AUGUSTO BERTOCCHI
100 giorni per…
micro Pensieri in ordine sparso
“Riportare nel diario un pensiero intelligente che abbiamo letto, qualcosa di interessante che abbiamo sentito, ci fa piacere. Ma se avessimo l’accortezza di riportarvi le osservazioni singolari, le opinioni originali, le battute di spirito contenute nei discorsi dei nostri amici, ci arricchiremmo moltissimo.” ( GOETHE )
“Viviamo in un'epoca dove le cose superflue sono le nostre uniche necessità.”
( Oscar Wilde )
Presentazione
Siamo soliti ascoltare tantissime interviste a personaggi di ogni colore, innumerevoli
dibattiti che sempre più sembrano ad una spettacolo di gladiatori pronti a combattere sino
all’ultimo sangue, in attesa del “pollice verso“ per condannare a morte il proprio avversario;
siamo costretti a sorridere, inveire, partecipare, condannare, insultare, minacciare; siamo
portati all’esasperazione, al non poterne più, a dire “basta!” Oh, quanti spettacoli devastanti
e distruttivi!
Tutto ciò è democrazia? Ebbene, mio malgrado, debbo dare una risposta affermativa: un bel
sissignore, essendo sempre più convinto che è meglio una brutta democrazia che una bella
dittatura.
Mi è capitato, una sera, di ascoltare un’intervista fatta ad un notissimo uomo politico e
trasmessa da uno dei canali televisivi più popolari. Costui aveva scritto un libro e aveva
colto l’occasione per farne opportunamente una degna propaganda. Fui stupito dal suo
invito rivolto agli uditori ad esercitarsi a scrivere, senza timore e senza mai avere la pretesa
di pubblicare i propri scritti. Insomma scrivere per sé stessi con lo sguardo rivolto al mondo
della realtà e della fantasia per tenere costantemente la nostra mente in allenamento.
E’ incredibile quanto sia difficile mettere in ordine le proprie idee, quando siamo assillati
da snervanti confabulazioni silenziose che ci arrovellano il cervello durante i silenzi notturni
e diurni. La nostra autostima costantemente sotto attacco scatena pericolosi meccanismi di
difesa, molto spesso devastanti per noi stessi e per chi ci circonda.
Scrivere è un mezzo efficace per riequilibrare le proprie energie mentali che devono essere
incanalate verso una produzione di riflessioni concrete e positive senza indulgere ad alcuna
forma di autocommiserazione: uno sguardo, dunque, rivolto alla realtà.
1° giorno Nulla di speciale
Sono circa le sette del mattino. Mi risveglio senza troppi sbadigli. Non sono mai
appartenuto alla schiera di coloro che tra uno sbadiglio e l’altro chiedono di poter dormire
ancora cinque minuti. Mi considero fortunato perché, appena sceso dal letto, recupero
immediatamente tutte le mie energie come se il sonno fosse stato una semplice interruzione
della mia veglia perenne. Il cervello è già alle prese con il via vai dei pensieri rivolti ad
organizzare il programma della giornata. Vado in cucina per preparami la colazione che
consiste in un mezzo pane inzuppato in una tazza di caffelatte, e la solita frutta.
Apro la finestra per una boccata di aria fresca. Uno sguardo al cortile sottostante. Sento i
passerotti che cinguettano tra gli alberi del condominio, mentre osservo un vicino di casa
rincantucciato all'angolo della strada, in attesa che il suo cane abbia trovato la solita pianta o
il solito posto per soddisfare le proprie esigenze mattutine.
Il sole all'orizzonte esulta dopo essersi fatto precedere da luminosissimi bagliori rossastri
che incorniciano nubi che si rigenerarono in continue forme evanescenti. Mi emoziono
sempre di fronte alle cose semplici, proprio come un bambino che non si stanca mai dei suoi
giocattoli: il sole, il poveruomo, il cortile, il cane, i passerotti... ! Mia moglie si attarda
ancora un poco nel letto: ne approfitto per contemplare i fiori sul davanzale e per
controllarne il loro stato di salute; alcune foglie ingiallite pencolanti o assalite da
odiosissimi vermiciattoli denotano palesemente la loro precarietà.
Ecco i primi momenti di un una giornata di un uomo che non pretende nulla di speciale se
non il piacere e allo stesso tempo il coraggio di vivere la normale quotidianità.
Il sole ha già invaso l'orizzonte in tutto il suo splendore. La giornata si annuncia serena.
2° giorno
Un mondo pulito
Saltellava graziosamente la bambina vestita di rosa accanto alla mamma che la teneva
amorosamente per mano affinché non corresse il rischio di scendere dal marciapiede e
magari essere travolta da qualche inferocito automobilista in orario di punta. Un paio di
occhialini anch’essi rosa le incorniciavano il volto e le nascondevano in parte due occhioni
neri e vivaci.
“Mamma, mi dici sempre di essere ordinata e di non sporcarmi; ma guarda come è sporco
questo muro! Cosa vogliono dire questi disegni?” Chiedeva la bimba con insistenza. La
mamma diresse lo sguardo verso il punto indicato dalla sua innocente figlioletta e rimase
sconcertata nel vedere il muro imbrattato da sconcezze. Non sapendo come rispondere,
accelerò il passo, obbligando la piccola a saltellare più velocemente. Giunsero finalmente
alla scuola.
La mamma si congedò dalla figlia stampandole un bel bacione sulla fronte e
raccomandandole di fare la brava. L’innocenza di quella bambina mi suggerisce un senso di
pulizia e di freschezza. Troppo presto i fiori del giardino sfioriscono e cedono spazio
all’invasione delle erbacce che li soffocano. .
E’ un’utopia desiderare un mondo pulito? Basta leggere alcuni commenti pubblicati da
lettori di giornali on line o da blogghisti di ogni estrazione per rendersi conto che le
sconcezze e le volgarità diffuse in nome di una una presunta libertà di pensiero sono solo
un anticipo dell’immondizia che ormai dilaga incontrollata dovunque e comunque. Sono
tuttavia un inguaribile utopista e sognatore. Continuo quindi a sognare un mondo più pulito.
E’ un meccanismo di difesa sognare e sperare? Forse!
3° giorno Porte chiuse
Non intendo riferirmi all’opera teatrale “A porte chiuse” scritta da J.P.Sartre, né al celebre
film diretto dal regista Dino Risi.
La mia riflessione è molto più modesta e prende spunto da un annuncio scritto a grandi
lettere sulla porta di una casetta di un piccolo borgo disperso in una delle numerose valli
splendidamente invitanti ed accoglienti delle Alpi del Piemonte. “Porta stai aperta… Non ti
chiudere a nessuna persona onesta”. Scattai una foto a quella porta nel tentativo di
immortalarne la scritta che aveva per me un duplice significato: un invito ad entrare ma
soprattutto un invito ad essere onesti. L’onestà era l’unico requisito per essere accolti in
quella casa, indipendentemente dal colore, dalle precarie condizioni sociali o dalla diversa
professione di fede o di nazionalità.
Si deve ammettere che oggi accogliere una persona sconosciuta in casa presuppone una
buona dose di coraggio se non addirittura di incoscienza. Troppi fatti di cronaca narrano di
persone aggredite, derubate o addirittura violentate per essersi fidate ad aprire la porta ad
estranei malintenzionati. La prudenza e soprattutto la paura oggi ci obbliga a barricarci in
casa non solo a porte chiuse ma addirittura sprangate o protette da sofisticati sistemi di
antifurto con tanto di allarmi visivi e sonori.
Quanta solitudine! Questo è il risultato delle nostre paure e dell’insicurezza nella quale
troppo spesso siamo costretti a vivere.
“Non serve a niente una porta chiusa… la tristezza non può uscire e l’allegria non può
entrare!” scriveva Luis Sepulveda. Lo scrittore cileno ci invita, comunque, a sognare in un
mondo migliore, ad avere il coraggio di essere ottimisti e fiduciosi almeno verso coloro che
ci stanno accanto e condividono con noi la stessa sorte. _______________________________________________________________________________________________
4° giorno Inviata dalla schiera degli “eletti”
Una mattinata normale. La sua vita trascorreva tra molteplici impegni per il consueto
disbrigo dei problemi di famiglia e soprattutto per l’assistenza della madre molto anziana ed
ammalata. Quella mattina il mio amico si era recato nel paese vicino. Molto spesso, tra
divieti di sosta e nuove direzioni di marcia con relativi sensi unici si è in preda a dubbi e
incertezze nel dover scegliere la giusta direzione. Proprio mentre percorreva uno di questi
vicoli fu colto dal dubbio se girare a destra al primo o al secondo incrocio? Rallentò al
primo incrocio e mentre stava controllando se fosse la scelta giusta, esitando, si fermò per
qualche istante. Non si era accorto che un potente Suv, guidato dalla solita giovane signora
affaccendata e nervosa, lo stava seguendo. Istericamente la “signora” iniziò a suonare il
clacson come un perentorio ammonimento affinché si sbrigasse a lasciarle libera la strada.
Fortunatamente per lei, il mio amico, che è dotato di ironia e di un carattere conciliante, non
si perse d’animo e decise di dare una lezione di bon ton alla solita intollerante e impaziente
“signora”. Spense il motore, uscì con tutta tranquillità dall’auto, si diresse verso l’irrequieta
autista che ora appariva piuttosto preoccupata e impaurita.
“Scusi, gentile signora, le vorrei rivolgere una domanda. Si tranquillizzi, non ho intenzioni
aggressive.” Tentava in tal modo di rassicurarla. Lei allora abbassò un poco il finestrino,
quel tanto che gli permise di rivolgerle un brevissimo discorsetto: “Le devo confessare
signora, che io purtroppo non appartengo come lei alla schiera degli eletti e sono un comune
mortale che talvolta ha il diritto di dubitare e di avere qualche esitazione e incertezza. Mi
permetta quindi di arrivare a casa sano e salvo! Grazie e buona giornata!” Con calma tornò
alla sua auto, riavviò il motore, contento di aver dato una lezione di buone maniere ad una
signora piuttosto prepotente e alquanto boriosa.
5° giorno Il vizio della … “bastianite”
Volendo conoscere l’origine di “bastian contrario”, consultai un’enciclopedia trovandone
facilmente l’autentico significato spiegato da un prestigioso ricercatore della Crusca:“Per
quanto riguarda l'espressione bastian contrario siamo di fronte ad un meccanismo di
coniazione popolare basato sulla trasformazione da nome proprio a nome comune: il punto
di partenza è certamente il nome di un uomo, Bastiano, che, per la sua attitudine ostinata
ad essere contrario a tutto, diviene proverbialmente il simbolo di questo atteggiamento.” (Marco Biffi sul n.25 della “Crusca per voi”, ottobre 2002). Dunque è evidente che l’espressione bastian contrario equivale allo “spirito di
contraddizione”. Non mi riferisco ai soliti uomini politici che ormai dello spirito di
contraddizione ne fanno un’arte e soprattutto un’arma, ma le mie osservazioni sono rivolte a
quelle persone antipatiche che hanno il vizio di contraddire tutti e tutto. Si pensi alle
interminabili diatribe tra familiari, colleghi, amici, clienti, rappresentanti del potere religioso
e civile …! Insomma, in tali circostanze la pazienza e il controllo dei nervi sono
indispensabili. Chi di noi può negare di aver contraddetto spesso i propri amici o parenti?
Sarebbe un esercizio inutilmente retorico chiedersi se siano più le donne che gli uomini ad
essere affetti dalla sindrome della “bastianite”.
Essendo lo spirito di contraddizione una caratteristica puramente umana, per risultare
proficuo, dovrebbe essere mantenuto nei limiti del razionale e incanalato verso un’attenta
analisi dei problemi, evitando di disperdersi oziosamente in inutili e odiose osservazioni che
purtroppo sono tipiche degli ’“onnipresenti” bastian contrari.
Mi avevano fatto sorridere, tempo fa, le dichiarazioni di un consigliere comunale
proclamate a conclusione di un infuocato dibattito: “In linea di massima siamo d’accordo
con la proposta della maggioranza, ma siccome noi siamo all’opposizione, voteremo
contro”. Che dire? _______________________________________________________________________________________________
6° giorno I bambinoni
“Dove vai?” chiese la moglie al marito che stava uscendo di casa. “Vado al parco giochi a
far divertire quel bambino che è in me!” rispose sorridendo con ironia il coniuge.
Può sembrare una barzelletta ma ritengo che quella simpatica risposta racchiuda una grande
verità: in noi per tutta la vita permane la voglia di ritornare ad essere gioiosi e spensierati
come lo eravamo da bambini, alla ricerca di una innocenza che si è perduta con il trascorrere
del tempo e il sopraggiungere delle vicissitudini che la vita inevitabilmente ci offre.
Qualche antropologo sostiene che il risultato ultimo della lunga evoluzione dell’uomo, da
“homo erectus” a “homo sapiens”, sia l’”homo ludens”, ossia l’uomo che gioca. L’animale
che sa giocare è senza dubbio un animale intelligente.
Bello questo aforisma:”Voglio tornare bambino perché le ginocchia sbucciate fanno meno
male di un cuore infranto”
Nel Vangelo si legge:”In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i
bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18,1-5).
Sia l’aforisma sia l’esortazione del Vangelo sono un’occasione per riflettere sull’importanza
di coltivare in noi stessi quella voglia di amare e di guardare il mondo con gli occhi del
fanciullo, quel mondo amico e protettore che purtroppo spesso è abbruttito da uomini che
dimenticano la loro fanciullezza e che in nome di astruse velleità hanno dimostrato solo
arroganza e violenza, uniformandosi al modello del “macho”, con tanti muscoli e poco
cervello. Quelli in verità sono i bambinoni nel senso peggiorativo del termine, poiché del
bambino hanno solo mantenuto e magnificato l’irrefrenabile egocentrismo che li induce ad
essere sempre più pericolosi ed arroganti.
Quanti di questi bambinoni purtroppo riempiono le pagine dei giornali e i blog con le loro
intemperanze e con le loro esternazioni che fanno vergognare i nostri fanciulli. Sono
nauseato nel leggere, quasi quotidianamente, le violenze e le sevizie che sono perpetrate a
danno di tanti piccoli innocenti da uomini “maturi”.
Fa sempre riflettere il titolo del libro scritto da Primo Levi: “Se questo è un uomo.”
7° giorno I panchinari di paese
Ogni paese che si rispetti ospita e protegge i propri panchinari. Sono nella stragrande
maggioranza pensionati nullafacenti ed oziosi, male tollerati in casa da mogli o parenti che
li giudicano ciabattoni perditempo e fastidiosi, e che vengono puntualmente esortati con le
buone o le cattive ad uscire di casa con l’invito a fare una passeggiata salutare per il paese o
dove meglio preferiscono. L’importante che si tolgano dai piedi.
La solita panchina è la loro meta dove vanno ad occupare il solito posto con i soliti amici.
Guai a passare davanti a loro! Iddio vi protegga!
Appollaiati su quella panchina come pappagalli sul trespolo, tutto vedono e tutto sentono:
niente e nessuno sfugge ai loro sensi apparentemente sopiti ma in realtà sempre pronti a
captare ogni novità, a squadrare tutti coloro che purtroppo sono costretti a transitare davanti
alle loro antenne particolarmente sensibili: captano ogni impulso elettrico e sonoro,
registrano, discutono tra loro, ridacchiano, sospirano, sbadigliano. Vagliano ogni notizia ,
selezionano, commentano e infine “stampano” il bollettino della giornata a spese dei
malcapitati passanti.
La panchina che loro occupano si trova in un punto decisamente strategico: alla fine del
viale delle rimembranze, in prossimità di un triplice incrocio che si dirama verso il centro
del paese, verso la piazza e verso le scuole, la banca e le poste. All’altra estremità del viale
c’è la palazzina del Comune. Un posto ideale per stabilire la vedetta. Quale cittadino, infatti,
non ha occasione almeno una volta alla settimana di passare attraverso quelle “forche
caudine”? Volenti o nolenti ci si deve rassegnare a lasciarsi radiografare dai panchinari che
alla fine della giornata, soddisfatti, possono affermare orgogliosamente che non sono
indifferenti alle vicende socio-politiche e che ogni giorno dimostrano di interessarsi al bene
comune dei loro concittadini, informandosi di tutto e di tutti. Peccato che tornati a casa
devono invece fare i conti con le proprie mogli e i cari parenti che li accolgono con un
glaciale: “Ma sei già qui?” _______________________________________________________________________________________________
8°giorno La sindrome di Caino
L’umanità, subito dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre iniziò a
delinquere: i loro figli si odiavano a tal punto che un giorno il primogenito Caino si avventò
contro il fratello Abele e lo uccise.
Il primo delitto che la Bibbia ci racconta è un fratricidio. Ma perché Caino ammazzò suo
fratello? Per gelosia! Dio, infatti, gradiva gli olocausti di Abele, e li preferiva a quelli del
fratello.
Romolo e Remo anch’essi erano due fratelli, eppure uno uccise l’altro. Il perché di un simile
delitto è da ricercare ancora nella gelosia e nell’invidia che si scatenano quando si tenta di
ottenere la supremazia del potere.
“Amor de fradelo, amor de cortelo” così il dialetto veneto traduce il noto proverbio ”Amore
tra fratelli è amor di coltelli”.
Che fine ha fatto il tanto decantato amor fraterno? Esistono moltissimi racconti, aneddoti,
film che esaltano l’amor fraterno che in alcune occasioni diventa addirittura eroico. Per
liberare e salvare il proprio fratello si organizzano crociate, ci si sfida a duello, si superano
difficoltà quasi insormontabili; insomma si è disposti a tutto pur di riabbracciare il proprio
fratello. E’ leggenda o realtà? Personalmente propendo per la prima ipotesi e non esito a
definire che l’esortazione divina “Amatevi fratelli, come io ho amato voi” sia stata
comandata proprio perché i fratelli non si amavano.
“Parenti serpenti” recita un altro proverbio ben noto a tutti. Possiamo sostenere dunque che
il rapporto tra fratelli in ogni angolo della terra è decisamente conflittuale o, nella migliore
delle ipotesi, paragonabile ad una continua tregua armata. Guai ad oltrepassare quei delicati
confini fisici o mentali che ognuno ha tracciato per sé: la guerra sarebbe inevitabilmente
dichiarata!
I cuccioli d’uomo presto superano l’infanzia ed altrettanto presto diventano adulti. I loro
giochi caratterizzati anche da piccoli soprusi si trasformano, in men che non si dica, in
pericolosi scontri sia fisici sia verbali. I conflitti si moltiplicano, si tracciano confini, si
inviano ultimatum e la guerra è una continua minaccia.
Avvocati e notai tutti i giorni assistono a penose e feroci diatribe tra fratelli quando , per
loro fortuna o sfortuna, devono spartirsi qualche eredità. Un solo esempio per tutti!
9° giorno I cinici erano filosofi greci
Sì, i cinici erano i seguaci della scuola filosofica fondata da Antistene e Diogene di Sinope
nel IV secolo a.C.
“Ideale dei cinici è il raggiungimento dell’autosufficienza dello spirito che considera ogni
bene esterno come “indifferente” e quindi tale che non possa smuovere l’animo dalla sua
assoluta apatia” (Enciclopedia Treccani on line). La “svergognatezza” cinica era considerata
un ideale da raggiungere per dare il massimo valore alla libertà individuale. Per ulteriori
notizie circa questo movimento filosofico rimando alla lettura di un buon libro di storia
della filosofia. Io mi limiterò a trarre alcune conclusioni per dimostrare che il cinismo nella
sua forma più immediata e popolare è sempre esistito e sempre esisterà. Che dire
dell’indifferenza che dilaga ai giorni nostri circa i gravi problemi che ci assillano:
inquinamento, violenze, guerre, fame nel mondo, mutamenti climatici, incidenti stradali, e
tutte quelle tragedie che, travestite da notizie, i nostri mass media ogni giorno ci
ammanniscono?
Alcuni anni fa, durante le mie ferie al mare, prima di recarmi in spiaggia, ero passato
davanti all’edicola; avevo acquistato il giornale ed esplorato velocemente le notizie più
importanti e poi mi ero diretto verso la solita spiaggia. Quella mattina, in prima pagina ,
erano state pubblicate alcune immagini scioccanti: un groviglio di macchine accartocciate ai
margini di un’autostrada e un titolo a caratteri cubitali: “Quattro morti e tre feriti
sull’Autostrada Torino - Savona”.
Prima di raggiungere mia moglie che mi stava attendendo, mi incontrai col bagnino al
quale riferii la tremenda notizia. Costui, con una indifferenza da far invidia ai seguaci dei
cinici, mi rispose: “Mio caro signore, ma di che si preoccupa? Essendo così tanti sulla faccia
della terra, chi vuole che se ne accorge di quattro in più o in meno?” Ammutolii, lo salutai e
mi diressi verso l’ombrellone dove mia moglie se ne stava beatamente in contemplazione di
un mare particolarmente luminoso sfrangiato da piccole onde che si riversavano sulla
spiaggia, spumeggiando.
10° giorno In autostrada
Appartengo fortunatamente alla schiera di coloro che in autostrada ci vanno poche volte
all’anno. Mi stupisco sempre della possibilità di marciare a velocità alquanto elevata che mi
permette di valutare bene il confort e le eccellenti prestazioni di sicurezza della mia auto.
Ma dopo il primo impatto positivo con la lunga scia di asfalto che mi invita irresistibilmente
a correre e a sfidare coloro che mi si affiancano, me ne accorgo che la mia vista si inchioda
sempre più costantemente su quel serpentone grigio che mi cattura e mi obbliga per ore a
concedermi poco o nulla, se non il controllo quasi isterico del contachilometri.
Improvvisamente un cane appare sulla corsia di emergenza ma che, impaurito, si ferma
fortunatamente al bordo dell’autostrada come inchiodato dal terrore nel vedere sfrecciare
quei mostri rumorosi e rombanti. Non ho mai saputo che fine abbia fatto quella povera
bestia.
Quel cane mi rimase impresso nella mente per tutta la giornata e mi riportò alla memoria
un altro episodio di cui sono stato protagonista il giorno in cui mi stavo dirigendo verso
Torino per inaugurare la mia auto nuova di zecca. Sfrecciavo tranquillo nella corsia di
sorpasso quando vidi un cane sbucare dalla siepe che cresceva sul muretto dello
spartitraffico, e saltare a pochi metri davanti a me pochi istanti prima che sopraggiungessi.
Per mia fortuna il cane si fermò, e potei così evitarlo. Anche allora non seppi che fine
avesse fatto quel cane o quale pauroso incidente abbia potuto causare. Ricordo solo che alla
prima piazzetta mi fermai per respirare a fondo e per permettere alle mie pulsazioni
cardiache di rallentare il loro ritmo. Ero scioccato al pensiero del rischio che avevo corso,
un rischio che poteva avere tragiche conseguenze per me e mia moglie che mi stava a
fianco. Ci guardammo a lungo in faccia nella speranza che i colori del viso tornassero alla
normalità. ______________________________________________________________________________________________
Primo intervallo
“Andare a teatro si assiste talvolta a spettacoli noiosi, costosi e deludenti; uno spettacolo garantito, invece, è quello che si può contemplare per strada o in una piazza, dove la commedia umana si svolge senza finzioni: affascinante ed effervescente!” _______________________________________________________________________________________________
11° giorno La dea-parola
Se fossi un pittore vorrei usare i colori della mia tavolozza per dipingere il duplice volto
surreale della dea-Parola, con colori luminosi sfumati da ombre audaci che esaltino la
maestosità della dea.
Una chioma di capelli morbidi e fluenti corona il suo primo volto e dona una seducente
dolcezza al suo sguardo melanconicamente riflessivo. Gli occhi chiari e penetranti ci fissano
con insistenza come se volesse scandagliare i nostri più reconditi pensieri. La sua mano
destra bianchissima, quasi esangue, indica un grande libro aperto collocato su un leggio di
squisita fattura in puro stile liberty.
Uno specchio dipinto alle sue spalle, ahimè, rivela l’altro volto di questa sconvolgente
figura mitologica: un volto istrionico di una donna avvezza ad affrontare cattiverie e
malignità, un volto che tradisce un’antica bellezza devastata dalle angosce e dalle
vicissitudini di una vita travagliata da grandi e tristissime delusioni. I capelli sono diradati e
scompigliati, gli occhi spenti in un volto ormai inespressivo. Profonde rughe impietose la
umiliano. Lo specchio, nonostante sia collocato in penombra riesce comunque a riflettere
distintamente il lato più oscuro e sconvolgente del secondo volto della dea.
Le pagine del libro sono bianche e vuote, e la penna pronta per scrivere qualsiasi discorso
che la fantasia inesauribile e prodigiosa della dea misteriosamente voglia comporre:
insomma un libro magico che non ha limiti né di tempo né di contenuti. Il Bene e il Male
formano un binomio inscindibile che la dea con il suo immenso potere domina e manipola,
condizionando la vita di tutti gli abitanti di questa terra.
12° giorno Parlare o no…?
