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Accademia delle Scienze di Torino 2019 PENSIERI SULL’IMITAZIONE JOHANN JOACHIM WINCKELMANN TRA STORIA DELL’ARTE, IDEALI POLITICI E ALTERTUMSWISSENSCHAFT a cura di Gian Franco Gianotti Quaderni, 31

PENSIERI SULL’IMITAZIONE

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UntitledPENSIERI SULL’IMITAZIONE JOHANN JOACHIM WINCKELMANN TRA STORIA
DELL’ARTE, IDEALI POLITICI E AltertumswissenschAft
a cura di Gian Franco Gianotti
Quaderni, 31
Via Accademia delle Scienze, 6
10123 Torino, Italia
10123 Torino, Italia
la documentazione di attività accademiche pubbliche
(conferenze, atti di convegni o giornate di studio).
Nel sito www.accademiadellescienze.it sono disponibili ad
accesso aperto i pdf degli ultimi volumi della collana.
L’Accademia vende direttamente le proprie pubblicazioni.
Per acquistare fascicoli scrivere a
[email protected]
[email protected]
In copertina: Anton von Maron, Ritratto di Johann Joachim Winckelmann (1768); olio su tela, 136×99 cm, castello di
Weimar.
Premessa
L’incontro di studio dal titolo «Pensieri sull’imitazione. Johann Joachim
Winckelmann tra storia dell’arte, ideali politici e Altertumswissenschaft» è
stato organizzato dall’Accademia delle Scienze di Torino il 10 maggio 2018.
Poco dopo il Consiglio di Presidenza, in data 22 maggio 2018, deliberava
di pubblicare in un unico quaderno le relazioni presentate nel corso di quella
giornata che si collocava tra le numerose iniziative europee programmate
per celebrare il 300° anniversario della nascita di Winckelmann (Stendal,
9 dicembre 1717) e il 250° della morte (Trieste, 8 giugno 1768).
Sulla base della tradizione classica della mimesi, gli Autori ricostruiscono
la genesi del filellenismo e della storia dell’arte di Winckelmann, le implica-
zioni di ordine politico-culturale, le suggestioni euristiche lasciate in eredità
alla «scienza dell’antichità» germanica di Otto- e Novecento.
Angelica Kaufmann, Ritratto di J.J. Winckelmann, ripreso dal dipinto della stessa Angelica
Kaufmann (1764); incisione all’acquaforte, 25,5x19,3 cm, raccolta Piancastelli, Biblioteca
Comunale A. Saffi, Forlì.
Gian Franco Gianotti
1. Le pernici di Alcmane e il canto delle fanciulle di Delo
Di solito, ogni discorso deve fare i conti con una difficoltà prelimina- re: da che punto muovere il passo d’inizio. I Greci invece, per buona loro sorte, lo sapevano bene: di solito iniziavano dai poemi omerici, vera e pro- pria «enciclopedia tribale» (formula di cui si è debitori al filologo inglese Eric Alfred Havelock, 1903-1988)1 in cui trovavano esposti globalmente i contenuti culturali della loro civiltà. Nei poemi omerici, in effetti, il sapere antico ha rappresentato per figuras la totalità del reale, l’intero patrimonio religioso-mitologico e l’insieme delle tecniche che assicurano la vita asso- ciata. Tra le tecniche compare, già in forma adulta, l’arte del discorso che orienta le procedure della comunicazione secondo le intenzioni dei parlanti, così come matura appare la riflessione sulla funzione del canto del poeta ne- gli episodi di Femio e Demodoco2, già felicemente sintetizzata nelle parole di Elena a Ettore:
a noi Zeus diede sorte maligna, perché fossimo anche in futuro, per la gente di là da venire, materia di canto (ajoivdimoi)3.
Sempre, dunque, si potrebbe iniziare da Omero; ma se si cerca un docu- mento che offra i primi spunti di analisi sulla genesi del linguaggio poetico, allora si deve guardare altrove e muovere da un poeta corale attivo a Sparta nel VII sec. a.C., Alcmane, purtroppo noto solo in forma pesantemente frammen- taria ma comunque testimone di un’arte elaborata e scaltrita, non estranea alla
1 E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura, trad. it., Laterza, Roma-Bari 19832. 2 Od. 1, 325-352 e 8, 485-522. Per quanto segue è ancora utile G. Lanata, Poetica pre-platoni-
ca, La Nuova Italia, Firenze 1963. 3 Il. 6, 357-358 (trad. di G. Cerri, Omero. Iliade, Garzanti, Milano 1996, p. 401). Mette conto ricordare anche l’esortazione ripetuta a Telemaco da Atena-Mente e da Nestore: «Anche tu, mio caro – molto bello e aitante ti vedo – / sii pieno di coraggio, perché ti possa lodare qualcuno dei posteri» (Od. 1, 301-302 = 3, 199-200). Cfr. anche Od. 8, 577-580 (Alcinoo a Odisseo).
6 Gian Franco Gianotti
tradizione omerica, che fa pensare con rammarico a quanto è andato perduto della produzione lirica precedente. Bene: un frammento di Alcmane, tramandato grazie alla curiosità lessicale d’un poligrafo come Ateneo (II-III sec. d.C.), per- mette di entrare per un momento nel laboratorio linguistico e melodico del poeta corale. Il testo del frammento, scelto da Rousseau a guisa di epigrafe d’apertura per l’Essai sur l’origine des langues, non è del tutto sicuro perché sfigurato da guasti di trasmissione, ma col sussidio di ragionevoli congetture si potrebbe in- tendere così:
πη τδε κα μλος λκμν ερε γεγλωσσαμναν κακκαβδων πα συνθμενος
«Questi versi e melodia Alcmane / trovò, connettendo / in linguaggio voce di pernici»4.
Riportando il passo Ateneo commenta: «risulta chiaro che il poeta ha im- parato il canto dalle pernici» e a conforto cita la teoria di Cameleonte Pontico, di scuola aristotelica, secondo cui «l’invenzione della musica fu suggerita agli antichi dagli uccelli che cantavano in luoghi solitari»5. è prospettiva in cui si muove anche Democrito, quando afferma che l’origine delle tecniche umane sta nell’imitazione dei comportamenti degli animali e, in particolare, che il canto nasce da imitazione di usignoli e cigni6. Tale prospettiva sarà ripresa, al di là delle teorizzazioni aristoteliche, da Lucrezio, che nel V libro del suo poema, narrando la storia dell’incivilimento umano, dice:
imitar con la bocca le sonore voci degli uccelli si usò molto prima che gli uomini sapessero dar vita col canto a carmi armoniosi e allietare l’udito7.
Per quanto è dato sapere, Alcmane segna il punto di partenza di questa linea interpretativa: si potrebbe definire l’atto di nascita della poesia euristico- mimetica in cui l’invenzione (heure) coincide con la rielaborazione imitativa
4 Alcm., fr. 39 Page = fr. 91 Calame. 5 Athen., 390a = Chamael. fr. 24 Wehrli. 6 Dem., fr. 154 Diels-Kranz: «Per le scoperte più importanti siamo stati discepoli degli animali: dei ragni nel tessere e nel rammendare, delle rondini nel costruire le case, degli uccelli canori, del cigno e dell’usignolo, nel canto secondo imitazione». 7 Lucr., De rer. nat. 5, 1379 ss.: «At liquidas avium voces imitarier ore / ante fuit multo quam levia carmina cantu / concelebrare homines possent aurisque iuvare».
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 7
di modelli naturali. Problemi testuali a parte, il passo implica che l’attività poetica ha alle spalle un modello naturalistico derivato dall’ascolto del canto degli uccelli8 e dal tentativo di riprodurne l’armonia con gli strumenti lingui- stici a disposizione dell’uomo9.
I singoli termini lasciano affiorare notazioni tecniche e si iscrivono, cia- scuno per conto proprio, in altrettanti filoni del lessico pertinente ai modi di comunicazione verbale. Resta però da dire che nel frammento l’insieme dei termini suona come dichiarazione di poetica: chiarendo le modalità del proprio «fare» poetico (si pensi alla radice di poietés), Alcmane delinea un processo imitativo destinato a grande fortuna10 e testimonia come la cultura arcaica ab- bia avvertito il problema del comporre ed elaborato una serie di categorie che troveranno sistemazione teorica nella dottrina della mimèsi – dell’imitazione
8 Altrove Alcmane afferma: «io conosco i moduli sonori di tutti gli uccelli» (fr. 40 Page = fr. 140 Calame). Sui rapporti imitativi tra poesia e canto degli uccelli cfr. M. Bettini, Voci.
Antropologia sonora del mondo antico, Einaudi, Torino 2008, pp. 34-48 e 118 ss. 9 Sulle teorie antiche dell’imitazione cfr. B. Schweitzer, Der bildende Künstler und der Begriff des Künstlerischen in der Antike. Mimesis und Phantasia, in «Neue Heidelb. Jahrb.», n.f. 1, 1925, pp. 28-132; H. Koller, Die Mimesis in der Antike: Nachahmung, Darstellung, Ausdruck, Francke, Bern 1954; P. Moraux, La ‘mimesis’ dans les théories anciennes de la danse, de la musique et de la poésie, in «Les Etudes Classiques», 23, 1955, pp. 3-13; H. Blumenberg, Nachahmung der Natur: Zur Vorgeschichte der Idee des schöpferischen Menschen, in «Studium Generale», 101, 1957, pp. 266-283; G.F. Else, ‘Imitation’ in the Fifth Century, in «Classical Philology», 53, 1958, pp. 73-90; G. Sörbom, Mimesis and Art, Svenska Bokförlaget, Stockholm 1966; F. Lassere, Mimésis et mimique, in «Dioniso», 41, 1970, pp. 245-263; E. Grassi, Die Theorie des Schönen in der Antike, DuMont, Köln 1980; D. Babut, Sur la no-
tion d’imitation dans les doctrines esthétiques de la Grèce classique, in «Revue des Etudes Grecques», 98, 1985, pp. 72-92; B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica (da Omero
al V sec.), Feltrinelli, Milano 20063, pp. 88 ss.; S. De Angeli, Mimesis e Techne, in «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», 28, 1988, pp, 27-45; C. Brillante, Il canto delle pernici in
Alcmane e le fonti del linguaggio poetico, in «Riv. di Filologia», 119, 1991, pp. 150-163; G. Gebauer e Chr. Wulf, Mimesis: Kultur, Kunst, Gesellschaft, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1992; M. Kardaun, Der Mimesisbegriff in der griechischen Antike, Koninklijke Nederlandse Akademie van Wetenschappen, Amsterdam 1993; A. Melberg, Theories of Mimesis, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1995; G. Gebauer, Chr. Wulf e D. Reneau, Mimesis: Culture, Art, Society, trad. ingl., Univ. of California Press, Berkeley 1996; H. Petersen, Mimesis, Imitatio, Nachahmung. Eine Geschichte der Europaischen Poetik, Fink, München 2000; J. Schönert e U. Zeuch (a cura di), Mimesis-Reprasentation-Imagination: Literaturtheoretische Positionen von Aristoteles bis zum Ende des 18. Jahrhunderts, de Gruyter, Berlin-Boston 2004; J.G. Koch, M. Vöhler e Chr. Voss (a cura di), Die Mimesis und ihre Künste, Fink, München 2010; S. Caciagli, Il lessico critico della mimesi, in «Prometheus», 44, 2018, pp. 71-91. 10 Cfr. per es. Pind. fr. 94b («su canne di loto voglio imitare coi canti la voce delle sirene») e fr. 107a, 1-3 Snell-Maehler («devi imitare cavallo pelasgo o cagna di Amicle inseguendo flessi- bile melodia con piede che muove rapido a gara»).
