Download pdf - Personale di St.Art

Transcript
Page 1: Personale di St.Art

LE P

ERSO

NA

LI DI S

TA

RT

AN

NO

I - N° 1

MizaSINESTETICHE VIBRAZIONI...

Testi Critici di ANTONELLO PETRILLO e MICHELE MISCIA

Page 2: Personale di St.Art

EditorialeOgni artista è un astro che brilla di luce propria!Colui il quale si chieda come mai il Demiurgo abbia collocato le stelle alla distanza di anni luce, sappia che se esse entrano in contatto sono destinate allo scontro e alla deflagrazione.La metafora è sufficientemente esplicativa della scelta che abbiamo operato di trattare, in queste pagine, le singolarità individuali degli artisti.A nostro giudizio, infatti, non ha alcun senso porre in essere dei confronti tra quanti operano nella contemporaneità: il fiore di pesco non è senza dubbio meno bello di quello del ciliegio, ma essi sono semplicemente diversi. Quello di individuare parallelismi, di rintracciare riferimenti culturali ed artistici, di decidere se un artista debba essere inserito in questa o quella corrente, è compito essenziale della Storia dell’Arte, ma anche della critica, che non può astenersi da un approccio di ricerca multidisciplinare, che tenga conto dell’intero percorso dei singoli autori, che ne segua le tracce del percorso evolutivo in perenne mutamento, che cesserà, in un remoto futuro, soltanto quando l’ultima pennellata non sarà stata stesa sull’ultima tela. Non a caso il Goya ebbe a dire, alla veneranda età di ottanta anni: “Sto ancora imparando!”

Michele Miscia

MizaSINESTETICHE VIBRAZIONI...

Testi critici di ANTONELLO PETRILLO e MICHELE MISCIA

LE PERSONALI DI ST ART•

Anno I - 2009Numero 1MizaISBN: 978-88-6436-038-6

Direttore ResponsabileNicola Scontrino

Direttore EditorialeMichele Miscia

GraficaMarco Mazzariello

RedazioniCattedra di Storia dell’ArteContemporaneaUniversità degli studi di SalernoProf. Nicola Scontrino

Via delle Rose, 1 - LacedoniaResponsabile - Dr. Michele MisciaCell. 338 [email protected]

Via Firenze, 1 - GrottaminardaResponsabile - Dr. Silvio SallicandroTel. 0825 [email protected]

Centro perl’emersione

e la promozionedell’Arte

Page 3: Personale di St.Art

EditorialeOgni artista è un astro che brilla di luce propria!Colui il quale si chieda come mai il Demiurgo abbia collocato le stelle alla distanza di anni luce, sappia che se esse entrano in contatto sono destinate allo scontro e alla deflagrazione.La metafora è sufficientemente esplicativa della scelta che abbiamo operato di trattare, in queste pagine, le singolarità individuali degli artisti.A nostro giudizio, infatti, non ha alcun senso porre in essere dei confronti tra quanti operano nella contemporaneità: il fiore di pesco non è senza dubbio meno bello di quello del ciliegio, ma essi sono semplicemente diversi. Quello di individuare parallelismi, di rintracciare riferimenti culturali ed artistici, di decidere se un artista debba essere inserito in questa o quella corrente, è compito essenziale della Storia dell’Arte, ma anche della critica, che non può astenersi da un approccio di ricerca multidisciplinare, che tenga conto dell’intero percorso dei singoli autori, che ne segua le tracce del percorso evolutivo in perenne mutamento, che cesserà, in un remoto futuro, soltanto quando l’ultima pennellata non sarà stata stesa sull’ultima tela. Non a caso il Goya ebbe a dire, alla veneranda età di ottanta anni: “Sto ancora imparando!”

Michele Miscia

MizaSINESTETICHE VIBRAZIONI...

Testi critici di ANTONELLO PETRILLO e MICHELE MISCIA

LE PERSONALI DI ST ART•

Anno I - 2009Numero 1MizaISBN: 978-88-6436-038-6

Direttore ResponsabileNicola Scontrino

Direttore EditorialeMichele Miscia

GraficaMarco Mazzariello

RedazioniCattedra di Storia dell’ArteContemporaneaUniversità degli studi di SalernoProf. Nicola Scontrino

Via delle Rose, 1 - LacedoniaResponsabile - Dr. Michele MisciaCell. 338 [email protected]

Via Firenze, 1 - GrottaminardaResponsabile - Dr. Silvio SallicandroTel. 0825 [email protected]

Centro perl’emersione

e la promozionedell’Arte

Page 4: Personale di St.Art

4

Il colore, alla fine, è materia. E come tale può fondere, trascendere la brutale rigidità delle morfologie, cui il raggio fotonico, individuandolo, lo confina; può esplodere, e spaccandola, uscire da quell'angusta simmetria percettiva cui occhi troppo pigri lo vorrebbero coagula-to e rappreso... Quando questo accade – e, nella buona pittura talvolta accade, per un processo naturale e misterioso insieme - il colore rivive in una vita “per sé”, proiettandosi a fecondare e permeare altri spazi e, spesso, anche un tempo “altro”. Questo, di regola, sembra accadere nella pittura di Miza, nome d'arte di Michele Di Conza, artista altirpina la cui vena creativa ha ormai conquistato gli ambienti più raffinati e selettivi della critica e della fruizione artistica europea. La prima cosda che colpisce, in un suo quadro, è quest'indomabilità del colore, la sua assoluta indocilità a rimanere attaccato alla tela; come se fosse energia, un nocciolo indomito d'energia pura, pronto a sacoppiare e ad avvolgerti, in equilibrio perennemente instabile, divaricato tra la nascita e la morte dello spicchio di mondo rappresentato (“tra l'origine e la fine delle cose...”, dice l'autrice), alla ricerca continua di un'entropia in cui fondersi e coinvolgere lo spettatore, strappato dai dubbi ancestrali del segno pittorico alla tranquillità di rimozio-ni sommate del suo quotidiano, inarrestabilmente avvolto nelle spire di questo colore inquietante e selvaggio, magicamente etereo eppure intensamente avvinto, intriso di una materia viva e primordiale. Ma non c'è soltanto questo nei quadri di Miza. La “materia”,

