Filosofia del linguaggio 2016-2017
Unità didattica n. 8 Prof. Stefano Gensini
Gli Atti linguistici
(Speech Acts)Da Gardiner e Bühler a John L. Austin, attraverso Wittgenstein
L’eredità degli anni Trenta
Gardiner (1932) l’act of speech:
Implica quattro fattori: parlante,
ascoltatore, parole e «thing
meant»
È «un’attività esercitata
universalmente che ha anzitutto
scopi pratici; a tal fine essa si
serve del ‘language’»
Ha carattere insieme individuale
e sociale; parlante↔ascoltatore
Bühler (1934) Sprechakt:
Ha carattere strumentale
Implica un emittente, un
destinatario e «oggetti e stati di
cose» con le relative funzioni:
espressiva, appellativa,
rappresentativa;
La funzione rappresentativa si
svolge sul campo (1) di
indicazione e (2) simbolico
Possiamo definire questi approcci
Gardiner:
Linguistico-antropologico
(rapporto con Malinowski, analisi del contesto culturale dei fatti linguistici)
Bühler
Psico-fenomenologico
(attenzione alla percezione, carattere di ‘evento ‘ – hic et nunc – dell’atto linguistico)
Entrambi gli approcci si muovono in senso inverso
rispetto alla teoria corrispondentistica del
linguaggio
Ludwig Wittgenstein (Tractatus logico-philosophicus, 1918, 1922)
«Ciò che ogni immagine, di qualunque forma essa sia, deve avere in comun con la realtà, per poterla raffigurare –correttamente o falsamente – è la forma logica, ossia la forma della realtà» (2.18)
«Il segno, mediante il quale esprimiamo il pensiero, lo chiamiamo il segno proposizionale (Satzzeichen). E la proposizione è il segno proposizionale nella sua relazione di proiezione al mondo» (3.12)
Alfrec J. Ayer, Language, Truth and Logic (1946)
Il criterio di verificabilità come asse dell’empirismo logico
«Un enunciato è significativo in senso fattuale (factually significant) per qualunque dato individuo, se e solo se quest’ultimo sa come verificare la proposizione che l’enunciato si propone di esprimere – cioè se sa quali osservazioni lo condurrebbero, sotto certe condizioni, ad accettare la proposizione come vera o a rifiutarla come falsa» (p. 16 orig.)
Un autore di cerniera: Charles
Morris
La semiosi come relazione triadica di
veicolo segnico, designatum e interprete
Semantica: la relazione dei segni con gli
oggetti cui sono applicabili;
Pragmatica: relazione dei segni con gli
interpreti;
Sintattica: relazione formale fra i segni
stessi (> regole di formazione e regole di
trasformazione).
(1901-1979)
Il suo libro Foundations of a Theoryof Signs (1938) si colloca allo sbocco della tradizione dell’empirismo logico, e viene pubblicato come parte 2nda del I volume della Encyclopaedia of Unified Science - l’importante progetto editoriale lanciato negli Usa da Rudolf Carnap e Otto Neurath
Semplificando
Il filone ‘neopositivista’ è
focalizzato sull’uso
‘descrittivo’ del
linguaggio, sulla sua
attitudine a
rappresentare in modo
attendibile e verificabile
stati di cose (states of
affairs, Sachverhalten)
Il filone ‘proto-
pragmatico’ di Gardiner
e Bühler è focalizzato
sulla dimensione sociale
e operativa del
linguaggio, in stretto
nesso con lo sfondo
psicologico, contestuale,
fenomenico.
Due linee per la filosofia del
linguaggio: Cambridge
Il ‘secondo’ Wittgenstein: le Philosophische Untersuchungen
(postumo, 1953 – W. muore nel 1951 - ma ultimato nel 1945)
Rovesciamento delle posizioni del Tractatus: critica del referenzialismo e del mentalismo;
«Parlare un linguaggio fa parte di un’attività o di una forma di vita»
(§23)
«Per una grande classe di casi – anche se non per tutti i casi –in cui
ce ne serviamo, la parola significato si può definire così: il significato
(Bedeutung) di una parola è il suo uso nel linguaggio (sein
Gebrauch in der Sprache)» (§43)
Wittgenstein critica il modello
descrittivista
A proposito dell’insegnamento «ostensivo», esemplificato da Agostino nelle
Confessioni (I, 8) W. osserva:
Un’idea radicalmente diversa di
linguaggio
La funzione descrittiva è solo una delle possibili, e neppure la più
importante;
Non esiste una forma logica generale delle proposizioni linguistiche, perché esse vanno pensate all’interno della prassi comunicativa;
Il significato delle parole (e delle frasi) si moltiplica in relazione agli
usi cui esse sono concretamente sottoposte;
In luogo della ‘forma logica generale’ subentra la nozione di ‘gioco
linguistico’ (Sprachspiel).
I giochi linguistici (PU, § 23)
Oxford: John Langshaw Austin
(1911-1960)
Formazione filosofica, sui presupposti (1) della logica aristotelica e (2) della
tradizione analitica che parte da Gottlob Frege (ric. Sinn und Bedeutung,
1892).
In polemica con il neopositivismo logico, Austin si concentra sugli usi
linguistici che non hanno i caratteri della ‘apofanticità’.
