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PROGETTO DI PREVENZIONE DEL SUICIDIO NELL’ADOLESCENZA
-Una Riflessione Psicoanalitica-
Dott. Andrea Feltri Criminologo Clinico - Criminalista D.ssa Anna PopeoPsicologa - Psicoterapeuta
Introduzione
Secondo il Dictionary of psychological
medicine di Tuke, il termine suicidium
compare in Occidente solo al termine del
XVII secolo grazie all'Abate Des Fontaine,
ed indica "l'atto con cui l'uomo dispone
definitivamente di se stesso".
Stenghel scrive che: "In un qualche
momento del percorso dell'evoluzione,
l’uomo deve aver scoperto di poter uccidere
non solo gli animali ed i suoi simili, ma
anche se stesso. Si può presumere che da
quel momento la vita per lui non sia stata
più la stessa".
Il suicidio è un fenomeno presente in
tutte le aree geografiche, in tutte le epoche
ed in tutte le culture, con radici e significati
diversi nei diversi popoli, nelle diverse
culture, nelle diverse filosofie.
Il suicidio è un fenomeno estremamente
complesso e non può essere concepito come
un fenomeno unitario e univoco. Di unitario e
di univoco c’è solo il fatto che una persona
pone, o cerca di porre fine, alla propria vita
mediante un attacco diretto all’integrità del
proprio corpo.
Tale attacco al corpo è l’ultimo anello di
una catena, la conclusione di un lungo
processo psichico che ha differenti livelli di
consapevolezza. E’caratterizzato da differenti
strutture ed è motivato da una grande varietà
di impulsi, angosce, desideri, fantasie, stati
affettivi.
Nessun suicidio è uguale a un altro
come del resto nessuna persona e nessuna vita
è uguale a un’altra, e può essere considerata
l’azione più personale che un individuo può
compiere, come una sfida al mondo che lo
circonda.
Ricerche internazionali proposte
dall’OMS segnalano che, negli ultimi anni in
quasi tutti i paesi occidentali, le condotte
suicidarie in età adolescenziale si stanno
diffondendo sempre più e stanno diventando
un fenomeno di cui è necessario capire il
significato in quanto hanno raggiunto livelli
tali da poter considerare questa fascia di età
a rischio maggiore in almeno un terzo delle
nazioni.
Suicido e tentato suicidio possono
essere considerati come indicatori delle
difficoltà che la nostra società sta
attraversando, come misura del cambiamento
sociale e della qualità della vita individuale e
di relazione.
Sono l’espressione di un’anomalia
comportamentale, di una vulnerabilità
caratteriale. L’espressione di un disagio, di
un sentimento di inadeguatezza rispetto
all’ambiente in cui si vive, di una difficoltà
di comunicazione con gli altri. Ma sono
anche segnali di cosa potrà essere il nostro
futuro, in quanto il disagio può essere utile
se stimola a trovare una nuova modalità di
soluzione dei problemi, ma non lo è se
determina paura ed insicurezza.
Per questi motivi il suicidio, soprattutto
quello adolescenziale, fa paura ed è difficile
ammettere che non si è in grado di offrire ai
ragazzi un ambiente che li faccia sentire
sicuri e protetti.
Comunque mai come oggi, il confine
tra il concetto di vita ed il concetto di morte
è stato tanto confuso, non perché si è perso il
senso della vita, quanto perché la nostra
esistenza non è più qualcosa di effimero ed
improbabile. L’obiettivo dell’industria e
della tecnologia è quello di rinnovare il Mito
dell’Immortalità.
La vita si è allungata in modo
innaturale e la morte viene negata anziché
vista come un evento proprio della vita.
Augurarsi di vivere cent’anni non è più un
atto di fede ma appartiene alla probabilità
statistica. Il timore, oggi, non è più quello di
una morte prematura quanto la prospettiva di
una vita protratta fra malattie, invalidità,
vuoti affettivi, solitudine.
La cultura della morte legata al destino
e determinata dalla volontà divina, è
progressivamente scomparsa per lasciare
posto a quella decisa e controllata dalle
conoscenze scientifiche.
La medicina, se da un lato è stata in
grado di sconfiggere molte cause di
sofferenza e di infermità, dall’altro non è
riuscita a dare un nuovo senso alla vita, né a
renderla più felice e soddisfacente. Il
profondo vuoto lasciato dalla scienza ha
fatto crescere il bisogno di ridare senso alla
vita che ha perso curiosità e capacità di
ascolto. Tutto questo spinge sempre più
persone a ricercare l’aiuto di ciarlatani,
maghi, medium, cartomanti. C’è sempre più
bisogno di riappropriarsi del significato del
proprio destino e questo significa
riappropriarsi del significato della morte
ritrovando il senso della propria vita.
Un altro aspetto del progresso umano,
che ha fatto perdere al concetto di morte il
suo significato, sono le informazioni che ci
arrivano dai mass media. Si calcola che per
ogni ora di trasmissione televisiva vengano
trasmesse due o tre morti provocate. Il suo
carattere ripetitivo rende la morte sempre più
spettacolare e sempre meno reale.
La morte – spettacolo è lontana
dall’agonia e dal dolore del trapasso lento e
sofferto, è transitoria ( un attore morto in una
storia, si ripresenta vivo in un’altra storia) e
non veritiera, tutto questo la svuota di
significato.
I ragazzi di oggi si costruiscono un
significato della morte e della vita dove il
limite fra fantasia e realtà è sempre più
confuso. E’ inutile quindi chiedersi per quale
motivo non danno importanza alla vita, e
arrivino in casi estremi ad uccidere o
uccidersi.
E’ attraverso l’elaborazione della morte
di una persona importante affettivamente che
si percepisce la realtà della propria morte. E’
attraverso la percezione e l’elaborazione dei
sentimenti di angoscia e di separazione, del
dolore e della nostalgia che il concetto di
morte diventa reale. Al suicidio mancano i
significati attribuiti alla morte e quanto più
questa sarà considerata in modo superficiale,
tanto più alto sarà il rischio di uccidersi.
Inoltre la società pone il successo ed il
confronto con gli altri come obiettivi
fondamentali per dimostrare il proprio
valore, ma spesso questo determina
sensazioni di fallimento e di incapacità, che
possono portare un ragazzo a mettere in atto
comportamenti suicidari.
Comunque i motivi che possono indurre un
ragazzo a suicidarsi sono molteplici e diversi,
e sono collegati alla cultura, alle epoche
storiche, ed alle caratteristiche proprie
dell’adolescenza.
Il suicidio nell’adolescenzaConsiderazioni generali
E’ importante ricordare che
l’adolescenza è una fase molto delicata dello
sviluppo psicofisico, e le profonde
trasformazioni sociali, avvenute in
quest’ultimo periodo, non aiutano i ragazzi
ad affrontare le situazioni di crisi proprie di
questa fase della loro vita. L’adolescente si
trova oggi, più che in passato, a dover
affrontare le difficoltà della vita senza l’aiuto
di una rete di supporto che un tempo era data
dalla famiglia.
