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LA RAPPRESENTANZA PERMANENTE UE: UN INCIDENTE DIPLOMATICO? Febbraio 2016

Rappresentanza Permanente d'Italia presso la UE

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LA RAPPRESENTANZA PERMANENTE UE: UN INCIDENTE DIPLOMATICO?

Febbraio 2016

Secondo la Convenzione di Vienna (1975) per Rappresentanza Permanente si intende la missione diplomatica di un qualsiasi Stato presso un’organizzazione internazionale, come l’ONU o l’Unione Europea.

Con l’istituzione di una Rappresentanza Permanente, uno Stato persegue l’obiettivo di mantenere una relazione costante con un’organizzazione ritenuta di importanza strategica per i propri interessi.

L’Italia ha rappresentanze permanenti presso l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa, l’ONU, l’OCSE, la NATO, l’UNESCO, la FAO e l’IFAD.

LA RAPPRESENTANZA PERMANENTE: COS’È?

LA RAPPRESENTANZA PERMANENTE D’ITALIA PRESSO L’UE

La Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea ‒per gli amici PermRep ‒ ha sede a Bruxelles. Le sue principali attività sono:

promuovere e difendere le posizioni italiane presso l’UE, soprattutto nei lavori pre-Consiglio dei Ministri; mantenere le relazioni con le istituzioni europee, in particolare con il Parlamento e la Commissione.

La Rappresentanza Permanente è, insomma, il vero e costante punto di contatto tra l’Italia e l’Unione Europea!

La nostra Rappresentanza presso l’UE è una delegazione composta da personale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale e da funzionari distaccati da altre Amministrazioni, a seconda delle competenze specifiche richieste.I membri della Rappresentanza sono suddivisi per funzioni. Ciascun gruppo si occupa della gestione dei dossier in una delle politiche dell’Unione Europea: dal mercato interno all’agricoltura, dai trasporti all’industria, per un totale di 16 diversi ambiti. La Rappresentanza è guidata dal Rappresentante Permanente d’Italia presso l’Unione Europea, a capo dell’intera struttura.

LA RAPPRESENTANZA PERMANENTE: STRUTTURA E FUNZIONI

GENNAIO 2016: CAMBIO DELLA GUARDIA!

Dal gennaio 2016 l’Italia ha un uomo nuovo al comando della propria diplomazia a Bruxelles: il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato la nomina del nuovo Rappresentante Permanente presso l’Unione Europea.

Il prescelto è Carlo Calenda, Vice-ministro dello Sviluppo Economico. Prenderà il posto di Stefano Sannino, nominato Capo della Rappresentanza diplomatica a Madrid.Sannino lascia Bruxelles in anticipo: nominato dal Governo guidato da Enrico Letta, sarebbe dovuto rimanere in carica ancora un anno.

Laureato in Giurisprudenza e specializzato in Diritto Internazionale, Carlo Calenda era Viceministro dello Sviluppo Economico dal 2013: nominato da Enrico Letta, è stato confermato da Matteo Renzi.Calenda ha un passato da manager d’azienda: prima di entrare al Governo, è stato in Ferrari e in Sky. Nel curriculum del nuovo Rappresentante Permanente c’è anche un’esperienza in Confindustria.Da Viceministro dello Sviluppo Economico si è sempre occupato di commercio estero e di attrazione di investimenti, curando in particolare il dossier sulla Cina.

CARLO CALENDA: CONOSCIAMOLO MEGLIO

DA SANNINO A CALENDA: PERCHÉ?

Per comprendere la ragione dell’avvicendamento occorre allargare lo sguardo all’attuale stato delle relazioni tra l’Italia e le istituzioni UE, in particolare con la Commissione Europea.Nei mesi scorsi, Matteo Renzi ha inaugurato una linea più dura nei confronti dell’UE, quanto meno sul fronte delle dichiarazioni ufficiali, chiedendo maggiore flessibilità:

«Non rinuncerò a difendere l’interesse nazionale. Non penso che per essere credibili in Europa si debba

sempre dire sì alle richieste degli altri».Secondo voci da Palazzo Chigi, Stefano Sannino ‒ diplomatico di lungo corso ‒ era ritenuto troppo morbido verso l’UE. Calenda, uomo di stretta osservanza renziana, garantirebbe quindi una maggiore coerenza con il nuovo approccio del Governo nei corridoi di Bruxelles.

UNA SVOLTA STORICA?

Il cambio Sannino-Calenda può sembrare una vicenda per soli addetti ai lavori ‒ e in effetti un po’ lo è! ‒ ma rischia di avere un’importanza ben maggiore di quella di un normale avvicendamento ad alto livello.Già, perché il posto di Rappresentante Permanente, in quanto Capo di una rappresentanza diplomatica, è stato storicamente assegnato a un Ambasciatore, il grado più alto della carriera diplomatica: l’Ambasciatore Sannino, non faceva eccezione.Con la nomina di Calenda, un politico estraneo al mondo della diplomazia guiderà una Rappresentanza diplomatica: una vera rivoluzione per l’Italia! Il Governo ha parlato di «misura eccezionale, adottata in circostanze particolari». Ma i diplomatici di carriera hanno alzato il livello di guardia.

