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PERESTROIKA: LA CRITICA CONTEM- PORANEA ALLO STUDIO «SCIENTIFICO)) DELLA POLITICA di Lorenzo Zambernardi Introduzione Sin dalle sue origini la scienza politica americana è stata percorsa da due fratture incernc che ne hanno fatto, nella celebre espressione di Gabrid Almond (1990), una disciplina divisa : la prima di carattere ideologico che può essere descritta sul asse destra-sinistra; la econda che corre lungo il confine tracciato dalle preferenze metodologiche e vede conrrappo- to un orientamento di tipo naturalistico a una po-izione anti- naturaListica , generalmente de critta attraverso la dicotomia tra approcci hard e soft allo stu<lio della politica. egli scorsi anni b frattura di natura meLOdologica è ricmer:a in super- ficie dando vita a una delle dispute più accese nella scienza politica americana contemporanea, i cui contributi sono oggi raccolti in un volume a cura <li Kri ten R. Monroe (2005) dal titolo assai eloquente Perestroika.' The Raucous Rebellion in Politica/ Science. È infatti la cosiddetLa Pere troika, origim1ri:i- mente for e un alo in<lividuo ma poi divenuto un autentico movimento, ad avere lanciato una nuova sfida allo srudio scientifico della politica. Come la perestroika di Gorbaciov a\·cva conttibuito ali ' apertura e in un secondo tempo, alla distruzione del sistema totalitario sovietico, analogamente la Perestroika auspica l'abbattimento del «regime orwelliano» (Mr. Perestroika 2000) domi- nante nell'accademia americana: un sistema in cui la scienza politica è definita dal metodo utilizzato a prescindere dalle effettive capacità di comprensione dell'universo ociale e in cui la scienza avreb be così definitivamente prevalso sulla politica (Smith 2002). La critica della PerL-stroika si rirn1ge principalmente ,ùla gestione dell'APSA (American Politica! Science Association), ai criteri <li Per l'attenta lettura critica di questo saggio desidero ringraziare Filippo Andr eatta, }.,fiche/e Chiaruur; Cristina Dal/ara, Matteo Tm/felli e, in particolare, Piero Tortoki. Aftox Wendt e i due referee anonimi della Risp. RIVISTA ITALIANA DI SCIENZA POLITICA - Anno XXXVIII, n. 1, aprile 2008 www.torrossa.it For non-commerciai use by authorized users only. License restrictions apply.

Zambernardi 2008 Perestroika Rivista Italiana Di Scienza Politica 38-1-31–54

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Peresrtoika movement in polisci

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PERESTROIKA: LA CRITICA CONTEM­PORANEA ALLO STUDIO «SCIENTIFICO)) DELLA POLITICA

di Lorenzo Zambernardi

Introduzione

Sin dalle sue origini la scienza politica americana è stata percorsa da due fratture incernc che ne hanno fatto, nella celebre espressione di Gabrid Almond (1990), una disciplina divisa: la prima di carattere ideologico che può essere descritta sul tradizion~ùe asse destra-sinistra; la econda che corre lungo il confine tracciato dalle preferenze metodologiche e vede conrrappo-to un orientamento di tipo naturalistico a una po-izione anti-naturaListica,

generalmente de critta attraverso la dicotomia tra approcci hard e soft allo stu<lio della politica.

egli scorsi anni b frattura di natura meLOdologica è ricmer:a in super­ficie dando vita a una delle dispute più accese nella scienza politica americana contemporanea, i cui contributi sono oggi raccolti in un volume a cura <li Kri ten R. Monroe (2005 ) dal titolo assai eloquente Perestroika.' The Raucous Rebellion in Politica/ Science. È infatti la cosiddetLa Pere troika, origim1ri:i­mente for e un alo in<lividuo ma poi divenuto un autentico movimento, ad avere lanciato una nuova sfida allo srudio scientifico della politica. Come la perestroika di Gorbaciov a\·cva conttibuito ali' apertura e in un secondo tempo, alla distruzione del sistema totalitario sovietico, analogamente la Perestroika auspica l'abbattimento del «regime orwelliano» (Mr. Perestroika 2000) domi­nante nell'accademia americana: un sistema in cui la scienza politica è definita dal metodo utilizzato a prescindere dalle effettive capacità di comprensione dell'universo ociale e in cui la scienza avrebbe così definitivamente prevalso sulla politica (Smith 2002). La critica della PerL-stroika si rirn1ge principalmente ,ùla gestione dell'APSA (American Politica! Science Association), ai criteri <li

Per l'attenta lettura critica di questo saggio desidero ringraziare Filippo Andreatta, }.,fiche/e Chiaruur; Cristina Dal/ara, Matteo Tm/felli e, in particolare, Piero Tortoki. Aftox Wendt e i due referee anonimi della Risp.

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valutazione utilizzati dai referee dell'APSR (American Politica! Science Review) e al reclutamento professionale negli Stati Uniti . Non si indirizza dunque ,Jla struttura di altre <tssociazioni quali rIPSA Untemational Politica! Science Association ) e l'ISA Unternationa!Studies Assoàation), luoghi in cui il plurali­smo metodologico per cui si batte la Perestroika, es endosi ormai fortemente radicato, non necessita di una difesa sistematica. Il punto non è secondario poiché per la prima volta la critica agli approcci scientifici - di certo non una novità assoluta nella scienza politica arnericana1

- non ha scopi puramente intdlettu;Ùi ma ambisce in modo esplicito a mutare l'organizzazione della disciplina, intesa come una serie di norme professionali in grado di legittimare e dc:legittimare le pratiche dei singoli studiosi (Yanow 2005, 200).

Leggere questa disputa come un dibattito esclu ivamente americano sarebbe, tuttavia, un errore. Essa solle\·a questioni che vanno al di là delle polemiche interne ;,Ùf accademia statunitense e che toccano infatti due temi d'interesse generale per l'intera scienza politica: l'effettiva scientificità della conoscenza conseguita da parte di quella disciplina che ha fotto propri i metodi tipici delle scienze naturali e la difficile relazione che lega filosofia e scienza politica. A otto anni dalla missiva di Mr. Perestroika, spentesi le reazioni emotive che essa aveva inizialmente originato, non solo è possibile valutare in modo sobrio e distaccato il contenuto e gli effetti prodotti da quella critica, ma una tale analisi è in grado anche di offrire un punto <li vista privilegiato per riflettere su due tra i temi più rilevanti per gli studi politologici.

Per queste ragioni, il saggio è organizzato in due sezioni principali. ella prima saranno presentate e valutate criticamente le tesi della Perestroika, con particolare riferimento alle richieste di riforma del movimento e ~ùle conseguenze effettivamente prodotte sulla organizzazione della disciplina. BenchC: que·ta discussione riguardi esclusivamente l'accademia statuniten e e non sia pertanto generalizzabile a realtà di altri paesi che godono pesso, come nel caso italiano, di una assai più elevata eterogeneità metodologica, non si deve dimenticare che la scienza politica americana è la più in.fluente a livello mondiale e che probabilmente - anche grazie a relazioni sempre più frequenti tra università statunitensi ed europee - essa eserciterà in futuro una influenza ancora maggiore. Inoltre. il recente simposio appar o sulle

'Cfr. Morgenthau (1946); Crick (1959); Almond e Genco (1977); Ricci (1984). L'uni­co precedente paragonabile alla Perestroika è il Caucus /or a New Politica! Science formato alla fine degli anni Sessanta da studiosi quali Christian Bay, Hans Morgentbau, Dankwarr Rustow e Sheldon \'V'olin, le cui origini non erano però di natura accademica ma avevano w1 contenuto sostanzialmente politico: il principale obiettivo del movimento era quello di organizzare accademicamente sia la critica al coinvolgimento militare americano in Viemam sia la lotta per i diritti civili della comunità afro-americana (Dryzek 2006, 490-491).

