QUESTIONE DI GIURISDIZIONE Sez. U, Sentenza n. 29 del 05/01/2016 (Rv. 637937 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Di Palma S. Relatore: Di Palma S. P.M. Apice U. (Conf.)
Nel caso in cui avverso una sentenza (di primo grado) -‐ con la quale il giudice ordinario adìto abbia esaminato e deciso sia una questione di giurisdizione, dichiarando espressamente la giurisdizione del giudice ordinario, sia una questione di competenza, declinando la propria competenza ed indicando il diverso giudice ritenuto competente -‐ sia stato proposto regolamento di competenza, da qualificarsi come «facoltativo», la corte di cassazione, non essendosi formato il giudicato sulla giurisdizione secondo il disposto di cui all’art. 43, 3º comma, primo periodo, c.p.c., può rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adìto ai sensi dell’art. 37 c.p.c., in forza dei concorrenti principi di pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza, di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di
attribuzione costituzionalmente riservata alla Corte di cassazione di tutte le questioni di giurisdizione e di competenza, nonché del rilievo che la statuizione sulla sola questione di competenza potrebbe risultare inutiliter data a séguito di un esito del processo d’impugnazione sulla questione di giurisdizione nel senso del difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Ogni giudice, anche qualora dubiti della sua competenza, deve sempre verificare innanzitutto, anche di ufficio, la sussistenza della propria giurisdizione.
La pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione di competenza -‐ in quanto fondata sulle norme costituzionali relative al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, 1º comma, cost.), alla garanzia del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, 1º comma, cost.), ai principi del «giusto processo» (art. 111, 1º e 2º comma, cost.), alla attribuzione della giurisdizione a giudici ordinari, amministrativi e speciali ed al suo riparto tra questi secondo criteri predeterminati (art. 102, 1º e 2º
comma, 103 cost., VI disp. trans. e fin.) -‐ può essere derogata soltanto in forza di norme o principi della Costituzione o espressivi di interessi o di valori di rilievo costituzionale, come, ad esempio, nei casi di mancanza delle condizioni minime di legalità costituzionale nell’instaurazione del «giusto processo», oppure della formazione del giudicato, esplicito o implicito, sulla giurisdizione.
Sez. U, Sentenza n. 21260 del 20/10/2016 (Rv. 641347 -‐ 01) Presidente: Canzio G. Estensore: Giusti A. Relatore: Giusti A. P.M. Iacoviello FM. (Conf.)
L'attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione.
FORUM DESTINATAE SOLUTIONIS (ART. 20 C.P.C.)
Cass., sez. un., 13-‐09-‐2016, n. 17989 (Est. De Chiara)
Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell’art. 1182, 3º comma, c.c., sono -‐ agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell’art. 1219, 2º comma, n. 3, del codice civile, sia della determinazione del forum destinatae solutionis ai sensi dell’art. 20, ultima parte, c.p.c. -‐ esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioè, il titolo determini l’ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale; i presupposti della liquidità sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti, secondo quanto dispone l’art. 38, ultimo comma, c.p.c.
LEGITIMATIO AD PROCESSUM E SANATORIA ex art. 182 c.p.c.
Cass., sez. un., 04-‐03-‐2016, n. 4248 (Est. D’Ascola).
Il difetto di rappresentanza processuale della parte può essere sanato in fase di impugnazione, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie, e, qualora la contestazione avvenga in sede di legittimità, la prova della sussistenza del potere rappresentativo può essere data ai sensi dell’art. 372 c.p.c.; tuttavia, qualora il rilievo del vizio in sede di legittimità non sia officioso, ma provenga dalla controparte, l’onere di sanatoria del rappresentato sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto, giacché sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire.
SCISSIONE DEGLI EFFETTI DELLA NOTIFICAZIONE ED EFFETTI SOSTANZIALI DELLA DOMANDA
Sez. U, Sentenza n. 24822 del 09/12/2015 (Rv. 637603 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Vivaldi R. Relatore: Vivaldi R. P.M. Apice U. (Conf.)
La regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario.
Poiché il principio di scissione (degli effetti della notificazione per il notificante e il destinatario) si applica nei casi in cui il diritto non può essere esercitato se non attraverso l’inizio del giudizio, la
prescrizione dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. è interrotta dalla consegna dell’atto (introduttivo del relativo giudizio) all’ufficiale giudiziario per la notifica.
LEGITIMATIO AD CAUSAM E TITOLARITA’ DEL RAPPORTO GIURIDICO CONTROVERSO Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016 (Rv. 638373 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Curzio P. Relatore: Curzio P. P.M. Del Core S. (Diff.)
La titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto.
La titolarità, costituendo un elemento costitutivo del diritto fatto valere in giudizio, può essere negata dal convenuto con una mera difesa e cioè con una presa di posizione negativa, che contrariamente alle eccezioni in senso stretto, non è soggetta a decadenza ex art. 167, 2º comma, c.p.c.; è vero che il medesimo art. 167, 1º comma, chiede al convenuto di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore
fondamento delle domanda, ma tale disposizione, contrariamente a quanto sancito nel comma successivo, non prevede decadenza; pertanto, la questione che non si risolva in un’eccezione in senso stretto può essere posta dal convenuto anche oltre quel termine e può essere sollevata d’ufficio dal giudice; essa può anche essere oggetto di motivo di appello, perché l’art. 345, 2º comma, c.p.c. prevede il divieto di «nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio»; tuttavia, la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta, può avere rilievo, perché può servire a rendere superflua la prova dell’allegazione dell’attore in ordine alla titolarità del diritto; ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo.
La carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa.
CHIAMATA IN GARANZIA Cass., sez. un., 04-‐12-‐2015, n. 24707 (Est. Frasca). Posto che la distinzione tra garanzia propria e impropria è destituita di fondamento e che tutte le fattispecie ricondotte all’una e all’altra categoria devono andare soggette alla medesima disciplina processuale, la questione del litisconsorzio in fase di gravame deve essere risolta distinguendo l’esito cui il processo è pervenuto a conclusione del giudizio di primo grado, il soggetto che prende l’iniziativa impugnatoria ed i motivi su cui tale impugnazione si fonda (nella specie, la corte ha affermato che se ad esito del giudizio di primo grado risultano accolte vuoi la domanda principale vuoi la domanda di garanzia, il garante è legittimato a proporre impugnazione con riferimento al capo di sentenza relativo al rapporto principale nei confronti di entrambe le parti di esso con conseguente applicazione dell’art. 331 c.p.c.). In caso di chiamata in causa in garanzia dell’assicuratore della responsabilità civile, l’impugnazione -‐ esperita esclusivamente dal terzo
chiamato avverso la sentenza che abbia accolto sia la domanda principale, di affermazione della responsabilità del convenuto e di condanna dello stesso al risarcimento del danno, sia quella di garanzia da costui proposta -‐ giova anche al soggetto assicurato, senza necessità di una sua impugnazione incidentale, indipendentemente dalla qualificazione della garanzia come propria o impropria, che ha valore puramente descrittivo ed è priva di effetti ai fini dell’applicazione degli art. 32, 108 e 331 c.p.c., dovendosi comunque ravvisare un’ipotesi litisconsorzio necessario processuale non solo se il convenuto abbia scelto soltanto di estendere l’efficacia soggettiva, nei confronti del terzo chiamato, dell’accertamento relativo al rapporto principale, ma anche quando abbia, invece, allargato l’oggetto del giudizio, evenienza, quest’ultima, ipotizzabile allorché egli, oltre ad effettuare la chiamata, chieda l’accertamento dell’esistenza del rapporto di garanzia ed, eventualmente, l’attribuzione della relativa prestazione.
Sez. U, Sentenza n. 7700 del 19/04/2016 (Rv. 639281 -‐ 01) Presidente: Roselli F. Estensore: Frasca R. Relatore: Frasca R. P.M. Finocchi Ghersi R. (Conf.)
In caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all'accoglimento, la devoluzione di quest'ultima al giudice investito dell'appello sulla domanda principale non richiede la proposizione di appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell'art. 346 c.p.c.
Sez. U, Sentenza n. 4909 del 14/03/2016 (Rv. 639107 -‐ 01) Presidente: Salme' G. Estensore: Scarano LA. Relatore: Scarano LA. P.M. Apice U. (Conf.)
La procura alle liti conferita in termini ampi ed omnicomprensivi (nella specie, "con ogni facoltà") è idonea, in base ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa
processuale attuativa dei principi di economia processuale, di tutela del diritto di azione nonché di difesa della parte ex artt. 24 e 111 Cost., ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le iniziative atte a tutelare l'interesse del proprio assistito, ivi inclusa la chiamata del terzo in garanzia cd. impropria.
FRAZIONAMENTO DELLA DOMANDA E ABUSO DEL PROCESSO
Cass., sez. un., 16-‐02-‐2017, n. 4090.
Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi. Se tuttavia i suddetti diritti di credito, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque "fondati" sul medesimo fatto costitutivo -‐ si' da non poter essere accertati separatamente se non a costo di una duplicazione di attivita' istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale -‐, le relative domande possono essere proposte in separati giudizi solo se risulta in capo al creditore agente un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Ove la necessita' di siffatto interesse (e la relativa mancanza) non siano state dedotte dal convenuto, il giudice che intenda farne oggetto di
rilievo dovra' indicare la relativa questione ai sensi dell'articolo 183 c.p.c., e, se del caso, riservare la decisione assegnando alle parti termine per memorie ai sensi dell'articolo 101 c.p.c., comma 2 (Alla luce dei sopra esposti principi, e considerato che la domanda proposta dal lavoratore nel presente processo e' intesa al ricalcolo del premio fedelta' con inclusione dello straordinario prestato a titolo continuativo, mentre la domanda precedentemente proposta (anch'essa dopo la cessazione del rapporto di lavoro) era intesa ad ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa, il ricorso della societa' non risulta fondato. Deve infatti osservarsi che gli istituti del TFR e del premio fedelta' hanno diversa fonte (legale l'uno e pattizia l'altro), nonche' differenti presupposti e finalita', non risultando, in particolare, che il credito azionato in relazione al premio fedelta' sia inscrivibile nel medesimo ambito oggettivo del giudicato ipotizzabile in relazione alla precedente domanda riguardante la rideterminazione del TFR, ne' che i due crediti siano fondati sul medesimo fatto costitutivo; onde e' da ritenersi che ben poteva il lavoratore
proporre le domande suddette in diversi processi, senza neppure la necessita' di verificare la sussistenza di un interesse oggettivamente valutabile a tale separata proposizione).
MUTATIO LIBELLI Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015 (Rv. 635536 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Di Iasi C. Relatore: Di Iasi C. P.M. Apice U. (Conf.)
La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali; ne consegue l’ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 c.p.c., dell’originaria domanda formulata ex art. 2932 c.c. con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo.
TESTAMENTO OLOGRAFO E DOMANDA DI ACCERTAMENTO NEGATIVO Sez. U, Sentenza n. 12307 del 15/06/2015 (Rv. 635554 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Travaglino G. Relatore: Travaglino G. P.M. Apice U. (Diff.)
La parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo.
La parte che intenda contestare l’autenticità del testamento olografo, prodotto in giudizio per far valere posizioni successorie ad esso ricollegabili, ha l’onere di proporre la relativa domanda di accertamento negativo circa la provenienza della scrittura testamentaria, a cui è correlato, quindi, alla stregua dei principi generali in materia, anche quello di provarne i fatti dedotti a suo fondamento.
DIFETTO DI POTERE DI RAPPRESENTANZA NEGOZIALE E MERA DIFESA
Cass., sez. un., 03-‐06-‐2015, n. 11377 (Est. Giusti).
In tema di contratto stipulato da falsus procurator, la deduzione del difetto o del superamento del potere rappresentativo e della conseguente inefficacia del contratto, da parte dello pseudo rappresentato, integra una mera difesa, atteso che la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è un elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato, sicché il giudice deve tener conto della sua assenza, risultante dagli atti, anche in mancanza di una specifica richiesta di parte.
REGIME DELLE ECCEZIONI DI MERITO
Cass., sez. un., 27-‐01-‐2016, n. 1518 (Est. Cirillo)
In tema di processo tributario, l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a seguito di sanatoria fiscale, ai sensi dell’art. 15 l. n. 289 del 2002, intervenuta nelle more del giudizio di primo grado può essere fatta valere per la prima volta anche in grado di appello, dovendosi ritenere che la deduzione degli effetti del condono, per il rilievo pubblicistico dell’originario rapporto sostanziale e processuale col fisco, integri una eccezione in senso improprio, non soggetta alle preclusioni di cui all’art. 57 d.leg. n. 546 del 1992 e rilevabile d’ufficio dal giudice, ove risulti dagli atti di causa anche a seguito di nuova produzione ex art. 58 d.leg. n. 546 cit.
REGIME DELLA NULLITA’ NEGOZIALE
Cass., sez. un., 12-‐12-‐2014, n. 26242 (Est. Travaglino).
La «rilevazione» ex officio delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o «di protezione») è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata «ragione più liquida», e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio; la loro «dichiarazione», invece, ove sia mancata un’espressa domanda della parte pure all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa (salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte) del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione.
La rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni
provenienti dalla Corte di giustizia, come una species del più ampio genus rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali -‐ quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 cost.) -‐ che trascendono quelli del singolo.
Il rilievo ex officio di una nullità negoziale -‐ sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o «di protezione» -‐ deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata «ragione più liquida», in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale.
l giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio.
Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità parziale del contratto deve rilevarne di ufficio la nullità totale, e, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo attribuire efficacia, neppure parziale (fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale), ad un negozio radicalmente nullo.
Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale, e, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo
inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo.
I poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale non possono estendersi alla rilevazione di una possibile conversione del contratto, ostandovi il dettato dell’art. 1424 c.c. -‐ secondo il quale il contratto nullo può, non deve, produrre gli effetti di un contratto diverso -‐ atteso che, altrimenti, si determinerebbe un’inammissibile rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, di quella convenzione negoziale.
Nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo.
DEPOSITO/PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA E DECORRENZA DEL TERMINE LUNGO
Sez. U, Sentenza n. 18569 del 22/09/2016 (Rv. 641078 -‐ 01) Presidente: Rordorf R. Estensore: Di Iasi C. Relatore: Di Iasi C. P.M. Sorrentino F. (Diff.)
Il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione. Qualora, peraltro, tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione, il giudice deve accertare -‐ attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla
regola di cui all'art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione -‐ quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo.
CANCELLAZIONE DALL’ALBO E NOTIFICA DELL’IMPUGNAZIONE
Sez. U -‐ , Sentenza n. 3702 del 13/02/2017 (Rv. 642537 -‐ 02)
Presidente: RORDORF RENATO. Estensore: ANTONIO MANNA. Relatore: ANTONIO MANNA. P.M. FUZIO RICCARDO. (Conf.) La notifica dell'atto d'appello eseguita al difensore dell'appellato che, nelle more del decorso del termine di impugnazione, si sia volontariamente cancellato dall'albo professionale, non è inesistente -‐ ove il procedimento notificatorio, avviato ad istanza di soggetto qualificato e dotato della possibilità giuridica di compiere detta attività, si sia comunque concluso con la consegna dell'atto -‐ ma nulla per violazione dell'art. 330 c.p.c., comma 1, in quanto indirizzata ad un soggetto non più abilitato a riceverla, atteso che la volontaria cancellazione dall'albo degli avvocati importa per il professionista la
simultanea perdita dello ius postulandi tanto nel lato attivo quanto in quello passivo. Tale nullità della notifica -‐ ove non sia stata sanata, con efficacia retroattiva, mediante sua rinnovazione dando tempestivamente seguito all'ordine ex art. 291 c.p.c., comma 1, o grazie alla volontaria costituzione dell'appellato -‐ importa nullità del procedimento e della sentenza d'appello, ma non anche il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, giacché l'art. 301 c.p.c., comma 1, deve ricomprendere tra le cause di interruzione del processo, secondo interpretazione costituzionalmente conforme in funzione di garanzia del diritto di difesa, anche l'ipotesi dell'avvocato che si sia volontariamente cancellato dall'albo, con l'ulteriore conseguenza che il termine di impugnazione non riprende a decorrere fino al venir meno della causa di interruzione o fino alla sostituzione del difensore volontariamente cancellatosi
Come la morte, la sospensione o la radiazione dall'albo dell'avvocato implicano, ai sensi del combinato disposto degli artt. 301 c.p.c., comma 1, e
art. 328 c.p.c., (quest'ultimo nel testo risultante dalla sentenza additiva n. 41/86 della Corte cost.), l'interruzione del termine breve per l'impugnazione (ma, soccorrendo la medesima ratio, anche di quello ex art. 327 c.p.c., comma 1), lo stesso deve avvenire in ipotesi di cancellazione volontaria dall'albo. Ulteriore corollario è che la notifica nulla non pregiudica il notificante, perché fino al venir meno della causa di interruzione o fino alla sostituzione del procuratore cancellatosi dall'albo il termine di impugnazione non riprende a decorrere.
INCOMPETENZA DEL GIUDICE D’APPELLO E TRANSLATIO IUDICII
Sez. U, Sentenza n. 18121 del 14/09/2016 (Rv. 641081 -‐ 01) Presidente: Rordorf R. Estensore: Matera L. Relatore: Matera L. P.M. Salvato L. (Conf.)
L'appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall'art. 341 c.p.c. non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della "translatio iudicii".
Sez. U, Sentenza n. 15996 del 29/07/2015 (Rv. 636104 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Travaglino G. Relatore: Travaglino G. P.M. Apice U. (Conf.)
La conservazione dell’appello ai fini della translatio iudicii non opera per l’impugnazione proposta allo
stesso giudice che ha emesso la sentenza impugnata (nella specie, medesimo tribunale, adìto quale tribunale regionale delle acque e poi quale tribunale superiore delle acque), mancando, in tal caso, uno strumento processuale che legittimi il passaggio dal primo al secondo grado.