parafrasando Bergson, si fa ad un certo punto “memoria”. La memoria cocente di generazioni altirpine vissute nei campi, a strappare la vita ad una terra bellissima e selvaggia, fascinosa ed avara, rivive nell'arte di Miza; e c'è lo stesso gesto, sofferto e testardo, del contadino che feconda la terra, nel suo dipingere... E c'è la capacità dei contadini di conservare con puntiglio una cultura antica, quello spiegarsi il mondo dalla terra, dalla ciclicità dei suoi ritorni e gli elementi, infinitesimi della sua materia, che fu già magno – greca.raramente hanno rivissuto nell'arte, e con la prorompente spontaneità con cui rivivono oggi in Miza, gli echi e le suggestioni di un mondo antichissimo e solare, mediterraneo ed agreste, fascinoso e pagano... quello degli uomini venuti dal mare, da Levante, a costruire una stagione nuova per queste terre, e nuovi modi di vedere e spiegarsi le cose che si sarebbero poi radicati nelle generazioni e nel sangue, come questa giovane, ammaliante pittrice, possibile nipote di Parmenide o di Melisso, inequivocabilmente testimonia...Ed è proprio l '«essere» di Parmenide, significativamente, l'oggetto della ricerca e dell'arte di Miza, quel grumo infinitesimo di qualità ontologica che è in “ogni cosa che è”, ed è sempre, prima della sua origine e dopo la sua fine...Prima che le “opinioni dei mortali” ritengano una cosa iniziata e dopo la sua fine decretata, ingannevolmente, come diceva Parmenide e raccontano i quadri di Miza, poiché “ciò che è, è: non nasce e non muore”, ed oltre è il non – essere... E non c'è contraddizione tra il dinamismo, la motilità

irrefrenabile dei colori di Miza, e la tesi parmenidea dell'«immobilità dell'essere», la tartaruga e l'Achille messi in campo dall'atro grande eleàta, Zenone, nel suo argomenta-re contro il movimento. I colori di Miza non sono che il veicolo del suo comprendere e comunicare il reale, proprio come, le proemio del “De rerum naturae” del vecchio Parmenide “Le cavalle che mi trascinano, tanto lungi, quanto il mio animo lo poteva desiderare, mi fecero arrivare...”. Il movimento del colore è il movimento della mente inquieta, alla ricerca perenne di una stabilità della coscienza e dell'essere, fuori dai dubbi e dalle contraddizio-ni laceranti dell'apparire.E certo questo ontologismo in Miza si è fatto compiutamente adulto e “moderno”, rivissuto alla luce della fenomenologia di Husserl, di Heidegger, di Sartre. lo stesso Jaspers avrebbe potuto tranquilla-mente essere immerso nella contemplazione di un quadro della pittrice, quando affermava: “La profondità dell'ora diviene manife-sta soltanto in unione col passato e col futuro, con il ricordo e con l'idea di quello in direzione del quale vivo...”. Eppure c'è qualcosa di inequivocabilmente antico e mediterraneo, di meravigliosamen-te pagano nella visione della storia che sottende alla creazione di Miza. Una concezione ciclica e biologica, in cui la nascita non è che un ritorno e la fine una partenza per un nuovo inizio, fuori dalla violenza artificiale di schemi rettilinei e rigidi, prefissati da questa o quella casta sacerdotale.Nelle opere figurative, stupendi ritratti delle crete altirpine e dei personaggi che le popolano scorrendone le rughe, tu puoi rinvenire la “fine” delle cose, nella

5di Antonello Petrillo

A destra:

tecnica mista15x202009

Riflessione

Page 5: Personale di St.Art

4

Il colore, alla fine, è materia. E come tale può fondere, trascendere la brutale rigidità delle morfologie, cui il raggio fotonico, individuandolo, lo confina; può esplodere, e spaccandola, uscire da quell'angusta simmetria percettiva cui occhi troppo pigri lo vorrebbero coagula-to e rappreso... Quando questo accade – e, nella buona pittura talvolta accade, per un processo naturale e misterioso insieme - il colore rivive in una vita “per sé”, proiettandosi a fecondare e permeare altri spazi e, spesso, anche un tempo “altro”. Questo, di regola, sembra accadere nella pittura di Miza, nome d'arte di Michele Di Conza, artista altirpina la cui vena creativa ha ormai conquistato gli ambienti più raffinati e selettivi della critica e della fruizione artistica europea. La prima cosda che colpisce, in un suo quadro, è quest'indomabilità del colore, la sua assoluta indocilità a rimanere attaccato alla tela; come se fosse energia, un nocciolo indomito d'energia pura, pronto a sacoppiare e ad avvolgerti, in equilibrio perennemente instabile, divaricato tra la nascita e la morte dello spicchio di mondo rappresentato (“tra l'origine e la fine delle cose...”, dice l'autrice), alla ricerca continua di un'entropia in cui fondersi e coinvolgere lo spettatore, strappato dai dubbi ancestrali del segno pittorico alla tranquillità di rimozio-ni sommate del suo quotidiano, inarrestabilmente avvolto nelle spire di questo colore inquietante e selvaggio, magicamente etereo eppure intensamente avvinto, intriso di una materia viva e primordiale. Ma non c'è soltanto questo nei quadri di Miza. La “materia”,

