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OPERA ARMIDA BARELLI PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO CORSO PER OPERATORE SOCIO SANITARIO SEDE DI LEVICO TERME ASPETTI PSICOLOGICI LEGATI AI BISOGNI ASSISTENZIALI (Modulo Generale 1 Unità Didattica n° 1-2-3-5) A cura di: Sandra De Carli Docente: Sandra De Carli Data di pubblicazione: 28 ottobre 2014 Materiale didattico ad uso interno

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OPERA ARMIDA BARELLI

PROVINCIA AUTONOMA

DI TRENTO

CORSO PER OPERATORE SOCIO SANITARIO

SEDE DI LEVICO TERME

ASPETTI PSICOLOGICI LEGATI

AI BISOGNI ASSISTENZIALI

(Modulo Generale 1 – Unità Didattica n° 1-2-3-5)

A cura di: Sandra De Carli

Docente: Sandra De Carli

Data di pubblicazione: 28 ottobre 2014

Materiale didattico ad uso interno

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INDICE

Premessa ………………………………………………………………. pag. 01

Il bisogno di riposo e sonno …………………………………………… pag. 04

Il bisogno di nutrimento ………………………………………………. pag. 05

il bisogno di cura di sé …………………………………………………. pag. 09

Il bisogno di eliminazione urinaria e intestinale…………………….. pag. 12

Il bisogno di movimento ………………………………………………. pag. 13

La personalizzazione e l’igiene dell’ambiente di vita………………… pag. 14

Domande guida allo studio ………………………………………….... pag. 16

Bibliografia …………………………………………………………….. pag. 16

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ASPETTI PSICOLOGICI

LEGATI AI BISOGNI ASSISTENZIALI

(liberamente tratto dai testi citati in bibliografia)

PREMESSA

Sono sempre più numerose le persone, soprattutto se anziane e sole, che richiedono, in

modo temporaneo o permanente, l'intervento, in ambito privato o pubblico, di personale di cura

qualificato che sia in grado di aiutarle efficacemente a mantenere una qualità ed uno stile di vita,

altrimenti impossibile da conservare a causa di molteplici fattori.

Ciò che caratterizza l'assistenza di qualità è l'attenzione che l’operatore pone alla persona

nella sua globalità e unicità cogliendo costantemente gli aspetti psicologici che sempre

accompagnano qualsiasi bisogno assistenziale e che ogniqualvolta vengono ignorati o disattesi

provocano nell'utente uno stato di frustrazione, quando non addirittura di rabbia.

Questo lavoro intende mettere in risalto gli aspetti psicologici più salienti, legati ai bisogni

primari, che possiamo riscontrare e di cui dobbiamo tenere conto nella prassi assistenziale. E' vero

infatti che se vogliamo migliorare la qualità dei servizi e dell'assistenza dobbiamo diventare

sempre più sensibili non tanto a "ciò" che si fa, quanto a "come" lo si fa.

Questa consapevolezza è tanto più utile e necessaria per l'operatore se consideriamo come

i soggetti istituzionalizzati investano in modo molto significativo il riconoscimento della loro

peculiarità di persone, attraverso l'accettazione e l'interpretazione corretta, da parte del personale

professionale come da parte degli altri ospiti, di alcune loro tipiche abitudini o modalità

comportamentali.

Per chi ha la sensazione di aver perso il controllo e talvolta congiuntamente anche il senso

della propria esistenza, sensazione che in un certo senso corrisponde alla realtà in un malato di

Alzheimer, sentendosi sempre più spinto nell'anonimato dell'istituzione e di se stesso, diventa

vitale il poter contare sull'aiuto di operatori professionali qualificati, estremamente sensibili e pronti

a decifrare e ad accogliere quelle richieste, soprattutto di protezione e di sicurezza, che ogni

bisogno assistenziale sottende e sollecita.

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La relazione con la persona assistita non è un di più o un qualcosa di diverso da ciò

che quotidianamente un operatore è chiamato a fare. Anzi! Tutto passa proprio attraverso la

concretezza della sua umanità. Può consistere nel fare concretamente qualcosa per l’altro,

dall’aiutarlo a mangiare, a lavarsi, a deambulare, al prendersi cura dell’ambiente in cui vive, sia

esso l’alloggio o la stanza di una struttura, tenendo presente però che “limitarsi a dare questo tipo di

aiuto al di fuori di un rapporto di conoscenza e accettazione dell’altro riduce nella persona la stima

di sé perché aumenta il senso d’inutilità e dipendenza” (Saiani, Di Giulio, in Cavazzuti, Cremonini,

Assistenza geriatrica oggi, Ambrosiana, p. 86)

Inoltre, dobbiamo tenere sempre presente che noi non abbiamo un corpo, ma siamo un

corpo e, nello stesso tempo, siamo di più. Perciò prendersi cura dei bisogni materiali della persona

(mangiare, bere, asciugargli il sudore, bagnargli le labbra, sistemargli il letto, lavarlo, vestirlo,…)

significa prendersi cura della persona, anche nei suoi desideri più profondi. Tutto ciò che è legato ai

bisogni primari in realtà è fame o sete o desiderio di altro: di affetto, di cura, di bellezza, di

raccontare se stessi.

