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Brescia 2012 “La debolezza piena” “La debolezza piena” evidenze e concezioni recenti in tema evidenze e concezioni recenti in tema di autismo e di intersoggettività di autismo e di intersoggettività Francesco Barale, Marianna Boso e Stefania Ucelli di Nemi Università di Pavia Laboratorio Autismo Fondazione Genitori per l’Autismo, Cascina Rossago

La debolezza piena barale

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Brescia 2012

“La debolezza piena”“La debolezza piena”evidenze e concezioni recenti in tema evidenze e concezioni recenti in tema

di autismo e di intersoggettivitàdi autismo e di intersoggettività

Francesco Barale, Marianna Boso e Stefania Ucelli di Nemi

Università di Pavia

Laboratorio Autismo

Fondazione Genitori per l’Autismo, Cascina Rossago

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“La Psicoanalisi non ha ragione di temere gli attuali, formidabili progressi delle neuroscienze. Anzi li attende con curiosità ed impazienza, perché essi non potranno che essere nuovi affinamenti e porte di ingresso per le nostre concezioni, necessariamente polifattoriali, di ogni situazione psicopatologica”. (S. Lebovici)

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…ma è veramente così?ma è veramente così?

…come sarebbe bello se le cose fossero davvero così, come Lebovici auspicava….

…purtroppo, nel caso dell’autismo (ma non solo in esso) la faccenda è andata diversamente

Ma, per capirci, è necessaria un po’ di storia….

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Kanner (1943) fu il primo clinico a individuare e descrivere l’autismo. Le sue descrizioni sono rimaste classiche , e tuttora valide.

Le descrizioni di Kanner furono seguite e confermate da quelle di Asperger (1944)

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La descrizione classica 1: La descrizione classica 1: L’isolamento autistico (“L’isolamento autistico (“I can’t reach I can’t reach

my baby my baby !”, madre di Charles, caso 8°). !”, madre di Charles, caso 8°). “Il disturbo fondamentale più evidente, patognomico, in Il disturbo fondamentale più evidente, patognomico, in

tutti questi bambini, è la loro incapacità a rapportarsi tutti questi bambini, è la loro incapacità a rapportarsi in modo usuale alla gente e alle situazioni sin dai in modo usuale alla gente e alle situazioni sin dai primi momenti di vita…primi momenti di vita…

vi è fin dall’inizio un estremo isolamento autistico…vi è fin dall’inizio un estremo isolamento autistico…hanno una buona relazione con gli oggetti…la hanno una buona relazione con gli oggetti…la relazione con la gente è del tutto differente…un relazione con la gente è del tutto differente…un profondo isolamento domina tutto il profondo isolamento domina tutto il comportamento…ma questo isolamento è molto comportamento…ma questo isolamento è molto peculiarepeculiare……

la cosa che più impressiona di Charles è la sua inaccessibilità, il suo distacco. Cammina come stesse nella sua ombra, vive in un mondo tutto suo, dove non può essere raggiunto…” (Kanner 1943)

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L’intuizione di KannerL’intuizione di Kanner

Sia Kanner che Asperger, da grandi clinici, Sia Kanner che Asperger, da grandi clinici, intuirono che l’isolamento autistico, questa intuirono che l’isolamento autistico, questa particolarissima evanescenza del sentimento particolarissima evanescenza del sentimento di essere collegato all’altro, è, appunto, molto di essere collegato all’altro, è, appunto, molto “peculiare”: qualcosa che solo “peculiare”: qualcosa che solo apparentemente e superficialmente è simile apparentemente e superficialmente è simile ad un ad un rifiutorifiuto del contatto umano; è qualcosa del contatto umano; è qualcosa di “originario” (Kanner ripete il termine più di “originario” (Kanner ripete il termine più volte), è un volte), è un non riuscirenon riuscire ad essere sulla ad essere sulla stessa lunghezza d’onda degli altri, una sorta stessa lunghezza d’onda degli altri, una sorta di difficoltà di “sintonizzazione”.di difficoltà di “sintonizzazione”.

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La descrizione classica 2:La descrizione classica 2: il desiderio di ripetitività il desiderio di ripetitività

““Tutto il comportamento del bambino è Tutto il comportamento del bambino è monotonamente ripetitivo quanto le sue monotonamente ripetitivo quanto le sue espressioni verbali…è governato da un espressioni verbali…è governato da un desiderio ansiosamente ossessivo di desiderio ansiosamente ossessivo di conservare la ripetitivitàconservare la ripetitività””

(Kanner 1943)(Kanner 1943)

La “sameness”La “sameness”

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Ripetitività autistica, routines, Ripetitività autistica, routines, ossessività. ossessività.

L’insistenza ossessiva per la ripetitività si può L’insistenza ossessiva per la ripetitività si può

esprimere in modi molto diversi: come movimenti ed esprimere in modi molto diversi: come movimenti ed

espressioni stereotipiche, ma anche, nei casi più espressioni stereotipiche, ma anche, nei casi più

high functioninghigh functioning, come , come routinesroutines sempre più sempre più

elaborate, spesso senza scopo apparente, o anche elaborate, spesso senza scopo apparente, o anche

come concentrazione su un campo ristretto di come concentrazione su un campo ristretto di

interessi, nel quale magari il ragazzo autistico interessi, nel quale magari il ragazzo autistico high high

functioningfunctioning raggiunge risultati straordinari… raggiunge risultati straordinari…

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La descrizione classica 3: La descrizione classica 3: gli “isolotti di capacità”gli “isolotti di capacità”

““Il sorprendente vocabolario di questi bambini che Il sorprendente vocabolario di questi bambini che parlano, l’eccellente memoria per eventi accaduti parlano, l’eccellente memoria per eventi accaduti anni prima, la fenomenale memoria meccanica per le anni prima, la fenomenale memoria meccanica per le poesie ed i nomi, il preciso ricordo di figure e poesie ed i nomi, il preciso ricordo di figure e sequenze complesse, sono l’indizio di una buona sequenze complesse, sono l’indizio di una buona intelligenzaintelligenza” ” Kanner 1943Kanner 1943) indussero Kanner ad affermare che questi bambini avevano una buona intelligenza .

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L’ intuizione originaria di kannerL’ intuizione originaria di kanner

La geniale descrizione kanneriana individuava dunque tre La geniale descrizione kanneriana individuava dunque tre caratteristiche nucleari o “fondamentali”: l’isolamento, la caratteristiche nucleari o “fondamentali”: l’isolamento, la ripetitività ossessiva, gli isolotti di capacità.ripetitività ossessiva, gli isolotti di capacità.

Tra queste, “il disturbo più evidente, patognomico, presente fin Tra queste, “il disturbo più evidente, patognomico, presente fin dall’inizio, è il profondo isolamento…l’incapacità dei bambini a dall’inizio, è il profondo isolamento…l’incapacità dei bambini a rapportarsi in modo usuale al mondo interumano sin dai primi rapportarsi in modo usuale al mondo interumano sin dai primi momenti di vita…La conclusione della descrizione, ben nota, fu:momenti di vita…La conclusione della descrizione, ben nota, fu:

““dobbiamo assumere che questi bambini siano venuti al dobbiamo assumere che questi bambini siano venuti al mondo con un’innata incapacità a formare il consueto mondo con un’innata incapacità a formare il consueto contatto affettivo con le persone, fornito contatto affettivo con le persone, fornito biologicamente, proprio come altri bambini vengono biologicamente, proprio come altri bambini vengono al mondo con handicap fisici o intellettivi innatial mondo con handicap fisici o intellettivi innati””

(Kanner, Disturbi autistici del contatto affettivo, Nervous Child, (Kanner, Disturbi autistici del contatto affettivo, Nervous Child, 1943)1943)

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Alcuni limiti delle descrizioni di Alcuni limiti delle descrizioni di Kanner e AspergerKanner e Asperger

1) Ottimismo prognostico

2) La negazione di correlazioni con condizioni mediche

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La deriva psicogenetista ’50-’80La deriva psicogenetista ’50-’80

L’oscillazione psicopatologica ed eziopategenetica di Kanner: l’isolamento da tratto essenziale diventa fenomeno secondario, “chiusura” e “difesa”. l’autismo viene assimilato alla “schizofrenia infantile”….i “genitori frigorifero”

B. Bettelheim: dai “genitori frigorifero” alla “fortezza vuota”…

Sotto l’influenza della psicoanalisi e di studiosi famosi come Bettelheim abbiamo quello che può essere

chiamata la deriva psicogenetista

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Il paradigma generale Il paradigma generale degli anni 50-80degli anni 50-80

Autismo come arresto dello sviluppo psichico ad una fase a-oggettuale di indifferenziazione e come guscio-strategia difensivi rispetto:

1) ambienti inadeguati e/o ostili

2) angosce catastrofiche interne

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Il paradigma generale della Il paradigma generale della psicogenesi dell’autismopsicogenesi dell’autismo

L’idea dell’autismo come regressione-fissazione a una presunta fisiologica fase autistica originaria è implicita nel termine stesso “autismo”, coniato da E. Bleuler per indicare uno dei fenomeni “fondamentali” della schizofrenia.

I riferimenti espliciti entro cui la nozione bleuleriana di autismo fin dall’inizio si colloca sono la Sexualtheorie freudiana e l’ipotesi generale che gli stati psicopatologici corrispondano a regressioni/fissazioni a stadi primitivi dello sviluppo (“autismo”= “autoerotismo”, cioè stadio pre-oggettuale)

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Il modo in cui venne concettualizzato l’autismo è dunque profondamente radicato in alcuni assunti di base della metapsicologia psicoanalitica e della cosiddetta “psichiatria psicoanalitica”.

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Anni 50’-80’. Anni 50’-80’. Aspetti del paradigma psicogenetistaAspetti del paradigma psicogenetista

Sul piano clinico il modello psicogenetista pose automaticamente una continuità tra la questione dell’autismo e

1. fenomeni da deprivazione relazionale o depressione (riferimento tipico: i fenomeni di istituzionalizzazione precoce, Spitz 1943)

2. fenomeni di ritiro psicologico per accudimenti o stili interattivi inadeguati (riferimento tipico: la “depressione materna”)

3. diverse condotte di evitamento relazionale da disturbo nella regolazione del dialogo sensomotorio madre-bambino, ampiamente descritte anche nel lattante e riprodotte anche sperimentalmente (riferimento tipico: “still face” ecc.) …

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L’idea centrale del paradigma psicogenetista, in effetti psicoanalitico, pone la genesi dell’autismo nella inadeguatezza delle «cure materne», cioè in una relazione madre/bambino primaria e inadeguata, che avrebbe generato ritardo e alterazioni nello sviluppo.

Ciò malgrado……

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… i grandi clinici continuassero ad indicare che nell’ autismo c’era qualcosa di diverso rispetto a qualsiasi fenomeno di ‘chiusura’, ritiro o depressione….

“…osservando i bambini psicotici, non si può fare a meno di pensare che l’eziologia primaria della psicosi infantile, l’incapacità del bambino psicotico di utilizzare le cure materne, elemento catalizzatore dell’omeostasi, è innata, costituzionale e probabilmente ereditaria….” (M. Mahler (M. Mahler 1968)1968)

… una ricca letteratura mostra come nessuna deprivazione o distorsione relazionale, neppure la più estrema, produceva di per sé autismo (A. Freud, S. Dann 1951;W. Goldfarb W. Goldfarb 1945; Curtiss 1977; D. Skuse 1984…)1945; Curtiss 1977; D. Skuse 1984…)

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““è stupefacente la capacità del bambino sano …di è stupefacente la capacità del bambino sano …di recuperare…di raccogliere anche l’ultima stilla della recuperare…di raccogliere anche l’ultima stilla della stimolazione umana…di integrare, per sopravvivere in stimolazione umana…di integrare, per sopravvivere in qualche modo, anche il più misero sostituto di cure qualche modo, anche il più misero sostituto di cure maternematerne…..…..

……esattamente all’opposto dei bambini autistici, i esattamente all’opposto dei bambini autistici, i bambini deprivati si aggrappano con tenacia, intensità bambini deprivati si aggrappano con tenacia, intensità ed efficacia a qualunque misera goccia di apportoed efficacia a qualunque misera goccia di apporto...”...” (M. Mahler, 1968) (M. Mahler, 1968)

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Anni ’70 – ’80: la crisi del modello Anni ’70 – ’80: la crisi del modello dell’autismo psicogeno. dell’autismo psicogeno.

Gli studi empirici Gli studi empirici Lo sviluppo di studi empirici rigorosi oltre a documentare

l’importanza della vulnerabilità genetica (“l’autismo è, tra tutte le condizioni psichiatriche, quella in cui la genetica svolge il ruolo più importante”, Rutter 2001) accerta che:

1. La prevalenza dell’autismo non è maggiore nei ceti intellettuali e/o in particolari sistemi di allevamento

2. Non c’è un particolare stile relazionale genitoriale alla base

dell’autismo

3. Nella storia e nelle famiglie reali delle persone autistiche non è documentabile qualche cosa di specifico e di differente, sul piano psicologico, rispetto a tutti i possibili gruppi controllo (normali o con altre patologie)

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Anni ’70-’80 gli studi empiriciAnni ’70-’80 gli studi empiricidimostrano chedimostrano che

4. La patologia autistica è spesso precocissima5. Si esprime nello stesso modo sia nelle relazioni con i genitori che in quelle con qualunque altro caregiver

In conclusione, a partire dagli anni ‘70 si fa sempre più strada nella comunità scientifica la convinzione che, come aveva intuito originariamente Kanner, l’autismo non sia la conseguenza di di una deprivazione psicologica o sociale o di disturbate relazioni ma sia esso stesso un radicale, originario disturbo dei fondamenti della relazionalità umana

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La crisi “interna” La crisi “interna” del paradigma psicogenetistadel paradigma psicogenetista

… sono i presupposti stessi della concezione

tradizionale a franare, con gli sviluppi della

psicologia evolutiva.

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L’autismo non può più essere concepito come un arresto o una regressione dello sviluppo a fasi “autistiche”primitive, per insufficienze dell’ambiente …perché appare sempre più chiaro, dagli sviluppi della psicologia evolutiva, che nella crescita umana non c’è alcuna fase autistica normale, non c’è

nessun “normale autismo del neonato” (Piaget).

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Si fa strada con l’inizio degli anni 2000 l’idea di un deficit delle basi neurologiche di quanto viene denominato……

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L’intersoggettività primariaL’intersoggettività primaria

Fin dall’inizio il neonato umano è dotato di evidenti “discovery procedures”(Meltzoff 2001), attraverso cui esplora attivamente l’ambiente interumano circostante… manifesta molteplici segnali di una “innata intersoggettività” (Trevarthen 2001), di una particolare attenzione spontanea ed originaria per gli interlocutori viventi, di immediata recettività ai loro stati soggettivi, di una sorta di elementare e spontanea propensione alla mappatura “se/altro”….un abbozzo embrionale di interesse al “senso umano” delle esperienze…

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L’intersoggettività primariaL’intersoggettività primaria

Nell’intersoggettività primaria il bambino si impegna in una fitta rete di scambi comunicativi….

scambi fin dall’inizio caratterizzati da un fenomeno fondamentale: la “reciprocità”: “ciò che è percepito non è solamente il comportamento dell’altro ma la sua reciprocità al nostro…” (Neisser 1993)….

