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Simone Cerrina Feroni Note per una discussione su un tema chiave I SERVIZI ALL'IMPIEGO: "TARDO MODERNI" SERVIZI DI COMUNITA' ? In Italia, nonostante una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e nonostante l'inequivocabile dettato costituzionale dell'Art.1 e quello delle delle convenzioni internazionali, appare singolare che pochi riflettano sulle riforme e sulla evoluzione dei servizi per l'impiego. L'argomento pare quasi rimosso: c'è scarsa attenzione anche da parte di attori chiave per la messa a punto e l'erogazione di questo primario servizio pubblico, come ad esempio Istituti Scolastici, Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di associazioni e il mondo del volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei servizi per l'impiego: quale bilancio? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema delle conferenze tripartite serve? Quali nuovi raccordi fra i sistemi educazione, formazione e lavoro ? I servizi al lavoro erogati dutante la gestione della crisi sono stati soddisfacenti ? Non si è verificata una rivolta sociale, ma solo una rivolta elettorale: c'è un nesso fra la sfiducia nella politica e gli scarsi servizi/attenzione al tema del lavoro? Manca una legge quadro nazionale, ma il Decreto 276 era poco attento ai servizi per l'impiego, e nel complesso anche le Regioni non appaiono interessate come ad esempio sulla sanità. La delega legislativa (Fornero in questo caso), come l'esperienza del settore istruzione ci ricorda, spesso si arena. La complessità del tema richiede altri strumenti, come ad esempio (forse) un più elevato decentramento normativo. La Riforma Treu è del 1997, le Agenzie per il Lavoro del 2003, cioè di anni ne sono passati, ma il sistema appare debole, frastagliato, a fronte di una domanda crescente di servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere ottimisti, un 10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati. L'inadeguatezza evidente di risorse non è comparabile con altri paesi, nei quali peraltro la disoccupazione è maggiormente coperta da sistemi di welfare. I Centri per l'impiego appaiono "fermi" e le Agenzie per il lavoro in crisi. Il legislatore si preoccupa dello status di disoccupato e del rifiuto di accettare offerte di lavoro distante, ma il punto oggi è ben altro, fare incontrare domanda e offerta, il che nell'era del Web 2.0 (o successivi) non dovrebbe essere tecnicamente impossibile. La Riforma Fornero ribadisce la centralità dei servizi per il lavoro, collegando l'ASP a servizi reali, ma: 1. La base sono gli avviamenti e le cessazioni, e l'andamento del mercato del lavoro ? 2. Come organizzare meglio reti territoriali pubblico-privato? Occorre una area vasta per pianificare e una area distrettuale intercomunale (o infracomunale nelle aree metropolitane) per erogare i servizi, e la Provincia? Troppo piccola e troppo grande allo stesso tempo: occorre una ATO Lavoro, una area vasta di occupabilità, ad esempio tre in Toscana, occorre prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni. I 20 sistemi regionali sono giustamente diversi, ma occorre mantenere una ferma distinzione fra soggetto accreditante, la Regione, e soggetto accreditato. Occorre un saldo presidio dei Centri per l'Impiego, con funzioni nazionali, regionali e locali, e una gamma di servizi modulabile attorno a imprescindibili LEP, finanziati e di cui sia meglio precisata la funzione pubblica di governance. Non c'è necessaria coincidenza fra Centro e servizi, che possono ben essere forniti da chiunque, competente, ma è necessaria una regia nazionale, regionale e locale. I fondi comunitari sono regionali, ma al sud in parte nazionali.

Servizi all'impiego come tardomoderni servizi di comunità

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Simone Cerrina Feroni

Note per una discussione su un tema chiave

I SERVIZI ALL'IMPIEGO: "TARDO MODERNI" SERVIZI DI

COMUNITA' ?

In Italia, nonostante una crisi internazionale comparabile con quella degli anni '30, e nonostante

l'inequivocabile dettato costituzionale dell'Art.1 e quello delle delle convenzioni internazionali,

appare singolare che pochi riflettano sulle riforme e sulla evoluzione dei servizi per l'impiego.

L'argomento pare quasi rimosso: c'è scarsa attenzione anche da parte di attori chiave per la messa a

punto e l'erogazione di questo primario servizio pubblico, come ad esempio Istituti Scolastici,

Università, Comuni, Camere di Commercio, le decine di migliaia di associazioni e il mondo del

volontariato. Molte domande attendono una risposta. La privatizzazione dei servizi per l'impiego:

quale bilancio? Le Agenzie per il Lavoro servono? Il sistema delle conferenze tripartite serve? Quali

nuovi raccordi fra i sistemi educazione, formazione e lavoro ? I servizi al lavoro erogati dutante la

gestione della crisi sono stati soddisfacenti ? Non si è verificata una rivolta sociale, ma solo una

rivolta elettorale: c'è un nesso fra la sfiducia nella politica e gli scarsi servizi/attenzione al tema del

lavoro?

Manca una legge quadro nazionale, ma il Decreto 276 era poco attento ai servizi per l'impiego, e nel

complesso anche le Regioni non appaiono interessate come ad esempio sulla sanità. La delega

legislativa (Fornero in questo caso), come l'esperienza del settore istruzione ci ricorda, spesso si

arena. La complessità del tema richiede altri strumenti, come ad esempio (forse) un più elevato

decentramento normativo. La Riforma Treu è del 1997, le Agenzie per il Lavoro del 2003, cioè di

anni ne sono passati, ma il sistema appare debole, frastagliato, a fronte di una domanda crescente di

servizi. I servizi al lavoro orientano meno della metà dei disoccupati e intermediano, a essere

ottimisti, un 10% della popolazione target, comprendendo i servizi privati strutturati.

L'inadeguatezza evidente di risorse non è comparabile con altri paesi, nei quali peraltro la

disoccupazione è maggiormente coperta da sistemi di welfare. I Centri per l'impiego appaiono

"fermi" e le Agenzie per il lavoro in crisi. Il legislatore si preoccupa dello status di disoccupato e del

rifiuto di accettare offerte di lavoro distante, ma il punto oggi è ben altro, fare incontrare domanda e

offerta, il che nell'era del Web 2.0 (o successivi) non dovrebbe essere tecnicamente impossibile. La

Riforma Fornero ribadisce la centralità dei servizi per il lavoro, collegando l'ASP a servizi reali, ma:

1. La base sono gli avviamenti e le cessazioni, e l'andamento del mercato del lavoro ?

2. Come organizzare meglio reti territoriali pubblico-privato?

Occorre una area vasta per pianificare e una area distrettuale intercomunale (o infracomunale nelle

aree metropolitane) per erogare i servizi, e la Provincia? Troppo piccola e troppo grande allo stesso

tempo: occorre una ATO Lavoro, una area vasta di occupabilità, ad esempio tre in Toscana, occorre

prevedere e favorire emigrazione/immigrazione fra stati e fra regioni.

I 20 sistemi regionali sono giustamente diversi, ma occorre mantenere una ferma distinzione fra

soggetto accreditante, la Regione, e soggetto accreditato. Occorre un saldo presidio dei Centri per

l'Impiego, con funzioni nazionali, regionali e locali, e una gamma di servizi modulabile attorno a

imprescindibili LEP, finanziati e di cui sia meglio precisata la funzione pubblica di governance.

Non c'è necessaria coincidenza fra Centro e servizi, che possono ben essere forniti da chiunque,

competente, ma è necessaria una regia nazionale, regionale e locale. I fondi comunitari sono

regionali, ma al sud in parte nazionali.