parafrasando Bergson, si fa ad un certo punto “memoria”. La memoria cocente di generazioni altirpine vissute nei campi, a strappare la vita ad una terra bellissima e selvaggia, fascinosa ed avara, rivive nell'arte di Miza; e c'è lo stesso gesto, sofferto e testardo, del contadino che feconda la terra, nel suo dipingere... E c'è la capacità dei contadini di conservare con puntiglio una cultura antica, quello spiegarsi il mondo dalla terra, dalla ciclicità dei suoi ritorni e gli elementi, infinitesimi della sua materia, che fu già magno – greca.raramente hanno rivissuto nell'arte, e con la prorompente spontaneità con cui rivivono oggi in Miza, gli echi e le suggestioni di un mondo antichissimo e solare, mediterraneo ed agreste, fascinoso e pagano... quello degli uomini venuti dal mare, da Levante, a costruire una stagione nuova per queste terre, e nuovi modi di vedere e spiegarsi le cose che si sarebbero poi radicati nelle generazioni e nel sangue, come questa giovane, ammaliante pittrice, possibile nipote di Parmenide o di Melisso, inequivocabilmente testimonia...Ed è proprio l '«essere» di Parmenide, significativamente, l'oggetto della ricerca e dell'arte di Miza, quel grumo infinitesimo di qualità ontologica che è in “ogni cosa che è”, ed è sempre, prima della sua origine e dopo la sua fine...Prima che le “opinioni dei mortali” ritengano una cosa iniziata e dopo la sua fine decretata, ingannevolmente, come diceva Parmenide e raccontano i quadri di Miza, poiché “ciò che è, è: non nasce e non muore”, ed oltre è il non – essere... E non c'è contraddizione tra il dinamismo, la motilità

irrefrenabile dei colori di Miza, e la tesi parmenidea dell'«immobilità dell'essere», la tartaruga e l'Achille messi in campo dall'atro grande eleàta, Zenone, nel suo argomenta-re contro il movimento. I colori di Miza non sono che il veicolo del suo comprendere e comunicare il reale, proprio come, le proemio del “De rerum naturae” del vecchio Parmenide “Le cavalle che mi trascinano, tanto lungi, quanto il mio animo lo poteva desiderare, mi fecero arrivare...”. Il movimento del colore è il movimento della mente inquieta, alla ricerca perenne di una stabilità della coscienza e dell'essere, fuori dai dubbi e dalle contraddizio-ni laceranti dell'apparire.E certo questo ontologismo in Miza si è fatto compiutamente adulto e “moderno”, rivissuto alla luce della fenomenologia di Husserl, di Heidegger, di Sartre. lo stesso Jaspers avrebbe potuto tranquilla-mente essere immerso nella contemplazione di un quadro della pittrice, quando affermava: “La profondità dell'ora diviene manife-sta soltanto in unione col passato e col futuro, con il ricordo e con l'idea di quello in direzione del quale vivo...”. Eppure c'è qualcosa di inequivocabilmente antico e mediterraneo, di meravigliosamen-te pagano nella visione della storia che sottende alla creazione di Miza. Una concezione ciclica e biologica, in cui la nascita non è che un ritorno e la fine una partenza per un nuovo inizio, fuori dalla violenza artificiale di schemi rettilinei e rigidi, prefissati da questa o quella casta sacerdotale.Nelle opere figurative, stupendi ritratti delle crete altirpine e dei personaggi che le popolano scorrendone le rughe, tu puoi rinvenire la “fine” delle cose, nella

5di Antonello Petrillo

A destra:

tecnica mista15x202009

Riflessione

Page 6: Personale di St.Art

morte apparente e nell'abbandono degli strumenti antichi della civiltà contadina, nei volti segnati dalla fatica e irrimediabilmente riarsi dal sole dei suoi zappaterra, nella schiena curva fino a terra di una vecchina che sembra essa stessa, ormai, terra... ma la morte apparen-te delle forme rivela l'immortalità dell'essere nell'esplosione fanta-smagorica, liberatoria, palingeneti-ca, delle forme e dei colori che si protendono verso di te dai quadri astratti, da quel figurativismo geometrico e surreale che ti avvolge e r icrea per te i l mistero dell'«origine».Miza toglie la vita alle cose per demis t i f i ca re l ' i ng annevo le opinione che ti sei fatto della morte: l'impossibile simultaneità di origine e fine ti spiega che esse sono un falso, forse concepito per ingannare e dominare, che l'essenza delle cose è un eterno nostos, un ritorno senza fine e confini: l'aratro rifeconderà il solco con la marcescenza del suo legno; il germe della vecchia rivivrà in sua figlia; giacché la terra – lo sapevano bene i greci e lo sanno i contadini – non è che un cerchio d'argilla ed una maternità ininter-rotta...Come nelle architetture dei greci, in questa pittura prevalgono le geometrie, un desiderio di raziona-lizzare la natura e insieme di fondervisi, giacché – come le scienze hanno ormai mostrato e come Pitagora già disse – la materialità elementare è ritmo, geometria, armonia. C'è infatti, nel