Numerosi studi dimostrano la particolare attenzione e preferenza del neonato umano rispetto ai comportamenti “congruent with me” e non solo “contingent on me” (Meltzoff 1994)..

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L’intersoggettività primaria denuncia la sua presenza e al contempo la sua innatezza attraverso …

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I segnali precoci della reciprocitàI segnali precoci della reciprocità

Vi sono molti segni di questa reciprocità:1) le “posture anticipatorie” e il “dialogo tonico” di J. De

Ajuriaguerra (1964)2) le interazioni ritmiche con i care givers (Trevarthen, 1973),

vere “protoconversazioni”3) l’ interesse precocissimo per i volti e la mimica materna

(Stern, 1985)4) i fenomeni di attunement, di sintonizzazione e

sincronizzazione affettiva (Brazelton 1974, Tronick 1979, Beebe 1982, Stern, 1985, Beebe e Lachmann 1988, Trevarthen 2001 ecc….) nell’interazione, nel gioco, nelle protoconversazioni….che testimoniano l’attivo interesse per le intenzioni e la precoce capacità di modulazione degli stati affettivi

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La “grammatica universale” La “grammatica universale” dell’intersoggettività primaria….dell’intersoggettività primaria….

…una estesissima letteratura ha mostrato la ricchezza di questa intersoggettività primaria, individuandone anche le “regole universali”, descrivendone i ritmi, la prosodia, la musicalità, la fenomenologia “normale” e le sue “normali” perturbazioni … ma mostrando anche come la regolazione del contatto e la modulazione affettiva-interattiva che in essa si produce costituiscano veri “involucri proto-narrativi” del sé e del mondo, “schemi” pre-cognitivi, struttura profonda e sfondo implicito di ogni competenza relazionale e collaborativa successiva….

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L’intersoggettività primaria L’intersoggettività primaria

L’evidenza nel neonato umano di questo “initial psychosocial state”, biologicamente programmato, carico di “purposeful intersubjectivity” (Trevarthen 2001)” si è fatta strada lentamente e faticosamente, tra lo scetticismo generale: in psicoanalisi essa confliggeva infatti sia con il modello pulsionale che con l’idea di uno stato originario autistico; in psicologia empirica, con il predominio di “una teoria individualistica, costruttivistica e cognitiva” (Trevarthen,2001).

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L’imitazione primaria: L’imitazione primaria: uno “starting point”?uno “starting point”?

La base innata delle competenze sociali è documentata dai fenomeni di imitazione primaria (Meltzoff 1977) . Presenti già a poche ore dalla nascita, essi evidenziano la capacità immediata di sperimentare e “tradurre” la prospettiva corporea dell’interlocutore nella propria: veri “schemi”, o “preconcezioni”, della relazionalità. Non dipendono dall’incontro con l’oggetto, ma fondano la possibilità di quell’incontro.

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Meltzoff, A. N. & Moore, M.K (1977). Imitation of facial and manual gestures by human neonates.

Science, 198. 75-78

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A .G . B i l la r d - S H S P r o g ra m in C o g n it i v e P s y c h o lo g y - S p r in g 2 0 0 7 h t t p :/ / la s a .e p f l .c h

L e a rn in g b y Im ita t io nB io lo g ic a l In s p ira t io n

G e s tu re R e c o g n it io n

Im ita t io n L e a rn in gD e v e lo p m e n ta l S ta g e s o f Im ita t io n

• In n a te F a c ia l Im i ta t io n ( n e w b o rn s 3 m o n th s )T o n g u e a n d l ip s p r o tr u s io n , m o u th - o p e n in g , h e a dm o v e m e n ts , c h e e k a n d b r o w m o t io n , e y e b l in k in g

• D e la y e d im ita t io n u p t o 2 4 h o u r s I m i ta t i o n i s m e d ia te d b y a s t o r e d r e p re s e n ta t io n

M e ltz o f f & M o o re , E a r l y D e v e lo p m e n t a n d P a r e n t in g , 1 9 9 7 M e ltz o f f & M o o re , D e v e lo p m e n ta l P s y c h o lo g y , 1 9 8 9

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Significato dirompente dei lavori di Significato dirompente dei lavori di Meltzoff….Meltzoff….

…I dati di Meltzoff e coll. contraddicono in modo così radicale tante “idées reçues” che a lungo sono stati messi in dubbio…salvo poi essere confermati da numerosi altri laboratori…e dare origine a numerose discussioni sulla natura di queste capacità imitative evidentemente innate…sui meccanismi che la sostengono, sul loro rapporto con il generale fenomeno biologico della “mimicry”, largamente diffuso in molte specie….anche inferiori….

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Una delle cose più sorprendente degli esperimenti di Meltzoff era che i neonati potevano imitare movimenti del viso utilizzando parti corporee (proprie) cui non avevano mai avuto accesso visivo. Traducevano “immediatamente” un imput visivo in un comportamento motorio simile. Meltzoff chiama questo fenomeno “mapping attivo intermodale”. Questa capacità sembra svolgere un ruolo basale nello sviluppo dell’intelligenza sociale, costituendo un primitivo spazio noi-centrico in cui la prospettiva corporea dell’interlocutore è immediatamente “tradotta” in quella propria…

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.. Meltzoff dimostrò peraltro che questa “incredibile” capacità era correlata ad altre precocissime capacità di integrazione multimodale: neonati di 3 settimane sono in grado di identificare visivamente ciucciotti che avevano precedentemente tenuto in bocca senza poterli vedere…ciò che era stato precedentemente esperito come differente dal punto di vista tattile viene ora riconosciuto anche visivamente differente..

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A poco a poco, è sul fondamento di questa “intersoggettività” (o meglio “intercorporeità”) primaria che si organizza una “evidenza naturale” del mondo interumano….

… in uno strato dell’intenzionalità fungente, in una una “pre-comprensione” della socialità che è prima di qualsiasi “social cognition” in senso stretto…ma anche di qualsiasi fantasia, conscia o inconscia….proiezione o introiezione…o rappresentazione di “contenuti psichici”, “desideri”, “intenzioni”….e anche di ogni chiara distinzione di soggetto e oggetto…

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Dall’intersoggetività primaria Dall’intersoggetività primaria all’intersoggettività secondaria all’intersoggettività secondaria

…siamo qui ancora, evidentemente, in una dimensione di “weness” o del “essere-con”(Stern 1985)….che certamente non è “autistica”, ma comunque è di relativa indifferenziazione e di confusione dei limiti tra se e non-se, di “bi-dimensionalità psichica” (o di “identificazione adesiva”)….

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Dall’intersoggetività primaria Dall’intersoggetività primaria all’intersoggettività secondariaall’intersoggettività secondaria

il passaggio da questa intersoggettività affettiva molto primitiva all’ intersoggettività secondaria è complesso, implica l’ “invenzione dell’altro”, cioè della differenza (e separatezza) tra sé e altro, una progressiva costruzione del sentimento di “agentività e della distinzione tra passività e attività, interno e esterno, un transito dai fenomeni imitativi “a specchio” (“indifferenti al chi”) ad una imitazione “secondaria” e intenzionale ….con una componente cognitiva e rappresentativa sempre maggiore…

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Dall’intersoggetività primaria Dall’intersoggetività primaria all’intersoggettività secondariaall’intersoggettività secondaria

…questo cammino di progressiva differenziazione (tra se e ciò che è altro, tra interno ed esterno), riconoscimento e rappresentabilità è ovviamente modulato e facilitato dall’incontro con l’oggetto, dal tipo di “saturazione” delle “preconcezioni”, (capacità di contenimento, di reverie, di introduzione di una “terziarietà” ecc.) che esso consente….

Ma vi sono comunque sempre maggiori evidenze che, nell’autismo, ciò che è alterato è proprio questa matrice biologica originaria dell’intersoggettività….…e che è questa alterazione dell’intersoggettività primaria ciò che rende difficile il transito tra essa e l’intersoggettività secondaria

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Dalla “fortezza vuota” Dalla “fortezza vuota” alla “debolezza piena”alla “debolezza piena”

Questa alterazione si esprime nella fenomenologia preclinica dell’autismo: insufficienza nel contatto visivo, mimico, negli scambi imitativi, nel dialogo tonico e sensomotorio, nell’anticipazione posturomotrice, nell’ attenzione e nella risposta alla voce familiare….successivamente, nell’attenzione condivisa, nel gesto protodichiarativo (ma qui siamo già nell’area dell’intersoggettività secondaria …)

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Dalla “fortezza vuota” Dalla “fortezza vuota” alla “debolezza piena”alla “debolezza piena”

Possiamo dunque pensare l’autismo come una particolare forma di esistenza che si costruisce intorno ad alcune difficoltà iniziali nella costituzione di una

“evidenza naturale del mondo” interumano…

Non è una “fortezza vuota”, secondo il concetto di Bettelheim , che si è chiusa difensivamente, ma una “debolezza piena”: un mondo sui generis (ma comunque un “mondo”) costruito a partire da una debolezza interattiva originaria

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Dalla “fortezza vuota” Dalla “fortezza vuota” alla “debolezza piena”alla “debolezza piena”

…in assenza di una “evidenza naturale del mondo interumano” e alla ricerca comunque di organizzatori, l’esperienza autistica si struttura fin dall’inizio intorno ad alcuni “organizzatori” peculiari ed idiosincrasici…

… di cui ritualismi, stereotipie, routine più o meno elaborate sono solo alcuni aspetti …

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Autismo: il “mistero delle coseAutismo: il “mistero delle cose”

“La realtà per una persona autistica è una massa interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi, rumori e segnali. Niente sembra avere limiti netti, ordine o significato. Gran parte della mia vita è stata dedicata al tentativo di scoprire il disegno nascosto di ogni cosa. La routine, scadenze predeterminate, percorsi e rituali specifici aiutano ad introdurre un ordine in una vita inesorabilmente caotica” (T.Joliffe, cit. in Temple Grandin, Thinking in Pictures 1995)

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Questa descrizione è tipica: corrisponde, nelle sue linee generali, a tutte le descrizioni “dall’ interno” dell’ esperienza autistica che ci sono arrivate dalle poche persone HF in grado poi di fornircele.

Queste descrizioni non corrispondono affatto, purtroppo, a quella che F. Tustin, in un passo molto poetico (1981), preconizzava ci avrebbe potuto fornire, una volta uscito dal suo guscio, il “bambino addormentato nella conchiglia”.

Ovviamente il “mito della conchiglia” (il principino addormentato nel suo guscio difensivo, che mantiene comunque intatte, dentro di esso, tutte le potenzialità evolutive e cognitive in attesa che si sviluppi una maggiore fiducia nella interlocuzione umana e le angosce catastrofiche si mitighino) ha implicazioni operative molto diverse….

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…da quelle che derivano dal riconoscimento di un inceppo o difficoltà originaria nei meccanismi basali che consentono riconoscimento emotivo, imitazione, anticipazione, reciprocità, interazione…e, a poco a poco, attraverso una acquisizione progressiva di capacità, di districarsi dal flusso immediato dell’esperienza sensopercettiva e organizzare un “apparato per pensare i pensieri”….

…si giocano qui una serie di questioni molto importanti….modi radicalmente diversi di intendere non solo l’autismo ma la sua cura….

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La ricerca recente ha messo in luce importanza e basi della difficoltà autistica ad organizzare dei “forward models” dell’esperienza; di sviluppare cioè quella capacità “anticipatoria” che rende possibile intenzionalità ed interattività coerenti.

Fu M. Mahler (1968), che non sapeva nulla della neurofisiologia delle “funzioni esecutive”, a descrivere per prima questa caratteristica difficoltà: “una delle cose che colpisce di più, osservando questi bambini, è che sembra che essi non abbiano il futuro, non ne possiedano modelli anticipatori, non riescano ad immaginarsi cosa accadrà …”

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La difficoltà nei “forward models” ostacola anche il formarsi di quella che D. Marcelli (1986), citando la Mahler senza saperlo, ha chiamato funzione di “surséance”: la capacità di “rinviare”che introduce il “tempo”, consente al neonato di uscire dal flusso sensopercettivo immediato, stabilisce una prima distanza “anticipatoria” tra esperienza sensopercettiva e primo abbozzo di attività rappresentativa; prima tappa di una funzione di contenimento delle eccitazioni esterne ed interne…

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Principali revisioni anni 70-90. Principali revisioni anni 70-90. Aspetti nosograficiAspetti nosografici

Possiamo riassumere i cambiamenti avvenuti negli anni 70/90 secondo il seguente schema 1. La disarticolazione del nesso “autismo-schizofrenia”: differenze di esordio, evoluzione,sintomatologia, epidemiologia, fenomeni tipici, fattori di rischio, distribuzione M/F, associazione con altre patologie,con il RM e l’epilessia, genetica…2. Dalla nozione di “psicosi” a quella di “disturbo generalizzato o dello sviluppo”3. DSM III 1980: nozione di PDD. Criteri rutteriani (1975, 1978)4. DSM III R 1987: accentuata la prospettiva evolutiva, scompare l’aggettivo “infantile”. Scompare la nozione di “autismo residuo”,che alludeva all’ipotesi illusoria di una “uscita” dall’autismo.

Criteri Wing-Gould (coorte di Camberwell; tre domini statisticamente associati, con spettro esteso di variazioni)

De-psicopatologizzazione della descrizione kanneriana (e persino rutteriana). Iperinclusività diagnostica e perdita di specificità.5) DSM IV 1994: riorganizzazione criteriale, inclusione di altri quadri (d.di Asperger)

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Anni 80-2000: i 4 modelli principaliAnni 80-2000: i 4 modelli principali

Sulle rovine del modello psicogenetista, infondato ma a suo modo coerente, nei decenni 1980-2000 emergono alcuni modelli di comprensione (ed aree di ricerca) che cercano di dare una spiegazione “unitaria” dell’autismo.

I principali sono quattro

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MODELLO 1MODELLO 1Le teorie della Teoria della menteLe teorie della Teoria della mente

A partire dalla metà degli anni ’80, A.Leslie, S. Baron-Cohen, U.Frith, J.Perner e altri, utilizzando un costrutto elaborato alla fine degli anni 70 in ambito primatologico da Premack e Woodruff, ipotizzarono all’origine dell’autismo un deficit specifico di “teoria della mente” …

“ToM” indica la continua attività di attribuzione agli altri di stati emotivo-mentali come credenze, desideri, inganni, scopi; attribuzione indispensabile per orientarsi nel mondo interumano, interagire e intendere il comportamento altrui e modularsi su di esso come governato da stati mentali ed intenzioni.

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Modello 1: deficit di ToMM?Modello 1: deficit di ToMM?

Il termine “teoria” non allude ad una attività riflessiva consapevole (gli aspetti “meta-rappresentativi sono anzi molto tardivi nell’evoluzione delle capacità di ToM) ma al fatto che si tratta di un’inferenza di stati intenzionali non direttamente osservabili

ToMM è anzi ampiamente automatico. Esso è alla base delle possibilità specie-specifiche di orientamento sociale (“per la specie umana ToM è analogo alla locazione dell’eco per i pipistrelli”, D. Sperber 1993) e si sviluppa per attivazione successiva di “moduli” e dominii cognitivi predeterminati ed innati.