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Le Regioni appaiono disattente al nesso chiave Iscrizione Centro per l'Impiego- fornitura di servizi

personalizzati. Il dato medio parla di un 4% di capacità di incrocio domanda-offerta tramite i servizi

all'impiego: un dato ridicolo, che segnala una sostanziale insignificanza. Ma anche

l'intermediazione privata (la somministrazione è intorno al 3% del mercato) ha un peso limitato. Il

mercato del lavoro cambia molto rapidamente, i laureati non vengono assorbiti, disincentivando in

un ciclo vizioso l'alta formazione. Altri elementi "viziosi" sono l'aumento massiccio

dell'emigrazione, anche all'estero, l'aumento del lavoro precario, la scarsa occupazione femminile,

l'inadeguatezza salariale, la scarsa produttività e innovazione, un declino economico e sociale che

parte e si autoalimenta dai primi anni 90. Ma, soprattutto, perchè ragionare solo su utenti individuali

? Il tema del lavoro intacca la carne e la vita delle comunità, delle imprese e delle famiglie. Il

ragionamento riguarda cioè sia il singolo impiego, che la tenuta di interi territori, e infatt i servizi al

lavoro sono un servizio locale, territoriale. Da questo punto di vista la difficoltà di intermediare

domanda e offerta di lavoro mediante servizi pubblici moderni (penso alle opportunità inutizzate del

web) è una "spia rossa del cruscotto" che segnala un gravissimo disfunzionamento, sia nazionale

che relativo all'intervento pubblico su singoli territori locali.

La materia "servizi al lavoro" : normativa e competenza

Sono passati 15 anni dal decentramento bassaniniano del 1997 (anno anche della Strategia di

Lisbona), e 10 dal Decreto Biagi, che ha avuto invece scarso impatto sulle politiche attive del

lavoro, esetndendo invece la precarizzazione iniziata col pacchetto Treu. La frettolosa delega

legislativa della fine del 2007 è a tuttoggi inattuata, come pure quella, altrettanto frettolosa, del

Decreto Fornero. Nella sostanza l'ordinamento di dettaglio è fermo al 2003, cioè a un legislatore che

mostra scarso interesse al rafforzamento dei servizi all'impiego, né il secondo Governo Prodi ha

avuto tempo e forza per riformare “in melius” la normativa. Attenzione: "in melius" non solo per il

lavoratore ma anche per i sistemi economici locali, a mio avviso, per i quali la precarizzazione del

lavoro appare una risposta più tattica che strategica, per lo sviluppo.

Il decreto 469 del 1997 rimane inoltre il testo di riferimento in materia di conferimento alle regioni

della preselezione e incontro domanda/offerta, e mancano tuttora principi statali generali, i

cosiddetti Livelli essenziali delle Prestazioni, cioè i livelli minimi nazionali. Ad esempio manca una

indicazione nazionale su come rendere il servizio in parte a pagamento per le imprese.

Tecnicamente, cioè la norma lo prevede, i Centri per l'Impiego potrebbero offrire ulteriori servizi a

titolo oneroso alle imprese. Previsione interessante, che ricorda l'extra moenia sanitaria, previsione

però rimasta totalmente inattuata, come totalmente inattuata è rimasta quella che prevede la

partecipazione dei Comuni, delle Camere di Commercio e deller parti socaili ai servizi all'impiego.

Il problema che potrebbe sorgere è: quanto i servizi possono differenziarsi da regione a regione? Ad

esempio la competenza in materia di servizi all'impiego affidata, in parte, ai comuni e non alle

province, come in Emilia Romagma, non dovrebbe essere, a rigore, uguale in tutto il paese? E'

possibile, e se si, dove sono i limiti, differenziare servizi, modalità di erogazione, competenze?

Le politiche attive del lavoro è materia anch'essa conferita alle regioni nel 1997, in cui mancano

principi nazionali, quali ad esempio le priorità per quali fasce sociali "deboli". La Formazione

Professionale è invece materia regionale, con unico limite i LEP nazionali.

Il Long Life Learning è materia concorrente o residuale ? Non è facile definire LEP nazionali in

questo campo. E l'orientamento? Deve essere uguale in ogni regione o no, in termini di LEP? Cosa

potrebbe aggiungere una regione a sviluppo differenziato ? Il centralismo - o diciamo meglio la

chiamata in sussidiarietà verso l'alto - non è detto che sia più economico né più efficace, ma è di

tutta evidenza che se la materia è concorrente le decisioni operative sono rallentate.

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Appare difficile, come ora evidenziato, fissare principi e LEP nazionali perchè la materia è nei fatti

locale, e infatti è spesso sottratta, dalle parti sociali, all'influenza pubblica, cioè è materia troppo

contigua al contratto e alle ragioni della libera contrattazione fra le parti. In Toscana c'è un

Masterplan dei Centri per l'Impiego, ma è da aggiornare. Anche perchè il modello deve poter valere

anche per i servizi privati. Nel complesso sono deboli i sistemi territoriali di intervento in materia di

lavoro, e c'è quindi una scarsa competitività delle regioni, di cui solo quattro (Veneto, Toscana,

Emilia Romagna, e Trento-Bolzano) hanno indicatori positivi di competitività sul governo del

mercato del lavoro.

Tutela e sicurezza del lavoro, ricordiamolo, sono competenze concorrenti: allo Stato spetta fissare i

principi generali e alle Regioni la norma di dettaglio. Il Mercato del Lavoro sembrerebbe dunque

una materia concorrente. Si potrebbe discutere se le politiche attive del lavoro siano o meno

comprese nella materia "tutela e sicurezza", ma mi pare comunque indiscutibile avere una tutela e

un quadro di riferimento nazionale. Il servizio locale di incontro domanda-offerta, ovvero il servizio

di sostegno e attivazione di impiegabilità, lato cittadino ma anche lato datore di lavoro, rientra

anch'esso nella materia tutela e sicurezza, ma con un po' di forzatura. Comunque finora il fatto che

la materia sia stata considerata concorrente ha fatto comodo, perchè è stato garantito un sostegno

finanziario nazionale. Occorre anche evidenziare la distinzione fra politiche passive (ex nazionali,

ora affidate alle Province) e politiche attive (affidate alle Regioni che possono, come peraltro in

ogni materia regionale, delegarle alle Province o no). Questa distinzione attivo-passivo oggi ha

ormai poco senso, è un residuo di forme di tutela del lavoro ormai ovunque superate.

L'orientamento, come detto, sembrerebbe a prima vista una materia regionale, come il Long Life

Learning, e questo per differenza, non essendo espressamente nè tutela del lavoro nè istruzione.

Anche se si potrebbe discutere se l'orientamento e la formazione professionale ormai non rientrino

(di nuovo) nella materia concorrente di tutela e sicureza del lavoro. Il termine "tutela" e ancorpiù

quello "sicurezza" direi che ambigui, datati, da riemprie di nuovi contenuti, riletti in una nuova

chiave di Long Life Learning e Orientamento LifeLong.

Costuzionalmente e anche a livello comunitario, è ammessa una deroga ai rapporti giuridici privati,

per esigenze connesse a finalità pubbliche. Si potrebbero cioè introdurre tramite legge, anche

regionale, derogare alle libere contrattazioni lavorative fra le parti (es. patti territoriali, tirocini

oltre i 6 mesi, sostegno all'inserimento lavorativo non solo mediante incentivi, organizzazione di

LSU, estendere il numero di colloqui orientativi, fornrie database di iscritti al Centro per l'Impiego

alle aziende). Ma questo punto è controverso. La norma regionale può differire ma entro i principi

statali, in materia di ordinamento civile. Anche gli ammortizzatori sociali potrebebro essere

modulati? La competenza concorrente/residuale è sottoposta al vaglio di

proporzionalità/adeguatezza ovvero deve obbedire alla minima compressione delle competenze di

altri livelli o perseguire diritti superiori. Ad esempio il diritto al lavoro non può essere compresso

in alcune regioni. Sui tirocini la durata non può essere innalzata, sequesto riduce il diritto al lavoro

?