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pagine della rivista «European Political Science», in cui eminenti polùologi europei quali Rein Taagepera e .J osep Colomer hanno aff em1ato la necc. ·i tà di dar vita a una scienza politica che si ispiri maggiormente: a scienze dure: quali la .fisica, dimostra quanto siano tuttora rilevanti le questioni sollevate dalla Pcre:troika2

. ella seconda sezione saranno discussi invece i due temi opraccitati, ovvero la que ·rione della cumulatiYiLà e <le! progresso dcl sapere

prodotto dagli studi politologici che ·i sono ispir.1ti al modello delle scie:nze empiriche e la difficile e tormentata relazione esistente tra filosofia e scienza politica. Infine, si concluderà esprimendo una nota di pessimismo sul futuro del pluralismo metodologico nell'accademia americana.

L'introduzione di questo dibattito esige un'ultima precisazione che ne chiarisca l'intento e la struttura: il presente scritto non è né una riflessione su cosa si debba intendere per conoscenza scientifica né un'analisi dei metodi attraver o i quali una tale cono ccnza dovrebbe e. sere conseguita. Ciò per un motivo fondamentale: la critica avanzata dai membri della Perestroika non è principalmente di carattere metodologico - non siamo dunque di front..: ad un nuovo dibattito sul metodo, benché tale questione sia di certo al centro della disputa - ma mira invece ad attaccare lo status acc;1d1:mico di quegli :tudi che si ispirano al modello delle scienze dure, diventato così preniricantc da risultare in fin dei conti immeritato.

Perestroika: questioni americane

ell'ottobre dell'anno 2000 w1 auto-proclamato e tuttora sconosciuto Mr. Pere troika spedì agli organi dell'AP A un «e-mail manifesto» in cui si denunciavano il provinciali mo, il «metodologi mo», l'auto-referenzialità e l'irrilevanza pratica della scienza politica americana. Da quelJe brevi ma influenti parole è nato un vero e proprio movimento formato da eminenti studio i quali Theodore Lowi, lan hapiro.Jame Scott, Thcda Skocpol, Rogcr Smith e Sven Steinmo, per citare solo i nomi di alcuni dèi membri più noti. Que ti tudiosi, profondamente diversi nelle loro preferenze metodologiche e anche, da non sottovalutare, nei loro ori..::ntamenti politici, sono uniti da una profonda in o<ldisfazione nei confronti di quella scienza politica che h.,1 fatto del rigore scientifico l'ultimo e supremo scopo della ricerca.

Ma che cosa intendono i membri della Perestroika con «studio scientifico della politica»? Tale espressione non è utilizzata come sinonimo di positivismo: la maggior parte degli studiosi che si sono uniti al mo,-in1enLo non propugnano infani orientamenti antiscientifici, ma praticano stili di ricerca positivista in cui

! Si vedano Taagepera (2007): Colomer (2007): Grofman (2007).

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né b matematica è impiegata a livello di elaborazione teorica né l'analisi dei dari è utilizzata per confermare o falsificare le iporesi3. Con «studio scientifico Jella politica». essi intendono l'uso di tecniche matematiche e tatistiche nella formalizzazione teorica e nel test delle ipotesi. U messaggio di Mr. Perestroika e il movimento che esso ha contribuito a creare plll1tano co ì a due principali bersagli polemici: (a) il tecnicismo metodologico secondo cui è l'utilizzo di particolari approcci a definire cosa sia scienza politica, e (b) gli effetti che la definizione metodologica della scienza politica ha avuto sulla sociologia della disciplina e, in particolare, sulla sua organizzazione accademica.

Sebbene le origini di un movimento nato da una e-mail inviata da un anonimo politologo non aranno probabilmente mai dcl tutto chiare, prima di discutere nei dettagli le critiche da esso avanzate è utile riflettere breve­mente sul perché la Perestroika sia sorta nell'autunno dcl 2000. Vi. ano due ragioni principali che sembrano averne determinato la genesi. In primo luo­go. la Perestroika è una reazione alla progressiva ascesa della teoria fonnale nella scienza politica an1ericana - diffusasi inizialmente negli anni Settanta e Ommta ma che ha raggiunto la sua mas ima espansione nella seconda metà degli anni ovanta - e che ha avuto l'effetto di re -uingere ulteriormente gli spazi <li quegli studiosi che non guardano alle scienze naturali come modello metodologico per i propri studi. Se dunque lo. fogo di Mr. Pere troika è stato <li indubbia importanza per la nascita e l'organizzazione del movimento, i sentimenti di frustrazione di una consistente parte della disciplina avevano Lm.origine certamente precedente (Green e Shapiro 1994; Walt 1999). In secondo luogo. fonte d'i pirazione della Percstroika sembra essere tata il Post-Autùtic Economics, movimento «gemello», nato nell'e tate del 2000, che aveva denunciato il formalismo, !"irrilevanza pratica e la posizione egemonica dell 'approccio neoclassico nelle scienze economiche4• Erano stati infatti per primi gli cconomi:ti ad adottare i modelli . viluppati dalle cienze naturali ((ohcn 199-!), Jimostrnn<lo. almeno in apparenza. quell'unitarietà <lei pen­siero scientifico che sta alla base del naturalismo. La Perestroika ha dunque imitato l'esempio dci colleghi economisti ma, come vedremo, con risuhati che sembrano. almeno nel breve periodo. nettamente superiori.

1 Un'importante eccezione è Bent Flyvbjerg (2001; 2004) cbe afferma la necessità di superare qualsiasi concezione positivistica delle scienze sociali e propugna uno studio della politica fondato sul conceno aristotelico di phro11esis.

4 Sul Post-Autistic Economics vedi bttp:/ /www.paecon.net.

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Contro il tecnicismo metodologico

Edward Mansfield e Richard Sisson (2004, 1) hanno recentemente osservaw che la scienza politica persegue un duplice ·copo: da un lato sviluppare un bacino di conoscenza politica verificabile e, dall'altro, utilizzare tale cono-cenza per migliorare fa qualità della vita pubblica e privata. Quest'ultimo

obiettivo non rappresenta una novità assoluta per gli studiosi della politica e non sono neppure specifici della scienza politica americana. Una scienza politica non interes ara a utilizzare i propri risultati per affronrnre le grandi questioni politiche del tempo non è mai esistita, almeno nelle sue espre sioni intellettualmente più elevate: nel Cinquecento Machiavelli elaborava gli arcana imperii per liberare l'Italia dalla dominazione delle potenze straniere; nel ~ ei­cento Hobbe - teo1izzava l'ordine politico all'ombra delle guerre Ji religione: nel Novecento Harold Lasswell tentò di elaborare una teoria scientifica della democrazia in un ecolo in cui la sopravvivenza di raie regime era stata messa a repentaglio sia d,1 destra che da sinistra. Le grandi opere della scienza po­litica eia sica e contemporanea sono state sempre pensate come rispo te: alle condizioni generali della propria epoca.

La cienza politica americana non si distingue negli scopi che persegue e nell'oggetto di studio, i cui contenuti sono stati influenzati in modo rilevante dalla realtà politica che si è trovata a indagare. Ciò che invece rappresenta l'effettiva specificità di tale disciplina è l'uso dei metodi tipici delle scienze empiriche con cui lo ·tudio della politica Ì:: • rato praticato negli Stati Uniti. orientamento che, dagli anni Sessanta ad oggi, ha ininterrottamente dominato l'accademia di que ·to paese: la scienza politica americana è in fotti principal­mente fonnalizzazione, misurazione e calcolo di fenomeni empirici, e non dunque «solo» studio rigoro ·o e sistematico degli affari politici.

