U l p i a p r e s sU l p i a p r e s s
Franco Bochicchio, Maria Grazia Celentano, Salvatore Co-lazzo, Vito Francesco De Giuseppe, Ezio Del Gottardo, AdaManfreda, Elisa Palomba, Salvatore Patera, Maria GraziaSimone.
Attori, ConteSti
e metodologie
dellA vAlutAzione
dei proCeSSi formAtivi
in età AdultA
a cura di SAlvAtOrE COlAzzO
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Il volume raccoglie una serie di contributi che sono stati elaborati dai loro au-tori nell’ambito di una ricerca relativa a metodologie innovative applicabiliin contesti formativi adulti, sulla base di un progetto finanziato dalla Cassadi Risparmio di Puglia e promosso dal Centro Ulpia del Dipartimento diScienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche dell’Università del Salento,avente lo scopo di affrontare le questioni progettuali e valutative connessecon i bisogni formativi dell’età adulta.
Salvatore Colazzo (http://www.salvatorecolazzo.it) è professore associato di Pe-
dagogia Sperimentale all’Università del Salento. Già docente di ruolo nei Con-
servatori di stato, è interessato a sviluppare metodologie didattiche innovative,
che fanno leva sulla creatività, che valorizzano l’esperienza e considerano la re-
lazione sociale quale risorsa preziosa per l’apprendimento. Animatore di un
gruppo di giovani ricercatori, ha stimolato la nascita di “EspérO s.r.l.”, azienda
spin-off dell’Università del Salento, che progetta e realizza interventi formativi ad
alto contenuto di innovatività.
ISBN 978-88-8406-118-8
Ulpiapress
Colazzo, Salvatore
Attori, contesti e metodologie della valutazione dei pro-cessi formativi in età adulta / a cura di Salvatore Colazzo- Melpignano : Amaltea, 2009. - 312 p. : 24 cm. - ((Ulpia-press : 4. ISBN 978-88-8406-118-8
AttorI, CoNteStI
e MetodologIe dellA
vAlUtAzIoNe deI proCeSSI
forMAtIvI IN età AdUltA
a cura di Salvatore Colazzo
Saggi di: Franco Bochicchio, Maria Grazia Celentano, Salvatore Colazzo, Vito Francesco De Giuseppe, Ezio Del Gottardo, Ada Manfreda, Elisa Palomba, Salvatore Patera,Maria Grazia Simone.
Ulpiapress: 4Collana diretta da Salvatore Colazzo
Il presente volume è pubblicato con il contributo dell’Università del Salento, Diparti-mento di Scienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche (fondi rivenienti dal progetto“Formazione, valutazione delle competenze e monitoraggio di percorsi formativi desti-nati ad adulti”, cofinanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia - respon-sabile scientifico del progetto: prof. Salvatore Colazzo)
è vietata la riproduzione in qualsivoglia forma e con qualsiasimezzo effettuato.
© 2009, Amaltea edizionivia d. pellegrino, 26 - 73020 Melpignano - lecce
tel. 0836.330059 - fax [email protected]
ISBN 978-88-8406-118-8
Indice
Dalla valutazione dei risultati alla valutazione degli effettidella formazionedi SAlvAtore ColAzzo
La qualità della formazione finanziata. Istanze culturali,metodologiche e valutativedi frANCo BoChICChIo
Strumenti per la progettazione e la valutazione degli interventi comunitari: Quality frame e logical framework Matrixdi elISA pAloMBA
La valutazione in corso d’opera. Identità, strumenti, criteridi MArIA grAzIA SIMoNe
Monitorare e valutare l’apprendimento digitaledi MArIA grAzIA CeleNtANo
Apprendimento e partecipazione. Riflessioni per un Welfare partecipativodi SAlvAtore pAterA
Valutare la generatività sociale: autoriflessività e metacognizionedi ezIo del gottArdo
Valutazione ex-ante e mappatura dei bisognidi AdA MANfredA
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Setting formativo e tecnologiedi vIto frANCeSCo de gIUSeppe
Coprogettare e covalutare. Le sfide della complessità nel-l’approccio partecipativodi SAlvAtore pAterA
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DALLA VALUTAZIONE DEI RISULTATI ALLA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DELLA FORMAZIONE
di Salvatore Colazzo
1. Lʹallargamento del modello docimologico In campo pedagogico la problematica della valutazione è stata fat‐ta valere dalla docimologia, disciplina sviluppatasi nei primi de‐cenni del XX secolo; oggi assume connotati nuovi alla luce delle emergenti esigenze poste dalla società dell’informazione e della comunicazione.