Il turbocambiamento

Un secolo fa i primi servizi pubblici locali di tipo sociale, evoluzione dell'intervento prima affidato

alla Chiesa, riguardavano il welfare, cioè salute e sicurezza sociale, diritti che oggi sono

indiscutibilmente garantiti a livello costituzionale. Questi diritti nel tempo si sono “estesi”, e in

parte i servizi si sono privatizzati. Oggi, nell'era del cosidetto "turboconsumismo", investono, quale

contraltare alla necessità di sempre più rapida innovazione, i nuovi diritti di Life Long Learning,

quali il diritto all'orientamento e all'apprendimento per tutto l'arco della vita. Diritto-dovere, si

badi, perchè il ragionamento è in realtà più complesso di come appare a prima vista, e il

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parallelismo welfare di prima e seconda generazione ci aiuta a capire meglio.

Prendiamo ad esempio l'accordo Stato-Regioni sul sistema nazionale di orientamento permanente.

L'orientamento “longlife” è un servizio “trasversale” al Long Life Learning, ad esso integrato, in

grado di migliorare l'efficacia dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro, in quanto servizio di

tipo preventivo. Servizio dunque da integrare nei sistemi locali di welfare e di sostegno allo

sviluppo economico. Per analogia coi sistemi sociosanitari, si tratta davvero di una sorta di servizio

di prevenzione, e quindi di ottimizzazione e migliore pianificazione dei servizi successivi di aiuto e

cura, che sono in questo caso i servizi per l'occupabilità e i servizi al lavoro.

Una “estensione”, una seconda generazione di welfare, una sfera che si aggiunge mentre un'altra si

affida in parte al mercato. E' evidente oggi il nesso causale fra la materia salute/sicurezza sociale e

la materia occupazione. Lavorare, non-lavorare, lavorare in modo precario dipende dalla capacità,

dalla messa al lavoro di emozioni, cognizioni e relazioni (individuali, ma anche microgruppali,

organizzativi e sociali). Queste competenze si accumulano (e si disperdono) socialmente nei

territori locali e nelle pratiche lavorative, e dunque dipendono strettamente da servizi avanzati

locali di orientamento e formazione. In altre parole ciò che prima era “naturale”, ad esempio lo

sviluppo di capacità microimprenditoriali, di civicness o lo sviluppo di distretti economci locali,

ora va sostenuto con policies, e quindi servizi, locali. E questi servizi sono l'equivalente

postmoderno dei servizi (diritti-doveri) di welfare novecenteschi (orario di lavoro, pensione,

retribuzione, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) , cioè sono un elemento ormai indispensabile di

contesto.

In sostanza c'è stato un cambiamento di velocità, un cambio di passo, dovuto alla maggiore

concorrenza mondiale, un turbocambiamento nella velocità di aggiornamento di capacità e

competenze necessarie, al singolo lavoratore/imprenditore e al territorio, per sviluppare lavoro e

sviluppo, cioè saper rapidamente inventare, progettare, produrre, vendere e erogare nuovi

beni/servizi, e conseguentemenet saperli consumare rapidamente, per creare il bisogno di nuovi.

Il turbocambiamento delle competenze implica però che molti (individui e soggetti collettivi)

rimangano “indietro”, non siano più adatti alla turbocompetizione, diventino “soprannumerari”. Si

tratta di un disagio e di una paura che non dipende dai soggetti, ma dalla velocità, indotta, con cui si

devono adeguare ai sempre più rapidi mutamenti produttivi e sociali. Parliamo dunque di soggetti e

gruppi sociali non giovani (ma anche di estese fasce giovanili), di bassa scolarità (o di scolarità a

bassa riconvertibilità), isolati, di imprese e territori che per per tradizione familiare o sociale sono

rimasti a un modello "moderno", cioè a un “impiego” ben distinto dal non lavoro o dalla vita

personale. Si tratta di numeri di soggetti e territori rimasti indietro non distribuiti ugualmente sul

territorio, e ai quali è difficile anche solo immaginare quale “servizio” offrire: si tratta di ragionare

caso per caso, territorio per territorio, intervenire senza sbagliare proprio nel punto più delicato del

sistema. L'errore fondamentale che si compie è considerarli come singoli individui. Sono imprese,

organizzazioni e interi territori locali: i livelli individuale, organizzativo e sociale sono intrecciati e

l'intervento richiede un analogo intreccio di competenze.

C'è da aggiungere per la verità che l'attenzione oggi è sempre più sulla qualità della vita e del

lavoro, sul benessere socio-lavorativo, ma che tali elementi sono incorporati in prodotti e servizi (il

wellness è ovviamente anche un prodotto), di cui siamo a nostra volta i turbo consumatori che

alimentano il ciclo. Il miglioramento di competenze di individui, gruppi e organizzazioni si traduce

in sempre nuovi prodotti o servizi. In sostanza l'elemento nuovo è un sistema socioeconomico che

si caratterizza da;

1. Un troppo rapido turnover di competenze e flessibilità di orario/sede di lavoro

2. Una troppo rapida capacità di produrre e consumare nuovi prodotti e servizi

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3. Una domanda spinta da produttori-consumatori stessi

4. Un perenne e sempre più accentuato turnover di impiego, mestiere e competenze

Più che di flessibilità si parla infatti di “vite al lavoro”, ad esempio uffici che diventano case e case

che diventano uffici, un LongLife eLongWide pervasivo: un processo indotto e direi "quasiforzato"

che accade per la prima volta nella storia dell'umanità con tempi così rapidi rispetto alle vite

stesse. Non è infatti paragonabile al lavoro a domicilio preindustriale, che aveva ritmi ben più lenti

e "umani".

Se questa ipotesi è vera, ad essa non può che corrispondere a un analogo e rapido

ampliamento/riorganizzazione dei servizi pubblici correlati. E' come se emergesse una nuova

epidemia e il servizio di prevenzione e cura socio-sanitaria dovesse rapidamente adeguarsi con cure

adeguate.

A chi vanno rivolte le "cure", l'aiuto ? Ai disoccupati/precari e alle aziende in crisi, ma il loro

“restar fuori” dal sistema "vite al lavoro" si autoalimenta in modo molto pericoloso. Infatti oltre

agli aiuti alle imprese si parla, in Italia, di basic income, cioè si ipotizza che a lungo termine molti

soggetti non saranno più “recuperabili” alla turboproduzione e al turboconsumo, saranno soggetti

assistiti. Facciamo un esempio per capire meglio: una grande azienda o un intero distretto

industriale va in crisi e potremmo citare centinaia di casi recenti. Anziché aspettare "passivamente"

cassa integrazione, mobilità e disoccupazione, i servizi (pubblici e privati) e il territorio locale (cioè

i suoi attori chiave) si attiva in anticipo (così dice la Riforma Fornero, ma questa è da tempo la

pratica nelle Regioni più avvertite) e “prende in carico” il problema, iniziando un rapido processo di

riconversione, cioè di Long Life Learning, riorientamento, perchè la riconversione non è solo

produttiva, ma soprattutto psico-sociale, di gruppo, educativa. E' di tutta evidenza che un intervento

del genere, che è collettivo e basato su interventi su piccoli gruppi, ha – lewinianamente- una prima

azione di “unfreezing”, di scioglimento di legami psico-sociali e emotivi precedenti. Un intervento