FILTRO IN APPELLO E RICORSO IN CASSAZIONE PER SALTUM Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016 (Rv. 638369 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Di Iasi C. Relatore: Di Iasi C. P.M. Apice U. (Conf.)
L’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111, 7º comma, Cost., limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui agli art. 348 bis, 2º comma, e 348 ter, 1º comma, primo periodo e 2º comma, primo periodo, c.p.c.), purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso.
La decisione che pronunci l’inammissibilità dell’appello per ragioni processuali, ancorché adottata con ordinanza richiamante l’art. 348 ter c.p.c. ed eventualmente nel rispetto della relativa procedura, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una
sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti.
L’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell’art. 111, 7º comma, Cost., ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio «prognostico» che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione.
Sez. U -‐ , Sentenza n. 25513 del 13/12/2016 (Rv. 641784 -‐ 02)
Presidente: RORDORF RENATO. Estensore: FELICE MANNA. Relatore: FELICE MANNA. P.M. FUZIO RICCARDO.
Il ricorso per cassazione proposto in base all'art. 348-‐ter, comma 3, c.p.c. contro la sentenza di primo grado, non è soggetto, a pena d'inammissibilità, alla specifica indicazione della data di comunicazione o di notificazione, se avvenuta prima, dell'ordinanza che ha dichiarato inammissibile l'appello, in quanto l'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., si riferisce unicamente agli atti processuali ed ai documenti da cui i motivi d'impugnazione traggono il proprio sostegno giuridico quali mezzi diretti all'annullamento del provvedimento impugnato.
Nell’ipotesi di ordinanza di inammissibilità dell’appello emessa ai sensi dell’art. 348-‐bis c.p.c., per non avere l’impugnazione una ragionevole probabilità di essere accolta, il conseguente ricorso per cassazione proponibile in base all’art. 348-‐ter, terzo comma, c.p.c. contro la sentenza di primo grado entro 60 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza stessa o dalla sua notificazione, se avvenuta prima, è
soggetto, ai fini del requisito di procedibilità ex art. 369, secondo comma, n. 2 c.p.c., ad un duplice onere, quello di deposito della copia autentica della sentenza di primo grado e quello, inerente alla tempestività del ricorso, di provare la data di comunicazione o di notifica dell’ordinanza d’inammissibilità. Tale secondo onere è assolto dal ricorrente mediante il deposito della copia autentica dell’ordinanza con la relativa comunicazione o notificazione; in difetto il ricorso è improcedibile, salvo in esito alla trasmissione del fascicolo d’ufficio da parte della cancelleria del giudice a quo, che il ricorrente ha l’onere di richiedere ai sensi del terzo comma dell’art. 369 c.p.c., la Corte, nell’esercitare il proprio potere officioso di verifica della tempestività dell’impugnazione, rilevi che quest’ultima sia stata proposta nei 60 giorni dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell’una e dell’altra, entro il termine c.d. lungo di cui all’art. 327 c.p.c.
FASCICOLO MONITORIO E NOVA IN APPELLO Sez. U, Sentenza n. 14475 del 10/07/2015 (Rv. 635758 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Curzio P. Relatore: Curzio P. P.M. Apice U. (Diff.)
L'art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo introdotto dall'art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995) va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell'art. 638, terzo comma, cod. proc. civ., seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio "di non dispersione della prova" ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all'atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili.
SENTENZE NON DEFINITIVE E RICORSO PER CASSAZIONE Sez. U, Sentenza n. 25774 del 22/12/2015 (Rv. 637968 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Giusti A. Relatore: Giusti A. P.M. Apice U. (Conf.) La sentenza, con cui il giudice d'appello riforma o annulla la decisione di primo grado e rimette la causa al giudice "a quo" ex artt. 353 o 354 c.p.c., è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva, che non ricade nel divieto, dettato dall'art. 360, comma 3, c.p.c., di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi solo quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate.
Sez. U, Sentenza n. 3556 del 10/02/2017 (Rv. 642438 -‐ 02)
Presidente: RORDORF RENATO. Estensore: RAFFAELE FRASCA. Relatore: RAFFAELE FRASCA. P.M. FUZIO RICCARDO. (Diff.)
