupirti ad ogni istante, e dove deserto e oceano si fondono insie-me per dar vita a un equilibrio perfetto. Alla fine del mio viaggio tutti i miei dubbi erano ormai svaniti. Al loro posto c’era un’unica certezza, quella di voler correre i 150 chilometri intorno e attraverso l’isola; dal quel giorno, un po’ per gioco e un po’ per sfida, entrai a far parte definitivamente della “dimensione dei non normali”, con tutto quello che ne seguì poi.E ora mi trovo quasi alla fine di questa splendida avventura. Davanti ai miei occhi lo scenario si presenta tutt’altro che confortante: immaginate di trovarvi

di fronte alla pista più lunga che abbiate mai percorso, ma non una strada norma-le, bensì un massacrante rettilineo di 30 km che si perde a vista d’occhio, fatto di pavè e ciottoli, capace di macerare anche i piedi più allenati. Arrivando dal deserto, questo mi appare quasi come un miraggio ma, man mano che mi avvicino, procedendo lentamente, realizzo cosa devo affrontare, prima di sentirmi vera-mente al sicuro.Il vento mi strappa all’improvviso il road-book dalle mani, non tento nemmeno di raggiungerlo ma, a questo punto, non mi servirà più, il percorso rimane tale fino

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alla fine, impossibile perdersi. Ho la sensazione di avere tutti i sensi amplificati, cerco di selezionare i pensieri positivi da quelli negativi, ma non è un’impresa da poco. La stanchezza fisica è una realtà e ci dovrò convivere fino alla fine. Le famose strategie di gara che un atleta cerca di attuare nei momenti di crisi non hanno più nessun valore. L’istinto è l’unica cosa su cui si può fare veramente affidamento. Andare avanti o fermar-si? L’essere arrivati fino a qui per me è già un traguardo. Zoppico vistosamente, a causa di una caduta durante la notte, e il dolore causato dalle vesciche ai piedi sono stilettate che arrivano diret-

Boa Vista Ultramarathon...

La 5a Boa Vista Ultramarathon, che si è svolta dal 6 all’8 dicembre 2005 nell’Isola di Boa Vista, Capo Verde, in Africa Occi-dentale, è una corsa a piedi, individuale e a squadre, non-stop, in autosufficienza alimentare, a orientamento e ad andatura libera, su una distanza di 150 Km, da corre-re in un tempo massimo di 60 ore. Ciascun concorrente ha l’obbligo di porta-re con se uno zaino contenente cibo, sacco letto e materiale obbligatorio. La squadra è composta da 2 persone che, per rimanere in gara ed entrare nell’apposita classifica, dovranno arrivare insieme e nello stesso momento al traguardo, passando insieme da ogni punto di controllo. I punti di controllo sono posti fra di loro a una distanza minima di 9 km e massima di 15 Km.

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tamente al cervello. Sto correndo da più di venticinque ore e, se ci penso, sembra veramente una follia. In questa corsa a perdifiato, lungo le dune e l’oceano, un essere umano può sperimentare in pochi minuti gioia, stupore, dolore e sconforto; le ragioni che spingono ad andare fino in fondo possono essere le più svariate. In mezzo al deserto ho conosciuto un’altra me stessa, più forte e determinata, ed è una consapevolezza che riempie di euforia. Le dune sembrano gigantesche onde da cavalcare e la traversata prende quasi il sapore di un’avventura. Ma c’è sempre il problema della sabbia, che si infila ovunque e che rende ogni passo più pesante: non conto le volte che sono costretta a fermarmi per svuotare le scarpe e, ogni volta, prego di non vedere

nuove ferite alle dita dei piedi. Il pensiero costante è uno solo: riuscire ad arrivare alla fine di questa tappa. Quale sarà il nuovo orizzonte? Mi sembra di essere stata catapultata su Marte: davanti a me c’è un vasto promontorio roccioso con ovunque spuntoni di pietra lavica che sembrano esistere solo per far dispetto ai miei piedi già doloranti.Ho impiegato più di tre ore per attra-versarlo, lentamente e a testa bassa: in un attimo di distrazione, ho urtato un masso ed è stato veramente difficile auto-convincermi che nella vita ci può essere di peggio! Il sole è ormai basso e i colori caldi del tramonto regalano al paesaggio un’atmosfera magica. Ho perso la cogni-zione del tempo, ma so che davanti a me

c’è ancora tanta strada da percorrere. Raggiungo l’Oasi di Ervatao che è ormai buio. I ragazzi dell’assistenza hanno alle-stito il check-point all’interno di una capanna di pescatori: qui mi concedo una sosta un po’ più lunga. Qualcuno sta cucinando un’invitante pasta con sugo di tonno e penso che non sarebbe male barattare una mia barretta energetica con qualcos’altro di più succulento! Il ricordo di questa notte rimarrà impresso nella mia mente per molto tempo. Il buio da sempre suscita in me tensione e ansia e l’idea di dover affrontare un luogo così remoto in queste condizioni non mi consola certamente. Una buca, uno scossone mi fa perdere l’equilibrio

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e in una frazione di secondo mi ritrovo a terra, avvinghiata ad una roccia sbucata dal nulla: non so se mettermi a piangere o ridere, ma penso che ci sarà tempo per decidere! Le disgrazie non vengono mai da sole e, lasciato il Faro ormai da due ore, realizzo di essermi persa. Avrei dovuto già incrociare il paese di Fundo de Figueras da molto tempo e quando consulto la cartina, scopro che ci sto girando intorno un’infinità di volte. Le luci di una jeep in lontananza mi riportano in carreggiata, ma il morale è ormai talmente basso che ci vorrebbe un miracolo per farmi tornare nuovamente la voglia di andare avanti.Cammino verso l’alba per ore come in un sogno, riesco a sentire solo il battito accelerato del mio cuore. Col passare dei chilometri, l’intensità della luce aumenta e finalmente riesco a scorgere il mio percorso con maggior facilità: è una liberazione poter camminare e guardarsi intorno senza la preoccupazione di dover prestare continuamente attenzione al fondo sconnesso.

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Un eremo vulcanico, a soli 500 km dalla costa senegalese, ma molto distante dalla cultura e dall’ideologia dell’uni-verso africano. Un paese di 4033 kmq e 350 mila abitanti nelle 10 isole dell’ar-cipelago, una terra contesa per la sua posizione strategica nell’Atlantico. Santo Antao, Sao Vicente, Santa Luzia, Sal, Sao Nicolau e Fogo regalano sensa-zioni spettacolari: sono isole diver-se, abitate da creoli ospitali, territori aspri, steppe bruciate, valli verdissime, miracolate da rare sorgenti, spiagge deserte, piane di lava e piantagioni di banane. Un affresco di sensazioni raccolte fra la gente, immergendosi tra le decine di relitti, guardati a vista da pacifici squali, o isolandosi sulla cima di un faro abbandonato. Il clima a Capoverde e’ di tipo tropicale secco, con una temperatura media annua di 26°; l’escursione termica non supera mai i 10°, grazie all’azione mitigatrice dell’oceano, mentre la temperatura del mare oscilla fra i 21° in febbraio e marzo e i 26° fra luglio e ottobre. Il clima nelle isole di carattere montuoso, Santiago, Santo Antao, Sao Nicolau e Fogo, con un sole caldo costante tutto l’anno, e’ soggetto a scarse piogge fra agosto e ottobre.Le tre isole piu’ ad est, Boavista, Sal, Maio, offrono un clima piu’ secco, dovuto all’influenza dei venti caldi che spirano dal Sahara. Una situazione particolare e’ quella che offre l’isola di Sal: la temperatura rimane costante fra i 20° e 30°, con una piacevole brezza, che si rinforza soltanto nei mesi di febbraio e marzo, in cui si presentano le condizioni ideali per gli appassionati di vela e windsurf.

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Sono serena perché sono riuscita ad allontanare da me l’idea di ritirarmi. In questa dimensione percepisco il vero senso di questa gara. A volte mi è sembrata una vera e propria sfida nei confronti della natura, altre, invece, una sfida nei confronti dei miei limiti. Ora invece scopro di aver intrapreso il più bel viaggio dentro me stessa, dove la mente ha rivestito un ruolo quasi assoluto. E ora devo fare i conti con questo canyon di pavè lungo trenta chilometri. Sono impaziente, vorrei essere già arrivata. Ricomincio a correre, anche se il livello di sopportazione del dolore causato dalle vesciche è ormai agli sgoccioli. I primi contatti con la realtà avvengono verso il centro di Rabil, in prossimità dell’aeroporto. Ci sono quasi, ora incomincio ad intravedere veramente la fine; allo stesso tempo, so che ciò che sto lasciando alle mie spalle non sarà dimenticato tanto facilmente. Vedo finalmente le prime case di Sal Rey, dove è stato allestito l’arrivo e da dove è iniziato tutto. E’ passato solo un giorno e mezzo, ma il tempo trascorso in mezzo al deserto sembra essere infinito. Il mio sogno non è più qualcosa di astratto, è finalmente diventato realtà. I bambini del posto mi vengono incontro ridendo e svuotano in un lampo ciò che è rimasto all’interno del mio zaino. Per loro è un dono, per me una liberazione!

Marzia Bonavita

Ultra per tuttiAlla Boa Vista Ultramarathon sono presenti due categorie di partecipanti: individuale, per una clas-sifica assoluta maschile e femminile, oppure a squadre di 2, e in tale caso gli atleti dovranno procedere compatti. Ad una temperatura media di 27°, la gara si è presentata dura quanto basta, per esaltare le doti tecniche dei partecipanti, e alta-mente spettacolare per le sensazioni che ha saputo regalare a chi ha attraversato territori incontaminati e paesaggi mozzafiato.

Correre o camminarePotevano correre o camminare, purché il traguardo fosse tagliato entro le 60 ore. Insomma, hanno dovuto resistere nel silenzio del deserto, lottare sotto il sole cocente, restare svegli nella notte stel-lata e affrontare il vento oceanico che li ha accom-pagnati per tutta la gara. Un’emozione unica.

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Nokia Snowboard FIS World CupMilano ha ospitato la tappa italiana dei Mondiali di Snowboard. Per gli appassionati, lo spettacolo di una pista innevata nel cuore della citta' e la presenza di oltre 60 migliori rappresentanti dello snowboard internazionale

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Fin dal 2003, i Big Air della Nokia Snowboard FIS World Cup vengono ospitati nelle grandi città. Uno spettacolo sportivo che ha visto, in Europa, coinvolgere città come Berlino, Glasgow, Monaco, Mosca, Sanpietroburgo, Salisburgo e, unica città che ha ospitato la competi-zione per ben tre anni consecutivi, Torino.E dopo aver fatto tappa a Klagenfurt e Winterberg, il 4 febbraio il Nokia Snowboard 2006 è approdato a Milano, più precisamente alla Fiera MilanoCity di Piazza Italia.Ore 12 apertura ufficiale dei cancelli! C’è già molta gente che aspetta di entrare per vedere i propri beniamini saltare. La struttura è imponente, il flat (zona dove c’è lo stacco) è ad un’altezza di 28 metri da terra e poi i riders partono a 11 metri più in alto per poi “volare” per una lunghezza di circa 20 metri con uno stacco

alto 2.6 metri. Studio un po’ la location e aspetto le 14, inizio del training, visitando gli stand presenti.All’inizio delle qualifiche, una voce conosciuta, quella di Zoran (speaker ufficiale), saluta il pubblico presente in lingua italiana e inglese avvisando che videomaker e fotografi con pettorina possono salire nella zona flat, dove si trovano i giudici: Sami Savela, Matthieu Giraud, Markus Thurner, Remi La Liberte e Steve Brown. Le qualifiche sono organizzate in modo tale che ogni snowboarder ha la possibilità di dare il meglio di se con cinque jump in ciascuna delle due run, dove i giudici valutano ogni salto e poi, per avere il risultato finale, vengono esaminati i punteggi più bassi e più alti di ciascuna run. Nel trascorrere delle qualifiche, Zoran annuncia che Giacomo Kratter, sempre circondato dalla Iuter Crew e nostro pupillo per le Olimpiadi in half-pipe, è presente e che sarà disponibile per autografi e foto.