"psicochirurgico" di una tale delicatezza che non può che essere gestito da esperti, esperti non solo

di sviluppo locale, ma anche di dinamiche di interventi psico-sociali, e quindi da team professionali,

non certo da servizi burocratico-amministrativi o di mero sportello informativo-consulenziale. Ma

nemmeno da molti degli attuali servizi di orientamento e assistenza alla creazione d'impresa o

all'autoimpiego, o da progetti ad hoc, che spesso rimasti alla semplice logica

dell'autoimprenditorialità degli anni 90. Non è nemmeno pensabile poi ogni volta - per evidenti

ragioni economiche- azionare progetti ad hoc per situazioni che in fondo sono nella sostanza

abbastanza simili, non come soluzioni ma come approccio di intervento. Ma soprattutto un servizio

e, a maggior ragione, un progetto ad hoc di riconversione è un intervento di dimensioni enormi, che

richiede perciò supporto e coinvolgimento di enti locali, parti sociali, scuole, volontari,

associazioni, società civile, enti correlati , e una poderosa sussidiarietà orizzontale e mobilitazione

locale per "stare in piedi" economicamente. Come avviene (con sempre maggior fatica a fatica) nel

settore socio-sanitario.

Occorre inoltre, nel pensare a quali servizi offrire, partire più dai desideri, che dai bisogni. Il lavor+,

per quanto detto prima sul le "vite al lavoro" è vita, è quindi desiderio di essere riconosciuto, ha

sempre più una funzione vitale di riconoscimento sociale, non solo per i maschi, come era

tradizionalmente, ma per tutti. Non sempre infatti si cerca, si cambia o si sceglie un lavoro per la

sua remunerazione, la sua localizzazione o per le competenze richieste: il lavoro è identità sociale,

fare impresa è identità collettiva spesso locale.

Manca invece, oltre ai LEP, una consapevolezza e strumentazione professionale diffusa e adeguata

alla sfida nei Servizi all'Impiego, e in genere manca la mobilitazione dei corpi sociali intermedi

locali. I servizi sono stati pensati negli anni 90, non molto tempo fa per i tempi della politica, ma

ormai non sono più “tarati” sul mercato del lavoro attuale, stentano nell'interpretare il nuovo tipo di

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lavoro e imprese, i nuovi bacini di impiego, i desideri di nuove competenze, la nuova domanda dei

lavoratori e degli imprenditori, ad esempio quella dei lavoratori autonomi. Domande e desideri,

individuali e collettivi, sono gli assi su cui fondare un intervento professionale, ma la loro fluidità e

fluttuabilità strutturale, rende difficile un tradizionale percorso di analisi e progettazione di servizi.

Oltre alla tradizionale differenziazione fra aree industriali dismesse, aree agricole, aree di

emigrazione/immigrazione, aree turistiche, aree metropolitane, aree interne ecc, la differenziazione

e individualizzazione degli interventi è ormai strutturale.

Al legislatore e ai policymakers pubblici, pare non sia chiaro quello che a mio avviso è il punto

chiave della questione: formazione, orientamento e consulenza nei servizi al lavoro sono attività

ormai integrate e professionalmente molto complesse, che richiedono anche competenze psico-

sociali, e non si esauriscono, come era prima, in attività formative o di consulenza tradizionali.

Sono servizi innovativi e molto costosi, come del resto sono ormai costosi e semrpe più innovativi i

macchinari e le competenze in sanità. Ma per realizzare quel minimo di economia di scala che la

compatibilità finanziaria oggi richiede occorre progettare servizi ripetibili e molto integrati, almeno

a livello regionale. E' esattamente lo stesso tema che si pone in sanità, solo che le cifre dei budget

sono molto diverse. Occorre definire con maggiore chiarezza le competenze degli operatori nei

servizi per l'impiego, e il ruolo degli attori sociali locali. Per analogia: oggi serve una laurea per

fare il medico, l'infermiere o l'assistente sociale, ma non fare il formatore, il consulente, il tutor o

l'orientatore, cioè al momento chiunque lo potrebbe fare. Questo è chiaramente assurdo, è come se

non si richiedesse una laurea a un medico, qeusto è inadeguato alle sfide dei prossimi anni.

La Riforma Fornero

La Riforma recente stabilisce:

1. Orientamento collettivo (prima era individuale) tra i 3 e i 6 mesi di disoccupazione

2. Formazione minima di 2 settimane, fra i 6 e i 12 mesi di disoccupazione

3. Proposta di adesione entro la scadenza del trattamento di sostegno al reddito

4. Offerta di formazione minima di 2 settimane per i lavoratori sospesi da più di 6 mesi

5. Un sistema premiale dei servizi all'impiego

6. L'inasprimento della decadenza dello status disoccupazione e un collegamento con INPS

L'orientamento collettivo, di piccolo gruppo, appare una metodologia sicuramente efficace (e anche

efficiente) rispetto ai colloqui individuali, ma richiede competenze superiori.

Sono stati dunque fissati alcuni LEP minimi (per la mobilità), ma non si sono garantite né le risorse

finanziarie né, come detto sopra, fissate le competenze degli operatori. E' evidente che nel 2014

termini come “formazione” e “proposta di adesione” appaiano vaghe, e l'indicazione temporale non

è di alcun aiuto nella progettazione (da tempo per obiettivi), sia di interventi formativi che

orientativi.

Chi garantirà i LEP avrà più risorse: viene introdotto un importante sistema di premialità. Certo,

indicare LEP così vaghi non aiuta molto a valutare, ma va riconosciuto un passo in avanti.

La formazione di almeno due settimane sembra richiamare, vista la durata così esigua, un intervento

in piccolo gruppo di formazione orientativa, ma in Italia le azioni di orientamento sono

frammentate, come competenza, su molti soggetti, e sono sostanzialmente inesistenti da un punto

di vista giuridico-istituzionale. O, per meglio dire, ciò che esiste, sparso e spesso disordinato, è di

ottimo livello metodologico, ma non è adeguamente valorizzato e messo a sistema e a regime, come

invece è avvento ad esempio in Francia.

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La definizione di orientamento permanente data dal legislatore, ovvero lo sviluppo di competenze

per definire obiettivi personali, cioè lo sviluppo di una metacompetenza "trasversale" di “messa a

fuoco” di potenziali progettualità, come detto è oggi di tipo Longlife. Il lavoro non è dato una volta

per tutte (mestiere), ma occorre sapersi reinventare nuove professionalità, per similitudine peraltro a

ciò che avviene al lavoratore autonomo e al piccolo o grande imprenditore, ma direi anche al

manager. Inoltre si passa dal lavoro autonomo a quello dipendente e viceversa più volte. Dal punto

di vista di chi vuole ottimizzare e semplificare i servizi all'impiegabilità c'è quindi una interessante

convergenza fra lavoro dipendente e autonomo (e tutte le gamme intermedie). Occorre invece una

più marcata differenziazione per target (es. maschi over 45 espulsi dal mercato del lavoro, donne in

processi di difficile riconversione, under25 poco scolarizzati) e per vocazione territoriale al lavoro

autonomo/piccola impresa. O meglio differenziare i servizi al lavoro in base alla capacità

progettuale che emerge dal soggetto, o dei soggetti collettivi. Mi riferisco ai distretti industriali e a

una minore/maggiore propensione a formule collettive, cooperative e sociali (col sostegno e

l'attivazione quindi di reti sociali) o invece a una propensione più individualistica.