8 Gian Franco Gianotti
della natura, riprodotta in suoni e figure mediante canto, musica, danza, pit- tura, ecc. da specialisti attivi nelle singole discipline e depositari di téchnai specifiche – quale Aristotele presenterà nell’Arte poetica, liberandola dalle ipoteche negative di stampo platonico. E se consideriamo che Alcmane, cul- tore di memorie omeriche, rivela consumata abilità nel riutilizzare formule epiche, adattandole ai dattili dell’alcmanio o ai metri e alla lingua della liri- ca corale, possiamo aggiungere che egli appare doppiamente “imitatore”, in quanto sa riprodurre i tratti della realtà naturale e sa fare buon uso di formule e motivi omerici. Anche i modelli della tradizione poetica sono oggetto di imita- zione per chi possieda la necessaria maestría («nessuno degli indotti è in grado di imitarmi», recita il v. 370 della silloge teognidea). è aspetto che diverrà una costante della produzione letteraria, integrando il concetto di imitazione con quello di emulazione che tanta parte avrà nella stagione alessandrina e nelle gare intraprese dagli autori latini con i modelli greci. Non mancano esempi tra età arcaica e V sec. a.C. Ne ricordiamo due per tutti: μρου ζηλοτς è l’Ordinatore di cori (Stesicoro) per eccellenza, nome d’arte di Tisia di Imera (in Sicilia) o di Matauro (in Magna Grecia), 630-556 ca., accreditato anche di ascendenze esiodee, capace di sostenere con la lira il peso del carme epico e di rivaleggiare con Omero, secondo il giudizio di Quintiliano11; nel V sec. il poeta comico Cratino critica lo stile di Aristofane in quanto imitatore dei modelli euripidei, coniando un efficace neologismo: εριπιδαριστοφανζων («colui che scrive secondo lo stile di Euripide e Aristofane»)12.
Prima di procedere, vale la pena di ricordare come l’attività mimetica non si sia misurata unicamente in base al modello dei suoni emessi dagli uccelli, ma abbia altresì saputo riprodurre la panglossia umana. Ne fa fede un passo della sezione delia dell’Inno omerico ad Apollo in cui si legge dello splendido spettacolo offerto dalla cornice dei partecipanti alle feste nel santuario di Delo in onore del dio e dall’abilità mimetica dei cori femminili:
Chi fosse presente quando gli Ioni sono riuniti / direbbe che sono immortali, e immuni da vecchiezza in eterno; / potrebbe osservare la grazia comune a tutti, e si allieterebbe nell’animo / contemplando gli
11 Quint., Inst. or. 10, 1, 52: «Stesichorum quam sit ingenio validus materiae quoque ostendunt, maxima bella et clarissimos canentem duces et epici carminis onera lyra sustinentem. Reddit enim personis in agendo simul loquendoque debitam dignitatem, ac si tenuisset modum videtur aemulari proximus Homerum potuisse, sed redundat atque effunditur». 12 Cratin., Fr. 342 Kassel-Austin. Cfr. G. Mastromarco, εριπιδαριστοφανζων (Cratino, fr. 342 K.-A.), in F. Conti Bizzarro, G. Massimilla e G. Matino (a cura di), «Philoi Logoi». Giornate di studio su Antico, Tardoantico e Bizantino dedicate a Ugo Criscuolo, Satura Editrice, Napoli 2017, pp. 73-88.
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 9
uomini e le donne dalle belle cinture, / e le navi veloci, e le loro ab- bondanti ricchezze. / E v’è ancora una grande meraviglia, la cui gloria non perirà mai: / le fanciulle di Delo, ancelle del dio che colpisce lon- tano. / Esse dopo aver celebrato, primo fra tutti, Apollo, / e poi Leto e Artemide saettatrice, / rammentando gli eroi e le donne dei tempi an- tichi / intonano un inno e incantano le stirpi degli uomini. / Di tutti gli uomini le voci e gli accenti (φωνς κα βαμβαλιαστν) / sanno imitare (μιμεσθαι σασιν): ognuno direbbe d’essere lui stesso a parlare, / tanto risuona all’unisono il loro canto armonioso13.
2. Mimèsi secondo Platone
Mentre reagisce al relativismo dei Sofisti promuovendo come valori asso- luti le idee quali modelli dell’essere e oggetti di vera conoscenza, la dottrina platonica deprime a rango di copia ogni aspetto del mondo sensibile. Realtà depotenziata e imperfetta – per l’incapacità del Demiurgo a riprodurre i modelli eterni o, più probabilmente per le qualità negative e caotiche della materia in cui sono modellate le riproduzioni –, il mondo di quaggiù è opaca imitazione del mondo delle idee: dall’alto discende lungo una scala di valori ontologicamente degradanti e verso l’alto tende mediante ascesa conoscitiva e liberazione da condizionamenti materiali. La filosofia serve appunto a rivelare l’illusorietà del mondo sensibile e indirizza l’uomo verso il mondo dell’esse- re. Non sorprende allora la scarsa considerazione di Platone nei confronti di ogni arte imitativa – poesia compresa – che resta legata agli oggetti sensibili e quindi al mondo dell’apparenza14. È vero che nel dialogo intitolato Ione (dal
13 Hymn. Hom. Apoll. 151-164 (trad. di F. Càssola, con ritocchi). Cfr. A.M. Miller, From Delos to Delphi. A Literary Study of the Homeric Hymn to Apollo, Brill, Leiden 1986; L. Sbardella, Tra
Delo e Delfi. Varianti rapsodiche nell’Inno omerico ad Apollo, in «Seminari Romani», 2, 1999, pp. 158-176. 14 In generale, per quanto segue, cfr. almeno G. Colin, Platon et la poésie, in «Revue des Etudes Grecques», 41, 1928, pp. 1-72; W.J. Verdenius, Mimesis. Plato’s Doctrine of Artistic Imitation and its Meaning for Us, Brill, Leiden 1949, 19723; H. Koller, Die Mimesis in der Antike, Francke, Bern 1954; G. Sörbom, Mimesis and Art. Studies in the Origin and Early Development of an Aesthetic Vocabulary, Svenska Bokförlaget, Stockholm 1966; H. Flashar, Die klassizisti- sche Theorie der Mimesis, in H. Flashar (a cura di), Le classicisme à Rome, Fondation Hardt, Genève 1979, pp. 179-111; U. Zimbrich, Mimesis bei Platon, Lang, Frankfurt am Main 1984; G.F. Else, Plato and Aristotle on Poetry, Univ. of North Carolina Press, Chapel Hill-London 1986; G.R.F. Ferrari, Plato and Poetry, in G.A. Kennedy (a cura di), The Cambridge History of Literary Criticism. 1. Classical Criticism, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1989, pp. 92- 148; G. Nagy, Early Greeks Views of Poets and Poetry, in G.A. Kennedy (a cura di), The
Cambridge History of Literary Criticism. 1, cit., pp. 1-77; D. Babut, Sur la notion d’imitation
10 Gian Franco Gianotti
nome del rapsodo che discute con Socrate) si recupera la dimensione sacrale del fare poetico e compaiono giudizi non negativi sui poeti come strumenti che trasmettono l’ispirazione divina. Sono aspetti, questi, inseriti nella dimostra- zione socratica che nega al poeta e all’esecutore di canti qualsiasi autonomia e, soprattutto, vere competenze di arte o di scienza. Più decisa si fa la critica al mito e ai poeti all’inizio del III libro della Repubblica15, dove si spiega come l’epica di Omero, la tragedia e la commedia siano opere di imitazione e non si nega utilità educativa alle finzioni mito-poetiche, ma si richiede espressamen- te che esse siano sottoposte a criteri morali positivi. Ancor più marcata suona infine la condanna della poesia nel X libro della Repubblica: nella nuova città, delineata come città in tutto eccellente dalle parole di Socrate, non bisogna assolutamente ammettere la poesia di carattere mimetico (ποησις μιμητικ).
Non ammettiamo, quindi, a cominciare da Omero, che tutti i poeti si- ano imitatori di parvenze della virtù e delle altre cose di cui stanno poetando, ma che non siano in grado di cogliere la verità? Invece, co- me ora dicevamo, non è vero che il pittore rappresenterà un tale che sembra un calzolaio, senza che il pittore stesso s’intenda dell’arte del calzolaio, rivolgendosi a persone che a loro volta non se ne intendono e guardano in base ai colori e alle forme16?
Queste sono le domande che Socrate rivolge al suo interlocutore, a Glaucone; e Glaucone non può fare a meno di dirsi convinto e rispondere «Assolutamente sì».
dans les doctrines esthétiques de la Grèce classique, in «Revue des Etudes Grecques», 98, 1985, pp. 72-92; P. Murray, Plato on Poetry, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1996; A. Manieri, L’immagine poetica nella teoria degli antichi, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa 1998; C.M.J. Sicking, Pre-platonic, Platonic and Aristotelian Poetics of Imitation, in Id., Distant Companions: Selected Papers, Brill, Leiden 1998, pp. 85-100; A. Ford, The Origins of Criticism. Literary Culture and Poetic Theory in Classical Greece, Princeton Univ. Press, Princeton 2002; G. Arrighetti, Poesia, poetiche e storia della riflessione dei Greci, Giardini, Pisa 2006. 15 Plat., Resp. 3, 376c-392b; 10, 595a ss.; cfr. E.S. Belfiore, A Theory of Imitation in Plato’s Republic, in «Transactions of the American Philological Association», 1984, pp. 121-146; M. Dyson, Poetic Imitation in Plato’s Republic 3, in «Antichthon», 22, 1988, pp. 42-53; M. Tulli, La mimesis nel III libro della Repubblica: il rapporto di Platone con la tradizione, in N. Notomi e L. Brisson (a cura di), Dialogues on Plato’s Politeia, Academia, Sankt Augustin 2013, pp. 314-318. 16 Plat., Resp. 10, 600e. Cfr. A. Nehamas, Plato on Imitation and Poetry in Republic 10, in J. Moravcsik e P. Temko (a cura di), Plato on Beauty Wisdom and the Arts, Rowman & Allanheld, Totowa, N.J. 1982, pp. 47-78; S. Gastaldi, La mimesis e l’anima, in M. Vegetti (a cura di), Platone. La Repubblica, VII, Bibliopolis, Napoli 2007, pp. 93-149.