Questo lavoro rappresenta il tentativo di esplorare le più significative valenze psicologiche

che caratterizzano i bisogni di riposo e sonno, nutrimento, igiene personale, eliminazione,

mobilizzazione, personalizzazione ed igiene dell'ambiente di vita, relazioni sociali ed affettive.

Sono esigenze che caratterizzano tutte le persone, in tutte le età e situazioni, a partire da

noi stessi fino a giungere alla persona in coma, al malato terminale, al malato di Alzheimer. Nel

caso specifico, il demente con il progredire della malattia è costretto a fare affidamento sulla

professionalità e le competenze umane e relazionali degli operatori e dei care givers nella

soddisfazione di quei desideri che non è più in grado di esprimere, ma che non significa affatto che

non siano presenti in lui. Il malato di Alzheimer c’è nella sua totalità e unicità, anche se i suoi

comportamenti, il suo vagare apparentemente senza meta, il suo parlare incoerente, la sua

comunicazione sempre più incomprensibile, il suo silenzio, la sua mancanza di memoria, di

riconoscimento di luoghi e persone sembrano dire il contrario.

Laddove l’identità, la memoria, la coscienza di sé e della propria storia sembrano venir

meno è chiesto ad ogni operatore e all’équipe di garantire una continuità alla persona, offrendo un

di più di riconoscimento, rispettando il più possibile tutte quelle abitudini, rituali, gusti, che ha

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acquisito durante l’intero arco della vita e che sono diventate l’espressione della sua stessa persona

e personalità.

Ecco allora che la conoscenza della storia del malato di Alzheimer deve declinarsi fino a

raggiungere gli aspetti più semplici e intimi della vita quotidiana, in modo che si possa costruire e

garantire attorno al malato un ambiente il più possibile familiare, in cui i gesti prendono la forma di

vere e proprie parole, capaci di comunicare vissuti, affetti, sentimenti, emozioni.

Un linguaggio che, spesso in modo imperscrutabile, può restituire, attingere, sollecitare

esperienze molto lontane nel tempo, giungendo fino ai primi giorni di vita, quando era la madre che

dialogava con quella stessa persona di cui ora ci si sta prendendo cura, attraverso quegli stessi gesti

che caratterizzano gli interventi assistenziali e che hanno quindi un sapore così intimamente

materno e familiare.

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BISOGNO DI RIPOSO E SONNO

Addormentarsi significa abbandonare temporaneamente la realtà per entrare nel mondo dei

sogni e dell'irrazionale, un mondo che può rivelarsi ricco di insidie per la tranquillità dell'io,

abituato a voler di avere tutto sotto il controllo rassicurante della ragione. Ecco allora che è facile

capire come talvolta il processo dell'addormentarsi e lo stesso dormire diventino imprese ardue,

soprattutto quando la persona vive in uno stato di tensione tale che le è impossibile scivolare nel

sonno.

Non è parimenti pacifico accettare che spesso le motivazioni di tanta tensione sono inconsce

e dunque tendenzialmente inaccessibili e incomprensibili al soggetto, che malvolentieri si rigira nel

letto in attesa del mattino.

Ecco allora che ognuno, fin da bambino, con la complicità più o meno massiccia di genitori

premurosi quando non apprensivi, ha elaborato personalissime strategie, più o meno elaborate,

sconfinanti spesso in rituali quasi ossessivi, per poter addormentarsi con la massima tranquillità

possibile.

All'interno di queste abitudini rassicuranti e taumaturgiche possono assumere particolare

rilevanza: la luminosità della stanza, le modalità di chiusura di porte e finestre, il livello di garanzia

del microclima ottimale, la posizione e la rigidità del letto, il grado di igiene personale, la

possibilità di accesso al bagno, la qualità degli effetti letterecci (tipo di lenzuola, coperte e cuscino),

la vicinanza del comodino, la fruibilità del campanello di chiamata, la disponibilità di bevande, in

genere calde, la presenza di altre persone nella stanza, letture di proprio gradimento, visione di

programmi televisivi, assunzione di dolci, cibo, alcool, psicofarmaci etc.