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Tale attivazione segue sequenze universali (come la grammatica generativa chomskyana), esattamente uguali in tutte le culture (Avis e Harris 1991), che corrispondono a sequenze maturative ed organizzative del Sistema Nervoso.

Se le capacità compiute (meta-rappresentative) di ToM (quelle che consentono di superare i test di “falsa credenza”) si sviluppano solo intorno ai 4 anni, esse presuppongono l’attivazione progressiva di “moduli cognitivi” precedenti: EDD (eye direction detector)-ID (intentionality detection)-SAM (shared attention module)-ToMM compiuta

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L’acquisizione di ToMM è dunque il risultato di un lungo percorso evolutivo della specie, come la capacità di deambulazione eretta o il linguaggio. Questa considerazione “evoluzionistica” è un potente argomento “anti-psicogenetista”: come per linguaggio e deambulazione anche per attivare ToMM dovrebbe bastare una minima “esposizione”…(l’argomento chomskyano dell’ “insufficienza degli stimoli”).

Attraverso vari paradigmi sperimentali (in particolare i test di “falsa credenza”) fu trovato che le persone autistiche hanno difficoltà…..

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.

a distinguere accidentale da intenzionale a distinguere le proprietà degli oggetti fisici da quelle degli

oggetti mentali a collegare “vedere” a “sapere” a riconoscere cause complesse (mentali) di stati emozionali (“è

contento perché crede che…perché spera che…”), mentre cause semplici (“è contento perché mangia il gelato”) sono riconosciute

a distinguere la realtà dalla credenza sulla realtà ad attribuire credenze e punti di vista agli altri a fingere, utilizzare l’ironia, la menzogna, il linguaggio in senso

metaforico a intendere le regole pragmatiche e conversazionali del

linguaggio (quando esso si è sviluppato)

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L’ipotesi generale che ne deriva può essere così espressa:

L’autismo va inteso deficit specifico di ToMM, come una sorta di “agnosia” degli stati intenzionali (mindblindness), almeno di quelli complessi, che toglierebbe al soggetto autistico la capacità di orientarsi nell’universo delle relazioni sociali…… di acquisire quelle abilità di “psicologia ingenua” che consentono di interagire con le menti altrui (il che presuppone la capacità di immaginare cosa gli altri pensino, vogliano, desiderino, ecc.).

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Nel modello cognitivista dell’autismo come deficit di ToM è prevista peraltro la possibilità di diversi autismi, a seconda del livello in cui si colloca l‘inceppo nella sequenza evolutiva di attivazione dei diversi “moduli” della catena evolutiva del “mindreading” : in molti soggetti, pur sprovvisti di capacità meta-rappresentative, può dunque permanere un nucleo anche importante di “psicologia ingenua”.

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Una tappa evolutiva importante Una tappa evolutiva importante di ToMM: SAMdi ToMM: SAM

Una tappa particolarmente importante è costituita dalla capacità di condividere l’attenzione dell’adulto (SAM; Shared Attention Moduli) tratta dalle

“capacità di joint attention, cioè di monitorare e dirigere l’attenzione dell’interlocutore umano verso oggetti comuni, in genere pienamente sviluppate attorno ai 14 mesi, sono tipicamente difettuali nell’autismo; esse si manifestano attraverso una serie di comportamenti (monitoraggio dello sguardo, gesto “proto-dichiarativo”, indicazioni per richiamare l’interesse e l’attenzione) che sono i segnali dell’iniziale costruzione di un mondo condiviso nonché dell’attiva ricerca e piacere in questa condivisione. Essi sono tipicamente difettuali nell’autismo (Sigman 1987)

In cui altrettanto tipicamente c’è dissociazione tra gestualità di richiesta e gestualità per richiamare o condividere (che implica il monitoraggio di stati mentali come attenzione, interesse ecc.) (Baron-Cohen 1995)

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Limiti e debolezze della TToMMLimiti e debolezze della TToMM

La teoria della «Teoria della Mente» ha tuttavia ricevuto critiche e obiezioni rispetto al suo proporsi come spiegazione esauriente dell’autismo. In particolare si è obiettato che una 1.parte importante della sintomatologia autistica non è spiegata da ToMM

2.aspetti nucleari dell’autismo sfuggono a ToM: “gli unici bambini che sviluppano capacità metarappresentative e di comprensione sociale senza fare ricorso a quella comprensione emozionale quasi automatica di cui la maggior parte dei bambini dispone, sono proprio i bambini autistici ad alto funzionamento” (Sigman 1995)

3.Le competenze sociali spontanee non dipendono dalla loro “metarappresentazione”: apprendere capacità di ToM non annulla l’autisticità

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4.Gli aspetti “socio-affettivi” sono, se non trascurati, almeno ritenuti secondari da ToM.

Dalla fine degli anni ’80, sia in USA (Fein et al. 1986, Sigman et al. 1987) sia in Europa si assiste alla ripresa di un “filone affettivo” che cerca di riprendere e di dare base empirica all’intuizione kanneriana.

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MODELLO 2MODELLO 2Il legame affettivo originario: da Kanner ai Il legame affettivo originario: da Kanner ai

neuroni specchioneuroni specchio

Negli anni 80 infatti viene ripresa e sviluppata su basi empiriche l’intuizione kanneriana dell’aspetto “primario” della debolezza interattiva autistica. L’autismo come alterazione originaria del legame affettivo: “questi bambini sembrano venuti al mondo privi di quella capacità innata di formare il normale legame affettivo”.(Kanner 1943)

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Vengono messi in luce (anni 80-90)alcuni Vengono messi in luce (anni 80-90)alcuni problemi riguardanti meccanismi basali problemi riguardanti meccanismi basali

della relazionalitàdella relazionalità

1. deficit nella decifrazione degli stimoli sociali, delle espressioni mimiche, degli aspetti prosodici della comunicazione (Hobson 1985,1989, 1993): evidenze poi confermate dagli studi di neuroimaging

2. deficit imitativo sia a livello di imitazione primaria, che testimonia di una difficoltà originaria nel self-others mapping (Ritvo 1953; Rogers e Pennington 1991; Gopnik e Meltzoff 2000), sia di ritardo e difficoltà nello sviluppo di imitazione “secondaria” di gesti, posture, pantomine (DeMyer 1972, Stone et al 1997, Rogers 1996)

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Abbiamo con il MODELLO 2 , che riprendendo le intuizioni di kanner si trova ad essere convalidato dalle scoperte dei neuroni specchio

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““Broken Mirrors”? Broken Mirrors”? Da Kanner ai neuroni specchioDa Kanner ai neuroni specchio

La neurofisiologia dei neuroni specchio ha recentemente fornito un quadro esplicativo coerente a questi dati: alla base delle difficoltà originarie di imitazione, sintonizzazione intersoggettiva e comprensione sociale vi sarebbe un disfunzionamento nei sistemi “specchio”, attraverso i quali viene attivata quella esperienza fondamentale ed immediata di condivisione e reciprocità che è la “simulazione incarnata” o “consonanza intenzionale”. (Williams 2004; Ramachandran 2005; VillaLobos 2005; Penida 2005;Oberman 2005;Gallese 2006; Dapretto, Sigman e Iacoboni 2006; Oberman e Ramachandran 2007)

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Il sistema “mirror”Il sistema “mirror”

….Scoperti originariamente (Rizzolatti e coll 1992) nella corteccia premotoria ventrale del macaco (F5) i neuroni mirror scaricano sia quando una scimmia compie una azione finalizzata sia quando osserva un’altra compierla….meccanismo basale di “comprensione” delle azioni altrui….

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Sistema mirror: pluralità di funzioniSistema mirror: pluralità di funzioni

Le zone corticali implicate nelle funzioni specchio sono riassumibili nello schema seguente.

Due componenti principali nell’uomo: a) corteccia premotoria ventrale e pars opercularis del giro frontale

inferiore (IFC) e parte caudale dell’ area di Broca, lobo parietale inferiore (IPL); queste aree sono strettamente connesse ai neuroni “audiovisivi” del solco temporale superiore (STS), area non-mirror polisensoriale : il sistema nel suo complesso è alla base della comprensione (pre-cognitiva) delle azioni e delle intenzioni altrui, dell’imitazione ecc. Altre aree mirror nella corteccia somatosensoriale (veder un altro essere toccato/essere toccato…)

b) insula e giro cingolato anteriore (fortemente connessi al sistema limbico): riconoscimento (consonanza) delle emozioni (es. disgusto)

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Da Kanner ai neuroni specchio. : Da Kanner ai neuroni specchio. : la comprensione delle azionila comprensione delle azioni

Durante la osservazione di azioni, L’EEG della corteccia motoria centrale nei soggetti non autistici normalmente si desincronizza (con comparsa del tipico ritmo “mu”, espressione della attivazione del MNS). Ciò non accade nei soggetti con autismo: il sistema mirror non si attiva! (Oberman et al 2005; Martineau et al. 2008)

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““When the social mirror breaks”: When the social mirror breaks”: imitazione volontaria e involontaria imitazione volontaria e involontaria

McIntosh e coll (2006) hanno studiato l’imitazione automatica (involontaria) e volontaria di espressioni mimiche: adolescenti e adulti autistici ad alto funzionamento sono in grado di imitare volontariamente espressioni di gioia o collera, ma esposti senza consegna ad immagini corrispondenti non attivano all’ EMG i muscoli facciali corrispondenti, come invece fanno soggetti e a sviluppo normale (consonanza “mirror” e imitazione spontanea)

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Sistema mirror nell’autismo: Sistema mirror nell’autismo: un dato morfostrutturale un dato morfostrutturale

Hadjikhani e coll. (2006, Cerebral Cortex) in uno studio neuroimaging di morfologia strutturale hanno dimostrato nell’autismo una significativa riduzione della corteccia specificamente nelle aree che costituiscono il MNS (IFC,IPL, STS) e in alcune aree implicate in compiti di produzione e riconoscimento di emozioni

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Sistema mirror e autismo:Sistema mirror e autismo: dati funzionali dati funzionali

Williams e coll (Neuropsychologia 2006) usando tecniche di fRM e il paradigma per compiti imitativi di movimenti proposto da Rizzolatti e Iacoboni (Science 1999) hanno studiato compiti di imitazione e/o esecuzione di azioni in adolescenti autistici HF: c’è una specifica riduzione bilaterale dell’attivazione dei lobi parietali (nelle aree mirror) durante compiti imitativi, assieme ad una mancanza della “normale” modulazione dell’attività dell’amigdala sinistra (presente nei soggetti TD), sempre in compiti imitativi.

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MNS, autismo, riconoscimento MNS, autismo, riconoscimento di emozioni, imitazione di emozioni, imitazione

In uno studio di fRM in compiti di osservazione e imitazione di espressioni emotive Dapretto, Sigman, Iacoboni et al (Nature Neuroscience 2006) hanno dimostrato che in soggetti autistici HF il riconoscimento mimico non avviene attraverso l’attivazione del circuito mirror premotorio (che rimane ipoattivo assieme ad amigdala, insula e COF) ma tramite l’iperattivazione di aree visive”. La disattivazione dei circuiti mirror è proporzionale al grado di “autisticità” misurata con ADI e ADOs

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““Broken mirrors”: riconoscimento Broken mirrors”: riconoscimento delle emozioni, imitazione delle emozioni, imitazione

…in sostanza, nei bambini TD le emozioni e le espressioni sono immediatamente riconosciute (per “consonanza “mirror”) e i processi imitativi “poggiano” su questa spontanea pre-comprensione. Nei bambini autistici HF questa esperienza “diretta” è deficitaria: il “mirroring” immediato impossibile é sostituito da strategie compensatorie “indirette”…

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…….broken mirrors.broken mirrors…broken bicycles … …broken bicycles …

…cosa può accadere nella mente di un bambino in cui l’esperienza dell’intersoggettività primaria invece che darsi come “evidenza naturale”, tramite i dispositivi di mirroring, diventa ardua come l’apprendimento di una lingua straniera?….qual è il destino di quei frammenti di esperienza “non mirrored”?….

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Sistema mirror: pianificazione e Sistema mirror: pianificazione e riconoscimento dell’intenzione motoria riconoscimento dell’intenzione motoria

Nel lobo parietale inferiore (Fogassi et al. 2005, Science) esiste una popolazione di neuroni mirror detti “action constrained”, vale a dire che si attivano non genericamente per una sequenza motoria ma per le sue specifiche “finalità” (la stessa sequenza motoria, ad esempio “afferrare un certo oggetto”, può avere diverse finalità). In uscita (azione finalizzata eseguita), essi improntano fin dall’inizio l’intera sequenza motoria orientandola al suo fine; in entrata (azione finalizzata osservata) entrano in risonanza “speculare” nel riconoscimento delle stesse “finalità”.

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Sistemi mirror, il “why” dell’azione, il Sistemi mirror, il “why” dell’azione, il chaining intenzionale e autismo chaining intenzionale e autismo

Questi neuroni mirror codificano non per il “what” dell’azione ma per il “why”. Il riconoscimento del senso dell’azione osservata è immediato, pre-cognitivo; essi ne “rispecchiano” la organizzazione motoria interna. Ma essi organizzano anche fin dall’inizio coerentemente l’azione intenzionale eseguita …

I bambini a sviluppo tipico, come gli adulti normali, pianificano le azioni globalmente: la comprensione della finalità è “interna” alla stessa organizzazione motoria (Johnson-Frey 2004)

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Dai neuroni mirror Dai neuroni mirror all’intenzione motoriaall’intenzione motoria

Rizzolatti e coll. (2007,2008), attraverso lo studio della cinematica dell’azione intenzionale dimostrano che i bambini autistici HF, pur essendo in grado di capire “cognitivamente” (dall’ “esterno”) un compito e anche di compiere tutte le singole azioni necessarie per eseguirlo, non “traducono” e incarnano la loro intenzione motoria in una sequenza coerente fin dall’inizio….

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Dai neuroni mirror Dai neuroni mirror all’organizzazione intenzionaleall’organizzazione intenzionale

Essi programmano le azioni come sequenze di steps indipendenti….la finalità dell’azione non partecipa “dall’interno” alla sua organizzazione globale.

Questa frammentazione della concatenazione intenzionale, pezzetto per pezzetto, riguarda non solo l’organizzazione dell’azione quando è “eseguita”, ma anche il riconoscimento della finalità dell’azione osservata (Cattaneo et al 2007; Fabbri-Destro et al 2008).

E’, in fondo, il vecchio tema del nucleo “disprassico” dell’autismo…..!

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““Cosa” e “Perché”.Cosa” e “Perché”.Il chaining intenzionaleIl chaining intenzionale

In sostanza nei soggetti a sviluppo tipico il perché, l’ “intenzione” sono “incarnati” fin dall’inizio nell’organizzazione motoria stessa (sia in entrata che in uscita) … non si tratta di un assemblaggio o di una “deduzione cognitiva”, ma di una consonanza immediata…. che coinvolge l’intera esperienza del corpo: esperienza del sé agente ed interagente in una “evidenza naturale del mondo”

le persone autistiche invece hanno difficoltà a integrare il “perché” (il “why”) delle azioni nel chaining motorio, ci riescono (quando sono HF) “per via cognitiva”, per assemblaggio di step successivi…: quel “perché” non si “incarna” fin dall’inizio nella loro stessa organizzazione motoria rendendola coerente all’intenzione fin dall’inizio

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““Cosa” e “Perché”: Cosa” e “Perché”: il ruolo del il ruolo del ContestoContesto

Ma Boria et al. (in press) hanno recentemente dimostrato che questa difficoltà non è un dato statico e assoluto: la difficoltà a capire in modo immediato l’intenzione si riduce o scompare se la sequenza motoria è fortemente inserita in un contesto significativo.