Il Big AirSpettacolare specialità freestyle di snowboard che utilizza un campo di gara allestibile in aree urbane: partendo dallo start gate, posto a 28 metri dal suolo, gli atleti effettuano una rincorsa ed affrontano il salto posizionato a 11 mt da terra. Durante il volo di oltre 20 metri, che li porterà all’atterraggio finale, i riders, con la tavola fissa ai piedi, compio-no acrobatiche evoluzioni in aria: solo le migliori performance sono premiate con l’accesso in finale, per la volata alla vittoria di tappa.

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La pistaL’innevamento della pista della Nokia Snowboard FIS World Cup è stato piani-ficato a partire dal 30 gennaio ed è stato realizzato trasportando 1.000 metri cubi di neve naturale dalle località montane. La neve è stata, così, trasportata a Milano con l’ausilio di 25 camion, direttamente dalla montagna, ed è stata distribuita per 500 metri cubi per preparare landing, in-run e kicker. Nonostante le temperature molto alte e il sole, che stranamente ha fatto visita a Milano giusto il tempo per sciogliere di continuo la neve, sabato era tutto pronto per l’evento.

Dei trenta snowboarders presenti, provenienti da 14 Nazioni, solo dieci sono ammessi alle finali e a primeggiare sono lo sloveno Petek Matevz, il belga Reynders Cristophe e Manninen Juho. L’unico italiano presente come partecipante, Lorenzo Barbieri, sfortunatamente non riesce a passare le selettive qualifiche per le finali. Alle 19.30, con il buio alle porte, iniziano le finali: tutti i riders sulla zona flat per prepararsi. La location è diventata fantastica, il big air è ben illuminato lasciando tutto il resto al buio creando un bel contrasto di colori e luci. I riders hanno dato il meglio, con grossi trick come bs 900, fs 720, lasciando il pubblico sbigot-tito, sicuramente non abituato a vedere dal vivo questo tipo di eventi, e lasciandosi a grandi applausi e urla alla fine di ogni salto.Petek Matevz si riconferma al primo posto, secondo nel campionato FIS World Cup, con un punteggio di 54.7, riuscendo a battere il suo “peggior” avversario Gimpl Stefan, primo nel FIS World Cup, con 54.4 di punteggio finale. Terzo meritato posto per il finlandese Uotila Ville, che lascia alle sue spalle Mausser e Manninen.

Riccardo Monti

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SLOPE GANG 2006Proposto e ideato da Spiagames, il nuovo format

competitivo ha visto squadre composte da 4 atleti sfidarsi e giudicarsi a vicenda in una serie di 3 run

all’interno dello Snowpark di Prato Nevoso

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Prato Nevoso, ridente cittadina del cunese, sorta esclu-sivamente in funzione degli sport invernali, è la località dove si è svolto il primo appassionante appuntamento dello SLOPE GANG. Snowboarder e skier, suddivisi in team composti da quattro atleti di cui tre snowboarder e un freeskier, si sono nuovamente trovati a fronteg-giarsi sullo stesso terreno di gioco, ma questa volta gareggiando uno accanto all’altro. Proposto e ideato da Spiagames, questo nuovo format competitivo di Slope Style prevede Gang pronte a sfidarsi tra loro e, allo stesso tempo, chiamate come giuria dei propri diretti avversari. Tre run a disposizione con un tempo limite di un minuto e mezzo, ciascuna per dimostra-re le proprie capacità dal punto di vista tecnico e creativo. Il tutto si è svolto il 21 e il 22 gennaio 2006 con condizioni meteo da non credere. Snowpark perfettamente shapato, degno di essere considera-to uno dei migliori in Italia, dove molti fra i riders più acclamati sulla scena freestyle hanno reso

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questo week-end indimenticabile. Nonostante l’alto livello di tensione che si respirava fra gli atleti prima della prova, il clima era particolarmente disteso e gli atleti si sono divertiti a testare le loro capacità nel tentativo di dimostrare il loro valore non solo individuale, ma anche sfoggiando tricks sincronizzati in coreografie di gruppo. I numerosi spettatori si sono lasciati catturare dalle evoluzioni mozzafiato dei concorrenti, senza risparmiare grida ed applausi d’incoraggiamento. Quarantaquattro partecipanti, undici squadre, ognuna contrassegnata da un colore diverso, si sono radunate alla sommità dello snowpark, sotto l’arco Slope Gang, per sfoggiare al via originali e incredibili numeri, uno dietro l’altro, aggredendo ogni tipo di rail e jump, disposti in modo tale che ogni rider potesse tracciare linee personali adatte al proprio stile. Il livello di abilità è risultato molto alto, si sono visti tricks a regola d’arte, non solo da parte dei rider professionisti, ma anche da chi è riuscito a creare la propria squadra sul posto e che ha partecipato alla gara per il semplice gusto di stare insieme e divertirsi. Sul gradino più alto del podio è salita la Gipyes Crew, capeggiata dallo snowboarder Francesco Colturi, già laureato Sliderman

2006, insieme a Stefano e Lorenzo Munari e lo skier Daniele Mottini, seguiti dalla gang Tsunamy composta dai fratelli Borella, Stefano Carini e dallo skier del team Spia, Alessandro Bianchetti; terzi classificati i ragazzi della Lemoneight Gang. Due giorni particolari, un week-end fra training e run vere e proprie, di grandi emozioni e spettacolo reso possibile anche grazie ad aziende leader del settore come Salice, The North Face e Salomon: tanta musica e grande coinvolgimento da parte non solo dei partecipanti, ma anche e, direi soprat-tutto, del caloroso pubblico che si è radunato a ridosso dei salti per condividere con gli atleti i loro momenti di gloria! Considerato l’ampio successo speriamo di vedervi ancora più numerosi alla prossima edizione!

Sara Croce

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Cos’è lo Slope Gang...Lo Slope Gang è il nuovo format competitivo ideato da Spia-games. Gang, o Team, di 4 persone (3 Snowboarder ed 1 Freeskier) si sfidano e si giudicano a vicenda in una serie di tre run all’interno dello Snowpark di Prato Nevoso (CN). Prize Money: 2000 euro alla Gang vincitrice. Ogni Gang dovrà avere un nome e gli verrà assegnato un colore identificativo durante la gara. Il contest si svolge in tre run della durata massima di 1 minuto e mezzo ciascuna. Durante queste “freestyle session”, le Gang dovranno dimostrare non solo lo stile personale con trick ed evoluzioni di ogni singolo atleta, ma anche figure in coreografie di gruppo. Per coreografie si intendono sequenze

di salti, gestiti contemporaneamente da due o più membri della Gang. Lo Slope style sarà appositamente strutturato con jumps, rails, step up, quarters per dare il massimo rilievo alle capacità della Gang, il cui obiettivo sarà guadagnarsi il rispetto ed essere nominati “Slope Gang 2006”. E saranno le Gang stesse a deci-dere il vincitore. I Team saranno divisi in due gruppi e a turno si giudicheranno a vicenda. Il team vincitore sarà quello che avrà dimostrato di saper interpretare meglio le strutture dello Snow Park, sarà stato in grado di miscelare al meglio le potenzialità di ogni membro della Gang e avrà impressionato i giudici, cioè le altre Gang, nel modo più aggressivo.

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Street riding in MTB Un muretto, una panchina, due gradini e una mountainbike! Semplici ingredienti per una moda americana che sta prendendo sempre piu' piede in Italia. Ce ne parla Alberto Accettulli, massimo rappresentante italiano di Street.

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La maggior parte degli appassionati di mountain bike ama pedalare per i sentieri, ama il paesaggio selvaggio e il contatto con la natura. Ci sono poi altri appassionati che preferiscono dedicarsi alla sola discesa nei boschi, amano la velocità e le emozioni che si possono provare scendendo da posti sempre più impervi, saltando da rocce sempre più alte. La cosa che accomuna tutte le tipologie di bikers è il desiderio di estraniarsi dalla vita quotidiana, di cercare quelle emozioni che solo il silenzio e i colori della natura possono dare. Io e i miei amici siamo tutti molto appassionati di mountain bike, ma tutte le emozioni sopra citate le troviamo stando nel casino metropolitano, in mezzo al marcio dello smog, allo stress della gente, al cemento e ai palazzi. Lo street riding si è svilup-pato in primis negli Stati Uniti, ma poi la voglia di cambiare scenario si è diffusa in tutto il mondo, soprattutto in Inghilterra, in Germania, in Francia e in tutti i paesi del nord. Come sempre, in Italia è arrivato tardi e ha trovato pochi discepoli.Eppure è strano, lo street è una cosa così immedia-ta, così naturale, così divertente e gratificante, che sembra difficile sia rimasto una nicchia.Basta pochissimo per dare il via a delle sessions quasi illimitate di triks (evoluzioni): una panchina o anche 2 gradini. Lo street non ha uno scopo e

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bici. Ho provato la bmx diverse volte, ma non sono mai riuscito a fare la metà dei triks che faccio in mtb. Insomma con la “bici grossa” mi trovo meglio e posso fare salti più grossi, atterrando quasi ovunque. Mentre in Italia la gente ha inteso lo street come un passatempo serale, limitandosi a fare impennate e a scendere gradini, per me si è, fin da subito, trasformato in una passione che mi ha tenuto e mi tiene in bici ogni giorno. Passata la prima fase delle impennate, mi sono dedicato a ricercare quei triks e uno stile che ha poco a che vedere con la mtb, e si ispira dalla bmx. Per fare un esempio, tra un table (piegare la bici fino a che diventa parallela al terreno) e un superman seat grab (stendersi sulla bici con la mano sulla sella), io preferisco di gran lunga il primo! La maggior parte dei mtbikers, invece, danno più impor-tanza al secondo, perché a loro avviso è più scenico.La ricerca dello stile è fondamentale per il mio tipo di riding. Da un anno a questa parte ci sto lavorando duramente, cercando

penso che non sia neanche uno sport. Riassumendo, significa utilizzare qualsiasi tipo di struttura urbana per compiere dei triks. Solitamente si gira in gruppo con gli amici e ci si da appunta-mento in una piazza o vicino ad un muretto. Ci si sposta da una location all’altra e, quando ci si stufa, si cambia spot. E così via. Legati al fenomeno street ci sono una serie illimitata di video e foto realizzati dai rider stessi. Il mercato ne è pieno, soprattutto di importazione U.S.A, dove lo street è da sempre stato prati-cato. Per quanto mi riguarda, prima usavo la bici normalmente, ero un buon pedalatore. Poi, visto che mi volevo divertire di più, mi sono messo a saltare su ogni cosa che vedevo (e che era alla mia portata). Divertirsi è molto meglio che faticare sulle salite e rimanere sempre a dieta, no? Così, gradualmente ho smesso di fare mtb tradizionale e mi sono dedicato completamente allo street, allo skate park e ogni tanto, quando capita, alle gobbe di terra del dirt. Per chi fa bmx non sono una novità queste discilpline, ma per noi mtbikers certi tipi di terreni e strutture rappresentano un vero capovolgimento del modo di intendere la

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più di muovermi bene sulla bici, anziché staccare mani e piedi a caso. Nella mtb lo stile è ancora una cosa di parte. L’ambiente, dalle aziende agli appas-sionati, vogliono dare un’immagine che chi fa mtb ai massimi livelli sia un pazzo. Un pazzo che deve fare le corna quando chiude i triks, che deve fare le linguacce, che deve ubriacarsi di birra….ma che poi deve tutto essere vestito in tiro, con abbigliamento stile motocross degli sponsor e che deve avere il casco per dare il buon esempio. Insomma l’immagine tipo dello sbandato ma non troppo! Per questi motivi il mondo dello street riding in mtb è diventato commerciale e in tutti i video continuiamo a vedere gente che fa’ solo backflip e le corna! Più vedo che questa è la situazione e più preferisco estraniarmi da questo mondo e rimanere nel mio, fatto di tante soddisfazioni, tanti triks e ovviamente tanto divertimento.