Parlare o non parlare? Non è un dubbio shakespeariano ma la ragionevole domanda che
dobbiamo porci ogni qualvolta ci si offra l’occasione di esprimere il nostro pensiero.
Il Qohelet (3,1-15) ci ricorda che “c’è un tempo per ogni cosa” e quindi c’è un tempo per
parlare e un tempo per tacere.
L’aforisma di Molière “Uno stolto che non dice verbo non si distingue da un savio che
tace” ci invita a riflettere.
La parola introduce differenziazioni di cultura, di civiltà, di pensiero tra le nazioni, così
come tra gli stessi appartenenti ad una qualsiasi comunità. Il silenzio non sempre è
tollerabile soprattutto se denota l’assenza totale di un qualsiasi pensiero e quindi la
predisposizione ad accettare passivamente il pensiero altrui. Se all’aforisma molièriano
accostiamo l’aforisma di Edmund Burke “Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni
rimangano in silenzio” ricaviamo la certezza che il silenzio e la parola non possono mai
essere disgiunti fra loro.
La parola ci permette di esternare la nostra individualità, i nostri doni, la nostra dignità.
Dobbiamo, quindi, essere responsabilmente orgogliosi nel predisporre tutti mezzi necessari
per accrescere le nostre capacità di usare in modo proficuo e intelligente la parola.
Ricordo anni fa di aver seguito lo sceneggiato televisivo “At salut, Pader”. Narrava delle
esperienze di un sacerdote che svolgeva la sua opera educativa tra ragazzi cosiddetti
“difficili” ai quali rammentava spesso che le bestemmie si imparano subito ma che, per
parlare correttamente, occorrevano, invece, fatica e molti anni di studio. Solo se avessero
imparato a parlare dignitosamente avrebbero ottenuto qualcosa nella vita e si sarebbero
riscattati dal mondo di degrado in cui si trovavano.
La parola, dunque, deve essere usata nei modi e nei tempi opportuni; il silenzio, invece, è
necessario per riflettere e per ricercare contenuti e per approfondire la scienza più difficile
del mondo: conoscere sé stessi.
13° giorno I colori e i suoni della montagna
Dire che si resta affascinati dinnanzi alla maestosa bellezza dei nostri monti sembra
un’espressione scontata e poco originale. Eppure queste semplici parole esprimono tutta la
mia meraviglia e il mio stupore che si rinnovano ogniqualvolta torno ad Acceglio, l’ultimo
paese-baluardo della incantevole Valle Maira.
Poeti e pittori hanno gareggiato per offrire le più belle testimonianze di questo angolo di
paradiso, dove tutto ci ricorda che la cosa più affascinante del creato è proprio la natura che
ci dona spazi spettacolari ricolmi di vita.
Io stesso mi sono lasciato tentare, e avvolto dai suoni e dai silenzi di questa valle, ho scritto
alcune “pennellate” nel tentativo di fermare la luce che rischiarava i pendii della montagna. Amo gli immensi spazi colorati
dei nostri monti. ——————————————
Oh,montagne perennemente immobili
che sorreggete una vita multiforme e dispiegate colori
che suscitano serene e forti emozioni !
————————————— Un torrente montano:
una magia di suoni e di colori nel suo gioioso fluire.
——————————————
Raggi di sole al tramonto spezzati da rocce severe.
—————————————— Un campanile,
con equilibrata fermezza, ritaglia tra i monti uno spazio
di umana presenza.
14 giorno Lo smartphone
Nessun rimpianto per le vecchie cabine telefoniche agli angolie delle strade, che sono state
smantellate ed eliminate come tante batterie esauste. Il trionfo dello smartphone è
innegabile e si fanno pazzie per possederne uno di ultima generazione. Il nuovo avanza e
trionfa. Alla testa di questa cavalcata trionfale si colloca appunto il nostro affascinante
smartphone. Cosa si può fare con questo gioiello della tecnologia informatica è davvero
strepitoso e talvolta pazzesco, proprio nel senso che si commettono pazzie sia per averlo sia
per utilizzarlo. Si possono registrare e filmare eventi improvvisi, scioccanti ed anche
divertenti. E’ recente la notizia di un autista pazzo che si alza e balla mentre guida un
autobus; grazie allo smartphone l’episodio è stato immortalato; si è potuto in tal modo
giustificare l’urgenza della chiamata di un’autoambulanza per ricoverare d’urgenza l’autista
in un pronto soccorso di un ospedale psichiatrico. Questo gioiello, però, è usato talvolta con
troppa disinvoltura dagli adolescenti che oltre a chattare, ad esplorare il mondo del web, a
scattare selfie, lo utilizzano anche per eternare le loro imprese e bravate che poi vengono
pubblicate imprudentemente e sventatamente su vari social network. Possiamo immaginare
le conseguenze che ne derivano: lo sgretolarsi della propria privacy o l’essere derisi da
quegli amici nei quali si era riposta la massima fiducia. Per pochi scatti o autoscatti di
smartphone si demolisce per sempre la propria autostima e credibilità.
Anche la stampa inventata da Gutenberg fu considerata per molto tempo uno strumento
pericoloso. Si narra che un angelo sia apparso al grande inventore per tranquillizzarlo e per
garantirgli che lo strumento da lui inventato sarebbe stato purtroppo posto al servizio del
male ma sarebbe stato posto anche al servizio del bene. Non bisogna dunque aver paura
delle nuove tecnologie ma bensì del modo con cui esse sono impiegate. La prudenza è
sempre un obbligo.
15° giorno Niente di nuovo sotto il sole
Nella Bibbia si legge “Nihil novum sub sole” (Niente di nuovo sotto il sole).
Eppure molte novità si sono succedute da quando il testo fu scritto e parrebbe, quindi,
discutibile la notissima sentenza biblica citata. In verità l’uomo nella sua intima essenza non
è per nulla cambiato nonostante le novità tecnologiche ed ambientali siano apparse e
moltiplicate come tante meteore che sfavillano nel cielo il 10 agosto, nella notte di S
Lorenzo. Dagli inizi del creato, quando ci si riferisce all’uomo, si parla subito di
trasgressioni, di avidità, di delitti, di stridor di denti, di ambizioni folli, di dolore e sudore
della fronte per procurarsi il cibo, di odio fraterno, di gelosie. Là dove finisce la narrazione
della Bibbia, inizia la storia raccontata da graffiti, da dipinti sulle pareti delle grotte, da
geroglifici e, più tardi da regolari documenti scritti.
Orbene, tutti questi documenti sino ai giorni nostri ci narrano che la vita dell’uomo è
costellata lungo i secoli da tribolazioni, guerre, dolore, malattie, violenze di ogni genere
sino, addirittura al triste capitolo dell’olocausto dove la ferocia dell’uomo esplode in tutta la
sua virulenza demoniaca. Dopo millenni di storia l’uomo appare sempre la stessa belva
pronta ad avventarsi anche contro il proprio simile, a torturare e a minacciare l’avversario, a
distruggere e a farsi distruggere.
Sono passati millenni di storia da quando fu scritto che sotto il sole non c’è niente di
nuovo. Una profezia che purtroppo si è avverata e si è perpetuata sino ai giorni nostri. Che
senso possono assumere, di conseguenza, le belle ed innumerevoli invenzioni che hanno
portato un indiscusso benessere materiale, ma che non sono mai riuscite a cambiare la vera
natura dell’uomo, il quale continua ad ostentare gli stessi vizi e le stesse virtù sin dagli
albori della sua comparsa sulla terra?
16° giorno Non sparare sulla Croce Rossa
Sparare sulla Croce rossa è da sempre considerata una delle azioni più vili che si possano
perpetrare in tempo di guerra. Oggi il detto “Non sparate sulla croce rossa” è divenuto un
modo di dire per tentare di dissuadere chiunque dal prendere di mira obiettivi troppo facili
o dallo scagliarsi contro persone o istituzioni inermi o incapaci di difendersi.
Non dimenticherò mai quell’episodio increscioso nel quale fui coinvolto mio malgrado.
Una persona che ben conoscevo si lamentava con me perché un suo parente non gli pagava
la somma pattuita per il lavoro di imbiancatura del suo appartamento. Al mio invito a
pazientare poiché il poveretto era gravemente ammalato e versava in condizioni economiche
precarie, mi rispose stizzito che infierire contro di lui sarebbe stato come sparare sulla Croce
Rossa e si augurava che “crepasse presto” (sic), aggiungendo offese che qui non posso
trascrivere per un senso di pietà. Poco tempo dopo l’ammalato si aggravò e morì in povertà
e solitudine.
Non sono state sparate pallottole ma sicuramente le parole astiose pronunciate contro una
persona inerme e gravemente ammalata non solo hanno avuto l’effetto di una crudele
sparatoria sulla “Croce Rossa” ma addirittura di una cancellazione di ogni briciolo di
compassione e quindi di umanità.
Sono recenti i fatti di cronaca che ci sconvolgono e ci umiliano. Basta leggere alcuni titoli
per rendersi conto dei soprusi e della violenza che hanno subito alcuni ricoverati in case
cosiddette di riposo: “Nuoro, abusi e maltrattamenti su anziani in una casa di riposo”,
“Vasto, anziani legati e maltrattati in una casa di riposo”, “Viterbo, schiaffi e calci ad
anziani in una casa di riposo”. Se aggiungiamo inoltre alcune notizie che denunciano abusi e
maltrattamenti su bambini da parte di educatori o educatrici in alcune scuole materne, il
quadro dell’orrore che siamo costretti a contemplare ci descrive un mondo dove i vigliacchi
purtroppo sono sempre pericolosamente in agguato.
17° giorno Mal d’Africa
Tutti conoscono il notissimo gioco dello “yo yo”, la pallina che va su e giù .
Moltissimi hanno cantato e tuttora cantano la simpaticissima canzone “Cin cin, che bel, uè
uè uè. Avanti e indrè che bel divertimento, la vita è tutta qua!”
L’ironia , anzi il mio sarcasmo è rivolto verso quei sedicenti missionari che
opportunisticamente hanno trovato il modo di emergere dal loro anonimato o di evadere
dalla noia di una vita religiosa comunitaria mal vissuta e tollerata, andandosene
occasionalmente in terre cosiddette di missione dove, guarda caso, chiedono che vi siano
ancora le solite comodità, le solite garanzie, la solita pronta cassa che permetta loro di
prelevare denari in abbondanza da elargire in modo scriteriato ai poveri negretti. Potranno
vantarsi di essere dei benefattori generosi disposti a distribuire doni e caramelle a tutti i
bambini con i quali puntualmente si fanno fotografare, magari tenendone qualcuno in
braccio, per testimoniare che la loro presenza in mezzo a loro è preziosa e meritoria.
Riceveranno medaglie, saranno stimati e ricompensati per i loro meriti da amici, parenti,
benefattori, e da tutti quegli allocchi che hanno creduto che fossero davvero bene
intenzionati, seri e disinteressati. Questi religiosi almeno una volta all’anno pestano i piedi e
pretendono di avere il permesso di tornare in Africa. Ogni posto va bene! L’importante che
al ritorno in patria possano essere accolti e stimati come missionari che si sono donati ai
poveri e che magari hanno rischiato la vita per loro. Peccato, però, che perdano sempre
l’occasione di diventare martiri. Questi, in verità, sono dei “signori missionari”,
paragonabili ai chierici vaganti che non sanno mai cosa farsene davvero della loro vita e
che, come dice la canzone, vanno “avanti e indrè”, o su e giù come la pallina dello yo yo.
Si divertono, e per loro i poveri sono solo un pretesto per girovagare per il mondo ed
apparire come degli angeli benefici predestinati dalla Provvidenza ad alleviare le loro
miserie e sofferenze. Si comportano come dei turisti che vanno orgogliosi di proclamare
che sono nostalgicamente affascinati da quelle terre, e che inevitabilmente quando tornano
in Italia si pavoneggiano di essere “affetti dal mal d’Africa.” Basterebbe un po’ di onestà
intellettuale. Guarirebbero subito!
18° giorno Fanatici
Il fanatismo solitamente è definito come un’espressione esagerata del sentimento religioso
che porta ad eccessi e alla più rigida e maniaca intolleranza nei confronti di chi sostenga
idee diverse. Vi sono altre numerose manifestazioni di fanatismo diffuse in molti settori
della nostra società: dalla politica alla filosofia, dall’arte alla letteratura.
Possiamo comunque aggiungere che il fanatismo è pericoloso e devastante perché sconfina
sempre nell’irrazionalità.
Non mancano esempi tratti dal ricco repertorio della vita quotidiana per dimostrare che il
fanatismo non solo è irrazionale ma spesso raggiunge livelli da tragicommedia.
Mi ero recato a rendere omaggio alla salma di un defunto e per esprimere ai suoi parenti le
mie condoglianze, quando mi si avvicinò una sua nipote che bisbigliando mi rivolse alcune
parole di circostanza aggiungendo che era dispiaciuta per la morte improvvisa di suo zio,
preoccupata soprattutto per la sua vita ultraterrena che secondo lei non era garantita poiché ,
essendo morto improvvisamente di infarto, egli non aveva potuto né confessarsi nè
tantomeno conquistare il paradiso che avrebbe meritato solo attraverso la sofferenza di una
lunga agonia. La circostanza non mi permise ovviamente di sorridere né tantomeno di
rispondere a quelle scempiaggini. Lasciai cadere le braccia sconsolato da tanto fanatismo,
salutai e mi congedai.
Altro avvertimento a guardarmene dalle persone fanatiche, mi fu rivolto in modo bonario
da un prete, dotato di ironia e di saggezza. “Carissimo, stai attento a quelle pie donne che
sono più devote del Papa. Sono talmente maniache che se potessero riscriverebbero
addirittura il Vangelo.”
Ne sono convinto: il fanatismo è talmente devastante della ragione umana che ci
indurrebbe a rifiutare ogni forma di dialogo, e ad introdurre la legge del più forte per
rivivere le avventure dei primitivi abitanti delle caverne. ______________________________________________________________________________________________
19° giorno Originalità e semplicità
Ci si chiede spesse volte che cosa renda geniale un’opera d’arte e perché sia
universalmente riconosciuta come tale.
Le risposte sono molteplici ma, solo dopo una seria e pacata riflessione possiamo affermare
che un’opera d’arte per essere imperitura deve avere due caratteristiche essenziali: la
semplicità e l’originalità.
Se prendiamo in esame l’Inno alla gioia, che Beethoven ci ha donato, e che è stato
prescelto come inno europeo, possiamo convincerci che la semplicità e l’originalità sono
davvero indispensabili per creare un capolavoro che sia universalmente accettato ed
apprezzato. Le cinque note che il genio di Beethoven ha saputo magistralmente intrecciare,
generano un fascino di solenne armonia che denota l’originalità di questa musica
caratterizzata da una ineffabile semplicità ai limiti dell’estremo.
Che dire della celeberrima “Ave Maria” di Schubert, suonata e cantata nelle circostanze e
cerimonie più suggestive? Alcune persone mi hanno confidato che quando in chiesa sentono
diffondersi le note di questa melodia si commuovono sino alle lacrime. Il potere della
semplicità è ineffabile.
Stravinskij sosteneva c'è più musica nella conosciutissima aria “La donna è mobile” dal
“Rigoletto”, che in tutta la tetralogia wagneriana. Verdi ha dimostrato che la musica è
accolta prima dall’istinto e poi dalla ragione; infatti la musica è semplicità e immediatezza.
Quante variazioni sono state composte sulla celebre melodia popolare“Carnevale di
Venezia”! Piacque talmente tanto che compositori virtuosi del pianoforte e del violino quali
Paganini, Chopin e Lizt ne composero variazioni mirabili, sviluppandone il tema in modo
originale e addirittura virtuosistico.
Essere semplici non significa quindi esser banali, ma addirittura essere dotati di una grande
sapienza che, unitamente alle necessarie capacità di sintesi, può condurre ai vertici della
genialità.
20° giorno Il linguaggio giovanile
I giovani da sempre utilizzano una lingua segreta, un gergo, che non sempre è facilmente
comprensibile da chi è all'esterno del loro gruppo. I giovani hanno necessità di usare un
linguaggio che esprima la loro identità comunitaria.
La parola può essere creata o recepita collettivamente in modo generalizzato, ma anche
consapevolmente usata come parola d'appartenenza, di ordine, di ceto sociale, per
circoscrivere proprio il gruppo in cui ci si riconosce.
Per i giovani, utilizzare particolari termini serve anche a dimostrare che sono "al passo" con
le tendenze giovanili del momento. E' normale sentire utilizzare termini stranieri o
addirittura storpiature di parole.
Il linguaggio giovanile, come tutti gli altri linguaggi, è un ponte comunicativo che cerca di
valorizzare le molteplici varietà delle forme espressive. In ogni caso sono necessarie una
conoscenza e una utilizzazione precisa delle regole grammaticali e ortografiche per
raggiungere l’indispensabile competenza linguistica che ci permetta una corretta lettura
dello scritto e del parlato. Non è facile essere chiari e semplici...molte volte siamo
eccessivamente “criptici” in quello che ci sforziamo di comunicare. Molti sanno dire cose
complicate ma pochi hanno la capacità di esporre concetti complessi con un linguaggio
semplice e fruibile da tutti.
Anche una sola parola, una goccia versata nella vastità dell’oceano delle parole scritte e
pronunciate ogni giorno, può avere un grande valore perché può contribuire ad accrescere
in noi conoscenza e libertà di coscienza.
L'impoverimento della lingua dei giovani denunciato da molti adulti non sarebbe in corso.
Ci troveremmo piuttosto di fronte ad un'evoluzione innovativa e creativa della lingua. La
modifica delle norme linguistiche può persino contribuire a formare l'identità delle nuove
generazioni. Taluni sostengono con convinzione che il linguaggio dei giovani non decade
ma si evolve. Possiamo essere d’accordo!
Secondo intervallo
“Tramutare in veleno anche una semplice acqua zuccherata, è il malefico potere che hanno alcune persone sofferenti di un devastante complesso di inferiorità.”
21° giorno Giorno dopo giorno
Quante cose possono succedere quotidianamente, soprattutto se ogni nuovo giorno è diverso
dal precedente.
Chi avesse visto la lunga serie di episodi del fortunato e notissimo serial televisivo “I
Jefferson”, certamente ricorderà l’episodio in cui George Jefferson aveva deciso di smetterla
col lavoro e starsene a casa. Non sapendo come occupare il suo tempo libero, andava ad
importunare le due povere donne che lo servivano, la domestica Florence e la moglie
Louise. Florence spazientita dalla presenza continua ed ingombrante del suo petulante
padrone, alla fine , sconsolata e scoraggiata sospirava ripetendo: “Giorno dopo giorno,
giorno dopo giorno…!” Fino a quando avrebbe potuto sopportare l’invadente presenza di
quell’uomo che ormai era destinato a trascorrere i suoi giorni inchiodato in casa? Lamentele
continue! Era insomma una lagna insopportabile. Ovviamente l’episodio si snoda tra battute
e gag comiche e piacevolmente divertenti.
Ma tornando a noi, e prendendo in considerazione i fatti che si susseguono tra le nostre
mura domestiche, spesso la realtà si rivela meno divertente e talvolta drammatica. Giorno
dopo giorno la noia diventa sempre più devastante, l’irritabilità cresce e deborda in continui
battibecchi che, a lungo andare, portano ad offese sempre meno tollerabili. Giorno dopo
giorno la situazione degenera, la vita tra le mura domestiche diventa sempre più difficile.
Un muro di diffidenza resistente si erge a dividere quello spazio vitale che, col passare del
tempo diventa sempre più simile ad una gabbia.
Si potrà mai tornare alla normalità? Forse alla normalità, no, ma ad una situazione meno
conflittuale, sì. Proviamo a ricercare una qualsiasi occupazione che ci torni ad impegnare e
a farci sentire vitali e produttivi. Lo suggeriscono gli psicologi e tutti coloro che ci
consigliano come migliorare i nostri rapporti sociali. In questo caso, tentare è un dovere.
22° giorno L’uomo di cattiva lingua
“L’uomo di cattiva lingua
non rimanga stabile sulla terra.” (Salmi 140,12)
E’ nota la penitenza che un confessore molto saggio aveva dato ad un suo penitente che
aveva commesso un grave peccato di diffamazione più di una volta e a danno di molti. La
penitenza consisteva nel prendere un pollo, spennarlo e poi percorrere le strade del paese
spargendo qua e là tutte le penne che aveva strappato al bipede. Alla sera avrebbe dovuto
ripercorrere le stesse vie per raccogliere tutte le penne che aveva sparso.
Tornò dal confessore quel poveretto, lamentandosi e dichiarando che non gli era stato
possibile fare completamente la penitenza che gli era stata indicata; molte penne, infatti,
erano state disperse dal vento e quindi gliene erano rimaste molto poche da raccogliere.
“Hai capito ora? - lo redarguiva il prete - L’onore che tu hai tolto alle persone con le tue
calunnie non potrai più restituirlo perché il vento della calunnia ha disseminato dovunque il
danno causato dalla tua malalingua. Devi pentirti sinceramente e non commettere più simili
gravi peccati.”
Il versetto del salmo sopracitato per introdurre questa riflessione sul danno che causano le
cattive lingue, si rivela particolarmente severo verso coloro che non sanno dominare la
propria lingua al punto da essere considerati indegni di rimanere sulla faccia della terra.
Per difendersi dalle malelingue il consiglio migliore potrebbe essere quello che Catone il
Censore ci suggeriva più di duemila anni fa: “Non possiamo controllare le malelingue degli
altri; ma una vita retta ci consente di ignorarle.” Ancora una volta il pensiero tramandatoci
dai grandi esponenti della cultura classica si dimostra attuale e convincente.
23° giorno La gentilezza
“La gentilezza delle parole crea fiducia.
La gentilezza di pensieri crea profondità.
La gentilezza nel donare crea amore.” (Lao Tse)
Il filosofo Lao Tse fondatore del Taoismo è colui che scrisse anche quella stupenda
massima: “Fa più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce”.
E’ bene riflettere su questi aforismi che ci stimolano a scandagliare la nostra coscienza alla
ricerca dei sentimenti migliori e ci spronano ad essere ottimisti e attenti alle esigenze dei
nostri simili.
Ci suggeriscono la necessità di essere rispettosi del mondo che ci attornia e della terra che ci
ospita.
Ci invitano ad essere rispettosi delle leggi della natura che si manifesta così generosa
nell’elargire i suoi doni.
Alcuni confondono la gentilezza come un atto di debolezza che può appannare l’immagine
di quella forza virile che non ammette patteggiamenti con le buone maniere.
Gentilezza è il contrario di bullismo, di arroganza, di saccenteria, di turpiloquenza, di
bestemmia. La gentilezza non ha sesso, non ha riserve mentali, e soprattutto non è ambigua.
Se la gentilezza fosse solo femminile, se fosse riservata ai deboli e soprattutto se fosse
utilizzata per secondi fini, be’, allora ci dobbiamo rassegnare a riconoscere che la via da
percorrere per realizzare un mondo più civile e quindi migliore di quello violento in cui
stiamo vivendo, è ancora molto lunga.
Ho letto tempo fa un articolo pubblicato da un noto quotidiano che esaltava l’incredibile
potere della gentilezza, che si oppone alla brutalità, alla violenza e all’aggressività che oggi
da molti sono considerate le armi per ottenere successo, per diventare qualcuno. Se la
gentilezza non è falsa né ipocrita certamente ci aiuta ad accrescere reciprocamente la stima
verso tutti coloro che ci stanno accanto. La gentilezza ha il grande potere di unire, di
calmare e di convincere.
24° giorno Parole a senso unico
Chi nella propria vita non ha vissuto momenti di sconforto, di delusione e di rabbia dopo
essere stato insultato o umiliato da parole di derisione pronunciate da colleghi, da amici o
addirittura da parenti? L’orgoglio ferito e il risentimento che ne deriva fomentano desideri
di vendetta o di rivincita. Classica è l’espressione “Gliela farò pagare!”
L’astio ed il rancore sono le premesse per una guerra sorda dove l’inganno e la menzogna
sono considerate armi legittime pur di ferire e piegare l’avversario, in quello che è
considerato un diritto di rivincita per non apparire imbelli ed incapaci.
Non esistono legami di parentela che possano attenuare la ferocia e l’ostinazione con cui a
volte si tenta di portare a termine la propria vendetta. I genitori che talvolta, volutamente o
inconsciamente hanno offeso i loro figli con richiami volgari o umilianti, sono diventati
vittime dei figli stessi che, dimentichi del rapporto filiale, si scagliano con violenza contro
di loro, nel tentativo di riottenere la loro fiducia o semplicemente per sentirsi dire: “Scusa!
Abbiamo esagerato con te. Ti vogliamo bene!”
Se potessimo annullare l’effetto delle nostre parole, chissà in quante famiglie tornerebbe la
serenità, chissà quante coppie di giovani sposi rinnoverebbero il loro amore, chissà quanti
divorzi sarebbero evitati, chissà ...