Invece, in assenza di un contesto facilitante di forte significatività, l’intenzione (il “perché”) è invece assegnato in modo rigido e automatico solo alla natura immediata dell’oggetto (il suo uso standard), indipendentemente dalla forma e dall’organizzazione interna del gesto.

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Ruolo del contestoRuolo del contesto

…dunque il deficit in questo fondamento dei processi imitativi è sensibile al contesto…..

Questo introduce ad un terzo MODELLO

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MODELLO 3: MODELLO 3: il il deficit di funzioni esecutivedeficit di funzioni esecutive

(EF)(EF)

Il modello del deficit di funzioni esecutive (EF) ipotizza che nell’autismo siano compromesse alcune funzioni neuropsicologiche generali, chiamate “funzioni esecutive”, che sovraintendono alla pianificazione, controllo, monitoraggio, coordinamento ed esecuzione/comprensione di azioni e di sequenze di azioni finalizzate (sia in uscita che in entrata).

.

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Il costrutto EF implica almeno4 dimensioni neuropsicologiche fondamentali:

1) costruzione automatica di “modelli anticipatori” (forward models) dell’esperienza e pianificazione dell’azione in sequenze gerarchiche. 2) capacità di flessibilità cognitiva e continua modulazione e feedback dall’esperienza (ruolo dei circuiti fronto-cerebellari)3) memoria di lavoro4) capacità di inibire risposte automatiche e perseverative

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Tutti questi processi richiedono una integrità funzionale dei lobi frontali, come dimostrato storicamente dal grande lavoro di L. Bianchi (1922) e poi di A. Luria (1966) e dei grandi

circuiti fronto-cerebello-talamo-corticali.

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L’ipotesi di una disfunzione dei lobi frontali, per spiegare alcune caratteristiche fondamentali dell’autismo, fu avanzata da A. Damasio (1978). Si intersecò poi con le evidenze sul ruolo dei lobi frontali nell’organizzare sequenze di comportamenti orientati coerentemente a scopi (Duncan 1986,

Shallice 1988) e in generale nello sviluppo neurocognitivo (Welsh e Pennington 1988).

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Dal monitoraggio delle azioni al Dal monitoraggio delle azioni al monitoraggio delle intenzioni e del Sèmonitoraggio delle intenzioni e del Sè

Prima dell’esecuzione di una azione intenzionale, nella corteccia prefrontale si organizzano “forward models” dell’azione finalizzata, una “copia” dei quali viene inviata alla zona somato-sensoriale corrispondente: ogni azione intenzionale (sia in entrata che in uscita) è così coerente con una programmazione e una rappresentazione anticipatoria ad un tempo dell’azione, del sé corporeo proprio, di quello dell’interlocutore (nel caso di uno scambio interpersonale) e delle conseguenze (Jannerod 1993, 1994, 1999; Rizzolatti 1994, 1999; Proust 2000)….

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“Forward models”:Forward models”:….una geniale anticipazione….….una geniale anticipazione….

“…una delle cose che colpisce di più, osservando questi bambini, è che essi sembrano non avere un futuro…non possedere ‘modelli anticipatori’ (!!!!) dell’esperienza….” (M. Mahler 1968)

La straordinaria importanza di questa caratteristica……

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Ef, coerenza intenzionale e cervellettoEf, coerenza intenzionale e cervelletto

Il cervelletto, a sua volta, è connesso a questo circuito intenzione/esecuzione, in cui svolge un ruolo cruciale di metronomo o “sincronizzatore”: riceve imput sullo stato delle cose e manda continui feed-back, mantenendo la coerenza di intenzioni ed esecuzioni rispetto alle variazioni impreviste,. Ha dunque una funzione cognitiva importante, è centrale nel “timing”, nella fluidità e nel coordinamento delle sequenze, nel consolidamento di attitudini spontanee …

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EF, sviluppo cerebrale e circuiti EF, sviluppo cerebrale e circuiti fronto-cerebellarifronto-cerebellari.

Evidenze di un ritardo di maturazione (Zilbovicius 1995) della corteccia frontale e\o di disfunzione/dismaturazione dei circuiti fronto-talamo-cerebellari (Minshew 1999, Casanova et al 2002, Luna et al 2002, Carper e Courchesne 2002) sono state correlate alla estesa compromissione delle EF nell’autismo

.Lo stesso è avvenuto per le evidenze ripetute di alterazioni

cerebellari, con ipoplasia del verme e iperplasia della sostanza bianca (Courchesne 1988,1994, 2001).

Ciò ha avvalorato l’ipotesi che il deficit di EF fosse la disfunzione primaria nell’autismo (Ozonoff et al 1999 e 2004, Pennington et al 1997, Russel 1998, Zalla 2003)

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Sono fortemente coerenti con l’ipotesi molte caratteristiche di base dell’autismo: rigidità, perseverazioni e stereotipie, intolleranza ai cambiamenti, difficoltà di programmazione o di modifica degli schemi di risposta, monitoraggio e rappresentazione di sequenze di azioni finalizzate complesse, focalizzazione ristretta ….ma anche difficoltà di apprendimento imitativo, di pianificazione e esecuzione di movimenti imitativi, che comunque implicano una working memory.

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EF, disprassia e body awarenessEF, disprassia e body awareness

L’ipotesi del deficit nello sviluppo di EF si connette all’antica ipotesi di una originaria disprassia (DeMyer 1981), a sua volta collegata al deficit imitativo e alla precaria costruzione di body awareness (esperienza coerente del sé corporeo che governa gli scambi)

Page 91: La debolezza piena barale

EF, intenzionalità, ToM, socialitàEF, intenzionalità, ToM, socialità

siamo nel cuore e nei fondamenti dell’intenzionalità umana…

.dei processi che consentono sia di riconoscere l’azione altrui sia di

modulare la propria come

“orientate ad uno scopo”

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EF, intenzionalità, socialitàEF, intenzionalità, socialità

E’ stato ipotizzato (Russell 1996,1997) che una disfunzione precoce nelle EF produca una difficoltà implicita nello sviluppo del concetto di “agente intenzionale” e di sé come agente intenzionale immerso attivamente in scambi orientati a scopi e riconoscibili.

Disfunzioni, lesioni o dismaturazioni dei circuiti fronto-cerebellari fanno sì che l’azione umana sia tendenzialmente percepita come “un flusso di atti frammentari ed elementari”, non di insiemi strutturati orientati ad uno scopo (Zalla 2003).

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EF, intenzionalità, ToM, socialitàEF, intenzionalità, ToM, socialità

Le EF sarebbero quindi non solo un prerequisito delle capacità di ToM ma anche del costituirsi stesso dell’ intersoggettività e della “relatedness”, oltre che del sentimento di coerenza del sè.

Rogers e Pennington (1991,2006) con esplicito riferimento al modello di sviluppo dell’intersoggettività di Stern (1985) suggeriscono che la “dismetria cognitiva e percettiva” da deficit di EF, assieme alle difficoltà al “matching self/other” per compromissione dei sistemi “mirror”, renda impossibile quella funzione materna “regolatrice” che negli sviluppi tipici consente invece il transito alla intersoggettività secondaria

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“….osservando i bambini psicotici, non si può fare a meno di pensare che l’eziologia primaria della psicosi infantile, l’incapacità del bambino psicotico di utilizzare (percepire) l’agente delle cure materne che è l’elemento catalizzatore dell’omeostasi, è innata, costituzionale e probabilmente ereditaria….”

((Mahler, 1968)Mahler, 1968)

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MODELLO 4 : MODELLO 4 : Deficit di coerenza centraleDeficit di coerenza centrale

Kanner :la “incapacità ad afferrare gli insiemi senza completa attenzione alle singole parti costituenti”

Kanner: il “terrore del cambiamento”. Se manca anche il minimo particolare la situazione non è più la stessa….

…manca la capacità di completamento e gestaltizzazione automatica…

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B. Hemelin, N. O’Connor (1970) : il ricordo delle frasi non è sostenuto dagli aspetti semantici.Frith e Snowling (1983): in soggetti autistici è indebolita non la comprensione di singole parole, e neppure l’individuazione delle classi sintattiche delle singole parole, ma, significativamente, la connessione semantica e la collocazione delle parole in insiemi significativi.Eskes e coll.(1990); Snowling e coll. (1988); Frith (1989); Happè (1994,1997): diverse difficoltà di integrazione multimodale descritteDe Gelder et al. 1991: difficoltà ad integrare diversi domini (movimento delle labbra e suoni nella comprensione del linguaggio).

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La debolezza gestalticaLa debolezza gestaltica

La configurazione generale che risultava da questi studi era quella di una esperienza percettiva tendenzialmente frammentata, disorganizzata, non deficitaria specificamente in nessun dominio particolare, ma caratterizzata da una debole coerenza “centrale”, da una difettosa tendenza alla spontanea organizzazione in insiemi significativi coerenti e dalla specifica propensione invece per i dettagli e le forme astratte dal contesto.

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Interesse del modello dellaInteresse del modello della“coerenza centrale”“coerenza centrale”

Questo modello (U. Frith 1989; F. Happé 2000, 2007) spiega meglio di altri sia alcune disabilità che abilità.

Tra le disabilità: le difficoltà di integrazione dei vari dettagli o i furori per minimi cambiamenti (magari agli altri impercettibili) anche di un minimo dettaglio (il dettaglio “è” il tutto; una sua minima variazione rompe la samenes).

Tra le abilità: quelle dei “savants”; o i “talenti speciali” o comunque gli “isolotti di capacità” spesso straordinaria: capacità di individuare dettagli, di organizzare in modi non comuni i rapporti tra i dettagli, di non rispondere posturalmente a falsi movimenti indotti…l’orecchio musicale assoluto…

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Coerenza centrale e connettività Coerenza centrale e connettività

Il modello del deficit di coerenza centrale, nato su dati cognitivi e neuropsicologici, si adatta bene ai recenti modelli di “disconnessionismo funzionale” (Minshew 2000,2004), nati nell’ambito del neuroimaging. Dati di fRM (Belmonte 2003, 2004, Just 2004) hanno mostrato pattern di connettività atipica in risposta a compiti percettivi e di cognizione sociale: alta connettività settoriale, con iperattivazione localizzata, in specifiche aree percettive e bassa connettività estesa, con ridotta attivazione dei circuiti integrativi.

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Coerenza centrale e connettivitàCoerenza centrale e connettività

….tant’è che il modello del Deficit di Coerenza Centrale si è candidato (Belmonte 2004) a dare a sua volta “coerenza centrale” ai dati sparsi della ricerca….

“Why the frontal cortex in autism might be talking only to itself: local over-connectivity but long distance disconnection” (Courchesne e Pierce, Curr. Opin. Neurob.15, 2005)

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Critiche al modello della Critiche al modello della coerenza centrale coerenza centrale

Ma molte questioni rimangono aperte:ad esempio se il meccanismo sottostante sia unico (un problema generale di connettività e quindi di integrazione/categorizzazione delle informazioni provenienti dai diversi domini sensoriali) oppure riguardi specifici sottosistemi (Plaisted 2003, Happè 2006)

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Disconnettività, coerenza centrale, Disconnettività, coerenza centrale, peculiarità percettive peculiarità percettive

Uno dei temi della ricerca attuale è chiarire come dismaturazione corticale e pattern aberranti di connettività siano in relazione con le atipie percettive, da sempre segnalate nell’autismo.

Il tema della percezione e dell’attenzione nell’autismo è particolarmente intricato e controverso (Barale e Ucelli 2006); l’evidenza clinica che nell’autismo ci sia una organizzazione percettivo-attentiva peculiare è molto antica (a partire dalla segnalazione dei fenomeni di over o under arousal); ma travagliata è la controversia su questa “atipia”, che certo non può essere intesa in termini puramente deficitari, ma probabilmente di complessa processazione trans-modale.

Senza addentrarci, i dati testimoniano di una singolare “fenomenologia della percezione” autistica, che dà origine ad una idiosincrasica esperienza del mondo.

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L’organizzazione percettiva L’organizzazione percettiva nell’autismo. Deficit di coerenza nell’autismo. Deficit di coerenza

centrale o “smantellamento”? centrale o “smantellamento”?

Il “deficit di coerenza centrale” evoca poi agli psicoanalisti il concetto di “smantellamento” sensoriale descritto da D. Meltzer, per evitare l’esperienza di invasione e sommersione caotica…..Meltzer (1975) aveva indicato in questo particolare assetto della psicosensorialità l’origine dell’autismo…una psicosensorialità all’insegna della dissoluzione estetica nelle sue componenti parziali…

Va ricordato come per Meltzer tale “smontaggio” peraltro non sia “difensivo”, non si sviluppi per eccesso di sadismo, invidia, persecutorientà (Meltzer insiste anzi sul carattere “mite”, dolce, sensuale e sensibile di questi bambini…), né per identificazioni proiettive o sulla spinta di una qualche “fantasia”…ma sia un dato “originario”, il portato di “un bombardamento di dati sensoriali su un equipaggiamento inadeguato..” …geniale….

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L’organizzazione percettiva L’organizzazione percettiva nell’autismo. Alcuni dati recenti….nell’autismo. Alcuni dati recenti….

La persistenza (Moller 2005) nell’autismo di pattern “co-modali” atipici di trattamento dell’esperienza sensoriale e di interazioni tra flussi sensoriali diversi, tipici del neonato e che nel TD poi si risolvono nel corso della maturazione dei sistemi sensoriali.

L’importanza del solco temporale superiore (STS) nell’integrazione multimodale: anomalie anatomiche del STS nell’autismo (Boddaert 2004, Hadjikani 2006)

La non differenziazione di attivazione di circuiti tra voce umana (Zilbovicious et al, 2004) e suoni non umani….e il ruolo STS

La non differenziazione tra animato e inanimato (Volkmar e Klin 1995), già segnalata da Kanner

L’ inversione delle attivazioni di FG e STI nel riconoscimento di visi e oggetti (Schultz 2004).

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I pattern difettosi di “lateralizzazione” delle funzioni….disconnettività.

Il ruolo si sincronizzatore e metronomo dell’esperienza percettiva del cervelletto

La difficoltà a discriminare gli aspetti del linguaggio veicolanti aspetti emozionali (“sordità alla voce”, Zilbovicious 2000)

Viceversa, a testimonianza della contraddittorietà del campo, l’estrema sensibilità agli stati e alle atmosfere emozionali “semplici” (l’ “intonazione”, la “stimmung”) e il dato, interessantissimo, che, contrariamente alla difficoltà di riconoscimento delle espressioni mimiche, vi è spesso una particolare abilità a collegare brani musicali ed emozioni (Heaton 1999)……………..e così via…..

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Il cervelletto e la reverie materna.…. Il cervelletto e la reverie materna.….

Eppure, i vecchi miti sono duri a morire….!