L'art. 360, comma 3, c.p.c., nel precludere la proponibilità del ricorso per cassazione avverso le "sentenze che decidono questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio", fa riferimento alla nozione di "giudizio" quale procedimento devoluto al giudice di appello e non come processo nella sua complessiva pendenza, sicché, mentre soggiace al suddetto limite la sentenza non definitiva, resa dal giudice di appello ex art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c., cui seguano i provvedimenti per l'ulteriore corso del giudizio medesimo, è, al contrario, immediatamente ricorribile per cassazione la sentenza con cui, per effetto di gravame immediato, ex art. 340 c.p.c., avverso la sentenza non definitiva resa dal giudice di primo grado ai sensi del richiamato art. 279 c.p.c., il giudice di appello rigetti, nel merito o in rito,
l'impugnazione, confermando la decisione di prime cure.
Con riferimento al ricorso per cassazione proposto da una parte e non notificato al p.m. presso il giudice a quo, in un procedimento in cui è previsto l’intervento dello stesso, la mancanza di notifica -‐ che non costituisce motivo di inammissibilità, improcedibilità o nullità del ricorso -‐ non rende neppure necessaria l’integrazione del contraddittorio tutte le volte che, non avendo il p.m. il potere di promuovere il procedimento, le sue funzioni si identificano con quelle svolte dal procuratore generale presso il giudice «ad quem» e sono assicurate dalla partecipazione di quest’ultimo al giudizio di impugnazione; al contrario, detta integrazione è necessaria nelle controversie in cui il p.m. è titolare del potere di impugnazione, trattandosi di cause che avrebbe potuto promuovere o per le quali il potere di impugnazione è previsto dall’art. 72 c.p.c.
IL VIZIO DI “OMESSO ESAME CIRCA UN FATTO” CONTROVERSO E DECISIVO (art. 360, n. 5, c.p.c.)
Cass., sez. un., 07-‐04-‐2014, n. 8053.
Le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui all’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, 1º comma, n. 5, c.p.c. ed i limiti d’impugnazione della «doppia conforme» ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 348 ter c.p.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce dell’art. 62 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, non ha connotazioni di specialità; ne consegue che l’art. 54, 3º comma bis, d.l. n. 83 del 2012, quando stabilisce che «le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al d.leg. 31 dicembre 1992, n. 546», si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito.
La riformulazione dell’art. 360, 1º comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in
l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione.
L’art. 360, 1º comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli art. 366, 1º comma, n. 6, e 369, 2º comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
VIZI DEL RICORSO PER CASSAZIONE E DELLA NOTIFICAZIONE
Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016 (Rv. 640603 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Virgilio B. Relatore: Virgilio B. P.M. Apice U. (Conf.)
L'inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell'attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi
della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, "ex lege", eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.
Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell'atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell'ambito della nullità dell'atto, come tale sanabile, con efficacia "ex tunc", o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c.
Sez. U, Sentenza n. 14594 del 15/07/2016 (Rv. 640441 -‐ 01) Presidente: Rordorf R. Estensore: Curzio P. Relatore: Curzio P. P.M. Giacalone G. (Conf.)
In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa.
Sez. U, Sentenza n. 18121 del 14/09/2016 (Rv. 641080 -‐ 01) Presidente: Rordorf R. Estensore: Matera L. Relatore: Matera L. P.M. Salvato L. (Conf.)
La mancanza nella copia notificata del ricorso per cassazione, il cui originale risulti tempestivamente
depositato, di una o più pagine non comporta l'inammissibilità del ricorso, ma costituisce vizio della notifica sanabile, con efficacia "ex tunc", mediante nuova notifica di una copia integrale, su iniziativa dello stesso ricorrente o entro un termine fissato dalla Corte di cassazione, ovvero per effetto della costituzione dell'intimato, salva la possibile concessione a quest'ultimo di un termine per integrare le sue difese.
Sez. U, Sentenza n. 11383 del 31/05/2016 (Rv. 639971 -‐ 01) Presidente: Canzio G. Estensore: Giusti A. Relatore: Giusti A. P.M. Sgroi C. (Conf.)
Nel procedimento di cassazione, ai sensi degli artt. 136 e 366 c.p.c., in virtù di un'interpretazione orientata all'effettività del diritto di difesa e alla ragionevole durata del processo, il cancelliere può eseguire la comunicazione dei provvedimenti tramite deposito in cancelleria (sempre che il difensore non abbia eletto domicilio in Roma) solo se non è andata a buon fine la trasmissione a mezzo posta
elettronica certificata, né quella via fax. (Fattispecie anteriore alla disciplina sulle comunicazioni telematiche obbligatorie ex art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. n. 221 del 2012, divenuta operativa riguardo al procedimento di cassazione dal 15 febbraio 2016 per effetto di d.m. 19 gennaio 2016).
Sez. U, Sentenza n. 7665 del 18/04/2016 (Rv. 639285 -‐ 01) Presidente: Macioce L. Estensore: Cirillo E. Relatore: Cirillo E. P.M. Sgroi C. (Conf.)