Le ricerche svolte in questo senso
hanno evidenziato due fattori principali che
possono determinare le condotte suicidarie:
La profonda trasformazione che
sta vivendo l’istituzione familiare. Il
numero dei suoi componenti è
enormemente diminuito.
Le separazioni sono notevolmente
aumentate e la probabilità di nascere in
una famiglia con un solo genitore è
tutt’altro che rara.
E’ venuto meno un fattore
fondamentale per il sostegno sociale ed
affettivo dell’adolescente e questo si
riflette negativamente sull’equilibrio
psicologico dell’adolescente.
Il cambiamento del grado di
accettazione dell’idea di suicidio. Vi è
tra i giovani la perdita progressiva del
significato dei valori esistenziali, come si
vede da quello che quotidianamente si
legge sui giornali: i decessi per overdose
di eroina, le sfide in contromano in
autostrada, il duello fra motociclisti, il
gioco di sollevarsi dai binari appena
prima del passaggio del treno. Anche se
nessuno di questi tragici riti è
assimilabile al suicidio (in questi casi
non si vuole morire ma solo sfidare la
morte) non vi è dubbio che ognuno di
questi comportamenti può essere letto
come un messaggio di autodistruttività
che è sinonimo di accettazione della
cultura della morte.
L’attuale crisi esistenziale dei giovani
ha a che vedere anche con il problema
dell’identità.
Aspetti fondamentali dell’adolescenza
La definizione della propria identità è
uno dei conflitti più importanti
dell’adolescenza. Per l’adulto la crisi di
identità è determinata soprattutto
dall’angoscia di perdere ciò che si è stati o si
è, per l’adolescente la frattura è fra il non
sapere chi è e la paura di ciò che potrà
essere. I messaggi passati dai media
(pubblicità, fiction, ecc.) aumentano la
frattura fra quello che un adolescente
vorrebbe fare da adulto e quello che ritiene
di poter fare in realtà, tale discordanza
rappresenta un fattore ad alto rischio di
instabilità emotiva.
Qualcuno può riempire il vuoto
determinato dall’angoscia di crescere con
surrogati esistenziali che possono
determinare una precoce stanchezza di
vivere ed in questa realtà le pratiche e le idee
di morte aumentano di significato.
Per capire, interpretare ed affrontare le
condotte suicidarie nell’adolescente è
necessario tenere conto delle curiosità
infantili riguardo alla morte. Molto spesso i
bambini manifestano una spiccata curiosità
nei confronti della morte e le loro domande
riguardano aspetti molto concreti e non
necessariamente angoscianti. Queste
curiosità riflettono il crescente interesse che
il bambino ha verso se stesso.
Il processo di elaborazione cognitivo-
affettivo dell’idea di morte si evolve durante
tutto l’arco dell’esistenza ed è determinato
sia da avvenimenti esterni che da modifiche
del nostro mondo interno. All’inizio l’idea
della morte è del tutto estranea all’essere
umano. I primi sentimenti che la persona
vive sono angosce di annullamento, di
frammentazione, di dispersione nel vuoto,
l’idea della morte si forma poco alla volta ed
il più delle volte in modo inconscio. Questo
processo di apprendimento è messo in moto
dalla constatazione della morte di altre
persone e rimane per molto tempo un evento
che riguarda solo gli altri. La percezione di
eventi e fatti che modificano il mondo
interno ed i cambiamenti relativi al proprio
corpo rendono possibile l’integrazione
dell’idea della morte.
La prima esperienza che il bambino fa
della morte è nel primo anno di vita, in
coincidenza con l’esperienza di separazione
dalla madre quando associa l’assenza alla
non-esistenza. Se la persona è assente è
come se non esistesse, il primo concetto di
morte coincide quindi con il concetto di
assenza, di separazione.
Il bambino però scopre anche di poter
controllare questo avvenimento: se è vero
che la madre sparisce è altrettanto vero che
lui può farla tornare mettendo in atto dei
comportamenti “ricattatori” ed annullare così
l’angoscia per la perdita. In questo stadio
dello sviluppo il concetto di morte, legato
all’idea assenza-separazione, è dunque un
concetto reversibile.
Un primo cambiamento nel concetto di
morte si ha tra i due ed i quattro anni quando
il bambino comincia ad aver paura della
morte vissuta come qualcosa di simile alla
perdita degli oggetti che lo circondano, o
legata ad un evento atmosferico, al buio o in
rapporto ad un sentimento di frustrazione o
di rabbia.
Fantasie di morte possono essere
rivolte a persone a cui si è legati da un forte
sentimento affettivo ma che determinano
anche sentimenti di aggressività; ci si può
sentire in pericolo, e quindi aver paura di
morire, per mano di soggetti fantastici come
la strega delle fiabe; il mostro dei cartoni. Il
concetto di morte è, in questo periodo,
ancora legato ad una visione magica e
misteriosa.
Dopo i nove anni il concetto di morte
perde la sua connotazione magica e
transitoria per diventare un evento definitivo,
universale e irreversibile. E’ un evento
uguale per tutti, è causa della cessazione
della vita biologica è può essere attribuita ad
una persona diversa da sé. Evidentemente
non in tutti i bambini che hanno superato i
nove anni il concetto di morte subisce questa
trasformazione, lo sviluppo del concetto di
morte è determinato, oltre che dall’età, anche
dallo sviluppo emotivo e cognitivo.
E’ solo nella prima fase
dell’adolescenza che l’idea di morte inizia a
comprendere anche i primi desideri di morte
riferiti a se stessi. Desideri che vengono visti
come la possibile soluzione di un conflitto,
di un malessere. Tali fantasie possono
concretizzarsi in atto nella seconda fase
dell’adolescenza quando si sviluppa la
capacità di programmazione mentale, di
previsione e controllo delle variabili
ambientali, di scelta delle soluzioni più
adeguate al proprio problema.
Da quanto detto risulta evidente che
l’adolescenza è un periodo molto delicato
per i ragazzi. In questo periodo della vita
devono dimostrare di essere capace di
affrontare e risolvere i problemi senza l’aiuto
della famiglia, ma contemporaneamente
devono far fronte alle difficoltà della
definizione della propria identità e
autonomia. Le crisi e le difficoltà, proprie di
questo periodo, possono avere ripercussioni
sulla formazione della personalità,
determinare sfiducia nelle proprie capacità,
una visione negativa e pessimistica delle
relazioni sociali, perdita di aspettative verso
il futuro. Tutti elementi che possono
costituire una premessa alla formazione di
un proponimento suicidarlo, e che hanno
portato ad elaborare diverse teorie per
individuarne le reali o probabili cause.
L'approccio sociologico
Le indagini sociologiche ci spiegano le
cause sociali del fenomeno suicidario, ci
aiutano a capire alcuni importanti aspetti
epidemiologici.
L’epidemologia del suicidio riveste
una grande importanza per la comprensione
dell’andamento di questo fenomeno ed è un
indice importante delle condizioni e del
futuro di una collettività, una spia importante
delle sue condizioni anche se non è corretto
pensare che un’elevata percentuale di suicidi
indichi una generica disfunzione di quella
collettività.
