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Il Made In Italy Elementi caratterizzanti e l’evoluzione della normativa

A. Fittante - Elementi caratterizzanti e l’evoluzione della normativa

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Il Made In Italy

Elementi caratterizzanti e l’evoluzione della normativa

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Il Made in Italy come sistema produttivo che si fonda su un capitale umano strettamente

legato ad un territorio e ad una storia unici. . .

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ricerca e innovazione, fattori di vitale importanza sul piano strategico –

imprenditoriale. Presupposti imprescindibili di un’impresa che possa dirsi modernamente

strutturata e capace di cogliere le enormi potenzialità che il Brand Made in Italy offre alle

PMI italiane in termini di appeal dei nostri prodotti sul mercato;

l’appeal dei prodotti italiani ha origini lontane ed affonda le proprie radici nel

patrimonio storico – culturale e valoriale con evidente ricaduta economia: l’Italia eccelle

in moltissimi settori strategici;

nonostante la crisi economica che affligge da anni il nostro paese, quello del Made in

Italy è probabilmente l’unico settore che ha consentito al sistema Italia di reggersi

saldamente in piedi: l’Export si conferma infatti comparto trainante della nostra

economia se solo di considera che l’Italia è prima al mondo per saldo commerciale in

235 prodotti per un valore complessivo di 63 miliardi di dollari ogni anno. . . .

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denominatori della produzione italiana: grande qualità e competenza

artigianale - valori che permeano il valore aggiunto del Made in Italy nei mercati

mondiali;

la nostra è un economia in forte cambiamento , potremmo parlare di una

quarta rivoluzione industriale. Trasformazione che, proprio in tema di Made in

Italy, pone nuove ed importanti sfide;

le piccole e medie imprese rivelano un’attenzione crescente verso la ricerca e

l’innovazione . . . A fine 2015 il numero di startup innovative iscritte nel Registro

delle Imprese è risultato pari a 4.284, in aumento del 14,5% rispetto alla fine di

marzo. . .

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......Cos’è il Made in Italy ?

Gli elementi che caratterizzano il concetto di Made in Italy traggono origine da un complesso insieme di valori. . .

Come sappiamo, l’Italia trova il suo appeal nelle suggestioni evocate dalla storia, arte, architettura, cultura, paesaggi. . . . Il Made in Italy rappresenta un vettore di sensi, un motore semiotico in grado di dare vita ad un universo evocativo che ruota attorno a un sistema formato da questi valori base.

Il marchio “Made in Italy” apposto su di un qualsiasi prodotto o servizio italiano trascende ormai la mera provenienza geografica o di indicazione d’origine.

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Le 4 “A” dell’eccellenza italianaL’Italia, come è noto, eccelle in 4 macroaree produttive:

1. Abbigliamento e sistema-persona;

2. Arredo e sistema-casa

3. Agroalimentare

4. Automazione e meccanica

Questi 4 settori rappresentano circa il 56% del valore aggiuntocomplessivo manifatturiero italiano. A queste macrocategorie si aggiungono una serie di nicchie adalto contenuto tecnologico in cui l’Italia ha una posizione dileadership.

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L’importanza del Made in Italy Uno degli elementi critici dell’economia globale, messo a nudo dalla crisi economica,

è rappresentato dalla produzione di massa in cui il prodotto perde personalità e

diviene un mero “oggetto”.

La continua ricerca di abbattimento dei costi di produzione, la conseguente riduzione

della qualità delle materie prime, ha spinto inevitabilmente verso una

standardizzazione al ribasso. . .

Tutto questo può essere accettabile per alcune categorie merceologiche ma non può

valere per tutti i beni !

Dall’alta moda, al design, al settore alimentare. . . Se al singolo prodotto viene

aggiunta una certezza qualitativa, una carica emozionale, esso si eleva ad un livello

superiore a quelli che sono semplicemente “meri oggetti”. . .

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Sta proprio in questi elementi la chiave di volta: un oggetto è solo un insieme di materie inanimate

assemblate – un prodotto è il frutto del lavoro , della passione e dell’esperienza di chi lo produce !