B. Golse (2007) ha recentemente ri-descritto parte di questa fenomenologia re-interpretandola come un fallimento nella funzione di “direttore d’orchestra” svolta dalla madre nel processo di organizzazione percettiva, con le sue interazioni armoniose, la voce, il viso, che consente prima una segmentazione dei diversi flussi sensoriali, secondo ritmi compatibili, attraverso cui vengono individuate delle costanti del mondo esterno, poi di integrazione e co-modalizzazione delle sensazioni (funzione di contenimento, filtro, metabolica, di bonifica..)…. verso una intersoggettività secondaria….

Ma davvero è ragionevole pensare alle atipie trovate nell’autismo come a “conseguenze” di funzionamenti relazionali “fuori co-modalizzazione”?

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…….l’antica questione…. .l’antica questione….

Se in linea generale possiamo riferirci al modello delle “serie complementari”(Freud 1916-7) bisogna dire con chiarezza che nel caso dell’autismo re-introdurre per questa via una qualche “psicogenesi” è una grossolana forzatura rispetto all’imponente mole dei dati empirici. Certo, possiamo sostenere (senza obbligo di prova) la psicogenesi di tutto…anche delle alterazioni anatomiche del cervelletto, delle atipie sinaptiche o dei patterns di funzionamento atipici messi in evidenza a pochi giorni dalla nascita in popolazioni di bambini “ a rischio”…..

Ma di queste forzature (squalificanti nella comunità scientifica che si occupa di autismo) non c’è alcun bisogno, peraltro, per riaffermare l’importanza degli aspetti relazionali nella cascata di fenomeni che comunque si verifica a partire dalla disabilità

interattiva originaria e nelle esperienze che ne derivano.

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……ancora una considerazione ancora una considerazione evoluzionistica….evoluzionistica….

E’ ovvio che l’incontro materno “modula”, indirizza… consente non le pre-condizioni della reciprocità e dell’interazione, ma la loro esperienza….ma qui siamo di fronte all’alterazione di funzioni costitutive della specie, frutto di una evoluzione di centinaia di migliaia di anni; ciò indica chiaramente un problema di altra natura: basta del resto una minima esposizione al linguaggio o alla motricità perché i bambini imparino a parlare e a camminare, attivando i “pre-requisiti” innati, specie-specifici ed universali dello sviluppo…(Kagan 1989, Pinker1991)

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È necessario ed urgente, dunque, per lo sviluppo delle

conoscenze sull’autismo e per la psicoanalisi stessa, (per la sua stessa credibilità) che la psicoanalisi si liberi delle ultime scorie di “psicogenesi”, incompatibili con i fatti e confusiogene (anche in una prospettiva “poli-fattoriale”, che, per essere ragionevole, non può essere genericamente “ecumenica”, ma deve definire “pesi” diversi dei diversi ordini di questioni). La psicogenesi dell’autismo è una eredità ed estensione impropria del vecchio paradigma dell’isteria. Essa, oltre che insostenibile, è, come si diceva, del tutto inutile …

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…..lo sviluppo autistico, infatti, anche se profondamente alterato nei prerequisiti stessi della socialità, è comunque quello di una mente (e prima ancora di una esperienza del corpo) vivente e in relazione (sui generis) con altre menti (e altre esperienze del corpo). E anche le persone autistiche hanno bisogno, comunque, di compagni di strada vivi e intelligenti. Ne faranno fin dall’inizio un uso almeno in parte atipico, i mondi che si organizzeranno avranno aspetti singolari, porteranno indelebile la traccia di una alterazione crudele…

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…ma saranno comunque dei mondi; e i soggetti che li abiteranno

saranno portatori di una esperienza che si tratta, innanzitutto, di cercare di intendere.

La psicodinamica dello sviluppo autistico, liberata dagli abbagli etiologici, sarebbe effettivamente il segmento mancante delle descrizioni contemporanee dell’autismo e della prospettazione delle strategie abilitative …che non possono certo fondarsi solo sul bilancio delle abilità e disabilità…

E non c’è dubbio che la Psicoanalisi potrebbe portare un importante contributo sia, in generale, alle rappresentazioni attuali dello sviluppo della cognizione sociale, che sono spesso terribilmente astratte e schematiche e sembrano prescindere dalla dinamica di quell’incontro tra menti che consente il transito tra l’intersoggettività primaria e l’intersoggettività secondaria….

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…sia, in particolare, alla comprensione dei mondi

autistici e quindi alla progettazione di contesti e modalità di intervento ad essi adeguati…ma ciò richiederebbe una autentica curiosità interdisciplinare e, intanto, il coraggio di fare definitivamente piazza pulita dei vecchi errori….che ancora alimentano una diffusa concezione “difensiva” dell’autismo come “chiusura”, come conchiglia che prima o poi potrà riaprirsi, una volta ri-create (tramite psicoterapia) le condizioni per una ripresa sufficiente di fiducia nell’interlocuzione umana, liberando il suo contenuto “incapsulato” intatto (il principino addormentato) …

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Tutto ciò che negli ultimi decenni abbiamo appreso

sull’autismo (dati di ricerca, evidenze cliniche, epidemiologie,descrizioni dall’interno dell’esperienza autistica) indica l’urgenza di questa revisione.

Non è un astratto problema “etiologico”, irrilevante sul piano pratico: quello stereotipo, che scredita la psicoanalisi, comporta una distorsione “psicologista” delle strategie di intervento; anche se i tempi stanno cambiando anche in ambito dinamico, anche se sempre meno dell’autismo vengono considerati i supposti aspetti “difensivi”, anche se lo stile è sempre meno interpretativo…….

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…e sempre più gli interventi, anche dinamici, sono

impostati come tentativi di apertura di “nuova esperienza”, tuttavia capita ancora spesso di leggere di lunghe terapie condotte in stile interpretativo-simbolico (magari di oggetti interni e fantasmi) con bambini la cui capacità di organizzazione coerente dell’esperienza più immediata, di orientamento nell’interazione umana, di mappatura se/altro, interno/esterno, di comprensione stessa del linguaggio simbolico sono assai fragili, se non assenti …

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…mentre occorrerebbe intervenire non solo il più precocemente, il più sistematicamente possibile, nei mesi in cui l’assetto autistico non si è ancora “fissato”, ma anche il più attivamente possibile sulle precondizioni della relazionalità, cercando di attivare interattività, intersoggettività, sentimento di reciprocità, di orientamento nelle interazioni umane

perché la debolezza interattiva, imitativa e di iniziativa autistica “genera” a cascata l’ esclusione da esperienze imitative ed interattive normali e produce difficoltà sempre maggiori negli scambi socio-comunicativi.

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…….”da capo”…...”da capo”…..

Ma a questo punto è necessario affrontare sistematicamente il tema dell’evoluzione dell’autismo nell’età adulta, per vedere se essa ci insegna qualcos’altro di importante.

Occorre premettere alcuni dati epidemiologici

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Alcuni dati generali su prevalenza Alcuni dati generali su prevalenza ed evoluzione ed evoluzione

Prevalenza del disturbo autistico nella popolazione generale: 1,3/mille; di tutti gli PDDs: 3-5/mille (E. Fombonne 2006; stime “di lavoro”)

“The available epidemiological evidence does not strongly support the hypothesis that the incidence of autism has increased…the recent upward trend in prevalence cannot be attributed to an increased in the incidence of the disorder….diagnostic substitution, changes in policies for special education an the increasing availability of services are responsible for the higher prevalence figures” (Fombonne 2006)

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epidemiologiaepidemiologia

“The majority of surveys has ruled out social class as a risk factor for autism…the hypothesis of an association between immigrant status or race and autism remains largely unsupported..” (ibidem)

Nella letteratura più recente in realtà trovate queste cifre fin triplicate; più ancora che la prevalenza, è l’incidenza ad aver subito un aumento vertiginoso; ciò è in larga misura, come sottolinea Fombonne, l’effetto “nebulosa” dell’allargamento diagnostico degli ultimi anni, anche se si comincia a dubitare che le cose stiano solo così e che non stiano incidendo anche co-fattori ambientali….

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La diagnosi di autismo ha una caratteristica instabilità nei primi anni di vita e una altrettanto caratteristica stabilità successiva

L’ instabilità nei primi anni di vita:Sigman e Ruskin (1999): in una coorte di 56 bambini

diagnosticati il 17% “esce dalla diagnosi” entro i 10 anni.

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Instabilità iniziale della diagnosi Instabilità iniziale della diagnosi e “autismi transitori”e “autismi transitori”

L’ instabilità nei primi anni di vita:Fein e coll (2005 e 2006) confermano il dato e parlano di “autismi

transitori”. Fein ha recentemente (2013) confermato che una percentuale significativa di bambini diagnosticati “autistici” in centri attendibili in età precoce dopo qiualche anno risulta “fuori dall’autismo”

Sutera e coll (2009): più la diagnosi è precoce più essa è anche instabile (e incerta) : circa il 20% (17 casi su 90) dei bambini diagnosticati autistici a 2 anni esce dalla diagnosi a 4 anni.

A quali caratteristiche è correlabile “l’uscita dalla diagnosi”: i bambini che “escono” dalla diagnosi in genere hanno più elevato QI e abbozzi di capacità di iniziativa motoria, di reciprocità, di imitazione…: sono le stesse caratteristiche predicono una buona risposta agli EIBI (che sono efficaci in presenza di questi pre-requisiti) !

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Sviluppi fragili, instabilità, Sviluppi fragili, instabilità, adattamenti omeostatici, regressioni, adattamenti omeostatici, regressioni,

plasticità….plasticità….Muratori e Maestro (2006), nei casi con regressione (più frequenti di

quanto si ritenesse in passato), hanno descritto uno sviluppo “ a denti di sega” delle competenze, prima della loro perdita, innescata spesso da banali fatti di vita (malattie, separazioni…)

Gli studi sui “filmini famigliari”, girati prima di ogni sospetto di diagnosi, confermano questa immagine; e mostrano anche come lo stile “iperprotettivo” dei caregivers (in quelle che venivano chiamate “psicosi simbiotiche” o autismi “confusionali”), che tradizionalmente veniva inteso come fattore etiopatogenetico, sia esso stesso l’espressione di un adattamento omeostatico preriflessivo alle difficoltà, percepite del futuro soggetto autistico

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In sostanza: vi è un periodo di plasticità e instabilità degli assetti neurobiologici durante il quale la fragilità di base e la vulnerabilità all’autismo possono non essersi ancora pienamente espresse.

Di qui, a maggior ragione, l’importanza (a prescindere dalla diagnosi e dalla sua conferma, anzi augurandosi che essa non venga confermata…) di intervenire precocemente per sostenere i fattori protettivi, le competenze interattive e l’ intersoggettività.

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L’autismo dura tutta la vitaL’autismo dura tutta la vita

I bambini autistici, a condizione autistica stabilizzata, diventano invece adulti autistici in più del 90% dei casi :l’autismo è “almost always a lifelong disabling condition” (F. Volkmar 2006)

Tuttavia, all’interno di questa “lifelong disabling condition”, le evoluzioni e gli esiti sono i più diversi

Questa variabilità, espressione dell’eterogeneità dell’autismo, spazia da una piccola percentuale di esiti ottimi (o addirittura di uscita dall'autismo: pochi punti, ma presente in tutti gli studi più estesi) ad una maggioranza di esiti meno buoni o decisamente cattivi.

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L’evoluzione degli autismi in età L’evoluzione degli autismi in età adulta: aspetti generali da adulta: aspetti generali da

considerareconsiderareL’ Eterogeneità degli autismi, di cui discuteremo in seguito,

comporta dunque una grande eterogeneità anche dei profili evolutivi in età adulta.

L’evoluzione delle diverse forme e dei singoli casi di autismo mantiene inoltre un margine di imprevedibilità. Banalmente: fare pronostici su quale sarà il futuro di un bambino autistico è azzardato come per qualunque altro bambino.

Molte cose infatti possono cambiare, in meglio o in peggio, nel corso della vita, non sappiamo quanto per l’evoluzione “naturale” del disturbo, o per le interazioni tra le difficoltà originarie, la cascata di eventi di vario ordine che da esse origina, i fattori protettivi o peggiorativi incontrati strada facendo: le sintomatologie prevalenti, gli stili di relazione, le comorbidità, le capacità di adattamento ed espressive…..

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…..cognitivo (sia in meglio che in peggio: Sigman et al 1997, Schopler e Mesibov 1983, Howlin et al. 2004).

All’interno di limiti importanti, da ricordare per evitare illusioni, rimane a lungo anche dopo l’”età evolutiva” una variabilità importante.

I deficit e gli aspetti nucleari stessi, malgrado le loro forti radici neurofunzionali, non sono mai del tutto statici né del tutto globali: hanno una espressione tipicamente “oscillatoria” e sensibile al contesto, talvolta entro limiti ristretti, altre volte più estesi.

Anni di lavoro abilitativo con adulti con autismo ci confermano che i “giochi non sono mai fatti del tutto”. L’autismo non guarisce, ma progressi possono essere ottenuti perfino in aree che sembrano strettamente legate all’assetto deficitario originario

Page 126: La debolezza piena barale

Nessuna persona con autismo è “tutta autistica”: anche nei casi più gravi qualcosa di importante può essere fatto, perfino in quelle aree che sembrano l’espressione diretta dei deficit nucleari; occorre dunque creare le condizioni perché una tensione abilitativa non si interrompa mai, anche nell’età adulta

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Marco 2006->2002->2006. Il gesto, il sè corporeo, il sè agente. Funzioni esecutive, concatenazione intenzionale. Trasformazioni

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Fattori predittivi dell’evoluzione.Fattori predittivi dell’evoluzione. I predittori tradizionali I predittori tradizionali

All’interno di questa variabilità, è possibile individuare fattori predittivi?

I tradizionali “predittori” sono QI e presenza di linguaggio “comunicativo” a 5 anni. Questi predittori sono confermati.

La prognosi dei soggetti con ritardo mentale importante è quasi invariabilmente quella di una scarsa autonomia.

Quella del 25-30 % senza ritardo (percentuale che sta salendo man mano che la diagnosi si allarga…) e’ la più varia: ma anche tra loro meno di un quinto raggiunge una effettiva autonomia sociale e solo un terzo ha un outcome complessivo definibile “buono” (Howlin 2006). Sconfortante? No.

Significa intanto che “autismo” e “ritardo mentale”, anche se spesso associati, sono costrutti diversi.

Page 129: La debolezza piena barale

Nuovi fattori predittivi Nuovi fattori predittivi e loro implicazionie loro implicazioni

Nell’autismo c’è qualcosa di specifico: infatti la disabilità autistica nei suoi aspetti nucleari (l’area dell’intersoggettività) permane anche in assenza di ritardo mentale, in presenza di capacità cognitive elevate e perfino di apprendimenti comportamentali più adattativi

Evidenze emergenti indicano inoltre l’importanza predittiva di tracce di competenze relazionali ed empatiche che sfuggono alla misura grezza del QI e alla presenza "on off" del linguaggio comunicativo a 5 anni (Sigman 1998; Koegel, 2000): abbozzi di abilità imitative, di joint attention, di interesse alle emozioni altrui, di flessibilità cognitiva e di interattività, di iniziativa motoria. Sono le stesse caratteristiche che, in alcuni casi più fortunati, consentono nei primi anni “l’uscita dalla diagnosi”.

Le tracce potenziali di queste capacità sono il “focus” degli interventi cosiddetti “evolutivi”.