Una tale evoluzione è stata di certo incoraggiata sia da politiche dd governo centrale statunitense - si pensi solo al ruolo assumo dal Behavioral Sciences Subpanel negli anni successivi alla econda guerra mondiale oppure al sostegno dell'amministrazione Kennedy al comportamentismo ( Ulmen 1'>84) - sia da istituzioni quali la National Science Foundation e la National Academy o/ Sciences che sono in1portanti fonti economiche per la ricerca e. <la non ottovalutare, di legittimazione intellettuale per gli studiosi che vi ac­cedono. Attribuire però a queste istituzioni la responsabilità della diffusione dell'approccio scientifico sarebbe tuttavia riduttivo se non fuorviante, dal momento che un tale orientan1cnto è stato una caratteri. tica dell'accademia americana per larga parte del Novecento. Lenorn1e successo che le cienze n•lturali avevano avuto nell'Ottocento infatti incoraggiarono la trn posizione dcl loro metodo alle di cipline sociali già negli anni Trema e Quaranta. l be­nefici effetti dell'impetuoso e rapido sviluppo tecnologico sperimentato dagli Stati Uniti avevano favorito la genesi di una vera e propria cultura positivi, ta ,

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tuttora e. istente. che prescinde dunque dal ruolo delle istituzioni sopraccitate e che pervade e influenza in modo simile scienze sociali diverse quali l'economia e la scienza politica (Amadae e Bueno de Me quita 1999)~ .

È pertanto il modo di accostar·i allo studio della politica a rappresentare la specificità dello studio politologico praticato negli Stati Uniti. Se fino agli anni Ottanta l'approccio scientifico poteva essere identificato con l'analisi quantitativa e con la tradizione comportamentista da cui traeva origine. oggi ad essa si è aggiunta la teoria formale che ha tradono nella lingua della mate­matica i contenuti delle teorie razionali0. Sono state infatti le teorie razionali, nella loro versione formale, a sembrare l'erede di quello spirito scientifico di cui era stato per primo interprete il comportamentismo, ma che quest'ultimo aveva, a detta anche di alcwu dei suoi tessi promotori (Dahl 1961), largamente di. atteso nei risultati . La scienza politica americana si è ispirata principalmente al modello delle scienze naturali, a tal punto da dare oggi ormai per contato che il rigore scientifico di un lavoro politologico derivi dalla formalizzazione matematica dc.Ile teorie e/ o dalla presenza di tecniche statistiche per confer­mare e falsificare le ipotesi: l'ottimo metodologico è raggiunto quando in un singolo studio sono utilizzate entrnmbc: le tecniche (Laitin 2003 ).

La combinazione <li quelli che. nel contesto americano. sono chiamati Michigan e Rochc:ster style- rispettivamente I' anali i quantitativa dei dati e la formalizzazione matematica in cui gli studiosi provenienti dai dipartimenti di qu<.:ste due univer ità si ono nel cor o degli anni distinti - sarebbe il modello che i politologi dovrebbero seguire per dar vita a un'autentica scienza della politicé. E in effetti se il metodo scientifico applicato a campi diversi quali la

' Sebbene la scienza politica americana sembra avere imitato più l'economia che le scienze dure- si vedano a titolo di esempio i classici lavori di Downs (1957), Riker (1963) e Waltz ( 1979) in cui il riferimento alla teoria economica neoclassica è esplicito - le scienze economiche hanno esercitato tale fascino proprio perché sono riuscite ad adottare con un certo successo i metodi tipici delle scienze dure (Mirowski 1989): l'economia non è pertanto il modello originario di riferimento dei politologi, che rimane quello delle scienze naturali . La funzione della teoria economica è stata quella di mostrare che anche le scienze sociali, attraverso il formalismo e l'uso di sofisticate tecniche statistiche, sono in grado di farsi scienza.

" Le teorie razionali - principalmente scelta razionale, scelta pubblica e scelta sociale - non fanno necessariame.nte uso della formalizzazione matematica e infatti la teoria formale è solo uno dei modi con cui rappresentare i meccanismi causali postulati da queste teorie.

' Esiste però una spaccatura assai profonda tra i cultori dell'analisi quantitativa e i teorici fom1ali che ba origine in due diverse concezioni della scienza - rispettivamente ern pirismo e razionalismo - parzialmente rappresentata dalla critica avanzata nei confronti deUa scelta razionale da Donald Green e lan Shapiro nel loro influente Pathologies o/ Ratio-110! Cho;ce Theory ( 1994). Inoltre, è bene ricordare che la formalizzazione matematica non

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fisica la chimica e la medicina ha prodotto notevoli successi, perché mai non potrebbe raggiW1gere traguardi sin1ili in can1po ·ociale e politico?

Per contro, il movimento della Perestroika afferma che il tecnicismo metodologico non è sinonimo di scienza. Gli studio i hanno indubbiamente p rodotto metodi più sofisticati e precisi che, però, sembrano aver contribuito scarsamente alla conoscenza del mondo politico: l'uso di metodi scientifici non deve e ere infatti confuso con il prodotto di tale tecniche. e il risultato finale non è buono, ovvero se non otteniamo una vera e propria conoscenza <lcll'W1i\·erso sociale, l'u o rigoroso degli strumenti tipici delle scienze naturali non deve essere considerato W1 valore in sé daJ momento che W1 metodo ha sempre uno copo strwnentale: l'obiettivo rimane quello di ottenere o incrc:­mentare la conoscenza dell'W1iverso sociale8. Ma, obiettano i membi-i della Perestroika, tale obiettivo è stato largamente disatteso.

La que tione dei metodi e dei contenuti, viene osservato, è strettamente conne a all'organizzazione accademica e professionale della di -ciplina: gli stu­di che utilizzano tecniche matematiche hanno infatti w1a mc1ggior probabilitù tli ssere pubblicati nelle più impoi-tanti riviste speciali_ tiche quali l'APSR e l'AJP (American Joumal of Politica! Science). Per ragioni riconducibili alla ociologia della scienza politica e non alla effettiYa conoscenza ac4uisita.

affermano i membri della Perestroika, gli studi formali e quantitativi sono si tematicamente favoriti nelle procedure di re.foraggio (Ka za 2000, 737-/38) . Non olo essi sarebbero stati pertanto incapaci di generare W1a vera conoscenza degli affari politici, ma avrebbero contribuito a delegittimare metodi che non fanno u ·o alcW1o della matematica e della statistica quali l'approccio ·torico, le analisi etnografiche e interpretative e gli studi del caso.

Benché tale critica possa apparire come W1a eccessiva generalizzazione che non tiene in dovuta considerazione l'eterogeneità metodologica csi:tente in sorto. ertori della scienza politica come le Relazioni internazionali, in cui i lavori costrultivisti (generalmente inclini a non adottare i metodi tipici delle scienze dure) sono diventati om1ai parte integrante del mainstream della disci­plina, i numeri relativ:i alle pubblicazioni nelle più in1portanti riviste americane sembrano avvalorare la critica avanzata dalla Perestroika: dal 1991 al 2000 solo il 5% degli articoli pubblicati ull'APSR è di carattere qualitativo (Pion­Berlin e Cleary 2005. 306): nell'AJPS la loro frequenza è dcl 2,6% nel biennio 2000-2001, del 6,9% nel 1995-1996, del-l % nel 1990-1991, quando invece nel

è un metodo teso a confermare o falsificare ipotesi e, infatti, molti studi formali utilizzano metodologie qualitative come test delle loro teorie, cfr. Kydd (2005 ).