Pur considerando talvolta l'effettiva difficoltà nel soddisfare alcune condizioni, in quanto

veramente bizzarre o inconciliabili con la convivenza in comunità, è impensabile che l'operatore

possa garantire all'utente le condizioni per un buon sonno se ne disconosce il peculiare rituale

d'addormentamento che gli è proprio.

Soddisfare il rituale, spesso, significa garantire il sonno. Eluderlo significa lasciare la

porta aperta a tutta quella miriade di piccole paure, ma anche di angosce profonde che abitano

l'animo umano e che nello schermo buio della notte si stagliano talvolta impietose e pietrificanti

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lasciando alla persona l'insonnia come unica difesa fino all'arrivo della luce, simbolo di vita, di

calore, di gioia e benessere.

Molti malati di Alzheimer sono irrequieti durante la notte e possono girovagare per il piano

o il reparto. Quando il paziente si alza durante la notte, è necessario parlargli dolcemente, con

calma: spesso basta ricordargli con gentilezza che è ancora notte e riaccompagnarlo a letto. E’

importante cercare di cogliere tutte le possibili motivazioni che possono condurre all’insonnia per

essere in grado di attuare opportuni accorgimenti.

L’insonnia può talvolta significare:

bisogno di una piccola luce

necessità di dormire vestito

desiderio di mangiare o bere qualcosa prima di coricarsi

necessità di avere qualcuno vicino per addormentarsi

necessità di soddisfare un qualche rituale

In una RSA una signora affetta da malattia di Alzheimer non riusciva a dormire per tutta la

notte: tutte le strategie fino a quel momento attuate non avevano dato alcun esito. Da un ulteriore

raccolta di informazioni presso i familiari è emerso un elemento di per sé insignificante: a casa

quando andava a dormire teneva in mano un fazzoletto. E’ bastato questo per restituire alla signora

quella tranquillità che per mesi sembrava irraggiungibile.

BISOGNO DI NUTRIMENTO

"Parla come mangi"! "Dimmi come mangi e ti dirò chi sei"; questi ed altri proverbi popolari

ci insegnano quanto il nostro comportamento alimentare sia connaturato con la nostra personalità,

oltre che con la nostra cultura. Ciò si spiega con il fatto che il nostro rapporto con il cibo si

costruisce e si struttura molto lentamente nell'infanzia, per poi assumere delle caratteristiche

piuttosto rigide e stabili, proprio come accade al nostro carattere, alla nostra struttura psichica di

base.

E' stata la psicoanalisi a sottolineare come la relazione madre - bambino sia essenzialmente

una relazione nutritiva - per lungo tempo certamente a senso unico all’interno della quale l'infante

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si assicura non solo la propria sopravvivenza sviluppando un tenace attaccamento al seno materno,

ma anche la possibilità della nascita del proprio Sè.

L'importanza cruciale di questo primo stadio dello sviluppo psico-sessuale è stato

denominato da Freud "fase orale". Questa fase è caratterizzata in modo pressoché assoluto dalla

funzione fisiologica e psicologica insieme, della introiezione, dell'introdurre cioè dentro di sé il

latte nutriente, ma anche l'emozione affettiva con cui la madre accompagna il processo nutritivo,

interagendo con il lattante.

Ecco perché per tutta la vita futura resterà un segno indelebile di quel periodo nelle

abitudini alimentari di ogni individuo.

Il nostro rapporto col cibo non ha cioè una determinante motivazionale unicamente

biologica o comunque legata alle caratteristiche intrinseche e/o culinarie dell'alimento ingerito, ma

ha soprattutto a che fare con il contesto, con lo stato d'animo del momento, con il tipo di "vissuto"

che noi abbiamo con l'ambiente psicologico nel quale consumiamo il pasto. Sì, perché il pane ha

sempre il sapore che ognuno gli attribuisce, nel momento in cui lo mangia o quando deve

privarsene; il sapore ha dunque determinanti sempre psicologiche. Con il cibo ingeriamo anche

l'ambiente, le persone, le emozioni che hanno a che fare con quel piatto; quando viviamo bene

mangiamo gratificati e volentieri le giuste porzioni, mentre quando viviamo nel disagio

intrapsichico e/o relazionale mangiamo pochissimo o tantissimo, attribuendo al cibo una funzione

psicologica particolare che compensa il nostro malessere.