Il Made in Italy crea prodotti, non oggetti Il Made In Italy è uno degli asset fondamentali e irrinunciabili

per i produttori italiani. Il Made in Italy nel mondo assicura

qualità, sicurezza, durevolezza, alta specializzazione e

differenziazione, cura dei dettagli, eleganza, fantasia del

disegno e delle forme.

Per tali motivi Made in Italy è il terzo marchio al mondo per notorietà dopo Coca Cola e Visa

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Il Made in Italy e l’evoluzione della normativa di riferimento

L’evoluzione della normativa del Made in Italy, da sempre stratificata e di difficile interpretazione, sconta il difficile compito di realizzare un delicato punto di equilibro tra due interessi contrapposti:

La posizione della imprese, soprattutto delle

multinazionali, che, ricorrendo alla delocalizzazione delle loro

produzioni, tendono a non vedere di buon occhio una disciplina eccessivamente rigorosa dell’utilizzo del marchio Made in Italy

Le istanze degli operatori economici di minori dimensioni o comunque maggiormente legati al

territorio di appartenenza, che invece sono sempre fautori di una disciplina ferrea del Made in Italy

in modo tale da valorizzare l’artigianalità dei loro prodotti

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Il “Made in” in ambito internazionaleAccordo di Madrid 1891 – sulla repressione delle false o ingannevoli indicazioni di provenienza: sancisce l’obbligo “di indicazione precisa ed in caratteri evidenti del paese o del luogo di fabbricazione o di produzione, o un’altra indicazione sufficiente ad evitare ogni errore sull’origine effettiva del prodotto”

Nel recepimento della norma il nostro legislatore non ha istituto un vero obbligo di indicazione dell’origine del prodotto

L’art. 1 del D.P.R. 656/1968 (con il quale l’Accordo è stato recepito in Italia) si limita a statuire che “le merci per le quali vi sia il … sospetto che rechino una falsa o fallace indicazione di provenienza sono soggette a fermo amministrativo.”L’art. 2 precisa “qualora gli interessati abbiano proceduto alla regolarizzazione prevista dall’Accordo di Madrid e siano trascorsi 60 g dalla data di comunicazione all’A.G. .. Gli uffici doganali potranno restituire le merci..”

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Quindi, alla stregua della normativa internazionale per come recepita nel nostro ordinamento, non è necessario indicare al

consumatore l’origine estera del prodotto, ma è vietato ingannarlo mentendo

sull’origine.

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Tra normativa nazionale e comunitaria • Punto di partenza per l’analisi della normativa nazionale in materia di Made in Italy sono: art. 4 c. 49 L. 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria per il 2004) il quale deve essere necessariamente rapportato alla disciplina comunitaria doganale in materia di indicazioni di origine;

• L’art. 16 d.l. 25 settembre 2009, n. 135 (cd. “salva infrazioni”) – convertito con modificazioni in L. 20 novembre 2009, n. 166 - che ha introdotto il delitto di falsa o fallace apposizione del marchio “100% Made in Italy” coniandone la relativa definizione;

• La legge n. 55 del 2010 cd. Legge Reguzzoni Versace che detta una disciplina ad hoc a tutela della produzione italiana nei settore tessile, calzaturiero e di pelletteria, fissando condizioni più restrittive per l’utilizzo delle indicazioni di origine italiana dei prodotti.

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Art. 4 c. 49 L. 350/2003 Introdotta dal legislatore allo scopo di tutelare e promuovere la produzione nazionale di fronte al fenomeno della delocalizzazione della produzione industriale. Dalla sua entrata in vigore la norma ha subito ripetute modifiche, un vero processo di stratificazione, volte ad ampliarne la portata.