Alberto Accettulli

Nel 1933, negli Stati Uniti, Ignaz Schwinn iniziò a produrre e a commercializzare una robustissi-ma bicicletta, la Schwinn Excelsior, adottata, per la sua indistruttibilità, dai fattorini che consegnavano i giornali a domicilio. Quando, verso la fine degli anni ’70 in California, si inventarono le gare ciclistiche di discesa, la vecchia Schwinn Excel-sior si dimostrò l’unica biciclet-ta abbastanza robusta in grado di sopportarne le sollecitazioni. Successivamente Gary Fisher, uno dei primi mountain biker, diventato poi industriale del settore, applicò alla sua Schwinn i cambi di velocità, rielaborò la geometria rendendo-la più rigorosa e migliorò i freni, aprendo così la strada alla moderna Mountain Bike.Ma la nascita ufficiale della MTB si può far coincidere con la mitica Repack, la prima gara di discesa organizzata dal Velo Club Tamalpais di Marin County, in California, il 21 ottobre del 1976. La gara si svolgeva su un tracciato pieno di curve, di soli 1800 metri di lunghezza e circa 400 di dislivello. La grande penden-za e le numerose curve del percor-so surriscaldavano i freni antiquati vaporizzando il grasso del mozzo, cosicché ad ogni discesa bisognava re-ingrassare la bicicletta. Il vincitore di questa prima edizio-ne fu Alan Bonds: quando si posò il polverone, ci si accorse che era l’unico dei 10 partenti arriva-to al traguardo in piedi.L’ultima edizione si tenne nel 1984. Nella primavera dell’anno successivo, fu prodotta dalla ditta Cinelli la prima mtb italiana a cui fu dato il nome di Rampichino, come l’uccellino che si arrampica sugli alberi.Fino ad allora la bici fuoristrada in Italia era praticamente sconosciuta. Nel corso degli anni le MTB hanno avuto una grande evoluzione tecni-ca: sono molto diverse dalle prime biciclette con le quali Gary Fisher, Joe Breeze, Charlie Cunnigham e Tom Richey scendevano a precipizio dalle alture della California.

La Storia della La Storia della MTBMTB

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Chi e'...Nome: Alberto AccettulliNato a: Genova nel 1986Specialità: Street riding in mountain bikeCuriosità: Uno dei primi in Italia a specializzarsi sullo street riding, raggiungendo il vertice del livello italiano. Questo gli ha permesso di entrare come unico rappresentante per l’Italia e il sud Europa nel team Kona, una delle migliori marche di bici nel settore freeride. Prima di fare salti, ha pedalato su strada, in cross country e in downhill.Spot preferito: La mini di Genova

Alberto Accettulli

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Cereali integri e pezzi di frutta. Tutta la bontà dellanatura per una colazione gustosa e ancora più riccadi fibre (11%).

LA VERA NATURA DEI CEREALI.

Il vero peccatoè non morderlo.

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Annapurna Mandala Trail

La corsa piu' dura del mondo tra pietre, ghiaccio e neve

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L’Annapurna Mandala Trail è considerata la corsa più dura del mondo, non tanto per la lunghezza, solo, si fa per dire, 420 chilometri, quanto per le condizioni estre-me in cui si svolge. È un percorso misto in nove tappe, un percorso che si snoda tra pietre, ghiaccio e neve. La temperatura è sempre bassa e il freddo è pungente, penetra nelle ossa, è un terribile compa-gno da tenere in considerazione soprat-tutto quando, ancora prima dell’alba, ci si muove a -32°. Si corre sempre sopra i 4000 metri di quota, con un dislivello totale in positivo di circa 23.000 metri. La partenza del trail è all’Annapurna Base Camp, ribattezzato ABC dagli atleti,

al quale si arriva dopo aver risalito una delle più suggestive valli del Nepal. I percorsi sono impostati su una distanza di 50/60 chilometri. Dopo aver completato il previsto tratto giornaliero di gara, gli atleti sono sistemati in lodge, simili a certi bivacchi che si vedono anche sulle Alpi. All’interno di questi rifugi, per scaldarsi, gli atleti usano un braciere che collocano sotto il tavolo e lì, gli uni vicino agli altri, si lasciano cadere una coperta sulle gambe che permette al calore di non disperdersi e di spandersi sotto forma di gradevole tepore che sale dal pavimento.Il cibo, fornito dall’organizzazione, è costituito da dalbath, un piatto di riso e lenticchie, e da patate, accompagnato

da acqua, coca-cola e birra. Incredibile a dirsi, ma proprio l’acqua è difficilissima da trovare. Le difficoltà maggiori si incontra-no affrontando la terza tappa da Pomhil a Marpha e quando si risale il sentiero che conduce al passo Thurung, che con i suoi 5550 metri è il più alto di tutta la catena dell’Himalaya.Gli atleti sono sottoposti ad un enorme stress fisico e psichico. Qualcuno di loro come Charly, corridore fortissimo, tra i primi nella Desert Cup e nella Marathon des Sables, ha dovuto rinunciare alla sali-ta al Thicho Lake, 5050 metri, perché il giorno precedente era stato colto da una crisi di euforia, una sindrome tipica per chi rimane troppo tempo in alta monta-gna, assai pericolosa in quanto impedisce

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a chi ne è colpito una razionale gestione del patrimonio ener-getico e non permette una corretta valutazione dei pericoli e dei propri limiti. Il passaggio al Thicho Lake è sicuramente il più emozionante, con la seraccata dall’Annapurna che sale fino a lambire le rocce della montagna. Qualcuno degli atleti, in quel momento è stato colto da un’indescrivibile meraviglia, il tempo non contava più, la classifica era una cosa lontana che, per pochi attimi, non aveva più senso. L’arrivo è stato sottolineato da una gioia esagerata, a stento trattenuta. I vincitori dell’ultima edizio-ne sono stati lo svizzero Cristoph Jaquerod e la francese Corinne Fabre, tra le donne e settima assoluta. Al secondo e al terzo posto, Antony, uno sherpa nepalese e ancora un francese, Cirille Quaytir. L’unico italiano, undicesimo assoluto, Gigi Scarzella.

Carlo Pesce

Gigi Scarzella è l’unico italiano ad aver concluso, nello stesso anno, l’Everest Lafuma Sky Race e l’Annapurna Mandala Trail. Appartiene ad una squadra corse detta “gli orsi”, è un buon sciatore, amante della barca a vela e ha cominciato come podista a metà degli anni ‘90. Nel 2000 ha iniziato ad appassionarsi alla corsa in salita e nel 2002 ha compiu-to la sua prima impresa di rilievo,l’Ultra Trail del Mont Blanc, 172 chilometri intorno alla montagna più alta d’Europa. A questo successo personale si aggiungono gare di grande impegno come la Corsa dei Templari, in Francia, vicino a Montpellier, la Cro-Magnon, tra l’Italia e la Francia, e il Raid Sahara 2005 in Mauritania. Ha in programma una serie di gare, tra le quali l’edizio-ne 2007 della Marathon des Sables, i 1200 chilometri dell’Himalrace e il raid nel Deserto del Gobi, con Checco Galanzino, uno dei più forti atleti italiani nel settore degli ultra trail, “orso” pure lui

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Prima salitaIl 30 marzo 1950, i francesi organizzarono quella che sarebbe diventata la prima spedizione a raggiungere la vetta di un 8.000. Ne facevano parte Maurice Herzog, alpinista e capo-spedizione, gli alpinisti Jean Couzy, Marcel Schatz, Louis Lachenal, Gaston Rébuffat e Lionel Terray; il medico Jacques Oudot; il regista cine-matografico Marcel Ichac; gli ufficiali di collegamento Francis de Noyelle ed il nepalese Ghan Bikram Rana; inoltre furono assolda-ti sul posto 8 portatori d’alta quota. Dopo aver raggiunto Pokha-ra, capoluogo della regione, la spedizione si assestò nella località di Tukucha, da cui prese ad esplorare la zona per individuare la migliore via di accesso e di salita. Fu solo il 22 maggio che fu piantato il campo base ed iniziò l’ascensione vera e propria.

La cucina in Nepal E’ molto semplice, simile alla cucina indiana. Il piatto caratteristico dei Nepalesi è il “dhaalbaat”, riso bollito accompagnato da zuppa di lenticchie, verdure miste al curry, cipolle crude tritate, aglio, peperoncino fresco e carne di capra o pollo arrostita e speziata. Il piatto viene presentato con gli ingredienti separati, che poi vanno mescolati, e solitamente si consuma verso le dieci del mattino e sul tardo pomeriggio. Altri piatti sono il “gundruk”, zuppa a base di verdure essicate, il “gurr”, frittella di patate che si mangia calda con del formaggio, e il “kwati”, riso con sei varietà di fagioli. Le bevande tipi-che sono il “lassi”, squisita bevanda rinfrescante a base di yogurt, acqua e frutta di stagione a scelta, e il “raksy”, distillato di grano e miglio che si beve anche caldo.

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I “nepali” si suddividono in tante etnie, più di 30, con 35 lingue o dialetti ben distinguibili, e in due razze: indoariana e tibeto-burmese. Fra tutte queste razze ed etnie diverse, esistono altrettanti diversi modi di vita sociale e culturale.Non è possibile quindi dire che esiste una razza nepalese, ma tanti popoli diversi uniti tutti in uno stesso stato e con un re a capo. Le razze indoariane sono prevalentemente di religione indù e si trovano situate dalla zona sud del Nepal, il Terai, ai Mahabharat Lekhs. Altri popoli indoariani sono i Gurung, i Tharu, i Rai, i Limbu, i Chetri ed i Bahun. Le caste alte, cioè i Chetri e i Bramini, costituiscono la maggior forza e potere politico del paese. Tra le case regnanti, i Malla e i Newar sono quelle che hanno avuto più influenza tra i popoli del Nepal ed hanno lasciato come eredità una grossa impronta di cultura e arte nella valle di Kathman-du, creando palazzi e templi, piazze e fontane di una ricchezza artistica incredibile. Le popolazioni di ceppo tibeto-burmese abitano l’alto Himalaya fino ai 4.000 m. e d’estate oltre i 5.000. Pascolano gli Yaks, commerciano con il Tibet e vivono parzialmente del turi-smo trekking. A volte gli inverni posso-no essere molto freddi, come nelle regioni del Dolpa, Mugu e Humla dove si trovano sia villaggi invernali che esti-vi. A volte alcune popolazioni lasciano i loro villaggi per scendere più a sud, nei Mahabarat Lekhs, per trascorrere i mesi più freddi dell’inverno. Famosi in tutto il mondo sono gli Sherpa, abitanti del Khumbu, che accompagnano spedizio-ni alpinistiche sulle vette e spesso sono veri e propri scalatori per eccellenza, tanto che si dice che la maggior parte delle spedizioni, senza Sherpa, non raggiungerebbero le cime.

Razze ed EtnieRazze ed Etnie

Dal campo base alla vetta c’erano 3.478 metri di dislivello; furono necessari 5 campi intermedi e solo la mattina del 3 giugno i due alpinisti Herzog e Lachenal riuscirono ad arrivare in vetta. Fu la prima vetta di un 8.000 ad esse-re scalata. Non fu mai usato ossigeno, contrariamente a quanto avvenne in seguito nelle salite degli altri ottomila.Dall’ultimo campo alla vetta c’era un dislivello di 680 m. Furono impiegate 8 ore a percorrerlo con una media di 85 metri di salita all’ora. Il successo ottenuto fu però pagato duramente. Vuoi per la scarsa esperienza, vuoi per l’equipaggiamento inadeguato o per il peggioramento delle condizioni atmo-sferiche, sia Herzog che Lachenal riportarono accecamenti, congelamenti estesi di mani e piedi; Lachenal subì amputazioni ad entrambi i piedi.

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Il Massiccio "Annapurna"Annapurna è un massiccio montuoso situato nel Nepal centrale e fa parte della catena dell’Himalaya. È lungo circa 55 km e la sua cima più alta, l’Annapurna I, è alta 8.091 m. È stato il primo 8.000 ad essere conquistato dall’uomo e il suo nome, in sanscrito, significa dea dell’abbondanza. Il massiccio dell’Annapurna comprende 6 cime principali:

Ma l’Annapurna non è solo un massiccio montuoso. Anna-purna è la Dea induista del pane quotidiano e del nutrimento. Conosciuta anche col nome di Parvati, Annapurna è la moglie di Shiva, una delle più importanti, antiche e complesse divinità del pantheon indiano: è insieme il distruttore e il restauratore, il primo degli asceti e il simbolo della sfrenata sensualità che turba le mogli degli asceti della foresta. E’ un benevolo pastore di anime e un pericoloso tentatore, è l’infanticida che uccide il figlio Ganesha, affinché ci sia qual-cuno che tenga lontani i disturbatori, ma è anche quello che lo risuscita, una volta compreso l’errore, donandogli la testa di elefante e così la sapienza. Come molteplici sono le forme di Shiva, così molteplici sono le sue divine consorti: oltre a Parvati, figlia dell’Himalaya, c’è Uma, la benefattrice; la nera Kali, la distruttrice; la Bhairavi e Durga.