Grossolanamente possiamo affermare che il cibo è un sostituto dell'affetto, soprattutto

materno e che il nostro rapporto con il mangiare ha a che fare con il rapporto psicologico che

abbiamo con l'ambiente in cui consumiamo il nostro pasto.

Diventa quindi molto importante conoscere le abitudini alimentari che possono essere le più

svariate dell'assistito, cercando di rispettarle scrupolosamente, compatibilmente con le esigenze

della vita comunitaria, se ospite di una casa di riposo e le eventuali indicazioni dietetiche; ma

soprattutto dovrà essere attento a recepire qualsiasi cambiamento, anche lieve o temporaneo, che

intervenga in tali abitudini, in quanto sensibilissime agli eventi emozionali".

Il comportamento alimentare rappresenta infatti una comunicazione non verbale

importantissima e correttamente interpretabile solo caso per caso, dunque individualmente.

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Possiamo con sufficiente certezza affermare comunque che il benessere si vede a tavola, si

vede cioè osservando il rapporto che la persona assume con il cibo e le modalità con cui si

relaziona con gli ospiti che condividono con lui questo momento importante della giornata.

Non va peraltro sottovalutato il fatto che spesso il cibo, notoriamente opinabile in termini di

gusto, può diventare il tramite attraverso cui l'assistito esercita le proprie critiche al personale,

altrimenti inesprimibili o ingiustificabili.

Altre volte, invece, quando l'ospite deve essere imboccato o comunque molto aiutato

nell'assunzione del pasto, l'operatore è chiamato a sostenere una relazione ravvicinata che può

essere psicologicamente molto impegnativa, specie se l'ospite rifiuta il cibo, attraverso l'operatore,

o viceversa rifiuta l'operatore attraverso il cibo.

Anche l'operatore deve comunque sempre fare attenzione a non proiettare sull'assistito i

propri bisogni o le proprie abitudini alimentari, ritenendo "normale" e dunque "giusto" che gli altri

abbiano la sua stessa fame, i suoi stessi gusti, i suoi stessi tempi e così via.

Dove è possibile, all'assistito va sempre tutelata la possibilità anzitutto di scegliere il menù e

di rispettarne invariabilmente la composizione.

E' altresì importante il rispetto dell'orario concordato, cura ed igiene dell'ambiente, la pulizia

di vettovaglie e stoviglie, la qualità del servizio, ma soprattutto la sensibilità di garantire la

possibilità di scegliere il posto desiderato e la compagnia dei commensali più graditi.

Per il malato di Alzheimer è importante che il pasto si svolga in un ambiente tranquillo,

poco rumoroso e senza confusione e che al malato venga dato tutto il tempo di cui ha bisogno e la

possibilità di mangiare liberamente, senza la paura di sporcare, rovesciare o rompere.

Riuscire a mangiare da soli è sempre un rinforzo per la propria autostima e va mantenuto il

più possibile.

Le persone anziane che vivono sole, spesso non sono motivate a curare questa attività.Nella

quotidianità mangiare insieme è più piacevole che mangiare in solitudine. Ogni cultura ha i suoi riti

ed il suo modo di utilizzare il cibo come elemento di scambio e di condivisione, di rapporto con sé

stesso e con gli altri. Nelle varie culture, al mangiare e al bere viene attribuita una funzione sociale:

offrire un pasto ad una persona è un modo per manifestare amicizia ed ospitalità. Quasi dovunque

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l'alimentazione è una parte integrale di alcune cerimonie familiari quali la nascita, il matrimonio, la

morte.

E' importante la qualità del cibo: anche una bella presentazione aumenta la sensazione di

qualità e stimola le sensazioni visive - olfattive - gustative, predisponendo favorevolmente al

consumo .

Alcune patologie sono legate alle modalità di assunzione del cibo: se il cibo viene assunto in

modo eccessivo, si determina una situazione di bulimia, se, al contrario, vi è un rapporto con il cibo

che determina carenza di assunzione, ci troviamo di fronte ad una situazione di anoressia.

Lo stato psichico di una persona influisce sull'assunzione di cibo: per esempio le situazioni

stressanti, come dover affrontare un esame, un lutto, una malattia, inducono a desiderare o rifiutare

il cibo.

Tutto questo porta ad una serie di fattori che influiscono sulla nutrizione:

i fattori fisici

lo stato motorio

l’età

i fattori psicologici

l’atmosfera durante i pasti

i modelli culturali

i fattori economici

I fattori psicologici

E' risaputo che le necessità umane possono essere considerate come una gerarchia e partono

dalle necessità fisiologiche che, indispensabili per la sopravvivenza, si estendono alle necessità

sociali, al senso di sicurezza, di proprietà, di stima: il pane ha il sapore che ognuno gli attribuisce.