La teoria sociologica più nota ed
importante sull’interpretazione del suicidio è
quella formulata da Durkheim.
Con Durkheim il suicidio cambia la
propria area di appartenenza. Esce dalla sfera
della religione e della morale per entrare in
quella delle scienze sociali, per passare poi
nell’ambito delle discipline psicologiche e
psichiatriche.
Emile Durkheim afferma che la
condotta suicidaria è influenzata e
determinata da fattori esterni alla persona e
legati alle dinamiche intersoggettive tipiche
delle relazioni umane nell’ambiente
familiare, lavorativo e sociale, e classifica le
condotte sucidarie in quattro tipologie:
Suicidio egoistico, caratteristico di
chi ha perso qualsiasi legame con la
società ed il senso della propria vita.
La persona non è integrata in maniera
adeguata nella società , è costretta a
fare affidamento solo sulle proprie
risorse e sente di non poter più
contare sull’aiuto e la considerazione
degli altri, il suicidio, in questo caso,
assume il significato di liberazione
dalla costrizione di vivere;
Suicidio altruistico, si ha quando una
persona è talmente integrata nel
proprio gruppo da identificarsi
completamente con esso e con i suoi
valori che diventano la parte centrale
del suo Sé;
Suicidio fatalistico, caratteristico di
chi crede che sia l’unica soluzione ad
una reale situazione problematica;
Suicidio anomico, compiuto da chi
non si sente in grado di affrontare
una crisi determinata da
un’alterazione dell’ordine sociale; la
persona si sente estranea alla propria
collettività e sovrastato da un senso
di smarrimento perché il mondo
abituale è scomparso o gli si presenta
vuoto di senso. Questo rischio si
verifica nelle società le cui
rapidissime trasformazioni sono
difficili da metabolizzare.
Al concetto di variabili esterne di
Durhkeim, altri studiosi hanno aggiunto
l’importanza dei vissuti interni emotivi del
suicida e l’importanza del concetto di
integrazione sociale del gruppo come fattore
protettivo rispetto al suicidio. Al contrario la
stigmatizzazione sociale può essere un
fattore scatenante di alcuni comportamenti
autolesionistici compiuti nell’ambito di
piccoli gruppi con un forte controllo sociale
interno.
Ronald Maris, uno dei più innovativi
teorici dell’approccio sociologico, ha
ipotizzato la necessità di studiare la carriera
di vita del suicida per comprendere meglio
tale fenomeno. Secondo Maris, l’approccio
sociologico non può bastare ma diventa
necessario utilizzare strumenti propri della
psicologia clinica e dell’analisi psicosociale.
L’approccio sociologico ci spiega le
cause sociali del fenomeno suicidario ma
non è in grado di vedere il lungo e silenzioso
processo interno che porta al suicidio.
Quindi secondo tale ottica il suicidio viene
interpretato come un atto, un agito, voluto
dal soggetto, ha come obiettivo
l’autoeliminazione e deriverebbe da una
causa esterna.
L'approccio psicologico
La teoria psicoanalitica
Nella teoria psicoanalitica il suicidio
viene descritto come un comportamento che
fa parte di una sindrome, viene cioè
associato ad un quadro patologico. Da questo
consegue che all’atto vengano associate la
comunicazione di un’idea o di un intento,
uno stato affettivo, un’alterazione della
coscienza, alcune caratteristiche di
personalità, disturbi dell’umore quali la
depressione.
E’ stato Freud che per primo ha
associato il suicidio a casi di depressione.
Per Freud, la depressione è
“caratterizzata da un profondo scoramento,
da un venir meno dell’interesse per il mondo
esterno, dalla perdita della capacità di
amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi
attività e da un avvilimento del sentimento di
sé che si esprime in autorimproveri e
autoingiurie e culmina nell’attesa delirante
di una punizione”.
Freud sostiene che essendo stato
introiettato l’oggetto d’amore che si teme di
aver perso è più facile indirizzare la propria
aggressività verso questa parte interiorizzata
che rivolgerla all’esterno. L’autodistruttività
permette così di distruggere, uccidendo
fantasmaticamente la parte incorporata in sé,
la persona amata colpevole dell’ abbandono.
L’identificazione con l’oggetto che
porta al suicidio è possibile solo quando si
instaurano relazioni affettive ambivalenti tra
soggetto ed oggetto, ossia quando sono
contemporaneamente presenti sentimenti di
amore e di distruzione. L’ambivalenza è
strettamente collegata ai sensi di colpa per
l’aggressività ed il senso di colpa determina,
secondo il punto di vista psicoanalitico, uno
spostamento nella relazione dell’aggressività
dall’oggetto al soggetto, cioè contro l’Io.
Karl Menninger ipotizza tre
componenti che possono interagire e
sovrapporsi nel determinare il gesto suicida:
il desiderio di uccidere, il desiderio di essere
ucciso, il desiderio di morire. Secondo
Menninger:
Il desiderio di uccidere rappresenta
la vera espressione dell'istinto di
morte, confermando così l'ipotesi di
Freud di una pulsione di morte in
qualche modo innata
Il desiderio di essere uccisi dipende
da un bisogno che ha origine nel
Super-Io con funzione punitiva nei
confronti delle pulsioni istintuali
Il desiderio di morire simbolizza il
desiderio di tornare ad uno stato di
non coscienza.
Il suicidio assume, agli occhi del
suicida, un significato magico. Come al
bambino, così anche al suicida manca un
adeguato esame della realtà e si illude di
tornare a vivere dopo la morte.
L’accurata progettazione che i suicidi
fanno della scena del suicidio, rappresenta la
soddisfazione che precede, accompagna e
segue il soggetto.
Spesso la scelta di morire nasconde
fantasie di gratificazioni e la totale
incapacità di valutare le conseguenze del suo
gesto, tanto da credere nella possibilità di
sperimentare, dopo morto, il piacere di
quanto ha fatto e soprattutto dell'effetto che
avrà sugli altri.
Hendin ha studiato e catalogato vari
tipi di suicidio partendo dall'ipotesi che
l'analisi delle dinamiche intrapsichiche dei
pazienti che si uccidono debba essere portata
avanti parallelamente al modo in cui si
uccidono. "La scelta dei mezzi spesso dice
più dell'organizzazione e dell'integrazione
della personalità del paziente che non la più
accurata analisi". Osservando i diversi
tentativi di suicidio messi in atto dai suoi
pazienti, Hendin catologò varie forme di
suicidio:
il suicidio come rappresaglia o
rivincita: determinato da un
abbandono, reale o immaginario, e
dalla convinzione delirante di riuscire
a controllare la situazione attraverso
il controllo della propria morte.