Annapurna I 8.091 m.

Annapurna II 7.937 m.

Annapurna III 7.555 m.

Annapurna IV 7.525 m.

Gangapurna 7.455 m.

Annapurna Sud 7.219 m.

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Lisbona-Dakar 2006 240 moto, 188 auto e 80 camion hanno dato il via alla gara piu' entusiasmante del mondo, che ogni anno vede competere i campioni delle corse e gli amanti dell’avventura nel deserto

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L’edizione 2006 della Parigi-Dakar, o meglio della Lisbona-Dakar, è scattata il 31 dicembre scorso, da Lisbona, nel ricordo di Fabrizio Meoni, scomparso lo scorso anno durante la stessa competizione. 188 auto, 240 moto e 80 camion hanno attraver-sato Spagna, Africa, Mauritania e Guinea, per poi giungere il 15 gennaio in Senegal, a Dakar.La competizione sportiva più entusiasmante del mondo, che ogni anno vede competere specialisti delle corse e amanti dell’avventura, pronti a sfidare il pericolo che è sempre presente nella gara e che anche quest’anno ha avuto il suo pesante tribu-to di sangue: il motociclista australiano Andy Caldecott, vittima di una brutta caduta, e due bambini, travolti da due vetture in gara. La morte di Caldecott ha, così, riportato subito alla memo-ria la morte del nostro compianto Fabrizio Meoni. E pensare che, quest’anno, la Dakar aveva dedicato decisamente più impegno

alla questione sicurezza, in particolare per quanto riguarda le motociclette, con un nuovo limite di velocità di 160km/h, limiti di peso e più fermate ai punti di ristoro e rifornimento.28 edizioni, 23 piloti e 24 passanti morti: ma è inutile tornare a chiedersi se ne vale la pena. I campioni che partecipano alla Dakar hanno eletto il deserto come arbitro della propria vita e nel deserto vanno ad ogni costo, anche della vita.Andy Caldecott è morto in seguito ad una caduta avvenuta nel corso della nona tappa, al chilometro 250, fra Nouakchott e Kiffa, in Mauritania. Gli era stata affidata una KTM ufficiale all’ultimo momento, solo un mese prima del via, ma Andy anda-va davvero forte, tanto da essere costantemente nel gruppo dei primi, avendo vinto anche la terza tappa.All’arrivo della 28° Euromilhoes-Lisboa-Dakar sono giunte 93 moto, 67 auto e 33 camion. Tra le moto, il vincitore della Dakar

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2006 è stato Marc Coma. Lo spagnolo della Ktm ha preceduto in classifica il francese Cyril Despres (KTM), staccato di 1h13’29’’, e l’italiano Giovanni Sala (KTM), terzo a 2’29’’48. Tra le auto, invece, il vincitore è stato Luc Alphand. Il francese della Mitsubishi, ex campione di sci, ha completato la quindicesima e ultima tappa, restan-do leader della classifica generale e precedendo Giniel De Villiers e Nani Roma. Per lui si tratta della prima vittoria in carriera. Infine, tra i camion, successo del russo Vladimir Chagin, a bordo di un Kamaz. Si tratta del quinto successo personale, il settimo per la Kamaz.

Marianna Macis

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Classifica Moto1 M. Coma Ktm 055:27:17

2 C. Despres Ktm 056:40:46

3 G. Sala Ktm 057:57:05

4 C. Blais Ktm 058:03:35

5 C. De Gavardo Ktm 058:50:04

6 P. Ullevalseter Ktm 059:22:09

7 A. Duclos Ktm 060:11:13

8 D. Casteu Ktm 061:43:38

9 H. Rodriguez Yamaha 062:21:18

10 J. Vinters Ktm 063:20:31

Classifica Auto1 L. Alphand Mitsubishi 053:47:322 G. de Villiers Volkswagen 054:05:253 N. Roma Mitsubishi 055:38:104 S. Peterhansel Mitsubishi 057:07:565 M. Miller Volkswagen 057:10:576 J. Schlesser Schlesser-Ford 057:56:557 C. Sousa Nissan 059:27:438 B. Saby Volkswagen 062:02:179 G. Chicherit BMW 062:12:4510 T. Magnaldi Schlesser-Ford 062:13:29

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Classifica Truck1 V. Chagin Kamaz 071:22:16

2 H. Stacey Man 073:45:25

3 F. Kabirov Kamaz 074:28:08

4 A. De Azevedo Tatra 076:53:07

5 Y. Sugawara Hino 081:04:41

6 G. Vismara Mercedes 082:35:20

7 T. Sugawara Hino 084:04:29

8 F. Echter Man 085:19:42

9 K. Sadlauer Man 085:44:10

10 P. Reif Man 086:23:36

I morti della DakarI morti della DakarTanti i drammi nel deserto nel corso dei 27 anni della Dakar. Andy Caldecott è, infatti, solo l’ultima ed esattamente la 45° vittima della Dakar in 27 edizioni. Lo scorso anno erano morti lo spagnolo Josè Manuel Perez e il nostro Fabrizio Meoni. Nel 1986 l’edizione più tragica: muoiono ben 7 persone. Durante il trasferimento in Francia, da Parigi a Sète, muore il motociclista giapponese Yasuo Kaneko. L’or-ganizzatore e inventore della Dakar, Thierry Sabine perde, invece, la vita a Gourma Rarhous, Mali, nella caduta del proprio elicottero. Con Sabine muoiono altre 4 persone: il cantante Balavoine, la giornalista Nathalie Odent, il pilota svizzero Bagnoud e il tecnico di RTL, Le Fur. Giampaolo Marinoni, infine, morirà 48 ore dopo la fine della gara: era caduto a 40 km dall’arrivo della speciale conclusiva, ma aveva ripreso la corsa senza rendersi conto che nell’impatto col manubrio della propria moto aveva riportato gravi lesio-ni al fegato. Operato a Dakar, non aveva mai più ripreso conoscenza dopo l’operazione e morì in seguito ad una grave infezione. Due anni dopo, la Dakar contò sei vittime: il camionista olandese Von Loevezijn, il pilota francese Canado, una bimba di Kita, nel Mali, il motociclista france-se Huger, una donna e un bambino in Mauritania, investiti da una vettura dell’organizzazione su cui viaggiava una troupe televisiva. Nel 1991 un’altra tragedia: Charles Caba-ne, che era alla guida di un camion di assistenza dell’or-ganizzazione, venne ucciso a fucilate dai alcuni militari del Mali. L’anno successivo, il 29enne francese Gilles Lalay, trionfatore dell’edizione 1989, morì dopo che la sua moto si era scontrata con una vettura estranea alla competizione. E nel 1996 perse la vita un altro conducente di un camion di assistenza, il francese Laurent Guegnon. Il camion prese fuoco dopo essere finito su una mina.

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Cambogia, la Terra GentilePochi luoghi al mondo stregano come gli straordinari monumenti della Cambogia. Le pagode dorate del palazzo reale, il ricchissimo Museo archeologico e, nella jungla, la citta' - tempio di Angkor che, dopo decenni di chiusura totale al mondo esterno, e' ora nuovamente possibile visitare

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23 dicembre, arriva la conferma del volo per Phnom Penh, un viaggio nato in una settimana fra 4 amici viaggiatori.Il giorno di natale partiamo da Roma via Bangkok, dove arriviamo la mattina prestissimo e subito anticipiamo il volo per la Cambogia, risparmiando ben 5 ore di attesa (i bagagli arriveranno dopo di noi), che ci permetteranno di visitare Phnom Pehn, dove atterriamo alle 9 di mattina. Cerchiamo subito una sistema-zione per la notte, hotel pulito ed in zona centrale e contattiamo Stefano della Asco Travel, un italiano stabilitosi in Cambogia da molti anni, che ci darà molte infor-

mazioni utili per il proseguimento del viaggio. Non dormiamo da 36 ore, ma la voglia di scoperta ci porta subito in giro per la caotica città a bordo di un remor-que-moto, un carrozzino trainato da una motocicletta.Il giro classico prevede il Museo nazionale ed il vicino Palazzo Reale, all’interno del quale si trova la meravigliosa Pagoda d’argento, esempio dello splendore e della magnificenza dell’arte khmer, che custodisce al suo interno 2 gemme: il Buddha di smeraldo ed il Buddha d’oro, decorato con 9.584 diamanti.Di nuovo a bordo del nostro mezzo, ci dirigiamo verso il Wat Phnom, situato in

cima ad un poggio alberato, è il punto più elevato della città (27 mt.); vi si acce-de da una scalinata ed una volta in cima vi troviamo una pagoda ed uno stupa. Cominciamo a mostrare segni di cedi-mento, ci sembra il caso di concederci una sosta ristoratrice, così ci fermiamo in uno dei numerosi bar lungo il fiume. Effettivamente il sonno ed il caldo ci assalgono e qualcuno di noi, sdraiato su comodissimi divani si abbandona a Morfeo. Rigenerati, è ora la volta del Museo Tuol Sleng, scuola trasformata dalla sicurezza di Pol Pot in carcere. Un velo di tristezza si appropria di noi mentre ci aggiriamo nel complesso, com’è possi-bile un tale livello di atrocità?

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Ancora in preda all’angoscia che ci attanaglia, visi-tiamo il Central market, il più grande dei numerosi mercati della capitale, ma è giunto il momento di andare a recuperare i bagagli, così ci dividia-mo in 2 gruppi, io ed Ivana direzione aeroporto, mentre Renato e Paolo si occupano del mezzo per continuare il viaggio. L’appuntamento è per una meritata e tipicissima cena cambogiana. La prima delusione dell’itinerario di massima che ci eravamo proposti è di non poter proseguire verso nord navigando il Mekong; infatti, la sistemazione della rete stradale ad opera dei giapponesi, che così possono invadere il mercato locale con i loro ciclomotori, ha eliminato il trasporto fluviale, alme-no nel primo tratto dalla capitale fino a Kratie. Di nuovo in marcia, con un pulmino nuovissimo ed un autista che conosce 3 parole di inglese, verso

Il paese

La Cambogia è un paese del Sud-Est asiatico

e confina con la Thailandia, il Laos e il

Vietnam. Nell’era moderna la Cambogia

è diventata tristemente nota a causa del

periodo di dittatura 1974-1979, capeggiata

dal sanguinario Pol Pot. In pochi anni sono

state realizzate deportazioni di massa dalle

città alle campagne ed uccisioni che hanno

dimezzato la popolazione. Abolite le libertà

fondamentali, la religione, la famiglia,

l’istruzione, addirittura la moneta, la

Cambogia era divenuta un enorme campo di

lavori forzati per produrre riso per la Cina.

Dopo aver subito anche un’invasione dei

Viet Cong vietnamiti, la Cambogia è oggi

ritornata alla pace e faticosamente si sta

riavviando alla democrazia.

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la provincia di Kompong Cham, ricca di alberi della gomma, dove visitiamo la fabbrica di lavorazione del lattice, il cui principale cliente è la Michelin. Nella piantagione attigua, incontriamo degli uomini al lavoro, che ci fanno vedere come si procede all’estrazione, ma nel giro di pochi minuti siamo noi a diventare la vera attrazione, ci troviamo letteral-mente circondati da sorridenti bambini in bicicletta. Proseguiamo verso nord tra risaie a perdita d’occhio, attraversando la vera Cambogia, rurale, con le tipiche abitazioni costruite su palafitte lungo i corsi d’acqua, alternando soste che ci permettono di gustare splendidi pompel-mi ed ananas già sbucciati, fino a Prasat Kuha Nokor, il primo dei templi che visi-

teremo, costruito nell’XI secolo. Di corsa cerchiamo di raggiungere Phnom Suntok, la montagna sacra più importan-te della regione; ci dicono che la vista dalla cima al tramonto sia mozzafiato, purtroppo arriviamo al buio, proviamo a salire ma inutilmente. Un po’ delusi, ci dirigiamo verso la nostra meta di sosta, Kompong Thom, dove abbiamo l’unica prenotazione alberghiera di tutto il ns. viaggio. Eccoci di nuovo pronti a salpare l’ancora e la mattina di buonora, dopo una visita al coloratissimo mercato, ci dirigiamo a Sambor Prey Kuk, il più importante complesso di monumenti pre-angkoriani della Cambogia, 100 templi sparsi nella foresta.