In Wl celebre articolo pubblicato su «Science», Herbert Simon ( 1980) aveva infatti argomentato che il progresso delle scienze sociali è misurabile in relazione al progresso nelle tecniche di studio, e, dunque, non nelle effettive conoscenze conseguite tramite l'adozione di tali tecniche.

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1960-1961 arri\'avano addirittura al 75 % (Kasza 2005, .343 ). Il cambiamento, avvenuto nel corso degli ultimi decenni, nei criteri di pubblicazione delle due più importanti riviste politologiche americane è un fatto dunque indi. cutibi­le9. La questione non è puramente «accademica» poiché è la pubblicazione degli articoli in tali riviste a detemunare la carriera dei giovani politologi: le preferenze metodologiche contribuirebbero così a determinare chi otterrà le cauedre nc:lle più prestigiose università americane e I' attuale élite accademica sarebbe riuscita a creare le condizioni epistemologiche per auto-riprodursi. In quc::to modo. gli scienziati politici subiscono pesanti pre sioni profc siomùi ad utilizzare nelle loro ricerche hl teoria form;Ùe e le tecniche quantitative.

Esattan1entc perché la scienza politica è ciò che i politologi fanno, la definizione di ciò che è scienza, e dunque di ciò che è pubblicabile, diventa fondamentale nel produrre le preferenze metodologiche della pro . ima ge­nerazione di studiosi (Schwartz-Shea e Yanow 2002) . L'identificazione della scienza politica con le tecniche matematico-statistiche celerebbe un disegno egemonico che marginalizza tutti coloro che utilizzano tecniche qualitative. A tale propo:iw. Stanley Hoffu1ann ha dichiarato di se stes o e dei suoi colleghi, che non adottano orientamenti scientifici, che oggi «nessuno di noi riuscirebbe a diventare prof e. sore di ruolo» (cit. in Cohn 1999, 26).

Nonostante vi siano differenze di parere su alcune questioni, i membri della Perestroika concordano - visti i . uccessi, a loro parere. modesti dei colleghi scienziati - -ulla necessità di un maggiore pluralismo metodologico (Rudolph 2005 ) ,ùlo scopo di iidare dignità intellettuale ad approcci quali il metodo storico-tradizionale, gli studi etnografici e interpretativi, le analisi con­cettuali e tipologiche. approcci che hanno goduto negli ultimi due decenni di assai scar:a considerazione. Non si chiede pertanto la sostituzione dell'attuale «regime metodologico» con un altro «regime», ma più modestamente una ~cienza politica metodologican1ente pluralista. I teorici formali e gli tudiosi quantirntivi devono continuare a sviluppare i loro modelli e le loro ricerche, ma l'ortodossia metodologica imposta o tacitamente accettata dai loro cultori ha una natura essenzialmente anti -intellettuale in netto contrasto con lo spirito liberale che dovrebbe regnare nell'accademia (Diarnond 2002, 2) .

9 Citare esclusivamente i dati relativi ali' APSR e ali' AJPS e tralasciare, per esempio, rivi te quali «World Politics» e <<lnternational Security>> non è un caso di palese selection bias (on the dependent variable), dal momento che solo le prime due sono riviste che pub­blicano articoli che fanno riferimento a tutti i quattro sottosettori della scienza politica, al contrario delle ultime due che pubblicano invece articoli di Politica comparata e Relazioni internazionali. lnolrre. l' APSR e l'APJS, essendo le riviste ufficiali delle due più importanti associazioni politologiche americane, esercitano un ruolo particolarmente rilevante ncl job market americano.

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Se a molti potrà apparire che un appello al pluralismo sia oggi uper­fl.uo, perché ampiamente condiviso nella disciplina, sarà bene ricordare che studiosi illustri e influenti come David Laitin (2003) di Stanford non solo hanno e pn.: so dubbi sulla validità <li tale principio, ma hanno addirittu­ra parlato dei pericoli a cui il plurali. mo metodologico può condurre. Lo :cetticismo nei confronti del plurnlismo sembra. inoltre:, essere un cleml'.nlo per istente nella disciplina americana. Già Charles P.1erriam (1921), uno dei padri del comportamenti mo, aveva astenuto con forza che solo artraverso il upcramento del pluralismo metodologico esistente nella scienza politica. che

a suo parere era in uno stato di reale anarchia tra gli anni Vt:nti e Quaranta dd secolo scor o, essa avrebbe potuto trasformarsi in una autentica scienza in grado di mettere finalmente ordine nel caos della politica. All'inizio degli anni Ottanta, in maniera analoga, \X'illiam Riker aveva notato, con w1a ct:rta soddisfazione, che la scelta razionale stava rinmovendo gli altri paradigmi dalla disciplina (in Amadae e Bueno de Mesquita 1999, 291). L'idea per cui il pluralismo metodologico sarebbe un grave impedimento alJ,1 costruzione di un'autentica scienza della politica sembra essere pertanto una te ·i ricorrente nel discorso politologico americano che periodicamente si ripresenta sotto forme diverse.

Al fine di evitare che stili di ricerca alternativi a quelli scientifici \'C:n­gano con iderati marginali, il movimento della Perestroika ha sollecitato gli organi dell'APSA a rivedere i criteri di pubblicazione degli articoli dell"APSR (Steinmo 2005), ha richiesto un maggior spazio per la teoria politica ( chram 2005) e ha, infine, esercitato pressioni per concedere ai membri del movin1ento spazi nell'Editoria/ Board (Rudolph 2005) della stessa rivista. In que to modo la critica della Perestroika si è politicizzata, facendosi movimento <li pressione con il fine dichiarato di mutare l'organizzazione della disciplina.

Le conseguenze della Perestroika

Ad appena otto anni dall'e-mail manifesto di Mr. Perestroika non è possibile valutare in modo definitivo se il movimento, a cui lo sconosciuto politologo ha dato vita, abbia prodotto cambiamenti durevoli oppure ·e i mutamenti avvenuti siano di pura facciata. Una fase di riorganizzazione della scit:nza politica americana è oggi però certaniente iniziata.

Già nella primavera del 2002, Theda Skocpol nominò un gruppo di st u­dio (Task Force on Graduate Education l, rnpprL:Sen tativo di diverst: tradizioni metodologiche e presieduta da Christopher Achen (un sofisticato studioso quantitativo) e Rogcr mith lun autorevole menibro della Perestroika), con l'obiettivo di produrre proposte per migliorare l'insegnamento post-laurea (graduate) della scienza politica. el 2004 il gruppo di studio ha pubblicato

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un rcport in cui molte delle critiche della Perestroika sono state pienamente accolte. Ai punti nn. 3, .+, 5 e 6 di quel documento si o serva rispettivamente che la complessità della politica richiede l'utilizzo di una pluralità di metodi (pluralismo metodologico), che le questioni etiche e normative sono centrtùi allo studio della politica (importanza della teoria politica), si ottolinea la ne­ces ·ità di studiare temi e aree che sono state troppo a lungo ignorate (rilevanza pratica della scienza politica), e infine si auspica che i lavori politologici siano scritti per un pubblico più Yasto di quello attuale e siano pertanto veicolati in lingue comprensibili anche ai non-speciali ti (critica al tecnicismo) 10.

Da segnalare sono, inoltre, i cambiamenti di tipo istituzionale: alcuni membri dell'Editoria! Board dell' APSA provengono dalle file della Perestroika; sulle pagine dell'APSR compaiono articoli «dal basso contenuto» scientifico; infine «Perspectives on Politics», una nuova rivista dell' APSA, è stata pubbli­cata con lo scopo esplicito di creare spazi maggiori per approcci alternativi a quelli quantitativi e formali (Hochschild 2005\.