Questa è una modalità tipicamente
infantile di concepire la morte come
una punizione che si infligge ad un
oggetto d'amore per farlo soffrire;
il suicidio come assassinio riflesso:
il suicidio come ricongiunzione: è
causato da un abbandono o da un
lutto, ed è caraterizzato dall’idea
magica di riunirsi, nello spirito, con
la persona persa, e questo può
avvenire solo con la distruzione del
corpo;
il suicidio come rinascita: simile al
precedente, ipotizza il superamento
della difficoltà di unione con
l'oggetto attraverso la rinascita in un
altro corpo;
il suicidio come autopunizione: è
causato, in soggetti di sesso maschile
che presentano una struttura di
personalità rigida e paranoide, da
fallimenti professionali; e dalla
percezione dell'incapacità di amare i
propri figli, in soggetti di sesso
femminile. In entrambi i casi è la
conseguenza della lotta tra l'ideale
dell'Io rigido e la percezione di una
realtà frustrante e insoddisfacente;
il suicidio in persone che si ritengono
morti emotivamente: ha lo scopo di
liberare la persona da uno stato di
sofferenza insopportabile.
Hendin mette in evidenza che l'ipotesi
freudiana del suicidio quale manifestazione
del rivolgersi dell'aggressività contro l'Io non
spiega i casi in cui si evidenziano fantasie di
ricongiungimento o di controllo della propria
esistenza attraverso il controllo della propria
morte, o in quei casi in cui la depressione
non è presente.
Un contributo significativo allo studio
psicoanalitico del suicidio si deve al lavoro
di Melanie Klein ed alla teoria delle
relazioni oggettuali.
La teoria delle relazioni oggettuali
sostiene, in contrapposizione alla teoria
freudiana, che le pulsioni si esprimono
attraverso il corpo e all’interno di una
relazione affettiva: la relazione madre-figlio.
Questa relazione viene interiorizzata dal
bambino ed è vissuta come un’esperienza
positiva quando la figura materna soddisfa i
suoi bisogni; è vissuta, invece, come
negativa quando sente che la figura materna
non soddisfa i suoi bisogni.
Le esperienze positive sono associate a
sentimenti di piacere e soddisfazioni e fanno
sentire il bambino buono. Le esperienze
negative sono associate a sentimenti di
rabbia e paura di abbandono e fanno sentire
il bambino cattivo.
I sentimenti negativi e positivi
caratterizzano tutte le relazioni del bambino,
per cui gli oggetti con cui entra in contatto
sono “buoni” quando li possiede e
corrispondono ai suoi desideri e bisogni,
sono “cattivi” quando gli vengono a mancare
e quindi, di conseguenza, non soddisfano i
suoi bisogni. Inoltre, poiché proietta sugli
oggetti “cattivi” la propria aggressività, il
bambino finisce per viverli come pericolosi,
teme che lo possano divorare, svuotare il suo
corpo, avvelenarlo.
Partendo da questa base teorica,
Melanie Klein modifica il concetto freudiano
secondo cui il suicidio rappresenta
l’uccisione di un oggetto introiettato ed
afferma che.“ In certi casi il fine delle
fantasie che sottendono il suicidio è la
salvaguardia degli oggetti buoni
interiorizzati e di quella parte dell’Io che si
identifica con tali oggetti buoni, mediante la
distruzione dell’altra parte dell’Io che si
identifica con gli oggetti cattivi.”
Un altro importante contributo alla
riflessione sul suicidio è dato da J.Bowlby e
dalle sue riflessioni sull’attaccamento.
L’attaccamento, afferma Bowlby, è il
tono emozionale che si stabilisce fra il
bambino e chi si occupa di lui.
Fin dal primo mese di vita il bambino
sviluppa un comportamento di attaccamento,
caratterizzato dalla continua ricerca di quella
figura.
Bowlby ipotizza che un corretto
processo di attaccamento nell’età infantile è
di fondamentale importanza per lo sviluppo
della capacità di stabilire relazioni
interpersonali mature e soddisfacenti nell’età
adulta. Il modo in cui i legami tra genitori e
figli si sviluppano e si organizzano
nell’infanzia e nell’adolescenza, determina
se un individuo crescerà mentalmente sano.
La psicopatologia dei bambini è,
secondo Bowlby, la risposta al distacco
brusco dei genitori o di altre figure di
attaccamento, mentre un certo grado di ansia
o sensazioni di insicurezza sono conseguenti
ad una carenza affettiva.
Un corretto processo di attaccamento si
realizza quando vi è un rapporto caldo,
intimo e continuo con la madre o con la
figura o le figure che si prendono cura del
bambino.
I comportamenti di attaccamento sono
presenti nel corso di tutta la nostra vita e si
stabiliscono nelle varie età con figure diverse
da quelle genitoriali, quali i fratelli maggiori,
gli insegnanti, gli allenatori sportivi, gli
amici. La qualità di queste relazioni può
svolgere un ruolo importante permettendo
un’esperienza correttiva emozionale nel caso
in cui il primo attaccamento non fosse stato
completamente positivo.
Un attaccamento sicuro determina, in
età adulta, una sensazione di stabilità
emozionale e di essere in grado di poter dare
qualcosa agli altri.
Un attaccamento insicuro determina,
invece, scarsa autostima, relazioni incerte e
precarie, vulnerabilità emotiva allo stress,
ansia di separazione, paura di essere
abbandonati.
Chi non ha sviluppato valide relazioni
di attaccamento in età infantile, tende,
nell’età adulta, ad una forma di isolamento
sociale che costituisce un fattore scatenante
per il comportamento suicidario.
L’isolamento sociale aumenta la bassa
tolleranza agli stressori psicosociali
determinata dalla discontinuità o dalla
carenza delle cure genitoriali.
Queste componenti costituiscono, per
Bowlby, le basi dell’ideazione suicidaria, ed
il tentativo di suicidio un attaccamento
attivo, il cui obiettivo è quello di segnalare,
alle figure di riferimento, la volontà di
punirli per il loro atteggiamento vissuto
come rifiutante.
La teoria sistemico - relazionale
Nell’ottica sistemico-relazionale, il
comportamento suicidario è visto come il
mezzo di risoluzione di un conflitto a
carattere familiare. Il verificarsi di un evento
che sovverte gli equilibri precedenti.
Il comportamento suicidario può
essere letto o come il tentativo di
movimentare i rapporti familiari percepiti
rigidi e chiusi e quindi tende a rompere
l’omeostasi del sistema; o come espressione
del tentativo di mantenere l’omeostasi di
fronte ad un evento percepito come
pericoloso.
La contemporanea presenza di
entrambe le tendenze, insieme al verificarsi
di una crisi nel sistema e all’incapacità
dell’ambiente sociale e familiare a far fronte
a tale situazione, sono le condizioni che
determinano il comportamento suicidario.
La teoria sistemico - relazionale vede il
suicidio come “una comunicazione senza
comunicazione” ed attribuisce a tale gesto
tre funzioni:
Una funzione omeostatica: il
suicidio o il tentato suicidio di un
membro della famiglia si oppone ad
un cambiamento del ciclo vitale
(matrimoni, nascita di figli, crescita
dei figli, fase centrale del
matrimonio, pensionamento, morte di
un membro della famiglia). I rapporti
in queste famiglie sono simbiotici e
caratterizzati da una forte rigidità che
produce angoscia di fronte ai
cambiamenti; M.Erickson (12),
Richman e Rosenbaum
Una richiesta di aiuto: in questo
caso è il cambiamento individuale
che viene vissuto dalla famiglia come
una sorta di tradimento e viene
impedito dalla rigidità del legame.