concetto di armonia dell'artista, una ricerca, una tensione costante e lirica verso quelle sinestesie tanto care al mondo classico, il cui gusto, la rigida e repressiva separazione scolastica dei saperi fece poi perdere... In Miza l'arte non è che “una scienza eletta tra tutte le altre, da cui mettersi alla ricerca per andare dall'una all'altra per poi tornare alla partenza”, così come diceva il bizantino Psello nella sua “Cronografia”.E così in lei c'è l'assimilazione profonda della fisica, da Democrito alla relatività dello spazio – tempo, alla termodinamica dei sistemi in non equilibrio di Prigogine; della biologia che, dall'indagine tassono-mica della superficie, dalla descri-zione morfologica del vivente, si sposta alla struttura interna dell'organismo, fino al mondo, invisibile all'occhio, della struttura cellulare; proprio come Miza, dalle forme della sua terra, trae quell'essenza delle cose che è in ogni tempo e in ogni luogo...Soprattutto, nella pittrice, c'è la ricerca di quell'armonia sinestetica, quel nocciolo di pura bellezza che è in tutte le arti, e perciò stesso non può rimanere confinato alla tela. Se il suono è come la luce movimento dell'aria, allora i suoni si debbono vedere ed i colori si possono udire... Ed i colori si odono fino alla lacerazione dell'urlo, in queste tele...Un “urlo” cui non riesci a sottrarti, una volontà precisa che promana dai quadri e anela travolgerti e disintegrare i tuoi simboli come un

sogno, per trascinarti, impotente, in quel dubbio ancestrale, rurale e cosmico, sull'Origine e la Fine, finché non arriva a convincerti che non c'è alfa e non c'è omega, soltanto una serie chiusa di lettere – elementi, un codice sempre uguale per l'uomo in una circolarità della storia, della vita e del tempo, che non è mutata e non potrà mutare...Ho un quadro di Miza nella mia stanza. L'intreccio flessuoso delle forme ricorda molto il Braque della “Mythologie greque”. È piccolo, un piccolo quadro, appiattito, quasi accucciato sulla parete... Eppure scaglia in ogni direzione i suoi lampi di “colore che fugge dalle cose”, come un nocciolo di energia, di materia primordiale rappresa nell'attimo del suo esplodere. Come avere un pezzo d'uranio vivo in casa... È piccolo, eppure non manca mai d'inquietarmi...

b

c

6

a

7

A destra:a)

acrilico70x802009

b) acrilico50x702009

c)tecnica mista

50x701982

Noi: di qua e di là

Arilendine

Donna

Page 7: Personale di St.Art

morte apparente e nell'abbandono degli strumenti antichi della civiltà contadina, nei volti segnati dalla fatica e irrimediabilmente riarsi dal sole dei suoi zappaterra, nella schiena curva fino a terra di una vecchina che sembra essa stessa, ormai, terra... ma la morte apparen-te delle forme rivela l'immortalità dell'essere nell'esplosione fanta-smagorica, liberatoria, palingeneti-ca, delle forme e dei colori che si protendono verso di te dai quadri astratti, da quel figurativismo geometrico e surreale che ti avvolge e r icrea per te i l mistero dell'«origine».Miza toglie la vita alle cose per demis t i f i ca re l ' i ng annevo le opinione che ti sei fatto della morte: l'impossibile simultaneità di origine e fine ti spiega che esse sono un falso, forse concepito per ingannare e dominare, che l'essenza delle cose è un eterno nostos, un ritorno senza fine e confini: l'aratro rifeconderà il solco con la marcescenza del suo legno; il germe della vecchia rivivrà in sua figlia; giacché la terra – lo sapevano bene i greci e lo sanno i contadini – non è che un cerchio d'argilla ed una maternità ininter-rotta...Come nelle architetture dei greci, in questa pittura prevalgono le geometrie, un desiderio di raziona-lizzare la natura e insieme di fondervisi, giacché – come le scienze hanno ormai mostrato e come Pitagora già disse – la materialità elementare è ritmo, geometria, armonia. C'è infatti, nel

concetto di armonia dell'artista, una ricerca, una tensione costante e lirica verso quelle sinestesie tanto care al mondo classico, il cui gusto, la rigida e repressiva separazione scolastica dei saperi fece poi perdere... In Miza l'arte non è che “una scienza eletta tra tutte le altre, da cui mettersi alla ricerca per andare dall'una all'altra per poi tornare alla partenza”, così come diceva il bizantino Psello nella sua “Cronografia”.E così in lei c'è l'assimilazione profonda della fisica, da Democrito alla relatività dello spazio – tempo, alla termodinamica dei sistemi in non equilibrio di Prigogine; della biologia che, dall'indagine tassono-mica della superficie, dalla descri-zione morfologica del vivente, si sposta alla struttura interna dell'organismo, fino al mondo, invisibile all'occhio, della struttura cellulare; proprio come Miza, dalle forme della sua terra, trae quell'essenza delle cose che è in ogni tempo e in ogni luogo...Soprattutto, nella pittrice, c'è la ricerca di quell'armonia sinestetica, quel nocciolo di pura bellezza che è in tutte le arti, e perciò stesso non può rimanere confinato alla tela. Se il suono è come la luce movimento dell'aria, allora i suoni si debbono vedere ed i colori si possono udire... Ed i colori si odono fino alla lacerazione dell'urlo, in queste tele...Un “urlo” cui non riesci a sottrarti, una volontà precisa che promana dai quadri e anela travolgerti e disintegrare i tuoi simboli come un

sogno, per trascinarti, impotente, in quel dubbio ancestrale, rurale e cosmico, sull'Origine e la Fine, finché non arriva a convincerti che non c'è alfa e non c'è omega, soltanto una serie chiusa di lettere – elementi, un codice sempre uguale per l'uomo in una circolarità della storia, della vita e del tempo, che non è mutata e non potrà mutare...Ho un quadro di Miza nella mia stanza. L'intreccio flessuoso delle forme ricorda molto il Braque della “Mythologie greque”. È piccolo, un piccolo quadro, appiattito, quasi accucciato sulla parete... Eppure scaglia in ogni direzione i suoi lampi di “colore che fugge dalle cose”, come un nocciolo di energia, di materia primordiale rappresa nell'attimo del suo esplodere. Come avere un pezzo d'uranio vivo in casa... È piccolo, eppure non manca mai d'inquietarmi...