Oltre alle importanti novità sopraccitate. la critica della Perestroika ha contribuito a rilanciare lo stile di ricerca qualitativo, fornendo ad esso una rinnovata legittimità metodologica: gli ultimi sei anni sono stati infatti de critti <la Andrcw Bennet e Colin Elman (2005) come la «rinascita della ricerca qua­litativa». Proprio in que to periodo istituzioni accademiche. quali la sezione qualitati\·a dell'APSA (APSA-QM) e il Consortium 011 Qualitative Research Methods ((QRMl. la cui sede è l'Arizona State Uni\'ersit)1, sono state create al fine di approfondire lo studio delle diverse metodologie qualitative11 •

Questo rinnovato interesse per una metodologia che aveva perduto parte della sua legittimità scientifica è stata dapprincipio una reazione diretta al tentativo compiuto da King, Keohane e Verba (1994) di imporre una logica unica della ricerca fondata sui criteri tipici degli studi quantitativi. Nell'ormai clas. ico Designing Social Inquiry, e. :i avevano infatti sostenuto che la ricerca qualitativa a\Tcbbe dovuto adottan:: i medesimi criteri metodologici dcll'anali. i statistica. 11 libro può considerarsi come la suprema fase di quella dottrina, già identificata e criticata da Sartori (1970) alla fine degli anni Sessanta, secondo cui la ricerca qualitativa non va affinata nella sua specificità metodologica ma deve essere guidata dai criteri utilizzati dagli studiosi quantitaci\ i. A questa opuazione. studiosi autorevoli quali]ohn Gerring (2001; 2005), Henry Brady e David Collier (2004), e AJexander George e Andrew Bennett (2005) hanno risposto chiarendo e affermando la specificità e i vantaggi della metodologia

10 Si veda APSA Ta<>k Force On Graduate Education (2004). 11 Per una discussione dettagliata delle istituzioni accademiche statunitensi rivolte

allo studio della ricerca qualitativa, cfr. Elrnan (2008).

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La critica contemporanea allo studio «Scientifico» della politica 41

qualitativa che sta nell'identificazione e osservazione dei meccanismi causali attraverso tecniche quali il process tracing12

.

Anche. e sarebbe eccessivo attribuire w-Ucamente alla Perestroika i meriti della «rinascita» della ricerca qualitativa. è tuttavia fuori questione il rilcvctnte contributo politico che il movimento ha fornito al rilancio di questo stile di ricerca. La Perestroika è infatti riu cita a gettare le fondamenta istituzionali necessarie per consolidare all'interno della disciplina l'interesse per il metodo qualitaLivo un interesse che avrebbe altrimenti corso il ri chiodi essere :olo di breve periodo.

Perestroika: questioni generali

Come si è accennato nell'fotroduzione. la criLica mossa dalla Perestroika ol ­trepassa i confini nazionali dell'accademia americana, toccando questioni di interesse generale per l'intera disciplina, quali l effettiva scientificità della co­no cenza conseguita da quella scienza politica che si ri chiama ,J modello delle scienze empiriche e la difficile relazione esistente tra filosofia e scienza politica. Alla discussione di tali temi saranno dedicati i prossimi due paragrafi.

Scienza politica e progresso scientifico

Misurare il successo della scienza politica nei temlini di conoscenza accumulata non è solo un operazione ardua da condune in que ta sede, ma è un tema che si è rivelato estremamente difficile da trattare anche quando gli si sono dedicati interi studi monografici. Tuttavia è riscontrabile un elemento costante e assai significativo che emerge nelle discussioni sui progressi conseguiti dalla scienza politica: vi è un permanente e generale disaccordo sulla conoscenza del mondo politico generata dai politologi, tant'è che in un recente studio si

12 Molti dei recenti studi sulla metodologia qualitativa concepiscono la spiegazione come identificazione dei meccanismi causali che producono un particolare fenomeno empirico (Brady e Collier 200-t; George e Bennett 2005; Bennett e ELnan 2006; Mahoney 2007). e infatti si escludono le tecniche sperimentali - peraluo utilizzate in poche aree della cienza politica - e il caso speciale di causalità simultanea - quando non vi è succes­sione temporale tra X e Y - fornire una spiegazione adeguata significa anche identificare empiricamente il funzionamento dei meccanismi che producono il fenomeno oggetto d'in­dagine. Il vantaggio relativo degli studi qualitativi è facile da comprendere: solo un 'analisi approfondita di uno o pochi casi è in grado di mostrare lesistenza dei meccanismi postulati più o meno esplicitamente da una particolare teoria. Per un parere critico sulla rilevanza dei meccanismi causali, cfr. Beck (2005).

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è preferito descrivere la storia della disciplina nei termini di evoluzione e non di progresso (Mansfield e Sisson 2004).

Uno sguardo al sotto. ettore delle Relazioni internazionali, in cui il tema del progresso scientifico è stato dibattuto in modo esplicito e sistematico (Vasquez 1997; El man e Elman 2003) u. mette in luce quanto sia profondo ed esteso il disaccordo sul sapere conseguito anche quando esista un accordo sui criteri epistemologici con cui giudicare del successo o del fallimento dei diversi corpus teorici esistenti . Sono i criteri di demarcazione elaborati dal filosofo ungherese Imre Lakatos ( 197 O) - ovvero la Metodologia dei programmi di ricerca scientifici (MSRP) - ad essere riconosciuti dai temici delle relazioni internazionali come gli strumenti da utilizzare per comprendere il progre o dei propri programmi di ricerca. Il punto per Lakatos non è la falsificazione di una singola teoria - a suo avviso non esiste il cosiddetto caso cruciale con cui si può rifiutare una teoria una volta per tutte - ma come le teorie che appartengono a un programma di ricerca reagiscono alle falsificazioni: cioè se riescono a superare le anomalie senza dover cambiare il <<nucleo centrale» (hard core) del programma di ricerca. modificando dunque solo la «cintura protettiva» (protective belt) formata da ipotesi ausiliarie che invece sono flessi­bili e suscettibili di corrczione 1

,. Solo quando i.I numero di anomalie aun1enta drasticamente e non vi sono ipotesi ausiliarie compatibili al nucleo centrale che riescono a dar conto delle anomalie stesse. il programma di ricerca e le teorie al suo interno devono essere abbandonate per uno migliore. Lakato suggerisce pertanto che le teorie non devono essere valutate olo sulla base della realtà empirica. ma il confronto deve essere trilaterale (three-comered test), ovvero tra aLneno due teorie e la realtà empirica: le teorie non devono essere testate solo contro i fatti, ma anche contro altre teorie.

1> Nonostante esistano numerosi studi sul sapere politologico generato dagli studiosi di politica comparata. essi sono spesso raccolte cli interviste a eminenti studiosi-dr. Munck e Snyder (2007) - oppure analisi in cui non vengono adottate regole comuni con cui va­lutare in modo sistematico il progresso della disciplina. cfr. Farr et af. (1995) e Mansfield e Sisson (2004). In enuambi i casi la sciemifìcità delle teorie non è stabilita sulla base di criteri oggettivi, ma sono i politologi stessi ad esprimere liberamente il loro giudizio su cosa sia conoscenza e cosa non lo sia. Questo tipo di operazione, che ha il merito indub­bio di far conoscere ai colleghi le preferenze dei più impananti srudiosi, non può essere considerato tuttavia un metodo rigoroso per decidere del progresso della disciplina poiché non si fonda su alcun criterio sciemifìco, ed è infarri descritto da lmre Lakatos (in Lakacos e Feyerabend 1995) come l'equivalente di una giuria che giudica senza leggi e che diventa così potenzialmente arbiuaria.

14 Un programma di ricerca è formato da altri due elementi: una «euristica negativa» che protegge il nucleo centrale da possibili critiche e una «euristica positiva>> che invece suggerisce al ricercatore come elaborare e sviluppare le teorie all'interno del programma di ricerca .