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 11
Ogni imitazione umana – come la pittura e la poesia – si ferma al mondo sensibile e quindi è imitazione di imitazione, priva di qualsiasi validità ogget- tiva, per due gradi distante dal vero. In particolare, la mimèsi poetica agisce sulla parte passionale dell’anima e ostacola la guida della ragione; anzi, a giu- dicare dagli effetti della poesia drammatica (la tragedia induce a commuoversi per sventure fittizie; la commedia suscita il riso per fatti riprovevoli)17, essa dà vigore alla parte peggiore della natura umana e contribuisce a tener gli uomini prigionieri del mondo illusorio delle apparenze. I poeti vanno dunque banditi dalla città ideale perché diseducatori e corruttori; come unica eccezione sono ammessi i poeti di inni agli dèi e di elogi agli uomini valenti (come Pindaro, per esempio), perché il loro canto, lontano dall’imitazione della realtà e dun- que non pericoloso per i cittadini, consente all’anima di riconoscere la propria matrice immortale e istilla il desiderio di risalire verso l’alto18.
La svalutazione di ogni attività imitativa accompagna l’intera polemica di Platone nei confronti dei Sofisti. I punti salienti si concentrano in alcuni dialoghi che mettono in discussione le dottrine propagandate dai maîtres à penser attivi in Atene: nel Sofista, dove si impara che «l’imitazione è costru- zione di immagini e non di ciascuna delle cose reali»19, Platone definisce l’arte
17 J. Tate, Plato and Imitation, in «Classical Quarterly», 26, 1932, pp. 161-169; H. Kuhn, The
True Tragedy. On the Relationship between Greek Tragedy and Plato, in «Harvard Studies in Classical Philology», 52, 1941, pp. 1-40; 53, 1942, pp. 37-88; P. Vicaire, Recherches sur les mots désignant la poésie et le poète dans l’oeuvre de Platon, PUF, Paris 1964; I. Murdoch, The
Fire and the Sun: Why Plato Banished the Artists, Clarendon Press, Oxford 1977; R. Patterson, The Platonic Art of Comedy and Tragedy, in «Philosophy and Literature», 6, 1982, pp. 76-93; U. Zimbrich, Mimesis bei Platon. Untersuchungen zu Wortgebrauch, Theorie der dichterischen Darstellung und zur dialogischen Gestaltung bis zur Politeia, Lang, Frankfurt a. M.-Bern-New York 1984; R. Brock, Plato on Comedy, in E.M. Craik (a cura di), “Owls to Athens”: Essays on Classical Subjects Presented to Sir K. Dover, Clarendon Press, Oxford 1990, pp. 39-49; R. Kannicht, „Der alte Streit zwischen Philosophie und Dichtung”. Grundzüge der griechi- schen Literaturauffassung, in Id., Paradeigmata. Aufsatze zur griechischen Poesie, hrsg. von L. Käppel & E.A. Schmidt, Winter, Heidelberg 1996, pp. 183-223; L. Wiesing, Platons Mimesis- Begriff und sein verborgener Kanon, in G.R. Kaiser e S. Matuschek (a cura di), Begründungen und Funktionen des Kanon, ibid., 2001, pp. 21-41; F.M. Giuliano, Platone e la poesia, Teoria della composizione, prassi della ricezione, Academia, Sankt Augustin 2005; G.R.F. Ferrari (a cura di), Cambridge Companion to Plato’s Republic, Cambridge Univ. Press, Cambridge 2007; V. Tsouna, Mimesis und the Platonic Dialogue, in «Rizomata», 1, 2013, pp. 1-29; M. Catapano, Critica della mimesis e uso delle immagini mimetiche nella Repubblica e nel Sofista, in «Estetica. Studi e ricerche», 2, 2015, pp. 165-183; A. Capra, Seeing through Plato’s Looking Glass. Mythos und Mimesis from Republic to Poetics, in «Aisthesis», 1, 2017, pp. 75-86. 18 Plat., Leg. 7, 801c-802a. 19 Plat., Sophist. 265b. Cfr. J.A. Philip, Mimesis in the Sophistes of Plato, in «Transactions of the American Philological Association», 92, 1961, pp. 453-468.
12 Gian Franco Gianotti
sofistica come tecnica “dossomimetica” (cioè imitativa secondo opinione) e contraffazione della ricerca filosofica; nel Protagora nega all’insegnamento sofistico ogni pretesa di scienza e di validità educativa; nell’Eutidemo dimo- stra l’inutilità dell’eristica, cioè dell’arte di «confutare tutto quello che via via si dice, vero o falso che sia»; nel Cratilo prende posizione sulle teorie del linguaggio in tema di “correttezza di nomi”; nel Gorgia rivolge la polemica contro la retorica come tecnica di persuasione, negandole statuto di scienza e accusandola di pratiche corruttrici e adulatorie. Non sorprende, allora, che alla polemica antisofistica facciano seguito formulazioni di carattere generale: nel Timeo (48e6-49a1) l’intero mondo sensibile è il risultato di mimesis di un mo- dello intellegibile (μμημα παραδεγματος), «rappresentazione imperfetta e concretizzazione temporale della perfezione eterna del modello»20; nel Crizia (107b 5-6) infine si sostiene che «tutto quanto viene detto da noi è mimesis e raffigurazione (μμησις κα πεικασα)».
In particolare, se si bada alle considerazioni svolte nel Cratilo, dialogo che prende nome dal seguace della dottrina eraclitea che sarebbe stato maestro di Platone prima di Socrate21, ci si accorge che nella prima parte del dialogo, per confutare il convenzionalismo di Ermogene (uno degli interlocutori), si se- gnano saldi e reciproci rapporti tra nome e oggetto in virtù dell’intervento del legislatore-nomenclatore, mentre nella seconda parte del dialogo a correzione del naturalismo di Cratilo si ammette che il linguaggio non esprima il mondo delle idee, ma altro non sia che rappresentazione soggettiva del mondo empi- rico da parte del legislatore. In tal modo si ipotizzano tensioni non univoche tra nome significante e cosa significata e si individua proprio nell’intervento del soggetto (sia pure di un soggetto ‘forte’ come il nomoteta) lo spazio in cui si annida il rischio di inadeguata o falsa rappresentazione, dunque di opinione fallace, di errore e menzogna.
Come la poesia, anche il linguaggio non esce indenne dal severo vaglio platonico. Come la poesia, esso contiene un momento mimetico22 che im-
20 Parole di L. Palumbo, Mimesis: rappresentazione, teatro e mondo nei Dialoghi di Platone
e nella Poetica di Aristotele, Loffredo, Napoli 2008, p. 11. A questo vol. si rinvia anche per la proposta di tradurre il termine ‘μμησις’ come “rappresentazione”, secondo soluzioni correnti soprattutto in area anglosassone: cfr. S. Halliwell, The Aesthetics of Mimesis. Ancient Texts and Modern Problems, Princeton Univ. Press, Princeton 2002 (L’estetica della mimesis. Testi antichi e problemi moderni, trad. it., Aesthetica, Palermo 2009). 21 Così Aristot., Metaphys. 1, 987 a 29 e 3, 1010 a 12 ss. Secondo Diog. Laert., 3, 6 Cratilo sarebbe stato maestro di Platone dopo Socrate. 22 Anche il linguaggio ha carattere mimetico, come sa bene Platone e come si ricava specifica- tamente da Aristot., Rhet. 3, 1, 1404a 21 s.: «Le parole sono imitazioni (mimémata); a disposi- zione era subito la voce, che per noi di tutte le parti è la più mimetica».
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 13
mette motivi contraddittori in processi cognitivi miranti a ricostruire l’unità del mondo: il nome, appunto perché designa una cosa ma non è tutt’uno con la cosa stessa, di fatto si pone come diaframma tra soggetto e oggetto della conoscenza e può ritardare ulteriormente il percorso di risalita verso l’essenza delle cose. La contraddizione è però sanabile o almeno si riduce al minimo qualora le definizioni del legislatore (anzi, dovremmo dire dei legislatori, perché Platone ammette pluralità di gruppi e di linguaggi uma- ni) siano improntate a orthótes linguistica oppure siano sottoposte a corretta interpretazione da parte di chi sappia davvero risalire dai nomi all’essenza delle cose. Il saggio sembra così rinunciare all’afasia del linguaggio in- teriore (cui tuttavia tende come a traguardo finale) e svolge la sua ricerca mediante lo strumento della comunicazione interpersonale, accettando la sfi- da delle parole degli uomini; e va segnalato come su questo terreno – per così dire – pubblico siano soprattutto le parole dei poeti, depositari della memoria e del sapere collettivi, a fornire i materiali su cui si esercita la ca- pacità critica dell’interprete sapiente. Infine, non possiamo dimenticare che secondo Diogene Laerzio Platone «per primo meditò sull’importanza della grammatica»23: in effetti, se si pensa alla discussione che Platone introduce nel Sofista sulla possibilità dell’errore e l’esistenza dei discorsi falsi24, si può osservare come il filosofo, nel tentativo di definire la natura degli enunciati, dia un non secondario contributo allo sviluppo della teoria delle parti del di- scorso, riconoscendo le due unità costitutive della struttura predicativa, vale a dire il nome e il verbo (onoma e rhema).
3. Mimèsi, linguaggio e poesia secondo Aristotele
In sintesi si può dire che la riflessione platonica sia ricca di sfumature e a seconda dei problemi trattati (o in ragione d’evoluzione interna) attenui o inasprisca la svalutazione dell’attività mimetica. Sempre di svalutazione si tratta, però, in quanto ogni imitazione si colloca a livello ontologico inferiore rispetto all’originale e quindi rappresenta allontanamento dal vero. Perché tale prospettiva e i valori su cui si regge mutino di segno, bisogna attendere che sull’intera questione si pronunci Aristotele, all’interno di un sistema di pensie- ro che non disconosce l’alterità tra mondo ideale e mondo reale, ma sa evitare
23 Diog. Laert., 3, 25. 24 Plat., Sophist. 260b-261e.
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le rigide polarizzazioni gerarchiche del maestro e l’irriducibile dualismo che ne può conseguire.