L'irritualità della notificazione di un atto (nella specie, controricorso in cassazione) a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica (nella specie, in "estensione.doc", anziché "formato.pdf") ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale.
FILTRO IN CASSAZIONE E “INAMMISSIBILITA’ DI MERITO” DEL RICORSO
Cass., sez. un., 21/03/2017, n. 7155
L'art. 360 bis è una norma-‐filtro perché consente di delibare rapidamente ricorsi "inconsistenti". Si tratta pur sempre di una "inammissibilità di merito", compatibile con la garanzia dell'art. 111, settimo comma, Cost.
È inammissibile, e non anche infondato nel merito, il ricorso proposto in difformità alla previsione di cui all'art. 360 bis, n. 1, c.p.c. Le ragioni di inammissibilità contemplate dalla citata disposizione possono investire anche soltanto singoli motivi di ricorso e non devono perciò necessariamente comportare l'inammissibilità del ricorso nel suo insieme, ove questo consti di più motivi. La situazione di inammissibilità contemplata dall'art. 360 bis c.p.c. lascia del tutto intatta, pur riducendone la portata applicativa, l'ipotesi di rigetto per manifesta infondatezza del ricorso contemplata dal successivo art. 375 c.p.c., che riguarda ogni altro possibile caso di infondatezza, manifesta sì, ma non dipendente
dall'assenza di ogni confronto critico con una precedente giurisprudenza consolidata.
INAMMISSIBILITA’ DELLA REVOCAZIONE DELLA SENTENZA DI CASSAZIONE PER CONTRARIETA’ A PRECEDENTE GIUDICATO
Sez. U, Sentenza n. 23833 del 23/11/2015 (Rv. 637609 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Di Iasi C. Relatore: Di Iasi C. P.M. Apice U. (Diff.)
È inammissibile il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 5, c.p.c. nei confronti delle sentenze pronunziate dalla corte di cassazione, trattandosi di motivo di revocazione non contemplato dalla disciplina positiva; né è possibile pervenire, in via interpretativa, ad una differente soluzione per le sentenze che abbiano deciso nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. giacché l’art. 391 ter c.p.c., introdotto dal d.leg. n. 40 del 2006, pur ampliando il novero dei mezzi di impugnazione esperibili avverso dette pronunce, non ha incluso tale ipotesi.
LITISCONSORTE NECESSARIO PRETERMESSO E OPPOSIZIONE DI TERZO ORDINARIA (art. 404, comma 1, c.p.c.) Sez. U, Sentenza n. 1238 del 23/01/2015 (Rv. 634087 -‐ 01) Presidente: Rovelli LA. Estensore: Frasca R. Relatore: Frasca R. P.M. Finocchi Ghersi R. (Conf.)
In tema di tutela possessoria, qualora la reintegrazione o la manutenzione del possesso richieda, per il ripristino dello stato dei luoghi, la demolizione di un’opera in proprietà o possesso di più persone, il comproprietario o compossessore non autore dello spoglio è litisconsorte necessario non solo quando egli, nella disponibilità materiale o solo in iure del bene su cui debba incidere l’attività ripristinatoria, abbia manifestato adesione alla condotta già tenuta dall’autore dello spoglio o abbia rifiutato di adoperarsi per l’eliminazione degli effetti dell’illecito, ovvero, al contrario, abbia dichiarato la disponibilità all’attività di ripristino, ma anche nell’ipotesi in cui colui che agisca a tutela del suo possesso ignori la situazione di compossesso o di
comproprietà, perché in tutte queste fattispecie anche il compossessore o comproprietario non autore della condotta di spoglio è destinatario del provvedimento di tutela ripristinatoria.
Il litisconsorte necessario pretermesso (come anche il terzo titolare di diritto autonomo e incompatibile, il falsamente rappresentato e il titolare di status incompatibile con quello accertato tra altre parti), che ai sensi dell’art. 404 c.p.c. è ammesso all’opposizione ordinaria avverso la sentenza resa in un giudizio inter alios, può anche proporre una azione di accertamento autonoma della sua posizione, ma, sino al passaggio in giudicato della sentenza che riconosca la situazione come da lui dedotta, gli è preclusa ogni tutela, anche cautelare, avverso l’efficacia esecutiva o gli affetti esecutivi o accertativi derivanti dalla sentenza inter alios non opposta.