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La critica contemporanea allo studio «scientifico,, della politica 43

L'adozione dei criteri suggeriti da Lakatos non ha, tuttavia, generato accor<lo . ul progresso della disciplina. Se infatti tutti i principali esponi.:nti <lelle più importanti scuole delle Relazioni internazionali riconoscono come progressivi i propri programmi di ricerca (Di Cieco e Levy 2003; Keohanc e Martin 2003; Lee Ray 2003; Moravcsik 2003; chweller 2003 l e, pertanto. tutti sarebbero scientifici e cumulativi, allora forse nessuno di loro lo è per davvero. Inoltre, alcuni di quegli stessi studiosi hanno dichiarato che i pro­grammi di ricerca dei loro awersari intellettuali sarebbero «degenerativi» e dunque al di fuori dell'impresa scientifica (Vasquez 1997; Legro e Moravcsik 1999; chwcller 2000, 176). Tutto ciò mostrn che anche quando esistono regole comuni da impiegare per giudicare la bontà scientifica delle teorie, i.:s e non sembrano in grado cli decidere <lei successo o dd fallimento di un programma di ricerca, a tal punto che il giudizio -ulla conoscenza con:egui­ta, benché nece-sario per una <li -ciplina che vogli,1 essere una scienza, pare e sere un 'operazione irrealizzabile. Nel e.un po delle Relazioni internazionali la cumulatività del sapere esiste soltanto all'interno di alcuni filoni teorici come, ad e empio, nell'istituzionalismo secondo Keohane e Martin (2003 ), nel liberalismo secondo Moravcsik (2003) e nel realismo neo-classico secon­do Schweller (2003 ), ma non nelJa disciplina in generale in cui le divisioni. pe. so anche di carattere meta-teorico, come nel caso del razionalismo e del

costruttivismo (\Xlen<lt 1999, 115-125), sono t.ili da impedire la creazione di una autentica scienza della politica.

Ora, il consenso su ciò che appiamo non è sinonimo né di verità né di conoscenza scientifica poiché ci si potrebbe accordare su ciò che è falso e, come ha notato Lowi (2005, 49) in relazione al comportamentismo, potreb­be es ere il consenso, in un complicato processo politico, a produrre unJ cienza illusoria. Tuttavia, il consenso è un elemento nece:sario cli un sapere

politologico che vuole essere cumlÙativo, obiettivo esplicito dei cultori <lei metodi scientifici (Simon 1980, 72). Anche nelle scienze naturali, si dirà, il con en. o u ciò che:: conosciamo h,1 spesso vita breve e, anzi, non ·ono proprio la fallibilità del sapere scientifico e il suo essere continuamente sottoposto a scrutinio ad essere elementi che definiscono la scienza? Se la geniale e assai precisa teoria di Newton è stata modificata da quella di Einstein e Heisenberg, e anche queste ultime sono state poi me se in <liscussione, perché mai le cienze sociali dovrebbero fare differenza ed essere giudicate secondo criteri che non impieghiamo neppure per le scienze durer-

La correttezza di queste considerazioni è indubbia come del resto lo è l'impo, ibilità di una cono cenza assoluta e compiuta del mondo politico, ma tuttavia non è solo un e·pediente retorico sostenere che le differenza tra il ·ucces o delJe scienze naturali - la cui prova principale è la capacità sempre maggiore di prevedere e controllare il mondo naturale (Putnam 1975) - e gli a ai più mode ti risultati conseguiti dalle scienze soci.ili sarebbero scm-

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44 Lorenzo Zambernardi

plicementc una questione di grado? E in effetti non solo i politologi hanno sistematicamente fallito nel preve<lere i più importanti eventi degli ultimi trent ·anni - si pensi solo alla rivoluzione iraniana, alla fine della guerra fredda e all'invasione irakena del Kuw•Ùt - ma spesso i dibattiti _che hanno segnato lo sviluppo della disciplina sono finiti più per noia e stanchezza intellettuale che per le effetti\'e conclusioni raggiunte, conclusioni che peraltro rimango­no in uno stato di genera.le e permanente critica a tal punto da rendere lo studio della politica una scienza pre-paradigmatica (per utilizzare i termini di un filosofo, Thomas Kuhn, che, a dir il vero, non è più molto in voga tra i politologi). ivialgrado non vi siano dubbi che la conoscenza della politica ia incrc:mentata - si pensi al numero <li infomrnzioni empiriche accumulate e facilmente accessibili in data set quali Polity e il Correlates of War Project -così come è aumentata la preci ·ione delle tecniche metodologiche che oggi pos. iamo utilizzare. continuiamo a disporre di un patrimonio di propo izioni esplicative incompatibili tra di loro e su cui e. iste un limitato con. enso. Tant'è che, :enza timore di e sere contraddetti, si potrebbe affermare, parafra ando .la celebre frase del commediografìco latino Terenzio, che ci sono tante teorie quanti scien::.iati politici.

ost<.:nere, inoltre, che l'assenza di accordo u ciò che conosciamo. arcb­be da attribuire alla relativa gi<winezza della disciplina. come spe o è tato affermato (Hill 2004; Colomer 2004; Laitin 2004), significa, nel migliore dei casi, dimenticare o. nel peggiore. ignorare che tale argomentazione è almeno v<:cchia cli duecento anni, poiché fu formulata e avanzata - in rigoroso ordine cronologico- da Saint-Simon. Karl Marx eJohn Stuart lvlill (Oren 2005, 3). L'idea secondo cui i limitati successi dello studio scientifico della politica de­rivnebbero dalla non completa adozione delle tecniche tipiche delle cienze naturali è: una tesi che regolam1c:nte •lppare nella storia delle cienze sociali. A questo proposito, Charles Taylor ha arcasticamente osservato che le scienze . ociali sono state costantemente descritte come se vivessero in uno stato di permanente infanzia kit. in Oren 2005, 3). Inoltre, questa linea difensiva produce l'effetto assai negativo di proteggere le teorie da qualsiasi fallimento preseme. creando paradossalmente, almeno dal punto di vista del progresso scientifico, una barriera protettiva che rende difficile distinguere tra ciò che è conoscenza scientifica e opinione, uno degli originali e più importanti scopi perseguiti dai cultori del metodo scientifico. Una strategia che ricorda quella adottata dai marxisti che, per giustificare l'assenza della rivoluzione proletaria, erano soliti affermare che essa sarebbe arrivata in futuro; e che richiama anche la più recente tesi del teorico neoreal ista kenneth 'X'altz (2000) secondo cui «nei prossimi decenni» si forme rà un equilibrio di potenza per contrastare 1'1.:g<.:monia americana. In modo m1alogo alcuni dei sostenitori delle tecniche scientifiche invocano il futuro per giustificare i loro insuccessi presenti. Lo psicologo sociale Philip Tetlock (1999; 2005) ha o. servato, a t<Ùe propo ito,

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La critica contemporanea allo studio "scientifico» della politica 45

che la tesi «per cui il futuro ci darà ragione» è la tipica giustificazione urilizzara da chi non vuole ammettere gli errori delle proprie analisi.