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Queste evidenze segnalano infatti l’importanza non solo

di “insegnare comportamenti adattativi”, ma di cercare di attivare e facilitare il più precocemente possibile, in contesti il più possibile “naturalistici, i comportamenti interattivi, contestualizzanti, di pragmaticità condivisa e di sostenere ed attivare quell’ importante “motore” dell’apprendimento sociale che è l’imitazione.

Dunque: sollecitazione alla interazione “partecipata” (anche da parte del terapeuta), alla reciprocità e alla iniziativa, attivazione e modulazione della comunicazione emotiva, attenzione agli affetti…..

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Ciò va fatto molto attivamente; perché la debolezza interattiva, imitativa e di iniziativa autistica “genera” l’ esclusione da esperienze interattive “normali”, che, a “a cascata”, produce difficoltà sempre maggiori negli scambi socio-comunicativi.

A fronte di ciò, diversi studi (Dawson et al. 1990, Escalona et al. 2002) hanno da tempo mostrato ad esempio che molti bambini autistici, pur avendo difficoltà ad iniziare lo scambio imitativo, provano invece piacere ad essere imitati e cercano di proseguire l’esperienza aumentando il comportamento imitativo

Page 132: La debolezza piena barale

Un breve excursus su di un argomento Un breve excursus su di un argomento centrale: l’ imitazionecentrale: l’ imitazione

Sospendiamo per un poco il tema dell’evoluzione dell’autismo (che riuprenderemo tra breve) per fare una parentesi su un argomento centrale nei modelli attuali.

Essa ci consentirà alcune considerazioni importanti successivamente

Page 133: La debolezza piena barale

Importanza dell’ imitazione: Importanza dell’ imitazione: un fenomeno “primario” ?un fenomeno “primario” ?

L’imitazione e il suo lungo sviluppo (dall’ “imitazione in eco” e dai fenomeni di mimicry originari alle capacità più mature) è tema controverso. Tuttavia per certo nell’autismo l’emergere di capacità di imitazione di gesti e stati del corpo:

1.correla con lo sviluppo di capacità di interazione sociale e di “mappatura degli schemi sé-altro” (Sigman et al 1984, Smith e Bryson 1994, Nikopulos et al 2003; Rogers 2006)

2. è uno dei pochi predittori “forti” di sviluppo linguistico (Stone et al 1997, Wertet al 2003). La sovrapposizione di F5 e area di Broca: “Language within our grasp”, Rizzolatti e Arbib, Trends Neurosc., 1998)…

3. correla con una buona la risposta agli interventi psicoeducativi e con la capacità di generalizzazione degli apprendimenti.

4. la assenza di quelle capacità correla con un outcome cattivo

Page 134: La debolezza piena barale

Evoluzioni recenti nei modelli: Evoluzioni recenti nei modelli: l’imitazione l’imitazione

Zwaigenbaum, Bryson, Szatmari e coll (2005) in uno studio clinico su una estesa popolazione a rischio (fratelli) hanno dimostrato che l’assenza di imitazione o problemi nell’imitazione sono precocissimi e precedono l’emergenza di chiara sintomatologia autistica!

Studi di MEG e RMf hanno evidenziato atipie di funzionamento in compiti di imitazione (Nishitani et al 2004; Williams et al 2006; Dapretto et al 2006): ipoattivazione dei circuiti “specchio” e iperattivazione di altri circuiti. Le atipie sono proporzionali al livello di autisticità

Page 135: La debolezza piena barale

Complessità dell’imitazione Complessità dell’imitazione

..ma l’imitazione non è un monolite.. Ha una sua evoluzione… dai fenomeni di imitazione primaria e di mimicry automatica, dai comportamenti “in eco” dell’ “intercorporeità originaria, verso l’imitazione intenzionale (di gesti, posture, azioni, stili…), e l’ apprendimento imitativo volontario e cosciente….

Questa evoluzione richiede il transito tra intersoggettività primaria e secondaria…processi di interiorizzazione, di “stoccaggio” di esperienze, di sviluppo di una “geometria (prima che di una “teoria”) della mente, della differenza sé/altro, interno/esterno…del sentimento di “agentività”….

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Anzi, la maturazione psichica presuppone una capacità sempre maggiore di inibizione dei meccanismi di imitazione primaria, “in eco”, così come delle risposte automatiche ai bisogni e agli stimoli ambientali. Questa evoluzione è parallela, dal punto di vista neuropsicologico, alla maturazione prefrontale (danni prefrontali producono infatti una disinibizione e riattivazione dei comportamenti imitativi primari). L’immaturità prefrontale alla nascita (la mielinizzazione prefrontale prosegue fino all’adolescenza) consente un vantaggio evolutivo attraverso un lungo “bagno” imitativo “basale”

Page 137: La debolezza piena barale

Complessità dell’imitazione nell’autismo. Complessità dell’imitazione nell’autismo. Deficit o atipia? Deficit o atipia?

Anticipando anche nel caso dell’imitazione una considerazione di valore generale, anche la questione dell’imitazione nell’autismo non può essere intesa in termini puramente deficitari: non c’è una “assenza”, un puro “deficit” di imitazione, ma un suo sviluppo ritardato e “atipico”, con sequenze atipiche (ad es.il rapporto dell’apprendimento imitativo con la joint attention) e differenze nei vari aspetti dell’imitazione (imitazione di azione su oggetti, di gesti o posture, oro-faciale ecc.) (Charman 1994; Smith e Bryson 1994; Rogers

1999; Carpenter et al 2002;Williams 2004; Rogers 2006).

Page 138: La debolezza piena barale

Complessità dell’imitazione e autismo Complessità dell’imitazione e autismo

Secondo la “direct matching hypothesis”(Iacoboni e Rizzolatti, Science 1999) all’origine dell’atipia ci sarebbe una difficoltà originaria nel “matching diretto” per imperfetta “taratura” dei circuiti “mirror”: i percorsi imitativi nell’autismo non sono sostenuti dalla “evidenza naturale” del mirroring, base forte di una esperienza del mondo condivisa. Prendono di conseguenza vie più difficili, indirette: ( ad esempio la sequenza invertita tra pointing, joint attention e apprendimento imitativo).

Comunque sia, questi percorsi, sia pure stentatamente, compaiono….possono essere facilitati…!!

Page 139: La debolezza piena barale

Imitazione e autismo: questioni aperte Imitazione e autismo: questioni aperte

Inoltre, anche per il “direct matching” non sembra essere questione di “tutto o nulla”.

Infine: fino a che punto la proprietà “mirror” dei neuroni mirror (che sono neuroni come gli altri) è uno “starting point” e fino a che punto sono proprietà acquisite, hebbianamente (“neurons that fire together wire together”, D. Hebb), nell’esperienza del “mirroring”?

In altri termini, i “broken mirrors” fino a che punto sono tali fin dall’inizio e fino a che punto sono conseguenza di una cascata di esperienze di interattività deficitaria per altre cause?

Page 140: La debolezza piena barale

Neuroni Mirror e mirroringNeuroni Mirror e mirroring

I neuroni mirror prefrontali e del lobo parietale inferiore sono “indifferenti al chi”. Importanza fondamentale del STS per la distinzione se/altro.

Ma il circuito F5-PF-STS è stato ipotizzato (Keysers e Perret 2004) come alla base, attraverso il ruolo cruciale di STS, dell’acquisizione di funzioni “mirror” di F5 e PF

Page 141: La debolezza piena barale

Il visibile e l’invisibile. Il visibile e l’invisibile. La capacità negativa e il STSLa capacità negativa e il STS

Evidenze di dismaturazione del STS nell’autismo (Zilbovicious et al 2004)

Il STS non solo ha un ruolo cruciale nella distinzione se/altro, nella comodalizzazione sensoriale e nel perfezionamento della funzione mirror dei sistemi mirror. La cosa di straordinaria importanza è che una parte dei neuroni audiovisivi STS scarica specificamente “in assenza” dell’oggetto visibile/udibile…..

Page 142: La debolezza piena barale
Page 143: La debolezza piena barale

Centralità dei passaggi consentiti dalla maturazione di queste strutture prima nella costituzione dell’intersoggettività primaria e poi nel passaggio tra intersoggettività primaria e secondaria (costanza dell’oggetto, accesso al simbolico…)

Page 144: La debolezza piena barale

L’enigma del “primum movens”…….. L’enigma del “primum movens”……..

Le questioni sono tutt’altro che semplici: il MNS spiega bene i fondamenti primari dell’imitazione (direct matching) e del lungo “bagno imitativo” (da immaturità prefrontale) che consente ai meccanismi basali di rispecchiamento e intersoggettività primaria di sedimentarsi pienamente; ma questa “base sicura” progressivamente è sostituita e integrata da meccanismi di cognizione sociale e apprendimento imitativo più complessi, che implicano lo sviluppo di competenze, articolazioni, differenze, self regulation, EF, TOM.. a loro volta indicate come deficitarie nell’autismo…in cui diversi dati indicano una dismaturazione prefrontale e delle connessioni fronto-cerebellari…ma a loro volta queste difficoltà rendono difficili esperienze di mirroring…

Page 145: La debolezza piena barale

…….ma torniamo al tema dell’evoluzione dell’autismo nell’età adulta….

Cosa succede ai bambini autistici quando diventano grandi (rimanendo, come nella quasi totalità dei casi, autistici)?

C’è un rapporto evidenziabile tra tipi di evoluzione e trattamenti?

Page 146: La debolezza piena barale

Evoluzione dell’ Autismo ed Evoluzione dell’ Autismo ed interventi. Quale relazione?interventi. Quale relazione?

E' difficile stabilire un rapporto tra tipologie di trattamenti ed esiti complessivi, sia a breve che a lungo termine

A breve termine ci sono prove di efficacia sia per alcuni trattamenti intensivi comportamentale precoci (EIBI), sia per interventi psicoeducativi, sia per interventi specifici e strutturati di impostazione “evolutiva” (LG ISS 2012)

Non vi è invece alcuna chiara evidenza di una “gerarchia” di efficacia complessiva tra i diversi trattamenti precoci (Howlin et al, 2009; LG ISS 2012).

A lungo termine, poi, l’ outcome è ancor meno direttamente correlabile alla tipologia del singolo trattamento, in particolare per i casi che vanno molto bene. E’ tuttora più facile indicare i predittori di un outcome povero (QI>70, grave compromissione del linguaggio, comorbidità importanti, nessun intervento specifico) che quelli di un outcome buono.

Page 147: La debolezza piena barale

Evoluzione dell’ Autismo ed interventi. Evoluzione dell’ Autismo ed interventi. Quale relazione?Quale relazione?

Cominciano tuttavia a comparire evidenze che interventi abilitativi precoci e specifici (sia EIBI che evolutivi) continuati coerentemente nel tempo, anche nell’età adulta, possano sortire esiti lievemente migliori.

Ciò che fa la differenza non è il singolo trattamento, ma la coerenza, specificità, sistematicità, durata nel tempo e continuità del progetto in una atmosfera generale di sostegno. Se ciò si realizza, vi sono lenti ma significativi spostamenti verso l’alto nella scala di autonomia e capacità adattive (Howlin 2006)

In sostanza: se non vi è intervento (di alcun tipo) che di per sé consenta di uscire dall’autismo, in presenza di contesti adatti e di interventi specifici (cioè centrati sulle caratteristiche dell’autismo) le persone autistiche possono continuare anche oltre l’età evolutiva un loro percorso di crescita.

Page 148: La debolezza piena barale

Un periodo molto delicato: Un periodo molto delicato: l’adolescenza autistical’adolescenza autistica

La maggioranza di adolescenti autistici non presenta modificazioni più drammatiche degli altri coetanei; in alcuni casi addirittura migliora (Kanner e al 1972; Rutter e Bartak 1973; Wing e Wing 1980; Mesibov 1983; Park 1983). Ma in almeno il 30 % si ha un importante peggioramento (Kobayashi et al 1992, Ballaban-Gil et al 1996, Wing 2000), talvolta con comparsa di nuovi sintomi (Seltzer et al 2003)

I cambiamenti adolescenziali impattano in un apparato mentale e in un sentimento del sé fragili e indifferenziati. Nel caso dei ragazzi autistici è impossibile poi l’accesso ai “mediatori sociali” del processo adolescenziale; ma le “forme sociali” stesse del “divenire adulti” sono loro inaccessibili. Sopravviene spesso una dolorosa percezione della propria diversità. Depressione.

Page 149: La debolezza piena barale

L’adolescenza autistica: L’adolescenza autistica: un processo difficileun processo difficile

Diminuisce contemporaneamente la tolleranza sociale e anche nei casi non infrequenti in cui i bizzarria e comportamenti problematici tendono a “spegnersi” o a diminuire per intensità e/o frequenza, essi sono comunque meno tollerati socialmente.

Il passaggio è poi spesso particolarmente difficile per i famigliari: accettare che i giochi evolutivi sono in larga misura fatti…e non sono andati come fino all’ultimo si era sperato…. Inoltre…

..di fronte si apre un terribile vuoto, conoscitivo, simbolico, di contesti, servizi e dispositivi di intervento, di progetti possibili..… una vera terra di nessuno, della quale la diffusa “sparizione” delle diagnosi dai servizi per adulti è solo un pallido indicatore…

Compare (o si aggrava) l’incubo del “dopo di noi”. E questo futuro impossibile da immaginare genera o rinforza embricazioni e dinamiche intra-famigliari sempre più patogene…Eppure…..

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…eppure……è dimostrato che se adeguati servizi, contesti e interventi

sono mantenuti anche l’età giovane-adulta sono possibili miglioramenti in diverse aree sintomatologiche e competenze:

nella comunicazione verbale e non verbale, nell’uso appropriato degli oggetti, nella tolleranza ai cambiamenti, nella partecipazione ad attività collettive (Mesibov, Schopler et al. 1989); nella reciprocità sociale e comunicativa (Orsi, Ucelli, Barale, in press); in tutti i dominii della ADI-R (Seltzer 2003); in tutte le aree della Vineland (Orsi, Ucelli, Barale, 2008 e 2012).

I dati testimoniano di miglioramenti possibili non solo nei comportamenti ma nella qualità di vita complessiva, perfino in aree che costituiscono il “nucleo duro” dell’autismo: le difficoltà nella reciprocità sociale e comunicativa, ritenute altamente stabili (Beadle-Brown et al, 2002; Billstedt 2007)

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… … e i risultati nefasti dellae i risultati nefasti della “terra di nessuno” “terra di nessuno”

A fronte di queste evidenze….la maggioranza degli studi testimonia viceversa che in assenza di contesti ed interventi adeguati, il giovane adulto e l’adulto con autismo va incontro ad una perdita delle competenze acquisite, talvolta a un aggravamento dei sintomi, alla comparsa di importanti co-morbidità, ad un peggioramento della qualità complessiva della vita (sua e dei caregivers) (Engstrom 2003; Howlin 2004; Billstedt et al., 2005 e 2007; Mugno et al., 2007)

Questo deterioramento complessivo è tipico non solo delle collocazioni istituzionali, ma anche delle ancor più frequenti “istituzionalizzazioni a domicilio” (ovunque non esista progettualità specifica verso l’età adulta e continuità abilitativa).

Dunque: non bastano buoni interventi infantili per modificare l’evoluzione!!!