La norma attualmente punisce, con le pene previste dall’art. 517 c.p.: “ l’importazione e l’esportazione ai fini di commercializzazione ovvero la

commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco

alla commercializzazione di prodotti recanti l’indicazione Made in Italy

falsa o mendace, o segni o quant’altro possa indurre il consumatore a

ritenere un prodotto di origine italiana quando non è originario dell’Italia ai

sensi della normativa comunitaria sull’origine geografica dei prodotti ”

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Pene previste art. 517 c.p. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci)

Reclusione fino 2 anni e multa fino a 20.000 euro

Il riferimento “. . Ai sensi della normativa comunitaria sull’origine . . “

si riferisce al criterio dell’origine doganale preferenziale – disciplina doganale comunitaria contenente la definizione di origine delle merci

In pratica, possono ricorrere 2 hp: 1. Il caso del prodotto realizzato intermante nel nostro Paese: in questa

hp non ci sono dubbi sul fatto che l’imprenditore può legittimamente apporre la dicitura Made in Italy sul proprio prodotto;

2. Il caso del prodotto realizzato in parte nel nostro Paese e in parte in Paesi diversi: in questa seconda hp occorrerà applicare il criterio dell’origine doganale preferenziale secondo cui un prodotto può essere considerato di origine italiana quando l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale è avvenuta in Italia.

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Art. 16 d.l. 135/2009: “100% Made in Italy”

L’art. 16 co. 1 conia la definizione di marchio 100% Made in Italy:

“. . È classificabile come intermente realizzato in Italia il prodotto per

il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il

confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio

italiano . . “

Quindi, la L. del 2009, realizza un vero e proprio spartiacque perché, come abbiamo

visto in precedenza, la dicitura Made in Italy può essere utilizzata tanto:

con riferimento a prodotti che nel nostro Paese hanno subito l’ultima

trasformazione o lavorazione sostanziale;

con riferimento a prodotti intermante fabbricati in Italia: è proprio qui che la Legge

va a “premiare” coloro che non delocalizzano la produzione dandogli la possibilità di

esplicitare che il proprio prodotto non è un Made in Italy qualunque ma un “100%

Made in Italy”!

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Il co. 5 della stessa Legge completa la tutela introducendo il delitto di fallace apposizione del marchio 100% Made in Italy :

“. . . Chiunque fa uso di un’indicazione di vendita

che presenti il prodotto come interamente

realizzato in Italia, quale 100% Made in Italy, tutto

italiano. . In qualunque lingua espressa, o altra che

sia idonea ad ingenerare nel consumatore la

convinzione che quel prodotto sia interamente

realizzato in Italia. . . è punito a norma dell’art.

517 c.p. aumentate di un terzo “

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Legge n. 55/2010, Reguzzoni – Versace

Impone delle condizioni più restrittive, rispetto a quelle previste per gli altri prodotti, per il lecito impiego dell’indicazione della provenienza italiana dei prodotti tessili, calzaturieri e di pelletteria, derogando al criterio comunitario “preferenziale”.

L’art. 1 co. 4 stabilisce infatti : • l’obbligo di indicazione del luogo di provenienza di tali prodotti, finiti ed intermedi – mentre per tutti gli altri prodotti è sancito il pr. Di facoltatività dell’indicazione di provenienza; • i prodotti tessili, calzaturieri e di pelletteria possono considerarsi Made in Italy a condizione che abbiano subito almeno 2 fasi di lavorazione nel nostro Paese, ovvero il 50% della lavorazione (tenuto conto che tali prodotti hanno 4 fasi di lavorazione);

(è, invece, irrilevante l’origine delle materie prime impiegate potendo essere anche estera)

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Lo scopo perseguito dal legislatore è di introdurre un sistema di TOTALE tracciabilità (di etichettatura obbligatoria) di questi prodotti che mira a dare al consumatore un’adeguata informazione sull’interno processo di

lavorazione dei prodotti, in un’ottica di tutela della sua sicurezza salute e fiducia. . .

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La L. n. 55/2010 avrebbe dovuto avere efficacia a partire dal 1° ottobre 2010 ma un errore procedurale ha determinato il blocco del provvedimento, in quanto:

• la Legge, che disciplina un sistema di etichettatura obbligatoria, deve considerarsi, ai sensi della Direttiva 98/34/CE, una regolamentazione TECNICA; • quest’ultima Direttiva prevede infatti un particolare procedura d’informazione per gli atti normativi degli Stati membri contenenti regole tecniche, ovvero:

Lo stato membro deve trasmettere il testo alla vaglio della Commissione quando ancora è allo Stato di progetto e non può promulgarlo prima di aver

ricevuto le relative osservazioni

Peccato, però, che la l. 55/2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, è entrata in vigore il 6 maggio 2010, e SOLO successivamente è stata trasmessa alla Commissione, quando ormai non era più un progetta bensì legge vigente.