Agli inizi del Novecento in America gli psicologi scolastici fece‐ro notare come i docenti, nel valutare gli elaborati dei loro allievi, esprimessero dei giudizi molto divergenti. Il dato venne confronta‐to da alcuni studi a carattere sperimentale, sia in America che in Europa, che confermarono la soggettività della valutazione. Cor‐rettori diversi che esaminino uno stesso elaborato tendono ad e‐sprimere giudizi anche molto differenti. Ad esempio uno studio compiuto negli Stati Uniti nel 1910 consisteva nel sottoporre a 142 docenti di inglese due compiti da valutare. Essi avevano a disposi‐zione 100 punti. Al primo compito i giudizi coprirono un ventaglio da 64 a 98 punti, al secondo da 50 a 98.
Gli studi di Laugier e Pieron, di Decroly e Buyse fecero notare la necessità di sostituire le tradizionali prove di profitto con dei test, capaci di introdurre elementi di oggettività nella misurazione. Ricerche sperimentali provarono che il disaccordo tra i correttori non è riferibile alla materia. Si potrebbe intuitivamente infatti pen‐sare che una prova di matematica induce una maggiore conver‐genza di giudizio, mentre un tema produce una maggiore variabi‐lità del giudizio. In realtà non è così. Un compito di geometria sot‐
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toposto a 114 insegnanti di questa materia produsse una gamma di voti da 28 a 92. Fu anche possibile dimostrare che un medesimo correttore in tempi diversi tende a giudicare un medesimo compito in maniera differente. Nel 1930 Laugier e Weimberg confrontarono i giudizi espressi da uno stesso correttore su 37 compiti di scienze a tre anni di distanza, ottennero dei risultati sorprendentemente divergenti, come se i compiti non fossero stati corretti dalla stessa persona. Il grado di disaccordo di un correttore con se stesso è pa‐ragonabile al grado di disaccordo di due correttori. Se vogliamo dirla in termini tecnici: le valutazioni formulate dallo stesso esa‐minatore a distanza di un qualche tempo hanno la stesso coeffi‐ciente di correlazione (0.58, nel caso specifico) con le votazioni formulate da due correttori diversi. Weimberg e Laugier provaro‐no che il disaccordo non dipende dalla competenza dei correttori. Correlando i voti assegnati da una persona scarsamente competen‐te con quelli di un docente universitario si ha un indice di correla‐zione assimilabile a quello ottenuto confrontando le valutazioni di due docenti universitari. Una conseguenza di queste osservazioni è che i giudizi scolastici hanno scarso valore predittivo in merito al proseguio della carriera degli allievi. Anche questa scarsa preditti‐vità venne sottoposta a verifica sperimentale.
La valutazione, in conseguenza di tutti questi studi, venne fatta oggetto di serrata critica e si chiarì la necessità di relarla a una stra‐tegia programmatoria del percorso educativo, in maniera che po‐tesse funzionare da controllo del processo, consentendo una ri‐progettazione dell’azione formativa. La valutazione segue l’allievo e lo guida lungo le tappe pre‐fissate del percorso di apprendimen‐to. Si comprese l’importanza di non accontentarsi della valutazione finale (la cosiddetta valutazione sommativa), ma di moltiplicare i momenti del controllo degli apprendimenti, in modo da fare as‐sumere alla valutazione un vero e proprio carattere formativo (si parla non a caso di valutazione formativa). La valutazione in itinere consente di ricevere informazioni sull’andamento del processo di apprendimento, tali informazioni sono utili tanto all’allievo quanto all’insegnante.
DALLA VALUTAZIONE DEI RISULTATI ALLA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI
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Nel modello della cosiddetta istruzione programmata, la valuta‐zione è uno dei quattro momenti fondamentali in cui si articola la programmazione didattica: analisi della situazione; definizione degli obiettivi; organizzazione dei contenuti; e per l’appunto valu‐tazione.