Purtroppo, molte volte le parole scavano solchi incolmabili, steccati invalicabili e ferite
inguaribili che rendono la nostra vita dura, che fanno di questo mondo una trincea perenne
da cui è pressoché impossibile liberarsi.
Per nostra fortuna vi sono, però, parole che ci soccorrono, che ci confortano e che sanno
guarire le ferite del nostro animo. Le parole, dunque, possono essere spade, ma possono
anche essere un lenimento e un balsamo prodigioso.
25° giorno
L’arma più potente
Si dice che la parola è l’arma più potente che esista di cui gli uomini sono dotati. Può ferire
chiunque e andare dritta al cuore; è proprio come un proiettile sparato da un fucile di
precisione. Si deve dunque essere consapevoli che, prima di pronunciare parole offensive,
bisogna riflettere molto perché il destinatario delle nostre offese potrebbe morire dentro e
non rialzarsi mai più.
Conosco molte persone che non hanno mai perdonato ai loro genitori la colpa di averli
offesi con insulti rabbiosi quando erano ancora fanciulli. Forse una sculacciata sarebbe stata
perdonata e avrebbero ragionevolmente ammesso che era ben meritata a causa dei loro
continui capricci. Le sculacciate lasciano il segno sulla pelle, ma le parole lasciano il segno
nella mente. Il rossore dell’epidermide svanisce in poco tempo ma il segno registrato dalla
mente perdura per tutta la vita.
Accentuare il senso di colpa altrui con continui rimproveri dettati solo da un inconfessabile
gusto sadico di vedere soffrire gli altri è un atto di vigliaccheria che ancora una volta si attua
tramite l’uso sconsiderato della parola che in alcune circostanze raggiunge addirittura i
limiti della perfidia.
Ci si chiede come si possano mantenere buoni rapporti con amici sempre pronti alla critica
spietata. E che dire di quei parenti che non perdono occasione di rivolgere continui
rimproveri con parole che nulla hanno di educativo ma che denotano solo l’irrefrenabile
piacere di esercitare il loro autoritarismo? Nel mondo del lavoro come si possono intrecciare
buoni rapporti con colleghi che si comportano con arroganza e non conoscono il significato
della gentilezza e della buona educazione nell’uso delle parole?
La parola è talmente potente che così come da la vita all’intelligenza, così pure da la morte
all’unico essere sulla terra che ha il privilegio di usarla.
26° giorno Lei non sa chi sono io
Una volta era piuttosto frequente assistere a diverbi tra due persone dove il solito
“onnipotente” sbruffone chisciottesco si rivolgeva al suo interlocutore con la fatidica
dichiarazione “ Lei non sa chi sono io”.
“Non lo so, me lo dica lei” rispondevano alquanto sconcertati e talvolta un po’ sornioni
coloro che avevano avuto la sorte di imbattersi in quei prediletti dalla fortuna.
Un tale che avevo conosciuto in periodo di ferie, mi raccontò che un giorno, trovandosi su
un autobus di linea, ebbe l’occasione di assistere ad un gustosissimo diverbio tra due
persone.
Uno dei due, ritenendosi offeso perché ad ogni frenata del pullman il signore che stava alle
sue spalle spesse volte gli cadeva addosso, si rigirò stizzito, invitandolo a prestare maggior
attenzione.
Inevitabilmente si accese un botta e risposta che culminò con il fatidico avvertimento: “Ma
lei non sa chi sono io!” Immediata fu la reazione dell’altro. “Zitti, zitti tutti! Un attimo di
attenzione”. Quando finalmente il brusio si calmò e si fece silenzio emerse forte il richiamo:
“ Sentite! Mettetevi tutti in ascolto. Ora questo povero diavolo ci dirà chi è”.
Facile immaginare come la diatriba finisse in una sonora risata.
Chi non ricorda, inoltre, l’esilarante scena sul vagone letto tra Totò e il suo compagno di
cabina? C’è da sbellicarsi dalle risate. In un attimo di ira il malcapitato onorevole, che ebbe
la cattiva sorte di dividere la stessa cabina con l’irascibile e imprevedibile Totò, esplose con
il classico avvertimento: “Forse lei non sa che io sono onorevole” Tutti conosciamo la
risposta di Totò: “Onorevole, che?... Ma mi faccia ridere!”
Oggi forse nessuno si permette di ricorrere a simili battute ridicole, ma non dobbiamo
illuderci; certi personaggi,infatti, non hanno mai perso il vizio di sentirsi onnipotenti.
27 giorno Il rimprovero
Il rimprovero solitamente è considerato dai genitori un intervento necessario e dovuto per
educare i propri figli. Tutti gli educatori sono costantemente preoccupati a dettare regole o a
dare suggerimenti su come, perché e quando si debba fare un rimprovero .
Forse troppo spesso si abusa di questo mezzo “educativo”.
Un mio amico un giorno mi disse che il miglior rimprovero è l’esempio che si da ai propri
figli.
Ne sono pienamente convinto. Illustri psicologi e pedagoghi si sono cimentati a dare
indicazioni dettagliate e precise delle caratteristiche che un rimprovero deve avere perché
sia veramente efficace e ottenga risultati soddisfacenti. Certamente il rimprovero non è mai
indolore sia per chi lo fa sia per chi lo riceve. Penso inoltre che si debbano distinguere i
consueti rimproveri rivolti ai giovani educandi, dai rimproveri rivolti agli adulti. Se si
considera che il rimprovero presuppone l’accertamento di una colpa o una trasgressione, va
da sé che si stabilisce immediatamente un rapporto tra accusatore e accusato alla ricerca
della gravità del reato commesso e della pena che deve essere comminata. Si sa, i giudici
non sono mai stati particolarmente amati soprattutto da parte del condannato.
Se si ricercano i sinonimi di “rimprovero”, rimaniamo ancor più stupiti dalla connotazione
negativa che lo riveste: biasimo, ammonimento, lavata di capo, rabbuffo, (pop.) cazziata,
rampogna, rimbrotto, strapazzata, strigliata (Treccani.it).
A chi giova quindi il rimprovero? Forse solo a chi lo fa ma indubbiamente non a chi lo
subisce. Nessuno, infatti, lo accetta volentieri, tantomeno gli adulti che ferocemente
difendono i confini della loro autostima e non tollerano che chicchessia li oltrepassi
impunemente.
Sono sempre più convinto che il mio amico aveva ragione: il vero rimprovero si fa esibendo
sempre e a tutti un comportamento esemplare e irreprensibile.
28° giorno Per una questione di principio
“Avrò anche sbagliato , ma almeno io sono coerente”. Così parlano le persone che, pur
avendo fatto un errore o essendo palesemente dalla parte del torto, non hanno alcuna
intenzione di cambiare il loro atteggiamento. Quale atteggiamento mentale può indurli a
difendere ciò che l'evidenza dimostra essere sbagliato e a ripetere con pervicacia lo stesso
errore? Si tratta di un semplice ma fondamentale equivoco, per il quale si confonde la
coerenza con la rigidità, in nome di imprescindibili se non assurde "questioni di principio".
Ad esempio si continua a perseguire testardamente qualcosa per il solo fatto che tempo
prima lo si è deciso, ma senza tenere conto dei cambiamenti che nel frattempo possono
essere avvenuti fuori e dentro di sé. Oppure, dopo una discussione che ha portato alla crisi
di un rapporto, pur avendo capito di avere delle responsabilità, non si chiede scusa o non si
fa nulla per cercare un nuovo dialogo.
Si tratta di persone per le quali aggiornare anche solo parzialmente le proprie convinzioni,
rinunciare all'idea, all'opinione, al progetto originale o a qualche principio di riferimento,
equivale a sminuire se stessi e, inconsciamente, credono di tradire la loro identità. Nel
quotidiano, agli occhi di chi è sicuro, questa rigidità appare come determinazione,
atteggiamento vincente e forte consapevolezza di sé.
Restare aggrappati per orgoglio o questioni di principio a scelte errate, è un limite che
rovina la nostra esistenza; è necessario quindi liberarsi da questa rigidità. Cambiare idea non
è una sconfitta. Diventa più forte chi non s’aggrappa ai propri dogmi e sa essere cedevole.
Non dobbiamo tirare in ballo in una discussione la nostra rigidità come se fosse un valore,
chiamandola coerenza. La frase "Io almeno sono coerente" non porta a nulla, perché in
realtà significa: "Abbiamo perso entrambi, ma io sono più testardo di te". I dogmi
impediscono di agire e di pensare nel modo più adatto.
29° giorno Cosa hai capito della vita?
“Che cosa hai capito della vita?” fu la domanda rivolta, quasi a bruciapelo da un nipote a
suo nonno. Mi stupirono la semplicità della domanda ma soprattutto la difficoltà e la grande
esitazione che ebbe il nonno nel dare una risposta. La domanda infatti era imbarazzante e
addirittura provocatoria e intrigante. Come poteva il povero nonno in poche parole dire e
spiegare che cosa aveva capito della sua vita?
Non so quale sia stata la risposta che abbia dato a suo nipote.
Per dare una risposta sensata a tale domanda, credo che il nonno abbia dovuto chiedere una
pausa di riflessione e fare un esame di coscienza per valutare le opere buone o meno buone
compiute durante la sua non breve esistenza.
Penetrare nei meandri della propria esperienza è un po’ come avventurarsi in un labirinto
senza via d’uscita. Se la vita è stata vissuta in modo esemplare e lineare con coerenza e
fedeltà alle proprie convinzioni, la risposta dovrebbe essere facile e in breve tempo si
troverebbe la via d’uscita dal labirinto e dichiarare con autentica convinzione quale sia il
senso della nostra vita.
Per capire a fondo la nostra vita è indispensabile prima capire la vita di coloro che ci
stanno attorno, nei quali possiamo e dobbiamo specchiarci. Infatti che cosa potremmo capire
della vita se vivessimo soli sulla terra senza mai mettere a confronto le nostre esperienze
con quelle di qualcun altro?
La scienza più difficile è certamente la conoscenza di sé stessi. Troppi meccanismi mentali
legati al nostro orgoglio ci impediscono di conoscerci veramente e di riconoscerci per quelli
che siamo: soprattutto perché in verità non sappiamo e forse non sapremo mai chi
veramente siamo.
Povero nonno! Deve aver avuto una crisi di identità.
30° giorno
Non sprechiamo le briciole
Ho avuto il piacere di conoscere l’autore del libro “Gauteri pinse”. Il testo è il frutto di una
accurata e paziente ricerca delle testimonianze dell’arte pittorica rifusa nelle numerose
santelle che impreziosiscono i borghi delle nostre vallate. La ricerca indusse l’autore a
percorrere in lungo e in largo la Valle Maira nelle Alpi Cozie dove operò il pittore itinerante
Giuseppe Gauteri. La cultura popolare ha molteplici sfaccettature, una delle quali è
certamente l’arte profusa in affreschi semplici ma significativi sulle pareti delle case o
addirittura delle baite, sulle facciate delle chiese o edifici pubblici, e negli innumerevoli
piloni o santelle che invitano i passanti a fermarsi lungo le strade o i sentieri dei nostri
monti.
Nel libro ho colto due pensieri in particolare che sono l’anima e il significato della ricerca
e della puntigliosa catalogazione delle testimonianze ritrovate e del lavoro svolto.
Il primo pensiero è dell’autore stesso: “Se è destino che le testimonianze della fede dei
semplici debbano scomparire per sempre, se ne conservi almeno la memoria affinché non
tutto vada perduto”
Il secondo pensiero è tratto dalla presentazione del libro scritta da Giuseppe Guerini
(vescovo di Saluzzo): “Non sprechiamo le briciole... Per i nostri vecchi anche un pezzetto
di pane era sacro; al termine del pasto non si buttava via nulla, addirittura neanche le
briciole… Paragono questo prezioso archivio delle opere del pittore Giuseppe Gauteri al
gesto con cui le nostre nonne raccoglievano i pezzi di pane avanzato”.
Spesso ci lamentiamo e ci scoraggiamo di fronte al dilagare della violenza e della furia
iconoclasta che ancora oggi devasta e distrugge musei e opere d’arte, con un accanimento
demoniaco che ci vuole rubare anche l’anima e i ricordi delle bellezze che l’uomo ha saputo
produrre.
Per fortuna esistono ancora coloro che resistono e non si arrendono; il mio amico ne è un
fulgido esempio.
Terzo intervallo
“Talvolta siamo talmente preoccupati per le grandi controversie sociali che non percepiamo il dolore di chi ci sta vicino, e tantomeno ci preoccupiamo di prestare loro un valido aiuto; basterebbe un sorriso. una parola, una banalissima testimonianza d’affetto, un non so che...basterebbe un po’ di fantasia e di sensibilità ! Praticamente quasi nulla e quasi tutto!”
31° giorno
Eroi o … presuntuosi?
Troppe volte i telegiornali, nell’annunciare gravi fatti di cronaca esordiscono con notizie
scioccanti: tragedie in montagna, alpinisti travolti da valanghe, rocciatori esperti o
escursionisti che si erano avventurati temerariamente per sentieri pericolosi e che sono
caduti nei burroni.
Una lunga lista di sport cosiddetti “estremi” vengono barattati per grandi prove di coraggio
se non addirittura considerati eroici. Di eroico alcuni di loro hanno solo l’imbecillità
aggravata dalla presunzione di poter sfidare impunemente il pericolo.
Sembra che il delirio di gloria, spinto al limite di un malcelato desiderio di onnipotenza, li
induca a sfidare le leggi di natura quasi a volere dimostrare a tutti e a sé stessi che sono
imbattibili. Lo temerarietà dà a loro la forza necessaria per compiere quelle imprese che li
esaltano al punto di considerarsi esseri superiori e quindi dominatori. Non vi è presunzione
più stupida e dissennata come quella di mettere a repentaglio la propria vita. E’ una
presunzione che al massimo può giovare solo alle pompe funebri che dei cadaveri ne fanno
una questione di business.
Il vero eroismo lo si dimostra vivendo ogni giorno la banalissima normalità:
preoccupazioni, progetti, speranze, delusioni che si alternano a momenti di noia e talvolta di
entusiasmo che forgiano il nostro carattere e ci allenano ad affrontare con coraggio le
difficoltà della vita. É facile essere eroi per caso; è molto più difficile affrontare con
fermezza e forza d’animo i problemi che quotidianamente ci assillano.
Quando le lune di miele finiscono, insorgono spesso situazioni che rendono amara la vita.
Reagire e ricercare soluzioni coraggiose è l’unico atto eroico che davvero ci renderà
orgogliosi e ci impedirà di essere stupidamente spavaldi e presuntuosi.
32° giorno Quante parole inutili
Quante parole vuote e inutili...
Quante parole senza amore, senza volontà operante...
Quante promesse non mantenute...
Eppure le parole non sono mai inutili; magari potranno essere noiose, indisponenti,
pericolose, bugiarde, offensive, deprimenti. Le parole producono sempre un effetto sia su
chi le pronuncia sia su chi le ascolta. Talvolta le parole inutili sono un penoso tentativo di
superare l’imbarazzante silenzio che ci circonda o nel quale siamo piombati.
Se parliamo di parole inutili, inevitabilmente dobbiamo chiederci quando, come e
soprattutto a chi dobbiamo rivolgere parole utili. Non è una domanda banale! Chi, infatti,
non ha mai pronunciato parole inutili? Sarebbe come chiedersi chi nella vita non abbia mai
peccato. Sarebbe autorizzato a scagliare la prima pietra!
“Cogito ergo sum” (Cartesio). Il pensiero, buono o cattivo che esso sia, è dunque vitale per
l’uomo. Poiché le parole sono l’espressione diretta dei nostri pensieri, è logico e naturale
che i discorsi degli uomini siano spesso viziati da parole ritenute inutili e, proprio come i
silenzi, possono intervallare i nostri discorsi. Gli oggetti sono accompagnati dalle ombre,
così come il bianco e il nero, il vuoto e il pieno sono correlati tra loro.
Profonde emozioni possono essere suscitate dalle parole accompagnate dai silenzi. Le
parole sono un sostegno indispensabile dei nostri sentimenti e delle nostre più intime
aspirazioni. Essendo dunque la parola il principale mezzo per veicolare le nostre emozioni,
ci dobbiamo augurare di avere sempre la facoltà e la libertà di parlare piuttosto che relegarci
in silenzi mortificanti che ci isolano dal contesto sociale e ci condannano ad una solitudine
pericolosa.
33° giorno Una domanda banale
Quando si rivede una persona a cui siamo legati da rapporti di amicizia o di parentela ci
sembra sempre che troppo tempo sia passato dall'ultimo incontro. Sorge spontanea la
domanda “Come stai? Una domanda che in altre circostanze sarebbe banale e di routine può
diventare una domanda necessaria e significativa.
Quando si succedono eventi dolorosi o talmente devastanti che potrebbero abbattere un
“cedro del Libano”, si sente il bisogno di incontrare un volto amico a cui poter rivolgere la
più consueta delle domande :”Come stai?”.
Quanti anziani o persone sole arrivano a sera senza il conforto della presenza di qualcuno
che si interessi di loro. Quanto li aiuterebbe a risollevarsi dallo stato di depressione un
semplice sorriso accompagnato dalla banalissima domanda “Come stai?”
Ho letto numerosi aforismi che parlano della solitudine. I tentativi di definire la solitudine
variano dall’ironico al patetico; chi ne esalta i vantaggi, chi invece ne scandaglia gli aspetti
più devastanti e dannosi allo stato di salute psicofisica di chi, contro voglia, è costretto a
vivere come se il mondo fosse disabitato.
Sociologi, psicologi, assistenti sociali e tutta una folta schiera dei volontari si attivano
costantemente per intervenire, dare suggerimenti, per assistere non solo gli anziani lasciati
in solitudine ma anche tanti giovani disperati, senza amici che non riescono a risollevarsi
dallo stato di depressione che inesorabilmente li va distruggendo.
Eppure molti di questi sfortunati, ne sono certo, riuscirebbero a risollevarsi e a sorridere
solo se noi tutti fossimo meno distratti e se sapessimo rivolgere a loro la più cordiale e
semplice delle domande. “Come Stai?” Se la loro risposta fosse un bel sorriso, sarebbe
anche per noi una grande soddisfazione.
34° giorno Luoghi comuni e stereotipi
La psicologia definisce lo stereotipo un’idea preconcetta non basata sull’esperienza diretta e
difficilmente modificabile. Nel linguaggio comune lo stereotipo è definito un
comportamento convenzionale e ricorrente; schema fisso, luogo comune. (da “Dizionaro
della lingua italiana” di Sabatini Colletti)
Il luogo comune, secondo i latini, è null’altro che la piazza dove appunto le persone si
incontrano per parlare, osservare o per scambiarsi quattro chiacchiere. Le loro idee
condivise sono stigmatizzate in sentenze che si diffondono rapidamente e sono bene accolte
dalla maggioranza. Nasce il luogo comune che si riveste di verità, di una verità formulata
dal popolo con la presunzione di essere inconfutabile.
Elencare i principali luoghi comuni che sono in circolazione, sarebbe un’impresa titanica e
quindi impossibile perché ogni cultura si esprime in modi diversi.
Che dire dei luoghi comuni che circolano sugli italiani? Un popolo di santi, di navigatori e
di eroi. Qualche generoso bontempone ha aggiunto “di artisti, di poeti, di pensatori, di
scienziati…” Oggi si esalta il Made in Italy soprattutto nel campo della moda e del design
oltre che naturalmente nei prodotti agroalimentari. Insomma, non solo pizza e mandolino.
Quando il luogo comune è stato coniato per magnificare le virtù di un popolo, è ovvio che
ognuno propagandi il meglio di se stesso. Se il male comune è mezzo gaudio, è evidente che
il bene comune è un gaudio intero.
Dichiarare il meglio di noi stessi tramite luoghi comuni espressamente divulgati è un modo
come tanti per consolarci e per soddisfare la nostra graffiante autostima.
35° giorno Dare e ricevere
“Vuoi vivere felice? Viaggia con due borse, una per dare, l'altra per ricevere.” (Goethe)
“Cosa desideri dagli altri? Amore? Sostegno? Lealtà? Qualunque cosa desideri, donala tu
per primo”. (Swami Criyananda)
“Ol tô e ol da al mantè la maestà” ( Trad. “Il prendere e il dare mantengono il rispetto”).
(Proverbio bergamasco).
Questi aforismi e proverbi sono davvero illuminanti circa il valore dei doni, dati o ricevuti.
I doni possono essere talvolta addirittura pericolosi sia per l’offerente sia per il ricevente.
“Timeo Danaos et dona ferentes” (trad: Temo i Danai anche se portano doni). Così
Laocoonte esortava i Troiani a non introdurre entro le mura di Troia il cavallo donato dai
greci. (Eneide -Libro II, 49).
E’ innegabile che i doni spesso possono diventare un tentativo di corruzione per ottenere
favori o privilegi. Non è un caso che spesso vengano camuffati come un semplice pensiero.
Alcuni anni fa rimasi stupito quando un residente in Vaticano mi confessò che a Roma ed
anche in Vaticano stesso, si scambiavano ricchi regali pur di ottenere un favore che
l’offerente non solo si aspettava ma addirittura pretendeva. Il regalo ovviamente era
proporzionato al valore della richiesta. Quella consuetudine, aggiungeva, non era
occasionale o circoscritta, ma era una prassi molto diffusa e incredibilmente giustificata e
accettata da quasi tutti.
Saper dare senza nulla pretendere, forse, fa parte solo dei florilegi del pensiero francescano
o della nostra letteratura romantica. Non è necessario aver fatto degli studi approfonditi di
psicologia per capire che il legame instauratosi tra l’offerente e il ricevente è sempre molto
delicato e che in ogni momento potrebbe scattare il perfido meccanismo del ricatto e
dell’accusa di ingratitudine, con conseguenti devastazioni nei rapporti interpersonali.
36° giorno Ottimo ed abbondante
Capita spesso di sentire vecchi alpini che rimpiangono la gloriosa naia che condivisero con
bersaglieri o paracadutisti, insomma con tutti coloro che prestarono servizio militare presso
una delle numerosissime caserme sparse su tutto il territorio italiano.
La sorte purtroppo riservò anche a me l’occasione di vivere quell’esperienza che non oso
definire per non ferire il sentimento di molti convinti militaristi. Sono comunque un
testimone che non si allinea alla concezione romantica e tanto meno educativa della “naia”e
non ne rimpiango il rancio “ottimo ed abbondante”.
Non mi guardino in cagnesco tutti coloro che quando si intona “Signore delle cime” si
commuovono fino alle lacrime. Li capisco e devo confessare che quel canto commuove
anche me soprattutto quando penso alle sofferenze che molti soldati hanno dovuto subire in
guerra per non arretrare di fronte al nemico e che per difendere il proprio onore hanno
combattuto in condizioni estreme sino alla morte. Vittime inconsapevoli di una ferocia che
ha travolto nazioni e ha schierato fratelli contro fratelli. L’effetto catartico della guerra,
sostenuto da alcuni filosofi, non mi ha mai convinto e ho sempre considerato aberrante una
simile teoria.
“Ogni guerra - annotava Max Scheler nel novembre 1914- è ritorno all’origine creatrice
dalla quale nascono gli Stati; è sprofondamento nella potente sorgente di vita dalla quale
sgorgano le grandi linee del destino degli uomini”
Se la sfrontatezza di questa teoria è il frutto di ricerche filosofiche dobbiamo chiederci se
ha ancora un valore il significato etimologico stesso di filosofia, “amico della sapienza”.
I nostalgici delle caserme, volenti o nolenti, sono cultori di simili idiozie pseudofilosofiche
propagandate per aizzare i giovani alla violenza. La “potente sorgente di vita” è solo un
orrendo abisso di morte.
37° giorno Una questione di stile
La storia delle vicende umane ci insegna che si può dire tutto e il contrario di tutto. Gli
esempi si sprecano : dagli antichi sofisti agli attuali ciarlatani che, tutti i giorni seppure in
modo diverso, ci ammanniscono verità e frottole con la stessa disinvoltura, secondo le
opportunità e la direzione del vento.
Si vuole qui prendere in considerazione il modo come il messaggio viene veicolato dal
mittente al destinatario, al di là della valutazione dei contenuti degli innumerevoli scritti,
proclami, dichiarazioni, dialoghi, e di ogni altra forma di comunicazione.
Ci sono genitori, dotati di ottime capacità di persuasione che, senza ricorrere a minacce o a
ricatti, riescono ad ottenere quasi tutto dai loro figli. La loro gentilezza e il loro linguaggio
garbato, frutto di autocontrollo e soprattutto di una buona educazione, li rendono credibili e
quindi convincenti. Quei figli possono sentirsi giustamente orgogliosi e fortunati di avere
simili genitori.
A tutti noi sono capitate numerose occasioni di presenziare a riunioni di vario genere:
condominiali, sindacali, professionali, tra amici, colleghi, parenti e magari anche tra
sconosciuti. Sono incontri che talvolta degenerano in scontri.
