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FRANCESCA PECCHI L’informazione soggettiva in Rete per l’evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale Dottorato di Ricerca in Telematica e Società dell’Informazione (XVI ciclo). Curriculum: Applicazioni telematiche. Febbraio ’05. Consorzio delle Università degli Studi di Firenze, Perugia e Siena.

Identità in rete

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Come la telematica può essere strumento di evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale.

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FRANCESCA PECCHI

L’informazione soggettiva in Rete

per l’evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale

Dottorato di Ricerca in Telematica e Società dell’Informazione (XVI ciclo). Curriculum: Applicazioni telematiche. Febbraio ’05.

Consorzio delle Università degli Studi di Firenze, Perugia e Siena.

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L’informazione soggettiva in Rete per l’evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale

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Sommario

Introduzione 7

1. L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni 16 1.1 La rilevanza del possesso dei dati personali nell’attuale sistema di mercato 16

1.1.a. Competitività, fidelizzazione e profiling 17 1.1.b. L’attenzione del mercato per la privacy 19 1.1.c. L’evoluzione normativa in tema di privacy 19 1.1.d. L’evoluzione tecnologica per la privacy 22

1.2 L’Intermediario di Trust: il nuovo ruolo del soggetto pubblico nell’evoluzione della Rete 24 1.2.a. I pre-requisiti dell’Intermediario di Trust 25 1.2.b. Prove di Intermediario: XNS, IDsec e B.E.S.T. 26 1.2.c. Il soggetto pubblico come Intermediario di Trust? 29

1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici 33 1.3.a. Procedimenti e provvedimenti amministrativi 34 1.3.b. Le fasi dei procedimenti e la forma dei provvedimenti amministrativi 36 1.3.c. La tipicità dei procedimenti amministrativi 38 1.3.d. Percorso analitico processuale vs. strutturale 41

1.4 Il Profilo Integrato del Cittadino: pre-requisiti e requisiti funzionali 46 1.4.a. Requisiti strutturali: unitarietà 47 1.4.b. Requisiti normativi: privacy e accessibilità 50 1.4.c. Requisiti funzionali: autodeterminazione e fruibilità 52 1.4.d. La gestione dei dati personali nei rapporti interistituzionali: problematiche 53 1.4.e. Requisiti relativi alle singole tipologie di dato personale 54 1.4.f. Come contestualizzare il Profilo nelle politiche di e-government 55

2. Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino 57 2.1 Nuove forme di comunicazione pubblica e istituzionale 57

2.1.a. Livelli minimi di pubblicità 58 2.1.b. Un’architettura ad hoc 60 2.1.c. Obbligatorietà della comunicazione pubblica e responsabilità del cittadino 62 2.1.d. Per una trasparenza sostanziale dell’azione amministrativa 63

2.2 Supporto alla programmazione e all’analisi dell’impatto degli interventi pubblici 66 2.2.a. L’Analisi di Impatto della Regolazione 67 2.2.b. l censimenti e il Sistema Statistico Nazionale 69 2.2.c. Il metodo previsionale oggettivo causale applicato al policy making 71 2.2.d. I sistemi di supporto alle decisioni 72 2.2.e. Il data-base complessivo dei Profili Integrati 74 2.2.f. Necessarietà della raccolta 75 2.2.g. Non identificabilità dell’interessato 75 2.2.h. I vincoli alla comunicazione e alla diffusione dei dati statistici 76 2.2.i. Un’architettura ad hoc 77 2.2.j. E-government Intelligence 78

2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità 80 2.3.a. Democrazia rappresentativa VS Democrazia partecipativa 80 2.3.b. E-government VS e-democracy 82 2.3.c. Prove tecniche di democrazia partecipativa 84 2.3.d. L’utopia del parlamento telematico e la valenza del voto elettronico 85 2.3.e. Attivare un circolo virtuoso 87 2.3.f. Il cittadino prosumer 88 2.3.g. L’innesto dello scenario prospettato nell’ordinamento giuridico attuale 93 2.3.h. Ipotesi sui dispositivi strumentali necessari 95 2.3.i. Rischi e limiti nell’applicazione 97

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office 98 2.4.a. Trasporto e interoperabilità 99 2.4.b. Cooperazione Applicativa tra PP.AA. 102 2.4.c. La gestione del back-office 107 2.4.d. La questione centrale della sicurezza 111 2.4.e. Processi di standardizzazione per servizi a valore aggiunto 117