Nella scuola tradizionale, la valutazione rispondeva unicamen‐te all’obiettivo di accertare fiscalmente la consistenza degli ap‐prendimenti operati dal soggetto. Avvenendo al termine d’un pro‐cesso di apprendimento, stabiliva soltanto se l’allievo potesse con‐tinuare a rimanere nel sistema o se invece dovesse essere espulso, in questo senso aveva un carattere marcatamente selettivo.
La docimologia ha avuto il merito non solo di far comprendere la necessità della valutazione in itinere, ma anche la opportunità di far precedere l’azione di insegnamento da una attività valutativa. Nell’analisi della situazione vi può essere una valutazione che mi‐ra ad accertare l’esistenza o meno di quello che vengono detti i pre‐requisiti di apprendimento, ovverosia la sussistenza di quello zoccolo di conoscenze su cui erigere gli apprendimenti successivi. Questo tipo di valutazione è stata detta prognostica, perché serve per prevedere quali effettivi progressi gli allievi possono compiere intraprendendo un percorso di apprendimento. La valutazione da prognostica diventa diagnostica nel momento in cui via via che il percorso viene compiuto si verifica l’esattezza di quanto in fase i‐niziale si è previsto.
2. Docimologia e esigenza di democratizzazione delle istitu‐zioni formative
Gli studi di docimologia provarono anche un altro fatto che suscitò un ampio e variegato dibattito in ambito pedagogico, soprattutto per le implicazioni socio‐politiche del discorso. Le valutazioni e‐spresse dalla scuola dimostravano, aggregando i dati a disposizio‐ne, che i giudizi negativi erano maggiormente distribuiti presso le classi socio‐economiche svantaggiate. Quale significato attribuire a
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tale evidenza? Cosa in termini di progettualità doveva poter scatu‐rire dalla constatazione della grande difficoltà della scuola a fun‐zionare da elemento dinamizzante la società? La cosiddetta peda‐gogia progressista, ritenendo fosse indispensabile attribuire alle istituzioni formative non meramente la funzione di dispositivo per la riproduzione sociale, vollero assegnarle il compito di volano della democratizzazione della vita sociale e fecero leva sulla pro‐gettazione e sulla valutazione formative quali strumenti per con‐sentire anche alle classi meno abbienti di accedere in termini quan‐titativamente e qualitativamente apprezzabili alla cultura, conside‐rato un bene in grado di assicurare un sufficiente grado di mobilità sociale.
Alla fine degli anni novanta del secolo scorso il modello doci‐mologico, iscritto nella cornice progressista testé descritta, mostrò, proprio alla luce delle nuove emergenze educative poste dalla so‐cietà dell’informazione e della comunicazione, tutte le sue difficol‐tà a sostenere ancora l’ideale di un pari accesso alle risorse forma‐tive, garantito da una scuola pubblica ispirata a standard nazionali definiti a livello centrale, mediante i programmi e una organizza‐zione gerarchica del sistema. Apparve chiaro come il quadro dei bisogni formativi si andasse allargando per un verso e diversifi‐cando per altro. La domanda di formazione era cresciuta, senza trovare adeguate risposte, in fasce di popolazione, quali quelle a‐dulte, prima semplicemente inserite nei processi lavorativi e conte‐stualmente si era differenziata, in linea con una società affluente che aveva portato all’articolazione delle classi sociali in gruppi di portatori di interessi, con l’esplosione dei bisogni regolati da un mercato diventato particolarmente sofisticato nelle sue strategie di modulazione del consumo, abilitando il fruitore a divenire a pieno titolo cliente.
Cominciarono anche a cambiare i quadri culturali di fondo a cui riferirsi: la postmodernità, valorizzando la differenza, avanzando l’esigenza di istituire una maggiore e più continua permeabilità tra le istituzione formative e la comunicazione permeante la società, nella prospettiva di quella che fu definita dapprima educazione ri‐corrente, poi permanente, infine lifelong learning, rese il compito
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della progettazione e della valutazione estremamente più com‐plessi.