Pur mutuando termini e nozioni da Platone, l’Arte poetica di Aristotele procede a metodica revisione critica delle dottrine platoniche sull’arte e in- nalza – per la prima volta in maniera sistematica – la poesia a oggetto di una téchne specifica e di una trattazione specialistica. Come è noto, la trasmissione del testo sembra averci negato sezioni cospicue (forse sulla poesia giambica e sulla commedia), ma la parte superstite del trattato, di solito inteso come strumento didattico o serie di appunti per lezioni, consente comunque di ri- conoscere un duplice programma, di descrizione («la poetica in sé e le sue forme») e di prescrizione («come devono esser composti i racconti – mythoi – perché la poesia riesca bene»), che si articola secondo questa sequenza: definizione dell’arte poetica e classificazione delle sue forme; il genere della poesia tragica, visto nella sua storia e nei suoi elementi costitutivi; precetti compositivi per ottenere la miglior tragedia; il discorso e le sue parti; con- fronto tra genere epico e genere tragico. Da Platone – per altro mai nominato – deriva la definizione di arte come imitazione e rappresentazione; tuttavia il concetto di mimèsi, liberato dalla scomoda posizione di attività degradan- te nella scala dei valori platonici, perde ogni connotazione negativa. Ecco il passo essenziale della Poetica in cui Aristotele capovolge il giudizio negativo di Platone, precisa che cosa sia a suo giudizio l’attività mimetica e le assicura diritto di cittadinanza tra le procedure conoscitive e le produzioni artistiche affidate alle parole e alle immagini:
In generale due sembrano essere le cause che hanno fatto nascere l’arte poetica, e tutte e due naturali. L’imitare, infatti, è connaturato agli uomini fin dalla fanciullezza e in questo l’uomo si differenzia dagli altri esseri viventi, perché è il più incline a imitare e perché le prime conoscenze se le procura mediante l’imitazione; in secondo luogo tutti ricavano piacere dalle imitazioni25.
Come i fanciulli conoscono e imparano per imitazione dal mondo degli adulti, così l’adulto conosce e trae diletto dalle opere della mimèsi, dalle im- magini e dalle parole che permettono di imparare “che cosa sia ogni cosa”
25 Aristot., Poet., 1448b, 4-9. L’imitazione produce non solo conoscenza (cfr. 1448b 13: «imparare riesce piacevolissimo non solo per i filosofi, ma egualmente per gli altri uomini»), ma anche pia- cere (‘hedoné’, termine decisivo nella dottrina aristotelica dell’attività poetica). Cfr. S. Tsitsiridis, Mimesis and Understanding: an Interpretation of Aristotle’s Poetics 4. 1448b 4-19, in «Classical Quarterly», 55, 2005, pp. 435-446.
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procurando piacere (e di passaggio mette conto osservare come da queste for- mulazioni, che sintetizzano la preoccupazione già platonica di far procedere di pari passo gradevolezza dei racconti ed educazione al bene, tragga origine la plurisecolare riflessione sull’opportunità per i poeti di miscere utile dulci, di fondere cioè istanze pedagogiche ed elementi dilettevoli)26.
Oggetto della mimèsi poetica è la vita stessa o, meglio, «le azioni della vita» (ai pravxei" tou' bivou): ma mentre per Platone era la realtà materiale o storica, esistente o avvenuta, delle cose sensibili (per due gradi lontana dal vero), per Aristotele il poeta (o l’artista in genere) non imita le cose quali sono in realtà, ma come potrebbero o dovrebbero essere. Ragion per cui la poesia si indirizza verso il verisimile e il necessario, e attraverso queste due catego- rie tende all’universale, muove cioè verso il vero. Non solo si nega, così, il
26 I. Bywater (a cura di), Aristotle. On the Art of Poetry, Clarendon Press, Oxford 1909; M. Valgimigli, Aristotele. Poetica, Laterza, Bari 1916 (19463; nuova rist. 1997, con introd. e note di P.L. Donini); U. Galli, La mimesi artistica secondo Aristotele, in «Studi Italiani di Filologia Classica», 4, 1925, pp. 281-390; E. Bignami, La Poetica di Aristotele e il concetto dell’arte presso gli antichi, Le Monnier, Firenze 1932; A. Gudeman, Aristoteles. Peri poieti- kes, de Gruyter, Berlin-Leipzig 1934; A. Rostagni, Aristotele. Poetica, Loescher, Torino 1945; G.F. Else, Aristotle’s Poetics: the Argument, Harvard Univ. Press, Cambridge (Mass.) 1957; C. Gallavotti (a cura di), Aristotele. Dell’arte poetica, Fond. L. Valla, Milano 1974 (19875); R. Cantarella, I ‘libri’ della Poetica di Aristotele, in «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei», 1975, pp. 289-331; R. Dupont-Roc, J. Lallot, Aristote. La Poétique, Seuil, Paris 1980; W. Soffing, Deskriptive und Normative Bestimmungen in der Poetik des Aristoteles, Gieben, Amsterdam 1981; S. Halliwell, Aristotle’s Poetics, Univ. of North Carolina Press, Chapel Hill-London 1986; R. Janko, Aristotle. Poetics I, with the Tractatus Coislinianus, a Hypothetical Reconstruction of Poetics II, the Fragments of the On Poets, Indianapolis-Cambridge 1987; D. Lanza, Aristotele. Poetica, Rizzoli, Milano 1987; A. Malo, La mimesi e la metafora nella poetica di Aristotele, in «Acta Philosophica», 1, 1992, pp. 316-324; A. Oksenberg Rorty (a cura di), Essays on Aristotle’s Poetics, Princeton Univ. Press, Princeton 1992 (pp. 73-95: P. Woodruff, Aristotle on Mimesis); J.H. Petersen, ‘Mimesis’ versus ‘Nachahmung’: Die Poetik des Aristoteles-nochmals neu gele-
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fattore degenerativo latente nella nozione platonica di mimèsi, ma si inverte la direzione dell’intero processo dichiarandone esplicitamente la funzione co- noscitiva. Non meno esplicito è il celebre confronto istituito tra poeta e storico nel IX cap. dell’Arte poetica:
Lo storico e il poeta non differiscono per il fatto di dire le cose in versi o meno – si potrebbe mettere in versi l’opera di Erodoto, e tuttavia sarebbe sempre una storia –; differiscono invece in questo: lo storico dice le cose avvenute, il poeta quali possono avvenire. Pertanto la poesia è attività più filosofica ed elevata della storia, perché la poesia discorre piuttosto di quanto è universale, la storia del particolare27.
Dotata ora di base teorica e abilitata a promuovere conoscenza, la poesia si riscatta dalla condanna platonica e acquista meriti anche sul terreno etico. Come si ricorderà, Platone ha accusato i poeti, soprattutto quelli drammatici che esercitano la più mimetica e patetica delle forme poetiche, di far leva sulle parti più basse dell’anima umana, corrompendola e asservendola alle passioni. Ebbene, anche Aristotele ritiene le passioni perturbazioni dell’anima contrarie all’ideale del saggio, ma anche sa che non possono venir eliminate radicalmente (come voleva il severo suo maestro); perciò, in sintonia con le scienze naturali e la medicina del tempo, concede qualche spazio alle passioni, segnatamente ai sentimenti di pietà (éleos) e paura (phóbos) generati dalla po- esia tragica (a suo giudizio, la forma più alta di poesia), ma nello stesso tempo introduce il concetto della loro purificazione (kátharsis), prodotta dall’effetto tragico con procedure che sembrano a mezza via tra rituale religioso e tecnica terapeutica. Passioni controllate dunque e, da ultimo, intese come strumento dotato di valore cognitivo: questo è il fine della poesia tragica che si ricava dalla famosa formula sintetica del cap. VI, poco più di un rigo di testo su cui si è accumulata sterminata bibliografia e che continua a sfidare la buona volontà degli interpreti: la tragedia, «mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo di siffatte passioni»28. Senza entrare qui nel merito di spiegazioni moderne spesso divergenti e talora scettiche circa la congruenza della frase in questione rispetto al contesto, si sarebbe comunque tentati di dire che, a differenza di Platone, Aristotele abbia colto un aspetto decisivo della storia delle rappresentazioni drammatiche: per la città greca, per il pubblico di Atene, il teatro è prolungamento e integrazione
27 Aristot., Poet., 1451b 1 ss. 28 Ivi, 1449b 27-28 (trad. di M. Valgimigli).
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della vita politica, è luogo e occasione – allo stesso modo dei momenti as- sembleari – per un rituale collettivo che disciplina le passioni, sottopone a controllo le tensioni emotive, promuove conoscenza e rinsalda i vincoli so- ciali. Di un altro aspetto – che riguarda in prospettiva la storia dell’analisi letteraria nel tempo – si è debitori ad Aristotele: le operazioni di ordine etico e intellettivo messe in moto dalla tragedia non dipendono unicamente dall’ese- cuzione teatrale, ma vengono assicurate anche dalla semplice lettura:
Il terrore e la pietà possono dunque venir suscitati dallo spettacolo scenico, ma anche possono scaturire dalla intrinseca composizione dei fatti; e questo naturalmente viene in prima linea ed è segno di miglior poeta. Perché la favola (mythos), anche indipendentemente dal vederla rappresentata sulla scena, bisogna sia costituita in modo che pur solo chi ascolti la narrazione dei fatti accaduti riceva dallo svolgersi di co- desti fatti un brivido di terrore e un senso di pietà. Il che si può provare ascoltando leggere, per esempio, la tragedia di Edipo29.
L’alternativa della lettura (dei buoni poeti) si lascia alle spalle la galleria degli spettatori e i momenti dell’esecuzione pubblica, per fondare una nuova catena di comunicazione che giunge fino a noi: la catena dei lettori che, gene- razione dopo generazione, sono chiamati alla comprensione dei testi teatrali (ma anche epici, e dunque poetici in genere) attraverso un’attività critica che, mentre abbandona gli spazi della rappresentazione scenica, lascia ormai in- travvedere i più tranquilli spazi della scuola e si forgia nuovi strumenti per procedere all’analisi di testi noti essenzialmente mediante la pratica della lettura.