3. Un particolare settore di applicazione del Profilo del Cittadino: la nuova rete dei servizi socio-sanitari 124

3.1 La trasformazione del sistema di welfare: il Welfare Locale 124 3.1.a. Grant system statunitense e community care britannica 124 3.1.b. L’evoluzione del Welfare in Italia 127 3.1.c. La governance delle politiche e dei servizi nel modello del Welfare Locale 130 3.1.d. Oltre il modello ideale 133

3.2 Il Welfare Locale, ovvero la rete dei servizi socio-sanitari 134 3.2.a. Cos’è la rete? 135 3.2.b. Interdipendenza e meccanismi di coordinamento 136 3.2.c. La configurazione strutturale della rete 140 3.2.d. La condivisione culturale del modello 147 3.2.e. L’istituzionalizzazione del modello e il livello di condivisione culturale 150 3.2.f. Riflessioni finali 152

3.3 Partecipazione ed economia della conoscenza nel nuovo sistema di Welfare 155 3.3.a. La responsabilizzazione del cittadino 156 3.3.b. La domanda organizzata 160 3.3.c. L’e-Care come modello sussidiario a rete 162 3.3.d. La costruzione del Laboratorio della Conoscenza 164

3.4 Alcune idee-guida per la progettazione di sistemi informativi in campo socio-sanitario: il caso del progetto M.I.R.A. 168 3.4.a. Messa in opera dei principi del Welfare Locale 170 3.4.b. Il DSS per la definizione di risposte appropriate al bisogno. 171 3.4.c. Il WfMS a supporto di un nuovo modello organizzativo 179 3.4.d. Open Knowledge Management 188

Riflessioni conclusive 197

Bibliografia 201

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Indice delle tabelle Tabella 1.2.1 Tre proposte avanzate per la gestione in Rete dei dati personali. 27 Tabella 1.3.1 Possibile procedura di analisi per la costruzione del Profilo Integrato del cittadino. 45 Tabella 1.4.1 I requisiti del Profilo Integrato del cittadino. 47 Tabella 1.4.2 Data-bases centralizzati a livello nazionale. 48 Tabella 2.1.1 Contenuti ed interlocutori dei processi di comunicazione istituzionale previsti

dall’ordinamento vigente. 59 Tabella 2.2.1 Check-list delle carenze metodologiche dei sistemi di rilevazione. 68 Tabella 2.2.2 Strumenti di rilevazione delle variabili nel campo di azione della P.A.. 69 Tabella 2.2.3 Macro-variabili investigate nei censimenti del 2001. 70 Tabella 2.3.1 Le reti civiche nella prima metà degli anni ’90 e l’attuale processo di e-government a

livello locale (fonte: [172]) 84 Tabella 3.1.1 Le differenze strutturali tra Welfare State e Welfare Locale 129 Tabella 3.2.1 Meccanismi di coordinamento per l’implementazione del Welfare Locale. 140 Tabella 3.2.2 Le variabili investigative della natura dei processi relazionali. 142 Tabella 3.2.3 Le variabili analitiche della varietà dei legami in una Rete sociale. 148 Tabella 3.2.4 Le quattro componenti del grado di istituzionalizzazione del modello di Welfare Locale

(fonte: [28]). 150 Tabella 3.2.5 I quattro livelli di analisi della cultura inter-organizzativa. 152 Tabella 3.4.1 Variabili e schede di rilevazione della dimensione sociale. 173 Tabella 3.4.2 La tavola delle possibili configurazioni di macro-stati. 174 Tabella 3.4.3 Ipotesi di catalogo dei servizi socio-sanitari per situazioni di demenza. 176 Tabella 3.4.4 Tavola di matching tra servizi e macro-stato di bisogno. 177 Tabella 3.4.5 Dimensioni e livelli di bisogno. 178 Tabella 3.4.6 Tabelle di compatibilità livelli di bisogno-servizi. 178