Arst, De int. 17a: «Dichiarativo (apophantikos), però, non è ogni discorso,
ma quello in cui accade di dire il vero oppure il falso. Ma questo non
accade in tutti i casi: la preghiera, ad es., è un discorso (logos), ma non è
né vera né falsa»
Ipotesi di analisi del linguaggio in
quanto azione
L’azione è una pratica sociale
che si svolge secondo certe
regole;
Essa coinvolge diversi fattori, ad
es. l’intenzionalità, la riuscita o
meno, gli effetti che si ottengono
su altre persone;
Il linguaggio viene dunque
studiato all’interno di questo
scenario.
How to do things with words: le lezioni del
1951-1955 (ed. ingl. 1962, it. 1970, 1987)
Austin prende pertanto in esame
gli enunciati che non rispondono
alla domanda: ‘E’ vero o è falso?’
Dalla funzione veritativa e
scientifica del linguaggio, egli si
sposta alla funzione sociale, retta
da specifiche convenzioni.
Constative vs. performative
Di qui la distinzione fra
1. enunciati constativi (che
descrivono uno stato di fatto)
e
2. enunciati performativi (che
realizzano un’azione sociale) –
ad es. «Vi dichiaro marito e
moglie».
Mentre gli enunciati
dichiarativi possono essere veri
o falsi, i performativi possono
essere solo ‘felici’ o ‘infelici’,
nel senso che raggiungono o
non raggiungono il proprio
scopo sociale.
Ad es., se non sono sindaco non posso felicemente
proferire: «Vi dichiaro marito e
moglie».
Tassonomia vs. ‘Gioco linguistico’
Austin parte dall’idea che sia
possibile isolare delle regolarità
nella molteplicità degli usi.
Si oppone pertanto alla
indeterminatezza semantica del
2ndo Wittgenstein, ipotizzando
una tassonomia degli atti
linguistici.
«Cantare in girotondo» è un buon esempio di gioco
linguistico secondo il § 23 delle Ricerche filosofiche
L’atto linguistico implica…
Un atto locutorio (locutionary act) che a sua volta incorpora tre
componenti:
1. l’atto fonetico (l’atto di emettere certi suoni)
2. l’atto fatico (il fatto di pronunciare certi vocaboli o parole,
conformemente a un lessico e in relazione a una certa
grammatica)
3. un atto retico (il fatto di usare certe parole con un senso e un
riferimento più o meno definiti)
→ «Ha detto: ‘Il gatto è sul cuscino’» è un atto fatico
→«Ha detto che il gatto era sul cuscino» è un atto retico
Implica inoltre…
Un atto illocutorio (illocutionary act) nel senso che ogni enunciato
ha una propria forza illocutoria, vale a dire che può avere la
funzione di:
1. fare una domanda o rispondere a essa;
2. fornire un’informazione o un’assicurazione o un avvertimento;
3. annunciare un verdetto o un’intenzione;
4. pronunciare una condanna;
5. assegnare una nomina o fare un appello o una critica;
6. compiere una identificazione o fare una descrizione.
Implica infine….
Un atto perlocutorio (perlocutionary act), che ha a che fare con gli effetti
prodotti sui sentimenti, i pensieri, le azioni di chi sente, di chi parla o di altre
persone. Perlocutorio è l’atto che si compie con l’intenzione di produrre questi
effetti.
Schema riassuntivo: un esempio d’autore
1. Atto A o locuzione: Egli mi ha detto ‘Sparale’ intendendo con ‘spara’ spara e
riferendosi con ‘le’ a lei;
2. Atto B o illocuzione: Egli mi ha incitato a spararle (o consigliato, ordinato etc.
di spararle);
3. Atto C/a o perlocuzione: Egli mi ha persuaso a spararle;
4. Atto C/b Egli mi ha indotto a spararle (o ha fatto sì che le sparassi)
NB Nel caso C/b non si fa più riferimento all’esecuzione dell’atto illocutorio,
ma solo ai suoi effetti pratici.
Prima tassonomia degli speech acts
In base a diverse classi di forza illocutoria
1. atti verdettivi (cfr. verbi come assolvo, stimo, classifico, giudico…)
2. atti esercitivi (nomino, licenzio, prego, proclamo, condanno,
chiedo, raccomando, rassegno le dimissioni ….)
3. atti commissivi (prometto, mi incarico di, garantisco, do la parola
che, concordo che/con …)
4. atti comportativi (espressioni di scusa, ringraziamento, saluto,
partecipazione ai sentimenti altrui, auguri, saluti ….)
5. atti espositivi (affermo, nego, osservo che, rendo noto, accetto, obietto a, tralascio …)
Per ogni tipologia una classe
di situazioni sociali
1. verdettivi: «si tratta di emettere una sentenza riguardo a qualcosa – un fatto o un valore – riguardo a cui … è difficile essere certi»;
2. esercitivi: «è il comunicare una decisione pro o contro una certa condotta, o la difesa di questa»;
3. commissivi: «[scopo di un commissivo] è impegnare chi parla ad una certa condotta»;
4. comportativi: «includono la nozione di reazione riguardo al comportamento e alle sorti di altre persone, e di atteggiamenti e loro manifestazioni, riguardo alla condotta passata o imminente di un altro»;
5. espositivi: «vengono usati in atti di esposizione che comportano l’illustrare opinioni, il portare avanti discussioni, e il chiaricare usi e riferimenti».
L’influenza di Austin su altri autori
P. Grice, Meaning, 1957
P. F. Strawson, Intention and convention in Speech Acts, 1964
J. Searle, Speech Acts, 1969
J. Habermas, Theorie deskommunikativen Handels, 1981
NB ed. ital. «Come fare cose con le parole», a c.di M. Sbisà, To: Marietti, 1987 (1° ed. 1970)