b

c

6

a

7

A destra:a)

acrilico70x802009

b) acrilico50x702009

c)tecnica mista

50x701982

Noi: di qua e di là

Arilendine

Donna

Page 8: Personale di St.Art

df

e

9

Nulla è più difficile, per la mente umana, che comprendere se stessa, ovvero il proprio funzionamento, specialmente per quel che concerne la facoltà di tradurre in forme artistiche gli stimoli che promanano dal mondo circostante. La fenome-nologia dell'Arte, infatti - come tutte quelle che concernono l'essere umano – pur sottoposta a continui tentativi d'indagine che pretendono di penetrare nelle profondità abissali della sua essenza, è all'atto, nonostante i progressi compiuti nelle scienze e nella speculazione filosofica, ben lungi dall'esser considerato risolto. È, di contro, una sorta di campo di battaglia che vede il pensiero umano contrappo-sto a se stesso in una guerra fredda giocata dagli apparati di intelligence d e l l a m e n t e , i m p e g n a t i nell'affannosa ricerca delle chiavi che aprano la cassaforte nella quale la mente stessa ha rinchiuso i suoi più intimi segreti.Sembra di vagare all'infinito in un labirinto che non ha ancora trovato il suo filo d'Arianna o di manipolare una costruzione a scatole cinesi, tante e tali sono le domande e le implicazioni contenute le une nelle altre, ad un punto tale che la soluzione trovata ad un problema può facilmente trasformarsi in una complicazione del problema stesso: la risposta apparente diventa, in realtà, una domanda ancora più complessa.Il pensiero artistico è, per sua natura, immateriale, incorporeo, evanescente e pertanto ogni tentativo di operazione autoptica sul suo corpo etereo rischia di vedere affondare il bisturi del ragionamento nel vuoto. Come un cane che rincorra la propria coda, non riesce ad afferrarsi, a catturare

la propria essenza, ovvero ad auto - comprendersi.Ciò nonostante, l'Uomo, vieppiù l'Artista, persegue instancabile il suo percorso di conoscenza, nella consapevolezza che non può comportarsi altrimenti, perché “.. . l 'uomo è condannato ad evolvere!...”, anche e soprattutto nell'espressione esteriore dell'Arte.Nella mia lunga, e talvolta disagevo-le, peregrinatio nel mondo dell'Arte, tra gallerie e musei, studi ed atelier abitati e usati da eteroge-nea e variopinta varietà umana di artisti, mi sono molto spesso imbattuto in sorgenti creative ormai in secca, talvolta in rivoletti, con la poca acqua a singhiozzare tra i gorghi, talaltra in torrenti confluen-ti nel putrescente stagno della maniera, o in fiumi poco limpidi, perché inquinati da eccessivo ed ossessivo concettualismo, se è vero che l'arte del Novecento, nella maggioranza degli artisti, non è figlia né dell'impressione e né dell'emozione, ma della concettua-lizzazione. E, del resto, ad un certo punto è sembrato che la complica-zione contenutistica, estroflessa in complessità formale, sia divenuta la norma, a dispregio di un celebre motto di Albert Einstein, per il quale “L'arte è l'espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice!”. Soltanto di rado, in relazione alla infinita mole di personaggi incontrati e parzialmen-te trattati criticamente, mi è capitato di imbattermi in figure di estremo interesse, la cui opera è riuscita a suscitare emozione nel mio animo e curiosità nell'intelletto, al punto da invogliarmi, con piacere, a fruirne e ad esprimere le mie idee al riguardo: Miza, al secolo Michela Di Conza, è una di queste. Non mi è affatto

difficile, e né genera in me alcun timore, affermare - come andrò a motivare – che ella è stata in grado di ricercare e pervenire a quella che definirei una sintesi delle arti, che, nella sua pittura, si è frequentemen-te espressa attraverso l'uso di una figura retorica quale la sinestesia, intesa come epifania di una globalità di percezioni sensoriali diverse e simultanee. Talune opere di Miza, infatti, vanno osservate con l'udito, al fine di percepire le sonorità promananti dai colori, diffusi sulla tela in un concerto sinfonico dall'andamento estremamente mosso, perché cangiante nei ritmi tonali, giungendo a tradursi, nell'osservatore attento, in visione interiore o, come di fronte all'astrazione assoluta di alcuni dipinti, in manifestazione del sublime che si cela oltre la mera apparenza. Aggirandomi nel suo studio, nella mia memoria si è fatto luogo un celeberrimo sonetto di Charles Baudelaire, quel “Corrispondenze” che segnò un passaggio epocale, uno spartiacque non soltanto nel mondo dell'espressione poetica ma di quella artistica in generale.

Corrispondenze

È un tempio la Natura, dove a volte paroleescono confuse da viventi pilastri;e l'uomo l'attraversa tra foreste di simboliche gli lanciano occhiate familiari.