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In sostanza….i dati a disposizione In sostanza….i dati a disposizione dimostrano che:dimostrano che:

L’autismo è un’ area in cui l’adeguatezza di interventi e contesti fa, a lungo andare, davvero radicalmente la differenza

La continuità è fondamentale. E’ un errore pensare che il destino delle persone autistiche in età adulta possa cambiare con interventi limitati all’infanzia.

“On the whole, it would appear that the huge increase in educational facilities for children with autism over the past 3 decades has not resulted in a signifiant general improuvement s in outcome for adults” (Howlin et al. 2004)

E’ un errore pensare che dopo l’età evolutiva non ci sia più niente da fare.

Non si guarisce dall’ autismo, ma si può fare molto per la qualità di vita complessiva delle persone con autismo.

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Autismo in Autismo in età adulta. età adulta. Cosa è necessario? Cosa è necessario?

Il pessimismo dell’intelligenzaIl pessimismo dell’intelligenzaAvevamo visto che persino la disabilità sociale può essere

mitigata. Va però ribadito che essa in genere permane anche

nelle condizioni migliori, a prescindere dalle performance

cognitive, dalle abilità acquisite e anche dagli interventi.

E’ una illusione ritenere che “tantissimo” intervento precoce eviti, in

età adulta, la disabilità sociale. Non è così, purtroppo.

In sostanza: molti persone autistiche potranno fare importanti progressi, ma pochissimi diventeranno effettivamente autonomi.

Quasi tutte le persone con autismo avranno bisogno, da adulte, per esprimere la propria umanità, di contesti facilitanti ed organizzati, a diversi livelli di protezione, a seconda del “loro” autismo.

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Implicazioni abilitative.Implicazioni abilitative.Il “common ground”.Il “common ground”.

L' integrazione e l’abilitazione delle persone autistiche deve fare i conti con difficoltà connesse non solo ai deficit cognitivi..ma proprio a questo nucleo profondo dell’autismo, la disabilità comunicativa e sociale,la fragile costruzione di un “sé agente ed interagente in un contesto”..(Klin 2006)

Qui sono i fondamenti stessi della socialità ad essere in questione

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Abilitazione e riabilitazione per le Abilitazione e riabilitazione per le persone autistichepersone autistiche

L’autismo è una condizione limite per le normali strategie della riabilitazione psicosociale.

La generica immissione nella socialità di per sé non è affatto utile, spesso è dannosa.

L’inclusione va governata tecnicamente e della socialità vanno in continuazione facilitate e costruite le condizioni. Ciò vale per i soggetti low functioning; ma anche per quelli high functioning!

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Abilitazione e riabilitazione per le Abilitazione e riabilitazione per le persone autistichepersone autistiche

Ciò che è “naturalmente evidente” per le persone non autistiche (che non hanno problemi di decifrazione delle intenzioni, di coerenza centrale, di ToM, di EF) deve essere “reso evidente” per le persone autistiche. E non è mai “evidente una volta per tutte”.

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Implicazioni abilitative. Implicazioni abilitative. Interventi e contesti Interventi e contesti

Si tratta allora di progettare non solo "tecniche" (dai risultati spesso instabili o non generalizzabili o non “spendibili” in situazioni ecologiche) ma "contesti" di vita che tengano conto delle caratteristiche dell'autismo (con i tipici problemi comunicativi,di ToM, di EF, di coerenza centrale) in cui anche quelle tecniche possano trovar migliore efficacia.

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Outcome, interventi, contestiOutcome, interventi, contesti

Il tema dei “buoni contesti per l’autismo” meriterebbe una trattazione estesa. Si tratta, in generale, di contesti organizzati in modo da sostenere costanza, coerenza, prevedibilità, comprensibilità e significatività; caratteristiche fragili nelle persone con autismo, per le quali deve essere “reso evidente” e prevedibile ciò che è “naturalmente” tale per le persone non autistiche (che non hanno problemi di “modelli anticipatori”dell’esperienza, di coerenza centrale, di ToM, di EF, di decifrazione di intenzioni, di comunicazione ecc.).

Ovviamente, i problemi sono diversi per persone HF o LF. Il lavoro di “mediazione culturale” (tra contesto e persona con autismo) necessario a una buona inclusione dei soggetti HF in ambiti di vita e lavoro “normali” è ben diverso da quella “creazione” di aree di mondo adatte all’espressione della loro umanità che è spesso necessaria per le persone LF

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Dall’intervento sui soggetti Dall’intervento sui soggetti

all’organizzazione dei contesti all’organizzazione dei contesti

Il problema richiede impegno su due versanti: il soggetto con autismo, che va sostenuto nelle sue capacità, e il contesto, sul quale è necessario lavorare perché anche esso si adatti al particolare modo di funzionare di queste persone.

Sul primo versante (il soggetto con autismo)….

nei soggetti HF il lavoro è rivolto soprattutto a facilitare e sostenere la comprensione delle regole implicite della socialità, l’attenzione agli stati mentali altrui e alla struttura pragmatica, interattiva e comunicativo-affettiva del linguaggio e della interazione ….nonchè al sostegno verso le conseguenze talvolta di importante infelicità per la discrepanza tra capacità cognitive e sociali-adattative (Siegel 1996, Klin 2004), tra ciò che hanno “imparato” (anche sugli “schemi sociali”) e ciò che riescono a spendere in contesti non preparati …

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Outcome, interventi, contestiOutcome, interventi, contesti

Nei LF, l’intera organizzazione dell’esperienza, nella sua globalità, deve essere sostenuta, alla ricerca di senso e coerenza. La valutazione delle competenze (presenti, emergenti…) ma anche di motivazioni, attitudini ecc., sono il punto di partenza di una “educazione strutturata permanente” (Schopler 1989) che utilizza le tecniche classiche di apprendimento e analisi funzionale dei comportamenti, con un forte accento, nel nostro modello, sugli aspetti relazionali, la contestualizzazione “ecologica”, il significato di sequenze intenzionali condivise (il “fare assieme”), la trama affettiva delle interazioni. Lo scopo è alimentare, assieme a comprensibilità e prevedibilità del mondo, l’esperienza di auto-percezione di un Sè in grado di interagire a sua volta in modo prevedibile nel mondo interumano, mitigare l’impotenza appresa, facilitare funzioni esecutive e comunicazione, sostenere gli abbozzi di motivazioni…

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Contesti per l’autismo. Contesti per l’autismo. I principi generali “classici”. I principi generali “classici”.

Costanza, stabilità, strutturazione, continua organizzazione e riorganizzazione (introdurre la coerenza e prevedibilità fragili strutturalmente)

Attenzione per le disabilità nucleari (rendere significativo e comprensibile ciò che spontaneamente non lo è)

Monitoraggio dei comportamenti problema (analisi funzionale del comportamento)

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Quale strutturazioneQuale strutturazione?

“in contesti adatti e strutturati, in cui altre persone attivamente iniziano l’interazione e mantengono la prossimità, le persone autistiche rispondono alle proposte di coinvolgimento sociale molto di più di quanto si pensi….viceversa hanno molte difficoltà ad iniziare loro stesse l’interazione e a mantenere un coinvolgimento se collocati in contesti non strutturati”(M. Sigman 2001)

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Quale strutturazione?Quale strutturazione? I rischi degli eccessi di strutturazione I rischi degli eccessi di strutturazione

e della serializzazione… e della serializzazione… Alimentazione adattativa dell’ossessività autistica

(frammentazione dell’esperienza,isolamento,decontestualizzazione..)

Alimentazione di sentimenti di passività e di inefficienza di “se come soggetto interagente”

Perdita di spontaneità e di visione finalizzata “naturale” (già fragili)

Alimentazione di un “adattamento” tutto “esterno”, slegato dall’attivazione di motivazioni “intrinseche”

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Una strutturazione ben temperata. Una strutturazione ben temperata. Quale “prossimità”? Quale “prossimità”?

Centratura sulla soggettività (…può darsi che le persone con autismo abbiamo problemi con ToM…ma…)

Centralità del problema dell’imitazione Coinvolgimento, attivazione e modulazione della

comunicazione emotiva Sollecitare una interazione “partecipata”, l’iniziativa

e la reciprocità Contesti il più possibile naturalistici stretta

connessione tra attività abilitative e progetto complessivo di vita. Lavoro vero.

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I diversi aspetti della “coerenza”.I diversi aspetti della “coerenza”.Un esempio di “psicoanalisi senza Un esempio di “psicoanalisi senza

divano”…..divano”…..La“coerenza” di un contesto, perché esso alimenti nei soggetti

autistici prevedibilità e auto-percezione, non riguarda solo i suoi aspetti più “esterni”. Richiede la cura dei suoi aspetti affettivi, perché si organizzi una trama di pensieri, di affetti e significati condivisi entro cui il soggetto sperimenti la continuità di essere “tenuto”. E questa coerenza affettiva e di significati a sua volta non è qualcosa “in più” rispetto agli apprendimenti cognitivi e di sequenze comportamenti adeguate, ma fa parte dei pre-requisiti “forti” di questi apprendimenti, della pragmaticità condivisa che li alimenta e consente.

L’ “analisi funzionale del comportamento” diventa così, in un’ottica dinamica, la costruzione quotidiana di un “contenitore affettivo-mentale”, di una trama di senso condivisa…in cui difficoltà, impasses, “comportamenti problema”, eventi, imprevisti…si dispongono in una storia in costruzione…

.

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Una strutturazione ben temperata: Una strutturazione ben temperata: il problem solving condiviso il problem solving condiviso

Il “fare insieme” (“problem solving condiviso”): l’intervento educativo non “somministra” compiti e non “adatta” solo dall’esterno; si fonda sull’ interazione, sull’ imitazione e la reciprocità: è costruzione e recupero di significatività comune.

Centralità del tentativo di ristabilire una coerenza intenzionale e di senso in un sistema che tende alla frammentazione

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Principio ecologico, Principio ecologico, soggettività, personasoggettività, persona

Attenzione, considerazione e cura costante delle soggettività (tanto più importante in presenza di sé feriti e fragili) e per il contenitore affettivo collettivo

Ruolo della motivazione nel sostenere intenzionalità fragili e disfunzionanti

L’ intervento educativo, nel suo complesso (progettazione, monitoraggio, valutazione) non deve ridursi al bilancio meccanico delle abilità” (presenti, assenti o emergenti), ma deve tenere conto della dimensione personologica, oltre che delle caratteristiche nucleari dell’autismo.

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Un inciso per psichiatri e Un inciso per psichiatri e amministratori: la necessità di amministratori: la necessità di interventi e contesti specifici!!!interventi e contesti specifici!!!

Se pensiamo a quali “dovrebbero” essere le caratteristiche di buoni contesti per l’autismo e guardiamo quelli realmente esistenti, c’è da inorridire.

Contesti e servizi per l’autismo nell’età adulta, quando ci sono, sono di regola contenitori generici appiattiti o sul ritardo mentale, o sulle “psicosi” (a seconda che nel singolo caso prevalga il deficit o la bizzarria-isolamento). La scarsità di risorse stessa induce all’omologazione; ma anche il ritardo culturale fa la sua parte. C’è ancora una scarsa conoscenza dell’autismo e delle sue caratteristiche; sono ancora molto diffusi pregiudizi che dovrebbero essere obsoleti: ad esempio che l’autismo, sia una condizione “infantile”, che nell’età adulta si “trasforma” in ritardo mentale, o “psicosi” o disturbi di personalità; che la sua origine sia “psicologica”….che “dopo una certa età non c’è più niente da fare”…

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….…

…In realtà, pochi contesti risultano meno adatti alle caratteristiche dell’autismo di quelli che mescolano persone con autismo a persone con disturbi psicotici o gravi disturbi di personalità. Questa dovrebbe essere considerata una autentica “malpractice”!

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Una opzione possibile: l’alternativa Una opzione possibile: l’alternativa “non urbana”. “non urbana”.

L’esperienza di Cascina Rossago L’esperienza di Cascina Rossago

Le farm communities: ambienti particolarmente adatti all’autismo nell’età adulta, sia come percorso di emancipazione dalle/delle famiglie sia per lo sviluppo di contesti e modalità di intervento fondati sui principi descritti: organizzazione di insiemi coerenti e significativi, principio ecologico, fare-assieme…

Contesto ad un tempo semplice e ricco di stimoli e di attività e interazioni comprensibili e significative (Giddan e Giddan 1996; Barale e Ucelli 2006; Mesibov 2011)

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I diversi aspetti della “coerenza”.I diversi aspetti della “coerenza”.Un esempio di “psicoanalisi senza Un esempio di “psicoanalisi senza

divano”…..divano”…..La“coerenza” di un contesto, perché esso alimenti nei soggetti

autistici prevedibilità e auto-percezione, non riguarda solo i suoi aspetti più “esterni”. Richiede la cura dei suoi aspetti affettivi, perché si organizzi una trama di pensieri, di affetti e significati condivisi entro cui il soggetto sperimenti la continuità di essere “tenuto”. E questa coerenza affettiva e di significati a sua volta non è qualcosa “in più” rispetto agli apprendimenti cognitivi e di sequenze comportamenti adeguate, ma fa parte dei pre-requisiti “forti” di questi apprendimenti, della pragmaticità condivisa che li alimenta e consente.

L’ “analisi funzionale del comportamento” diventa così, in un’ottica dinamica, la costruzione quotidiana di un “contenitore affettivo-mentale”, di una trama di senso condivisa…in cui difficoltà, impasses, “comportamenti problema”, eventi, imprevisti…si dispongono in una storia in costruzione…

.

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Dicevamo prima che questi principi tendono a ristabilire una coerenza intenzionale e trame riconoscibili di senso in un sistema che, per ragioni intrinseche, tende alla frammentazione

La frammentazione delle sequenze intenzionali proprie (esecuzione) e altrui (comprensione), la difficoltà a percepire in modo integrato e coerente queste sequenze è considerata una caratteristica “nucleare” dell’autismo.

Il ruolo dei circuiti “mirror” nell’autismo in generale e in particolare in questa difficoltà “nucleare” è molto controverso.

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Empatia, intenzioni, Empatia, intenzioni, percezione del “perché”percezione del “perché”

Qualunque sia questo ruolo, è dimostrato da mirabili esperimenti sulla cinematica dell’azione che questa difficoltà ad integrare il “why” delle azioni nelle sequenze intenzionali, sia “in entrata” (comprensione di ciò che gli altri fanno) sia “in uscita” (programmazione-esecuzione di azioni proprie) è una caratteristica dell’autismo, correlata alla difficoltà nella percezione empatica degli stati mentali (Rizzolatti et al 2009).

“Comprensione” è per la verità termine troppo “cognitivo” per una esperienza che è “incarnata” nello schema motorio stesso.

Dati sperimentali (Boria e al.2009) indicano tuttavia che questa frammentazione è sensibile al contesto. Essa si riduce o scompare se la sequenza è inserita in un contesto significativo e pragmatico strutturato, fortemente prevedibile e condiviso

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““Fare-assieme” e “principio Fare-assieme” e “principio ecologico”: “from shared actions to ecologico”: “from shared actions to

shared minds”shared minds”Queste evidenze sperimentali confermano i principi che sono a

fondamento del metodo di lavoro di Cascina Rossago: il “principio ecologico” e il “fare-assieme”

In contesti retti da questi principi succedono cose molto interessanti: perfino persone autistiche molto gravi riescono ad identificare l’intenzione….riescono a comprendere “cosa” e “perché….ad organizzare sequenze coerenti…perfino ad intendere ed utilizzare adeguatamente indicazioni e suggerimenti anche verbali….ad interagire in modi sorprendenti (almeno per modelli puramente “deficitari” dell’autismo.