Quando viviamo bene, mangiamo gratificati e volentieri il giusto, mentre quando viviamo

nel disagio intrapsichico o relazionale mangiamo pochissimo o tantissimo, attribuendo al cibo una

funzione psicologica particolare che compensa il nostro malessere.

Da ciò è facile comprendere il significato che molti individui danno al cibo.

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Inoltre dobbiamo dire che il rapporto personale con il cibo condiziona l'alimentazione,

soprattutto se gli viene assegnato un valore compensatorio di carenze in altri settori: mangiare o

non mangiare può avere a che fare con bisogni diversi che sono legati spesso alla sfera relazionale.

Il cibo riempie la pancia, la mancanza di cibo determina una sensazione di vuoto all'interno.

Mangiare tanto, troppo, può essere un modo per riempire un vuoto interno di tipo affettivo

o, al contrario, mangiare poco può essere dato dal fatto di sentirsi svuotati, non ci si sente "degni"

di ricevere nulla.

Il significato psicologico del mangiare (ingoiare, riempire, nutrire, gonfiare) è molto

personale ed ha a che fare con il vissuto di ognuno. Certo è che al cibo e al momento del pasto sono

legati, più che in altri momenti, il bisogno di sicurezza e di relazione della scala di Maslow.

BISOGNO DI CURA DI SÈ

L'igiene personale, vista soprattutto come comportamento individuale che produce

importanti effetti sia a livello interpersonale, sia a livello della propria autostima, ha subito

importanti evoluzioni negli ultimi decenni, incrociando i propri destini con il trasformarsi di altri

costumi legati certo al benessere economico ma soprattutto ad una certa cultura del corpo, della

moda e dell'immagine, che travalica gli aspetti prettamente sanitari.

Dobbiamo anzitutto affermare con forza che l'igiene e tutti i comportamenti ad essa

connessi rivestono un’importanza psicologica altissima per ogni individuo; questo per un motivo

semplicissimo e cioè perché il protagonista, attivo o passivo, dell'igiene è il nostro corpo, il nostro

sé corporeo, la nostra immagine corporea. Noi sappiamo benissimo che senza il nostro corpo non

siamo niente, non abbiamo un'identità palpabile, stabile e socialmente riconosciuta e riconoscibile.

Prendendoci cura del nostro corpo, ci prendiamo cura di noi, del nostro sé nel modo più

tangibile ed immediatamente fruibile in termini personali e sociali.

Nella costruzione e nella conservazione della propria identità corporea, l'igiene personale

gioca un ruolo importantissimo; inizialmente attraverso le cure, soprattutto corporee, con cui la

madre si occupa del proprio bambino, successivamente attraverso le modalità interiorizzate che

ognuno ha deciso non senza condizionamenti di adottare per il miglior benessere personale.

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Come abbiamo già detto, ognuno, quindi, in qualsiasi periodo della propria vita venga

osservato o considerato, presenta delle proprie abitudini igieniche, il mantenimento delle quali è

spesso garanzia di benessere e di gratificazione personale.

Quando l'operatore viene chiamato ad aiutare l'assistito nelle pratiche igieniche personali

non può non essere pienamente consapevole delle implicazioni psicologiche intrinseche a tale

particolare intervento assistenziale.

Il fatto riveste un'importanza ancor più capitale quando consideriamo che spesso l'intervento

è di tipo intimo, cioè ha a che fare con l'igiene intima della persona.

Il termine stesso ci dice che con tale prassi andiamo a toccare - questa volta nel vero senso

della parola - il corpo (e quindi il sé corporeo) dell'assistito nelle sue parti più intime, in quelle parti

cioè che culturalmente sono tutelate dalla massima privacy personale, in quanto strettamente legate

alla funzione sessuale.

Ecco allora che la qualità dell'assistenza si misura qui in termini di garanzia della privacy,

di rispetto delle abitudini igieniche, compatibilmente certo con le esigenze mediche o della

convivenza comunitaria, ma soprattutto in termini di "qualità del contatto", intendendo con ciò il

grado di pressione, di velocità, di delicatezza con cui la mano dell'operatore esegue le varie pratiche

igieniche: amore o violenza, accettazione o rifiuto, rispetto o reificazione, passano sempre

attraverso la qualità della manipolazione.