Come echi che a lungo e da lontanotendono a un'unita profonda e oscura,vasta come le tenebre o la luce,i profumi, i colori e i suoni si

di Michele Miscia

opered) , sanguigna, 31x31 - 2009e) , acrilico, 50x70 - 2009f) , tecnica mista, 31x31 - 2009

FunambolaStracciFunambola 2

In basso a sinistra:

acrilico70x802009

Fontana Pasciuti

Page 9: Personale di St.Art

df

e

9

Nulla è più difficile, per la mente umana, che comprendere se stessa, ovvero il proprio funzionamento, specialmente per quel che concerne la facoltà di tradurre in forme artistiche gli stimoli che promanano dal mondo circostante. La fenome-nologia dell'Arte, infatti - come tutte quelle che concernono l'essere umano – pur sottoposta a continui tentativi d'indagine che pretendono di penetrare nelle profondità abissali della sua essenza, è all'atto, nonostante i progressi compiuti nelle scienze e nella speculazione filosofica, ben lungi dall'esser considerato risolto. È, di contro, una sorta di campo di battaglia che vede il pensiero umano contrappo-sto a se stesso in una guerra fredda giocata dagli apparati di intelligence d e l l a m e n t e , i m p e g n a t i nell'affannosa ricerca delle chiavi che aprano la cassaforte nella quale la mente stessa ha rinchiuso i suoi più intimi segreti.Sembra di vagare all'infinito in un labirinto che non ha ancora trovato il suo filo d'Arianna o di manipolare una costruzione a scatole cinesi, tante e tali sono le domande e le implicazioni contenute le une nelle altre, ad un punto tale che la soluzione trovata ad un problema può facilmente trasformarsi in una complicazione del problema stesso: la risposta apparente diventa, in realtà, una domanda ancora più complessa.Il pensiero artistico è, per sua natura, immateriale, incorporeo, evanescente e pertanto ogni tentativo di operazione autoptica sul suo corpo etereo rischia di vedere affondare il bisturi del ragionamento nel vuoto. Come un cane che rincorra la propria coda, non riesce ad afferrarsi, a catturare

la propria essenza, ovvero ad auto - comprendersi.Ciò nonostante, l'Uomo, vieppiù l'Artista, persegue instancabile il suo percorso di conoscenza, nella consapevolezza che non può comportarsi altrimenti, perché “.. . l 'uomo è condannato ad evolvere!...”, anche e soprattutto nell'espressione esteriore dell'Arte.Nella mia lunga, e talvolta disagevo-le, peregrinatio nel mondo dell'Arte, tra gallerie e musei, studi ed atelier abitati e usati da eteroge-nea e variopinta varietà umana di artisti, mi sono molto spesso imbattuto in sorgenti creative ormai in secca, talvolta in rivoletti, con la poca acqua a singhiozzare tra i gorghi, talaltra in torrenti confluen-ti nel putrescente stagno della maniera, o in fiumi poco limpidi, perché inquinati da eccessivo ed ossessivo concettualismo, se è vero che l'arte del Novecento, nella maggioranza degli artisti, non è figlia né dell'impressione e né dell'emozione, ma della concettua-lizzazione. E, del resto, ad un certo punto è sembrato che la complica-zione contenutistica, estroflessa in complessità formale, sia divenuta la norma, a dispregio di un celebre motto di Albert Einstein, per il quale “L'arte è l'espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice!”. Soltanto di rado, in relazione alla infinita mole di personaggi incontrati e parzialmen-te trattati criticamente, mi è capitato di imbattermi in figure di estremo interesse, la cui opera è riuscita a suscitare emozione nel mio animo e curiosità nell'intelletto, al punto da invogliarmi, con piacere, a fruirne e ad esprimere le mie idee al riguardo: Miza, al secolo Michela Di Conza, è una di queste. Non mi è affatto

difficile, e né genera in me alcun timore, affermare - come andrò a motivare – che ella è stata in grado di ricercare e pervenire a quella che definirei una sintesi delle arti, che, nella sua pittura, si è frequentemen-te espressa attraverso l'uso di una figura retorica quale la sinestesia, intesa come epifania di una globalità di percezioni sensoriali diverse e simultanee. Talune opere di Miza, infatti, vanno osservate con l'udito, al fine di percepire le sonorità promananti dai colori, diffusi sulla tela in un concerto sinfonico dall'andamento estremamente mosso, perché cangiante nei ritmi tonali, giungendo a tradursi, nell'osservatore attento, in visione interiore o, come di fronte all'astrazione assoluta di alcuni dipinti, in manifestazione del sublime che si cela oltre la mera apparenza. Aggirandomi nel suo studio, nella mia memoria si è fatto luogo un celeberrimo sonetto di Charles Baudelaire, quel “Corrispondenze” che segnò un passaggio epocale, uno spartiacque non soltanto nel mondo dell'espressione poetica ma di quella artistica in generale.

Corrispondenze

È un tempio la Natura, dove a volte paroleescono confuse da viventi pilastri;e l'uomo l'attraversa tra foreste di simboliche gli lanciano occhiate familiari.

Come echi che a lungo e da lontanotendono a un'unita profonda e oscura,vasta come le tenebre o la luce,i profumi, i colori e i suoni si

di Michele Miscia

opered) , sanguigna, 31x31 - 2009e) , acrilico, 50x70 - 2009f) , tecnica mista, 31x31 - 2009

FunambolaStracciFunambola 2

In basso a sinistra:

acrilico70x802009

Fontana Pasciuti

Page 10: Personale di St.Art

10

rispondono.

Profumi freschi come la carne d'un bambino,dolci come l'oboe, verde come i prati- e altri d'una corrotta, trionfante ricchezza,

con tutta l'espansione delle cose infinite:l'ambra e il muschio, l'incenso e il benzoino,che cantano i trasporti della mente e dei sensi.