Angkor WatIl vastissimo complesso archeologico di Angkor Wat (Città dei Templi) è oggi la più grande testimonianza dell’antico splendore Khmer. L’intero sito archeo-logico è, per estensione, secondo al mondo solo a quello di Giza in Egitto e fu fatto costruire da Suryavarman II (1113-1150) su 4 lati contempora-neamente, cosicchè fu completata in meno di 40 anni. L’ipotesi più proba-bile è che si tratti di un mausoleo, un luogo dove il re sarebbe voluto essere venerato dopo la morte. Infatti, l’entrata principale è situata ad ovest, come nei templi funerari, e non ad est, come nei classici templi orientali. Il tempio è a forma di rettangolo, lungo circa 1,5 km da ovest ad est e 1,3 km da nord a sud, e si erge all’interno di

un fossato.

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Appena scendiamo dal pulmino per cominciare la visita, un nugolo di bambini ci viene incontro per venderci le tipiche sciarpe khmer, in realtà saranno le nostre guide a zonzo per la foresta. E’ interessante visitare questo sito, composto da 4 gruppi di edifici, prima di arrivare a Siem Raep per avere una visione cronologica dello sviluppo dell’architettura dei templi cambogiani. Dopo qualche acquisto, via verso la nuova meta. Lungo la strada l’auti-sta riceve la telefonata di Oliviero, italiano residente a Siem Raep, che ci guiderà alla conoscenza di Angkor. Finalmente arrivati, scegliamo la sistemazione notturna in zona strategica e centrale, ci rilassiamo poi sorseggiando un ottimo frullato di frutta tipica in un baretto lungofiume, in attesa dell’arrivo della guida che nel pomeriggio ci accompagnerà nella visita del villaggio galleggian-te di Chong Kneas. La sensazione al tramonto è fantastica, centi-naia di case galleggianti formano un irreale villaggio semovente; infatti, secondo il livello delle acque e del mutare delle stagioni, vengono di volta in volta spostate dagli abitanti lungo il lago e i suoi affluenti. Certamente questa zona è quella più turistica, ma

anche qui riusciamo, grazie ad Oliviero, a ritagliarci uno spazio esclusivo; ritornando verso l’hotel, facciamo una deviazione per conoscere un monaco, suo amico di famiglia, che ci darà una classica benedizione. Dopo una splendida cena francese, breve giro nella vita notturna della cittadina, abbastanza movimentata, ma domani sveglia all’alba per quello che si preannuncia il clou del viaggio. Mattina presto, di nuovo con il pulmino, la meta è l’ingresso del complesso dei templi di Angkor a cui dedicheremo tutta la giornata. La nostra passeggiata guidata comincia da Ta Prohm, forse il luogo più suggestivo di tutta l’area, lasciato in balia della giungla, e sostanzialmente con l’aspetto che doveva avere la zona al momento della scoperta. E’ piacevolissimo bighellonare fra i templi, avvolti dalle radici della vegetazione, con la luce che filtrando tra i rami degli alberi crea un’atmo-sfera irreale. Ecco il momento di Angkor Wat, il monumento simbolo dell’area, il più grande e spettacolare e forse il maggior

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edificio religioso del mondo. Avvicinan-dosi a piedi, il primo colpo d’occhio va al fossato che circonda tutto il perimetro. Il complesso monumentale è costruito inte-ramente in arenaria, con blocchi gigan-teschi, trasportati via fiume da una cava distante un cinquantina di km. Questo ci lascia immaginare l’incredibile quantità di manodopera necessaria per la realizzazio-ne. Proseguendo l’escursione, vedremo Angkor Thom, il Bayon, la Terrazza del re lebbroso, la Terrazza degli elefanti, la corte reale ed il Phimeanekas, il Preah Palilay. Siamo ormai giunti al tramonto, è ora di salire sulla collina per il mera-viglioso scenario sottostante che viene immortalato da centinaia di scatti degli

innumerevoli turisti presenti. Appunta-mento per cena, dopo gli immancabili massaggi, nel cuore pulsante della città, dove ci attende la decisione su proseguire o rimanere un altro giorno alla scoperta di nuovi templi. E’ presto fatto, la voglia di nuovi orizzonti ci spinge a partire, rotta Battanbang, che raggiungeremo per via fluviale, partendo la mattina di buonora. Dopo 8 ore di navigazione, di nuovo nella vera Cambogia, in mezzo a popolazioni nomadi di religione perlopiù musulma-na che vivono sull’acqua. E’ incredibile soffermarsi sulla loro vita, scrutando al passaggio le loro abitazioni, in alcuni casi di dimensioni ridottissime, veramente

essenziali, ma con l’immancabile televi-sore dotato di antenna parabolica. Sul tetto dell’imbarcazione facciamo amicizia con Mauro, viaggiatore di Asti, che si aggregherà a noi fino alla fine dell’av-ventura. Una volta arrivati, comincia una lunga contrattazione sulla banchina con i numerosissimi procacciatori di alloggio, agguerritissimi con gli scarsi turisti fin lì giunti. Finalmente sistemati, decidiamo di andare subito a girovagare per la città, e dopo una passeggiata lungo fiume, ci concediamo una gradevole birra locale. Sicuramente degno di nota il colora-tissimo mercato locale, pieno di frutta,

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verdura e pesci d’acqua dolce di ogni tipo. Solita cena tipica, ma la stanchezza di una mezza giornata sul tetto di una barca comincia a farsi sentire, e quindi rinunciamo a tirar tardi in un locale della città. Il giorno dopo ci aspetta Phnom Pehn. La nostra meta è Sihanoukville, dove ci attende un meritato riposo, ma è impossibile arrivarci direttamente, infatti dovremo cambia-re mezzo di trasporto nella capitale.Intorno all’ora di pranzo, ecco l’ennesima contrattazione con un gruppo di tassisti dietro il Central Market, finalmente la spuntia-mo e dopo aver caricato i bagagli via di nuovo.Arriviamo dopo un paio d’ore, sotto un nubifragio torrenziale che non ci agevola nella ricerca dell’alloggio. Attimi di tensione, è tutto pieno! Non abbiamo considerato che è il 31 dicembre e, oltre ai turisti stranieri, ci sono molti cambogiani che hanno scelto di trascorrere i giorni di ferie al mare. Ma la buona sorte e il ritorno del sangue freddo ci fanno trovare una situazione prov-visoria, un albergone in stile cinese, dove rimarremo per la notte. Com’è ormai consuetudine, dopo aver lasciato i bagagli, subito alla scoperta della spiaggia, carina ed attrezzata con capanni

dove ci godiamo il tramonto sorseggiando una birra gelata. A cena, mangiando degli ottimi granchi, facciamo la conoscenza del magnifico pepe di Kampot, apprezzatissimo dai colonizzatori francesi e utilizzato nei migliori ristoranti parigini. La mezzanotte ci raggiunge mentre balliamo sulla spiaggia di Occheutteal, in uno dei tanti animatissimi locali, dove facciamo amicizia con delle ragazze australiane. Nonostante la nottata movimentata, il primo giorno dell’anno ci alziamo di buonora per raggiungere la guest house a ridosso della spiaggia, adocchiata la sera prece-dente; il simpaticissimo Kim è un ospite perfetto ed il posto è graziossimo. Affittiamo dei motorini per muoverci liberamente ed esplorare la costa alla ricerca di spiagge solitarie; vale sicu-ramente la pena raggiungere Otres beach e proseguire oltre, per trovare chilometri di arenile senza turisti, e rilassarci tran-quillamente al sole. Sono passati 2 giorni, troppi per rimanere ancora fermi, ma le isole della baia vengono in nostro soccorso: scopriamo che in una è possibile pernottare, quindi con l’aiuto

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Maggio - Giugno 61 X3M06

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di Kim organizziamo una notte a Ko Ru. Si parte, dopo una colazione compresa nel trasporto, e dopo una sosta per fare snorkelling, non esaltante a causa dell’acqua torbida, arriviamo a Russei: spiaggia, acqua cristallina, stelle marine ed una folta vegetazione. La vita è veramente dura con noi.Ci sistemiamo negli spartanissimi bungalows e, dopo bagni di sole e di mare, partiamo per l’esplorazione dell’isola, percor-rendo l’unico sentiero che la taglia perpendicolarmente e che ci conduce su un’altra spiaggia con un ristorante carinissimo, dove ci fermiamo per una cena a base di barracuda. Dimenticavo però di aggiornare il numero dei viaggiatori: siamo infatti aumentati di due unità, con noi ci sono anche 2 ragazze australiane.Dopo un’ottima cena seguita da relax con degli splendidi sigari cubani facciamo ritorno nel buio della notte, illuminata dalle preziose lampade frontali che previdentemente avevamo porta-

to, al nostro campo. Il viaggio volge ormai al termine, nel pome-riggio del giorno seguente facciamo ritorno a Shianoukville, non prima di aver salutato l’amico Mauro e le ragazze australiane che si tratteranno ancora. Per la prima volta da quando siamo partiti, il trasferimento non prevede una levataccia, l’aliscafo che ci porterà dopo 4 ore a Krong Koh Kong, salpa alle 12. L’avventura però non è ancora terminata, infatti il nostro volo di ritorno decollerà dalla Tailandia, dobbiamo quindi ancora attraversare il confine e raggiungere Bangkok via terra, ma la Cambogia la salutiamo qui. Grazie ad Ivana, Paolo, Renato e Mauro. Alla prossima avventura!

Stefano, Renato, Ivano e Paolaun ringraziamento particolare a Paola di Mappatour di Roma

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Nell’arteria del gigante Marocco in mountainbike... L’avventura di Guido e Luana tra la millenaria Marrakech e i piu' bei paesaggi del sud marocchino.

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di:

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glin

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La kasbah di Ait Benhaddou si trova nel Marocco del Sud, 220 km ca da Marrakech. E’ una cittadella-fortezza di terra battuta, adagiata su un fiume in secca dove è piuttosto probabile “incon-trare” bisce e serpenti. Ait Benhaddou è un sito molto suggestivo che è stato parzialmente restaurato ed utilizzato come set per girare alcune scene di films celebri come Lawrence d’Arabia, il Gladia-tore di Ridley Scott ed il Thè nel deserto di Bertolucci. La cittadella è completamente in terra battuta pertanto, quando piove, la città diventa un torrente di fango. Purtroppo la pioggia erode abbastanza facilmente i merletti delle torri e tutta la cittadella, così ogni paio d’anni diven-ta indispensabile restaurare la città per preservarla così com’è. E’ un posto molto caldo ed in estate i 40/45° sono la norma: la differenza di temperatura tra il deserto ed il mare puo’ creare fenomeni ventosi violenti, che creano tempeste di sabbia. La strada per arrivare è buona, a parte 5 km di pista sassosa che possono però essere parzialmente evitati conoscendo la strada. Ad Ait Benhaddou esistono buone possibilità di rifornimento, cibo, acqua ed alloggio prima di iniziare l’asce-sa verso il passo di Tichka.

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riusciamo ad “intuire” attraverso il mosaico di insetti spiaccicati sul parabrezza. Ci siamo lasciati dietro Essaouira con i suoi forti venti atlantici da 30 nodi (il chergui) che costringono a cammi-nare piegati in avanti. Un incubo per molti, un sogno per noi windsurfers. Siamo partiti solo quando il chergui si è placato.Meta Marrakech, Ourzazate e poi Zagora. Purtroppo questa volta non potremo raccontarvi nulla del deserto, nemmeno di un deserto visto da una diversa “angolazione”: ordini “dall’alto” ci hanno obbligato ad essere sintetici e così non vi raccontaremo nulla né dell’insabbiamento e del salvataggio di alcuni “locals”, né della loro riconoscenza e della notte trascorsa nella loro tenda. Tutto questo sarà forse raccontato un’altra volta. Per questa volta abbiamo promesso che che parleremo di MTB ! e MTB sia!!! Lasciato il deserto, purtroppo non abbiamo trovato nulla che riuscisse a far vibrare la nostra passione “ciclistica”.