Questo determina una crisi nel
soggetto che vive la difficoltà a
realizzare le proprie aspirazioni senza
sentirsi escluso dal contesto
familiare;
Un’induzione di cambiamento: il
suicidio o il tentato suicidio di un
componente della famiglia può
rappresentare la volontà di indurre un
cambiamento radicale nell’omeostasi
della famiglia; è una presa di
posizione per affermare il proprio
potere contrattuale nella propria
realtà familiare.
Fattori causali del suicidio giovanile
Cosa spinge un adolescente a
suicidarsi? C’è un determinato gruppo di
ragazzi con un certo tipo di personalità o con
uno specifico entroterra familiare che
presenta più probabilità di altri di tentare il
suicidio? Gli studenti con difficoltà di
apprendimento sono più a rischio di chi non
è in difficoltà? E l’attenzione data al suicidio
giovanile dai mezzi di comunicazione
incidono sulle scelte dei ragazzi? I film
sull’argomento promuovono la
consapevolezza o incidono sull’imitazione?
Ci sono periodi dell’anno in cui è più facile
che i giovani si suicidino? Come rispondono
i ragazzi quando qualcuno nella loro
famiglia si suicida come modalità per
affrontare i problemi? Qual è l’influenza
delle droghe e dell’alcool sul suicidio
giovanile? La depressione può essere
considerata un fattore determinante o
scatenante del suicidio?
Le risposte a queste ed altre domande
possono aiutarci nello strutturare un
intervento di prevenzione. E’ importante,
però, ricordare che non c’è una risposta
assoluta ed onnicomprensiva ma una serie di
fattori predisponesti e precipitanti importanti
da ricercare ed individuare per utilizzarli
appunto nei progetti di prevenzione.
Fattori predisponenti
Uno dei fattori predisponesti più
importanti è rappresentato dai tentativi di
suicidio messi in atto dal ragazzo ma anche
dai suicidi o tentati suicidi tra genitori o
parenti più stretti. La presenza in famiglia di
persone con problemi dell’affettività, può
determinare difficoltà nelle relazionali che
finiscono per influire negativamente sui
soggetti più fragili da un punto di vista
psicologico. Si determina in questo caso una
familiarità comportamentale che può
diventare un fattore predisponente per un
successivo atto suicidario da parte
dell’adolescente.
La familiarità, non è trasmissione
genetica, ma un fattore culturale che può
portare all’accettazione, consapevole o
inconsapevole, del comportamento
suicidario come unica soluzione ad una
situazione problematica, ci porta a riflettere
sull’ambiente familiare come un rilevante
potenziale suicidario.
Richman, individua, nelle
caratteristiche familiari, sette fattori
problematici:
Cambiamenti necessari che non
vengono accettati
Fallimenti interpersonali che
determinano conflitti e confusione di
ruoli
Struttura familiare disfunzionale o
disturbata
Rapporti familiari confusi, simbiotici
o basati su un doppio legame
Presenza di serie difficoltà
emozionali
Problemi di comunicazione
Bassa tolleranza alle situazioni di
crisi
All’interno della famiglia la persona a
rischio è spesso isolata e viene, in genere,
scoraggiata ad instaurare relazioni con
l’esterno. Spesso gli viene trasmesso il
messaggio che se necessario potrebbe essere
sacrificato o abbandonato.
Un nucleo familiare equilibrato
(attaccamento sicuro di Bowlby) costituisce
un elemento protettivo e quindi di
prevenzione nei confronti dell’adolescente e
del comportamento suicidario. L’instabilità
familiare (attaccamento insicuro) ed i
problemi di comunicazione creano,
nell’adolescente, stress e bassa autostima che
rappresentano un sicuro elemento di rischio.
L’abuso di alcool e di droghe
costituiscono un altro importante fattore
predisponente. In almeno il 50% dei casi, gli
adolescenti che tentano o portano a
compimento un suicidio si trovano sotto
l’influsso di alcool o droghe. L’abuso di
alcool o di droghe è un segnale d’allarme per
il suicidio. I sentimenti di inadeguatezza che
spingono un adolescente a usare alcool o
droghe, sono gli stessi che portano al
suicidio. Alcool e droghe riducono la
capacità degli adolescenti di pensare
razionalmente ed aumentano la probabilità di
un tentativo di suicidio.
Alcool e droga aumentano anche i
comportamenti rischiosi in quanto
diminuiscono la capacità di attenzione
richiesta da determinati comportamenti che
possono essere fatali. I tentativi di suicidio
sono caratterizzati da bassa capacità di
giudizio e da un diminuito contatto con la
realtà. L’uso di alcool o droghe aiutano
l’adolescente a raggiungere questo stato.
La depressione può essere annoverata
fra i fattori predisponenti al suicidio. La
depressione va distinta dai normali sbalzi di
umore propri dell’adolescenza e si riconosce
dalla durata e intensità dei sintomi.
I sintomi più importanti e frequenti
della depressione sono:
allontanamento dagli amici e dalle
attività
perdita della gioia di vivere ed una
prospettiva desolata del futuro
alterazioni delle abitudini alimentari
e del sonno
preoccupazione riguardo alla morte
aumento dei problemi somatici
difficoltà di concentrarsi sui compiti
scolastici
frequenti sbalzi di umore
insolite crisi emotive o scoppi di ira
bassa autostima e mancanza di
fiducia nelle proprie capacità di
prendere decisioni
una significativa perdita o aumento di
peso
una diminuita attenzione al proprio
aspetto fisico
preoccupazioni legate al proprio
aspetto esteriore
non sentirsi all’altezza delle
aspettative degli altri
sentirsi soli
Riconoscere la presenza di uno stato
depressivo è fondamentale per individuare
adolescenti a rischio di suicidio, per valutare
il livello di gravità delle loro azioni ed
assicurare l’intervento più adeguato.
Fattori precipitanti
L’idea di suicidarsi è il risultato di un
processo graduale in cui il senso di sfiducia,
di disistima o la sensazione che non ci sia
più niente da fare determina la decisione di
porre fine alla propria vita.
Se i fattori predisponenti sono
predittori di un comportamento a rischio è
vero che tali fattori da soli non spiegano né
determinano un comportamento suicidario.
E’ necessario che intervengano altri eventi
perché tale comportamento venga messo in
atto. Il più delle volte i fattori scatenanti
sono rappresentati da eventi esterni al
ragazzo per esempio una bocciatura
scolastica o un rimprovero particolarmente
severo da parte di un genitore o un
insegnante. L’insuccesso scolastico spesso è,
per il ragazzo, una verifica globale delle sue
capacità ed è vissuta come qualcosa di
definitivo per il futuro.