(Charles Baudelaire)

È un componimento, questo, che sembra essere tagliato su misura per l'opera di Miza, a cominciare dal primo verso. Anche per la nostra Artista, infatti, la Natura è un tempio dai cui pilastri promanano cromat ismi sonori , “parole colorate”, per dirla in terminologia sinestetica, ed anche le “foreste di simboli” tra le quali muove il suo pennello hanno un qualcosa di familiare, perché parte del patrimo-nio gnoseologico, sapienziale, non già della mente individuale, ma, secondo la nota espressione del De Sanctis, dell'intelletto latente collettivo, sì da creare un transfert quasi immediato nell'osservatore che anche per un attimo lasci scivolare lo sguardo su una tela raffigurante un paesaggio naturale. Ciò non vuol dire, però, che ella si limiti ad una mera “imitatio naturae”: di contro nell'opera di Miza “La natura è dentro l'arte come suo contenuto, non al di fuori come suo modello”, per dirla con le parole del celeberrimo critico letterario e artistico, tra i maggiori

del ventesimo secolo, Northrop Frye. Una natura cromaticamente sonora, dunque, quella di Miza, ma sulla scorta di un pentagramma intrapsichico proiettato nel “reale” del campo cromatico, che detta i suoi ritmi e dirige l'orchestra, fino alla creazione di un'armonia complessiva nel cui ambito “i profumi, i colori e i suoni si rispon-dono” e pertanto corrispondono. A questo punto si impone una domanda cui necessariamente deve seguire una risposta che, nei fatti, è un'altra domanda.Ella è veramente interessata a decriptare il linguaggio naturale, che è sinestetico, onde pervenire allo svelamento della realtà che si cela dietro l'apparenza illusoria? O non è piuttosto impegnata a creare ella stessa, con operazione demiurgica, una realtà diversa per il tramite dell'invenzione di un diverso linguaggio?La seconda delle ipotesi ha cittadi-nanza maggiore, a mia valutazione, nell'opera di Miza. Come disse giustamente Paul Klee, “L'arte non riproduce il visibile; piuttosto, crea il visibile”. La sua creatività, infatti, non sembra essere asservita ad alcuna esigenza epistemologica, ma si muove libera dai ceppi ai quali le categorie del giudizio avvincono l'essere umano, sì da superare in volo catartico i limiti imposti alla specie umana dalla genetica: nelle tele di Miza ciò che appare impossibile alla mente razionale diviene logico, oltre che l e g i t t i m o , p e r c h é f r u t t o dell'esperienza dello spirito, che non conosce barriere di alcun tipo, che non è vincolato né allo spazio, né al tempo, né alla stessa logica. In tal modo ella è in grado di superare il dualismo del pensiero umano, che si

fonda sulle dicotomie, sugli opposti: Miza può ritrarre situazio-ni o sensazioni normalmente considerate “brutte” rendendole “belle”, in omaggio alla ricerca di una bellezza ideale, platonica, oggettiva, che non abita, a mio giudizio, nell'antro della chimera, ma nella sensibilità di ogni artista che si rispetti. In arte, infatti, non è bello ciò che piace, ma è bello ciò che è bello. Ed il suo modus operandi, per raggiungere un tale risultato, somiglia straordinaria-mente ad un procedimento alchemico. Come è noto, l'alchimia era finalizzata soprattutto alla trasmutazione dei metalli comuni in oro, oltre che alla ricerca di una panacea universale che prolungasse la vita all'infinito e alla conquista dell'onniscienza. Quello che ella compie è dunque un tentativo di “ t r a smutaz ione” c romat i c a finalizzato a rendere aurea una lingua pittorica che potrebbe facilmente scivolare nella più grigia banalità. Proprio in tale anelito si sostanzia il travaglio dell'Artista, una tensione vibrante e continua che è parte del processo creativo di Miza, e che immancabilmente si trasmette nelle vibrazioni cromati-che che movimentano i suoi quadri: in questa ottica, ogni tela, ogni grafica, ogni opera è in realtà un autoritratto, l 'autoritratto di un'anima proiettata oltre i limiti della materia.Michele Miscia

A destra:

acrilico70x802009

La scimmia Eschilo

Page 11: Personale di St.Art

10

rispondono.

Profumi freschi come la carne d'un bambino,dolci come l'oboe, verde come i prati- e altri d'una corrotta, trionfante ricchezza,

con tutta l'espansione delle cose infinite:l'ambra e il muschio, l'incenso e il benzoino,che cantano i trasporti della mente e dei sensi.

(Charles Baudelaire)

È un componimento, questo, che sembra essere tagliato su misura per l'opera di Miza, a cominciare dal primo verso. Anche per la nostra Artista, infatti, la Natura è un tempio dai cui pilastri promanano cromat ismi sonori , “parole colorate”, per dirla in terminologia sinestetica, ed anche le “foreste di simboli” tra le quali muove il suo pennello hanno un qualcosa di familiare, perché parte del patrimo-nio gnoseologico, sapienziale, non già della mente individuale, ma, secondo la nota espressione del De Sanctis, dell'intelletto latente collettivo, sì da creare un transfert quasi immediato nell'osservatore che anche per un attimo lasci scivolare lo sguardo su una tela raffigurante un paesaggio naturale. Ciò non vuol dire, però, che ella si limiti ad una mera “imitatio naturae”: di contro nell'opera di Miza “La natura è dentro l'arte come suo contenuto, non al di fuori come suo modello”, per dirla con le parole del celeberrimo critico letterario e artistico, tra i maggiori