Analizzare i motivi di riunioni terminate in un nulla di fatto è compito di coloro che le
hanno organizzate, ma certamente possiamo sostenere, senza timore di essere smentiti, che
la causa del loro fallimento è da ricercare nella mancanza di stile da parte dei presenti.
Incredibilmente dobbiamo constatare che quanto più i problemi sono banali tanto più si
scatena la confusione dovuta alle numerose proposte “intelligenti” avanzate dai soliti “utili
idioti” che irrompono sulla scena nei tempi e nei modi sbagliati.
Non tutti i problemi, di certo, si risolvono con le buone maniere; ma dobbiamo ammettere
che i rapporti tra le persone migliorerebbero sensibilmente con un po’ più di stile e di
dignità.
38° giorno L’insulto “politico”
Se si scorrono in Internet le pagine dedicate all’insulto “politico” si passa dal comico al
patetico con un pizzico di tragicomico che provoca un sussulto di indignazione di fronte alle
pesanti invettive che gli “onorevoli” si scagliano tra di loro con rabbia e violenza che
trasudano odio e disprezzo dell’avversario. Si è tentati di credere che gli “eletti” dal popolo
siano degli eroici paladini disposti a tutto e magari a donare la propria vita per difendere i
loro elettori affrontando anche il calvario delle percosse, degli sputi, delle derisioni,
rassegnandosi ad essere esposti alla pubblica gogna. Nulla di più falso!
La storia è piena di testimonianze di uomini politici che il giorno prima si dichiarano eterna
inimicizia e ostilità ma che, il giorno dopo, si prendono sottobraccio e non esitano a tentare
di convincere i loro elettori che i tempi sono cambiati e che per il bene del Paese sono
necessarie nuove alleanze anche con gli odiati avversari per costituire insieme un governo
che garantisca a tutti pace e un lungo periodo di benessere. É quasi inevitabile che ogni cosa
continui come prima e, probabilmente, anche peggio. Chi può negare che l’opportunismo
per costoro sia il primo comandamento?
Già all’epoca dei Romani serpeggiava l’odio e il disprezzo per chi governava. Si racconta
che una povera vecchietta, in cerca di serenità, si era rifugiata in un tempio dedicato a Giove
per pregarlo di concedere lunga vita all’imperatore. A coloro che stupiti le chiedevano
perché rivolgesse a Giove una simile supplica, mentre fuori la gente era in tumulto e urlava
morte all’imperatore, lei con calma rispose: “Come potete vedere, io sono molto vecchia e,
nella mia lunga esistenza, ho visto succedersi ben sei imperatori che, purtroppo, sono stati
uno peggiore dell’altro. Prego quindi che questo imperatore abbia lunga vita”. Quella
vecchietta aveva capito che l’odio e il disprezzo politico non solo non generavano benessere
ma confondevano la gente e originavano altri guai e sciagure.
39° giorno Due cose infinite
“Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana… ma sul primo ho ancora dei
dubbi.” (Albert Einstein)
Davvero simpatica la sentenza del grande fisico, ideatore della teoria della relatività, il
quale, senza giri di parole condanna la stupidità dell’uomo sino a considerarla infinita, quasi
fosse una maledizione a cui non ci si può sottrarre. Dunque finché l’umanità continuerà a
sopravvivere su questo piccolo pianeta sarà irrimediabilmente condannata ad essere stupida.
Il mio pensiero ripercorre velocemente i punti salienti della storia dell’uomo dalle sue
origini a tutt’oggi alla ricerca di fatti che sono stati frutto non solo della stupidità ma
addirittura della pazzia del genere umano. E’ fin troppo facile individuare quegli eventi che
nel loro evolversi hanno causato inammissibili e ingiustificabili tragedie che hanno dato
ragione ad Albert Einstein. E come si può contestare la sua sentenza così dissacrante e
sprezzante nei confronti della stupidità dell’uomo quando noi prendiamo in considerazione
solo alcuni aspetti macroscopici quali la follia di Hitler sostenuta da milioni di persone, le
guerre che regolarmente sono tate combattute con ferocia animalesca in ogni parte del
globo, i campi di sterminio, i genocidi, le distruzioni di patrimoni artistici da parte di
fanatici sedicenti seguaci di Allah.
Ma senza scomodare la storia siamo ben consapevoli che la vita quotidiana è disseminata
di situazioni dove certamente l’intelligenza dell’uomo appare molto offuscata e discutibile.
Basta pensare ai rapporti tra colleghi, tra parenti e conoscenti, tra tutti coloro che ci stanno
attorno; se non sono loro che a volte ci rinfacciano la nostra stupidità, siamo noi che li
ripaghiamo con la nostra disistima e talvolta con il nostro disprezzo. Insomma la storia
diventa infinita appunto come l’universo e soprattutto come la stupidità umana.
40° giorno La vita è bella
Nonostante le numerose crisi sociali che si succedono con una certa frequenza, stiamo
vivendo un’epoca felice dove addirittura il lusso ormai non è solo appannaggio dei ricchi.
Certamente in tempi non troppo lontani la vita era costellata di molte e gravi difficoltà
dovute soprattutto al soddisfacimento dei bisogni primari del vivere quotidiano: il cibo, il
lavoro, la casa e la salute.
Il benessere, ai giorni nostri, è largamente diffuso; eppure la felicità dell’uomo non si è
evoluta in modo parallelo e, contro ogni aspettativa, il senso di precarietà e di infelicità sono
accresciuti in larghi strati della popolazione. Perché? La risposta data da alcuni studiosi sta
nel fatto che assieme al benessere sono accresciute pure le disuguaglianze sociali che
inesorabilmente favoriscono la diffusione del virus devastante dell’infelicità.
L’episodio che voglio raccontare testimonia che la vita è considerata ancora un bene
inestimabile da apprezzare incondizionatamente, da amare e vivere pienamente.
Era una tiepida giornata primaverile. In una stanza di un modesto appartamento sito in un
quartiere popolare giaceva immobile da alcuni anni un anziano ormai ridotto alla schiavitù
del letto; il soffitto era l’unica visione costante delle sue giornate e i soliti rumori casalinghi
gli assicuravano che era ancora in grado di percepire dei suoni. La finestra era aperta e la
stanza era inondata dal profumo della primavera e dalle voci gioiose dei bambini che
giocavano nel cortile sottostante. Inaspettatamente quel povero ammalato sorrise e,
rivolgendosi all’assistente sociale che era andato a trovarlo, flebilmente ma chiaramente
esclamò: “La vita è bella”. Non aggiunse altro ma continuò per alcuni minuti a sorridere.
Quando mi fu raccontato questo episodio, ammetto, provai una forte emozione.
Quarto intervallo
“ E’ vero che prima o poi la verità viene a galla, ma quando succede, talvolta essa emerge talmente mal ridotta da sembrare un autentico relitto difficilmente riconoscibile.”
41° giorno Rosso di sera ….
Richiamare alla mente i numerosi proverbi popolari che sin dall’infanzia abbiamo imparato
e ripetuto, suscita sempre un po’ di nostalgia come declamare le poesie che si imparavano a
memoria nei primi anni di scuola.
I vecchi proverbi che per molti secoli sono stati considerati fonte di saggezza e di
conoscenza del mondo circostante, simpaticamente arricchivano i discorsi di tante umili
persone che li sapevano scegliere e citare opportunamente per ogni circostanza, dal mondo
del lavoro alle variazioni climatiche, dallo stile di condotta al rispetto per l’ambiente in cui
viviamo. Arcinoto è il proverbio: “Rosso di sera , bel tempo si spera”. Non importa se il
giorno dopo il tempo facesse le bizze e magari diluviasse. Ci si poteva sempre consolare
dicendo che il proverbio era comunque valido perché non era una profezia ma solo una
speranza e un auspicio.
E come si potrebbe contestare la verità coniata in un altrettanto noto proverbio: “Tanto va la
gatta al lardo che ci lascia lo zampino”? Ne sanno qualcosa quei monelli che facevano
disperare la mamma rubando la marmellata o le caramelle: prima o poi ci avrebbero lasciato
lo “zampino”.
Il detto popolare è come una scintilla nella via del futuro che guida nel giudizio e
nell’operato di ciascuno. Anche se ormai il proverbio appartiene più al passato che al
presente, spesso rispolverarne qualcuno può risultare utile e divertente.
Il buon senso e l’arguzia sono considerate due caratteristiche fondamentali dei proverbi che
possono essere definiti delle brevi espressioni letterarie non prive di umorismo e di ironia
con le quali si trasmettono il frutto dell’esperienza e della saggezza di un popolo. Concludo
con un proverbio esemplare che invita a sapersi accontentare di quello che già si possiede, e
a condannare il peccato dell’avidità : “All’uccello ingordo gli crepa il gozzo”, oppure
“Bisogna accontentarsi di quello che passa il convento!”
42° giorno Essere sinceri conviene
Vi sono persone talmente indurite dal vizio di essere bugiardi da riuscire a convincere
addirittura sé stessi che le proprie affermazioni sono sempre la quintessenza della verità.
Goebbels, gerarca nazista, ministro della propaganda della follia hitleriana, perfidamente e
spudoratamente dichiarava: ”Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà
una verità”
Un capitolo intero dovrebbe essere riservato alla disinvoltura con cui molti uomini politici
illudono i loro elettori con promesse fasulle e menzogne farcite di proclami altisonanti
confezionati opportunamente per carpire la fiducia e il sostegno del popolo.
Il naso di Pinocchio che cresceva ogniqualvolta diceva una bugia è divenuto l’emblema dei
bugiardi. Senza dubbio nella nostra vita, più di una volta anche noi avremmo meritato di
essere condannati a vederci crescere il naso a dismisura.
Forse i veri bugiardi sono proprio coloro che affermano di essere sempre stati sinceri e che
sono pronti a giurare di non aver mai proferito una sola bugia in tutta la loro vita. Un bel
sorrisetto sarebbe il modo migliore di ripagarli per una simile confessione.
Le bugie dei piccoli sono considerate quasi sempre dei simpatici tentativi per guadagnarsi
attenzione e affetto, e quindi sono facilmente perdonate; si è meno disposti, però, a
perdonare le menzogne degli adulti ai quali irrimediabilmente si nega la nostra fiducia per il
resto della vita.
Considerando che per una bugia talvolta si paga con la perdita totale della nostra
credibilità, è davvero cosa opportuna ed intelligente essere il più possibile sinceri. Poiché le
bugie hanno le gambe corte, non potremmo andare molto lontano: presto o tardi saremmo
raggiunti e sbugiardati.
Dunque la sincerità conviene!
43° giorno La pazienza è la virtù dei forti
La pazienza, si è sempre dichiarato, è la virtù dei forti; ma è bensì vero che taluni si
rendono e si sono resi forti abusando della pazienza altrui.
Ho sempre avuto qualche perplessità nel considerare la pazienza come una virtù; la
considero piuttosto un comportamento virtuoso, alquanto opportunistico e un po’ vigliacco.
Basta solo pensare in quali circostanze o con chi dobbiamo esercitare la nostra pazienza e ci
accorgiamo ben presto che siamo vittime di obblighi, di regole, di divieti, di fronte ai quali
ci sentiamo impotenti e rassegnati. Questa impotenza e questa impossibilità di reagire viene
barattata per la virtù della pazienza; in verità stiamo sopportando situazioni talvolta dolorose
e umilianti, ingiustizie e vessazioni ingiustificate.
Molte persone hanno fatto carriera, hanno raggiunto traguardi di responsabilità e prestigio,
e tutto si può dire di loro, eccetto che siano pazienti e tolleranti. L’unica pazienza che
conoscono è proprio quella che impongono ai loro subalterni o ai loro colleghi. Al termine
del lavoro quando tornano a casa assumono lo stesso atteggiamento di prepotenza nei
confronti della moglie e dei figli i quali , “pazientemente” sopportano il loro padre e marito
padrone.
Perdere le staffe ogni tanto fa bene e soprattutto ci aiuta a scaricare lo stress accumulato da
lungo tempo. Troppe persone sono avvezze ad abusare della pazienza altrui e persistono nei
loro atteggiamenti arroganti e vessatori solo perché non ottengono risposte adeguatamente a
tono e proporzionate alla virulenza delle loro pretese.
Se essere pazienti significa invece essere calmi, allora tutte le considerazioni che si fanno
sulla virtù della pazienza cambiano radicalmente. Al prepotente, infatti, si può reagire con
forza ed intelligenza, pur mantenendosi calmi. Solo con la calma si possono sgonfiare i
palloni sempre pronti ad esplodere!
44° giorno Un tesoro da salvare
Il 14 agosto 1994, ad Acceglio, la sera della vigilia della festività dell’Assunta ci si
apprestava a sfilare in solenne processione, quando gli abitanti di quel pittoresco paese
dell’Alta Val Maira, rimasero inaspettatamente e felicemente sorpresi nel risentire
echeggiare nella loro chiesa le solenni e gioiose note dell’organo, di quel prezioso strumento
che, purtroppo per molti anni era rimasto muto e abbandonato all’incuria. Nonostante la
polvere e il tarlo avessero compiuto un’evidente devastazione l’organo appariva ancora una
meravigliosa creatura che, seppure segnata dagli anni, si dimostrava sufficientemente
robusta e in grado di rinnovare gli antichi splendori.
Ricordo con emozione che molte persone si erano fermate dopo la funzione religiosa per
complimentarsi con me perché avevo procurato loro una grande gioia nel far risentire quello
splendido capolavoro dell’arte organaria. Da allora tutti gli anni nei mesi estivi sono tornato
ad Acceglio dove ho sempre ritenuto che fosse un mio preciso compito far rivivere il
prezioso organo per trasmettere gioia e serenità ai fedeli presenti alla domenica in chiesa per
la Messa. Con il parroco si parlava spesso della necessità di tenere in vita un simile
inestimabile capolavoro che gli Accegliesi hanno la fortuna di possedere.
Il recupero materiale di un bene storico ed artistico appartenente alla cultura del paese è un
obbligo per tutti. Dobbiamo essere orgogliosi e desiderosi di far rivivere le tradizioni della
comunità e di esibire il proprio patrimonio artistico e culturale.
Negli anni ’50 i Salesiani, durante il periodo estivo, si recavano tutti i giorni in Parrocchia,
per la santa Messa; i canti corali erano sempre accompagnati dall’organo che in quei lontani
giorni, penso, abbia donato il meglio di sé stesso.
Oso sognare e sperare che un giorno sia restaurato e annoverato tra gli eventi culturali
programmati annualmente per far rivivere i tesori che sono conservati e custoditi nelle
nostre chiese. La Val Maira meriterebbe un simile dono!
45° giorno La difesa della propria identità
Quando si vuol misurare il grado di rispetto e di stima che intercorre fra parenti o amici, è
sufficiente esprimere un giudizio tanto semplice quanto perfido: “Mi sembri a Tizio”,
oppure “Mi sembri a Caio” o ad altri componenti del gruppo che non godono di particolare
simpatia e considerazione. Tizio e Caio potrebbero essere lo zio, il fratello, la suocera, un
rompiscatole qualsiasi, un parente o un conoscente odioso e antipatico.
Essere paragonati a qualcuno che non stimiamo è davvero umiliante per un duplice
motivo: il primo è dovuto al tentativo di infrangere e demolire la nostra identità di cui si è
immensamente gelosi; il secondo è l’intenzione di affibbiarci lo stesso difetto della persona
con cui ci si paragona. Una duplice offesa, quindi che ci induce a rispondere con astio e
rancore a colui che ha osato metterci sullo stesso livello di persone che non si stimiamo o
addirittura di persone che sono costantemente oggetto di derisione.
Perché spesse volte tra fratelli insorgono situazioni penose e pietose dove non si
risparmiano insulti e cattiverie che ottengono inevitabilmente il triste risultato del rifiutarsi
reciprocamente? La risposta non è semplice. Si può, comunque, sostenere che alla base di
tutto vi sia proprio il rifiuto di condividere delle somiglianze solo perché le leggi della
consanguineità e dell’ereditarietà le impongono. Il dubbio di sembrare ad un consanguineo
che consideriamo un mezzo idiota, scatena una reazione di ribellione, sino al punto di
sentirsi vergognati di appartenere allo stesso ceppo familiare.
Siamo talmente gelosi della nostra identità che non tolleriamo di sembrare ad alcuno,
tantomeno a persone che non apprezziamo, parenti compresi.
Mai, dunque, dire a chicchessia: “Mi sembri a…” Si otterrebbero, inevitabilmente, risposte
rabbiose e risentite.
46 ° giorno Banalità
Parlare di banalità potrebbe essere la prima e vera banalità. Eppure trovo che un pensiero e
un commento alle tante banalità che ci capita di vedere, sentire, fare o dire ogni giorno non
sia del tutto inutile.
Quanti discorsi dei nostri uomini politici sono rivolti alla “pancia” piuttosto che al
“cervello” dei loro elettori. Sappiamo bene che gli acidi gastrici ci mettono in condizione di
digerire un po’ di tutto; non dobbiamo scordarci che alla fin dei conti siamo animali
omnivori. E’ molto più difficile, invece, che il nostro cervello possa filtrare i messaggi che
gli arrivano e soprattutto che sia sempre in grado di fare delle scelte opportune per il
benessere intellettuale e culturale. Chi ha frequentato piazze, giardini o qualsiasi locale
pubblico, e si è avvicinato ai crocicchi di persone intente a discutere fra di loro, sicuramente
avrà sentito una serie interminabile di banalità che infarciscono i loro discorsi. Si va dal
patetico al melodrammatico con gradazioni di toni e di colori che potrebbero essere
opportunamente utilizzati per dipingere un quadro kitsch di indubbio cattivo gusto.
Tempo fa un notissimo comico italiano intervistato da un giornalista, alla domanda da
dove ricavasse gli spunti delle sue gag comiche, diede una risposta incredibilmente semplice
ed efficace: “Non faccio nulla di eccezionale; mi basta ascoltare ed osservare i
comportamenti delle persone nei luoghi più disparati ed ascoltare i loro discorsi. Alcuni li
trovo esilaranti e mi basta imitarli per creare delle comiche”
Far ridere, comunque, non è una cosa banale, anzi è molto seria e difficile tanto che il
poeta francese Jean de Santeuil nel sec. XVII scriveva: “Castigat ridendo mores” (Corregge
i costumi ridendo).
Da un film ho colto un’altra bella sentenza: “Le risate sono le mani di Dio su un mondo
travagliato”. Un motto simpatico e per nulla banale.
47° giorno Parlare in pubblico
Può capitare a tutti noi di dover intervenire in pubblico per esprimere un nostro pensiero,
per dare una nostra valutazione dei fatti. La prima preoccupazione è il superamento
dell’ansia e della timidezza che impedisce a molti di agire con naturalezza e disinvoltura.
Gli uditori, stranamente si dimostrano benevoli nei confronti di costoro, e ben disposti
all’ascolto, forse per incoraggiarli ed incitarli a proseguire nel loro intervento.
Il pubblico solitamente è meno disposto, invece, a tollerare le lungaggini dei discorsi
prolissi e ripetitivi, soprattutto di quegli oratori o predicatori che danno l’impressione di
essere dei saccenti antipatici che si sentono i depositari incontestati di verità nascoste ai
comuni mortali. Certi protagonisti logorroici incorreggibili dovrebbero essere un po’ più
umili e soprattutto essere consapevoli che tra gli ascoltatori vi sono persone più intelligenti
ed esperte di loro.
Parlare ad un pubblico di qualsiasi estrazione sociale o culturale che sia, richiede sempre il
massimo rispetto e una preparazione meticolosa nella scelta dei tempi, parole e modi che
permettano di catturare l’attenzione dei propri uditori nel modo più semplice possibile ed
efficace.
Circolava tempo fa una battuta circa il valore delle prediche e il loro prezzo. Si elencavano
tre tipologie di prediche, quelle da 25 denari, quelle da 50 e per ultime quelle da 100.
Quelle da 25 sono le prediche dove tutti capiscono, sia chi parla sia chi ascolta. Quelle da
50, dove capisce solo chi parla ma non chi ascolta. Quelle da 100, infine, sono le più costose
ma purtroppo le peggiori perché nessuno capisce, né chi parla né chi ascolta.
Ovviamente si consigliano sempre le prediche meno costose dove tutti possano capire ed
evitare che si debbano fare troppi sforzi per non addormentarsi.
48° giorno Il patrimonio genetico
Al patrimonio genetico, che noi tutti abbiamo ereditato, ormai vengono imputate la maggior
parte dei nostri vizi e virtù. Parlarne è un toccasana per coloro che vogliono scaricare le
proprie responsabilità o addirittura esaltare le proprie origini e potere così proclamare a tutti
da quale “nobile lignaggio” essi discendono.
Vi immaginate due innamorati che si interpellano reciprocamente sul proprio patrimonio
genetico, nella speranza di generare in futuro una prole sana, intelligente e affascinante?
A tal proposito si narra che una bella signora giovane e procace, ma un po’ sciocca, si fosse
incontrata con Albert Einstein durante un ricevimento. Affascinata dalla grande intelligenza
del famosissimo professore di fisica, gli si avvicinò per professargli la sua ammirazione,
giungendo a dire: “Se noi due ci sposassimo e avessimo dei figli sarebbe una cosa
meravigliosa: nascerebbero dotati della sua intelligenza e della mia bellezza”. Non tardò
Einstein a risponderle con una battuta davvero geniale: “Pensi, mia cara signora, se invece i
figli nascessero con la mia bellezza e la sua intelligenza. Poveri loro!”
Si deve ammettere che il patrimonio genetico combina molti scherzi dovuti alla casualità e
alla percentuale incerta con cui si trasmette. Quando leggiamo che le cattive abitudini dei
genitori passano geneticamente ai figli, scatta in noi un senso di impotenza di fronte
all’ineluttabile destino che ci ha assegnato genitori moralmente discutibili e non del tutto
irreprensibili. Insomma è proprio colpa del “genoma” e quindi del DNA che è ritenuto il
marchio d’identità di ogni individuo ed è responsabile della trasmissione dei caratteri
ereditari.
Rasegnamoci! Le leggi di natura ci assolvono o ci condannano senza appello. A noi
purtroppo resta il compito arduo di dover correggere i vizi ereditati.
49° giorno La crus col pa
Un proverbio bergamasco recita: “La crus col pa, l’è ö bel portà” (trad.“La croce quando c’è
il pane, si sopporta bene”).
In tempo di crisi purtroppo unitamente alla croce c’è pure la carenza di pane, e le tragedie si
moltiplicano impietosamente. Tutte le promesse e i discorsi fatti per attenuare il dolore e la
disperazione di numerose vittime dell’indigenza, spesso ottengono l’effetto di affondare il
coltello nella piaga.
Eppure ci sarebbe pane per tutti, ma le leggi ferree del mercato impongono la distruzione
del pane invenduto. La domanda e l’offerta sono gli unici parametri ai quali debbono
attenersi i commercianti per stabilire il prezzo e la quantità di vendita dei loro prodotti, pane
compreso. Se distribuissero gratis il pane invenduto, inevitabilmente abbasserebbero il
livello della domanda e di conseguenza anche il prezzo di vendita. Semplice, vero? Anzi,
banale!
La banalità dell’egoismo è il vero grave problema. Il rifiuto di intervenire per aiutare chi
vive nelle ristrettezze e nella miseria è simile ad un virus, il virus dell’indifferenza, che
devasta inesorabilmente i rapporti tra le persone, e ci costringe a vivere nel nostro piccolo
recinto. Mentre lo sguardo sul mondo è sempre più vasto, paradossalmente i rapporti con i
nostri simili si affievoliscono e le paure di affrontare chi ci sta attorno diventano sempre più
inquietanti. Si vedono solo gli effetti negativi della globalizzazione che è considerata la
causa delle tensioni internazionali, delle guerre e della diffusione di malattie sconosciute.
Rimangono inascoltati coloro che sognano e predicano un mondo più unito, dove la
giustizia sia fondata sul rispetto di tutti e sulla necessità di distribuire equamente i beni che
la natura elargisce generosamente e in tale abbondanza da poter sfamare quei milioni di
persone che ancora oggi muoiono di fame.
Alla croce della loro umiliazione non si aggiunga la disperazione della mancanza di pane
di cui tutti hanno diritto.
50° giorno Ufficio Complicazioni Affari Semplici
Vi sono persone abilissime nel complicare problemi semplici, ma totalmente incapaci di
affrontare problemi di una certa complessità.
“Tot capita tot sententiae” è il motto latino che ben definisce la varietà di atteggiamenti e
di pensiero diffusa tra gli uomini. Ce n’è per tutti i gusti: dall’intelligente all’ignorante, dal
pratico al teorico, dal logorroico all’asciutto di parole.
Vi è, comunque, una categoria di persone che mi ha sempre impressionato: sono coloro
che di fronte ad un problema semplice da risolvere non si danno pace finché non riescono a
complicarlo in modo tale da renderne impossibile la soluzione.
Chi ha frequentato qualche collegio docenti o consiglio di classe, mi darà sicuramente
ragione e magari mi citerà una lunga serie di esempi a dimostrazione della validità delle mie
impressioni. Si trascorrono ore ed ore a stilare obiettivi didattici corredati da altrettanti
sottobbiettivi con relativi test da sottoporre ai poveri sventurati alunni che dovranno
dimostrare di aver raggiunto quelle mete educative che i professori si sono prefissati.