BLOCCO PROCEDURALE

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La Commissione EU ha anche sollevato 2 obiezioni di natura sostanziale:

1) Violazione del principio comunitario della libera circolazione delle merci

La Commissione ha sottolineato come i sistemi di indicazioni della provenienza od origine, siano esse volontari od obbligatori, contrastano con gli obbiettivi del mercato interno dell’UE, perché possono rendere più difficile la vendita in uno Stato membro di una merce prodotta in un altro Stato membro.

In particolare, essi devono considerarsi misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative nelle importazioni ed esportazioni: vietate dagli art. 28 e 29 del TCE, in applicazione del principio della libera circolazione delle merci nello spazio economico europeo.

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2) Contrasto del concetto di origine/provenienza italiana dei prodotti tessili, calzaturieri e di pelletteria con quello comunitario

Questa critica concerne il concetto di provenienza/origine di cui all’art. 1 della l. n. 55/2010 che, come abbiamo visto, richiede che almeno 2 fasi di lavorazione siano avvenuti in Italia contrastando in tal modo con la più elastica disciplina comunitaria, applicabile a tutti i prodotti (quindi anche quelli tessili, calzaturieri e di pelletteria), che si accontenta solo di una fase: l’ultima trasformazione sostanziale.

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STATISTICHE SUI DEPOSITI DI TITOLI DI PROPRIETA’ INDUSTRIALE QUALE

PRESIDIO PRIVILEGIATO PER IL MADE IN ITALY

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INVENZIONI

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MODELLI UTILITA’

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MARCHI

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DISEGNI

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IL MARCHIO E LA SUA

TUTELA GIURIDICA

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IL MARCHIO E L’IMPRESA• Il brand rappresenta il perno dell’azienda, un bene primario : intorno ad esso ruotano l’identità, l’immagine e le strategie di mercato dell’impresa;

• il marchio ha la capacità di distinguere l’impresa ed i suoi prodotti rispetto alle imprese concorrenti, identificando la fonte di origine del prodotto;

• costituisce il veicolo principale attraverso il quale l’impresa comunica i messaggi al pubblico;

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LE FUNZIONI DEL MARCHIO

•FUNZIONE DISTINTIVA: funzione principale del marchio – ha svolto

storicamente un’importanza giuridica fondamentale. Oggi il suo

ruolo può considerarsi ridimensionato soprattutto alla luce del venir

meno del principio di “inscindibilità tra marchio e azienda”.

• FUNZIONE DI INDICAZIONE DI ORIGINE E PROVENIENZA di un

determinato prodotto o servizio da una specifica impresa;

• FUNZIONE DI GARANTIRE UN DETERMINATO STANDARD QUALITATIVO di un prodotto o servizio;

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• FUNZIONE SUGGESTIVA: si allude alla capacità del marchio, grazie

alla intensa pubblicità di cui può essere oggetto, di veicolare

messaggi in grado di condizionare e spingere i consumatori

all’acquisto del prodotto contrassegnato.

Viene quindi in considerazione nella sua funzione di strumento di

comunicazione, “di messaggero”, di vero e proprio “collettore di

clientela”.

Cosi, il marchio, da contrassegno, assume rilevanza come autonomo bene immateriale dell’azienda: • da un lato, per la sua capacità di orientare le scelte dei consumatori;• e dall’altro lato, per il valore del capitale pubblicitario che è stato investito dal suo titolare.

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Segni suscettibili di registrazione come marchio

Secondo la legge, possono essere oggetto di registrazione solo i marchi che presentino determinate caratteristiche tra cui:

1) La possibilità di essere rappresentati graficamente: si possono registrare tutti i segni che siano suscettibili di essere rappresentati graficamente nell’ambito del procedimento di registrazione: tali saranno, ad esempio, i suoni o la forma di un prodotto (entro rigorosi limiti) – requisito abolito recentemente dal Reg. 2424/2016

2) La novità: comporta l’esigenza che sul segno che si intende registrare come marchio non vi siano già diritti anteriori di terzi titolari di un marchio identico o simile per prodotti identici o affini.