del ventesimo secolo, Northrop Frye. Una natura cromaticamente sonora, dunque, quella di Miza, ma sulla scorta di un pentagramma intrapsichico proiettato nel “reale” del campo cromatico, che detta i suoi ritmi e dirige l'orchestra, fino alla creazione di un'armonia complessiva nel cui ambito “i profumi, i colori e i suoni si rispon-dono” e pertanto corrispondono. A questo punto si impone una domanda cui necessariamente deve seguire una risposta che, nei fatti, è un'altra domanda.Ella è veramente interessata a decriptare il linguaggio naturale, che è sinestetico, onde pervenire allo svelamento della realtà che si cela dietro l'apparenza illusoria? O non è piuttosto impegnata a creare ella stessa, con operazione demiurgica, una realtà diversa per il tramite dell'invenzione di un diverso linguaggio?La seconda delle ipotesi ha cittadi-nanza maggiore, a mia valutazione, nell'opera di Miza. Come disse giustamente Paul Klee, “L'arte non riproduce il visibile; piuttosto, crea il visibile”. La sua creatività, infatti, non sembra essere asservita ad alcuna esigenza epistemologica, ma si muove libera dai ceppi ai quali le categorie del giudizio avvincono l'essere umano, sì da superare in volo catartico i limiti imposti alla specie umana dalla genetica: nelle tele di Miza ciò che appare impossibile alla mente razionale diviene logico, oltre che l e g i t t i m o , p e r c h é f r u t t o dell'esperienza dello spirito, che non conosce barriere di alcun tipo, che non è vincolato né allo spazio, né al tempo, né alla stessa logica. In tal modo ella è in grado di superare il dualismo del pensiero umano, che si

fonda sulle dicotomie, sugli opposti: Miza può ritrarre situazio-ni o sensazioni normalmente considerate “brutte” rendendole “belle”, in omaggio alla ricerca di una bellezza ideale, platonica, oggettiva, che non abita, a mio giudizio, nell'antro della chimera, ma nella sensibilità di ogni artista che si rispetti. In arte, infatti, non è bello ciò che piace, ma è bello ciò che è bello. Ed il suo modus operandi, per raggiungere un tale risultato, somiglia straordinaria-mente ad un procedimento alchemico. Come è noto, l'alchimia era finalizzata soprattutto alla trasmutazione dei metalli comuni in oro, oltre che alla ricerca di una panacea universale che prolungasse la vita all'infinito e alla conquista dell'onniscienza. Quello che ella compie è dunque un tentativo di “ t r a smutaz ione” c romat i c a finalizzato a rendere aurea una lingua pittorica che potrebbe facilmente scivolare nella più grigia banalità. Proprio in tale anelito si sostanzia il travaglio dell'Artista, una tensione vibrante e continua che è parte del processo creativo di Miza, e che immancabilmente si trasmette nelle vibrazioni cromati-che che movimentano i suoi quadri: in questa ottica, ogni tela, ogni grafica, ogni opera è in realtà un autoritratto, l 'autoritratto di un'anima proiettata oltre i limiti della materia.Michele Miscia

A destra:

acrilico70x802009

La scimmia Eschilo

Page 12: Personale di St.Art

12 13

tecnica mista34x472009

Torre

Page 13: Personale di St.Art

12 13

tecnica mista34x472009

Torre

Page 14: Personale di St.Art

Nata tra i monti dell'Alta Irpinia, a Lacedonia, Michela Di Conza, in arte “Miza”, si è dedicata alla pittura sul finire degli anni sessanta. nel corso dei decenni la sua Arte ha conquistato fior di riconoscimenti in mostre e rassegne di arti figurative nazionali e internazionali. Molte delle sue opere, specialmente quelle che hanno maggiormente segnato lo spartiacque dei suoi innume-revoli “periodi” artistici fanno oggi parte tanto delle collezioni private quanto di quelle appartenenti ad Enti pubblici. Lo splendido trittico sacro dal titolo “La Passione” è nella Cappella delle Suore Francescane Immacolatine di San Giovanni Rotondo, mentre la sua composizione denominata danza è stata acquisita dalla Pinacoteca di Assisi, tanto per citare solo un paio di esempi.Tra l'ingente numero delle sue mostre personali e collettive vanno ricordate, in ordine cronologico:

1972: Biennale Internazionale di Arte Sacra “San Pio”, a San Giovanni Rotondo.1979: Personale, presso la “Galleria Dei Dieci” in Roma.1979: Premiata al concorso “Omaggio a Leonardo da Vinci” a Pistoia.1980: Personale, Galleria “Le Logge” di Assisi.1983: Personale: Villa Comunale di Foggia.

Espone abitualmente in Francia e occasionalmente in altri Paesi europei.

14biografia Sotto:

Miza all’opera

A destra:

acrilico80x1001987

acrilico45x551980

Lacedonia

Donne d’Islam

Page 15: Personale di St.Art

Nata tra i monti dell'Alta Irpinia, a Lacedonia, Michela Di Conza, in arte “Miza”, si è dedicata alla pittura sul finire degli anni sessanta. nel corso dei decenni la sua Arte ha conquistato fior di riconoscimenti in mostre e rassegne di arti figurative nazionali e internazionali. Molte delle sue opere, specialmente quelle che hanno maggiormente segnato lo spartiacque dei suoi innume-revoli “periodi” artistici fanno oggi parte tanto delle collezioni private quanto di quelle appartenenti ad Enti pubblici. Lo splendido trittico sacro dal titolo “La Passione” è nella Cappella delle Suore Francescane Immacolatine di San Giovanni Rotondo, mentre la sua composizione denominata danza è stata acquisita dalla Pinacoteca di Assisi, tanto per citare solo un paio di esempi.Tra l'ingente numero delle sue mostre personali e collettive vanno ricordate, in ordine cronologico:

1972: Biennale Internazionale di Arte Sacra “San Pio”, a San Giovanni Rotondo.1979: Personale, presso la “Galleria Dei Dieci” in Roma.1979: Premiata al concorso “Omaggio a Leonardo da Vinci” a Pistoia.1980: Personale, Galleria “Le Logge” di Assisi.1983: Personale: Villa Comunale di Foggia.

Espone abitualmente in Francia e occasionalmente in altri Paesi europei.

14biografia Sotto:

Miza all’opera

A destra:

acrilico80x1001987

acrilico45x551980

Lacedonia

Donne d’Islam

Page 16: Personale di St.Art

LE PERSONALI DI ST ART ANNO I - N° 1•


Recommended