In genere l'orientamento di secondo livello, ad esempio il Bilancio di Competenze, riguarda i sogetti

più deboli. L'approccio va forse rovesciato: un intervento di secondo livello dovrebbe invece

riguardare i soggetti ad elevata impiegabilità. Inoltre è evidente che il servizio di nuova

imprenditoria affidato alle associazioni di categoria stesse presenta un parziale conflitto di interessi,

mentre ben diverso è il caso del servziio di incontro domanda-offerta.

La Riforma Fornero, in ritardo di dieci anni (tempi normali per la politica italiana) in sostanza si

caratterizza per un contrappeso fra politiche di maggiore flessibilità in uscita e migliori politiche

attive del lavoro, durante le prestazioni assistenziali. In un mercato del lavoro dinamico c'è

evidentemente uno stretto parallelismo fra questi due obiettivi, ma ciò è più discutibile in una fase

recessiva o di stasi/decrescita occupazionale, come appare lo scenario futuro italiano. Se a questo

aspetto sommiamo i dubbi già sottolineati sulla evidente insostenibilità della spesa per i servizi al

reimpiego, i dubbi sulla scarsa definizione dei LEP, il persistere di una distinzione ormai superata

fra politiche attive e passive del lavoro, e i dubbi sulla governance dei Servizi per l'Impiego stessi,

abbiamo un quadro generale incerto.

Inoltre quello che non torna sono i numeri. Il totale di persone iscritte ai Centri per l'Impiego (che

sono solo una parte di chi cerca o vuole cambiare lavoro), anche depurando i dati da chi in realtà

lavora ma in modo precario, sommati agli iscritti alle liste di mobilità e ai cassaintegrati, arriva a

molte migliaia (per provincia media) di persone. Ma gli operatori (sempre per provincia media)

sono invece dell'ordine di grandezza delle decine, perdipiù essi stessi spesso precari. Parliamo di un

valore medio e parliamo di operatori dedicati e professionali presso i servizi pubblici: i dati possono

essere variamente calcolati e interpretati, ma possiamo dire che, grosso modo, c'è almeno un

rapporto 1:100, cioè un operatore per 100 persone in cerca di lavoro, un rapporto che se può andar

certo bene per il medico di famiglia perchè non tutti vanno sempre dal medico, chiaramente non

"torna" per un servizio all'impiego, cha va attivato subito per tutti. E la disoccupazione è

raddoppiata negli ultimi tempi, e non accenna diminuiore nel breve periodo.

Si tratta di una utenza con numeri significativi e che per definizione ha bisogno, spesso, di un

intervento immediato: a tutti va garantito un servizio minimo di "pronto soccorso". Al momento,

inoltre, come detto, i Centri per l'Impiego coprono circa il il 4% della domanda, come

intermediazione. O meglio: il 96% della domanda si rivolge ad altri canali: dal bar al clan

familiare/amicale, dalla parrocchia alla ricerca personale, dall'invio di CV al passaparola e a

Internet. Strumenti un tempo molto efficaci, nel contesto italiano, ma inadeguati a una società che

pone il Life Log Learning come diritto universale: è come se il bisogno di cure mediche fosse

soddisfatto nel 96% da un amico o parente medico, o cercando la malattia su internet.

Page 8: Servizi all'impiego come tardomoderni servizi di comunità

Quale governance per i Servizi all'Impiego ?

La Riforma Fornero cita le Province, per le competenze sulle Politiche del Lavoro, ma questo

attualmente accade solo laddove le Regioni abbiano delegato queste competenze - chi più chi meno

- alle Province. Manca spesso una cabina di regia regionale, un Consiglio delle Autonomie Locali

sulla materia formazione e lavoro, o una Agenzia del Lavoro regionale. Oppure la regia è affidata a

una Commissione Tripartita regionale e provinciale, dove le tre parti sono la parte pubblica e le due

Parti Sociali, o direttamente alle due parti sociali. Anche le funzioni dei Centri per l'Impiego, o

come variamente sono chiamati, spaziano da compiti minimi (poi espansi col decreto 276 del 2003),

alla gestione delle politiche del lavoro, ma le risorse provengono in larga parte da fondi comunitari

o nazionali.

Attualmente abbiamo 20 sistemi regionali diversi e un sistema nazionale sostanzialmente

inesistente. I servizi cosiddetti "ex collocamento" nazionale sono oggi provinciali: il modello del

Decreto 496 è ancora l'impianto di base. I Centri per l'Impiego attualmente sono gli ex uffici

nazionali del collocamente più una serie di competenze e servizi espansi sulle Politiche del Lavoro

e Formative, ma la norma assegna ufficialmente alle Province solo gli adempimenti per la

disoccupazione, mentre affida alla Regione il resto. La delega regionale alle province cioè non è

garantita, e anzi ora col ridimensionamento delle province appare in forse. La governance quindi è

tutta da inventare: anche se una riorganizzazione rispetto a quella attuale si impone, come detto, per

motivi di sostenibilità dei costi e di risorse.

I livelli di delega alle province sono diversi da regione a regione: questo complica non poco la

definizione di LEP nazionali. Non sempre ci sono Agenzie Regionali, mentre a volte ci sono

addirittura Agenzie Provinciali. Anche la sussidiarietà orizzontale è variamente interpretata da

Regione a Regione. In sostanza il Centro per l'Impiego svolge funzioni statali, funzioni regionali e

funzioni provinciali/locali, ma non coordina le fondamentali politiche, in genere comunali o

intercomunali, di Long Life Learning ed è spesso anche poco integrato, funzionalmente, coi Servizi

Formativi, e quasi per nulla con quelli sociali o culturali. Il Centro per l'Impiego si integra invece

più spesso (perchè lo impone la norma) col sistema scolastico, per l'obbligo formativo, o le imprese,

per l'apprendistato, ma in entrambi i casi il legame coi sistemi educativi e i sistemi economici è

abbastanza lasco. I Sistemi Economici Locali per la verità a volte sono addirittura subprovinciali (e

a volte interprovinciali): non sempre cioè l'unità economico-produttiva è l'area provinciale, ma

certamente lo dovrebbe essere il Centro per l'Impiego, che dovrebbe coincidere con una area

economica che sia un potenziale bacino occupazionale.

L'Ente Provincia, in via di ristrutturazione e in alcune aree di trasformazone in Città Metropolitana,

ha, giustamente, interesse a incrementare l'occupazione nel suo territorio e sostenere le aziende con

unità locali, ma in realtà i bacini d'impiego oggi sono spesso infraprovinciali o interprovinciali, se

non internazionali. Se la regia complessiva invece è regionale, con un polo locale di aservizi al

lavoro e al Long Life Learning integrato con gli altri ma differenziato, rileva invece l'occupazione a

livello regionale, indicatore che è ben più significativo di quello locale o provinciale. Indicatore

segmentato ma che consente di spostare l'attenzione sulle aziende o i settori economici di interesse

o taglia quantomeno regionale.

Ad oggi non sappiamo se la competenza, e le policies, sulle Politiche Attive del Lavoro, da alcune

Regioni affidate alle Province e al momento sottratte alle Province stesse come funzione

fondamentale - andranno alle Regioni, o le Regioni le affideranno, in parte, alle gestioni associate di

Comuni/Unioni di Comuni/Città Metropolitane, o queste torneranno, sempre in parte, alle nuove

Province "dimezzate". Le Province potrebbero anche essere costrette dal legislatore regionale alla

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gestione associata del servizio su aree vaste. Quest'ultima, perlomeno in Toscana, appare la strada

più praticabile, perchè già operante su altri servizi, non analoghi, anche se manca in questo caso il

soggetto di area vasta, privato o pubblico, gestore del servizio di politiche del lavoro. Stesso

discorso segue, o precede, per le fonti finanziarie.