Talvolta emergono problemi quando l'assistito rifiuta l'operatore in quanto appartenente al

genere sessuale opposto al proprio o perché ritenuto troppo giovane; tali difficoltà spesso emergono

e persistono perché l'operatore lascia trapelare una certa insicurezza od imbarazzo che non

sfuggono certo all'assistito e non possiede ancora la necessaria professionalità per rassicurare ed

infondere fiducia nel cliente.

Vale la pena comunque valutare bene tali resistenze e, caso per caso, trovare le strategie più

idonee per rimuovere eventuali difficoltà, che possono riguardare entrambi i poli della relazione

assistenziale.

Il lavarsi è una delle attività di vita quotidiana che compiamo in modo quasi automatico,

spesso pensando ad altro. In realtà la serie di gesti necessari per lavarsi è numerosa e complessa. I

malati dementi hanno difficoltà ad eseguire correttamente le operazioni necessarie: dapprima le più

complesse (miscelare l'acqua, insaponarsi ecc. ) poi anche le più semplici. Il risultato di queste

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difficoltà è che i pazienti diventano trascurati nell'igiene personale, tendono a lavarsi sempre meno,

sino ad arrivare talvolta ad un netto rifiuto. E' bene che l'operatore ricordi che il lavarsi è

un'abitudine consolidata e che quindi la modalità (bagno o doccia), la frequenza (ogni giorno o una

volta alla settimana) o la ritualità (il mattino o la sera, appena alzati o dopo la colazione ), non si

possono modificare o stravolgere, pena il fallimento.

Concludendo dobbiamo ricordare che anche la scelta dell'abbigliamento con cui vestire

l'assistito va considerata parte integrante del bisogno di igiene.

I vestiti non sono solo dei tessuti che coprono le proprie nudità e che assicurano una idonea

temperatura corporea; essi rappresentano una espressione importante della personalità e concorrono

in modo determinante alla formazione ed al mantenimento della propria identità psico - sociale, del

proprio status, della propria immagine e del proprio benessere personale.

E' dunque della massima importanza garantire all'ospite la più grande libertà possibile

sull'uso e la destinazione dei propri capi d'abbigliamento, rispettandone i gusti e gli accostamenti

come alta espressione di sé. Naturalmente le pratiche depilatorie, la cura dei capelli, della barba,

dell'estetica del viso e del corpo vanno considerati alla stessa stregua.

La capacità di vestirsi e svestirsi è un'abilità acquisita nel tempo, apparentemente semplice

in realtà complessa e spesso difficile o impossibile da eseguirsi correttamente per il paziente

demente. Essa richiede la conservazione dei movimenti, della forza, della coordinazione,

dell'equilibrio. Inoltre è necessaria la capacità di pianificare la serie di sequenze gestuali necessarie

per indossare o togliere gli indumenti. Nel malato demente il vestirsi autonomamente risulta spesso

difficile o impossibile anche in fasi piuttosto precoci della malattia. Il malato ha la difficoltà a

programmare l'ordine in cui deve indossare i capi di vestiario; ha difficoltà ad eseguire le sequenze

di gesti necessari (si pensi a come è problematico da bambini imparare ad infilare un maglione o

allacciarsi le stringhe ).

E' buona norma come per tutte le attività che gradualmente il paziente perde, cercare di

semplificare l'attività stessa rendendola agevole per il paziente, così che questi possa conservare più

a lungo possibile l'autonomia, ricordando che i tempi di realizzazione di un'azione anche semplice

si modificano, che non deve essere messa fretta al paziente e che sostituirsi a lui non è un aiuto ma

una sottrazione di autonomia.

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Far sì che il paziente conservi dignità e appropriatezza nell'abbigliamento è un obiettivo che

si deve raggiungere, e che contribuisce alla conservazione dell'autostima del paziente.

IL BISOGNO DI ELIMINAZIONE URINARIA E INTESTINALE

Come tanti altri bisogni, anche quello di eliminazione ha conosciuto modalità personali e

sociali che sono andate via via evolvendosi e trasformandosi in conformità al progressivo

mutamento dei costumi.

Nella costruzione personalizzata di questa attività ha poi una particolare influenza l'esodo

che, nella vita di ciascuno, ha avuto la cosiddetta "fase anale", quello stadio dello sviluppo psico -

sessuale durante il quale, secondo Freud, il bambino entra in contatto con la propria funzione

escretoria, attribuendole un significato psicologico importantissimo.

Tale valenza libidica riemerge in tutta la sua potenza soprattutto in presenza di persone che

regrediscono temporaneamente o definitivamente appunto alla fase anale.