Torniamo ora alla nozione aristotelica di mimèsi, vera e propria atti- vità poetica che non si limita a fornire copia meccanica degli originali (le azioni umane), ma li rappresenta – abbiamo visto – come potrebbero o do- vrebbero essere. Per Aristotele, poiché l’uomo possiede naturalmente il gusto dell’imitare e il gusto della musica e del ritmo, fu l’indole dei primi autori a determinare modalità e forme dei generi poetici: da indoli elevate è nata la poesia seria (inni, encomi), da indoli volgari la poesia faceta (canti di biasimo, giambografia). Col tempo la poesia seria si evolve nel poema epico e giunge a maturazione con la tragedia, mentre la poesia faceta passa attraverso le fasi intermedie della parodia e del poema satirico per giungere allo stadio adulto della commedia. In entrambi i casi si concepisce la storia dei generi poetici come sviluppo fisiologico di organismi viventi: secondo procedimenti mentali
29 Ivi, 1453b 1-6 (trad. di M. Valgimigli, con ritocchi).
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propri della scienza aristotelica del mondo naturale, tragedia e commedia sono il compimento (télos) di forme precedenti e incomplete. Assente dal trattato – come s’è detto – la commedia, l’attenzione si concentra sulla tragedia, che è opera di mimèsi «compiuta da attori e non tramite narrazione, di un’azione seria e completa, avente una propria estensione ed eseguita con parole ornate proprie delle singole forme usate in ciascuna parte»30; con parti si intendono prologo, dialoghi, monologhi, coro, come si dirà nel cap. XII31. Sei sono gli elementi costitutivi della tragedia: racconto (mythos), caratteri (éthe), pensiero (diánoia), linguaggio o elocuzione (léxis), vista o spettacolo (ópsis), musica (melopoiía); i primi tre sono gli oggetti dell’imitazione, la vista costituisce il modo dell’imitazione, mentre i mezzi sono rappresentati da musica e lin- guaggio. Di tali elementi l’Arte poetica offre trattazione diseguale: più ampia è la sezione riservata al mythos (cap. VII-XI e XIII-XIV), racconto unitario e ordinato di fatti terribili e compassionevoli scanditi da peripezia (mutamento d’una situazione nel suo contrario), riconoscimento e pathos; più contenu- ta l’analisi dei caratteri, che devono essere nobili, appropriati, somiglianti e coerenti (cap. XV); della musica e dello spettacolo si dice che esulano da un trattato di poesia32, mentre per il pensiero si rimanda all’apposita trattazio- ne dei libri di Retorica «perché oggetto specifico di quella disciplina»33, che analizza le figure di organizzazione del discorso in vista di scopi determi- nati (provare, confutare, suscitare emozioni, ecc.). Resta infine il linguaggio (léxis), cui sono dedicati parte del cap. XIX e i tre capitoli successivi (XX- XXII), vera e propria sezione linguistica e grammaticale dell’opera34 in cui trova posto l’esame di quegli elementi espressivi che accomunano, sì, autori, attori e spettatori nel circuito comunicativo della rappresentazione teatrale, ma che pure finiranno per assicurare la comprensione dei testi a schiere di lettori disseminati nel tempo.
L’esame delle forme dell’espressione verbale ha inizio dal più semplice elemento significativo, cioè la singola lettera (stoicheîon), fino all’ultimo elemento più complesso e significativo, cioè il discorso (lógos), passando attraverso la sillaba (syllabé), le particelle inespresse che assicurano “collega- mento” (syndesmos), la parola espressiva o nome (ónoma), il verbo (rhêma) e la flessione (ptôsis, sia del nome che del verbo). Le forme delle parole
30 Ivi, 1449b 24-26. 31 Ivi, 1452b 16-17. 32 Ivi, 1450b 15-20. 33 Ivi, 1456a 34 ss. 34 Ivi, 1456b 11-1459a 16.
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espressive (onómata), suddivise in semplici e composte, son così classificate: nome comune (ónoma kyrion), parola straniera (glôtta), metafora o traslato (metaphorá), parola ornata (kósmos), parola inventata e parola alterata (per al- lungamento o contrazione). Nel corso della classificazione si segnalano le figure di parola più adatte al linguaggio poetico, prima fra tutte la metafora, definita come ricorso a nome d’altro tipo, trasferendo il senso dal genere alla specie o dalla specie al genere o da specie a specie, oppure stabilendo rapporti analogici; sull’importanza della metafora in poesia si sofferma con molti esempi il cap. XXII, aperto dalla raccomandazione di ricercare chiarezza espressiva e stile ele- vato. A integrazione di quest’analisi si è soliti citare un’altra opera aristotelica, il De interpretatione, dedicata appunto alle espressioni linguistiche significanti (dal nome al discorso), che inizia presentando duplice serie di rapporti tra parola (proferita e scritta), soggetto designante e oggetto designato:
I suoni della voce sono simboli (symbola) delle affezioni (pathémata) che hanno sede nell’anima, e le lettere scritte (graphómena) sono simbo- li dei suoni della voce. E come le lettere non sono le medesime per tutti, così neppure i suoni sono i medesimi; tuttavia suoni e lettere risultano segni (semeîa), anzitutto, delle affezioni dell’anima, che sono le medesi- me per tutti, e costituiscono le immagini di oggetti già identici per tutti35.
Poco più avanti il nome è definito «suono della voce significativo per convenzione»: Aristotele, insomma, mentre punta sulla natura mimetica dell’attività poetica, è però decisamente anti-naturalista in fatto di linguaggio, sicuro che l’opposizione tra convezione e natura consenta di tener distinto il linguaggio umano dai suoni emessi dagli animali (questi, sì, «per natura», ma «inarticolati e non combinabili» in discorso).
In chiusa della parte dedicata all’Arte poetica, è opportuno ricordare che l’o- pera corona un’intensa attività sul terreno didattico dell’interpretazione dei poeti. Sappiamo ad esempio che, in qualità di precettore di Alessandro di Macedonia, il filosofo impartisce al giovane principe educazione simile a quelle degli adole- scenti greci di famiglia ricca, basata soprattutto sulla lettura dei poemi omerici e delle opere dei grandi tragici ateniesi. Forse in questo periodo (tra il 343 e 334 a.C.), Aristotele cura una revisione del testo dell’Iliade e redige i perduti Problemi omerici. Sulla storia delle tragedie ateniesi compone opere erudite: Vittorie Dionisiache, lista di vincitori in gare teatrali, e Didascalie, desunte dai verbali delle medesime gare; restano infine pochi frammenti di un dialogo Sui
poeti. Sebbene non sia detto apertamente, da quanto si è visto è facile inferire che
35 Aristot., De interpr. 16a 3-8.
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teoria e riflessione linguistico-grammaticale, benché saldamente derivate dallo spirito analitico del pensiero aristotelico, siano nate anche o soprattutto per fornire i lettori (in primis il suo regale discepolo, Alessandro di Macedonia) di adeguati strumenti di comprensione per la lettura dei poeti.
4. Il ritratto di Elena, le belle statuine e lo schema eidografico, dalla Gre- cia al mondo romano
Fin qui il discorso sull’imitazione compete soprattutto ai filosofi. A partire da Aristotele stesso e dagli intellettuali di età alessandrina, la discussione si è progressivamente allargata a grammatici, retori e poeti, che hanno trasfor- mato il principio mimetico in principio linguistico, educativo e artistico, con le precisazioni e le aggiunte ritenute necessarie. Sulle scelte non univoche dei modelli che competono a ogni artista vale il racconto del ritratto di Elena, dipinto da Zeusi grazie alla combinazione delle parti migliori di cinque bellis- sime fanciulle indicate come parziali modelle. Di tale racconto si riportano i tratti salienti secondo Cicerone, De inventione 2, 1-3:
Un tempo i cittadini di Crotone […] vollero arricchire con splendi- di dipinti il tempio di Giunone che veneravano con grande devozione. Fecero pertanto venire dietro lauto compenso Zeusi di Eraclea che allora si riteneva che superasse decisamente gli altri pittori. Dopo aver dipinto numerosi altri quadri, di cui una parte è ancora presente nel nostro ricordo a causa della tradizione religiosa legata al tempio, Zeusi disse di voler dipingere il ritratto di Elena, affinché un’immagi- ne muta potesse racchiudere in sé l’eccezionale bellezza di una figura femminile. Gli abitanti di Crotone ascoltarono di buon grado il pro- posito, perché avevano spesso sentito dire che nel dipingere un corpo femminile Zeusi era di gran lunga superiore agli altri. Pensarono in- fatti che, se si fosse dedicato con particolare impegno di quel genere in cui era il più bravo, avrebbe lasciato loro in quel tempio un’opera stupenda. Né allora quell’opinione li trasse in inganno. Zeusi infatti chiese subito loro quali vergini di bell’aspetto avessero in città. […] Allora i Crotoniati, per decisione pubblica, condussero le vergini più belle in un unico luogo e concessero al pittore la facoltà di scegliere quella che voleva. Ma egli ne scelse cinque, i cui nomi molti poeti hanno tramandato alla memoria, perché valutate più belle a giudizio di chi doveva avere la migliore capacità di discernere la bellezza. Infatti Zeusi riteneva di non poter ritrovare in un solo corpo tutto quanto cercava in vita della bellezza, perché la natura nulla ha rifinito in modo perfetto in ogni sua parte36.
36 Cfr. E. Di Stefano, Zeusi e la bellezza di Elena, in «Fieri. Annali del Dipartimento di Filosofia,
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Il racconto ritorna in Dionigi di Alicarnasso (Sull’imitazione. Epitome 1. 4) e in Plinio il Vecchio (Naturalis historia 35. 36)37. Simpatico esito narrativo dell’intera discussione sull’importanza della mimèsi è il passo, anzi la bel- la favola, che si legge all’inizio dell’epitome (1-3) del frammentario trattato Sull’imitazione di Dionigi di Alicarnasso (60 a.C.-fine del I sec. a.C.), con- centrato sui migliori modelli letterari e sui modi in cui possono essere imitati. Ecco:
Bisogna frequentare gli scritti degli antichi, allo scopo di ricavare da loro non soltanto la materia della composizione ma anche il gusto di emulare le peculiarità d’espressione. L’animo del lettore, infatti, finisce per assimilare, grazie ad applicazione costante, il carattere dello stile, più o meno come è accaduto alla donna del contadino di cui parla la favola (mythos). Si narra che un uomo che lavorava la terra, d’aspetto ripugnante, avesse paura di diventare padre di figli simili a lui. Questo stesso timore gli insegnò l’arte di generare figli di bell’aspetto. Dopo aver allestito immagini di persone di bella presenza, fece prendere alla sua donna l’abitudine di guardarle in continuazione. Fatto questo, si unì alla donna e come risultato ottenne figli dotati della bellezza delle immagini. Nel medesimo modo in letteratura la somiglianza si genera per imitazione (mimései), quando qualcuno di noi sia preso da emula- zione (zelos) per ciò che ritiene migliore presso ciascuno degli autori antichi e lo convogli nel proprio animo, come se avessimo riunito, per così dire, numerosi ruscelli in una sola corrente.