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La capacità distintiva: cioè l’idoneità del marchio di identificare i propri

prodotti e, conseguentemente, di distinguerli dai prodotti o servizi diun’altra impresa.Tale capacità viene riferita dal legislatore all’impressione generale che

unconsumatore medio (di media diligenza e intelligenza nello

svolgimento dei propri traffici commerciali) ne ricava.

Proprio in base alla minore o maggiore capacità distintiva che può avere un marchio si distinguono

Marchi forti Ad esempio, la

“Nike” ha grande capacità distintiva rispetto ai prodotti

sportivi che contraddistingue.

Marchi deboliLa parola “Scarpe”

per indicare un negozio di scarpe

invece non ha capacità distintiva.

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L’estensione territoriale della tutela del marchio

La registrazione di un marchio può essere effettuata in sede:

• Nazionale: protezione estesa solo all’interno del Paese in cui viene effettuata la registrazione;

• Comunitaria/europea: il possesso del relativo titolo consente al titolare di usufruire di una tutela unitaria all’interno del territorio dell’Unione Europea.

Il marchio comunitario non si sostituisce ma costituisce un binario

parallelo di protezione rispetto alla registrazione nazionale. I vantaggi acquisiti sono evidenti:

La possibilità di usufruire di una procedura unitaria, anziché dover rispettare le procedure previste dei singoli sistemi nazionali; Validità ed efficacia uniforme del titolo, che soggiace ad una regolamentazione unitaria in tutti i Paesi dell’Unione Europea; Sensibile riduzione dei costi di registrazione: notevolmente inferiore a quelli che andrebbero sopportati per le singole registrazioni in tutti i Paesi membri.

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• Internazionale: la registrazione internazionale, a differenza di quella comunitaria, attribuisce al titolare tutti i diritti che gli sono conferiti dalle singole registrazioni nazionali alla condizioni stabilite, cioè dalle leggi vigenti in ciascun paese.

Come è ovvio, la scelta tra marchio

nazionale, comunitario e/o internazionale, come

la scelta di registrare o meno un marchio, è

dettata dalle esigenze di ciascuna azienda

con riferimento, naturalmente, ai Paesi nei

quali essa intende sviluppare il proprio mercato e commercializzare

i propri prodotti usufruendo in esclusiva dell’utilizzo del suo

marchio.

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Non registrazione del marchio - principale differenza in tema di tutela

Marchio registrato Marchio non registrato

diritti

Diritti

Il titolare avrà diritto di agire in giudizio per reagire nei confronti di chi fa uso del proprio marchio o di un marchio simile senza dover provare la validità del proprio marchio e l’esistenza degli elementi costitutivi in quanto, in virtù della registrazione, la legge li presume esistenti.

L’uso del marchio da parte di terzi è consentito SOLO con il consenso del titolare e sulla base di contratti di licenza, cessione e merchandising.

Anche al titolare di un marchio di fatto spetta la possibilità di tutelare vantare dei diritti (se pur entro certi limiti):

• ove il marchio di fatto abbia acquisito notorietà in ambito nazionale il titolare potrà opporsi alla registrazione, sulla base del suo “preuso”, si un marchio identico o simile che verrà ad essere cosi privato del requisito della novità.

• se la notorietà non è a livello nazionale ma solo locale, al cd. preutente non è data la possibilità di impedire la registrazione da parte di terzi, ma potrà comunque conservare il diritto di utilizzare il marchio nei limiti territoriali in cui è noto – coesistendo con la registrazione a livello nazionale di altri.

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Tipologia e classificazioni dei marchiA seconda dell’oggetto sul quale insistono si distinguono: • Marchi di fabbrica: segni apposti da un’impresa al fine di identificare i propri prodotti;

• Marchi di commercio: segni apposti dall’impresa che provvede a commercializzare determinati prodotti, segni peraltro che non possono mai sostituirsi al marchio di fabbrica ma solo affiancarsi ad esso;

• Marchi di servizio: marchi destinati a distinguere i Servizi resi da una determinata impresa.