Proprio in una di queste riunioni, un mio amico, un po’ burlone, aveva coniato una sigla
originale ed efficace: U.C.A.S (Ufficio Complicazioni Affari Semplici). Ovviamente la sigla
era riferita al Collegio Docenti e ai vari consigli di classe.
Anche in ambito familiare qualcuno riesce sempre a complicare situazioni piuttosto
semplici con interventi perditempo e lungaggini snervanti che portano a risultati deludenti,
provocando delle autentiche crisi di nervi. Ogni occasione è buona per avviare impietose
valutazioni critiche sull’operato altrui: marito contro la moglie, genitori contro i figli e
viceversa. La soluzione di un problema che poteva essere trovata in breve tempo, grazie alle
complicazioni dei soliti UCAS, è rimandata quasi sempre ed inesorabilmente alle Calende
greche.
Quinto intervallo
“Dover esternare i propri sentimenti è un’impresa che comporta il rischio di assumere toni patetici o noiosamente retorici o, ciò che è peggio, di sconfinare nell’autocommiserazione.”
51° giorno A livella
Oltre ad essere stato un attore comico impareggiabile, Totò ebbe anche il dono e la
sensibilità di comporre alcune poesie e canzoni che non si potranno mai dimenticare.
Anche i letterati più severi si sono convinti ad inserire la sua poesia “A livella” nel novero
delle grandi ed originali composizioni poetiche. Immaginarsi di assistere in un cimitero ad
un dialogo tra due morti, un povero netturbino ed un nobile marchese, offeso di essere stato
seppellito accanto ad un villano di bassa lega, ha permesso al poeta di ricordare in modo
simpatico che la morte non fa alcuna distinzione tra chi in vita ha ostentato ricchezza e
onori, e tra chi, invece è vissuto nell’indigenza e nella disperazione.
Quando penso alle tante maestose quanto inutili tombe di famiglie, inevitabilmente mi
torna alla mente l’ultima strofa della poesia che recita:
“Sti ppagliacciate ‘e fanno sulo e’ vive:
nuje simmo serie… appartenimmo à morte”
Parole semplici di un “grande” Totò.
Il volersi distinguere anche dopo la morte è una caratteristica di coloro che non accettano
l’idea che, loro malgrado, come tutti i poveri mortali, saranno ridotti in polvere che il vento
solleverà e disperderà ovunque. Eccoli, quindi, a predisporre tombe resistenti, magari in
cemento armato, abbellite da marmi pregiati su cui scolpire bassorilievi con la propria
effigie, per ricordare ai posteri che neppure il tempo potrà cancellarli dalla faccia della terra.
Illusi, non si rendono conto che in tal modo riusciranno solo a perpetuare la loro insulsa
megalomania.
In un cimitero la modestia dovrebbe essere rigorosamente osservata, per evitare che anche
dopo la morte si corra il rischio di essere ridicolizzati a causa di megatombe di pessimo
gusto, che costituiscono un insulto all’unica autentica giustizia che fortunatamente non fa
distinzioni per nessuno, ed emetterà per tutti, senza appello, un’unica estrema sentenza:
l’obbligo di lasciare per sempre questo mondo.
52° giorno Albero genealogico
Più di una volta ho letto la novella “La Roba” dove Verga descrive molto bene il travaglio
di Mazzarò, un povero umile contadino che riuscì ad appropriarsi di vastissimi
possedimenti, grazie alla sua astuzia e alla sua tenacia, a spese di un nobile inetto che
badava più allo stemma ereditato dai suoi antenati che ala gestione del proprio patrimonio.
Mazzarò non sapeva che farsene dello stemma nobiliare del barone, e fu l’unica cosa che gli
lasciò dopo averlo depredato di tutti i suoi terreni.
Ho conosciuto alcune persone che si sono comportate come quel nobile barone tanto
borioso quanto sciocco al punto da mettere in secondo ordine i propri interessi pur di esibire
le proprie origini privilegiate e blasonate. Hanno addirittura commissionato ad istituti
araldici una ricerca “storica” per sapere quali illustri antenati avessero dato origine al loro
albero genealogico.
E’ vero che tutti siamo, chi più chi meno, orgogliosi del nostro buon nome, ma illudersi di
accrescere il proprio valore esibendo una falsa documentazione dei nostri antenati,
propinataci da ricerche truffaldine dei numerosi istituti araldici, è tipico di fanatici illusi ed
esaltati.
Una domanda molto semplice pongo a questi presuntuosi: “Dove esibirete lo stemma
familiare che puntualmente vi sarà recapitato a casa vostra?” Magari sul portone di casa, o
addirittura lo farete scolpire all’entrata del vostro appartamento, o in un posto qualsiasi
purché in bella vista. Provo ad immaginare le sonore risate che farebbero i vicini di casa se
vedessero un simile obbrobrio.
Ho già visto le reazioni di alcuni figli quando il loro padre, orgogliosamente ma
ingenuamente, esibì come eredità un elegante volume finemente rilegato e decorato da
iscrizioni dorate e dallo stemma araldico. I più gentili si limitarono ad un sorrisetto di
compassione.
53° giorno Famiglia disintegrata
Capitava spesso che un’amica di mia madre venisse a casa nostra per confidarle le sue pene
e disavventure coniugali che io ero quasi costretto ad ascoltare mentre svolgevo i miei
compiti di scuola. Parlottavano tra di loro a bassa voce per non disturbarmi o forse perché io
non capissi; ma, purtroppo, grazie al mio udito eccellente, non mi sfuggiva una sola virgola
dei loro colloqui.
La signora che aveva avuto già sei figli, piagnucolava e si disperava perché suo marito la
tradiva spudoratamente con una “donnaccia” che abitava nella stessa via. Il marito era
certamente focoso ma, ahinoi, era il classico bambinone che si era sempre rifiutato di
prendersi le sue responsabilità e soprattutto si era sempre dimostrato incapace di educare i
propri figli con intelligenza e con premura, e di tenere saldo il timone alla guida della sua
famiglia. Praticamente quella povera signora non doveva accudire solo a sei ma a sette figli;
il settimo, ovviamente, era il marito che tra i suoi numerosi difetti annoverava quello più
grave: il vittimismo. Era sfrontato fino al punto di addossare le proprie colpe alla sventurata
consorte e tentava di giustificare la sua condotta puerile con scuse inaccettabili e impudenti
alla ricerca di una compassione che non avrebbe mai meritato.
Ogni tentativo che la povera donna faceva per riportare una sospirata normalità in
famiglia, era vanificato dalla testardaggine e soprattutto dalla capacità di mentire di suo
marito.
Poiché la devozione religiosa svolgeva un ruolo importante a quei tempi, il matrimonio era
considerato sacro e indissolubile. Si può immaginare quale fosse il travaglio per l’amica di
mia madre che era tutta chiesa, casa e famiglia! Numerosi confessori le suggerirono una
separazione legale, ma non li ascoltò. Alla fine prevalse la scelta di accettare le umiliazioni
che il marito le provocava pur di salvare capra e cavoli e, soprattutto, gli interessi della
famiglia, seppure disintegrata.
54° giorno Scripta manent
Il proverbio latino è categorico: “Scripta manent, verba autem volant” Gli scritti restano
mentre le parole volano e si disperdono nel nulla.
Oggi sia le parole sia gli scritti hanno una scarsa consistenza e credibilità al punto che non
solo si nega ciò che si è detto, ma addirittura si nega ciò che si è scritto e registrato. In
questo gioco al nascondino delle dichiarazioni dette o registrate in pubblico e soprattutto in
privato, si distinguono i nostri uomini politici che, con il massimo della faccia tosta,
ribaltano le insulsaggini dei loro proclami avventandosi contro giornalisti o nemici politici i
quali vengono accusati di aver male interpretato le loro parole e di averne travisato il senso.
Capita di aver sentito dichiarazioni, anche compromettenti, di parenti, amici o conoscenti
con la solita aggiunta: “Mi raccomando, non dirlo a nessuno! Lo dico solo a te!” Una
variante a queste esortazioni è quell’altro noto avvertimento:
“ Bada bene che qui lo dico e qui lo nego”.
A parte la vocazione al pettegolezzo che connota lo stile di vita di molti, resta in tutti noi il
dovere di infondere fiducia nei nostri interlocutori. Si possono vanificare i tentativi di
spettegolare con un mezzo molto semplice, ma concreto ed efficace: scrivere! Ogni scritto
obbliga sia lo scrivente sia il destinatario ad evitare compromessi o smentite. Le parole nel
tempo sfumano o si scolorano al punto che possono essere ambiguamente manipolate con
opportune dimenticanze o voluti “omissis”. La persona sincera non teme di mettere per
iscritto le sue dichiarazioni e i suoi giudizi perché ritiene che la verità non possa essere
opportunisticamente interpretata col variare delle circostanze. Già da piccoli ci esortavano a
stare attenti all’uso delle parole e soprattutto a chi e come rivolgerle. Oggi, come non mai, è
bene che i documenti siano sempre certificati dalla parola scritta. Si offrono credenziali di
maggiore serietà e minore opportunismo. È finita l’epoca in cui bastava una semplice
stretta di mano.
55° giorno Madre Terra
“Madre Terra ha una sua immensa generosità: lei, così potente, lei donna capace di dar
vita ai vulcani, agli oceani, alle montagne, ai dirupi, ai deserti, ha scelto di condividere con
noi, con l'umanità, una fragile sorte. Ha consentito che uomini e donne abitassero la sua
casa. E noi, spesso, siamo così altezzosi da voler dimenticare questo dono. Noi, ospiti di un
mistero.” (Andrea Semplici, giornalista).
Mi è sembrato doveroso dedicare un pensiero alla Madre Terra che in lingua quechua era
nominata Pacha Mama e che era adorata come una divinità dagli Inca e da altri popoli
abitanti dell’altipiano andino. È la dea della terra, dell’agri-coltura e della fertilità.
La sensibilità, che le popolazioni antiche dimostravano nel loro amore verso la terra, è per
noi oggi un severo richiamo ad essere più rispettosi di questo pianeta di cui siamo
“misteriosamente ospiti”. La madre terra ci ricorda continuamente che deve essere
rispettata, altrimenti saremo costretti a pagare a caro prezzo ogni offesa che essa riceverà.
Si condannano gli abusi edilizi, la cementificazione selvaggia, le discariche abusive, la
distruzione delle foreste, gli inquinamenti di ogni genere, ma troppo spesso le condanne si
limitano alle parole cosicché si moltiplicano le offese alla natura, al volto della madre terra
la quale si dimostra sempre più corrucciata e disposta a vendicarsi. E le vendette che si
scatenano non sono né leggere né insignificanti. No, di certo! Noi italiani, che ci
vantiamo di avere la nazione più bella del mondo, troppo spesso ci comportiamo da stupidi
e ingrati quando dimostriamo la nostra indifferenza verso la Terra che ci ha regalato con
tanta generosità splendidi panorami, acque limpide, laghi e mari incantevoli, le quattro
stagioni che nel loro alternarsi creano un gioioso dinamismo di colori e suoni. Inutile, poi,
disperarsi e piangere quando inesorabilmente la natura si ribella e si vendica degli oltraggi
subiti!
56° giorno Un monito categorico
Fui sorpreso tempo fa dalla dichiarazione di un vip della politica a commento dell’arresto di
un suo stretto collaboratore, un tuttofare maneggione di loschi affari e intrighi, ben noto a
tutti i suoi elettori che lo stimavano per la sua intelligenza e la sua disinvolta
amministrazione degli affari pubblici e privati. Orbene, freddo anzi gelido fu il commento:
“Sic transit gloria mundi” (trad. “Così passa la gloria del mondo”)
Si sa, l’amicizia tra uomini politici è sempre molto precaria e può svanire in brevissimo
tempo soprattutto quando la fortuna volge loro le spalle. Si potrebbero citare numerosi
esempi che hanno per protagonisti molti individui che, dopo essere stati abbandonati dalla
fortuna, furono pure abbandonati da parenti e amici. La gloria del mondo è una droga che
oscura la ragione e ci impedisce di godere delle cose più semplici e più belle della vita. Non
ci si deve meravigliare se nella ricerca spasmodica della gloria si è circondati da
opportunisti che si sperticano in lodi e falsi giuramenti di fedeltà. Al primo soffio di vento
contrario ti abbandonano al tuo triste destino e svaniscono come nebbia al sole.
La caducità delle cose umane è bene stigmatizzata dall’ammonimento che il cerimoniere
papale ripeteva per ben tre volte davanti al Pontefice neo eletto: “Sic transit gloria mundi” e
per sottolineare quanto fosse effimera la sua gloria, accendeva della stoppa posta su un’asta
che naturalmente si spegneva in un batter d’occhio.
Anche Alessandro Manzoni nella sua notissima ode “Il cinque maggio” si chiede se la
gloria di Napoleone fosse stata “vera gloria”. La risposta a simile domanda fu data dallo
stesso poeta quando nei versi successivi definisce la gloria napoleonica come la “gloria che
passò” . La sua avventura terminò, infatti, in un’isola deserta sperduta nell’Oceano.
Un monito per ricordare a tutti che gli onori non si abbinano solitamente alla felicità
dell’uomo.
57° giorno Foto emblematica
Una nostra vicina di casa sovente ci affidava in custodia la sua bellissima bambina, tutta
riccioli, con due vivaci occhioni stampati in un visino sempre sorridente e gioioso. La sua
allegria era contagiosa e non si poteva resistere alla sua vivacità. Sono trascorsi ormai più di
trent’anni e la piccola riccioli d’oro ora è una giovane signora felicemente sposata e in attesa
di un figlio.
Gli anni non hanno cancellato quel suo candore che ancora oggi manifesta nei suoi rapporti
con tutti; per questo sa farsi voler bene dagli amici, dai suoi parenti, da tutti coloro che
hanno occasione di incontrarla. È insomma una donna a cui nessuno vorrebbe fare un torto o
causare dei dispiaceri.
Eppure un giorno anche lei dovette constatare che il mondo non è sempre una favola
incantata e che, purtroppo, ci si deve rassegnare a convivere e sopportare una schiera di
balordi e di stupidi che una cosa sola sanno fare bene: esternare la loro innata
predisposizione all’idiozia!
Un giorno, infatti, lei dovette recarsi in ospedale per un controllo del sangue, per essere
rassicurata sul suo stato di salute in un momento così delicato come la gestazione di un
figlio. Arrivata nel reparto che le era stato indicato, ebbe l’amara sorpresa di ritrovarsi
l’ultima di una lunga fila di anziani, anch’essi in attesa di un controllo. Poiché si sentiva
poco bene, chiese gentilmente se l’avessero lasciata passare avanti, adducendo il motivo che
era incinta. La risposta che ottenne da un vecchiardo, è da inserire nel vade mecum del
cretino integrale: “Signora, cosa vuole? Non vede che anch’io son incinto e con me tutti i
qui presenti?”
Alla risposta villana seguì la classica risata di scherno. Il Tizio era convinto di aver dato una
risposta spiritosa degna di suscitare l’ilarità dei presenti. Peccato che nessuno abbia scattato
una primo piano a quell’individuo; avrebbe ottenuto a poco prezzo l’immagine simbolo
dell’idiota perfetto!
58° giorno In Svizzera
Anni fa ebbi la fortuna di essere ospitato da amici in un lindo paese della Svizzera, Wattwil,
a pochi Kilometri da Zurigo, equidistante da due laghi, il lago di Zurigo e il lago di
Costanza.
Siamo stati affascinati dalla generosità e dalla splendida accoglienza che i nostri amici ci
hanno riservato nei tre giorni in cui siamo stati loro ospiti.
Quando si è all’estero è inevitabile stabilire dei confronti tra gli stili di vita che sono
vistosamente diversi dal nostro. Solitamente si dice che “ogni mondo è paese” e quindi,
ovunque si vada, si scopre che i sentimenti umani, le debolezze come la nobiltà d’animo,
l’eroismo e la vigliaccheria, la saggezza e la stoltezza, la bontà e la perfidia sono uguali
dappertutto. È vero! Sono, comunque le piccole cose che spesso fanno la differenza. Cito un
esempio per tutti.
Dopo l’abbondante pranzo consumato in sana e festosa allegria, decidemmo di fare quattro
passi per le strade del paese. Che meraviglia! Vasi di fiori pendevano dai balconi quasi a
poterli toccare e ammirare da vicino. Erano ben curati, turgidi e belli. Inevitabilmente pensai
cosa sarebbe successo in Italia a quei vasi di fiori così pericolosamente a portata di mano.
Forse sarebbero scomparsi non solo i fiori ma il vaso intero ed anche la catenella a cui erano
appesi. Scacciai il cattivo pensiero per non rovinarmi il piacere della passeggiata tra quei
vicoli che sembravano predisposti a fare da modelli per pittori esigenti.
Continuando la nostra camminata ci ritrovammo a ripercorrere il viale che fiancheggiava il
fiume. Non una cartaccia, non un mozzicone di sigarette, non un sacchetto dell’immondizia
abbandonato dai soliti maleducati. Io e mia moglie eravamo incantati da tanta pulizia.
Il proverbiale ordine svizzero non era dunque una favola ma una confortante realtà!
59° giorno In collegio
Mancavano ancora tre mesi al compimento del suo decimo anno d’età. Un paese del
Piemonte, un collegio gestito da religiosi, un cancello che si rinchiudeva e tracciava
inesorabilmente l’ultimo confine tra il mondo della sua fanciullezza e un mondo sconosciuto
che lo terrorizzava. Ecco i ricordi e le immagini che ancora oggi, dopo tanti anni, lo turbano
e gli causano rancore e rabbia contro tutti coloro che, senza pietà avevano osato
“depositare” un fanciullo di nove anni in un collegio, deprivandolo improvvisamente del
suo diritto di essere cresciuto amorevolmente nella propria famiglia. Gli dissero che
l’avevano fatto per il suo bene. Solo bugie e maldestri tentativi di giustificare la loro
esecrabile e imperdonabile decisione. Abbandonato dai genitori, dai fratelli e dai suoi
compagni di giochi in un nuovo ambiente, lontano dalla casa dov’era nato e cresciuto, si
sentiva soffocare dalla nostalgia e dalla solitudine. Pianse per ore, nascosto in una toilette
perché non voleva farsi compatire da sconosciuti.
L’unica sua “colpa” fu quella di essersi sempre dimostrato buono ed obbediente e,
soprattutto, di aver sempre ottenuto dei buoni risultati a scuola. Il suggerimento che tutti
davano a sua madre, fu proprio quello di fargli continuare gli studi in un collegio,
ovviamente a condizione che fosse gestito da religiosi. Il suo destino era segnato: da allora
in poi i tutori e garanti della sua educazione culturale, civile, religiosa, sociale … dovevano
essere solo quei religiosi che erano stati suggeriti a sua madre dai curati di paese. I
sentimenti di pietà per un bambino che piangeva per farsi ascoltare, erano considerati un
segnale di debolezza e di incapacità di educare con vigore ed energia i propri figli. In un
momento di sconforto, pochi mesi prima di morire la madre confessò, sconsolata, che nella
sua vita aveva sbagliato tutto. Tutto, sicuramente no; ma l’avere rinchiuso in un collegio un
figlio di appena nove anni, certamente quello sì fu un grande errore!
60° giorno La conquista del potere
Sono stato sempre affascinato dagli scritti di Ignazio Silone di cui voglio citare una delle
sue frasi più semplici e belle: “La più grande aspirazione dell’uomo sulla terra dev’essere
anzitutto di diventare buono, onesto e sincero.”
Con questa premessa intendo sottolineare quanto Silone risplenda per la sua semplicità e la
sua grande onestà di intenti.
La sua ferma condanna di ogni forma di dittatura, rossa o nera che sia, rafforza nel lettore
il naturale istinto a ribellarsi a tutti coloro che tentano di conculcare o ledere la libertà che ci
appartiene di diritto. Non ci si dovrebbe mai sottomettere passivamente a coloro che, in
nome di una divisa civile, militare o religiosa che sia, pretendono di imporci degli obblighi
assurdi e talvolta umilianti.
Il suo romanzo“La scuola dei dittatori” offre molti spunti di riflessione per capire dove si
annida il pericolo della dittatura e, quindi, come prevenirla. Qual è l’iter di un dittatore?
Una delle caratteristiche degli aspiranti dittatori è, secondo Silone, la visibilità continua e
la capacità di questi personaggi di essere pressoché onnipresenti in ogni forma di
aggregazione sociale. Molte volte ho potuto constatare le veridicità di tale osservazione. Ho
partecipato a molte riunioni nella mia vita, da quelle imposte dall’esercizio della mia
professione a quelle di interesse sociale e politico. Partecipavo solo occasionalmente ad
assemblee comunali, sindacali, partitiche, ma, tutte le volte incontravo la stessa persona che,
seppur antipatica e non troppo loquace, era sempre presente a tutte le riunioni. Orbene, dopo
alcuni anni ebbi la sorpresa di vedere la sua foto in formato gigante stampata su un
manifesto in occasione delle elezioni comunali. Da non crederci: quell’insignificante ometto
fu eletto sindaco! La sua paziente onnipresenza fu premiata. La sedia del potere tanto
sospirata divenne per lui realtà. “Oh, quanto sono attuali gli scritti di Ignazio Silone!”
esclamai con un malcelato stupore.
Sesto intervallo
Il vero problema per un idiota è la ricerca disperata delle risorse necessarie che gli permettano di sopravvivere alle proprie idiozie.
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61° giorno I piacioni
Nel modo di relazionarsi con gli altri si può ottenere più o meno successo. Contano il
fascino, l’aspetto, l’intelligenza ma anche una capacità di conquista che dipende dal modo
con cui ci poniamo rispetto al prossimo. Si può essere inespressivi, affascinanti o adulatori
ma comunque tutti abbiamo in comune l’ambizione di farci accettare e di piacere alle
persone che ci stanno accanto.
Chi condanna i piacioni, quasi fossero gente superficiale e vanitosa, forse compie un
penoso tentativo di giustificare la propria manifesta antipatia e per dimostrare che lui,
contrariamente ai piacioni, è una persona seria tutta d’un pezzo, incorruttibile e scevro da
smancerie.
“Nessuno ha il diritto di essere antipatico”, diceva un mio amico; ben vengano, dunque, i
piacioni che, guarda caso, fanno rima con bonaccioni. In un mondo che si popola sempre
più di arrivisti e prepotenti incattiviti, bulli che con i loro atteggiamenti di supponenza, con
volto freddo e inespressivo vogliono farci credere di essere seri e severi, ripeto, ben vengano
i piacioni dei quali si ammira il modo di reagire con simpatia alle cattiverie che deturpano e
disgregano la vita in comune. Si devono apprezzare con convinzione gli sforzi legittimi che
essi fanno per essere simpatici ed accoglienti.
La connotazione negativa che solitamente si attribuisce al termine “piacioni” è per la
maggior parte dei casi profondamente ingiusta. Questa qualità, lo ribadisco con forza, è
assai positiva perché facilita i rapporti sociali e oltretutto permette di mettersi in gioco in
una società che si rinchiude sempre più in sé stessa ed è sempre più egocentrica.
Ai soliti rigoristi noiosi ed antipatici, che con i loro anatemi ci negano il diritto di godere
dei piaceri della vita, auguro che cresca sempre più il numero di coloro che tentano di farsi
accettare e di farsi ben volere. Bravi, piacioni!
62° giorno I villani
Rozzo e incivile sono i due sinonimi che meglio illustrano il significato di villano. A tutti
noi sicuramente è capitato più di una volta di assistere ad episodi disgustosi messi in scena
da villani inqualificabili. Ogni luogo, ogni circostanza sono validi per esternare la loro
maleducazione: sia in casa come nei luoghi pubblici, in treno, in autobus, per strada, a
scuola, in chiesa, in spiaggia, nei bar, insomma ovunque. Il villano è come la zecca: quando
meno te lo aspetti, te la ritrovi addosso. Si dice che gli italiani siano particolarmente inclini
ad atteggiamenti villani. Non ci consola constatare che è un vizio diffuso su tutto il pianeta;
gli incivili, infatti, sono come gli insetti, sparsi ovunque.
Sigmund Freud sosteneva che esistono tre cose impossibili al mondo, ma che sono
necessarie: educare, curare e governare. Educare al rispetto delle cose e delle persone che ci
circondano è doveroso e necessario, ma in verità troppo spesso è pressoché impossibile
ottenere risultati soddisfacenti.
Nessuno osi, infatti, richiamare o rimproverare un villano poiché le reazioni che otterrebbe,
sarebbero una sequela di villanie ancor più becere e rozze.
Stilare un arido elenco di esempi di villanie, oltre che inutile sarebbe particolarmente
insopportabile e irritante. Ognuno potrebbe raccontarci le proprie esperienze e il proprio
disgusto per essere stato, suo malgrado, testimone di episodi di inciviltà dove i protagonisti
sono i soliti maleducati che potrebbero vantarsi di aver gareggiato con le bestie per
dimostrare chi di loro fosse il vero animale.