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La raccolta del fieno

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La raccolta delle mele

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STALLA

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Falegnameria

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Stalla Cristiano

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Alpaca

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Tessitura

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…ancora sul “problem solving condiviso”

Piuttosto interessante è il fatto che contesti coerentemente organizzati da questi principi facilitano apprendimenti “naturalistici” anche sorprendenti..

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Risvegli

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tolleranze sensoriali sorprendenti….

Cascina Rossago: basket

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Basket

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MUSICA

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Linee generali dell’evoluzione recenteLinee generali dell’evoluzione recente

1. un “common Ground”….

2. dal concetto di “deficit” a quello di “sviluppo atipico”

3. eterogeneità degli autismi e pluralità dei “core deficits”.

4. necessità di osservazioni e modelli naturalistici

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1. Il common ground1. Il common ground

Convergenza importante dei diversi modelli (sia quelli “socio-cognitivi” sia quelli “affettivi”) e delle rispettive aree di ricerca verso un common ground:

la disfunzione dei pre-requisiti innati e pre-programmati dello sviluppo della relazionalità e dell’intelligenza sociale .

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2. Dal “deficit” allo “sviluppo atipico” 2. Dal “deficit” allo “sviluppo atipico”

“non c’è questione, nell’autismo, che si presti ad algoritmi semplici, tipo ‘tutto o nulla’..” (C. Lord, 2001)

“il deficit nell’autismo non è mai né statico né globale” (U. Frith1989)

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2. Deficit o sviluppo atipico? 2. Deficit o sviluppo atipico?

-- dei caratteri atipici dell’imitazione nell’autismo si è già detto

- anche riconoscimento e la comunicazione delle emozioni non sono semplicemente ”assenti”…piuttosto prendono, fin dall’inizio, delle vie peculiari…(Dapretto et al 2006)

- il processo di socializzazione non è assente o deviante sotto tutti gli aspetti…

- non c’è un disturbo dell’attaccamento (Sigman, 1986, 1996, Rutgers 2004)

- vi sono numerosi segnali di atipica socievolezza e di “bisogno di socialità”.(Pasamanick et al. 1975; 1984; Ricks 1976)

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2. deficit o sviluppo atipico? 2. deficit o sviluppo atipico? Il caso dei sistemi mirror Il caso dei sistemi mirror

Uno dei dati “forti” a sostegno dell’ipotesi “mirror” nell’autismo, come avevamo visto, è la mancata desincronizzazione dell’ EEG della corteccia motoria centrale durante la osservazione di azioni: il sistema mirror non si attiverebbe (Oberman 2005; Martineau 2008): ma se il movimento osservato è di una persona famigliare o del soggetto stesso (nello specchio) la desincronizzazione c’è (Oberman 2008) e il sistema si attiva!

Il riconoscimento dell’intenzione motoria (il why) è possibile in contesti facilitanti e di forte condivisione intenzionale (Boria e coll. 2008

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3. Eterogeneità degli “autismi” 3. Eterogeneità degli “autismi”

E’ sempre più evidente che il costrutto “autismo”, come è stato definito (la triade Wing-Gould 1979), è a maglie molto larghe, contiene situazioni eterogenee sotto diversi profili: etiopatogenetico, neuropatologico e neurofunzionale, clinico, neuropsicologico…ciò pone ovviamente grandi problemi di raccordo con la ricerca

-dall’ “autismo” agli “autismi”?

-dall’ idea del “single deficit” specifico ad una pluralità di “core deficits”, intesi come atipicità evolutive, e delle loro combinazioni, talvolta molto complesse

Page 196: La debolezza piena barale

3.Eterogeneità degli autismi. 3.Eterogeneità degli autismi. L’etiopatogenesi L’etiopatogenesi

L’eterogeneità riguarda innanzitutto i percorsi etiopatogenetici, le “cause”.

L’autisticità è una sorta di via finale comune di moltissimi e diversi percorsi etiopatogenetici.

Non si deve pensare ad “una causa” dell’autismo, ma a complesse catene causali, che possono avere un primum movens di vario tipo…

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3.Eterogeneità degli autismi. 3.Eterogeneità degli autismi. Etiopatogenesi Etiopatogenesi

La neuroorganizzazione e lo sviluppo dei sistemi cerebrali implicati nell’autismo possono essere compromesse da cause di varia natura, direttamente genetiche ma anche epigenetiche: virus, anossie, malattie intercorrenti e/o encefaliti intra ed extrauterine di vario tipo, esposizione a tossici… o anche dismetaboliche, immunologiche, oppure secondarie a sindromi genetiche di altro tipo, quali Cornelia de Lange, Angelman, X fragile, sindrome di Moebius, tubero sclerosi, fenilchetonuria…(“autismi sindromici”)

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3. Eterogeneità degli autismi. 3. Eterogeneità degli autismi. Etiopatogenesi. Etiopatogenesi.

Aspetti biochimici e metaboliciAspetti biochimici e metabolici

per non parlare degli aspetti biochimici e metabolici…

Biomarkers neuroinfiammatori (TNF alfa, AGE-Rage, Boso et al 2006), Biomarkers di stress ossidativo, Neurotrofine(NGF, BDNF, NT-3, NT4/5 ) Neurotrasmettitori (Glutammato/ NMDA, Gaba, adrenalina/dopamina, serotonina…), Aminoacidi modificati endogeni ad azione neurotossica (Butofenin), Beta amiloide (Sokol 2006), Ormoni, Amminoacidi, Lipidi, Minerali e Metalli,

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3. Eterogeneità degli autismi. 3. Eterogeneità degli autismi. Etiopatogenesi Etiopatogenesi

Questa eterogeneità fa sì che le alterazioni neuropatologiche, di neurosviluppo e neuro-organizzazione chiamate in causa siano tantissime…spesso contraddittorie…da quelle più fini (migrazione neuronale, processi di pruning, connettività sinaptica, organizzazione colonnare corticale..) a quelle più grossolane e strutturali…

…non c’è zona del cervello che non sia stata chiamata in causa….

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3. Eterogeneità degli autismi. 3. Eterogeneità degli autismi. Etiopatogenesi. Neuropatologia Etiopatogenesi. Neuropatologia

Aumento della quantità di tessuto cerebrale negli emisferi cerebrali e del peso complessivo del cervello (Bailey et al. 1998: Bauman e Kemper 1997), aumento della massa sovratentoriale (Filipek et al. 1992; Piven et al. 1995), aumento della circonferenza fronto-occipitale (Davidovitch et al. 1996; Lainard et al. 1997)

“Poco cervello”, invece, nel sistema limbico e nel cervelletto, sviluppo tronco degli alberi dendritici nel sistema limbico (Bauman e Kemper 1997), riduzione (controversa) delle immagini di amigdala e ippocampo (Aylward et al. 1999), riduzione delle cellule di Purkinjje e negli emisferi cerebellari (Ritvo 1986, Bailey et al. 1998, Bauman e Kemper 1997

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3.Eterogeneità degli autismi. 3.Eterogeneità degli autismi. Etiopatogenesi. Dalla “lesione” ai Etiopatogenesi. Dalla “lesione” ai pattern atipici di connettività pattern atipici di connettività

Nel contesto di questa variabilità e spesso contraddittorietà di evidenze una parte della ricerca recente si sta spostando dal tentativo di individuare la “lesione” o la alterazione neuropatologica specifica verso l’ipotesi di un funzionamento non “coerente”, per alterata connettività, di grandi circuiti neurologici. In particolare quelli più implicati nei compiti di “social cognition”. Ma anche implicati in patterns sensoriali atipici, Kern et al 2007…

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3. Eterogeneità degli autismi. Perché 3. Eterogeneità degli autismi. Perché una alterata connettività?una alterata connettività?

Se una alterata connettività è un dato sempre più confermato, si pone il problema “perché una alterata connettività”? Accanto all’ipotesi direttamente genetica vi sono

ipotesi neuroinfiammatorie (Pardo et al 2005; Vargas 2005; Boso, Barale et al 2006)

ipotesi neuroimmunologiche(Croen et al Biol Psychiatry 2008; Singer et al J Neuroimmunol. 2009)

interazioni tra fattori neuroinfiammatori e/o neuroimmunologici ed espressività di geni implicati nell’organizzazione delle sinapsi

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3. Eterogeneità degli autismi. 3. Eterogeneità degli autismi. Complesse interazioni…. Complesse interazioni….

Guardate come possono agire fattori genetici ed epigenetici (virali in questo caso) nell’organizzazione (e disorganizzazione) sinaptica:

- “Prenatal viral infections in mouse causes differential expression of genes in brains of mouse progeny: A potential animal model for schizophrenia and autism” (Fatemi et al. Synapse, 2005)

- “Viral regulation of acquaporin 4, connexin 43, microcephalin and nucleolin”(Fatemi et al, Schiz. Res. 2008)

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3.Eterogeneità degli autismi 3.Eterogeneità degli autismi

“a tutt’oggi non c’è alcun marker specifico dell’autismo”(P. Ferrari 1999)

“l’autismo è ancora alla ricerca della sua casa nel cervello” (I. Rapin 1999)

Ogni punto fermo raggiunto, ogni passo avanti, riapre quantità impressionante di questioni. Un esempio paradigmatico? La genetica dell’autismo.

Anche qui abbiamo raggiunto dei punti fermi: la genetica è importante nell’autismo (anzi: in base agli algoritmi dell’epidemiologia genetica l’autismo è la condizione psichiatrica in cui la genetica è più importante in assoluto); gli studi sono inoltre in grande espansione. Ma se facciamo il punto a grandi linee, il quadro è:

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1.estrema eterogeneità genetica nell’autismo: centinaia di geni coinvolti

2. ruolo sia di mutazioni ereditarie che di mutazioni “de novo”

3. scarsa penetranza delle varianti osservate: nella maggior parte dei casi esse non sono né necessarie né sufficienti a produrre la patologia….

5….ma diventano probabilmente patogene (nel senso di produrre effetti nella neuro-organizzazione) in alcuni casi e non in altri, combinandosi con fattori di rischio di altra natura, genetici, epigenetici ed ambientali

6. scarsa specificità delle varianti individuate: la più parte delle mutazioni osservate non solo non è né necessaria né sufficiente a produrre autismo, ma è condivisa da altre patologie, come epilessia e schizofrenia!

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3.Eterogeneità degli autismi.3.Eterogeneità degli autismi. Ma cosa “vede” il neuroimaging? Ma cosa “vede” il neuroimaging?

Un ulteriore problema è costituito dal fatto che alterazioni e dismaturazioni dei sistemi neurologici producono una cascata di eventi ed esperienze anomale di ordine relazionale, affettivo, cognitivo,rendono difficili esperienze tipiche, inducono strategie compensatorie; tutto ciò, come la moderna neurobiologia ci insegna, a sua volta influisce sugli assetti neurofunzionali e anche strutturali

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3.Eterogeneità degli autismi. 3.Eterogeneità degli autismi.

Ma cosa “vede” allora il neuroimaging? ( “Se potete vedere cosa accade nel cervello, non per questo non dovete usare la testa”)

Per esempio: che significato hanno i funzionamenti atipici dei circuiti neuronali fronto-limbico-temporali messi in luce,nell’autismo, nei compiti di social perception e social cognition? (Brambilla et al. 2005; Schultz et al. 2006).

Sono fenomeni « primari », « secondari », « compensatori »….? (C.Frith 2007) o magari puri « correlati »….

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Cosa vede e cosa non vede il Cosa vede e cosa non vede il neuroimagingneuroimaging

Non è certo il neuroimaging che può dare una risposta a questi quesiti circa la natura “primaria” o no degli assetti disfunzionali. Semmai indicazioni provengono da altri studi longitudinali:

Alterazioni di numerosi neuropeptidi implicati nel neurosviluppo sono state documentate già alla nascita (Nelson et al., Ann. Neurol 2001)

Sono noti i patterns atipici di crescita nei soggetti che sviluppano autismo:le alterazioni morfostrutturali precoci non sono interpretabili come “secondarie”……

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4. Autismo di laboratorio e 4. Autismo di laboratorio e autismo ecologicoautismo ecologico

Ricordavamo prima come un aspetto dell’evoluzione attuale sia la condivisione dell’importanza di una visione “ecologica” dell’ autismo. Più lo conosciamo, più l’autismo ci appare in effetti una faccenda complicata.

Di questa complessità fa parte il riconoscimento crescente della discrepanza tra quanto si vede in laboratorio e in contesti ecologici: necessità sia di osservazioni che di interventi “naturalistici”

Le strategie artificiali adottate dagli HF in laboratorio non corrispondono a capacità “spontanee”. Viceversa in contesti ecologici adatti si osservano frequentemente, anche in LF,non solo “zolle” di abilità, ma oscillazioni sorprendenti in abilità e disabilità, con comparsa di competenze che contraddicono i modelli di laboratorio

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…per questo la riflessione e la ricerca su questa faccenda così complicata ha bisogno dell’apporto di molteplici punti di vista e tradizioni scientifiche…per evitare che avanzino visioni troppo schematiche e anche che la ricchezza dei contributi della ricerca sperimentale venga fraintesa…

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…e che al vecchio stereotipo psicogenetista (la conchiglia che aspetta solo le condizioni relazionali per dischiudersi) se ne sostituisca un altro altrettanto se non più dannoso.

Lo stereotipo del mondo autistico come mondo di esistenze mutanti, privo di affetti, attaccamenti, relazioni, mondo interno, teoria della mente, ecc..

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A conclusioneA conclusione

…nell’autismo sono presenti tutti gli ingredienti dell’umano, seppure in forme, combinazioni e prospettive diverse ed atipiche…

come scrisse U. Frith: “nell’autismo il deficit non è mai né statico né globale”.

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.. nella debolezza piena autistica nulla è statico, immutabile, puramente difettuale. Neppure la disprassia, o il deficit di EF o, entro certi limiti, l’insufficiente consapevolezza del “sé-agente”. Qualcosa, magari di piccolo, si può fare.

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Marco 2006->2002->2006. Il gesto, il sè corporeo, il sè agente. Trasformazioni

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….certo, le prospettive possono essere anche molto atipiche….

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……i collaboratori….i collaboratori….

Stefania Ucelli di Nemi, psichiatra, ricercatore, già psicoanalista SPI, fondatore e direttore di Cascina Rossago

Pierluigi Politi, professore ordinario di Psichiatria, psicoanalista SPI, musicista, responsabile laboratorio autismo DSSAP

Marianna Boso, psichiatra, musicista, PHD in Neuroscienze

Davide Broglia, psichiatra, ex giocatore di basket serie A

Elena Croci, tecnico della riabilitazione psichiatrica

Marta De Giuli, tecnico della riabilitazione psichiatrica

Enzo Emanuele, biologo molecolare, PHD in Scienze Sanitarie

Vera Minazzi, musicologa, informatica, direttore editoriale Jaca Book

Paolo Orsi, psichiatra

Alessandro Pace, psicologo, PHD in Scienze Sanitarie