Il riordino delle Province prevede, come detto, che le Regioni debbano conferire la funzione lavoro

ai Comuni, alle Unioni di Comuni o a sé stesse. Escludendo ovviamente le funzioni proprie.

Occorre evidenziare questo punto, perlomeno a Costituzione vigente. La funzione dei Servizi

all'Impiego è una funzione propria (delle Province), ovvero indefettibile perchè ormai storicamente

consolidata ? Occorre ricordare che le funzioni proprie di un ente locale sono quelle non attribuite

(dai livelli superiori) perchè tradizionalmente svolte (in questo caso, parlando di Province, solo dal

1997) e dunque incomprimibili dalle Regioni. Tutto il ragionamento salterebbe se sparissero le

Province come Enti costitutivi della Repubblica, ma a oggi ci sono e la Costituzione non è di facile

modifica. I servizi di formazione e lavoro sono svolti dalle Province (non tutte e in modo variegato

e nel complesso debole), solo da 15 anni e dunque - mi pare - ampiamente sottraibili alle Province

perchè non consolidati nell'opinione pubblica. Ma d'altronde, sempre se ci riferiamo alla funzione

formazione/lavoro, la Regione in taluni casi è troppo vasta, mentre i comuni sono in genere troppo

piccoli: l'ideale sono Aree Vaste o aree di Sistemi Economici locali, stimati in circa 100.000

abitanti, a cui corrisponderà un Centro per l'Impiego/long Life Learning con servizi regionali ma

personalizzati per quell'ambito territoriale.

Analoga incerta sorte di attribuzione di competenza seguiranno le funzioni in materia di cultura e

anche quelle dello sviluppo economico, materie a mio avviso molto intrecciate a quelle

dell'orientamento e della formazione al lavoro. Si pensi, per quanto riguarda la cultura, alla

creazione di opportunità lavorative di autoimpiego/microimpresa in campo educativo, formativo e

culturale, al ruolo di biblioteche a associazioni culturali nello sviluppare competenze, servizi e

anche impiego. Il nesso è autoevidente nella materia "sviluppo economico", che, lo ricordiamo, è

anch'essa funzione da ricollocare fra Regione e Enti Locali. Analogo intreccio e analoga divisione,

regionale e a volte nazionale, esiste nei Fondi Struttulai e nei Progetti Comunitari.

Come ricordato c'è un nesso primario con la materia Istruzione (in questo caso ben più uniforme sul

territorio, ma con significative differenziazioni sul piano dell'alternanza scuola-lavoro) e la materia

Attività Produttive (regionale ma con sportelli intercomunali). A quest'ultimo proposito il SUAP e

le funzioni di sviluppo economico sono al momento sottratte alle Province (e ai singoli Comuni),

ma sono a mio avviso "funzioni proprie", direi svolte ormai da secoli. "Last but not least" c'è un

evidente nesso con la materia Sociale, regionale come competenza e sovracomunale, in genere,

come gestione.

Se ragioniamo quindi di governance di tardomoderni servizi all'impiego, le materie e funzioni

Formazione/Lavoro, Istruzione, Welfare, Sviluppo economico, Sociale e Cultura sono ormai

talmente intrecciate che potremmo parlare di un'unica macromateria e macrofunzione, che

chiamerei a questo punto Sviluppo Territoriale o Sviluppo Locale. La governance ideale è che tutte

queste competenze, funzioni e funzionari (e la società civile di riferimento) si "parlino" di più fra

loro, si coordino, si riconoscano, usino lo stesso linguaggio e rispondano possibilmente a un solo

livello di governo, di area vasta subregionale o distrettuale. E penso anche che nei Fondi e nei

Programmi Comunitari, nei cui bandi è arduo distinguere le singole materie, tanto sono intrecciate,

ad esempio obiettivi di sviluppo locale inclusivo, di sostenibilità ambientale e di Long Life

Learning o Capacity Building dei territori. L'uno sostiene l'altro in una spirale virtuosa.

Segnalo qui un curioso slittamento del termine "competenza" , che significa sia chi è responsabile

di una funzione, termine giuridico nato nell'800, sia con terminologia di area formativa più recente

chi mostra una performance lavorativa adeguata agli standard minimi professionali (e tralascio le

Page 10: Servizi all'impiego come tardomoderni servizi di comunità

altre ben due note interpretazioni di Bresciani e le altre decine). Responsabile oggi è diventato chi

mostra di essere capace.

Un elemento trsacurato da inquadrare è il ruolo del privato, profit o meno, nell'erogazione dei

servizi al lavoro. In ogni caso non può, per espressa disposizione del 1948 sui diritti fondamentali

del lavoratore, ricavare profitti con l'intermediazione "lato cittadino", nè questo servizio è

“appetibile” per il mercato profit, tanto che le Agenzie di somministrazione e le società di

recruiting, ricollocazione e selezione offrono servizi alle imprese, non ai lavoratori. Anche se il

confine servizio al cittadino-servizio alle imprese non è molto netto, e basta pensare alla selezione,

alla formazione al lavoro o alla certificazione di competenze. Certamente i servizi al cittadino in

ambito lavoro sono molto meno remunerativi per il privato rispetto ai servizi sociosanitari, e il

servizio al lavoro si colloca a un livello di "appetibilità" simile piuttosto ai servizi

formativi/educativi di base o a quelli socioculturali. E' quindi un tipo di servizio per sua natura

pubblico o privato no profit, e si presta semmai alla sussidiarietà orizzontale e non al mercato puro.

La sussidiarietò orizzontale, per espressa previsione costituzionale, è da preferire laddove risponda

meglio all'interesse pubblico, anzi il servizio pubblico dovrebbe preferibilmente (la Costituzone usa

il termine "favorire") essere concesso a un privato in sussidiarietà orizzontale. Solo se il privato non

offra garanzie di trasparenza e economicità, efficacia e efficienza la pubblica amministrazione fà da

sè. Attualmente vi è una vasta gamma di tipologie di autorizzazioni regionali ai servizi privati di

mediazione domanda-offerta, e un coordinamento provinciale, spesso informale. A questo proposito

lo sviluppo di cooperative, imprese e enti non profit, agenzie, associazioni, interventi di enti

religiosi o volontari, e il consolidamento di efficaci reti locali di servzii risponde meglio a esigenze

di impiegabilità e di sviluppo di competenze locali sulla tematica lavoro (cioè è a sua volta un

bacino di impiego non trascurabile).

Il Decreto Biagi pone correttamente sullo stesso piano, in una logica di sussidiarietà orizzontale,

pubblico e privato, ma un sistema misto pubblico-privato stenta a prender corpo in una forma

davvero efficace. Formatori e collocatori, parti sociali, Camere di Commercio e Agenzie locali per

l'occupazione o l'innovazione, scuole e Università, imprese, Istituzioni e associazioni agiscono in

modo separato: siamo agli albori di una minima economia di scala locale. Inoltre occorre

distinguere con maggiore nettezza la governance del sistema locale (regionale o locale) dalla

gestione dei servizi, affidata agli Enti Locali e/o ai privati o al privato sociale. Non è qui un

problema di pianificazione e controllo, in questo campo assai difficile perchè l'economia cambia

troppo rapidamente, ma di costituire e gestire una rete locale di progetti sperimentali e poi di servizi

a regime. Questa rete comprende, come detto, attori non dedicati, come associazioni non profit e di

volontariato, enti culturali e ricreativi, sportelli sociali ecc. Una iniziativa culturale o associativa

innovativa, ben progettata e gestita, come ad esempio un ciclo di film/dibattiti, un social trekking,

un convegno con modalità partecipative inclusive, un concorso per documentari ha ricadute

significative sul cambiamento di competenze di cui si parlava sopra a volte molto maggiore di una

azione di orientamento o di formazione “classica”.