Bellissima ed opportuna una citazione di Edmundo De Amicis: “L’educazione di un
popolo si giudica dal contegno ch’egli tien per la strada. Dove troverai la villania per le
strade, troverai la villania nelle case”!
63° giorno Cose da pazzi
Capita spesso di sentire qualcuno che sconsolatamente, allargando le braccia, esclami:
“Cose da pazzi!” I motivi per esprimere un simile stupore certamente non mancano. Se per
pazzia intendiamo assumere atteggiamenti o fare discorsi che oltrepassano quel confine
sottile tra normalità e anormalità, tra istinto e ragione, tra sogno e realtà, ebbene allora
siamo tutti un po’ pazzi. A tal proposito gli spagnoli ci hanno regalato un bel proverbio: “De
mùsico, de poeta y de loco todos tenemos un poco” (Di musicista, di poeta e di pazzo tutti
ne abbiamo un po’). Basta fare un piccolo esame di coscienza per constatare la veridicità di
questo proverbio. Chi di noi, infatti, nel corso della vita non ha commesso qualche pazzia?
L’alienazione mentale è il confine estremo e clinico della pazzia che causa gravissimi
problemi alle famiglie e ai medici specialisti che la devono affrontare e possibilmente
curare.
La mia riflessione si accentra, però, sulla forza prorompente che induce molti a scavalcare
il confortevole recinto della normalità, alla ricerca di novità di ogni genere, rischiando, se
necessario, anche la propria vita.
Penso a un San Francesco che abbandonò le agiatezze di una famiglia nobile e benestante
e, nudo, si avviò a vivere un’avventura che sconvolse le certezze di una chiesa ricca e
insensibile alle necessità dei poveri.
Don Bosco stesso affrontò innumerevoli ostacoli per la realizzazione della sua nuova opera
educatrice fra i giovani. Tentarono addirittura di farlo rinchiudere in un manicomio.
Aver sostenuto che l’uomo avrebbe potuto volare, o addirittura che sarebbe sbarcato sulla
luna o che avrebbe esplorato gli abissi del mare e le foreste impenetrabili, era una pazzia.
Oggi l’umanità può vantarsi di aver generato individui che hanno affrontato mille difficoltà
per dare un contributo preziosissimo ad ogni forma di progresso. Ingegno, fantasia e
coraggio: ecco le doti della pazzia utile e buona!
64° giorno Fantasmi
Chi ha paura dei fantasmi? Oggi, forse, neppure i bambini! Quanti desidererebbero che le
persone odiose e antipatiche o rompiscatole invadenti e asfissianti, fossero trasformate in
fantasmi con l’obbligo di andare ad abitare in una buia soffitta invasa da polvere e ragnatele.
Anni fa un conoscente mi consigliava saggiamente di considerare il vicino di casa,
particolarmente odioso, come se fosse un fantasma invisibile. Praticamente avrei dovuto
comportarmi come se non esistesse. Facile a dirsi, un po’ più difficile da mettere in pratica.
Inforcare un paio di occhiali scurissimi da sole per avere l’illusione di potersi riparare da un
eventuale incrocio di sguardi, non avrebbe comunque giustificato l’imbarazzante silenzio
qualora ci si fosse ritrovati in ascensore o su e giù per le scale.
Negare la risposta al suo saluto sarebbe stato un’ulteriore dichiarazione di guerra che
avrebbe peggiorato il difficile rapporto già devastato da un’insanabile antipatia. Si sarebbe
sentito autorizzato ad accusarmi di essere un villano maleducato.
Svariati sono gli stratagemmi che ci si deve inventare per evitare di incontrare questi
fantasmi in carne ed ossa. Un qualsiasi rumore che denoti la loro presenza sul pianerottolo,
si deve immediatamente interpretare come un divieto di uscire di casa. È consigliabile
rimanere nel proprio appartamento fino a cessato allarme ossia finchè si è sicuri che il
passaggio è libero. Se capita di intravvedersi per le vie del paese, è altrettanto consigliabile
cambiare strada. In breve ogni stratagemma è valido pur di evitare che gli incontri possano
tramutarsi in scontri: sarebbe come invitare i curiosi pettegoli a nozze, e offrire loro
un’ottima occasione per imbastire i soliti perfidi commenti.
Sì, i fantasmi, purtroppo, ci sono! In carne ed ossa, siatene certi! Sono, per giunta, alquanto
pericolosi e imprevedibili.
65° giorno Le devastazioni del tempo
Anche se la mitica Brigitte Bardot, in occasione del suo compleanno andava ripetendo che
se ne fregava dei suoi ottant’anni, in verità nessuno le ha creduto. L’età che avanza e che,
inevitabilmente ci avvia sul classico viale del tramonto, incute un po’ di paura a tutti,
soprattutto se le devastazioni del tempo sono visibilmente profonde e segnate sia nel corpo
che nell’anima.
Un giorno, passeggiando per le vie del paese incontrai un anziano che non vedevo da
tempo al quale rivolsi la classica domanda: “Oh, è da molti anni che non ci si vede. Come
sta?” Immediata fu la risposta: “Come vuole che stia? Sono vecchio e a chi dice che
invecchiare è bello rispondo che è una gran fregatura”. L’espressione dialettale da lui usata
era ancor più efficace e non ammetteva repliche. Infatti mi limitai a sorridere e mi congedai
da lui augurandole buona fortuna e tanto coraggio.
Una dichiarazione, ma di tutt’altro tono, ho avuto occasione di sentirmela rivolgere dal
mio oculista al quale avevo narrato quanto avevo sentito dal vecchio compaesano:
“Invecchiare sarà pure una fregatura – ribadì il medico con la sua solita ironia - ma è ancor
più una fregatura il non potere invecchiare”. Rimasi ammutolito dalla prontezza della sua
riposta che, con il suo ottimismo, opportunamente controbilanciava il pessimismo del
primo.
La vecchiaia è paragonabile all’ultimo tratto del sentiero che un alpinista deve percorrere
per raggiungere la vetta: è sempre più in salita, una salita che affatica e ci obbliga a respirare
affannosamente.
Chi ha deciso di darci la vita, inevitabilmente ci ha anche destinato alla morte. Come
misteriosamente siamo comparsi su questa terra, altrettanto misteriosamente dobbiamo
rassegnarci a svanire nella sua polvere.
Lo scorrere devastante del tempo non ammette repliche.
66° giorno In Venezuela
Nei sette anni della mia permanenza in Venezuela ho imparato a conoscere uno stile di vita
che mi ha sempre affascinato per la sua meravigliosa semplicità.
La gioia di vivere dei venezuelani, esplosiva e spumeggiante, è riconosciuta non solo in
America Latina ma ovunque, e da tutti coloro che hanno avuto la fortuna di visitare quel
paese dei Caraibi. La schiettezza dei nativi è immediata e il loro tono di voce, chiaro e
risonante, non ammette ambiguità.
Si può quindi ben capire quanto mi avesse fatto impressione quel silenzio e quel parlottare
sommesso che notai al mio rientro in patria, sull’autobus che mi riportava a casa. Mettere a
confronto il temperamento di un popolo giovane con quello di un popolo della vecchia
Europa sarebbe pretestuoso come se si volesse esaltare l’esuberanza giovanile contro la
quiete e la saggezza della vecchiaia.
Che dire dell’amore per il ritmo e la musica che in ogni occasione i venezuelani sanno
esternare con bravura istintiva? “Alma llanera” (“Anima della pianura”) è il canto e il ballo
simbolo degli abitanti delle sconfinate praterie, dove, allo stile dei cow boys, vivono a
guardia del bestiame allevato allo stato brado. I loro canti e i loro balli evocano il fascino
della natura nella sua struggente bellezza. I suoni dell’ “arpa criolla” (“arpa creola”) e di una
piccola chitarra, ritmati da una serie di originali strumenti a percussione, si diffondono
ovunque durante le feste paesane che ravvivano i colori e le bellezze delle tradizioni della
loro terra.
E che dire, inoltre, delle spiagge che si snodano in tutta la loro lucentezza e splendore a
coronare il confine con il mar dei Caraibi? Dall’oceano alle vette della Sierra Andina è tutto
un susseguirsi di spettacoli da sogno.
Non nego di provare, talvolta, una profonda nostalgia di quelle terre dove la natura ha
profuso con generosità bellezze di ogni genere e dove la gioia di vivere è contagiosa.
67° giorno L’arte di tenersi per mano
Navigando nel web sempre più sconfinato si può trovare veramente di tutto e per tutti i
gusti. Mi capitò un giorno di leggere come tenersi per mano. I suggerimenti pubblicati da
Wiki How erano basati addirittura su dieci passaggi per raggiungere il sospirato piacere di
farsi prendere per mano dall’amato.
La cosa è più seria, dunque, di quello che potrebbe apparire. Don Milani, infatti, suggeriva
la necessità di imparare a camminare insieme tenendosi per mano. La condivisione di ideali
e la ricerca dei percorsi da seguire per realizzarli comporta unità di intenti e disponibilità ad
accettare sacrifici per il bene dei compagni di viaggio con i quali, appunto, è doveroso
sentirsi vicini anche fisicamente, proprio come in una stretta di mano.
Quanto sia difficile perfezionare la difficile arte dello stare e camminare insieme, ne siamo
tutti consapevoli. Basti pensare a qualsiasi forma di aggregazione socio-familiare per avere
un’idea di quanto sia diffusa l’incapacità o la riluttanza a collaborare: in famiglia, nel
partito, tra colleghi e, talvolta, anche tra amici e conoscenti.
Il noto giornalista Corrado Augias nel programma televisivo “I visionari” da lui condotto,
considera visionari quegli uomini che con le loro opere o il loro pensiero hanno cambiato il
mondo: artisti, scienziati rivoluzionari, filosofi, politici, inventori e molti altri personaggi di
grande rilievo.
Tra i grandi “visionari” si collocano, a pieno titolo, Gandhi e Martin Luther King, che
hanno pagato a caro prezzo il loro sogno di poter rivoluzionare il mondo predicando la non
violenza convinti che il nostro pianeta è una casa comune dove è fondamentale il rispetto
reciproco e soprattutto dove è un obbligo imparare a vivere tutti insieme in stretto contatto
e, se necessario, tenendosi per mano.
68° giorno Voltagabbana
“Voltagabbana è colui che cambia facilmente idee e opinioni o muta il proprio
comportamento per trarne sempre il massimo vantaggio”. Una definizione semplice ma
esauriente poiché mette in evidenza come l’opportunismo sia la connotazione principale del
voltagabbana. In politica ormai cambiare idee e programmi con la massima disinvoltura, è
divenuta una consuetudine sempre meno esecrata e sempre più giustificata da
argomentazioni dialettiche degne dei sofisti greci.
Senza addentrarsi nelle alte sfere della politica “nostrana”, è bene limitarsi a prendere in
considerazione gli atteggiamenti più conosciuti e più frequenti dei normalissimi
voltagabbana che si annidano ovunque. Tutti costoro sono in buona compagnia con i
truffatori, gli imbroglioni e con tutti i bidonisti in genere. Come ci si può fidare di quegli
individui che in breve tempo cambiano abito e maschera, e sono abilissimi nell’arte del
trasformismo? Tutti noi rischiamo di essere truffati da questi camaleonti i quali, però,
devono essere consapevoli che le loro truffe hanno sempre un effetto boomerang: la
distruzione della loro credibilità per sempre.
I voltagabbana sono radicati in ogni strato sociale e distribuiti equamente su tutto il
territorio nazionale, in ogni direzione. Quando si pensa che le carnevalate o balli in
maschera da loro inscenati siano terminati, ecco improvvisamente ce li vediamo riapparire
nel tentativo di convincerci, con la solita indescrivibile faccia tosta, che tutto ciò che essi
hanno fatto, l’hanno fatto per il nostro bene. Poiché noi siamo persone educate, evitiamo di
dare a loro le risposte che si meriterebbero e gentilmente li invitiamo a lasciarci in pace,
proprio per evitare di doverli ringraziare per il “bene” che, come dicono, ci hanno fatto. Ci
sono persone, comunque, non disposte ad essere così gentili ma piuttosto inclini ad usare
maniere meno educate per obbligare i voltagabbana a starsene alla larga.
69° giorno Gli affari sono affari
Quando si parla di affari, le prime connotazioni che affiorano alla mente sono quelle
negative come “sporchi” e “loschi”.
Si dice che un affare, per essere considerato equo, debba soddisfare ambedue i contraenti
affinché nessuno possa sentirsi turlupinato. Eppure i professionisti delle “fregature” sono
sempre più numerosi e pieni di fantasia; combinare un losco affare è un motivo di vanto
poiché fa guadagnare molti soldi ed accumulare nuovi tasselli che permettono di completare
l’immagine consolante della loro “furbizia e intelligenza”.
Si ripete spesso che in affari, come in amore e in guerra tutto è lecito. Questa sicuramente è
una delle sentenze che gli stolti amano proferire, soprattutto se serve a giustificare la loro
incapacità di essere onesti.
Un’altra massima degna della precedente è la notissima “Gli affari sono affari” conosciuta
universalmente come titolo umoristico della commedia di Mirbeau.
Molti anni fa ho conosciuto una signora esponente dei vip del paese, la quale, grazie alle
ricchezze accumulate in qualità di brava commerciante in vini (che taluni malignamente
sostenevano fossero molto annacquati) era entrata a far parte del mondo ristretto degli
affaristi dai quali era apprezzata per la sua innata scaltrezza. Quando si trattava d’affari, non
ammetteva scrupoli di nessun genere neppure di fronte a persone bisognose di essere aiutate
per la loro precaria situazione economica. Era comunque una fervente cattolica, quasi al
limite del fanatismo. Mia madre, una volta, con molto garbo tentò di farla desistere dal suo
ostinato rifiuto a mostrarsi indulgente con un suo debitore che versava in gravi ristrettezze,
appellandosi alla sua coscienza di cattolica praticante. La risposta che ottenne fu a dir poco
cinica e lapidaria: “Mia cara signora, si ricordi che gli affari sono affari e la religione è
un’altra cosa”. Quel discorso, così poco evangelico, lasciò mia madre avvilita e senza
parole.
70° giorno Un libro per premio
Si è sempre detto che un libro è un amico, un tesoro, una testimonianza, un documento
prezioso e indispensabile per diffondere conoscenze e cultura a tutti i livelli. Nessuno osa
negare l’importanza che hanno i libri. Ben vengano dunque anche gli spot pubblicitari che
incitano i giovani ad apprezzare e ad appassionarsi alla lettura. Internet non può essere
considerato un’alternativa al libro ma bensì un suo valido alleato.
La scuola ha sempre attraversato crisi di identità non solo in Italia, ma nel mondo intero;
ciò nonostante, nessuno mai si è azzardato a proporre l’abolizione dei libri di testo o libri di
semplice consultazione.
Negli anni del dopoguerra, la povertà era piuttosto diffusa in tutta la nazione, ma le scuole
erano in costante aumento e si dovevano gestire classi con oltre una quarantina di ragazzi. I
maestri erano obbligati ad essere molto severi per garantire disciplina e ordine. Talvolta
alcuni di loro ricorrevano anche a mezzi “poco ortodossi” per farsi rispettare ma alcuni
sapevano ricorrere a semplici stratagemmi didattici che coinvolgevano gli alunni e li
stimolavano a partecipare attivamente nel difficile percorso educativo. Aver avuto un
insegnante nelle elementari che fosse dinamico e propositivo era una vera fortuna. Mi sono
sempre considerato fortunato di aver avuto un insegnante bravo che sapeva entusiasmare i
suoi alunni piuttosto che deprimerli con castighi odiosi e umilianti.
Ricordo in particolare il concorso che un giorno il nostro maestro organizzò per valutare chi
avesse studiato bene la lezione ed avesse svolto nel modo migliore i compiti assegnati. Per
premio era stato messo in palio un vecchio libro. Vinsi ed ottenni il premio. Più volte ho
letto quel libro che ancora oggi mi affascina e di cui ricordo perfino l’odore caratteristico
che emanava la carta ingiallita dal tempo.
Settimo intervallo
“E’ più facile dimenticare cinquant’anni di verità con una mezza bugia piuttosto che dimenticare cinquant’anni di bugie con una mezza verità.”
71° giorno Robe vecchie
È incredibile quante cose vecchie e inutili si accumulano in una casa: in cantina, in soffitta,
nel magazzino, in garage, insomma in ogni angolo o stanza vuota. Talvolta si giunge al
punto di ridurre la casa ad una piccola discarica di oggetti ingombranti di ogni genere:
vecchie biciclette, pentole e coperchi ammaccati, giradischi della nonna, scaldaletto e ferri
da stiro dei trisavoli, bauli e mobiletti invasi dalle tarme e dalla polvere, bottiglie sporche,
ferri arrugginiti di ogni tipo… e chi più ne ha più ne metta! Nei casi estremi si possono
raggiungere livelli che sono da considerarsi casi clinici di manie ossessivo compulsive come
quel poveretto che aveva raccolto di tutto, rifornendosi addirittura dalle discariche
comunali. La moglie, pochi giorni dopo la morte del marito dovette rivolgersi ad un’impresa
specializzata perché portassero via tutto ciò che il poveruomo aveva accumulato in tanti
anni. Le costò una cifra incredibile! Ovviamente questo è un caso da manuale di psichiatria.
In verità tutti noi siamo conservatori, chi più chi meno, e amiamo conservare e custodire
oggetti che ci ricordano il tempo della gioventù, delle allegre scampagnate, delle avventure,
delle persone care e degli amici o addirittura dei nostri primi anni di scuola. Un qualsiasi
vecchio oggetto conservato con cura ha il potere di farci rivive meravigliose sensazioni
quasi avesse anche il potere di fermare quel tempo che inesorabilmente ci sfugge. Il nostro
istinto di sopravvivenza è la causa del nostro istinto di conservazione. Più cose riusciamo a
conservare e più cresce in noi l’illusione di garantirci un pezzo di eternità. Se nel raccogliere
e conservare prevale, invece, il vizio di accumulare più roba possibile pur di soddisfare
inconsciamente l’istinto della propria cupidigia, allora è bene dimostrarsi intelligenti,
liberandosi, senza rimpianti, delle cose superflue e inutili, che puzzano davvero di
vecchiume e nulla più.
72° giorno Anticlericali ma non troppo
Storicamente l’anticlericalismo è definito come opposizione all’ingerenza del potere
ecclesiastico nella vita socio-culturale e politica di un paese. L’anticlericalismo oggi più
diffuso è rivolto soprattutto a condannare quei chierici che hanno barattato la loro vocazione
spirituale con gli interessi materiali, economici ed affaristici. La Chiesa cattolica nella sua
lunga storia è stata odiata e disprezzata soprattutto quando i fedeli non riconobbero più nelle
loro guide spirituali la rappresentanza dell’immagine divina ma bensì l’immagine
deteriorata dal potere temporale viziato dall’opportunismo e dalla superbia.
L’anticlericalismo attuale potremmo definirlo di tipo più soft ma non per questo meno
devastante e pericoloso. Oggi nella nostra vecchia Europa non esiste più la feroce
opposizione che per molti secoli aveva lacerato i rapporti con il Papato e i chierici in genere.
Il vero pericolo dei giorni nostri deve essere ricercato nella dilagante indifferenza che è la
peggior espressione dell’anticlericalismo.
Gli anticlericali “moderni” vivono all’ombra della croce e molto spesso si annidano nelle
sacrestie dove il pettegolezzo e le dicerie sono all’ordine del giorno. Sono anticlericali da
strapazzo; la loro serietà è inversamente proporzionale alla gravità dei problemi da
affrontare. Si accalorano per delle autentiche banalità e si piegano come canne al vento di
fronte a questioni importanti. Su una sola cosa si trovano d’accordo: mugugnare e criticare
le decisioni prese dai sacerdoti non appena essi si congedano dall’assemblea. Alla faccia
della lealtà!
Ho sempre riconosciuto la difficoltà di essere preti in gamba, oggi più che mai. Gli ostacoli
che devono superare sono molte volte insormontabili, soprattutto se anche la loro fede inizia
a vacillare. Lo sconforto miete numerose vittime anche tra “i chierici” soprattutto quando
l’accanimento anticlericale o l’indifferenza della gente li abbandona e li costringe alla
solitudine. Resistere per non cadere diventa un atto eroico.
73° giorno Vita in condominio
Per vivere a stretto contatto con qualcuno in un condominio è sempre indispensabile una
buona dose di tolleranza, soprattutto se il vicino pretende di avere qualche motivo in più
degli altri di far valere i propri “sacrosanti” diritti, con parole minacciose, odiose e irritanti.
La partecipazione ad una riunione condominiale crea uno stato d’ansia quasi palpabile,
soprattutto quando si deve sottoporre a votazione la propria proposta con il timore che
venga bocciata dalla maggioranza dei presenti. Le reazioni ad una eventuale bocciatura sono
simili ad autentiche dichiarazioni di guerra, con ultimatum ricattatori verso coloro che
hanno osato votare contro. Sarebbe inopportuno e poco edificante parlare di riunioni finite
in risse furibonde coronate da schiaffi, insulti e relative denunce alla magistratura per
aggressione e diffamazione; è bene, perciò, limitarsi a valutare le normali e consuete
riunioni a scadenza annuale.
Talvolta succede di essere stati amministrati da un incapace o pasticcione. In tal caso le
asce di guerra sono tutte unanimemente rivolte verso lo sventurato amministratore; una
volta tanto i condomini ritrovano un accordo da siglare con un patto di ferro inoppugnabile.
Sono state fatte svariate ricerche per individuare le cause più frequenti che scatenano
furibonde liti condominiali. Si va dagli odori ai rumori, dall’innaffiatura di piante al
rapporto con gli animali domestici, dal bucato in evidenza ai mozziconi di sigarette gettati
dalle finestre: insomma, una lunga lista di banalità. I tribunali rigurgitano di denunce e di
processi civili e penali originati dalla difficile e talvolta tragica convivenza in un
condominio. Alcuni si identificano sempre più spesso a quegli animali che delimitano il
proprio territorio con i loro odori e guai a chi osa oltrepassare quei “sacri” e odorosi confini
che essi hanno decretato invalicabili. Si fa di tutto per difendere la propria vita “privata” ma
non ci si accorge che sempre più spesso la vita è “deprivata” dal piacere di vivere insieme.
74° giorno Ricordi indelebili
Quanti ricordi frullano nella nostra mente in modo confuso ma che, in alcune circostanze,
emergono con particolare nitidezza. Il cervello umano, grazie al suo potere mirabile di
coordinare i nostri pensieri, seleziona i ricordi secondo il grado di emotività con cui
abbiamo vissuto le nostre esperienze e soprattutto seguendo le scelte operate in noi da
quella grande risorsa che è l’autostima. Solo i ricordi di importanti episodi, in cui abbiamo
vissuto forti emozioni, tornano alla mente con tutti i loro particolari e sono in grado di
entusiasmarci o deprimerci anche dopo molti anni. Il nostro ego, che valuta ogni azione o
pensiero, vigila, seleziona e tenta di cancellare tutto ciò che causa o abbia potuto causare
grandi sofferenze o avvilenti dispiaceri. Nelle conversazioni con amici o conoscenti è
scontato che nessuno ama parlare di episodi della propria vita che sono stati particolarmente
umilianti; piuttosto si tende sempre a magnificare quelle occasioni dove sono state
apprezzate le nostre qualità migliori, la nostra bravura, la nostra furbizia.
Chi non ricorda il primo grave castigo ricevuto, il primo giorno di scuola, le prime botte
date e ricevute, gli esami delle elementari, l’ingresso in collegio o in caserma, il sospirato
diploma , il primo innamoramento, la prima grande delusione e tanti altri momenti
importanti della vita?
Fortunatamente abbiamo anche la prerogativa di dimenticare e di relegare nell’oblio molti
avvenimenti che hanno fiaccato la nostra volontà e il nostro amore per la vita. Ricordare e
dimenticare sono due poteri apparentemente opposti l’uno all’altro: in realtà sono due
formidabili alleati che ci stimolano a dare un senso alla nostra vita. È doveroso ricordare le
cose belle per accrescere la nostra voglia di vivere, ma è una necessità dimenticare le cose
brutte che ci hanno rattristato per non sprofondare nella depressione e nell’apatia.
75° giorno Non è la grammatica ma il cuore che conta
Capita spesso che la TV ci riproponga i film di “Don Camillo”. Ne custodisco tutta la serie
che rivedo sempre con immutato piacere e divertimento. La fantasia di Guareschi riesce a
rendere vivacissima la sua narrazione introducendo frequenti e simpatici dialoghi tra don
Camillo e il Cristo che, dalla croce dell’altare, gli rivolge suggerimenti, raccomandazioni e
talvolta rimproveri.