Eccoci qui, questa volta a scrivere un reportage per gli amici di Xtremestuff Magazine su di un luogo unico, irripetibile. Colpiti ancora una volta dal “mal d’Africa”, abbiamo caricato il van e siamo partiti. All’interno abbiamo stipato l’“hardware” (70 litri di riserva d’acqua, scatolette, etc.), il “software” (medicinali, kit di soccorso, filo di sutura, qualche attrezzo) ed i nostri “giocat-toli”: tavole da windsurf, surf, vele, alberi, mute. Appesi fuori dal van abbiamo invece messo i giocattoli “terrestri” (2 MTB, caschi e abbigliamento). In questo spazio minimo ci inventiamo ogni sera un “rifugio” per la notte. Probabilmente è per questa “dotazione” che nel van, oltre ad una temperatura standard di 40 gradi, ci fa compagnia anche un singolare aroma misto di tajine (tipico cibo marocchino), olio (motore) ed alcool denaturato (si sono già rovesciati mille volte …). Fino ad una settimana fa, strangolati dal traffico della vecchia e popolata Europa, ora immersi nei 47 gradi del paesag-gio lunare di questa parte del Marocco, o meglio quello che

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Improvvisamente, notiamo però una spaccatura profonda nella roccia ed una possibile via d’accesso nascosta in un canyon.Una lastra di pietra levigata, da tagliare trasversalmente, posi-zione arretrata sulla sella. Mi lascio sulla destra i sassi franati. La biammortizzata fa egregiamente il suo dovere, così come le ruote “grasse” da 2.35”, che mi permettono di non scivolare sulla roccia, in alcuni punti levigata quasi a specchio. Ripido e repentino cambio di pendenza: devo trattare con il dovuto rispetto questo mostro di pietra, perchè un eventuale “recupero” d’emergenza potrebbe essere piuttosto complicato in questa zona. Mantengo la mia concentrazione sulla discesa e alla fine il telaio della mia MTB, che doveva essere indistrut-tibile, mostra dei chiari segni di cedimento sulle saldature della sospensione posteriore. Mi dispace per la “frattura” della MTB, ma il luogo era perfetto. Non ho di proposito lasciato chiare

indicazioni per raggiungerlo e scusatemi se sono stato vago: è solo perché sono sicuro che se scoprirete questo luogo da soli, lo apprezzerete ancora di piu’. Non è un luogo da discendere solo per poterlo raccontare agli amici. E se proprio non troverete questo posto, potrete sempre contattarmi ed io vi manderò la mappa.Mi piacerebbe soltanto che ciascuno si recasse qui con lo stato d’animo giusto, con la predisposizione mentale che questo luogo richiede: sarebbe brutto trovare un giorno questo luogo cintato per colpa di qual-cuno… Alla prossima !!!

Guido Caporizzi

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Maggio - Giugno 67 X3M06

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Il Paese dalle mille seduzioniSituato all’estremità nordoccidentale del continente africano, il Marocco è una terra di tradizione musulmana. Il paese sembra sospeso tra mito e realtà: le leggendarie città di Tangeri, Casablanca e Marrakech evocano profumi di spezie e atmosfere miste-riose. E’ il punto di partenza ideale per visitare l’Africa: è, infatti, possibile trovare infiniti motivi d’interesse come la ricchezza di un’eredità culturale unica, lo splendore delle città imperiali e dei villaggi fortificati, la creatività di un artigianato di talento, il senso innato dell’accoglienza marocchina ed il piacere di un clima privilegiato. Nei mercati all’aperto sparsi un po’ ovunque sono ammucchiati tappeti, oggetti artigianali in legno e gioielli ed è facilmente raggiungibile dall’Europa

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Welcome to my HouseLa Stazione Leopolda e' stata teatro del piu' importante evento dedicato alla street culture. Un contest di skateboard e bmx, jam-session di musica hip-hop, performance di writing, dj-set e concerti punk-rock

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Maggio - Giugno 71 X3M06

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“Lasciare la propria firma sulle mura della città e scoprire nella città un’altra città è come rivelare nei luoghi della notte quel piegamento nei tempi e nei concetti del quotidiano che ci permette di riscoprire i testi in cui siamo chiamati a vivere” di Iain Chambers da “La città ibrida” è l’introduzione del book di Welcome to my House.Dopo tre ore di treno a sfogliare riviste, mio passatempo prefe-rito, e ascoltare musica arrivo alla stazione S. Maria Novella e mi dirigo verso la Stazione Leopolda (luogo dove si è svolto l’even-to), ma era ancora tutto chiuso e dalle facce della gente che girava intorno, tra organizzatori ed espositori, la sera precedente non dovrebbe essere stata molto “leggera”. Ho bruciato l’attesa dell’apertura dei cancelli consumando una ricca colazione e al mio ritorno era già aperto. Ho ritirato una piccola spilla come pass, del diametro di appena 8 cm, molto evidente ma altrettanto originale e con un codice a barre incolla-to sopra per monitorare ingresso e uscita. Quando sono entrato nella “old railway station” sono rimasto sbigottito dalla location,

i muri ancora scrostati e con nessun segno di ristrutturazione, le luci soffuse, le casse di legno che delimitavano ogni stand dei marchi del settore street-casual presenti, un sottofondo di musica hip-hop e…tutto questo è il “Welcome to my house”. Cerco immediatamente la minirampa di bmx, obiettivo per il quale sono a Firenze, dove già sento i rumori dei ped sbattere e qualche urla…la intravedo dalle arcate in sasso e subito incontro i due protagonisti: Alessandro Barbero, 22 anni, e Sergio Layos, 20 anni, portoghese.I due bikers sono diversi in tutto, Layos più timido e Barbero, invece, più espansivo; fisico da palestrato per Barbero e più “gracilino” Layos, ma l’unica cosa che li accomuna è la vera passione per la bmx e vederli girare insieme è veramente uno spettacolo, con tricks veramente spessi come tailwhip, 360 tailwhip sulla spina di Barbero, 360 turndown…mentre Layos prendeva le misure per il wallride.Nella giornata c’erano due demo, una alle 12, della durata di

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circa un’ora, e una alle 16, contornate da molta gente, musica per caricare i bikers e Manlio Iaccarino come speaker. Alla fine della demo in albergo, per riposarci e aspettare l’ora della cena per poi andare alla festa organizzata sempre alla Stazione Leopolda, dove c’era anche Irene Grandi ma solo come spettatrice. La mattina seguente si possono notare sulle facce i postumi della serata precedente…ma i bikers sono carichi per le demo e Barbero riconferma il suo stile e sfodera i suoi tricks di battaglia tentando alla fine un incredibile double tailwhip…invece Layos, dopo aver preso le misure il giorno precedente, chiude un foot plant altissimo lasciando il pubblico entusiasta.

Riccardo Monti

Che cos’è... Welcome to my HouseE’ l’evento fieristico dedicato alla street culture che si è tenuto a Firenze in parallelo con Pitti Immagine Uomo. Una vetrina creata su misura per le aziende di moda che si sentono un pò strette nel rappresentare se stesse all’interno di fiere un pò troppo istituzionali. Un salone-evento che vuole dimostrare come la cultura nata dalla strada è più che mai viva e propositiva, fonte di ispirazione per arte, musica e moda. Welcome rappresenta questo mondo nel modo più autentico possibile, invitando a partecipare i brand che dalla strada sono nati e che hanno contribuito a farne la cultura. La sua casa è l’ex Stazione Leopolda. Il set di allestimento coinvolge gli spazi espositivi delle singole aziende e li immerge in un contesto metropolitano dinamico e globale: strutture skateabili (gradinata, rail, hubba, flat ledge, bank, quarter, wallride, minirampa a spina, ecc…), un playground che diventa un grande palco per concerti, un’area riservata ai writer. Ogni giorno, una serie di even-ti legati alla realtà degli action sport, dell’arte e della musica underground: contest di skateboard e bmx, jam-session di musica hip-hop, performance di writing, dj-set e concerti punk-rock. Le pareti sono colorate, i mobili di cemento, legno e ferro. Gli eventi skateboard, con partecipazione a invito, si sono tenuti su strutture skateabili dislocate tra gli spazi espositivi della fiera ed una gara di mini a spina con qualificazioni e finali a jam session. Il concetto è quello di skateare con una certa libertà all’interno della Leopolda, inventando trick e situazioni (salti attraverso aperture, finestre, gap e quanto

altro offre la fiera dal punto di vista “architettonico”).

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Intervista ad Alessandro Barbero, l’unico in Europa ad aver effettuato il 360° double whip.

Di nome Alessandro, cognome Barbero…e poi?Alessandro Barbero e poi Magnum freestyle. Ho 22 anni, abito in un paese in provincia di Cuneo! Giro in bmx e mi diverto molto…Come hai iniziato o chi ti ha dato lo stimolo per provare la prima bmx?Volevo una moto 15 anni fa…Ma niente da fare e quindi ho iniziato a pedalare su una BMX come tutti i bambini nati negli anni ’80. Penso che gli X-games mi abbiano dato lo stimolo per iniziare, ma mi sono avvicinato al BMX freestyle circa 7 anni fa.

Quando hai capito che la bmx poteva essere il tuo futuro?Spero che sia il mio futuro...per ora sta facendo parte della mia vita.Quale è il trick che ti gasa maggiormente? il più difficile?Non c’è un trick in particolare, se tu fai bene le cose ti gasi di conseguenza. Il più difficile per ora è il front flip… e le manovre in opposite.Cosa mi dici degli LG svoltisi a Rimini e poi a Manchester?Da paura! A Rimini ero tranquillo, sinceramente ho dato il mio 90% e il park ci stava dentro, ho girato delle buone manovre come flip whip, 360° whip e ottimi trick tecnici… a Manchester ero super agitato, c’erano un sacco di persone dentro l’arena, l’adrenalina era sopra la media. E’ stato l’evento più grande a cui abbia mai partecipato… ho girato al 70%, però ho portato a casa il 9° posto e un trick unico in Europa: il 360° double whip.

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La prima ferrovia pubblica fu quella costruita in territorio toscano per collegare la città di Firenze con quel-la di Livorno. I lavori di costruzione, che partirono da Livorno, comin-ciarono nel 1841 e terminarono nel 1848 con la conclusione della ‘strada ferrata’ in un terreno fuori dalle mura fiorentine, vicino alla Porta al Prato. Su questo terreno fu costruita la prima stazione ferroviaria di Firen-ze. La stazione di Porta al Prato fu progettata in stile neo-classico, con un corpo centrale adibito a corte d’arrivo e due laterali ad accogliere tutti i servizi. Il traffico in uscita era convogliato in direzione del Lungar-no Nuovo, offrendo così al viaggia-tore in uscita uno splendido scenario, come la veduta dei ponti, di S.Jacopo e la collina del piazzale Michelan-gelo con la bella chiesa romanica di S.Miniato a Monte. Poco dopo la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, la stazione Leopolda, chiamata così in onore del Granduca regnante, chiuse i battenti e tutto il traffico ferroviario fu smistato nella stazione di “Santa Maria Novella”. Negli anni successivi non riacquistò più il suo compito originario. Fu così che la Leopolda fu utilizzata come arsenale d’artiglieria e, successivamente, per esposizioni. Con l’avvento di Firenze capitale, il complesso, di proprie-tà demaniale, fu ristrutturato per ospitare la Direzione Generale delle Gabelle e della Dogana. Fu aumen-tata la cubatura e fu eseguita una sopraelevazione di due piani, sfrut-tando i quattro angoli del complesso che erano più bassi.