Altra attestazione della favola non è trasmessa, ma la nozione che i figli possano somigliare alle statue e ai ritratti ammirati dalle madri sembra risalire al filosofo presocratico Empedocle di Agrigento (V secolo a.C.), autore di 2 po- emi (Sulla natura, Purificazioni)38. Si aggiunga che nel frammento 2 del I libro Dionigi di Alicarnasso definisce l’imitazione e l’emulazione in questo modo:
L’imitazione (mimesis) è l’azione di riprodurre il modello (pará- deigma) secondo le regole. L’emulazione (zelos) è attività dell’anima commossa per l’ammirazione di ciò che appare bello39.
Storia e Critica dei Saperi», 4, 2004, pp. 77-86; B. Poulle, De Crotone à Rome: itinéraire et interprétations d’un tableau, l’Hélène de Zeuxis, in «Latomus», 66, 2007, pp. 26-40. 37 Cfr. anche Val. Max. 3, 7 ext. 3; Ael. Var. hist. 14, 12. 38 Così si legge nei Placita di Aezio, 5, 12, 2: «Empedocle dice: [...] i feti si conformano secon- do l’immaginazione della donna durante il concepimento; talora è successo che una donna sia attratta da figure o da statue e generi figli simili a quelle». 39 Testi di riferimento: D.G. Battisti, Dionigi di Alicarnasso. Sull’imitazione, Istituti Editoriali
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Con Dionigi di Alicarnasso, maestro di retorica a Roma in età cesariana e augustea, possiamo passare al mondo romano e osservare come a Roma la letteratura greca giunga già inventariata e suddivisa per generi (eide) letterari in base alle classificazioni d’età ellenistica, secondo una prospettiva ordinatri- ce che sembra moltiplicare nel tempo il sigillo della riflessione aristotelica40. Disciplinati via via secondo la dottrina degli stili, i generi della poesia sono epica, elegia, giambo, lirica, tragedia e commedia, satira; i generi della prosa sono oratoria, storiografia e biografia, trattato filosofico e scientifico, episto- lografia, grammatica, commento letterario e filologico. Fuori codificazione o, meglio, ricondotti, al grande contenitore delle historiae o delle fabulae sono i testi d’intrattenimento che ricadono sotto le definizioni moderne di ‘novella’ e ‘romanzo’. La presenza di codici identificabili accanto a situazioni mal de- finite o aperte a contaminazioni assicura al sistema letterario, prima greco e poi romano, ampi margini di flessibilità, senza costituire un freno effettivo alla libertà compositiva degli autori. I generi (e col tempo i rispettivi sotto-generi) entrano nella catena della trasmissione scolastica e si dispongono nei Pinakes («Quadri»), tavole di autori scelti (enkrithéntes) come migliori rappresentanti di ciascun genere. Si tratta di tradizione che decolla grazie al lessico introdotto da Callimaco e dà vita a inventari redatti secondo giudizi di valore che passa- no a Roma sotto la designazione di ordines del lessico quintilianeo; la critica moderna è solita designarli come «canoni», termine greco indicante strumento di misurazione e invalso in questa accezione dal Settecento in poi, da quando David Ruhnken (1723-1798) l’ha introdotto nel lessico letterario, su sugge- stione della critica testamentaria41.
e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 1997; S. Fornaro, Dionisio di Alicarnasso. Epistola a Pompeo Gemino, Teubner, Stuttgart-Leipzig 1997. Più tardi, sul finire del I sec. a.C., l’anonimo autore del trattato Del sublime individua nella mimesis una delle cinque fonti del ‘sublime’: «esiste un’altra via che tende al sublime. Quale? L’imitazione e l’emulazione dei grandi scrit- tori e poeti del passato. Molti scrittori sono ispirati dallo spirito altrui […] Non è furto l’imita- zione di cui si tratta, ma per così dire un calco tratto da un bel carattere, da una bella opera di scultura, da un bel lavoro di artigianato […] E certo buona e degnissima d’esser vinta è questa gara e corona di gloria, in cui anche l’esser superati dagli antichi non è senza onore» (Del su-
blime, 13, 2-4; trad. it. di F. Donadi). 40 Cfr. J.J. Donohue, The Theory of Literary Kinds: Ancient Classifications of Literature, Loras College Press, Dubuque, Iowa 1943; L.E. Rossi, I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche, in «Bull. of Institute of Classical Studies», 18, 1971, pp. 69-94. 41 Cfr. G. Rippl e S. Winko (a cura di), Handbuck, Kanon und Wertung. Theorien, Instanzen, Geschichte, Metzler, Stuttgart-Weimar 2013; I. Matijaši, Shaping the Canons of Ancient Greek Historiography. Imitation, Classicism, and Literary Criticism, de Gruyter, Berlin-Boston 2018.
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è noto che nei confronti del mondo greco i Romani non hanno avuto sem- pre atteggiamenti uniformi (ai pensi ai Graeculi di Plauto o di Catone), ma è altrettanto noto che il riconoscimento di subalternità rispetto ai modelli greco- ellenistici, già segnalato sul finire del II sec. a.C. da Porcio Licino (Poenico
bello secundo Musa pinnato gradu / intulit se bellicosam in Romuli gentem feram)42, è ribadito nelle generazioni di Cesare e di Augusto, quando con Cicerone prima e con Virgilio e Orazio poi si è ripensato globalmente il patri- monio culturale di Roma. Un buon esempio è offerto dalle battute iniziali del De legibus ciceroniano (1, 5-7): constatato che abest historia litteris nostris e invitato Cicerone a colmare tale lacuna, Attico dà un giudizio impietoso sulla qualità degli storici romani precedenti («exile, sine nitore ac palaestra, languor et inscitia, loquacitas, puerile quiddam» e sulla distanza che li tiene lontani ex illa erudita Graecorum copia43. Interessante è il caso di Virgilio: ai critici antichi non sfuggiva la costellazione di autori greci presi a modello, imitati in modo pedissequo secondo gli obtrectatores, selezionati con arte e cura particolare secondo gli estimatori, come si ricava da Aulo Gellio:
Con sapienza e attenta considerazione Virgilio, quando riprendeva passi di Omero, di Esiodo, di Apollonio, di Partenio, di Callimaco, di Teocrito o di qualche altro poeta, ne ha tralasciato alcuni e ha tradotto altri44.
Come es. si possono citare i contributi raccolti a cura di B. Gentili e C. Catenacci, I poeti del
canone lirico nella Grecia antica, Feltrinelli, Milano 2010. 42 Porc. Licin. fr. 1 Morel. Cfr. V. Lomanto, Il canone di Volcacio Sedigito e gli esordi della letteratura latina, in «Paideia», 57, 2002, pp. 216-251. 43 Cfr. K.-E. Petzold, Cicero und Historie, in «Chiron», 2, 1972, pp. 253-276; P. Desideri, Cicerone e l’ellenizzazione della storiografia romana, F. Gasco e E. Falque (a cura di), Graecia
capta. De la conquista de la Grecia a la helenización de Roma, Universidad de Huelva, Sevilla- Huelva 1996, pp. 29-43. Posizioni analoghe circolavano a proposito delle opere filosofiche: cfr. Cic., De fin. 1, 1, 2; Acad. 1, 2, 4. 44 Gell., 9, 9, 3: scite ergo et considerate Vergilius, cum aut Homeri aut Hesiodi aut Apollonii aut Parthenii aut Callimachi aut Theocriti aut quorundam aliorum locos effingeret, partem reliquit, alia expressit. La discussione antica più ampia sui rapporti tra Omero e Virgilio si legge nel V libro dei Saturnalia di Macrobio: cfr. S. Sheppard, Scaliger on Homer and Virgil, in «Emerita», 29, 1961, pp. 313-340; G.N. Knauer, Die Aeneis und Homer. Studien zur poe-
tischen Technik Vergils mit Listen der Homerzitate in der Aeneis, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1964; A. Barchiesi, La traccia del modello: effetti omerici nella narrazione virgi- liana, Giardini, Pisa 1984; W. Clausen, Virgil’s Aeneid and the Tradition of Hellenistic Poetry, Univ. of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1987; G.B. Conte, Dell’imitazione. Furto e originalità, Edizioni della Normale, Pisa 2014.
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Con la formula oraziana «Graecia capta ferum victorem cepit et artes / intulit agresti Latio» (Serm. 2, 1, 156-157) si è finito per ammettere il ritardo della nascita della letteratura latina e l’apporto decisivo degli esemplari gre- ci45 al suo sviluppo. Per l’auctoritas di chi l’ha formulata, è ammissione mai revocata davvero in dubbio: consegnata al mondo delle scuole, si è trasmessa alla cultura europea e in più occasioni si è trasformata in esplicita svalutazione dell’attività letteraria di Roma, vero e proprio paradosso su cui si è costruita la moderna storiografia delle lettere di Roma46.
Prima di concludere, è opportuno ricordare le considerazioni in proposito raccolte, nell’ultimo decennio del I sec. a.C., da Quintiliano nel X libro dell’In-
stitutio oratoria. Dopo la rassegna della biblioteca dell’oratore ideale, vale a dire dei principali autori della letteratura greca e della letteratura latina – ripar- titi secondo i generi letterari e ordinati (per ordines, appunto) secondo giudizi di valore (10, 1, 27-131) – al fine di ricavarne copia verborum, l’autore dedica un’intera sezione all’importanza dell’imitazione per un buon oratore (De imi-
tatione: 10, 2, 1, 28)47. Se ne riportano l’incipit e le considerazioni conclusive:
Nessuno, infatti, potrebbe mettere in dubbio che gran parte dell’arte consista nell’imitazione. Perché, se l’invenzione fu il primo e rimane il più importante requisito, è altrettanto utile imitare le scoperte migliori. Appunto in questo consiste la legge generale della vita, cioè che noi stessi vogliamo fare quanto di buono approviamo negli altri (10, 2, 1-2).
L’autore che deve essere imitato di preferenza non deve essere l’u- nico da imitare. […] Dato che in pratica è impossibile a un singolo riprodurre integralmente il modello che si è scelto, poniamoci davanti
45 Hor., Ars Poet., 268-269: Vos exemplaria Graeca / nocturna versate manu, versate diurna. 46 Cfr. J.E.G. Zetzel, Re-creating the Canon: Augustan Poetry and Alexandrian Past, in «Critical Inquiry», 10, 1983, pp. 83-105; A.J.S. Spawforth, Greece and the Augustan Cultural Revolution. Greek Culture in the Roman World, Cambridge Univ. Press, Cambridge-New York 2012. 47 Cfr. P. Steinmetz, Gattungen und Epochen der griechischen Literatur in der Sicht Quintilians, in «Hermes», 92, 1964, pp. 454-466; B. Schneider, Die Stellung des zehnten Buches im Gesamtplan der Institutio oratoria des Quintilian, in «Wiener Studien», 96, 1983, pp. 107-125; M. Citroni, Quintiliano e l’ordinamento per canoni della tradizione letteraria, in F. Ficca (a cura di), Il passato degli antichi, Ist. It. per gli Studi Filosofici, Napoli 2004, 185-2002; Id., Finalità e struttura della rassegna degli scrittori greci e latini in Quintiliano, in G. Mazzoli (a cura di), Modelli letterari e ideologia nell’età flavia, Ibis, Como-Pavia 2005, pp. 15-38; Id., Antiqui, Veteres, Novi: Images of the Literary Past and the Impulse to Progress in the Cultural Program of Quintilian, in F. Bessone e M. Fucecchi (a cura di), The Literary Genres in the Flavian Age, de Gruyter, Berlin-Boston, 2017, pp. 19-45; T. Baier, Quintilian’s Approach to Literary History via imitatio and utilitas, ibid., pp. 47-64.