DIPLOMATICI IN RIVOLTA

Dopo l’annuncio della nomina, è scoppiato il “caso Calenda”: oltre 250 tra giovani diplomatici e Ambasciatori veterani hanno scritto due diverse lettere al Governo, per manifestare disappunto e preoccupazione.Nel testo inviato a Renzi si legge:

«Non ci s’improvvisa Ambasciatori. Si diventa diplomatici non solo col superamento di un concorso pubblico, ma

soprattutto attraverso un percorso di professionalità, responsabilità, continue valutazioni. […] Chiediamo fin d’ora

una conferma dell’eccezionalità di questa scelta e del fatto che non si avranno in futuro altre nomine politiche».

Nel testo inviato al Segretario Generale della Farnesina, i toni sono ancora più duri: si chiede al Ministero di attuare «tutte le iniziative opportune e necessarie per un ripensamento di questa decisione». È proprio il caso dirlo: un vero e proprio incidente diplomatico!

OFFRESI ITALIA, 2 VANI + SERVIZI?

Inoltre, un po’ più seriamente, pare che la diplomazia italiana sia preoccupata che simili scelte riprendano una linea annunciata ‒ e mai applicata ‒ da governi precedenti: quella di trasformare i diplomatici in semplici “agenti di commercio”. Rappresentanti privi di competenze e sempre meno dotati di autonomia decisionale, a scapito della qualità complessiva della nostra Rappre-sentanza.

La diplomazia italiana, lo avrete capito, non ha pro-priamente esultato per la no-mina di Carlo Calenda alla testa della nostra delegazio-ne a Bruxelles. I motivi?Di certo, un po’ di innegabile snobismo dei nostri diplo-matici. La consapevolezza di appartenere a un’élite, in-somma: «non vorrete mica involgarire la nostra profes-sione con l’ingresso di un mestierante?».

Il ruolo del diplomatico non è dei più semplici: occorrono conoscenza dell’ambito di azione, del Paese in cui si opera, del contesto storico e politi-co, degli interessi in gioco. Servono poi grandi doti di negoziazio-ne per mettere insieme i pezzi.Proprio per questo, storicamente, la carriera diplomatica in Italia è accessi-bile soltanto mediante un concorso pubblico, tra i più selettivi in assoluto.

NON È UN LAVORO PER TUTTI…

«Non ci si improvvisa Ambasciatori».

Su questo punto, i giovani diplomatici hanno ragione da vendere. Ma davvero l’unico modo per diventare Ambasciatori è superare il concorso e avviarsi alla carriera diplo-matica?

… MA TUTTI POSSONO FARLO!

Se il superamento del concorso è il canale esclusivo di accesso alla carriera diplomatica, per quanto riguarda la nomina degli Ambasciatori si tratta certamente del percorso più appropriato e largamente utilizzato… ma non l’unico.Subito dopo la II Guerra mondiale ‒ unico caso prima di Calenda ‒ alcuni politici membri del Comitato di Liberazione Nazionale furono nominati Ambasciatori: per esempio, Carandini a Londra, Tarchiani a Washington o Fenoaltea a Pechino. Di certo, quelle sì, erano circostanze eccezionali! Per la legge italiana, però, non occorre alcuna “circostanza ecce-zionale” per nominare un politico a capo di una Rappresentanza: il Decreto Presidenziale sull’Ordinamento n.18/1986, che disciplina gli aspetti relativi alla nostra rappresentanza all’estero, non prevede infatti l’obbligo di nominare un diplomatico nel ruolo di Amba-sciatore. Qualcuno sembra averlo dimenticato.

Politici, alti funzionari, imprenditori, cit-tadini privati: teoricamente, tutti posso-no essere nominati Ambasciatori! Certo, occorrono competenze e profes-sionalità adatte, ed è il motivo per cui i nostri Ambasciatori sono quasi tutti dei diplomatici. All’estero, però, la prassi di nominare dei non diplomatici a capo di un’Am-basciata è assai diffusa: gli Stati Uniti sono l’esempio più conosciuto.

TU VUÒ FA’ L’AMERICANO?

Ex Presidenti, imprendi-tori, funzionari di rango: gli Ambasciatori USA in giro per il mondo hanno pro-venienze diverse tra loro. Sono nominati dal Presi-dente secondo una logica molto vicina allo spoils sy-stem: fiducia nella persona e nelle sue competenze e nomina diretta.

LA DIPLOMATIE À LA GUERRE!

La levata di scudi dei nostri diplomatici ha suscitato scalpore: difesa sindacale di una categoria che teme di perdere un privilegio, o monito a tutela della qualità necessaria per un ruolo così delicato?Di certo, “diplomatici sul piede di guerra” ‒ per definizione ‒ non capita di vederne spesso!

Insomma: per fare l’Amba-sciatore occorrono compe-tenze e qualità eccezio-nali. Chi rappresenta uno Stato deve esserne capace: in questo senso, il percorso di carriera diplomatica è una garanzia. Tuttavia, è innegabile che esistano persone che, per la propria storia, le proprie relazioni o il proprio ruolo nella società, potrebbero be-nissimo svolgere le funzioni diplomatiche.

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