Altri fattori scatenanti possono essere:
conflitti con i genitori od i fratelli
un cambiamento rilevante nelle
possibilità economiche familiari
il divorzio dei genitori
la perdita di un amico
il trasferimento in un’altra scuola, in
un’ altra città o quartiere
una malattia
la morte di un genitore o una persona
cara
molestie sessuali
E’ importante non minimizzare le
emozioni intense che gli adolescenti vivono
rispetto a questi eventi scatenanti, ma
riuscire a mettersi dalla parte
dell’adolescente e ricordare che ciò che
conta non è la nostra percezione dell’evento,
ma quella del ragazzo.
Le condotte suicidarie ed i mass-media.
Un altro fattore scatenante sembra
essere rappresentato dai mezzi di
comunicazione. Si è discusso, e si discute
molto, sull’impatto che la pubblicità data ai
suicidi dai giornali e dalla televisione possa
avere sui giovani, soprattutto quelli a rischio
per la presenza nella loro realtà o struttura di
personalità di alcuni dei fattori predisponenti
sopraelencati.
Comunque qualunque sia la relazione
fra la diffusione delle condotte suicidarie dei
giovani e la modalità con cui queste notizie
vengono date dai mass media, sembra che il
problema dell’imitazione risalga, come ha
sottolineato Coleman, al 1774 data della
pubblicazione de “I dolori del giovane
Werther” di J.W. Goethe.
Coleman parla di “effetto Werther”, in
riferimento a quanto avvenne in Europa in
seguito alla pubblicazione di questo
romanzo.
Sembra che dopo aver letto il romanzo
di Goethe, dove il protagonista muore
suicida, molti giovani abbiano imitato il suo
gesto. La convinzione che “I dolori del
giovane Werther” fosse responsabile del gran
numero di suicidi che si registrarono in
quell’epoca in Europa, portò a censurare il
libro.
Di comportamento imitativo parla
anche Durkheim che indica tre condizioni
che lo possono favorire:
la tendenza al livellamento. E’
presente all’interno di un gruppo
sociale unito da una stessa causa.
L’imitazione reciproca dei
comportamenti annulla le diversità e
l’individualità. Tutti i componenti il
gruppo pensano ed agiscono allo
stesso modo, sono un’unica cosa;
la tendenza dell’individuo a
conformarsi alla società di cui fa
parte adottando i modelli di pensiero
e di comportamento dominanti;
la tendenza a ripetere atti avvenuti in
nostra presenza o di cui siamo venuti
a conoscenza, solo perché sono
accaduti davanti a noi o ne abbiamo
sentito parlare.
Possiamo quindi affermare che un
comportamento può essere agito anche solo
per contagio imitativo, riproducendo, cioè,
meccanicamente un’azione di cui siamo
venuti a conoscenza. L’imitazione non è la
causa dei comportamenti suicidari ma può
sicuramente essere considerata un fattore
precipitante in un ragazzo che ha già deciso
di compiere questo gesto. Il processo
imitativo influenza solo la modalità ed il
tempo nel quale viene presa la decisione di
passare all’atto.
Da quanto detto si evidenzia che sono
molti i fattori coinvolti nel suicidio
giovanile: le dinamiche familiari e la
modalità di gestione dei problemi. I
comportamenti impulsivi, l’uso di sostanze
stupefacenti e di alcool. L’influenza dei mass
media, le fughe da casa, i giochi che
vengono fatti, la musica ascoltata.
Questi i segnali di allarme a cui porre
attenzione per aiutare i ragazzi a superare le
situazioni di crisi.
La prevenzione: definizione L’Organizzazione Mondiale della
Sanità si è orientata sempre più, in
quest’ultimo periodo, verso l’attuazione di
strategie di prevenzione del suicidio.
Quando si parla di prevenzione ci si
riferisce alle azioni in grado di evitare che
una persona inizi a pensare o progettare di
togliersi la vita. Un progetto di prevenzione
può essere realizzato a tre diversi livelli: un
livello primario, secondario e terziario.
La prevenzione primaria
La prevenzione primaria pone
attenzione al grado di fragilità e vulnerabilità
dell’adolescente si rivolge ai ragazzi, alle
famiglie, agli insegnanti ed ha come
obiettivi:
mantenere e preservare un buono
stato di salute mentale
impedire la crisi eliminando i rischi o
apportando modifiche a situazioni
problematiche
promuovere nell’adolescente abilità
di empowerment e problem solving
consolidare i legami affettivi del
ragazzo
informare il ragazzo sulle cause che
possono portarlo a condotte
autolesioniste.
L’elemento principale su cui interviene
la prevenzione primaria è il livello di
autostima.
Gloria Steineman afferma che
l’autostima è “ la capacità di/la propensione
ad apprezzare il valore e l’importanza della
propria persona, nella consapevolezza di
poter fare affidamento su se stessi e di agire
responsabilmente nei confronti , oltre che di
se stessi anche degli altri”.
All’interno dei programmi preventivi
rivolti agli adolescenti, il concetto di
autostima è importante in quanto è
strettamente collegato alla capacità di
individuare gli eventi negativi della vita e
riuscire a fronteggiarli.
E’ un elemento fondamentale del
concetto di sé, si forma, man mano che il
bambino cresce, all’interno delle relazioni
affettive più significative ed è determinato da
diversi fattori. Commenti e giudizi degli
altri, norme e valori culturali, attenzioni che
riceviamo dagli altri, ma anche e, forse
soprattutto, dalle esperienze di successo o
fallimento che ognuno di noi fa e dalla loro
elaborazione cognitiva.
Aiutare un adolescente a migliorare la
propria autostima e quindi il proprio
concetto di sé significa aiutarlo ad avere una
maggiore fiducia nelle proprie capacità di far
fronte agli eventi negativi della vita.
Un ragazzo che non riesce a prendere
iniziative, che non riesce ad essere
autonomo, che ha un costante senso di
sfiducia nelle cose e nelle persone,
svilupperà problemi di adattamento sociale e
di difficoltà individuali che potrebbero
portare a comportamenti come l’abuso di
alcol o di sostanze stupefacenti, ad avere
scarsi risultati scolastici, a sviluppare una
sindrome depressiva. A questo punto il
passaggio a condotte autolesionistiche o
comportamenti suicidari è breve.
Nei programmi di prevenzione
primaria delle condotte suicidarie, attuati
soprattutto nelle scuole, molta attenzione
viene data alla qualità del clima e
all’atmosfera psicologica della classe.
Inoltre, in tali programmi, vengono
passate agli insegnanti informazioni riguardo
la differenza del livello di autostima tra
ragazzi e ragazze: nelle ragazze in genere è
più basso che nei ragazzi.
Viene suggerito di trattare l’allievo con
rispetto, di rinforzare gli aspetti positivi della
sua personalità, di evitare di mettere a
confronto il comportamento di un ragazzo
con quello di un altro, di ascoltare gli
adolescenti con attenzione ed interesse, in
quanto questo significa dar valore al suo
punto di vista ed incoraggiarlo ad esprimere
e difendere le proprie opinioni e le proprie
sensazioni siano esse negative che positive.