Indice delle figure Figura 1.2.1 I pre-requisiti dell’Intermediario di Trust. 26 Figura 1.2.2 I soggetti della Rete secondo il programma B.E.S.T. beyond Internet. 29 Figura 1.2.3 Una federazione di agenti gestori come Intermediario di trust. 30 Figura 1.2.4 Le fasi di evoluzione dell’informatizzazione della P.A. 31 Figura 1.2.5 L’evoluzione del ruolo del soggetto pubblico. 33 Figura 1.3.1 Procedimenti e provvedimenti amministrativi: le fondamenta del Profilo Integrato del

cittadino. 38 Figura 1.3.2 Percorso analitico “processuale”: individuazione di ruoli, eventi, servizi. 42 Figura 1.3.3 Percorso analitico “strutturale”: individuazione di PP.AA., funzioni e procedimenti. 44 Figura 1.3.4 Integrazione dei percorsi analitici “Processuale” e “strutturale”. 45 Figura 1.3.5 UML Class Diagram degli elementi funzionali alla costruzione del Profilo Integrato del

cittadino. 46 Figura 1.4.1 Difficoltà di integrazione dei dati allo stato attuale dell’ordinamento: il caso dell’inizio-

attività di un’impresa orafa 54 Figura 2.1.1 Gli elementi dell’architettura tecnologica per i processi di comunicazione pro-attiva. 61 Figura 2.1.2 I flussi della Rete per la comunicazione personalizzata e pro-attiva. 61 Figura 2.1.3 Personalizzazione dei canali di comunicazione. 64 Figura 2.1.4 Usabilità strumentale e cognitiva per la trasparenza sostanziale dell’azione

amministrativa. 66 Figura 2.2.1 L’applicazione del metodo oggettivo causale nella fase di programmazione delle public

policies. 71 Figura 2.2.2 L’architettura generica dei Decision Supporting Systems. 73 Figura 2.2.3 Gli elementi della Rete per la base statistica basata sui Profili Integrati. 77 Figura 2.2.4 I soggetti dell’analisi dei bisogni di regolazione e della programmazione. 79 Figura 2.3.1 Livello di formalità nelle interazioni a scopo di partecipazione. 81 Figura 2.3.2 Livelli di comunicazione per la costruzione della democrazia diretta on-line (ns.

rielaborazione da [67][67][101]) 86 Figura 2.3.3 Modalità top-down e bottom-up di costruzione delle comunità di partecipazione 92 Figura 2.3.4 Dalla comunicazione pubblica uni-direzionale ai processi comunicativi a spirale. 95 Figura 2.4.1 Servizi di trasporto e interoperabilità nella RUPA. 100 Figura 2.4.2 I soggetti della Rete Nazionale. 101 Figura 2.4.3 I livelli della cooperazione applicativa regionale e interregionale. 104 Figura 2.4.4 Gli elementi di Rete nell’architettura di cooperazione applicativa di livello regionale. 105

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Figura 2.4.5 Architettura per il monitoraggio cooperativo della qualità dei servizi in Rete (Q3I). 107 Figura 2.4.6 Livelli realizzativi in un progetto di protocollo elettronico (fonte: [129]). 109 Figura 2.4.7 Il processo di autorizzazione all’accesso dei servizi di cooperazione applicativa (Q3I). 116 Figura 2.4.8 Centralizzazione o federazione di Intermediari di Trust. 119 Figura 2.4.9 Le tre direttrici delle politiche di e-government. 121 Figura 2.4.10 Gli elementi tecnologici oggetto di standardizzazione. 122 Figura 3.1.1 L’evoluzione del sistema di Welfare: i “quasi mercati” e il welfare mix. 126 Figura 3.1.2 I fattori esogeni dell’avvio del processo di istituzionalizzazione del modello di Welfare

Locale. 130 Figura 3.1.3 La governance nel modello di Welfare Locale. 131 Figura 3.2.1 Le strutture di coordinamento e la rete totale dei servizi socio-sanitari. 143 Figura 3.2.2 I tre livelli di equivalenza strutturale nella rete dei servizi socio-sanitari. 145 Figura 3.2.3 Accuratezza cognitiva e potere reputazionale. 146 Figura 3.2.4 Mediazione della variabilità dei processi relazionali nella reciprocità tra meccanismi di

coordinamento e interdipendenza. 150 Figura 3.2.5 Variabili di analisi del processo di istituzionalizzazione del modello del Welfare Locale. 154 Figura 3.3.1 Le criticità centrali del Welfare State. 155 Figura 3.4.1 Le fasi del processo MIRA. 180 Figura 3.4.2 Use-cases processo organizzativo del MIRA. 180 Figura 3.4.3 Activity diagram della fase di diagnosi. 181 Figura 3.4.4 Activity diagram della fase di valutazione del bisogno. 183 Figura 3.4.5 Activity diagram della fase di elaborazione del Piano di Assistenza. 184 Figura 3.4.6 Il workflow amministrativo come black box. 186 Figura 3.4.7 Interazioni tra sistemi informativi diversi. 187 Figura 3.4.8 Activity diagrams della fase di implementazione del Piano. 188 Figura 3.4.9 Le fasi del DSS tattico e strategico. 191 Figura 3.4.10 Gli elementi del sistema di Open Knowledge Management 194