Se all'inizio degli anni Quaranta e Cinquanta, quando la scienza politica era principalmente descrittiva e legalistica, le argomentazioni rclatin: alla propria presunta giovinezza apparivano legittime, oggi a circa sessanta anni di distanza e se hanno perduto gran parte della loro forza retorica. I limitati ucce i della scienza politica nello \0iluppare una conoscenza minimammte

paragonabile a quella generata dalle scienze naturnli uggcrisce infatti che i metodi e gli scopi di que ·te ultime non portano a risultati altrettanto apprez­zabili quando sono applicati all'universo sociale. Inoltre, dovrebbe indurre ad una certa riflessione il fatto che anche alcuni di coloro che in passato avevano propugnato lo studio scientifico della politica hanno oggi mutato radicalmente avviso. Giovanni Sarrori, che è stato a suo stesso dire ia un sostenitore dell'approccio scientifico sia un fautore del modello economico, ha infatti recentemente dichiarato di essere assai dispiaciuto di ~w1.:r «com­battuto» dalla parte della cienza (Sartori 200-i, 785 )1

'. Nello stesso ani colo dal contenuto altamente polemico. Sartori ha osservato, a proposito delruso <lelle tecniche statistiche, che la precisione quantitativa è solo apparenti:<: ha dato vita a «un gigante dai piedi di argilla sempre più grande» privo di una meta precisa (ibidem, 786).

Se dunque i membri della Perestroika non sembrano averi: avuto torto nel so·tenere che i successi degli approcci che i sono rifatti al modello delle scienze dure non siano stati così trionfali da giustificarne l'egemonia nella di ciplina, è necessario, tuttavia, muovere Lma critica alla Perestroika che pare avere, nella foga polemic<l, contribuito a rafforzar<: !"ingannevole.: divi:ione Lra cienza e non-scienza, una contrapposizione contraria ai propri propos1t1 iniziali. La polemica contro la scienza non è solo in1precisa <: fuorvianlc.:. <lai momento che raccoglie in un 'unica categoria stili di ricerca assai diversi fra di loro come l'analisi dei dati e la teoria formale. Ma ha avuto anche la con eguenza parado sale di portare argomenlazioni a favore di quella tesi, criticata esplicitamente da alcuni membri della Perestroika (Flyvbjerg 2001;

hapiro 2002· Yanow 2005), che descrive la scienza nei termini di un modello unitario, con regole precise che debbono essere sempre seguite a prescindere dalla specificità dell'oggetto di studio16

. Nell.attacco contro l'approccio scien-

u Già tra gli anni Sessanta e Settanta, Sanori (1970) aveva, tunavia, criticato la quantoma11ia tipica della sòenza politica americana.

16 Recenti analisi della storia della sòenza suggeriscono che essa non è portatrice di un modello metodologico unitario, poiché gli scienziati hanno modificato, pur mantenendo un elevato status scientifico, le loro esigenze di rigore e i metodi impiegati nella ricerca. on sembra pertanto essere l'uso di paròcolari metodi a determinare la linea di demarcazione tra scienza e non scienza. cfr. Psillos (1999).

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tifico allo studio della politica, la Perestroika ha contribuito in questo modo a consolidare rerronea distinzione tra scienza e non-scienza che precedente­mente avern proprio avuto l'effetto di delegittimare i metodi soft all'interno dell'accademia americana.

n pericolo che si corre nell'ingrandire e congelare questa frattura è quello di dan: ùta a un pluralismo metodologico sordo e banaLnente tollerante. La Pere:rroika vuole invece incoraggiare la combinazione Ji diver i metodi anche all'interno di un singolo st udio, dando vira a quello cheJarnesJohnson (2002. 2-15) ha chiamato engaged pluralism. La polemica contro i co id detti scienziati non ha infatti lo scopo di introdurre nella scienza poliLica un radicale relati­vismo metodologico fondato sul criterio feyerabendiano del qualsiasi cosa va bene, ma invece di dar credito a diversi stili di ricerca quali quello qualitativo nelle sue molteplici versioni e a legittimarne la combinazione17

.

L'abbandono della teoria politica

Secondo i membri della Perestroika, l'enorme preoccupazione per la metodo­logia, che ne ha quasi fatto un valore in sé e non più w1 semplice trumcnro per comprendere il mondo politico, ha accresciuto l'interesse per il margin~ùe e per que ·rioni dalla dubbia rilevanza politica (Smith 2002, 30; Sanders 2005) . Le aree infatti che non sono suscettibili di formalizzazione matematica o di mi:urazione e manipolazione quantitativa 'engono esclu e perché il loro .>tudio non sarebbe in grado di condurre a risultati scientifici. L'enorme interesse per la metodologia e la matematica e il tempo necc·sario da investire per ap­prenderne le sofisticate tecniche hanno inevitabilmente sacrificato sull'altare delle generalizzazioni universali la conoscenza della storia, della cultura e della lingua di particolari paesi e popolazioni , necc saria per comprenderne le specificità politiche, geografiche e storiche. A tale proposito Stanley Hoff­mann, un fiero sostenitore del metodo storico-tradizionale che non pare ancora essersi convertito all'orientamento scientifico, ha ironicamente osservato che «lo ·tudio ideale nella scienza politica contemporanea è l'analisi comparata della regolazione sanitaria della pasta in centocinquanta pae i. In questo modo c'è un sufficiente numero di casi per raggiungere una generalizzazione e non si deve neppure mangiare uno spaghetto: ciò che bastano sono i dali» (in Cohn 1999, 31 ).

17 Se interpretato non ideologicamente, il mono del filosofo della scienza Paul Feyerabend (1993 ). per cui qualsiasi cosa va bene. suggerisce un approccio pluralis ta e pragmatico alla questione dei metodi da adonare nella ricerca scientifica, simile dunque a quello proposto dalla Perestroika.

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La critica contemporanea allo studio «Scientifico» della politica 47

Il trade-off tra rigore scientifico e rilevanza politica e la scelta in favore del primo sono riconosciuti e rivendicati con un certo orgoglio da molti poli­tologi americani. A parere di Robert Keohane (200~ ) la scelta tra i due scopi è inevitabile: se si vuole evitare di trJ ·fom1are la ·cienza politica in «gio111;1lismo e commenco popolare>> è necessario optare per il rigore sciencifico sacrificando !"importanza dell'oggetto di cudio. Keohane sembra dunque suggerire - se si traggono le estreme ma logiche conclusioni del suo ragionamento - che sia meglio es ere degli scienziati che producono risultati poco rilevanti che intellettuali che trattano e discutono, in modo esplicitamente non scientifico, dei grandi problemi politici del momento. Una scelta che a parere di molti membri della Perestroika pare, a dir poco, discutibile. Con ciò non . i vuole uggerire che gli scienziati sociali dovrebbero interessarsi esclusivamente alle

grandi questioni politiche della propria epoca - quella della Pere troi.ka non vuole essere una apologia dcl presentismo - ma più semplicemente difendere dalle accuse di giornalismo e cronaca politica quella categoria di studiosi che .i occupa di t<Ùi temi e pubblica in riviste considerate professionalmente poco rigorose come «Foreign Policy» e «Foreign Affairs» (\Xlalt 2005, 39l.

Ma è la teoria politica ad avere sofferto maggiormenLe ddl"egemonia degli approcci quantitativi e form.1li ( hapiro 2002), a tal punto che, in alcuni dipartinienti di cienza politica, il suo in ·egnamento è stato per diversi anni quasi completamente abbandonato (Kasza 2001, 598)18

. Poiché in molte delle opere classiche del pensiero politico mal si di ·tinguc.: tra giudizi di valore e: giu­dizi di fatto, poiché iloro autori attingono da dati geografici e temporali troppo limitati per stabilire leggi universali (si pensi a Machiavelli che fondava le sue ;mali i principalmente sulla sola storia di Roma), i politologi contemporanei hanno mostrato una generale indifferenza per la teoria o filosofia politica. In alcuni tu<liosi quello che è un legittimo disinteresse per questa disciplina si è tra formato in esplicita e radicale repulsa. Per esempio, classici del pensit:ro politico quali Machiavelli e Montesquieu sono per Joscp Colomer «autori <li tesi ambigue e confuse che non potrebbero mai essere pubblicale sulle rivi-te politologiche contemporanee». La storia del pensiero politico. continua

Colomer, è una perdita di tempo, ed è inspiegabile come «i cosiddetti autori classici pos ano essere equiparati allo stesso livello - o addirittura a un livello superiore - dei sofisticati studiosi contemporanei» (2004, 794) 19

.