E’ importante ricordare che un ragazzo
con un basso livello di autostima spesso
proviene da una famiglia nella quale gli
viene costantemente richiesto di fare di più e
di meglio, per cui è importante interrompere
questa pressione spesso intollerabile ed
inutile. In un programma di prevenzione
primaria, al ragazzo viene insegnato a
riconoscere la differenza fra il sentirsi amato
e l’essere amato.
La prevenzione secondaria
La prevenzione secondaria si rivolge
soprattutto agli insegnanti ed ha come
obiettivi:
riconoscere i segnali premonitori di
una condotta autolesionistica o
suicidaria
intervenire quando questi assumono
una rilevanza preoccupante
riuscire a limitare i danni che questa
condotta può determinare
prevenire eventuali ricadute
stabilire contatti con le risorse
disponibili sul territorio.
E’ importante per gli insegnanti
imparare a distinguere e riconoscere le tre
categorie di segnali:
I segnali verbali sono le frasi a
contenuto inequivocabile o dal contenuto
meno chiaro ma che possono suscitare
allarme.
I segnali comportamentali riguardano
situazioni che potrebbero apparire come
normali, ma se visti in un contesto più ampio
possono rivelarne la pericolosità.
Segnali comportamentali possono
essere:
tristezza e pianto improvviso
aumento o diminuzione del sonno
aumento o diminuzione dell’appetito
calo dell’attenzione e della capacità
dell’attenzione
peggioramento del rendimento
scolastico
cambi repentini del tono dell’umore
tendenza ad arrabbiarsi ed a litigare
tendenza alla solitudine
aumento dell’uso di alcol e di droghe
allusioni, nei temi, nelle poesie ed in
altri scritti, alla morte
disinteresse per l’elaborazione di
piani per il futuro.
I segnali situazionali sono quelli che
permettono di contestualizzare i segnali
verbali e comportamentali. I principali sono :
rottura di una relazione affettiva
significativa
difficoltà di comunicazione con i
genitori
guai con la giustizia
gravidanze indesiderate
disturbi psicofisici
cambi di abitazione o città
separazione o divorzio dei genitori
morte inaspettata di una persona cara
Individuati precocemente alcuni di
questi segnali è fondamentale non farsi
prendere dalla paura di parlarne, non temere
di affrontare il problema. Diventa importante
affrontare l’argomento suicidio in modo
aperto e chiaro, senza perifrasi; permettere il
confronto ed il dialogo fra gli allievi;
mostrare interesse e considerazione per la
persona.
Nella prevenzione secondaria è utile
capire se esistono piani specifici riguardo al
suicidio, l’eventuale intenzione di scrivere
lettere a genitori o amici, distinguere chi
pensa alla morte in modo generico e chi
invece ha immaginato dettagliatamente come
uccidersi.
La prevenzione terziara
La prevenzione terziaria riguarda il
lavoro con i sopravvissuti ad un suicidio:
genitori, compagni di scuola, insegnanti, e si
prefigge una serie di interventi per
minimizzare gli effetti del contagio e
massimizzare quelli della prevenzione.
Non ci sono molte indicazioni su cosa
fare con chi resta, comunque la cosa più
importante sembra essere la modalità che
viene utilizzata per parlare del suicidio.
L’ambito di intervento della
prevenzione terziaria è, come per la
prevenzione secondaria, la scuola. Quando si
verifica il suicidio di uno studente, è
importante porre attenzione alle risorse della
scuola per aiutare compagni ed insegnanti, a
superare il dolore, la paura, la rabbia, i sensi
di colpa che spesso accompagnano l’evento.
Il suicido di un allievo ha un profondo
impatto disgregatore sulla comunità
scolastica. Il compito della prevenzione
terziaria è l’elaborazione ed il superamento
del dolore. Il ritorno alla normalità avviene
molto meglio attraverso attività
programmate che permettono, al personale
insegnante ed agli studenti, di parlare dei
loro sentimenti.
Quello di cui, soprattutto i ragazzi,
hanno bisogno per fronteggiare la crisi è una
comunicazione chiara, non false
raccomandazioni che tutto andrà per il
meglio. Hanno bisogno di poter esprimere i
loro sentimenti e le loro emozioni.
Quindi si suggerisce alla scuola di non
enfatizzare o romanticizzare l’azione
avvenuta, ma seguire il più possibile le
procedure normali previste, per esempio, in
caso di morte di un alunno. E’ utile
riconoscere la morte ed il fatto che si è
trattato di un suicidio, ma non è necessario
dare dettagli sulle modalità usate.
Sarebbe meglio parlare di quanto
accaduto in piccoli gruppi piuttosto che in
una grande assemblea. La partecipazione ai
funerali, da parte di insegnanti ed allievi,
dovrebbe seguire la procedura prevista per le
morti avvenute per cause diverse dal
suicidio. E’ meglio evitare lapidi o altre
modalità di commemorazione.
Comunque counselor o altro personale
specializzato dovrebbe assistere insegnanti,
allievi e famiglie per aiutarli a fronteggiare
l’evento e la conseguente situazione di crisi.
Da quanto detto, si può concludere che
le misure di prevenzione nella fase
adolescenziale rivestono una grande
importanza. I comportamenti autolesionistici
e suicidari possono essere contrastati con
un‘educazione, una cultura ed una
formazione consapevoli.
Le famiglie, la scuola, le associazione
e le politiche sociali e dell’istruzione,
dovrebbero farsi sempre più carico della
prevenzione, soprattutto di quella primaria,
anche se la diminuzione dei suddetti
comportamenti, una volta iniziato un
intervento di prevenzione, si vedrà solo nel
lungo tempo.
Progetto di Prevenzione del Suicidio nell’Adolescenza
Analisi del problemaNegli ultimi anni il numero dei suicidi
è aumentato in modo inquietante, soprattutto
fra i giovani, sia nei paesi europei che in
Italia.
L’OMS, Organizzazione Mondiale
della Sanità, ha individuato nella
prevenzione al suicidio uno degli obiettivi da
raggiungere per migliorare la qualità della
vita di una popolazione.
Nell’Obiettivo n. 12, l’OMS afferma:
L’attuale tendenza all’aumento dei tassi di
suicidio e di tentato suicidio dovrebbe
invertirsi entro l’anno 2000. Questo
obiettivo può essere raggiunto: 1. se si
otterranno miglioramenti rispetto a quei
fattori sociali che inducono nell’individuo
particolari tensioni psicologiche, come
l’isolamento sociale e la disoccupazione; 2.
se la capacità dell’individuo a reagire ad
eventi della vita stressanti sarà rafforzata da
programmi educativi e dall’assistenza
sociale; 3. se il personale dei servizi sociali
e sanitari potrà avere una migliore e più
specifica formazione per assistere la
popolazione “ad alto rischio”. (Targets for
Health for All. Targets in supports of the
European regional strategy for health for all,
WHO Regional Office for Europe,
Copenhagen, 1985).