Innovazione dei servizi al lavoro

Occorre un charo obiettivo, ad esempio orientare l'80% dei disoccupati e intermediarne il 40%, con

azioni preventive alla francese. Certo, il costo sarebbemolto elevato, ma elevato il beneficio,

sociale, occupazionale anche indiretto e dunque alla fin fine si avrebbe un ritorno elevato di questo

tipo di investimento. Tre però mi paiono i temi chiave ineludibili, sia sul versante metodologico

che su quello normativo.

1. Incrocio domanda/offerta a prescindere dall'area provinciale o del singolo Centro per

l'Impiego (tenendo conto sia dei subterritori “di confine” fra province e fra regioni, sia del

Page 11: Servizi all'impiego come tardomoderni servizi di comunità

fatto che la ricerca di lavoro avviene sempre più a distanza dall'abitazione

2. Servizi di nuova generazione di sollecitazione e mobilitazione di autoimpresa/autoimpiego

3. Sinergia con i servizi e il privato in area cultura, sviluppo economico, sociale e istruzione

Al legislatore, anche regionale, e ai soggetti pubblici sembra mancare la conoscenza del

meccanismo stesso di ricerca del lavoro

si cerca qualsiasi lavoro e dovunque

si cambia ormai spesso casa e lavoro: elemento che risulta evidente dai dati

i servizi appaiono poco flessibili, rimasti agli anni 90, e anche la formazione professionale è

ancora troppo tradizionale, e anzi tende a ridiventarlo

sono poco utilizzate tecnologie e modalità innovative (circoli di studio, job center,

videocurriculum, video richieste-offerte, baratto di servizi, utilizzo del web 2.0)

l'utenza è ampia, ma è isolata, individuale

il sistema è troppo burocratico e poco attento alla qualità del servizio, qualità peraltro

imposta dalla normativa di legge per ogni servizio pubblico locale fin dagli anni 90

l'orientamento viene confuso con uno sbrigativo primo colloquio individuale di sportello

(che è invece informazione)

vi è una scarsa integrazione con gli strumenti EURES, anche in entrata, e con il mondo del

volontariato

Un tema più di frontiera, da esplorare, è un ticket di compartecipazione per fasce sociali. So bene

che ciò è vietato esplicitamente dalle Convenzioni internazionali, ma in fondo il servizio al lavoro è

ormai l'analogo di quello socio-sanitario, che prevede servizi professionali a pagamento e ticket

rilevanti. Il ticket potrebbe essere un voucher, essere rimborsato o essere a carico di altri soggetti.

Ma infinite sarebbero le azioni che un servizio pubblico rinnovato potrebbe innestare in grado di

sostenere le transizioni lavorative, sviluppando capacità progettuali di lavoro e vita. Penso ad

esempio a forme partecipate in seminari/attività formative e culturali.

L'accordo Stato-Regioni sul sistema nazionale dell'apprendimento permanente del Dicembre 2012

definisce l'orientamento permanente come ciò che favorisce l'autonoma definizione di progetti e

obiettivi, e sostiene dunque la capacità di scegliere. Questo in linea con le più avanzate teorie

sull'empowerment e la “capacit-azione”. Da questo punto di vista ciò che è centrale è la garanzia di

accesso a servizi di orientamento permanente o l'innesco di un autoorientamento, visti come

attivazione di risorse. Attivazione più difficile per chi, per motivi individuali, geografici o socio-

culturali, parte svantaggiato perchè ha minore accesso alle risorse di orientamento permanente. Ne

consegue che occorre elaborare standard minimi di servizi di accessibilità, ad esempio quali risorse

sono accessibili in un comune di montagna o una area interna che dista un'ora dal capoluogo di

provincia e in cui oltre al Comune/Unione, alla Pro Loco e a poche associazioni non ci sono altri

soggetti facilitatori ? E nel quale pochi, ma davvero critici, sono anche i soggetti su cui intervenire,

critici perchè a rischio di "exit" dal territorio. Quali scelte hanno a disposizione ? E quali

competenze, minime davvero in questo caso, devono avere gli operatori del Comune o delle

associazioni, o a questo punto dei privati volontari, che in questi casi limite appaiono peraltro gli

unici che possono intervenire con competenza. Un operatore professionale che ha una casa in queste

aree, ma abita o lavora altrove. Competenze critiche, gestione di azioni individuali a elevato impatto

locale, apprendimento permanente nelle zone isolate, sono temi poco dibattuti su cui c'è tutto da

inventare, a partire dal modello di servizio, che sarà necessariamente diverso. All'inverso nelle aree

metropolitane o distrettuale si pone il problema di mettere in rete le competenze e fornire servizi più

differenziati, e rinnovati:

1. Nuovi luoghi, tempi e modalità dell'erogazione al posto dello sportello

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2. Personalizzazione e flessibilizzazione del servizio

3. Lavoro di piccoli gruppi e non colloqui individuali

4. Integrazione con i molti servizi e sogegtti locali presenti di tipo informativo,

formativo, culturale e socioassistenziale

5. Integrazione con le politiche di sviluppo economico locale e la gestione delle crisi

aziendali con grandi mumeri

6. Sussidiarietà verticale da ritarare meglio: cosa fa chi

7. Incontro domanda-offerta via web, trasparente e veloce, su scala metropolitana,

regionale e nazionale

8. Interventi innovativi sul lato del lavoro autonomo (ad es. la tanto citata ma mai

attuata trasmissione intergenerazionale)

9. Strumenti di monitoraggio, verifica e controllo sulle azioni e sui servizi attuati

10. Strumenti di tutoraggio a bassso costo, con sussidiarietà orizzontale

Occorrono Centri di tipo diverso: riconversione, tirocini, stage, volontariato all'estero, lavoro

esecutivo, idee d'impresa, lavoro autonomo, settori produttivi specifici, fasce deboli, Centri

innovativi (Job cafè) che sfruttano le occasioni sociali d'incontro, quali convegni, cene, feste. Lo

sportello per acune fasce sociali è superato nell'era della rete tardomoderna della creazione del

capitale sociale. Occorre sfruttare Granovetter e la "forza dei legami deboli" (segnalazioni, social

networking, lettura casuale del web). Perchè non fornire servizi specializzati per settore ? Mediante

parti sociali, enti bilaterali, università/scuole e associazioni. Uno sportello di incontro

domanda/offerta nel turismo e commercio, e perchè a questo punto non un servizio nazionale, visto

che ci si sposta di norma stagionalmente per questo tipo di lavoro ?

Inoltre occorre una scelta politica fra due poli opposti:

1. Uno liberista, mercatista, basato sul laissez faire, modello che costa poco ma favorisce i soggetti

forti sul mercato del lavoro

2. Un modello opposto in cui il lavoro è un bene pubblico, e allora ben si potrebbe riconvertire

risorse, anche umane, pubbliche ormai poco adeguate, come alcune funzioni burocratico-

amministrative duplicate. Il Comune prima si occupava di latte, rifiuti, acqua e gas, ora vi sono

aziende di nuova generazione: creiamo al posto delle partecipate, aziende speciali, consorzi,

istituzioni più Centri Pubblici per l'Impiego, più biblioteche, più occasioni pubbliche e riduciamo,

contestualmente, il perimetro pubblico nei servizi economici che il privato può meglio gestire, se

controllato.