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agli occhi le qualità di più autori, in modo che ci resti attaccato un pre- gio dell’uno e un altro pregio dell’altro e poi ci sia possibile adattare ciascuno al luogo appropriato. Ma l’imitazione […] non deve essere limitata al lessico. La mente deve essere rivolta a questo, a considerare cioè quanto quegli uomini abbiano saputo rispettare la convenienza nelle azioni e nei personaggi, quale sia il loro programma, quale sia la disposizione e come siano pertinenti al successo anche quegli ele- menti che sembrano concessioni fatte al piacere: che cosa sia trattato nell’esordio, quale sia metodo e varietà della narrazione, quale forza si metta in campo nelle dimostrazioni e nelle confutazioni, quanta abilità nella mozione degli affetti d’ogni genere, quanto il consenso popolare sia sfruttato a vantaggio della causa […]. Se riusciremo a fare atten- zione a tutto questo, allora la nostra sarà vera imitazione. Inoltre, chi a queste buone qualità avrà aggiunto anche le proprie, in modo da sup- plire a ciò che manca e togliere quanto è ridondante, ecco: costui sarà quell’oratore ideale che stiamo cercando, quello che deve raggiungere la perfezione soprattutto oggi, in cui vi sono tanto più numerosi model- li di buona eloquenza di quanti toccarono in sorte agli oratori che ancor oggi sono i più grandi. Essi avranno, infatti, anche questo come motivo di vanto, cioè che si dirà che hanno superato i predecessori e sono stati maestri per i successori (10, 2, 24-28).
In conclusione, va ribadito che tra gli ingredienti che secondo gli anti- chi assicurano continuità e durata alle pratiche letterarie, la categoria della mimèsi (imitatio) nel mondo romano assesta il proprio ventaglio semantico e promuove una costante gara di emulazione (aemulatio) nei confronti dei modelli paradigmatici, greci dapprima, poi greci e latini insieme48. Sottesa alla
48 Cfr. A. Reiff, Interpretatio, imitatio, aemulatio. Begriff und Vorstellung literarischen Abhangigkeit bei den Römern, Diss. Köln 1959; D.A. Russell, De imitatione, in D. West e T. Woodman, (a cura di), Creative Imitation and Latin Literature, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1979, pp. 1-16 e 201-202; H. Flashar, Die klassizistische Theorie der Mimesis, in Id. (a cura di), Le classicisme à Rome, Fondation Hardt, Genève 1979, pp. 79-111; A. Thill, Alter ab
illo: Recherches sur l’imitation dans la poésie personnelle à l’époque augustéenne, Les Belles Lettres, Paris 1979; J.C. McDonald, Imitation of Models in the History of Rhetoric, Diss. Austin 1987; A.N. Cizek, Imitatio et Tractatio. Die literarisch-rethorischen Grunlagen der Nachahmung in Antike und Mittelalter, Niemeyer, Tübingen 1994; G.F. Gianotti, Atene-Roma-Europa: gene-
si e sviluppo dei modelli letterari, in E. Delle Piane (a cura di), Letteratura, Europa, scuola. Esperienze e riflessioni, I, Armando, Roma 2006, pp. 82-105; M. Gioseffi (a cura di), Uso, riuso e abuso dei testi classici, Led, Milano 2010; A. Rhoby e E. Schiffer (a cura di), Imitatio, Aemulatio, Variatio, Verlag der Osterreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien 2010; R.R. Marchese e M. Formisano (a cura di), In gara col modello. Studi sull’idea di competizione nella letteratura latina, Palermo Univ. Press, Palermo 2017. Quadro generale: A. La Penna, I generi ellenistici nel- la tarda repubblica romana, in «Maia», 34, 1982, pp. 111-130; R. Martin e J. Gaillard, Les genres littéraires à Rome, Nathan, Paris 1990; G.B. Conte, Generi e lettori, Mondadori, Milano 1991.
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scelta dei modelli è la libera ripresa di verba et iuncturae, di temi e motivi che possono migrare dai testi d’origine ai nuovi testi ospitanti secondo esigenze espressive e intendimenti d’autore. Per dirla in sintesi, là dove compare la descrizione di ogni sistema letterario, antico o moderno49, attraverso la suddi- visione nei generi della poesia e della prosa, si è certi che dall’orizzonte del discorso critico non sia possibile eliminare del tutto la coppia mimesis/zelos, imitatio/aemulatio. Per esempio, nella prassi educativa attivata nel monastero di Vivarium in pieno VI secolo d.C., Cassiodoro sa cogliere bene lo snodo tra passato e presente: introduce la nozione di modernità – e il neologismo mo-
dernus – che si alimenta dell’esempio degli antichi, nel passo in cui la figura dell’intellettuale si descrive come antiquorum diligentissimus imitator e mo-
dernorum nobilissimus institutor50.
A ragione si può sostenere che «la mimesis, in tutte le sue varianti, dimostra di essere la più duratura, la più resistente e intellettualmente la più flessibile fra tutte le teorie artistiche della cultura occidentale»51. Come sintesi icastica dello stretto legame tra passato e presente in età medievale (e oltre), tutti hanno in mente la formula attribuita da Giovanni di Salisbury a Bernardo di Chartres: «Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes»52.
Nani sulle spalle dei giganti: si riconosce in tal modo la grandezza dei modelli antichi, ma non si compromettono le potenzialità moderne e i risultati dei successori.
49 Cfr. per es. Ph. Lacoue-Labarthe, L’imitazione dei moderni, trad. it., Palomar, Bari 1995; G. Gebauer e Chr. Wulf, Mimesis: Culture, Art, Society, trad. ingl., Univ. of California Press, Berkeley 1996; M. Ranta, Mimesis as the Representation of Types. The Historical and Psychological Basis of an Aesthetic Idea, Elanders Cotab AB, Stockholm 2000; F. Pappalardo, Genericità. Il discorso sui generi letterari nella cultura europea, Progedit, Bari 2013; C. Forberg e P.W. Stockhammer (a cura di), The Transformative Power of the Copy. A Transcultural and Interdisciplinary Approach, University Publishing, Heidelberg 2017. 50 Cassiod. Variae 4, 51, 2. Cfr. G. Ludwig, Cassiodorus. Über den Ursprung der abendlan-
dischen Schule, Lang, Frankfurt a. M. 1966; J.J. O’ Donnel, Cassiodorus, Univ. of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1979. 51 Così si legge in S. Halliwell, L’estetica della mimesis, cit., p. 16. 52 Ioann. Saresber. Metalogicon 3, 4. Cfr. P. Riché e J. Verger, Des nains sur des epaules de géants. Maîtres et élèves au Moyen Age, Tallandier, Paris 2006; U. Eco, Sulle spalle dei giganti, La nave di Teseo, Milano 2017.
Acc. Sc. Torino
La mimesi in Winckelmann
Mario Torelli
1. Profilo di un concetto nel pensiero del fondatore della Storia dell’Arte moderna
Forse non tutti, ad eccezione degli addetti ai lavori, sanno che fino a pochi anni fa Johann Joachim Winckelmann era oggetto, da parte non so- lo dei classicisti, ma dell’intera intellettualità del mondo germanico, di un vero e proprio culto come quello tributato dagli antichi Greci ai loro eroi1: basti dire che a Winckelmann è intitolato lo stesso istituto di archeologia della prestigiosissima Humboldt universität di Berlino. era consuetudi- ne che nella ricorrenza del genetliaco di Winckelmann molte università o società a lui intitolate organizzassero una solenne conferenza, tenuta in genere da un archeologo o da uno storico dell’arte di spicco, che, opportu- namente ampliata e annotata, veniva pubblicata in una collana denominata Winckelmannsprogramm, con l’indicazione della sede in cui la manifesta- zione aveva avuto luogo. l’usanza, avviata già nell’ottocento, è ormai in forte declino, così come mi sembra che, rispetto al passato, siano stati com- plessivamente poco celebrati i 250 anni della sua morte, avvenuta nel 1768 a trieste2, dove è stato addirittura eretto un cenotafio che possiamo conside- rare un vero e proprio heroon dell’era moderna, naturalmente di concezione interamente neoclassica. addirittura al momento non mi risulta – ma potrei sbagliarmi – che sia stata anche solo annunciata la solenne conferenza or- ganizzata dalla Winckelmannsgesellschaft, la società a lui intitolata, nata in collegamento con il Winckelmann museum, realizzato nella sua città natale, stendal nell’antica regione dell’altmark, nell’attuale land della
I riferimenti bibliografici in nota sono presentati con le abbreviazioni dell’«Archäologische Bibliographie»; le citazioni di J.J. Winkelmann, storia dell’arte dell’antichità, sono tratte
dall’edizione italiana, con testo tedesco a fronte, a cura di F. Cicero, Bompiani, Milano 2003.
1 Un recente esempio di trattamento “eroico” della figura di Winckelmann si deve a K.W. Haupt, Johann Winckelmann. Begründer der klassischen Archäologie und modernen Kunstwisseschaft, Weimarer Verlagsgesellschaft, Weimar 2018. 2 F. Farina, Winckelmann a Trieste, in «archeogrtriest», 70, 2010, pp. 27-41.