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• Marchi individuali: sono marchi destinati a contraddistinguere prodotti o servizi di una singola impresa, alla quale soltanto (oltre ad eventuali licenziatari) ne è consentito l’utilizzo;

• Marchi collettivi: sono marchi la cui natura implica la possibilità che ne possano usufruire una pluralità di imprese.

Titolari dei marchi collettivi sono i soggetti che “svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”: essi non utilizzano però direttamente il loro marchio ma ne consentono l’uso ad una pluralità di imprenditori che, in possesso dei requisiti prescritti, ne facciano domanda e si assoggettino al rispetto di un regolamento d’uso.

I titolari di marchi collettivi svolgono quindi una funzione di controllo sia dell’esistenza dei requisiti per ottenere la concessione d’uso che del rispetto delle condizioni di fabbricazione e degli altri requisiti richiesti per mantenere il diritto di usare il marchio collettivo.

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• Marchi verbali o denominativi: composti da parole di fantasia, nomi patronimici o geografici, sigle, lettere dell’alfabeto, numeri ecc …

• Marchi figurativi: costituiti da figure o disegni. .

Sulla base del fatto che siano costituiti da un solo o da più segni, i marchi si distinguono in. . . . .

• Marchi semplici: possiamo pensare al logo di McDonald;

• Marchi Misti: marchi risultanti dalla combinazione di una pluralità di segni tra loro associati (lettere, disegni, numeri..);

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• Marchi complessi: in cui alcuni dei singoli elementi in sé sono privi della capacità distintiva che può essere invece riconosciuta alla loro combinazione: ad es. LuxOttica, Ottica non ha capacità distintiva ma Lux potrebbe averla in quanto non è legata alla tipologia di prodotto – nella loro combinazione diviene marchi complesso;

• Marchi d’insieme: in cui nessuno dei singoli elementi in sé ha capacità distintiva ma gli viene riconosciuta nella loro combinazione: ad es. Fastweb, né la parola Fast né la parola Web hanno in sé capacità distintiva se pensiamo al servizio offerto, ma nell’insieme acquistano tutelabilità;

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• Marchi sonori: basti pensare a motivi musicali abbinati a certi prodotti nelle pubblicità o alle sigle dei programmi televisivi. il rispetto del requisito della rappresentabilità grafica di tali marchi viene garantito depositando il relativo pentagramma: es. il ruggito del leone della Metro Goldwyn Mayer;

• Marchi di colore: rappresentati dal colore del prodotto o dal suo confezionamento. Ad es. il viola del cioccolato Milka o il coloro rosso della suola delle scarpe Louboutin.

• Marchio olfattivo: per essere suscettibili di registrazione, i marchi olfattivi, devono essere riprodotti graficamente, il che può avvenire attraverso la relativa formula chimica o attraverso sistemi di analisi o descrittivi. Ad es. l’azienda Woerden inoltrò la richiesta di registrazione per la classe di prodotti n. 28 della classificazione di Nizza nella fattispecie palle da tennis – oggetto di questa registrazione era “the smell of fresh cut grass” ovvero il profumo di erba appena tagliata.

MARCHI NON CONVENZIONALI

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• Marchio di forma: può avere ad oggetto la forma del prodotto stesso o la forma del suo confezionamento. Ovviamente, per essere registrata, la forma deve comunque possedere forte distintività, trattandosi di forma arbitraria, non consueta e di fantasia. . . . Ad es. la bottiglia Coca Cola.

La legge esclude dalla registrabilità come marchio di forma: • le forme naturali: ovvero quelle forme imposte dalla natura stessa del prodotto (es. la forma di un pallone); • le forme necessarie: la legge parla di forma necessaria per ottenere un determinato risultato tecnico – per impedire che si creino monopoli su quel determinato risultato tecnico; • la forma che conferisce al prodotto valore sostanziale: si tratta di quelle forme determinanti nella scelta del consumatore.