Il contatto con assistiti regrediti a tale fase, rappresenta sempre per l'operatore un banco di

prova per le proprie capacità di accettazione incondizionata dell'utente, dovendo egli spesso

confrontarsi, non senza difficoltà, con situazioni che minano il comune senso del pudore e della

decenza.

Usualmente le attività escretorie sono indubbiamente molto privatizzate e ricoperte da un

sottile tabù; ciò fa si che le persone che richiedono l'aiuto dell'operatore per espletare

convenientemente tali funzioni, lo facciano con molta discrezione e talvolta con un malcelato senso

di colpa che può sfociare anche in imbarazzo vero e proprio.

Considerando questi risvolti psicologici, l'operatore deve dimostrare il massimo tatto ed una

assoluta considerazione per le modalità ed i tempi che caratterizzano l'assistito, tutelandone la

privacy e rassicurandolo circa l'emergere di eventuali sensi di disagio o di colpa.

L'operatore che si attiene a questi principi tutela altresì gli altri eventuali ospiti presenti

nella stanza e si astiene dal formulare qualsiasi commento che potrebbe risultare offensivo, creando

invece un clima di comprensione e di solidarietà.

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Gli utenti incontinenti vanno cambiati tempestivamente e con regolarità, assicurando loro il

maggior benessere possibile, cercando di aiutarli psicologicamente ad adattarsi a quell'ausilio

rappresentato dal pannolone, spesso assunto a status di vergogna, disistima e così via.

IL BISOGNO DI MOVIMENTO

La capacità di movimento è sinonimo di libertà. Lo sa il bambino che non appena

acquisisce la possibilità di camminare si tuffa nell'esplorazione del mondo, lo sa il detenuto che è

privato della libertà di muoversi nella realtà; ma più ancora lo sa chi pur desiderandolo

ardentemente ha perso, spesso definitivamente, la funzionalità dell'apparato motorio che permette

all'uomo sano di dominare il mondo, muovendosi in esso a proprio piacimento.

La persona immobilizzata è quella che maggiormente sperimenta la sensazione di non

essere più padrone della propria vita, è quella che maggiormente soffre la solitudine e la

dipendenza che solitamente sono i pilastri della futura depressione.

L'operatore è pertanto chiamato a favorire massimamente nell'utente, con tutti i mezzi

possibili a disposizione, le opportunità di movimento nell'ambiente domestico, ma anche sociale

dell'assistito, che ha riposto in lui la sua fiducia e la possibilità di mantenere un'autonomia motoria

che non lo alieni né dai circuiti relazionali, né dalla propria autosufficienza.

Questo soprattutto perché muoversi fisicamente nello spazio significa fornire alla mente ed

alle sue complesse componenti psichiche quegli stimoli e quelle possibilità relazionali che solo il

reale muoversi nel mondo possono fornire, nonostante tutte le strabilianti realtà virtuali che i

computer sembrano prometterci.

Nel malato di Alzheimer spesso c’è un incremento deambulatorio. Ci sono infatti pazienti

che camminano in modo ininterrotto per molte ore, senza una meta e senza uno scopo apparenti.

A volte l'incremento deambulatorio nel malato è sostenuto da qualche disturbo fisico, ma in

genere non è così e, per quanti sforzi si facciano, non si trova il motivo.

Il provvedimento migliore in caso di incremento deambulatorio è creare un ambiente sicuro

dove l'ammalato possa continuare a camminare senza pericolo o affiancare al malato una persona

che gli faccia compagnia (volontariato, familiari).

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PERSONALIZZAZIONE ED IGIENE

DELL'AMBIENTE DI VITA

Così come la cultura di un popolo si esprime e lascia una traccia di sé e dei propri valori

nelle opere architettoniche e nelle espressioni artistiche che produce, così il singolo individuo, nella

personalizzazione del proprio ambiente di vita, stanza, appartamento, casa, giardino, orto, plasma,

giorno dopo giorno, ogni angolo del suo habitat in modo unico ed irripetibile.

Questo processo interminabile finisce spesso per sovrapporsi in maniera fusionale con lo

stesso snodarsi dell'esistenza, tanto da diventare un punto cruciale di riferimento per l'identità della

persona.

Possiamo dunque affermare che ognuno si identifica fortemente nella propria casa, che

essa è il luogo privilegiato dove noi ci riconosciamo pienamente, dove la nostra storicità psico -

affettiva ritrova riscontri precisi e forti, dove tutto parla di noi ed è chiara espressione della nostra

personalità.