Cenni StoriciCenni Storici

Backflip…in Italia siete stati in pochi a chiuderlo. Tu, Fabio Limonta, Ivan Piloti...ma se non sbaglio ora tu fai anche delle varianti? è difficile passare da un “semplice” backflip alle varianti? Sì, perché è un altro movimento, poi dipende dalla variazione, c’è anche Paolo Fratagnoli che cappotta in italia…Una volta all’anno vai negli USA per allenarti…a WoodWard giusto?chi sono stati i tuoi compagni di allenamento?E’ stato bello girare con gente come Jamie Bestwick, Morgan Wade, Steve Mcann, Chad Kagy, Ali Whitton, Corey Martinez, Kevin Robinson, ecc ecc… Una volta ho notato che sulla tua bmx c’era l’adesivo dei Motorhead…è il tuo gruppo preferito? quali sono gli altri gruppi che ascolti?I Motorhead mi piacciono molto, ma non è la mia band preferita, poi ho avuto il piacere di conoscere Lemmy al Rainbow bar di Hollywood, da paura... per me la musica è tutta bella, ascolto soprattutto musica anni ‘80…Cosa vuol dire essere pro? In Italia sei l’unico sponsorizzato Red Bull…Red Bull è uno dei miei sponsor migliori, che mi aiuta e mi supporta.È una soddisfazione girare per questo marchio… e se sei Red Bull sei pro…

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Spot e park preferito? La mia mini di Priero, il Lambro, il Jurassic trail, i vulca-netti di Genova e Salussola indoor.Nei contest della scena italiana, i tuoi “avversari” più costanti sono Stefan Lantschner e Alex Tiso-ni… Che rapporto hai con loro? Ci conosciamo da tanti anni, diciamo che ognuno ha le sue idee e il suo modo di girare… take care baby.Ho saputo che spesso ti alleni da solo…. ma con chi preferisci girare?Ti dico manzo team Genova, magùt crew e motel cuneo, questo è tutto!Chi è il miglior biker che hai mai conosciuto?Penso Morgan Wade, gira e scherza allo stesso tempo, per lui è un gioco e poi guarda come gira…

La bmx in Italia? Cosa manca per raggiungere gli altri Paesi?Non seguire le mode, gli skate park al coperto e meno calcio…Raccontami una tua giornata tipo…Mi alzo per le 10, faccio colazione dopo un po’ di stretching, pranzo e poi vado a girare e chiudo session mai viste, vado a casa, mi lavo poi esco e mi sbronzo… mi accontento di poco…Se puoi dirlo… quale è il sogno nel cassetto di Alessandro Barbero?Una medaglia agli X-GAMES come Giorgio…RingraziamentiOakley, Red Bull, Est Pak, Troy Lee design, Vans, Rosso cicli, cubri bar, Pilli, Anteo fitness, my family e tutti quelli che mi vogliono bene…Wake up baby.

Riccardo Monti

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Per aumentare ulteriormente la super-ficie utile venne anche dimezzato il primo piano, che aveva un’altezza di metri lineari 8,60 per crearne uno ammezzato. Furono introdotte tre scale in pietra, un portico in muratura e un passaggio di legno che avevano la funzione di collegare i due lunghi corpi di fabbrica. L’insediamento dei nuovi uffici avvenne il 15 novembre 1867. Oltre ai nuovi uffici, col passare degli anni, la Leopolda viene trasformata in una grande officina, in considerazione dell’aumento di attività dei treni. Dal 1° luglio 1905 “l’Officina di Firen-ze” è coinvolta in un processo d’am-pliamento e razionalizzazione per far fronte alle sempre maggiori esigenze del traffico e alla necessità di riclassa-mento del parco avuto in eredità dalle vecchie compagnie di gestione. Alla vigilia della prima guerra mondiale la direzione dava inizio ai lavori per la realizzazione di un nuovo carrello traversatore per dotare i capannoni di una pavimentazione in pietra, al posto della preesistente formata da semplice terra battuta. Il periodo bellico portò ad un incremento della produzione e ad una sua parziale trasformazione. Si cominciarono a produrre proiettili e a tale scopo venne potenziato il reparto torneria con l’afflusso di torni dalle officine locomotive dimesse. Con l’oc-cupazione nazista iniziò da parte delle maestranze aderenti al movimento della Resistenza, l’azione di sabotaggio e d’imboscamento dei materiali fino al bombardamento del 2 maggio 1944 che pose fine all’attività delle offici-ne. Oggi, lo spazio polivalente della Stazione Leopolda è sede di mostre, di manifestazioni culturali e di manifesta-zioni connesse alla promozione della moda a Firenze.

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Canadese o Eschimese...D’acqua piatta, fluviale o da mare. A pala semplice o a pala doppia. Conosciamo da vicino le principali caratteristiche della canoa e del kayak

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La caratteristica principale che distingue la canoa canadese dalla canoa eschi-mese (o kayak) è l’uso della pagaia ad una sola pala, che provoca una potente spinta asimmetrica, per cui nella maggior parte dei casi la canadese è spinta da due o più canoisti. Tuttavia esistono anche canadesi monoposto, che richiedono una notevole padronanza tecnica. La cana-dese è un’imbarcazione più lenta del kayak, proprio perchè più stabile, ma offre anche maggiore comfort. Essendo generalmente aperta, è meno adatta a reggere onde e rapide impegnative e, solitamente, non si usa oltre il II-III grado WW, ma piuttosto per spedizioni lunghe,

campeggio nautico e così via. Esistono però anche canadesi chiuse con pozzetto e paraspruzzi, con le quali sono possibili discese molto impegnative, se si possiede una tecnica adeguata. Queste in genere vengono condotte stan-do in posizione inginocchiata, anziché seduti come nel kayak. Il kayak deriva dalle imbarcazioni eschimesi da caccia e ripete fedelmente, con materiali moderni, un modello vecchio di almeno 4000 anni. La forma dei kayak da mare è tuttora molto simile a quella eschimese, mentre i modelli da fiume sono più corti, arroton-dati e maneggevoli. Il kayak si usa stan-

do seduti dentro il pozzetto, foro ovale 40x80 cm., e chiudendo lo spazio fra la persona e il pozzetto con il paraspruzzi, di materiale plastico o neoprene, per evitare l’entrata di acqua. Il paraspruzzi si toglie facilmente in caso di necessità e, per ragioni di sicurezza, non deve essere in alcun modo fissato al kayak. Per far muovere il kayak si usa una pagaia a due pale contrapposte, generalmente angolate a 90°, della lunghezza compre-sa fra 2-2.40 metri, che può essere in legno oppure in metallo e fibra. L’aspetto

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turistico della canoa è sfociato nella pratica amatoriale, mentre quello agonistico nelle specialità cosiddette d’acqua piatta (velocità e fondo), fluviale (discesa e slalom) e canoa polo. Le varie specialità e le relative competi-zioni sono regolamentate da codici approvati dagli organi federali italiani, in accordo con le norme internazionali. I Paddle Sport, e cioè canoa vela, dragon boat, rafting, rodeo e outrigger, sono invece non ufficialmente regolamentati in ambito FICK

Marianna Macis

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Canoa fluviale L’International Canoe Federation, nel suo Codice delle Regate, definisce le dimensioni, il peso e le forme essenziali delle canoe fluviali da slalom e da discesa. La forma particolare del fondo della canoa da slalom consente la migliore disposizione alla rotazione, ma evidenzia anche la scarsa possibilità di scivola-mento per la maggiore resistenza che oppone all’avanzamento. Nella discesa accade, invece, il contrario: la forma allungata della zona di contatto favorisce lo scivolamento e riduce la capacità di rotazione. Le punte abbassate e schiacciate dei nuovi scafi hanno influenzato e raffinato la tecnica dello slalom e ora l’atleta riesce ad affondare la punta o la coda dello scafo e a

passare nella porta, come se questa fosse più larga e impiegan-do minor tempo. Nella discesa, lo scafo si è ingrandito in punta e in coda per aumentare il volume d’appoggio, permettendo così maggiore galleggiamento, minore beccheggio e quindi maggiore velocità. Per quanto riguarda le pagaie, il tipo usato in discesa deriva direttamente da quello usato in acqua piatta; nello slalom, invece, si usano pagaie studiate per un utilizzo non solo propulsivo ma anche di controllo direzionale e di mantenimento dell’equilibrio. Non esiste, inoltre, una regola fissa per deter-minare la misura più adatta per ogni atleta; in genere, però, la pagaia da slalom è più corta di quella da discesa.

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E’ una disciplina sportiva diffusa in tutto il mondo che prevede gare su imbarcazioni con la testa e la coda di drago. Queste imbarcazioni sono sospinte da 20 atleti, al ritmo scandito da un tamburino. Le gare, che inizialmente si svolgevano sulle 700 yarde (640 m), oggi si svolgono sulle distanze classiche dei 200, 500 e dei 1000 mt, distanza non prevista a livello di Campionati Continentali. Ci sono poi le gare di fondo, che si sono disputate per la prima volta agli europei del ‘98, sulla distanza di 2000 mt. Le origini del Dragon Boat risalgono ad oltre 2000 anni fa quando, narra la leggenda, il poeta e statista cinese Qu Yuan si gettò nel fiume Mi-Lo con un atto disperato per protestare contro le vessazioni cui veniva sotto-posto il suo popolo dal governo di allora. I pescatori, saputa la notizia, si lanciarono con grandi barche alla ricerca del corpo di Qu Yuan, sbat-tendo con forza i remi per allonta-nare i pesci. Dal 1976 la Hong Kong Tourist Association ha lanciato questa attività tradizionale come disciplina sportiva, nel 1990 e’ stata fondata l’European Dragon Boat Federation (EDBF) e il 24 giugno del ‘91 ad Hong Kong 12 Nazioni tra cui l’Italia fondarono l’International Dragon Boat Federa-tion (IDBF) che oggi conta, in tutti e 5 i Continenti, ben 38 Nazioni affiliate. La IDBF attualmente non e’ ancora riconosciuta dal CIO (Comi-tato Olimpico Internazionale), ma in tal senso il Comitato Esecutivo IDBF sta facendo le azioni opportu-ne. Nel 1995 si sono tenuti, in Cina, i primi Campionati del Mondo a cui ha partecipato anche l’Italia.

Il Dragon BoatIl Dragon Boat

Canoa d’acqua piatta Le gare della canoa d’acqua piatta sono: in linea: 200-500-1.000 metri; fondo: 5.000 metri; marathon: non meno di 10 km. Vi possono essere, però, distanze intermedie adottate per ragioni diverse (ad es. categorie giovanili). Le imbarca-zioni, sia di kayak che di canadese, hanno subito dalla loro origine una notevo-le evoluzione tecnica, per quanto riguarda la forma degli scafi, e tecnologica, per quanto riguarda i materiali. Negli anni ‘50, la canoa presentava una forma rotondeggiante con prua e poppa molto basse e con il punto di larghezza massima situato al livello del pozzetto. Questa soluzione dava uno spostamen-to della prua e della poppa alternativamente a destra e a sinistra. Si passò poi a soluzioni diverse, dette a “V”, con I’adozione di chiglie convesse, poi non più ammesse dal Codice delle Regate; la velocità era sicuramente maggiore, ma tutto a svantaggio della stabilità. Dalle Olimpiadi estive di Roma del 1960, la canoa ha avuto una fortissima evoluzione per quanto riguarda lo scafo. Con l’avvento delle resine sintetiche, molti costruttori di nazionalità diverse hanno elaborato molteplici forme di kayak e canoe. Lo stesso è successo alle pagaie, che sono notevolmente diverse da quelle usate dai primi canoisti sia come forma che come dimensione e materiale.

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Un po’ di storia...La canoa trae le sue origini dalle necessità dell’uomo di potersi spostare lungo i corsi d’acqua. L’uomo primitivo, osservando i tronchi d’albero galleggiare sull’acqua, intuì la possibilità di poterli sfruttare come mezzo di trasporto. Fu proprio scavando un tronco d’albero che nacque la piroga, la forma più rudimen-tale e primitiva della canoa. Successivamente, questo tipo di imbarcazione si perfezionò ed ebbe diverse evoluzioni a seconda dell’uso che l’uomo intendeva farne. Dall’antica piroga sono nati così diversi tipi di imbarcazione, a pala semplice e a pala doppia: dalle prime avrà origine l’attuale canoa canadese, così chiamata perchè erede diretta di quella usata dagli indigeni e dai cacciatori di pelli del Nord America; dalle seconde, nascerà il kayak, imbarcazione usata ancora oggi dagli esquimesi per la

caccia delle foche e il trasporto delle pelli. Questo particolare tipo d’imbarcazione arriva in Europa nel 1745, ma devono trascorrere almeno 100 anni prima di vedere un kayak in Europa. Lo scozzese John Mc Gregor, nel 1865, progetta e costruisce il primo kayak e, l’anno successivo, fonda a Londra il primo club di canoa al mondo. Nel 1900 ormai il kayak è entrato nella maggioranza dei paesi europei ed è di questo periodo il primo trattato sulla tecnica di voga, ad opera dello scienziato ed esplo-ratore norvegese Nansen. Nel 1936, la Reale Federazione Italiana di Canottaggio istituisce la sezione di canoa, intesa nel duplice aspetto di turismo e agonismo, e nel 1938 partecipa al primo Campionato del mondo.