Per rimanere strettamente attinenti al nostro ambito, nel perio‐do in cui la docimologia nacque, il paradigma dominante nella ri‐cerca sullʹapprendimento fu quello derivato dal comportamenti‐smo, centrato sulla rilevazione e analisi dei comportamenti mani‐festi, osservabili intersoggettivamente, misurabili. La valutazione si concentrava sul prodotto terminale dellʹapprendimento, tentan‐do di definirlo nei termini più chiari, precisi, univoci possibili.
Da almeno due decenni la ricerca valutativa ha allargato di molto il suo sguardo. Intanto perché si è resa conto che lʹappren‐dimento è funzione di una molteplicità di fattori, a partire dalle operazioni e strategie motivazionali, cognitive e metacognitive messe in atto dal soggetto per imparare, ma anche dalle variabili organizzative e di contesto, che incidono sullʹazione formativa e la sua efficacia. E poi perché ha abbandonato la presunzione oggetti‐vistica, comprendendo la natura negoziale della valutazione, coe‐rentemente con le indicazioni del paradigma del costruttivismo, che ha soppiantato quello comportamentista e profondamente ag‐giornato quello offerto dal cognitivismo.
La nuova concezione della valutazione, soprattutto se riferita ai contesti adulti, presenta delle fondamentali implicazioni, alcune delle quali, in verità, già evidenziate dalla andragogia: a) si tratta di valutare lʹacquisizione, da parte dei discenti, degli
apprendimenti in termini di competenza, ritenendo che scopo dellʹattività di insegnamento/apprendimento debba essere quello di offrire allʹallievo la possibilità di costruire un quadro articolato e complesso di competenze, ivi comprese quelle tra‐sversali e transdisciplinari ‐ è questo il problema posto dal movimento della valutazione autentica ‐;
b) si tratta di attenzionare, a fini valutativi, i processi attraverso cui il soggetto realizza apprendimento, sicché diventa di fon‐damentale importanza lʹapprendere ad apprendere, cioè le abi‐lità di pianificare, monitorare e regolare lʹapprendimento da parte del soggetto (si tratta di quella che viene definita meta‐cognizione, o, in altri contesti, deuteroapprendimento, o anco‐
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ra apprendimento autoregolato, così come pure diventa impor‐tante la motivazione, cioè la disponibilità ad apprendere, che spesso risulta correlata con la metacognizione e lʹacquisizione delle competenze che consentono al soggetto di leggersi in re‐lazione al contesto, assumendo atteggiamenti strategici rispetto a cosa e come apprendere (si tratta della cosiddetta metacom‐petenza);
c) si tratta di considerare lʹintervento formativo come un vero e proprio intervento sociale, sicché diventa fondamentale com‐prendere le cosiddette ricadute della formazione.
Della valutazione si va sempre più affermando la sua valenza ai fini del monitoraggio dei processi formativi e il loro governo. Ciò comporta una risemantizzazione della valutazione: diventando strumento di sviluppo depotenzia il carico emotivo con cui da sempre si accompagna. Essa diventa una leva importantissima per generare qualità, cosa che il Total Quality Management, pur con i suoi limiti, aveva ben compreso, e che viene ribadita nellʹambito del modello del knowledge management di Nonaka e Teteucki, che ritengono la valutazione unʹattività di conoscenza che offre la pos‐sibilità di generare apprendimento organizzativo incrementale. Per quanto più specificamente riguarda i processi di apprendimento individuale, la valutazione diventa strumento per una migliore conoscenza di sé e delle proprie potenzialità, nella prospettiva del lifelong learning, che ha senso se i soggetti sono messi nelle condi‐zioni, attraverso opportune azioni di orientamento, di avere con‐sapevolezza degli apprendimenti posseduti (a prescindere se sono realizzati in contesti formali, non‐formali o informali), dei bisogni formativi da soddisfare per pervenire, anche attraverso il ricorso alla formazione, ad una più piena realizzazione di sé, grazie allʹac‐quisita capacità di cogliere le opportunità offerte dal contesto. In questo quadro sono stati sviluppati nuovi strumenti valutativi, quali la analisi dei bisogni formativi (o mappatura dei bisogni forma‐tivi, come noi preferiamo definirla, dando credito allʹapproccio biografico‐narrativo, dialogico‐ermeneutico nellʹindagine del biso‐gno soggettivo), il bilancio di competenze, il portfolio formativo. Ab‐bandonato il sogno oggettivistico di una valutazione in grado di
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stabilire con lʹesibizione di alcuni basilari valori numerici lʹavvenu‐ta acquisizione di apprendimenti ritenuti utili, la valutazione ap‐pare come attività di modulazione dei processi formativi, legata alla disponibilità riflessiva, influenzata dal sistema di relazioni in cui il soggetto è inserito, mai certa, negoziabile negli obiettivi, nei metodi e negli strumenti, perciò vocazionalmente aperta alla meta‐valutazione, che è fondamentalmente attività di annessione della valutazione al complesso sistema dei valori sociali.
