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ARkEVINO. GUIDA ALLE STRADE DEL VINO E DEI SAPORI

STRADE DEL VINO D'ABRUZZOStrada del Vino Controguerra - Strada del Vino Colline Aprutine - Strada del Vino Tremonti e Valle Peligna Strada del Vino Tratturo del Re - Strada del Vino Colline del Ducato - Strada del Vino Colline TeatineC/o Virgola Comunicazione - Via Raffaello 73/bis - 65124 PescaraTel. 085 4715036 - Fax. 085 4718033 [email protected] - www.virgolacom.it

Ciò che caratterizza l’Abruzzo è la presenza delle “vie verdi” dei trat-

turi, i luoghi della transumanza delle greggi. Quello della tran-sumanza rappresenta infatti un modo di conoscere terre e usi diversi e nel XV secolo ebbe il massimo della diffusione. Nel 1447 fu emanata una legge da Alfonso I di Aragona che divi-deva le vie della transumanza in tratturi (larghi fi no a 110 metri), tratturelli e bracci, e sanciva di-ritti e obblighi dei pastori. Oggi i tratturi sono i grandi sentieri verdi del trekking e dell’equi-tazione del Duemila. Probabil-mente se ne richiederebbe una tutela normativa, ai fi ni di una loro maggior valorizzazione e promozione. I sei itinerari del vino promossi in Abruzzo, che insistono tutti nei territori delle Denominazio-ni Montepulciano d’Abruzzo, Montepulciano d’Abruzzo Ce-

rasuolo e Trebbiano d’Abruzzo, sono la Strada del Vino di Con-troguerra (che da Alba Adriatica sale su per Colonnella e le sue frazioni, mentre verso sud coin-volge l’areale di Nereto e Torano Nuovo), la Strada del Vino Col-line del Ducato (che da Giulia-nova, vicino Teramo, si inerpica per Mosciano, Penne, Morro d’Oro, Santa Maria di Propez-zano), la Strada del Vino Colline Aprutine (che da Montesilvano va verso Penne, Loreto Aprutino e poi Chieti), la Strada del Vino Colline Teatine (che congiunge Francavilla al Mare con Chieti, Orsogna, Caldari e Ortona), la Strada del Vino Tremonti e Valle Peligna (che congiuge Pescara, l’Altopiano di Navelli con la Val-le Peligna, quindi Popoli, Vittori-to, Raiano) e infi ne la Strada del Vino Tratturo del Re, che con-giunge San Vito Chietino, Vasto e Casalbordino.L’aspetto e l’atmosfera che si re-

spirano in questi territori rac-contano una storia antica, fatta di tradizioni, di arti e di mestieri che si tramandano da generazio-ni e che tratteggiano il carattere solido delle popolazioni locali, dedite all’agricoltura, alla pa-storizia e ad attività artigianali come la tessitura a mano, la ce-ramica, la lavorazione del ferro battuto e del vetro, della pietra e del legno, del merletto e del ri-camo. Tutte attività manuali - i cui manufatti si ritrovano anche nelle architetture locali - che tut-tora scandiscono lo scorrere del tempo. L’agricoltura e la pastorizia han-no improntato la cucina di questi monti e di queste valli. Prodotti semplici come formaggio pecori-no, ricotta e caciocavallo, pecora e altre carni sono gli elementi che caratterizzano le ricette più gustose. Tra i dolci non si posso-no evitare i friabili torroncini a base di mandorla, i mostaccioli,

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gli scartafuccitti o le scarzelle, cotte con un ferro arroventato. Tra i dolci confezionati è stato creato U dulcit, panetto a base di mandorle dalla simpatica for-ma a orsetto, simbolo del par-co, prodotto da un laboratorio artigianale. Tipicamente locale la Scruppella, fritto di pasta lie-vitata dalla lunga preparazione (si impiega di media più di un giorno per impastare e friggere), un tempo preparato solo per le grandi occasioni. Legumi, or-taggi e miele trovano nei terreni incontaminati del parco le con-dizioni ideali di crescita.Merita una visita il Gran Sasso.Il Parco si apre alla vista con uno scenario maestoso ed ar-monioso che infonde sensazioni di pace, sprigionando quasi un sentire di profonda spirituali-tà, sensazione che comunicano del resto tutte le antiche terre di transumanza vissute nei secoli di pastorizia e vita agreste sullo sfondo di eremi e abbazie. Terra di viaggi e soggiorni spirituali che, abbracciando le province di Ascoli Piceno, L’Aquila, Pescara e Rieti, si snoda fra gruppi mon-tuosi, altopiani intramontani, ca-