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sassonia-anhalt, che preferisce occuparsi di temi collaterali, anche se non del tutto pertinenti al nostro, come omero nel settecento3.
non credo sia casuale la circostanza che da oltre dieci anni non sono pubblicati atti della Winckelmannsgesellschaft, ma solo opere stravaganti. La cosa tuttavia non finisce qui. Lo stesso museo, per rendere appetibile al pubblico le sue collezioni, basate su documenti della vita e dell’attività del fondatore della storia dell’arte antica e su una raccolta di gessi di scul- ture antiche famose e di riproduzioni pittoriche, ha sentito il bisogno nel 2003 di realizzare un orrendo cavallo ispirato a quello di troia, alto 15,60 m, lungo 13 m e dal peso di 45 tonnellate, orgogliosamente reclamizzato per la vista straordinaria che offrirebbe della cittadina. La buona riuscita di due recentissime mostre, organizzate a Weimar e a Berlino, possono contare come un assai modesto e parziale riscatto per questo evidente oblio del- la natia Germania: quella di Weimar, dal titolo: «Winckelmann. moderne antike», ha avuto luogo nel neues museum di Weimar dal 7 aprile al 2 lu- glio 20174, mentre quella di Berlino, dal titolo «Winckelmann. Das göttliche Geschlecht», è stata organizzata allo schwule museum dal 16 giugno al 9 ottobre 20175. tuttavia non possiamo passare sotto silenzio il fatto che il database on line contenente la Winckelmanns Bibliography (questo il nome del database), che inizia dall’anno 1755, data di pubblicazione della prima opera di Winckelmann, e che comprende più di trentamila voci riferite a circa milleduecento autori, risulta arrestato al 1998. Ho ricordato tutto que- sto, perché ai miei occhi queste vicende parlano dell’impressionante declino degli studi classici, conseguente all’abbandono del ruolo che l’antichità gre- co-romana ha avuto fino a pochi anni fa nella cultura europea e in particolare in quello che potrebbe esserne considerata la terra d’elezione, la Germania: sono perciò molto lieto che l’accademia delle scienze di torino abbia vo- luto con questa giornata di studi ricordare colui che è ritenuto il fondatore della moderna storia dell’arte dell’antichità e in tal modo implicitamente riaffermare che le radici della nostra cultura sono ben piantate nel mondo classico.
3 m. Kunze (a cura di), Homer in 18. Jahrhundert. Ein Kolloquium der Winckelmann- Gesellschaft, Winckelmann-Gesellschaft, stendal 2012. 4 e. Décultot et alii, Winckelmann. Moderne Antike, Catalogo della Mostra, Weimar, 7 apri- le-2 luglio 2017, Hirmer, münchen 2017. 5 W. Cortjaens, Winckelmann. Das göttliche Geschlecht, Catalogo della Mostra, Berlin Schwule Museum, 16 giugno-9 ottobre 2017, michael imhof Verlag, Berlin 2017.
La mimesi in Winckelmann 29
Non intendo dilungarmi su particolari della biografia del personaggio6, sul- le difficoltà da lui incontrate e sui trionfali riconoscimenti ricevuti in Europa, a partire dalla stessa “capitale dell’arte”, roma7, dove è stato soprintendente alle antichità e, come protégé del potentissimo e ricchissimo cardinale albani, ha ordinato la collezione antica di quel gioiello che è Villa albani8. la Villa, affrescata dal pittore preferito di Winckelmann Raphael Mengs, ospitò le scul- ture antiche acquistate dal cardinale e catalogate dallo stesso Winckelmann: proprietari attuali, i principi torlonia, purtroppo non solo hanno reso di fatto inaccessibile la collezione, ma l’hanno deturpata per soddisfare la loro avi- dità, in seguito allo spostamento nella Villa delle opere ammassate da questi ricchissimi banchieri del morente Stato Pontificio nel Museo torlonia alla lungara9, cancellato per far posto a una speculazione edilizia consistente in un certo numero di miniappartamenti.
Come a più riprese Winckelmann ricorda, la sua concezione del classico e del bello si è fondata soprattutto sull’esperienza romana e sulla conoscen- za delle collezioni di arte della città, sia di scultura classica che di arte del rinascimento. in questo senso è tuttavia importante ricordare un parallelo evento per riaffermare, contro un’opinione un tempo largamente diffusa, che il pensiero di Winckelmann è lungi dall’essere isolato: proprio negli anni in cui Winckelmann svolgeva le sue ricerche a roma, due membri della society inglese detta dei Dilettanti10, James stuart e nicholas revett, che già nel 1742
6 per inquadrare l’attività di Winckelmann resta comunque fondamentale la monumentale ope- ra di C. Justi, Winckelmann und seine Zeitgenossen, 3 voll., Vogel, leipzig 1866-1872; una buona sintesi relativamente recente sulla figura di Winckelmann si deve a E. Décultot, Johann Joachim Winckelmann: enquête sur la genèse de l’histoire de l’art, presses universitaires de France, paris 2000. 7 una bella mostra del 2016-17 e un ricco catalogo ha valorizzato anche il ruolo di Firenze negli interessi del nostro: Winckelmann, Firenze e la Toscana. Il padre dell’archeologia in Toscana. Catalogo della Mostra, Firenze, 26 maggio 2016-30 gennaio 2017, edizioni ets, pisa 2016; il rapporto con la Campania è stato esplorato da s. Ferrari, I viaggi in Campania di Winckelmann (1758-1767) con particolari inediti alla luce di un nuovo documento, in La
Campania e il Grand Tour. Immagini, luoghi e racconti di viaggio tra Settecento e Ottocento, l’erma di Bretschneider, roma 2015, pp. 249-260. 8 Il catalogo ufficiale è stato redatto da s. morcelli, C. Fea ed e.Q. Visconti (La Villa Albani
descritta, salviucci, roma 1869); cfr. anche Forschungen zur Villa Albani. Katalog der antiken Bildwerke, 4 voll., Gebr. mann Verlag, Berlin 1989-2003. 9 su questa collezione smontata cfr. da ultimo C. Gasparri, Das “Museo Torlonia” von Pietro Ercole e Carlo Ludovico Visconti, in Pseudoantike Skulptur. 1. Fallstudien zu antiken Skulpturen und ihren Imitationen, s. Kansteiner, Berlin 2016, pp. 91-105. 10 sul mondo in cui è nata la società dei Dilettanti ancora utile è il libro di m.l. Clarke, Greek
30 Mario Torelli
avevano visitato roma, tra il 1751 e il 1755 (immediatamente prima cioè del- la venuta di Winckelmann in italia) si sono recati in Grecia per conto della società, per raccogliere un’ampia documentazione della grande architettura greca con l’obiettivo di riprodurne l’essenza nel trionfante classicismo delle architetture del neoclassicismo anglosassone. era questo un capitolo dell’e- sperienza classica che interessava relativamente meno Winckelmann, il quale non ha deliberatamente incluso l’architettura fra le arti da lui esplorate e de- scritte11, perché, come egli stesso afferma, non è stata animata dal culto degli dei, ma soltanto dalle proporzioni (la bellezza secondo il nostro era ineren- te alla natura): erano tuttavia sicuramente maturi i tempi, perché la cultura europea si accostasse all’antichità con uno spirito del tutto nuovo, quello che anima l’Illuminismo, prefigurando l’imminente, strepitoso successo del neoclassicismo.
in ogni caso per lo sviluppo del pensiero di Winckelmann è stato senz’altro fondamentale il contatto diretto con le opere d’arte antica che egli ha realizzato nei suoi numerosi viaggi e nei conseguenti lunghi soggiorni in italia, a roma e a Napoli, cominciati nel 1755 e favoriti dalla sua sofferta conversione al catto- licesimo. egli stesso ammette che il debito della sua scienza nei confronti dei suoi soggiorni in italia. alla p. XXi della Prefazione dell’opera sua principe Storia dell’arte dell’antichità (Geschichte der Kunst des Altertums), pubbli- cata a Dresda nel 176412, egli testualmente afferma: «tutto ciò che ho citato come prova ho potuto vederlo personalmente e osservarlo molte volte, tanto i dipinti e le statue, quanto le gemme e le monete», un interessante «rappel» per gli uomini di oggi letteralmente sommersi dalle immagini, che, prima dell’av- vento della fotografia, le fonti primarie della cultura figurativa antica un posto d’onore spettava a monete, medaglie e gemme, tutte testimonianze dirette e indirette dell’arte antica di grande circolazione. tutto ciò comunque non si- gnifica che Winckelmann non avesse già una linea di pensiero: qualche mese
Studies in England 1700-1830, Cambridge university press 1945; per una parallela esperienza di impronta germanica, cfr. l.e. Baumer, La Grèce de Winckelmann et la Grèce réelle. Le voyage du baron Johann Hermann von Riedesel de 1768, in m. toyo et alii (a cura di), Du
voyage savant aux territoires de l’archéologie. Voyageurs, amateurs et savants à l’origine de l’archéologie moderne, Boccard, paris 2011. 11 Cfr. J. Bisky, Poesie der Baukunst. Architekturästhetik von Winckelmann bis Boisserée, Böhlaus, Weimar 2000, e F. testa, Le fonti iconografiche per la conoscenza dell’architettura antica nelle Anmerkungen über die Baukunst der Alten di J.J. Winckelmann, in H. Bruns et al. (a cura di), Saggi di letteratura architettonica da Vitruvio a Winckelmann, iii, olschki, milano 2010, pp. 339-361. 12 J.J. Winckelmann, Geschichte der Kunst des Alterthums, Walther, Dresden 1764.
La mimesi in Winckelmann 31
prima della sua partenza per l’italia, egli pubblica a Dresda il suo primo opu- scolo a stampa, dal titolo Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerey und Bildhauerkunst13, ossia Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, un saggio che presenta un approccio teorico a uno dei temi centrali della visione antica dell’arte figurati- va, il problema della mimesi, che, mutuata da una vasta letteratura in materia, dopo l’esperienza classica maturatasi tra aristotele e l’anonimo del Sublime, sin dal rinascimento è tornato ad animare la speculazione sul rapporto tra natura e opera d’arte, come vedremo più avanti.
Tuttavia, nella sua riflessione il concetto centrale era la bellezza, per lui essenza stessa dell’espressione dell’arte figurativa, principalmente della scultura. occorre ricordare che ai suoi tempi si avevano ancora poche e fram- mentarie testimonianze della pittura antica, un corpus poverissimo, rispetto a quello attuale: negli anni in cui componeva le sue opere, la scoperta del- le città vesuviane, ercolano nel 1738, di pompei nel 1748, stabia nel 1749, veniva rivelando sotto i suoi occhi i primi documenti della pittura parietale, come più volte egli ricorda nelle sue opere. la sua ricostruzione dello svilup- po dell’arte antica egli segue uno schema ben preciso, che in qualche modo ricalca lo schema classicistico sviluppato dalla critica d’arte ellenistica, che ha teorizzato l’evoluzione della forma artistica nello schema di una parabola di sapore biologico, ma che egli preferisce mettere in relazione con la rico- struzione teorica dello sviluppo della poesia greca, elaborata nel XVi secolo dal grande filologo Giuseppe Giusto scaligero. Winckelmann descrive que- sto sviluppo prima come culmine di una successione di culture figurative, da quella egiziana con le sue appendici fenicie e persiane a quella etrusca con cenni alle appendici di questa, le espressioni sannitiche e campane (sulle quali ovviamente ha informazioni assai vaghe), quindi come il succedersi delle fasi della c