3. Dai risultati alle ricadute: dall’individuo alla società
Il passaggio decisivo quindi è la scoperta della natura fondamen‐talmente insuperabilmente intersoggettiva della valutazione, che trova il suo senso ultimo nella sua capacità di raccordare l’apprendimento alle esigenze di una società sufficientemente arti‐colata da tollerare una molteplicità molto ampia di progetti di vita e di ipotesi di realizzazione soggettiva. Alla valutazione dei risul‐tati di apprendimento bisogna associare la valutazione delle rica‐dute delle attività formative, che non può che configurarsi come processo sociale di condivisione e non semplicemente constatato ab aesterno.
Per impostare correttamente il tema delle ricadute della forma‐zione bisogna correlarlo al tema della formazione continua, in cui si pone con particolare pregnanza la questione della valenza socia‐le dellʹintervento formativo. Chi progetta e realizza la formazione ha una responsabilità politica e gestionale in ordine allʹimpatto sul piano personale (di una persona iscritta in un sistema di relazioni che vanno a definire un contesto) e più latamente sociale della formazione. Pertanto già a monte, in sede progettuale, deve essere prevista l’esigenza, al fine di poter essere monitorato e valutato, di quantificare e/o qualificare in qualche modo lʹeffetto della forma‐zione.
Se ci si pone la questione delle ricadute, ci si rende conto che bi‐sogna maturare nei confronti dei processi formativi un approccio
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complesso, nel senso che bisogna considerare la formazione come un elemento agente allʹinterno di un sistema di relazioni, pensarla influenzata da una molteplicità di variabili e a sua volta capace di influenzare il funzionamento del sistema nel suo complesso.
Quando si progetti e realizzi un intervento formativo si hanno degli effetti che innanzitutto riguardano i beneficiari immediati e diretti della formazione, ma poi essi si estendono ai contesti in cui i soggetti sono inseriti e infine si propagano a contesti più estesi. Se così stanno le cose, allora valutare un progetto formativo diven‐ta piuttosto complicato. In quanto se la formazione può dirsi abbia successo quando produca un cambiamento ritenuto desiderabile, bisogna pur comprendere che quando si agisca in regime di com‐plessità il cambiamento programmato in un dato punto del sistema tende a propagarsi, con effetti diversi nelle diverse zone del siste‐ma che interessa, procurando un effetto a catena di riassestamento omeostatico dei suoi elementi. Le ricadute da questa prospettiva sono difficilmente prevedibili, sono verificabili, con lʹuso di idonei strumenti, ex‐post, anche se rimane difficile ricondurre con certezza i cambiamenti riscontrati allʹazione formativa intrapresa, essendo il sistema verificato aperto e come tale soggetto ad una molteplicità sostanzialmente incontrollabile di input.
Ciò significa che non si possono identificare buoni risultati e buone ricadute, dal momento che i primi sono più direttamente le‐gati allʹazione formativa, le seconde dipendono, invece, in gran parte da variabili contestuali.
Giudicata da un punto di vista sociale, cosa in definitiva si chie‐de alla formazione?
La formazione deve poter contribuire, al di là dei contenuti trat‐tati e delle metodologie adottate, a far crescere la cultura delle isti‐tuzioni e della democrazia, ad incrementare la coesione sociale fa‐vorendo il dialogo. Questo dʹaltro canto ci dicono le dichiarazioni programmatiche elaborate dallʹUnione Europea, che in diverse oc‐casioni è tornata a riflettere sulle ricadute attese della formazione, sintentizzandole in maniera assai chiara nellʹAgenda di Lisbona 2000, che costituisce una pietra miliare per i discorsi che riguarda‐no la formazione.
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