Durante una di questi dialoghi, che i soliti bacchettoni hanno definito sacrileghi, don
Camillo si compiace nel deridere l’ignoranza di Peppone e dei suoi “compagni”,
sottolineando gli strafalcioni grammaticali disseminati nei loro manifesti e focosi proclami.
Ma Cristo risponde con un rimprovero davvero semplice ma efficace: “Ricordati, don
Camillo, che non è la grammatica ma il cuore che conta.”
Ho avuto occasione molte volte di ascoltare i sermoni di un prete buono, generoso e
sempre disponibile ad ascoltare i suoi parrocchiani. Le sue prediche erano davvero speciali,
poiché, sebbene con la grammatica avessero poca familiarità, inviavano messaggi semplici
che tutti erano in grado di capire ed apprezzare. Un giorno infatti mi sono permesso di
rivolgermi a lui per esprimere il mio parere circa i suoi sermoni: “Se si dovesse fare una
graduatoria delle prediche più corrette grammaticalmente , lei sarebbe sicuramente escluso
da qualsiasi riconoscimento, ma se si giudicasse l’efficacia o la passione con cui sa
trasmettere i suoi messaggi ai fedeli, lei vincerebbe senza dubbio il primo premio perché sa
parlare alla gente, non preoccupandosi molto delle regole grammaticali ma piuttosto
prestando una grande attenzione alle regole del cuore.”
Sorrise quel prete alla mia critica bonaria perché sapeva che anch’io mi stavo rivolgendo a
lui col cuore piuttosto che con le regole dettate dal perbenismo grammaticale.
76° giorno Finiti i soldi, finito l’amore
Se innamorarsi è piuttosto facile, non possiamo dire che sia altrettanto facile perseverare
nell’amore. Quanti giuramenti di fedeltà sono stati puntualmente stracciati dall’indifferenza
e, talora, dall’odio e dal disprezzo. Basta dare uno sguardo attorno a noi o basta leggere le
cronache giornaliere per rendersi conto di quanto sia attuale questa amara constatazione.
Cito un esempio per tutti. Una compaesana, amica di mia moglie, in un momento di
sconforto le raccontò, in tutta confidenza, i dispiaceri che dovette patire a causa di un suo
nipote che, nonostante fosse gravemente ammalato, fu abbandonato dalla sua convivente,
una ammaliante bionda slovacca, con la quale aveva condiviso una vita alquanto sfrenata
per oltre un decennio. Questa “splendida signora” non esitò, pochi giorni prima che morisse
il suo povero innamorato, a fare fagotto, chiamare un suo fratello dalla Slovacchia perché
venisse a prenderla e a prelevare l’automobile che le era stata donata dal suo ingenuo
convivente al quale già aveva sottratto una cospicua somma di denaro.
Il medico, al quale la nostra compaesana aveva narrato questa vigliaccata, e al quale
chiedeva un conforto e un consiglio, rispose in maniera molto laconica, citando il noto
proverbio “Sappiamo tutti che finiti i soldi, è finito l’amore.”
Una settimana dopo la vergognosa fuga della sua amante, il povero disgraziato e sfortunato
nipote morì in totale povertà, deprivato di tutto ma soprattutto deprivato anche dell’affetto
di tutti gli altri parenti.
Fu celebrato il funerale. Naturalmente la “straniera” non si fece viva. Ebbe, comunque, la
spudoratezza di fare una telefonata ma solo per chiedere il certificato di morte del suo
defunto amante; il documento le era indispensabile per ritirare il denaro che lui aveva
depositato presso una banca slovacca, e che aveva cointestato a lei. Qui terminò lo sfogo
dell’amica di mia moglie. Alcune lacrime le irrigarono il viso.
77° giorno Le parolacce
Addirittura il papa Francesco, rispondendo a dei bambini che gli chiedevano il suo giudizio
in merito alla pessima abitudine di dire parolacce, condannò in modo chiaro e semplice
quella che ormai è diventata una consuetudine nel modo di esprimersi non solo dei giovani
ma anche di tanti adulti che seguono la moda del giovanilismo. Ecco le sue testuali parole:
“No alle parolacce e a chi pensa che pronunciarle sia quasi un segno distintivo di libertà e
forza di carattere. Certe volte mi viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle
cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione.”
Ho letto recentemente una notizia che parlava del sistema molto semplice escogitato da
una professoressa per far desistere i suoi alunni dal dire parolacce o scurrilità in classe.
Aveva deciso di sostituire le note sul registro con le sanzioni per le parolacce: cinquanta
centesimi per le scurrilità e tre euro per le bestemmie. Il ricavato sarebbe stato devoluto in
beneficenza. Se sanzioni simili fossero applicate a livello planetario, sicuramente con il
ricavato si risolverebbe il problema della fame nel mondo.
Il vezzo sempre più dilagante di infarcire i discorsi politici con parole scurrili che feriscono
la sensibilità di molte persone educate al rispetto dei propri simili, dovunque e comunque,
non è un segnale confortante che ci permetta di sperare in un mondo migliore da tramandare
ai più giovani. Se si tenta di immaginare quale tipo di società siano in grado di creare questi
capipopolo, è piuttosto facile pensare ad un mondo destinato alla paralisi e, addirittura,
condannato a fare salti paurosi all’indietro. Parlare in modo volgare alla gente non significa
esprimere con chiarezza il proprio pensiero, ma solo dimostrare di essere degli imbonitori
che tentano di accaparrarsi la fiducia di poveri illusi ai quali si è fatto credere che le
parolacce siano quasi una necessità per dimostrare di essere sinceri e onesti.
78° giorno Faccia di tòlla
L’epiteto “faccia di tòlla” ha una sua attualità intramontabile. La tòlla è la latta, merce di
valore evidentemente inferiore all'oro. Ma in milanese "faccia de tòlla" vuol dire faccia
tosta, improntitudine e, talora, ardimento nel sostenere le proprie azioni e idee.
Anche i bergamaschi hanno inventato e diffuso un bel proverbio analogo a quello milanese:
“Val de piö la lapa che la sapa” (Vale di più la lingua che la zappa)
L'espressione viene usata sovente in senso scherzoso e indulgente, altre volte però la si usa
per condannare la sfacciataggine, la sfrontatezza o addirittura la spudoratezza.
Elencare le numerose sfumature della tipologia dei facce di tolla, sarebbe cosa arida e
inconcludente. Si dovranno tenere in considerazione solo gli esponenti più significativi di
una simile categoria: i bugiardi, i voltagabbana, i vittimisti, i bulli e i “bidonisti” ossia
coloro che vigliaccamente si dilettano a “bidonare” il prossimo. Tutti noi, sicuramente,
abbiamo avuto occasione di conoscere qualche esponente di una simile genìa, senza
distinzione di classe sociale, di professione, di livello culturale o di fede religiosa. Si
annidano dovunque, sono sempre in agguato, pericolosi e inaffidabili. Tra le facce di tolla,
una in particolare è da considerarsi particolarmente subdola e pericolosa: “il vittimista”. Le
lacrimose lamentele sulla propria “triste sorte” sono talmente insistenti da far sì che da
vittima riesca trasformarsi in carnefice contro gli stessi congiunti accusati di essere
indifferenti, creando in loro un senso di colpa che li piega e li umilia. Più il vittimista sa
fingere, più cresce il disagio di chi gli sta accanto e maggiori sono per lui le occasioni di
assoggettare chiunque al suo volere. Bella faccia di tolla!
79° giorno Animalisti
L’amore per gli animali, soprattutto per quelli cosiddetti di compagnia, è oggigiorno molto
diffuso nella nostra società sempre più ammalata di solitudine. Esiste addirittura la peto
terapia che si avvale della fedele compagnia degli animali per curare alcune forme gravi di
disturbi neuropsichici. L’animale, infatti, sa infondere simpatia e fiducia con quella
pazienza e amore che l’uomo spesso non sa donare. L’animale si accontenta di poco, alcuni
bocconi e qualche carezza, ma in compenso da tutto sé stesso ed anche la vita, se necessario,
per difendere il proprio padrone. Il cane non morde mai la mano di chi gli ha dato da
mangiare. Possiamo dire altrettanto dell’uomo? Maltrattare un animale, dunque, è un
autentico atto di vigliaccheria che giustamente deve essere perseguito dalla legge e
considerato un reato punibile, nei casi più gravi, anche con la carcerazione. Bene accetti
siano dunque gli animalisti che vigilano per evitare che vengano commessi abusi e reati
contro ogni creatura che vive sulla terra.
È opportuno comunque distinguere gli animalisti in due categorie: quelli che operano con
serietà e coerenza, e quelli che morbosamente e opportunisticamente considerano l’animale
come un normale giocattolo con cui trastullarsi e divertirsi. Che dire di quegli adulti che si
rivolgono al proprio cane con frasi tipo: “Vieni qui dal tuo papà”, “Vieni dalla tua mamma”,
“Amore!” e via con altre frasi insulse e degne neppure di essere pronunciate su un qualsiasi
pianeta della galassia abitato da extraterrestri mentecatti? Sbaciucchiarsi in pubblico
solitamente è disdicevole per tutti; immaginiamoci quando, senza alcun ritegno, gli
sbaciucchiamenti sono scambiati con un animale! Questi atteggiamenti non sono un segno
d’amore per gli animali ma solo una penosa dimostrazione che l’uomo, quando non sa
amare i propri simili, rivolge tutte le sue attenzioni a chi non lo contraddice, non lo offende
e, soprattutto, non lo accusa mai di essere un “poveretto”.
80° giorno Un lago alpino
Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo vissuto momenti belli ed esaltanti che tornano sovente
alla memoria procurandoci una sensazione di benessere e di una dolce nostalgia.
Ebbi occasione di vivere alcuni anni fa uno di questi momenti piacevoli , durante
un’escursione in montagna a circa tremila metri di quota. Dopo quasi due ore di dura e
faticosa salita, quasi d’improvviso mi apparve la splendida visione di un lago alpino
incastonato tra le nude rocce dei monti che lo coronavano. Rimasi immobile e attonito per
parecchi minuti a contemplare quella meraviglia della natura. La scenografia era da
mozzafiato: l’azzurro intenso del cielo, le cime dei monti macchiate dal candore della neve,
le ombre che si insinuavano tra fratture delle rocce, il vento che ricreava in continuazione
nuovi arabeschi sulla superficie del lago, e il sole che con i suoi bagliori regalmente
avvolgeva e colorava ogni cosa. Un immenso spuntone roccioso, quasi fosse una maestosa
torre a guardia di un simile gioiello, si ergeva ai bordi, a dominare ma soprattutto a
proteggere con gelosa severità quella bellezza che la natura aveva creato.
Dal valico alpino, affascinato da tanto splendore, scesi lentamente verso le sponde del lago
sottostante, bordato da un verde intenso simile ad un morbido tappeto invitante e
rassicurante che attenuava le asperità delle pietre rotolate dalle vette circostanti.
Interrompevo molte volte la mia discesa per soffermarmi ad abbracciare con la vista tutte le
meraviglie che quel panorama mi offriva: sensazioni uniche, che mai avevo provato in vita
mia, mi infondevano un’euforia tale da sentirmi quasi sconvolto da tanta bellezza.
Quando finalmente arrivai in prossimità della riva del lago, la mia euforia raggiunse il
culmine e mi distesi su quell’erba soffice, fresca ed accogliente, quasi volessi
immedesimarmi e immergermi in quello che mi appariva un sogno, un paradiso!
Ottavo intervallo
Ci si impegna maggiormente a giustificare i propri errori piuttosto che a trovare il modo di non commetterne altri.
81° giorno Bullo e bugiardo
I giudizi negativi e poco lusinghieri rivolti ai nostri simili ovviamente non ci
predispongono ad esprimere una valutazione serena ed equilibrata dei loro comportamenti.
Ciononostante sono indotto a fare una piccola riflessione sul fenomeno sempre più dilagante
del bullismo che odiosamente è sempre sostenuto da una sequela di menzogne.
Il bullo vive e si alimenta di bugie ed è tanto più subdolo quanto più è legato a forme di
fanatismo ed autoesaltazione. Il movente è la necessità di offrire un’immagine di sé stessi
che esca dagli schemi della normalità. Rendersi visibile in un mondo sempre più
globalizzato e anonimo, è un obiettivo affascinante per un bullo il quale, costi quel che
costi, è disposto a ricorrere anche alla violenza e alla menzogna per ritagliarsi momenti di
notorietà.
Ma i bulli più pericolosi sono quelli che opportunisticamente sfruttano il loro status
sociale, economico o religioso per soddisfare l’istinto di megalomania che li pervade. La
gente comune incautamente li ammira ed arriva sino al punto di additarli come esempio di
vita. “È una brava persona!– esclamano affascinati– È un uomo di fede! È un uomo tutto
d’un pezzo che fa sempre quello che vuole!...” Ovviamente questi giudizi sarebbero tutti
positivi se davvero rispecchiassero la vita privata dell’individuo preso in esame. Questo è
l’obiettivo del bullo: ottenere riconoscimenti e lodi sperticate per il proprio operato,
badando bene ad occultare la propria vita privata, non così esaltante né coerente con
l’immagine che egli opportunisticamente e con menzogne si è ritagliato per l’uso e il
consumo dei soliti incauti creduloni.
Pur di essere sempre sulla cresta dell’onda della notorietà il bullo è disposto a fare anche
del mecenatismo! Ovviamente non con i propri soldi ma con quelli sottratti in modo
disonesto e infido alle vittime dei suoi intrighi e sporchi affari.
Attenti ai bulli! Sono perfidamente bugiardi.
82° giorno Un detto africano
Durante una delle mie letture veloci ed esplorative mi sono soffermato a rileggere un detto
africano: “Il bambino diventa uomo quando non dice più “ E’ mio!” ma “E’ nostro!”.
L’efficacia di un simile insegnamento è innegabile e condanna ogni forma di egoismo.
Quando il bambino vive come se fosse al centro del mondo che gli gira attorno, è del tutto
normale, ma se da adulto persiste nell’ostentare un comportamento egocentrico, allora
significa che qualcosa s’è inceppato nella fase del suo sviluppo emotivo e razionale.
Nessuno pretende che non ci debba essere ombra di egoismo nei nostri comportamenti o
pensieri perché significherebbe vivere in un mondo ideale che contrasta fortemente con una
realtà quotidiana poco idilliaca. L’integrazione razziale, per citare un esempio di grande
attualità, sta diventando una dei problemi più gravi che i governanti di tutto il mondo
devono affrontare con urgenza e intelligenza ma soprattutto con la profonda convinzione
che il futuro dell’umanità sarà caratterizzato da un superamento dei confini nazionali che
favoriranno i rapporti fra diverse etnie e culture. Dovremo desistere dal sostenere ed
alimentare quegli egoismi che ci relegano a vivere nell’indifferenza e addirittura nell’ostilità
verso tutti coloro che consideriamo nemici solo perché sono ritenuti diversi da noi. Si pensa
che siano ladri e malfattori che vengono a deprivarci del nostro patrimonio, culturale o
monetario che sia. Il primo insegnamento che dovremmo dare ai nostri fanciulli sta proprio
nel far capire che mettere a disposizione i propri giocattoli con gli amichetti, è una splendida
occasione per vivere gioiosamente con loro. Solo insegnando ai figli a condividere con gli
altri ciò che si possiede, si crea la speranza che il futuro sia migliore e più giusto per tutti.
La conclusione di questo pensiero sgorga spontanea e logica: è un dovere irrinunciabile per
tutti anteporre l’altruista “nostro” all’egoista “mio”, se si aspira a diventare adulti.
83° giorno L’arte di essere simpatici
Essere antipatico non è certamente un obiettivo per nessuno, soprattutto se l’antipatia è
originata dall’incapacità di stabilire relazioni cordiali con il prossimo. Come ogni
espressione artistica è originata dall’innata capacità dell’uomo, così pure la simpatia, se
considerata un’arte, è principalmente un dono della natura impresso nel nostro patrimonio
genetico. Ma poiché i talenti ricevuti devono essere custoditi e moltiplicati, così pure l’arte
di essere simpatici deve essere perfezionata accuratamente.
Uno dei più noti suggerimenti per accrescere la nostra simpatia ci viene dato dai fratelli
Edmond e Jules de Goncourt: “Non parlare di te ad altri ma falli parlare di sé stessi: in
questo sta tutta l’arte di essere simpatici”. Anche se il suggerimento possa essere ritenuto
alquanto utilitaristico e un po’ ruffianesco, in verità è molto profondo ed efficace per un
duplice motivo: primo, perché definisce la simpatia un’arte e, secondo, perché sottolinea
l’importanza di non anteporre i nostri meriti e le nostre ambizioni a quelle degli altri,
ricorrendo spesso a sproloqui noiosi e insopportabili.
Se dovessimo individuare quale sia la caratteristica più evidente dell’arte della simpatia,
certamente dovremmo mettere al primo posto il sorriso. Sorridere a chi ci sta accanto
favorisce immediatamente la disponibilità ad intrattenere un dialogo sereno e fiducioso.
Quando non esistevano i grandi supermercati, dove ormai le “cassiere” possono
permettersi il lusso di essere antipatiche, i numerosi commercianti di paese gareggiavano tra
loro per dimostrarsi simpatici ed attirare così il maggior numero possibile di clienti. Le loro
armi principali erano indubbiamente il sorriso e la capacità di ascoltare i propri avventori.
Il suggerimento che tempo fa un mio amico rivolse ad un suo collega “Ricordati che non
hai il diritto di essere antipatico”, è sempre di attualità e da non dimenticare mai.
84° giorno Fatti e disfatti da soli
“Ammiro coloro che si sono “fatti” da soli ma certamente non invidio coloro che si sono
“disfatti” da soli” è la dichiarazione rilasciata da Gianni Agnelli in un’intervista condotta
da Jas Gawronski anni fa.
L’autoreferenzialità di una simile dichiarazione è del tutto evidente: onore e gloria per la
famiglia Agnelli che s’è fatta dal nulla! Il messaggio ha un sapore vagamente didattico e
rispecchia lo stile di vita un po’ western ed avventuroso, un po’ eroico ed aristocratico dei
capitani di ventura.
È lecito essere titubanti nell’accettare acriticamente ed “in toto” una simile dichiarazione;
la storia, infatti, ci insegna che molti uomini più o meno illustri si sono fatti da soli; ma è
altrettanto vero che molti di costoro non hanno avuto scrupoli nel ricorrere a qualsiasi
mezzo, sino alla menzogna e all’illegalità, pur di raggiungere ed accrescere il loro potere e
la loro ricchezza.
Si sente esclamare spesso e a ragione che non vi è nessuno più odioso di un “burino
arricchito”. Il totale disprezzo che costui dimostra per la cultura va a pari passo con il suo
tentativo di vanificare l’importanza di applicarsi nello studio e nella ricerca, adducendo
come fulgido esempio sé stesso e le sue innate capacità di arricchirsi senza bisogno né di
maestri né tantomeno di libri. Il burino arricchito è il classico e moderno esempio di “self
made man” che solitamente è dotato di una scarsa cultura se non calcio-automobilistica-
culinaria ma che, grazie alla sua attività di imprenditore con licenza media, va ostentando
con boria e farsesca spavalderia la sua ricchezza. Insomma, un fanfarone!
La famiglia Agnelli non si offenda né tutti coloro che fortunatamente e intelligentemente,
dopo anni di preparazione e di studio hanno contribuito ad elevare il benessere e il prestigio
di una nazione. Ho voluto solo dimostrare che non tutti si sono fatti da soli con intelligenza
e onestà.
85° giorno Due carte vincenti
Per vincere nella vita, l’uomo dispone di due carte vincenti: l’intelligenza e il coraggio. In
questi tristi momenti di crisi economica che molti paesi stanno attraversando, talvolta si
leggono notizie confortanti che inducono alla speranza e all’ottimismo. Non mancano
esempi di giovani e coraggiosi imprenditori che con intelligenza hanno escogitato sistemi
nuovi e produttivi per risollevare le sorti delle loro piccole o grandi aziende. I siti web che
diffondono questi esempi fortunatamente si stanno moltiplicando e conseguentemente
suggeriscono nuovi stratagemmi o iniziative per ricreare nuovi prodotti ed offrire maggiori
opportunità per combattere la disoccupazione giovanile. Si va dal mondo agricolo a quello
industriale dove le scommesse per superare la crisi sono sempre più audaci.
Il mio pensiero, comunque, si rivolge in modo particolare a quella moltitudine di persone
disoccupate, scoraggiate al punto da lasciarsi sopraffare dalla disperazione e dall’inerzia. La
caduta verso l’abisso dello sconforto e l’incapacità di ricercare rimedi alla loro condizione
di disagio genera una profonda sfiducia verso il mondo circostante e provoca un
offuscamento della ragione. A questo punto è evidente che non si può retoricamente e
arrogantemente pretendere da loro coraggio e intelligenza perché da soli non troverebbero
mai le forze necessarie per uscire dal tunnel della disperazione. Il consiglio che sentiamo
rivolgere a questa povera gente è sempre piuttosto farisaico e pilatesco: “Si faccia coraggio!
Vedrà che prima o poi le cose si aggiusteranno!” Ma appena si volta l’angolo ci si dimentica
di loro e li si abbandona ad una sventurata sorte. Contribuire concretamente e non solo a
parole a risolvere i problemi del prossimo, questa è la vera testimonianza di coraggio e
intelligenza che purtroppo sempre più spesso è sopraffatta dall’egoismo e dall’indifferenza.
86° giorno In montagna la disciplina è vita
Una decina di anni fa , durante le mie vacanze estive nel solito piccolo paese di montagna,
organizzai con mia moglie un’escursione ad un noto rifugio alpino delle Alpi Marittime. La
gioia di rivedere quel luogo impreziosito da un lago verde azzurro come i colori del cielo e
del tappeto erboso che vi si rispecchiavano, era una tentazione irresistibile. Non pago di
tanta bellezza, decisi di andare da solo alla ricerca di un altro lago a quota più elevata, senza
conoscere bene il percorso da seguire per raggiungerlo. Mi avviai a passo svelto verso un
sentiero che mi sembrava quello giusto e mentre salivo con fatica, mi imbattei in quattro
giovani tedeschi, due uomini e due donne. Fui subito sorpreso dal loro modo di marciare. Le
due donne davanti e i maschi dietro, rigidamente in fila indiana procedevano con passo
lento, regolare e costante. Li superai ansioso di raggiungere la meta al più presto. Purtroppo
non riuscii a trovare il giusto sentiero e quindi decisi di tornare indietro poiché avevo
lasciato sola mia moglie. Quale fu la mia sorpresa nel ritrovare ancora il gruppetto che stava
procedendo con la solita formazione disciplinata, uniti e seguendo il ritmo impresso dalle
due donne.
Fu per me inevitabile fare un confronto con un’escursione organizzata, anni prima, con tre
amici. “Se volete che venga con voi– replicai al loro invito- dovete accettare che io possa
segnare il passo per tutti, soprattutto in discesa, perché avendo problemi di dolori di schiena,
devo prestare molta attenzione al modo di marciare.” Accettarono! Ben presto comunque
dimenticarono la promessa fatta. Ad un certo punto mi ritrovai solo su un sentiero stretto,
pericoloso e a strapiombo. Per raggiungerli accelerai il passo e fatalmente inciampai
rischiando di cadere nel vuoto. Non so come abbia potuto salvarmi, però ricordo bene che
quando li raggiunsi, gli urlai in faccia la mia rabbia, come si meritavano, ricordando loro
che in montagna, per evitare disgrazie, la disciplina è un obbligo.
87° giorno Un tramonto di mezza estate
Me ne stavo beatamente seduto su un piccolo prato sottostante ad una cascata, in
contemplazione dell’affascinante tramonto che si ricreava tra i monti nei mesi estivi, nel
periodo delle le mie vacanze. La tentazione di descrivere quell’incantevole paesaggio fu
irresistibile. Eccone la testimonianza:
Le ombre del tramonto
si delineano nella vallata alpina;
gli ultimi raggi di un sole radente
vivificano ed esaltano le rocce
che nel loro silenzio ci urlano
la maestosità di una natura mutevole,
selvaggia e libera.
Una cascata d’acqua,
sfrangiata da candidi spruzzi
sferzati dal vento,
scende luminosa dall’alto
da un’aspra e dura roccia.
Un arcobaleno avvolge
la sua fluida discesa
verso la valle nei prati sottostanti.
Le ombre si espandono
preannunciando il declino del sole
che abbandona inesorabilmente il giorno.
Tre corvi neri tornano
con gran stridore, al loro nido,
quasi irridendo alla vita
che scorre tra il giorno e la notte.
I pini ricamano ancora sugli aspri pendii
disegni di incomparabile bellezza,
con toni forti e solenni di un verde scuro.
88° giorno I “perfettini”
I “perfettini” , detti anche “precisini”, sono sparsi un po’ dovunque e troppo spesso
irrompono nella scena di una normale conversazione con i toni tipici dei saccenti che
puntualizzano ogni argomento con osservazioni noiose e stucchevoli. La mancanza di buon
senso è una loro caratteristica. Sono un misto di ingenuità e di presunzione; ingenui perché
si illudono di poter migliorare il mondo con la loro supponente perfezione e quindi
presuntuosi perché non si rassegnano ad ammettere che le imperfezioni fanno parte della
natura la quale, proprio per i suoi difetti, talvolta è addirittura più piacevole, simpatica e
interessante.