Le cause che spingono un adolescente
al suicidio sono varie e da ricercare in fattori
predisponenti come:
bassa autostima
mancanza di fiducia nelle proprie
capacità di prendere decisioni
non sentirsi all’altezza delle
aspettative degli altri
stati depressivi
bassa tolleranza alle frustrazioni
abuso di alcool e/o droghe
che in concomitanza con eventi esterni
stressanti come:
conflitti con genitori o fratelli
cambiamento rilevante nelle
possibilità economiche familiari
divorzio dei genitori
perdita di un amico
trasferimento in un’altra scuola, in
un’ altra città o quartiere
morte di un genitore o di una persona
cara
molestie sessuali
insuccesso scolastico
possono portare a mettere in atto una
condotta suicidaria.
Il suicidio, soprattutto nell’adolescente,
genera un senso di angoscia che determina
reazioni di rifiuto o negazione, o porta a
ritenere che il comportamento suicidario è,
in genere, un caso limite.
Nasce quindi l’esigenza di interventi di
prevenzione per: migliorare la qualità della
vita della popolazione, come afferma
l’OMS.
Descrizione del progetto ed obiettivi
generali.Fino ad ora la maggior parte degli
interventi di prevenzione sono stati rivolti
alle persone che chiedono direttamente o
indirettamente aiuto, a chi ha già tentato il
suicidio, o a familiari e amici di giovani
suicidi. Si è lavorato, cioè, solo nell’ambito
della prevenzione secondaria e terziaria.
Ma cosa si può fare per prevenire i
comportamenti suicidari? Cosa si può fare
nell’ambito della prevenzione primaria?
Analizzando i fattori predisponenti e
precipitanti di una condotta suicidaria, un
progetto di prevenzione primaria del suicidio
deve trattare argomenti generali quali:
come sviluppare un atteggiamento
mentale positivo
come gestire le emozioni
come sviluppare stili di vita più sani
come migliorare l’autostima
come migliorare la relazione con gli
altri
come migliorare la comunicazione
come gestire le situazioni di crisi
come affrontare la frustrazioni
e fornire informazioni su:
l’incidenza del suicidio
i fattori predisponenti e precipitanti
comportamenti, frasi, pensieri
predittori di un comportamento
suicidario
L’intervento di prevenzione primaria si
inserisce nell’ambito della scuola media e
media superiore per rispondere al bisogno di
migliorare la relazione con se stessi, le
capacità di gestione delle situazioni
stressanti, le dinamiche relazionali
all’interno della famiglia e del gruppo classe.
I destinatari del progetto sono:
ragazzi
genitori
insegnanti
Obiettivi specifici e struttura del percorso
La struttura del percorso previsto per i
ragazzi prevede il raggiungimento dei
seguenti obiettivi:
Migliorare la propria autostima:
migliorando la percezione di sé
individuando le proprie capacità,
abilità e competenze
imparando a riconoscere e gestire le
proprie emozioni
Sviluppare le competenze emozionali e
relazionali necessarie per gestire
efficacemente le proprie relazioni
interpersonali: life-skills:
imparando a riconoscere e gestire le
situazioni di stress
individuando ed imparando ad
esprimere e soddisfare i propri
bisogni
elaborando le frustrazioni in modo da
superare le situazioni stressanti
imparando strategie di problem
solving
sviluppando modalità personali di
risposta adatta a fronteggiare
situazioni percepite come
problematiche: strategie di coping
Sviluppare l’empowerment:
riappropriandosi del proprio potere
personale all’interno delle relazioni
interpersonali
imparando ad essere assertivi senza
prevaricare sugli altri o evitare le
difficoltà con la fuga
migliorando le relazioni
interpersonali, imparando a gestire
conflitti
Gli obiettivi degli incontri con i
genitori sono relazionali e informativi:
Gli obiettivi relazionali riguardano
la comunicazione verbale e non
verbale
l’ascolto
l’espressione di sé: riconoscimento
dei propri bisogni e delle proprie
emozioni
il riconoscimento di segnali e
situazioni di stress
l’individuazione e l’accrescimento
delle capacità e abilità educative
quando e come dire si/no
il riconoscimento e la gratificazione,
in modo da rinforzarle, delle abilità e
capacità dei figli
affrontare e risolvere i conflitti
Gli obiettivi di informazione riguardano
l’informazione da dare ai genitori
sulle problematiche e difficoltà
adolescenziali e sulle modalità di
gestione delle normali crisi evolutive
l’informazione sulle cause dell’abuso
di alcool e dell’uso di sostanze
stupefacenti
Anche negli incontri con gli insegnati
avremo:
Obiettivi informativi per:
acquisire informazioni corrette
riguardo ai comportamenti suicidari:
fattori predisponenti e determinanti
imparare a identificare i segnali di
allarme
Obiettivi relazionali per:
migliorare le abilità di ascolto
migliorare la comunicazione
porre attenzione all’atmosfera della
classe e renderla quanto più possibile
accogliente e sicura
aiutare gli alunni a fronteggiare lo
stress ed a gestire le frustrazioni
aiutare gli allievi a riconoscere ed
esprimere le proprie emozioni
imparare a riconoscere ed esprimere
le proprie emozioni
imparare a gestire le situazioni di
conflitto del gruppo classe
La struttura globale del progetto, che si
ripeterà in ogni singolo incontro, si articola
in tre momenti:
A apertura dell’incontro
B sviluppo dei contenuti
C chiusura dell’incontro
Ogni incontro è da considerarsi una tappa del
percorso globale e come tale, possiede al suo
interno dei micro-obiettivi che devono essere
raggiunti di volta in volta, per permettere di
arrivare con successo al risultato finale. Per
attuare l’intero progetto di prevenzione si
ipotizzano tre moduli della durata di un anno
scolastico.
MetodologiaLa metodologia si basa sul modello
teorico dell’apprendimento attivo
esperienziale con integrazione teorica in
quanto gli atteggiamenti, i comportamenti, i
pensieri, le emozioni vanno esplorati e non
insegnati.
L’intervento preventivo utilizzerà:
materiali ed esperienze di tipo
ludico-proiettivo: role playing,
giochi psicologici, simulazioni in
aula,
analisi della comunicazione per
mezzo di registrazioni (video o
scritte), simulazioni in aula, lavori di
gruppo, giochi psicologici,
discussione di gruppo.
Valutazione
E’ prevista, ad inizio e fine percorso, la
somministrazione:
Per il gruppo dei ragazzi del TMA;
test di valutazione
multidimensionale dell’autostima,
(Bruce A. Bracken, Ed.
Erickson,Trento 2003),e del
sociogramma di Moreno.
Per i genitori il questionario di
autovalutazione familiare di Bavers
(Beavers W.R. e Hampson R.B., La
famiglia riuscita. Valutazione e
intervento, Astrolabio, Roma, 1988)
Per gli insegnanti un’intervista
qualitativa a domande aperte
E’ prevista, inoltre, la presentazione di
questionari di valutazione dell’intero
percorso, degli obiettivi realmente raggiunti,
della soddisfazione delle aspettative e di
eventuali nuove proposte a ognuno dei tre i
gruppi alla fine del percorso.
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