Ogni stanza, ogni arredo, ogni suppellettile, ogni quadro, ogni foto, ogni oggetto, ogni

colore, ogni suono, ogni odore, ogni percorso, perfino ogni panorama dalle singole finestre si è così

incarnato nella nostra quotidianità, da divenire tassello importante della nostra coesione del sé.

Solo se siamo veramente consapevoli di tutto ciò, possiamo avvicinarci emozionalmente e

non solo cognitivamente al trauma spesso deflagrante psicologicamente, di chi deve abbandonare,

forse definitivamente, il proprio ambiente di vita, o comunque deve, per così dire, darlo in gestione

ad altri perché impossibilitato a provvedervi autonomamente.

E’ importante cercare di garantire, all'atto della istituzionalizzazione, la quantità minima,

qualitativamente selezionata con l'utente, di oggetti, intesi come tasselli della propria identità, che

la persona può portare con sé a tutela della propria dignità e sicurezza psico - affettiva.

Soprattutto all'inizio quindi, prima che l'ospite possa avere il tempo di identificarsi

successivamente anche in parti dell'habitat istituzionale, è essenziale garantire all'assistito una

privacy ambientale personalizzata che in genere è anche molto scarna: qualche foto,

un'immagine religiosa, un ricordo, un cassetto in disordine, gli abiti gelosamente custoditi, forse un

cappello o una borsetta, un regalo importante.

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Diversa e sicuramente meno drammatica si rivela la situazione nell'assistenza a domicilio,

quando l'operatore viene sollecitato a garantire l'igiene ambientale dell'alloggio dell'utente, che è

temporaneamente o cronicamente impossibilitato a prendersene cura personalmente.

Mentre nell'ambito istituzionale lo spazio è comune, identico, pubblico e dunque

emotivamente neutro, qui invece l'operatore entra personalmente nel territorio dell'altro e vi ci

mette letteralmente le mani, attivando nell'utente tutta una serie di minacce invasive, la cui entità è

difficilmente valutabile se non dopo aver conosciuto pazientemente la mappa dei significanti

psicologici che gli elementi domestici rappresentano per il domiciliato.

E' spesso attraverso le modalità che l'operatore esibisce nel prendersi cura dell'ambiente

fisico, che l'utente deciderà se può fidarsi di lui ed affidargli serenamente anche la cura della

propria persona.

Su questo terreno l'operatore si gioca, più di quanto lui stesso non creda, la propria

professionalità e la propria abilitazione affettiva, oltre che istituzionale, presso l'utente. A volte

basta veramente poco per guadagnarsi la fiducia dell'assistito come pure perderla

irrimediabilmente; è necessario dunque porre la massima attenzione e sensibilità nelle procedure

attinenti la pulizia ambientale.

Più è grande il territorio privato dell'utente e più ci sono spazi di manovra, più è ristretto

maggiori sono i pericoli di destabilizzazione psicologica.

Parimenti va valutata esattamente l'autonomia motoria e quindi le possibilità di azione

dell'utente nel proprio spazio vitale.

Pensiamo per esempio, all'ospite in casa di riposo, magari immobilizzato, il cui spazio

personalizzato si riduce spesso al solo comodino o a parti di esso; ogni centimetro quadrato di

superficie diventa depositario di uno spazio, reale e fantasmatizzato insieme, assolutamente sacro la

cui inviolabilità deve essere sempre e comunque assolutamente garantita.

Le foto e gli oggetti regalo/ricordo dei propri cari rappresentano poi l'apice della

significatività affettiva della persona.

Nell’assistenza al malato di Alzheimer è importante osservare il tipo di rapporto che ha con

il proprio ambiente di vita, per individuare tutto ciò che risulta essere significativo e ancora

familiare in modo da mantenere il più a lungo possibile un clima tranquillizzante e sostenere la

possibilità di riconoscere e riconoscersi.

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DOMANDE GUIDA ALLO STUDIO

Per ogni bisogno assistenziale, quali sono i principali fattori psicologici che possono

influenzare il soddisfacimento?

Quali sono i principali atteggiamenti e accorgimenti che deve mettere in atto l’operatore?

Cosa deve osservare l’operatore relativamente ad ogni bisogno?

BIBLIOGRAFIA

AA.VV., Prendersi cura. Consorzio Monviso Solidale

BETTA Aspetti psicologici legati ai bisogni primari, Dispensa del Corso per Operatore Socio-

Assistenziale dell’Opera Armida Barelli.

RIZZATO: L'operatore sociosanitario - Sorbona

RIZZATO. Nozioni assistenziali E.S.M.

F. BRAGHETTO (a cura di), Assistenza a persone affette da malattia di Alzheimer e demenze

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