Anche i “perfettini” appartengono ad ogni classe sociale, senza distinzioni di nazione o di
razza.
Chi ha avuto la sorte di sorbirsi per anni alcuni insegnanti precisini sa davvero cosa
significa la sopportazione e la pazienza. A loro non sfugge nulla, dalla piccolissima macchia
sul quaderno, alle virgole piazzate nel posto sbagliato, al modo di presentarsi in classe, alle
orecchiette sui libri, al modo di usare la penna da scrivere, e via di questo passo.
Ai “perfettini” oggigiorno si dovrebbero ascrivere anche tutti quei fanatici dello jogging
che, sempre alla stessa ora ogni giorno, vediamo correre con il bello o cattivo tempo lungo i
marciapiedi, per le vie principali del paese, nei parchi o giardini pubblici, lungo i cosiddetti
percorsi della salute. Sono fanaticamente illusi di poter modellare il proprio corpo come un
bronzo di Riace. Nessuno nega che ci si debba preoccupare della salute e del benessere
corporale, ma di fronte alle manie di perfezione dimostrate da certi “salutisti” è lecito
arricciare il naso e dissentire.
Forse la vera perfezione sta proprio nel raggiungere la consapevolezza che siamo
imperfetti e che, vivere la nostra vita secondo i canoni della banalissima normalità, è già di
per sé un grande trionfo che può soddisfare la nostra autostima.
89° giorno Te l’avevo detto
Uno dei commenti più odiosi e irritanti che dobbiamo sopportare è quello che ci viene
rinfacciato quando commettiamo un qualsiasi errore.
“Te l’avevo detto” ripete più volte la moglie, rivolgendosi con aria di rivincita al marito il
quale, non avendo ascoltato i suoi avvertimenti, ha commesso palesemente un grosso errore.
Rimarcare un errore commesso da altri, è tipico delle persone antipatiche e poco intelligenti
che, metaforicamente sono paragonabili a coloro che impietosamente affondano il coltello
nella piaga della loro “vittima” ed evidenziano i lati oscuri del proprio istinto vagamente
sadico.
Purtroppo certi errori sono regali che si fanno a tutti questi odiosi censori ai quali si offre
la ghiotta occasione di poter sbattere in faccia a chiunque le loro ineguagliabili capacità di
preveggenza. Costoro, infatti, vogliono farci credere di essere dotati di un particolare istinto
di intuizione che li preserva e li rende immuni da qualsiasi errore o imbroglio; si sentono dei
privilegiati e illuminati quando pronunciano le loro irrevocabili premonizioni. In realtà sono
i soliti insopportabili pettegoli ciarlatani che, dotati del facile “senno del poi”, tentano di
prendersi una rivincita rimarcando con enfasi un errore evidente che imprudentemente
abbiamo commesso e che, per essere spiegato, non richiede doti particolari di intuizione.
Cosa succederebbe se le parti si invertissero? Proviamo ad immaginare se per aver
ascoltato i consigli di qualcuno avessimo commesso un errore irreparabile. L’unica amara
consolazione sarebbe almeno la certezza che nessuno verrebbe a ripeterci con arroganza il
fatidico “Te l’avevo detto”. Come per incanto i classici censori da strapazzo si
eclisserebbero e svanirebbero come nebbia al sole. Poiché nessuno è infallibile, sarebbe una
buona norma tacere di fronte agli errori commessi dai nostri simili con la consapevolezza
che, prima o poi, non tutte le nostre scelte risultano azzeccate.
90° giorno La vida es sueño
Calderon de la Barca aveva stigmatizzato l’inutilità di false attese, per l’uomo distratto da
devastanti ansie, con l’apodigma “La vida es sueño y los sueños sueños son.” (La vita è un
sogno e i sogni sono solo sogni.)
Se potessimo “trascrivere” la nostra vita sotto forma di copione per uno spettacolo teatrale,
e potessimo assistere alla sua rappresentazione, certamente giudicheremmo il nostro passato
come un sogno svanito nell’oblio. Gli eventi tristi o gioiosi, che si sono succeduti con un
ritmo incalzante, assumerebbero una connotazione inesorabilmente fittizia.
Le sale cinematografiche o i teatri sono opportunamente strutturati per mettere lo
spettatore a suo completo agio, oscurando le persone e gli oggetti che lo circondano affinché
possa rivolgere tutta la sua attenzione unicamente allo spettacolo che scorre sullo schermo o
sulla scena. L’oscuramento della sala favorisce la concentrazione sino al punto che lo
spettatore si immedesima nelle vicende narrate che suscitano in lui alterne emozioni di gioia
o di dolore.
La nostra vita, in particolari momenti di riflessione, ci appare come una rappresentazione
teatrale. La nostra attenzione, favorita da particolari condizioni emotive, ci trasforma da
protagonisti a semplici spettatori, come se i nostri meccanismi mentali di rimozione o di
esaltazione ci convincessero che tutto è un sogno che prima o poi svanirà.
Le ansie, che rendono la nostra vita un groviglio inestricabile di sentimenti di frustrazione,
generano reazioni che variano da individuo ad individuo. Se talvolta ci considerassimo
spettatori più che attori della nostra vita, molti problemi svanirebbero proprio come nei
nostri sogni che, fatalmente, si rivelano essere solo sogni.
Nono intervallo
“Se il pensiero potesse materializzarsi, molti sarebbero ridotti a pelle ed ossa e, comunque, non correrebbero alcun rischio di diventare obesi.”
91°giorno Maestra di vita
Tito Livio, il più grande storico dell’età augustea, sosteneva che la storia è “magistra vitae”
(maestra di vita). Le sue “Storie” intendevano esaltare e proporre Roma come esempio per
tutti i popoli che essa aveva conquistato. Le sue figure di eroi e matrone presentate con
accenti epici, assurgono a simboli di valore e di virtù e le loro gesta vanno oltre il proprio
spazio temporale per assumere una dimensione ideale eterna. A prescindere dal trionfalismo
di Tito Livio, resta pur sempre la grande verità che la storia dovrebbe essere maestra di vita,
soprattutto quando ci ricorda le nefaste conseguenze di guerre combattute con ferocia
inaudita per motivi di orgoglio nazionale o semplicemente per difendere gli egoismi di
spietate dittature o di folli ideologie.
Da Caino in poi tutta la storia è costellata da guerre e tragedie, che, ad intervalli
implacabilmente regolari, insanguinano molte parti della terra. Si tramandano racconti di
massacri, di odi, di torture. Sono stati scritti copioni per films, dove si descrive
impietosamente la barbarie come uno stile di vita. Farisaicamente si finge di essere
sconvolti da simili bestialità ma poi ci si comporta come gli spettatori che affollavano gli
anfiteatri romani per assistere alle spietate lotte tra i gladiatori, dove il sangue e la morte
erano la turpe conclusione di simili spettacoli. Mostrare il “pollice verso”, che decretava una
condanna a morte liberatoria, era considerato un estremo atto di pietà.
Povera storia, maestra derisa e inascoltata! Che dire di coloro che ancora oggi
vergognosamente negano le atrocità commesse dai nazifascisti? Che dire di coloro che in
nome di Dio tagliano teste e diffondono il terrore tra innocenti, proprio come secoli fa
avveniva nelle Crociate? Che dire, infine di quei politici aristocratici e bugiardi che, pur di
ottenere voti, propongono di buttare a mare i miseri disperati che bussano alla nostra porta
nell’illusione di trovare un mondo migliore?
Povera storia sempre più derisa e messa all’angolo!
92° giorno Per un mondo migliore
L’uomo è sempre alla ricerca di un qualcosa che dia valore alla propria vita e che lo renda
orgoglioso di abitare su questa terra. Una delle invocazioni più ricorrenti cantate o recitate
nelle chiese cattoliche è la supplica: “A peste, fame et bello libera nos Domine” (Liberaci o
Signore dalla peste, dalla fame e dalla guerra). In queste semplici tre parole sono racchiuse
le immani tragedie che spesso devastano la terra. Se dalle pestilenze difficilmente ci
possiamo sottrarre, non altrettanto potremmo dire dalla fame e dalla guerra. L’uomo non è
ancora in grado di impedire il diffondersi delle pestilenze, ma potrebbe, grazie alla sua
intelligenza e alla sua volontà, risolvere il problema della fame nel mondo e soprattutto
scongiurare le guerre che mietono milioni di vittime. Purtroppo il virus della violenza che
devasta la mente dell’“homo sapiens, sapiens”, crea insanabili contrasti che scatenano
guerre e ingiustizie gravissime: la fame è la peggiore!
Martin Luther King dichiarava: “La più grande debolezza della violenza è che da vita
proprio a ciò che cerca di distruggere; invece di diminuire il male lo moltiplica. Con la
violenza puoi uccidere chi diffonde l’odio ma non uccidi l’odio.” Le parole del martire King
hanno tracciato un indiscusso confine tra “violenza” e “non violenza”, e si sono rivelate,
ahinoi, profetiche. “Uccidere l’odio” è il vero obiettivo da raggiungere per creare condizioni
di vita migliore per tutti.
È piuttosto frequente sentire parlare di un mondo migliore, e di ciò che si deve fare per
realizzarlo: riunione dei massimi plenipotenziari delle nazioni, delegati a prendere
importanti decisioni per scongiurare i pericoli delle guerre nel mondo, convocazione di
assemblee, riunioni di esperti a livelli nazionali ed internazionali, manifestazioni
pacifiche…! Ma siamo sicuri che dopo tutte queste iniziative il mondo possa avviarsi
davvero verso migliori condizioni di vita per tutti? La storia, maestra triste e sconsolata, ci
insegna che è molto difficile essere ottimisti a causa di un grave male che affligge
l’umanità: l’indifferenza di un egoismo colpevole, diffuso sempre più e dovunque.
93° giorno Gli amici
Parlare del valore dell’amicizia si rischia di essere melodrammatici o di dire cose banali e
ovvie. In verità l’argomento è più complesso di quello che appare. L’aforisma “Chi trova un
amico trova un tesoro” evidenzia simpaticamente quanto sia difficile trovare un amico così
come sia improbabile o addirittura impossibile trovare un tesoro. L’amicizia, intesa come
piena disponibilità disinteressata all’aiuto reciproco, è uno di quei concetti che
appartengono all’immaginario collettivo e che non hanno riscontro nella realtà.
Le parole di Jorge Luis Borges possono aiutarci a capire quale sia il vero senso
dell’amicizia: “Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé
e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non
avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova
evidente che due anime non si incontrano per caso.”
•Le passioni e interessi condivisi sono sempre indispensabili perché possa nascere e
svilupparsi un rapporto amichevole ma soprattutto è indispensabile, oltre alla vicinanza
spirituale, la presenza fisica che possa costantemente garantirci fedeltà e lealtà.
Le amicizie virtuali propagandate dai numerosissimi social network, oggigiorno sono
diventate una moda assillante. Cosa pensare di quegli entusiasti di Face book che si vantano
di avere migliaia di amici? Non oso esprimere il mio pensiero né dare una risposta ad un
simile quesito perché rischierei di offendere la sensibilità di qualche lettore. Chi è avvezzo a
lasciarsi illudere è bene che non sia mai brutalmente risvegliato dal suo mondo di sogni;
potrebbe subire un trauma dannoso per il suo stato di salute mentale. Le vere amicizie sono
una realtà più concreta e seria che merita di essere apprezzata e custodita come un regalo
che la natura ci mette a disposizione per accrescere ed esternare i nostri doni.
94° giorno L’arte culinaria
Sono sempre più numerose le divulgazioni e i trattati sulla gastronomia che ormai è sata
elevata a livello di arte. Trovarsi davanti ad un televisore acceso e sfogliare nervosamente,
quasi istericamente, i vari canali alla ricerca di uno spettacolo soddisfacente, ci obbliga
inevitabilmente a fare uno “zapping” frenetico per approdare a qualcosa che soddisfi il
nostro interesse. La ricerca infine si conclude sconsolatamente di fronte alle solite gare
organizzate davanti ai fornelli che sono divenute un’occasione ghiotta dei palinsesti TV per
attirare l’attenzione dei poveri teledipendenti che, sempre più annoiati dai programmi messi
in onda, sono obbligati a scegliere il male minore costituito appunto da quegli spettacoli
che, senza pudore, parlano solo alla “pancia”, mettendo in bella mostra abbondanti e
colorate cibarie di ogni genere. Hanno poi la sfrontatezza di parlarci di dieta mediterranea,
la dieta riconosciuta la più salutare in tutto il mondo, che ci propone di scegliere gli alimenti
cosiddetti “poveri”. Si equipara lo sventurato spettatore al mitico Tantalo, torturandolo col
miraggio di tavole imbandite con una dovizia di piatti colmi di ogni ben di Dio e soprattutto
ricchi di calorie che farebbero inorridire i dietologi o nutrizionisti, che sono periodicamente
consultati alla ricerca di una dieta “personalizzata”.
In Italia e generalmente in tutti i paesi del benessere, la gastronomia è sempre più una
subdola tentatrice che ci sbandiera il lusso di essere dei buongustai e ci invita ad apprezzare
tutte le gioie della produzione dell’arte culinaria che varia come variano le tradizioni, il
folklore, la cultura delle nazioni. La battuta di Alessandro Dumas sintetizza ironicamente i
gusti differenti delle popolazioni europee: “Gli Inglesi non vivono che di roast beef e di
budino, gli Olandesi di carne cotta al forno, di patate e di formaggio, i Tedeschi di sauer-
kraut e di lardone affumicato, gli Spagnoli di ceci, di cioccolata e di lardone rancido, gli
Italiani di maccheroni!” Decisamente non c’e molta arte in tutto ciò, ma piuttosto c’è una
gran voglia di abbuffarsi.
95° giorno Sorpasso
Parlare di sorpasso ci richiama inevitabilmente il titolo di un film, considerato il
capolavoro del regista Dino Risi. Non di questo intendo parlare ma bensì di tutte quelle
connotazioni negative che sono implicite nella mania del sorpasso. È necessario prenderne
in considerazione i numerosi sinonimi per avere un panorama completo dell’argomento.
Sorpassare è sinonimo di oltrepassare, scavalcare, sgominare, sopravanzare, distaccare,
lasciare indietro, travalicare, eccedere, trascendere…andare oltre i limiti della convenienza e
della sopportazione (da “Treccani.it”). Quindi non è solo un argomento per il codice della
strada ma una valutazione dei nostri comportamenti in ogni luogo e in ogni circostanza.
Chi di noi non ha mai dovuto aspettare pazientemente in fila davanti ad un qualsiasi
sportello o alla cassa di un comunissimo supermercato? Non manca mai il solito furbastro
che tenta di compiere il classico “sorpasso” facendo imbufalire tutti i presenti. E che dire dei
soliti spavaldi che arrivano al punto di compiere il sorpasso su una normalissima strada di
città o di campagna, magnificando la loro audacia con gesti volgari ben noti? Si arriva al
punto che la persona offesa possa ingaggiare un’autentica corsa all’inseguimento dei bulli
per tentare di vendicarsi dell’oltraggio subito. Talvolta simili bravate si concludono nel
modo peggiore con vittime destinate all’ospedale o, nei casi estremi, addirittura all’obitorio.
Che cosa rende odioso il sorpasso? Appunto la mania di sopravanzare, di trascendere e
andare oltre i limiti della sopportazione scavalcando i diritti altrui. Le umiliazioni che il
prepotente causa alle sue vittime sono come la polvere da sparo che nel momento meno
opportuno può esplodere con conseguenze imprevedibili e devastanti. Il rispetto degli altri
passa anche attraverso la consapevolezza che dobbiamo avere dei nostri limiti, ed essere
davvero convinti che le prevaricazioni offendono sempre la dignità dei nostri simili.
96° giorno La strada
Un mondo sempre più globalizzato presuppone vie di comunicazione sempre più numerose
e scorrevoli. I Romani divennero famosi per la rete di vie che comunicavano Roma con le
città del loro impero esteso in ben tre continenti. Tratturi, sentieri, strade selciate, ponti si
incrociavano come una ragnatela e permettevano agli eserciti di spostarsi dovunque nel
minor tempo possibile. Oggi la rete stradale ha raggiunto un’espansione incredibile che
nessuno sino all’inizio del secolo scorso avrebbe potuto prevedere. Tutti i paesi d’Europa
ormai sono raggiungibili da strade più o meno larghe o strette. Non sono percorse come
tempo fa solo da eserciti o pellegrini ma da autoveicoli sempre più veloci e rombanti,
rallentati unicamente dall’incedere più lento dei grandi TIR o Pullman a due piani. Quando,
però, leggiamo il conto che questo progresso presenta ogni giorno solo in Italia, rimaniamo
sconcertati: circa seicento incidenti con una decina di morti e un migliaio di feriti. Alla fine
di un anno contiamo tante vittime quante ne può provocare un terremoto di forte intensità. Il
terremoto non possiamo né prevederlo né tanto meno impedirlo, ma gli incidenti stradali
potrebbero essere in buona parte evitati o quantomeno ridotti di numero. Ridurli
drasticamente è un compito che spetta a tutti senza attenuanti, con l’educazione e la
fermezza dovute. Se la strada per taluni è considerata alla stregua di un circuito dove ci si
può allenare per le gare di formula uno, o un parco giochi dove divertirsi spensieratamente,
si sappia allora che il pericolo è sempre in agguato e la strada si trasforma
inaspettatamente in una corsia preferenziale verso la tragedia.
Gli irresponsabili esistono a tutti i livelli e possono causare danni di ogni genere; ma
quando costoro sulla strada, alla guida di un’autovettura si lanceranno a forte e spericolata
velocità, senza esitazione saranno definiti degli autentici delinquenti che dovranno essere
condannati severamente. La strada non è un giocattolo ma è un’arma sempre carica, pronta a
sparare.
97° giorno Il Presepio
Rivivere la magia del Natale è sempre stata una tradizione alla quale, nonostante le
vicissitudini più o meno tristi della nostra vita, non vogliamo rinunciare proprio perché ci
permette di riassaporare i momenti più belli della nostra infanzia. Attendere la mezzanotte
per assistere alla collocazione di Gesù Bambino nella mangiatoia del Presepe, era
un’emozione intensa che ci procurava una gioia particolare. I pastori con le pecorelle, il
profumo del muschio, il ruscello in carta argentata, la grotta, la neve, le luci colorate e tutti
quegli stratagemmi originali per introdurre novità e bellezza, erano l’esaltazione della
semplicità. Piccole cose procuravano il piacere unico e sincero di rivivere quelle emozioni
semplici che hanno lasciato in noi segni indelebili. Il misto di sacro e profano che
rappresenta il presepio è senza dubbio la garanzia che la sua costruzione sarà rinnovata ad
ogni ricorrenza del Natale e sarà perpetuata attraverso i secoli. Rimane pur sempre il dubbio
se questa gioiosa tradizione potrà resistere ad un mondo sempre più globalizzato o sarà
proscritta dai futuri iconoclasti e messa nella lista nera di tutto ciò che deve essere distrutto
perché appartenente all’odiato periodo “oscurantista”!
Non è momento di profezie e, per nostra fortuna. i tempi e le latitudini in cui viviamo sono
rassicuranti. Possiamo sentirci fortunati e felici di rinnovare ogni anno la bella tradizione del
presepio alla cui costruzione dobbiamo metterci impegno, sfoggiando il meglio della nostra
fantasia e del nostro amore per le cose belle e semplici.
Albero di Natale o presepio? La preferenza per uno non significa l’esclusione dell’altro e,
quindi, ben venga anche l’albero, magari accanto al presepio come un completamento
naturale della calda atmosfera che si vuole ricreare per la gioia di tutta la famiglia durante le
feste natalizie.
98° giorno Canta che ti passa
I nostri nonni ci suggerivano di cantare quando eravamo assillati da preoccupazioni o da
pensieri negativi che ci torturavano e ci avvilivano: “Canta che ti passa!” era il consiglio
semplice ma efficace che ci davano. Più di una volta, percorrendo le strade del paese, si
sentivano le massaie cantare, chi con voce squillante e bene intonata e chi con voce rauca e
alquanto stonata, ma sempre con allegria, quasi volessero trasmettere a tutti la gioia di
vivere e un invito ad avere fiducia e a credere che ogni cosa prima o poi si sarebbe sistemata
per il meglio. Oggi le case sono silenziose, e nessuno oserebbe esibire le proprie capacità
canore in un caseggiato dove i rumori sono considerati una trasgressione al regolamento
condominiale. I tempi sono cambiati ma certamente le vicissitudini che assillano il genere
umano sono ancora di indiscussa attualità. Non si canta più per attenuare i dispiaceri
quotidiani, anzi si ricorre allo specialista al quale confidare i nostri stati d’animo nella
speranza che un confessore o un avvocato o addirittura un psichiatra possano ridarci quella
serenità e quella forza d’animo che ci permetta di affrontare e risolvere i problemi che ci
tormentano.
Lo scotto che dobbiamo pagare all’avanzata del benessere è spesso la diffidenza verso il
prossimo e la difficoltà a stabilire quelle necessarie relazioni sociali che favoriscono la
condivisione della nostra vita con gli altri. Sicuramente non è cantando che possiamo
risolveremmo i nostri problemi ma sapendo chiedere comprensione e collaborazione in
modo positivo senza noiosi piagnistei. Far buon viso a cattiva sorte aiuterebbe molto ad
abbattere quella barriera di diffidenza che ci impedisce di comunicare con le persone chi ci
stanno accanto. Il linguaggio universale della musica è capito da tutti e, se cantare è un
modo di esternare il proprio stato d’animo, possiamo comprendere quanto sia ancora di
attualità il suggerimento che ci davano i nostri nonni.
99° giorno Hobby
Trascorrere il proprio tempo libero sdraiati su un divano non è certamente la massima
aspirazione di chi, considerandosi devastato dal lavoro, si abbandona all’inerzia e ad un ozio
improduttivo. Costoro sono predestinati inevitabilmente ad essere le vittime
dell’avvilimento e della depressione. È fondamentale, invece, trascorrere i momenti di
svago facendo le cose che maggiormente ci aggradano convinti che non si tratta di cose
superflue ma di hobbies che mantengono la mente sveglia, acuiscono l’attenzione per i
dettagli e sviluppano la creatività.
Gli hobbies sono innumerevoli: c’è solo l’imbarazzo della scelta! La fantasia umana non
ha limiti e quindi l’uomo può inventarsi di tutto pur di tenersi in allenamento per migliorare
il proprio stato di salute psicofisica.
Internet ci propone numerosi siti dove sono stati compilati e pubblicati gli elenchi dei
passatempi più diffusi, più belli, più strani, più praticati al mondo; con grande stupore
scopriamo che tutti sono il frutto di una fantasia sconfinata ed esuberante.
Quanta tristezza infondono quei poveri pensionati “pantofolai” che si trascinano
stancamente da un lato all’altro della casa o che si sprofondano per ore in una poltrona
davanti ad un televisore tenuto acceso solo perché rompa il silenzio e la monotonia delle
loro lunghe giornate interminabili. Sopportano la noia, senza alcun rigurgito di orgoglio e di
fantasia.
Non si dovrebbe neppure pensare di andare in pensione con l’unico obiettivo di non fare
più nulla, ma piuttosto con la voglia di iniziare una nuova vita che permetta di dedicarsi a
tempo pieno, con gioioso entusiasmo, ai propri hobbies, per potersi mantenere sempre attivi
e allenati fisicamente e mentalmente, e soprattutto per rendersi ancora utili alla società.
100° giorno Il pellegrino
Ho scelto, a conclusione di questi cento giorni di pensieri in ordine sparso, una poesia che
scrissi quando ero studente. La ritengo emblematica per sottolineare l’ansia che per tutta la
vita ci accompagna alla ricerca, non di una chimera, ma di un ideale che possa dare un senso
alla nostra vita.
Nelle chiare pupille
d’un pellegrino errante
si specchiano raggi d’infinito.
Affanno, pena,
ansia di vivere,
ricerca dell’inafferrabile:
compagni d’un vagare senza meta.
Granelli di sabbia,
groviglio d’alghe
secche al sole,
una vela schiaffeggiata dal vento!
Aria impalpabile di mistero,
desiderio d’infinito...
Avanza, ansimando,
lungo il cammino
il viandante logoro e stanco.
Cerca affannosamente
qualcosa, qualcuno,
ombre di un desiderio vago
nell’incolmabile immensità.
In alto il sole,
sotto i piedi la sabbia,
nell’aria spruzzi d’acqua salmastra.
Che cosa cerchi pellegrino?
Perchè t’affanni?
Dissolversi nell’Universo
è il tuo sogno e la tua condanna.
“ Le idee sono nell’aria. Se hai il cervello pulito, arrivano a te.” (Roberto Benigni)
Ranica (Bergamo)
Settembre 2016