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adidas Originalsla sua prima collezione di occhiali da sole

adidas Originals, marchio simbolo dello street fashion, presenta la sua prima collezione eyewear. Un debutto destinato ad entusiasmare quanti vedono nel brand adidas Originals un vero e proprio stile di vita. Non più solo sneakers e abbigliamento, ma anche occhiali da sole per un total look immediatamente riconoscibile grazie all’inconfondibile Trefoil blu.

I modelli presentati sono quattro, Sausalito, Avinyo, Shibuya-Ku e Palermo-Viejo, e si ispirano alle atmosfere degli anni ’70 e ’80. Un vero revival di forme e colori, che rimandano immediatamente a decadi che rieccheggiano ancora nell’imma-ginario comune. Il richiamo è al passato, ma l’interpretazione assolutamente attuale: materiali, tecnologie e confortevolezza sono il meglio che il Terzo Millennio offra. Le montature, infatti, sono realizzate in SPX, materiale ultra-leggero, flessi-bile e resistente; le lenti sono in policarbonato, antigraffio, garantiscono una perfetta protezione dai raggi UVA B e C e, grazie ad una curvatura base 8, prevengono qualsiasi tipo di distorsione della visuale.

Anche i colori mixano sapientemente i classici nero e tartaruga, nuances disponibili per ogni modello, ai vivaci arancio, bianco, mela e magenta…in cui si declinano solo alcune delle quattro proposte.

Le forme sono più o meno generose, Sausalito e Shibuya-Ku offrono un design maggiormente compatto, Avinyo e Palermo-Viejo montature ampie ed avvolgenti.adidas Originals launches bright and fashionable eyewear collection

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costo al pubblico: €56,00

Collezione BMW Motorrad 2006Tra motociclismo e urban lifestyle

Dal 1981 a oggi l’equipaggiamento per motociclista firmato BMW si è evoluto oltre che dal punto di vista tecnologico anche da quello stilistico. La nuova Collezione conferma la tendenza emersa negli anni scorsi ad andare oltre l’am-bito strettamente tecnico-sportivo per assecondare la moda sempre più diffusa a vestire capi d’ispirazione motociclistica. Nel rispetto dei criteri di qualità e sicurezza che contraddistinguono tutti i prodotti BMW

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Maggio - Giugno 89 X3M06

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Abbiamo provato per voi il casco Spitfire, top di gamma di Comw

Spitfire Cromwell

Già all’apertura della scatola si provano delle sensazioni piacevo-lissime, la prima è quella di scoprire un abbinamento perfetto di materiali raffinati come la pelle e nobili come l’acciaio, il tutto in un connubio perfetto. Il design è unico nel suo genere, tanto da poter essere considerato un prodotto multi generazionale.Continuando a maneggiarlo con grande curiosità ci rendiamo conto che nonostante l’impiego di acciaio per la realizzazione della calotta e delle prese d’aria laterali, il casco risulta essere leggerissimo e allo stesso tempo solido e protettivo; il profumo della pelle accompagna tutta la nostra curiosità, attirando la nostra attenzione sulle finiture di vero cuoio impiegato per realizzare la fodera interna.Le cuciture sono realizzate a mano da esperti mastri sellai.La visiera ha una forma avvolgente e protettiva, fissata in un meccanismo d’apertura particolare e realizzata con un mix di materiali quali abs.alluminio ed acciaio. La curiosità non si placa:

mettiamo il casco e usciamo in prova! Nell’indossare lo Spitfire si ha subito la sensazione di protezione totale: calza bene, è stabile e molto confortevole.Nonostante sia un casco aperto, quindi senza mentoniera, lo Spitfire Cromwell risulta essere assolutamente silenzioso, le prese d’aria laterali favoriscono lo scambio termico e lo rendono arieggiato anche quando si è nel traffico in città. Per via del design e dei materiali utilizzati, con indosso lo Spitfire Cromwell attirerete sguardi d’invidia da parte degli altri motoci-clisti fermi come voi al semaforo!

Dopo il test effettuato dal team di XtremeStuff il casco Spitfire Cromwell viene promosso a pieni voti!!

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MINI Italia e la concessionaria MINI e BMW biAuto di Torino hanno sentito l’esigenza di dare realmente voce a chi potrebbe vivere il brand MINI coinvolgendo gli studenti del primo anno del corso triennale di Grafica nella ideazione di tetti creativi e all’avanguar-dia per la leggendaria MINI, icona nel panorama automobilistico che ha ammaliato intere generazioni per la sua filosofia giovane, le sue linee morbide, la sua anima ribelle.Attraverso nuovi vesti grafiche, il tetto della MINI, reinterpretato da grafici dello IED, è diventato elemento di distinzione e di comu-nicazione che caratterizza la personalità della stessa e di chi la sceglie, assumendo nuove forme sinuose e colori accattivanti. Il progetto “Una MINI a Torino”, che già nel titolo sottolinea la volontà di scoprire come il valore del brand MINI possa essere

interpretato in una realtà locale in continuo movimento come Torino, è partito a dicembre 2005 con la consegna del brief alla classe da parte della committenza. Nel mese di gennaio sono seguite quattro lezioni di progettazione grafica e di presentazione del marchio MINI per dare agli studenti gli strumenti teorici e pratici per affrontare una così ambiziosa sfida.Martedì 16 maggio, presso la sede dello IED, sono stati presentati in anteprima le quattro auto MINI-IED vincitrici per condividere la loro carica innovativa.Lo IED di Torino e la concessionaria MINI e BMW biAuto festegge-ranno il progetto mercoledì 24 maggio con una serata in discote-ca al Jammin’ a Torino.

"MINI" Design... grandi ambizioniL’Istituto Europeo di Design di Torino e' sceso nuovamente in pista, questa volta in collaborazione con MINI, per dar vita al progetto “Una MINI a Torino”.

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Maggio - Giugno 91 X3M06

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55 giorni sul pack a 80° sotto lo zeroLa missione di un giovane ingegnere geofisico cagliaritano, protagonista della prima spedizione scientifica al Polo Sud per studiare la Catena Transantartica

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Stefano Erriu, 34 anni, è stato il primo sardo a partecipare ad una spedizio-ne in Antartide, predisposta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in collaborazione con gli Atenei di Cagliari, Genova, Siena e Roma 3.Il compito di Stefano è stato quello di eseguire rilevazioni geofisiche sul suolo dell’Antartide, spesso dai 2 ai 4 chilome-tri. A ricevere ed analizzare i risultati via mail, il professor Gaetano Ranieri, docen-te di Ingegneria del Territorio, che ha voluto fortemente la spedizione, trovan-do i fondi necessari. Attraverso dei cavi elettrici posti sulla superficie del pack si poteva, ad esempio, sapere se nel ghiac-cio era imprigionata la cosiddetta acqua fossile, rimasta li dopo la glaciazione, o se su quel terreno ci fossero state forme di vita. Un’altra tecnica ha invece consentito di misurare le variazioni di campo magne-tico dettate dal vento solare. Un vento polare, che rendeva impossibile lavorare senza guanti o con una minima parte del corpo scoperta. Gli indumenti triplo stato

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Maggio - Giugno 93 X3M06

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in pile e tessuti tecnici sono obbligatori, mentre è assolutamente vietato avventurarsi fuori della base da soli, senza radiotrasmit-tente, gps, tenda d’emergenza e viveri per una settimana. Ma il più pericoloso dei killer, lassù, è senza dubbio la nebbia, quando non si può ne atterrare ne decollare. A Stefano è successo! E si è salvato solo grazie all’intuizione del pilota, che ha intravisto un buco nella nebbia e ci si è tuffato dentro. Per 55 giorni, Stefano si è trovato a contatto con pinguini, foche e orche, ma soprat-tutto con la natura on the rocks, per poi alloggiare nella base italiana intitolata a Mario Zucchelli, lo scienziato che ha guidato le più importanti spedizioni italiane in Antartide. Per prepararsi a questa nuova avventura, Stefano ha dovuto superare un corso di sopravvivenza, attraversare muri di fuoco e fumo, abbandonare un edificio in fiamme dai condotti della ventilazione. Ha dovuto, insomma, imparare ad affrontare le situazioni più difficili.

Il PinguinoE’ il nome comune degli uccelli appartenenti alla famiglia degli Sfeniscidi. Quasi tutti i pinguini hanno un corpo piuttosto gran-de di colore nero o grigio-bruno sul dorso e bianco sul ventre e popolano la regione antartica e subantartica. Alcune specie presentano chiazze rosse, arancioni o gialle sulla testa e sul collo. A causa delle zampe corte e arretrate rispetto all’asse del corpo, hanno un portamento eretto.Anche se si pensa che inizialmente sapessero volare, le loro ali sono ridotte a moncherini e quindi non sono adatte al volo. I pinguini, tuttavia, sono ottimi nuotatori. Sono ricoperti da piccole penne tutte uguali, simili a scaglie. I pinguini eseguono la muta in un periodo di tempo abbastanza breve: tuttavia, duran-te questo periodo, evitano il contatto con l’acqua e diventano gonfi e arruffati. Quando il maschio cova, non si nutre, e può

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E’ un continente che si sviluppa quasi totalmente all’interno del Circolo Pola-re Antartico ed è coperto completa-mente da una calotta di ghiaccio, spessa anche più di 3 mila metri. Ha una superficie di 13.000.000 km quadrati oltre a numerose isole. E’ caratterizzato da numerosi altipiani molto vasti ed ha catene montuose, come la catena Regi-na Alessandra, con cime che superano i 4.000 metri di altezza. Recentemente si e’ scoperto che catene montuose come la Regina Maud hanno vette che paiono superare i 5.000 metri. Le coste di questo continente sono piat-te e regolari, ma in certi punti molto frastagliate. Il clima e’ estremamente rigido e raggiunge temperature di -60 gradi centigradi durante l’inverno. Nel 1960 si e’ raggiunta la temperatura di -88 gradi centigradi; raramente d’estate supera gli 0 gradi. La vegetazione e’ rappresentata solo da licheni e muschio, mentre la fauna comprende numerose specie di pesci, animali, uccelli marini, cetacei, foche, otarie, orsi e pinguini. Non e’ abitata dall’uomo. Date, infatti, le proibitive condizioni ambientali e climatiche, non ci sono insediamen-ti abitativi, ma solo alcune stazioni scientifiche. Dal 1959, in virtù di un accordo internazionale, l’Antartide è riservata a base per ricerche scienti-fiche a scopi pacifici. L’Antartide fu scoperto dal capitano Cook nel 1773. Le esplorazioni iniziarono nel 1819, ad opera dell’americano Palmer. Nel 1823, l’inglese Weddell arrivò fino al golfo, ora chiamato col suo nome, mentre nel 1843 un altro inglese, Ross, raggiunse lo stretto di Mc Murdo e la Terra Vittoria, arrivando fino al 78 grado e 9 primi di latitudine sud. L’inglese Scotto riuscì a raggiungere gli 82 e 17 di latitudine e il 14 dicembre del 1911 il norvegese Amundsen riuscì a conquistare il polo.

L'AntartideL'Antartide

arrivare addirittura a perdere la metà del suo peso. Abituati a sopportare temperature rigidissime, i pinguini hanno un piumaggio molto fitto (il pinguino imperatore ha 11 piume al cmq) e uno spesso strato di grasso sotto la pelle, che ha la funzione di isolante termico. Esistono diverse varietà di pinguini, che differiscono tra loro per dimensioni, anatomia e comportamento. Il Pinguino imperatore può raggiungere un’altezza di circa 120 cm ed è il più grande fra tutti i pinguini. Frequenta le coste del continente antartico, dove la femmina depone il suo unico uovo, che viene covato dal maschio, durante il lungo e gelido inverno australe. Forma colonie molto numerose, anche di 300.000 individui. Cacciando può spingersi oltre i 200 metri di profondità e può rimanere immerso sott’acqua, senza respirare, anche per 15 minuti. Il Pinguino reale, alto da 91 a 97 cm, si spinge fino alla Terra del Fuoco e sulle isole subantartiche. É ampiamente diffuso nelle regioni antartiche e subantartiche. La femmina depone un solo uovo, di cui si prendono cura entrambi i genitori. Il Pingui-no di Adelia, alto circa 76 cm, è diffuso lungo le coste del continente antartico e delle isole australi. Trascorre buona parte dell’anno in mare, nutrendosi soprattutto di calamari e crostacei.

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