Il terzo legittimato all’opposizione ordinaria ai sensi dell’art. 404, 1º comma, c.p.c., ancorché litisconsorte necessario pretermesso (così come il titolare di diritto autonomo e incompatibile, il falsamente
rappresentato, il titolare di status incompatibile con quello accertato inter alios), non può, al fine di incidere sull’efficacia del titolo, proporre opposizione ai sensi dell’art. 615, 1º e 2º comma, c.p.c., avverso l’esecuzione promossa sulla base del titolo giudiziale costituito dalla sentenza pronunciata pur nella sua pretermissione, neppure se la procedura esecutiva, in forma specifica e formalmente diretta contro la parte della sentenza opponibile, lo coinvolga quale detentore materiale del bene, ma può far valere la sua situazione per bloccare l’esecuzione (o l’esecutività del titolo) esclusivamente con l’opposizione ordinaria, nel cui ambito ottenere, ai sensi dell’art. 407 c.p.c., la sospensione dell’esecutività della sentenza.
Il terzo legittimato all’opposizione ordinaria ai sensi dell’art. 404, 1º comma, c.p.c., non può, ancorché litisconsorte necessario pretermesso, proporre opposizione all’esecuzione promossa sulla base di un titolo giudiziale formatosi inter alios, salvo che sostenga che quanto stabilito dal predetto titolo sia stato soddisfatto oppure sia stato modificato da
vicende successive, sicché non vi è più nulla da eseguire, nel qual caso deve ritenersi legittimato ai sensi dell’art. 615 c.p.c.; ove, inoltre, l’esecuzione del titolo formatosi inter alios si estenda al di fuori dell’oggetto previsto nella statuizione giudiziale, sicché, l’esecuzione non è sorretta dal titolo, il terzo può opporsi, nelle forme dell’art. 619 c.p.c., quale soggetto la cui posizione è effettivamente incisa dalla esecuzione, ancorché formalmente terzo rispetto ad essa.
ARBITRATO E IMPUGNAZIONE PER NULLITA’ DEL LODO RITUALE PER ERRORES IN IUDICANDO Sez. U, Sentenza n. 9284 del 09/05/2016 (Rv. 639686 -‐ 01) Presidente: Rordorf R. Estensore: Nappi A. Relatore: Nappi A. P.M. Basile T. (Diff.)
In tema di arbitrato, l'art. 829, comma 3, c.p.c., come riformulato dall'art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 27 del d.lgs. n. 40 cit., a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge -‐ cui l'art. 829, comma 3, c.p.c., rinvia -‐ va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicché, in caso di convenzione cd. di diritto comune stipulata anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina, nel silenzio delle parti deve intendersi ammissibile l'impugnazione del lodo, così disponendo l'art. 829, comma 2, c.p.c., nel testo
previgente, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile.
Sez. U, Sentenza n. 9285 del 09/05/2016 (Rv. 639687 -‐ 01) Presidente: Rordorf R. Estensore: Nappi A. Relatore: Nappi A. P.M. Basile T. (Diff.)
In tema di arbitrato, l'art. 829, comma 3, cod. proc. civ., come riformulato dall'art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 27 del d.lgs. n. 40 cit., a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge -‐ cui l'art. 829, comma 3, cod. proc. civ., rinvia -‐ va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicché, in caso di clausola compromissoria societaria, inserita nello statuto anteriormente alla novella, è ammissibile l'impugnazione del lodo per "errores in iudicando" ove "gli arbitri, per decidere, abbiano conosciuto di
questioni non compromettibili ovvero quando l'oggetto del giudizio sia costituito dalla validità delle delibere assembleari", così espressamente disponendo la legge di rinvio, da identificarsi con l'art. 36 del d.lgs. n. 5 del 2003.
LEGITTIMAZIONE DEL CURATORE A ESPERIRE LE AZIONI DI RESPONSABILITA’ VERSO GLI ORGANI SOCIETARI
Cass., sez. un., 23-‐01-‐2017, n. 1641 (Est. Nappi)
Il curatore fallimentare è legittimato, tanto in sede penale, quanto in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione della par condicio creditorum.
L'azione di responsabilita' sociale ex articolo 2393 c.c., ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla societa' da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo; l'azione di responsabilita' verso i creditori sociali ex articolo 2394 c.c., ha natura extracontrattuale e presuppone l'insufficienza patrimoniale cagionata dall'inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.
Il curatore fallimentare, quando agisce postulando indistintamente la responsabilita' degli amministratori, fa valere sia l'azione che spetterebbe alla societa', in quanto gestore del patrimonio dell'imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate pero' quali "azioni di massa" in ragione della L.F. , articolo 146.
E il titolo di responsabilita' extracontrattuale ex articolo 2394 c.c., puo' certamente risultare riferibile anche al danno da reato ex articolo 185 c.p.