Interpretare, tuttavia, la storia del pensiero poliùco come una sorta <li «proce . o di sterminio» in cui i pensatori sono gradualmente eliminati perché

1 In questo articolo teoria politica e fì.losofìa politica sono utilizzati come sinonimi, come del resto avviene nell'accademia americana. Come ha recentemente ricordato Angelo Panebianco (2004, 247 ), per Giovanni artori la teoria politica è invece un tertium ge1111s che va distinto sia dalla scienza politica che dalla fì.losolia politica.

19 Corsivo mio.

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sarebbero -olo gli ultimi ad essere i depositari della verità, porta inevitabil­mente a distorcere il valore e la funzione della teoria politica, che non intende occupar:i di verità da dimostrare comi: quelle matematiche e geometriche. Anche tralasciando il fatto. tutt'altro che trascurabile, che Machiavelli e Montesquieu elaborarono le loro «tesi ambigue» nella forma di tipologie fondate su analisi storiche ed empiriche. lamentare e, addirittura, considerare «confuse» quelle tesi non significa solo ignorare i limiti oggettivi nei dati a disposizione degli autori classici- talché tra cinquanta anni, sulla base di nuovi dati e tecniche stalistiche, si potrà probabilmente muovere a Colomer la ste a critica che egli ha mosso a Machiavelli e Montesquieu - ma significa, ancor più gravemente, non comprendere il ruolo che p.otenzialmente è in grado di svolgere la riflessione politica dei classici. Come un critico della separazione tra scienza e teoria pol itica ha scritto all'inizio degli anni-Novanta:

Con !"emigrazione della teoria politica al suo arcipelago intellettuale e profes ionale. da cui fa solo qualche visita occasi0nale ... la scienza poli tica ha perduro gran parte delle. ue capacità autocritiche. E la teoria politica ha perduto la connessione con la parte principale della realtà istituzionale che la lega indiret­tamente a!Ja politica (Gunnel 1990. 37l.

Negare il valore della teoria politica significa infatti tagliare le radici da cui la -cienza pol itica ba tratto le proprie origini e la propria vitalità. In tctlc recisione giace la totale incapacità di comprendere il vero ruolo della filosofia politica che non è scoprire la verità ma, nelle parole di un avversario ante litteram del comportamentismo, «continuare a sollevare i problemi perenni della politica e rif01mularne le perenni verità alla luce dell'esperienza con­temporanea» (Morgenthau 1962, 48) . Lo studio del pensiero politico non è di cc:rto in grado di fornire rispo te e soluzioni alle gravi questioni attua li, ma una scienza politica sconnessa dalla filosofia è incapace di comprendere il contenuto dei quesiti perenni che la polilica pone, di conoscere le ri:po ·te che in epoche diverse sono state fornite a tali problemi e, infine, di considerare la precarietà delle soluzioni adottate.

La teoria politica, collegando il pre. ente con il proprio sviluppo storico. dovrebbe influenzare, secondo i membri della Perestroika, l'agenda futura della scienza politica. Nello spirito di Max \\leber che in La scienza come pro­fessione aveva mostrato come il giudizio su ciò che è ritenuto rilevm1te studiarç dalla scienza non fosse e non potesse essere fondato su criteri scientifici, si conclude affermando che la teoria politica dovrebbe stare al centro, e non alla periferia. della scienza politica.

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La critica contemporanea allo studio «Scientifico» della polrtica 49

Conclusioni

Lo copo della Percstroika non è né di deplorare né di scoraggiare lo studio della politica tramite l'uso dei metodi tipici delle scienze empiriche, ma quello invece di mostrare che i risultati conseguiti da tale orientamento non sono stati cosl fruttuosi da giustificarne legemonia nella disciplina. Se, dunque, l'utilizzo dell'approccio scientifico non ha contribuito a costruire una autentica scienza della politica, se, inoltre, ha screditato tecniche, quali quelle qualitative, assai utili per indagare rilev;mti questioni empiriche come i meccanismi cau <W, e se, infine, tale impresa ha dato vita a una scienza sconnessa dalla filosofia politica da cui essa aveva inizialmente tratto origine, ebbene il pluralismo meco<lologico invocato dalla Perestroika pare essere un valore da difendere e istituzion.Jiz­zare in modo permanente o, almeno, fintantoché non si proverà che i metodi scientifici sono superiori agli approcci qualitativi e non formali.

I mutamenti avvenuti nella cienza politica americana negli ultimi sei anni dovrebbero indurre a un giustificato ottimismo in tutti coloro che cre­dono nel pluralismo metodologico. Ciononostante tali cambiamenti. se letti in una pro pettiva storica, potrebbero essere destinati a durare soltanto nel breve periodo. Il movimento della Pere troika è infatti stato preceduto. so­prattutto nell'ambito delle Relazioni internazionali, da altri critici che hanno, però, fallito nei loro obiettivi polemici. La prima valutazione negativa dello studio scientifico della politica era stata lanciata negli anni Quaranta da Hans Morgenthau nel suo I.: uomo scientifico versus la politica di potenza ( 1946) che - ebbene sia una delle critiche più articolate allo scientismo - è stata e tuttora rimane genernlmente ignorata nella disciplina. Il secondo giudizio negativo, avanzato durante il «secondo grande dibattito» delle Relazioni internazionali, è quello di Hedley Bull (1966) e Stanley Hoffmann (1959) <Ù positivismo di autori quali Morton Kaplan e Karl Deutsch20. Come si è accennato. entrambe le critiche non sono riuscite ad arginare l'avanzata degli approcci scientifici nell'accademia ame1icana che, negli anni immediatan1ente successivi. i ·ono infatti diffusi estesamente. Se da un lato ciò segnala l'ininterrotta esistenza <li una minoranza di scettici nei confronli del tecnicismo metodologico, dall'alm:i lato, ciò mo ·tra che il mito delle scien::.e dure non è stato una malattia infantile della cienza politica an1ericana, bensì pare esserne un elemento costitutivo e fondante . In questo senso, gli spazi conquistati dalla Perestroika potrebbero es ere destinati a restringersi ancora una volta, ma oggi - vista la sempre mag­giore integrazione a livello globale della disciplina - tale evoluzione avrebbe potenziali conseguenze negative anche su realtà accademiche di altri paesi .

20 Su quel dibattito si vedano i seguenti contributi italiani, cfr. Pasquino ( 1969) , Bonanate (1973), Panebianco (1973 ).

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50 Lorenzo Zambemardi

I temi emersi nel dibattito cL cui ci si è occupau m questo aggio suggeri ·cono cbe, seppure la ·cienza politica italiana soffra di alcuni indubbi problemi (Lucarelli e Mcnotti 2002; Plùmpcr e Radaelli 200-l), almeno per quanto riguarda il pluralismo metodologico essa non gode <li un pessimo tato di salute ed è auspicabile cbe anche in futuro pre ervi la propria pluralità di stili e metodi. evitando processi di omologazione il cui costo intellettuale si è dimostrato essere più elevato del valore dei ri ultati conseguiti. Vale la pena ripetere, a mo· di conclusione, che con ciò non si vuole difendere un plurnlismo anarchico e banalmente tollerante, bensì in­c0raggiarc w1 pluralismo consapevole in grado cL dare vita a combinazioni metodologiche Yirtuose che, è giu. to sottolineare, nell'accademia italiana sembrano tuttora mancare.

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