lanchi e poi distese collinari che guardano lontano fi n verso la costa. Paesaggi fuori dal tempo sorprendentemente diversi, che si susseguono fra antichi borghi, quasi tutti piccolissimi, arroccati su crinali in pendenza, canyons selvaggi e imponenti, collocati dalla natura in una dimensione spazio/temporale ferma, le cui lancette sono scandite dall’amo-re degli abitanti che ci vivono (pochi a onor del vero) ancorati a tradizioni consolidate in sti-li di vita. Andata fi nalmente in pensione l’iconografi a delle pe-core e delle zampogne, quel che rimane uno degli angoli più in-contaminati dello stivale Italia. Il Parco del Gran Sasso (il mon-te più alto dell’Appennino, con i suoi 2.912 metri) e Monti della Laga, si sviluppa su tre regioni, cinque province, quarantaquat-tro comuni, e tre gruppi mon-tuosi. Incastonato nella parte più impervia e selvaggia dell’Ap-pennino, è attraversato da rari-tà naturalistiche che convivono con i capolavori di storia, arte, cultura, riferiti tutti all’operare umano e che si apprezzano nei 44 comuni che ne fanno parte.

Vicini di casa rispetto a località quali Castel del Monte (uno dei centri più alti del Gran Sasso), Calascio, Santo Stefano di Ses-sanio (appartiene ai borghi più belli d’Italia per l’accurata opera di ristrutturazione nel rispetto delle tradizioni e dell’antico gu-sto proprio della civiltà pastora-le), Castelli (paese/laboratorio in materia di ceramiche, da cui il bel Museo delle Ceramiche con maioliche del Cinquecento) sono il lupo, l’orso, il camoscio, la lon-tra, il piviere tortolino. Anche la gastronomia rifl ette questa cul-tura agro-silvo-pastorale. Assai rinomato il pecorino di Farin-dola, per il quale si utilizza il caglio di maiale e il “marcetto” di Castel del Monte, formaggio locale cremoso e assai piccante. La cultura del maiale anche qui ha radici profondissime, basti pensare alle mortadelle di Cam-potosto, la ventricina della Laga, la salsiccia di fegato o il guancia-le all’Amatriciana (da cui il sugo omonimo), mentre legumi come ceci, fagioli, lenticchie e cicerchie godono di specifi ci areali di pro-duzione. Merita una visita anche il Parco Nazionale d’Abruzzo.

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Si tratta di uno dei più longevi d’Italia, essendo il 1923 l’anno della sua legale istituzione. E’ il parco nazionale d’Abruzzo, così come è comunemente chiamato, che in realtà si estende per minor superfi cie anche fra Lazio e Mo-lise. La sua data di nascita così vetusta è sintomatica del grande interesse naturalistico della zona, già in un’epoca in cui non si par-lava di ambiente, né di ecologia, né di sviluppo sostenibile. Il perimetro del parco non è semplicemente un tracciato sui crinali dell’Appennino dal qua-le è di fatto estrapolato, ma l’in-dicazione precisa di un areale particolarmente ricco di specie faunistiche, anche uniche, e di oltre 2000 specie vegetali, tra cui alcune rarità assolute come il giaggiolo della Marsica o l’or-chidea Scarpetta di Venere, che hanno trovato nelle radure e negli anfratti del parco l’ultimo rifugio. Ma anche di splendide faggete, che nei mesi autunnali si tingono di giallo, rosso e oro, offrendo spettacoli di ecceziona-le suggestione. Una escursione è suffi ciente per rendersi conto che qui la natura ha ricevuto un ri-

spetto singolare ed è stata lascia-ta libera di prosperare e moltipli-carsi spontaneamente. Tuttavia la conservazione dell’ambiente non è stata avulsa dal contesto sociale ed economico, talché oggi tutta la popolazione partecipa indirettamente al benessere del parco stesso. Tutte le attività e le infrastrutture esistenti per la

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fruizione del parco hanno altre-sì consentito la rivitalizzazione di piccoli centri storici di grande valore, come ad esempio Civitel-la Alfedena, che da solo merita un’attenta visita e rimane sicu-ramente uno dei principali punti di partenza per le escursioni. Un villaggio minuscolo (sono solo 300 gli abitanti), dalla posizione incantevole tra prati e corsi d’ac-qua, che ha saputo coniugare la difesa della natura con lo svilup-po socioeconomico, diventando emblema dell’ecosviluppo ita-liano. Nel suo territorio si trova la celebre Camosciara, dove si possono ammirare in libertà gli esemplari più preziosi e rari della fauna appenninica come il lupo, il camoscio, il cervo, il ca-priolo, l’aquila reale e il raro orso bruno marsicano. Questo grande mammifero, timido e pacifi co, è solito attraversare le foreste e le praterie lontano dagli sguardi dell’uomo, nelle ore notturne, la sera o di prima mattina. Sopravvissuto in questo lembo di natura all’ultima era glaciale, e per questo ancora più prezioso, il suo profi lo è entrato a far parte del logo del parco.

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