Una soluzione mista è la migliore: se tutto è lasciato al mercato e

all'improvvisazione/creatività/contati personali semplicemente non funziona, ma non funziona

nemmeno per le imprese, così come è impensabile un intervento pubblico in un settore a così

elevata variabilità.

Perchè non prevedere per i lavoratori precari (impossibilitati a seguire un corso di formazione

diurno feriale) una modalità di formazione specifica, ad esempio la domenica? Occorre

differenziare luoghi e tempi dell'orientamento, superando il concetto di struttura fissa (e perchè non

mobile?) e di sportello, derivate dalla scuola e dall'Ufficio di collocamento. Case private ad

esempio, le sedi RAI, le imprese, le associazioni, i cinema. Il cinema è orientamento. Il Comune o i

privati possono fornire spazi, locali, musei, o aprire le imprese la sera. Non è rilevante dove sia lo

sportello e se il servizio debba essere uno sportello: ci si può ben spostare ovunque o accedere via

web. Serve solo l'informazione su dove e quando andare, e meglio se si tratta di un evento e non di

un ufficio (siamo nella società dello spettacolo, l'ufficio è poco spettacolare!).

La soluzione si può trovare tramite il web, ma occorre saper cercare. Mi riferisco a opportunità che

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incrocino rischio basso di fallimento, bassa barriera competitiva e elevato nesso con le competenze

attuali o potenziali. Il modello è identico a quello della creazione d'impresa. Un consulente di

orientamento esperto sa aiutare a trovare la risposta, ma la routinizzazione dei colloqui uccide e

fornisce risposte preconfezionate e burocratiche. Non è inusuale che la risposta sia: "uno bravo

come lei può trovare lavoro da sé".

Gli istituti “ponte” (stage, tirocinio, apprendistato) si presterebbero a intervenire in modo nuovo, ma

mancano professionalità e servizi adeguati. Ragioniamo ancora per analogia: chi è malato, cioè ha

bisogno di aiuto socio-sanitario sa (non sempre) dove deve andare, cosa lo aspetta, e cosa potrà

ottenere. Viceversa chi cerca lavoro o una azienda in crisi (è una malattia, cioè un malessere e un

bisogno di aiuto socio-psicologico e di desiderio di riconoscimento sociale) o se la deve cavare da

sè, ed è isolato, con poche risorse informative, Se in più è poco mobile (ad es. abita in montagna o

in area interna), è poco istruito e ha una età avanzata, è quasi perso. Il servizio socio-sanitario era

inizialmente privato, affidato alla Chiesa, e ora è, in Italia, prevalentemente pubblico. Il servizio al

lavoro è nella sostanza privato (e la Chiesa è un attore non trascurabile), cioè opaco e sconta una

visione pubblica rimasta al "collocamento" obbligatorio ante riforma 1997.

Occorre anche evidenziare che paiono sfumare alcune differenze politico-territoriali: una

amministrazione di centrodestra un tempo poteva essere più attenta ai datori di lavoro, ma non

sempre ai lavoratori autonomi, viceversa una di centrosinistra apapriva più orientata al punto di

vista del lavoratore dipendente. Ma oggi invece le differenziazioni più rilevanti attengono ai settori

produttivi trainanti locali, al tasso di disoccupazione, ovvero alla capacità competitiva, alla presenza

di forti tassi, cioè variazioni, di immigrazione/emigrazione.

Prendiano il tema dei lavoratori autonomi/precari (le due aree in realtà si sovrappongono). A questo

tipo di lavoratore, non disoccupato ma semplicemente precario a vita, serve un servizio di

riflessione sulle proprie esperienze per rimodulare meglio, in chiave di occupabilità, le proprie

competenze. A tal fine ben si potrebbe prevedere un colloquio obbligatorio di validazione delle

competenze, di certificazione del curriculum, perchè è di questo che questo cittadino ha più

bisogno. Questo lavoratore peraltro non è iscritto al Centro per l'Impiego ed è difficilmente

individuabile, se non proponendogli azioni che gli servano.

Spesso l'orientatore viene sovvraccaricato di troppi compiti, di utenze troppo differenziate. Ad

esempio si potrebbe prevedere un servizio di incontro domanda-offerta solo per le consulenze (mi

riferisco ovviamente a quelle contigue al precariato), prevedendo anche una tariffabilità. In questo

caso il freno è dovuto al tabu del lavoro precario, che ormai è la norma, non l'eccezione: inutile

nascondercelo. Il Centro per l'Impiego dovrebbe ormai ammettere che il servizio base non è la

collocazione dipendente ma quella precario/consulente, e badare anche a fluidificare e rendere più

trasparente quel canale. Stesso ragionamento per i tirocini retribuiti, dove invece ci si comincia a

muovere.

A mio avviso permane, soprattutto nei decisori pubblici, l'idea della monospecializzazione, l'idea

che al lavoratore è associata per sempre una attività lavorativa. Si badi: tale idea è molto presente

nel settore pubblico, anzi nè la causa principale di scarsa innovazione, ma la cosa curiosa è che

talòe pregiudizio è presente anche nelle aziende, e permane molto più a lungo dui qunto si pensi

anche come modello nello stesso lavoratore e nella società. L'apprendimento Long Life Learning fa

fatica a emergere perchè fa saltare questa impostazione rigida, ma questo salto è denso di rischi,

paure, ansie, viene esorcizzato e tenuto nascosto.

C'è la possibilità (lo prevede il Decreto 276) di servizi al lavoro forniti da altri Enti Pubblici

(Comuni, Università, Camere di Commercio). E perchè sono così scarsi e poco efficaci?

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Mancano database ragionati di imprese, che indichino recapito, settore e tipo di figure professionali

impiegabili, utili a chi cerca lavoro o una consulenza. Perchè non sono gratuiti e forniti liberamente

sui web dalle Camere di Commercio? E perchè, viceversa, non fornire database di chi cerca lavoro

alle imprese, prevedendo una tariffa bassa, di preselezione o di vera e propria selezione ?

Un'altra possibilità poco sfruttata, come accennato nel caso delle aree interne, è creare "leve

civiche" di cittadini, lavoratori o pensionati, esperti sui temi di sviluppo e lavoro, su base volontaria

e ovviamente a bando. Ma anche un precario o un disoccupato, in qeusto caso non esperto,

potrebbe anzichè stare a casa, operare in un Centro per l'Impiego, in questo caso con un sussidio, e

arricchire le sue competenze fornendo anche un servizio alla collettività.

Il governo del mercato del lavoro implica adeguare domanda e/o offerta, aree di crisi e fasce di

debole occupabilità, ma perchè allora non prevedere un colloquio obbligatorio di orientamento

anche per gli occupati, pagato dalle aziende, che comunque ne ricavano un vantaggio.

Mancano servizi di validazione delle competenze. E perchè il Sistema Informativo per il Lavoro

nazionale è inesistente, e spesso pure quelli regionali ? Quest'ultimo elemento è davvero di

particolare criticità.

Riassumendo, mi pare ci sia ampio materiale da dibattere fra esperti e non, anche confrontandosi

con le esperienze di altri paesi. L'innovazione dei sistemi, di servizi al lavoro è la più importante

leva di sviluppo sociale, civico e economico, di preminente interesse pubblico. Allora rivediamone

modelli, organizzazione, regole e norme, alla luce del Long Life Learning e dell'orientamento Long

Life. Le ovvie resistenze delle imprese e dei cittadini a essere "regolati", e le resistenze degli enti

pubblici a disinvestrie su altro e investire su questo, sono facilmente superabili se si coinvolge la

politica, i cittadini, i corpi sociali e la società civile in un dibattito pubblico di contenuto e non

ideologico, in ritardo, populista o solo normativo.