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Introduzione

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Introduzione

“Più cresce la nostra immersione nella società dell’informazione totale, più si diffondono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, più si amplia l’area in cui si forniscono beni e servizi in cambio di dati personali, maggiore diventa l’esigenza di precisare la posizione in cui si trova ciascuno di noi. Questo esige uno sguardo nuovo sugli strumenti giuridici disponibili, sull’utilizzazione delle stesse tecnologie come fattori di tutela della privacy e, in conclusione, sulla nuova dimensione costituzionale che sta emergendo. Si tratta, in sostanza, di poter esercitare un potere di controllo sul flusso dei nostri dati, regolandone direttamente le modalità di raccolta e di circolazione, interrompendolo quando lo riteniamo necessario e riattivandolo quando ci sembra opportuno. Questo esige una forte consapevolezza da parte degli attori di questo processo: i cittadini, messi davvero in condizione di esercitare i poteri loro attribuiti; i soggetti pubblici e privati che raccolgono informazioni, i quali devono rendersi conto del fatto che la legittimazione sociale della loro attività è destinata ad essere tanto maggiore quanto più sarà percepita come rispettosa di questo valore fondamentale.” [155]

Il 19 gennaio 2005 - nel presentare la relazione per l’anno 2004 sullo stato di attuazione del nuovo Codice sul Trattamento dei dati personali - il Garante Stefano Rodotà ha delineato alcuni concetti a nostro avviso fondamentali: la dignità della Persona deve essere posta al centro dello sviluppo della sempre più globalizzante

Società dell’Informazione; a questo scopo, debbono essere posti in essere strumenti giuridici e tecnologici, nonché iniziative

di carattere culturale, affinché la Persona possa esercitare i diritti strettamente legati alla difesa della propria dignità;

tutti i soggetti privati e pubblici debbono fare proprio l’obiettivo di agevolare l’esercizio di tali diritti da parte della Persona, consapevoli che da tale condizione deriva la stessa legittimazione del loro ruolo nella Società dell’Informazione;

in particolare, creare le condizioni per le quali una Persona possa esercitare scelte consapevoli in relazione al trattamento dei propri dati personali è il presupposto cruciale che consente di porre la Persona stessa e le sue esigenze al centro di questo sistema che sull’utilizzo delle informazioni soggettive basa il proprio sviluppo.

Sull’articolazione di tali concetti si basa il programma di ricerca B.E.S.T. beyond Internet - sviluppato nel contesto del Dottorato in Telematica e Società dell’Informazione - al quale ci si è ispirati per redigere il presente elaborato. Basandosi sulla constatazione di quanto le attività che una persona può svolgere attraverso la Rete Globale vadano progressivamente a sovrapporsi a quelle che la stessa può effettuare nel mondo reale, il programma muove i propri obiettivi operativi dalla necessità di promuovere la centralità della persona come fulcro dello sviluppo dei dispositivi tecnologici, dell'architettura di rete e dei modelli sociali ed economici che da questi sembrano conseguire. Obiettivi operativi della ricerca risultano quindi essere la definizione formale dell’insieme di attributi con i quali rappresentare in Rete la soggettività individuale (un profilo soggettivo che descriva personalità, storia, bisogni e requisiti della persona) e quindi la progettazione di strumenti e processi attraverso i quali la persona possa essere messa in grado di controllare e gestire autonomamente la rappresentazione della propria soggettività in tutte le interazioni e le relazioni che voglia attivare in Rete in quanto cittadino, consumatore, membro di una comunità.

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Ciò che oggi emerge in maniera sempre più evidente è la realtà di una Rete Globale dominata, nei suoi meccanismi di interazione, non già dalla categoria di utenti più numerosa – i privati cittadini – bensì dai providers commerciali i quali, lungi dall’instaurare relazioni paritarie con gli utenti sulla base dei bisogni e delle preferenze che dalla loro complessa soggettività potrebbero emergere, si appropriano - attraverso tecnologie spyware e metodologie di data mining e profiling - dei loro dati personali senza che essi possano reagire od opporsi. I dati personali costituiscono infatti un asset imprescindibile per la competitività dei soggetti imprenditoriali che operano sul mercato attraverso la Rete, in quanto consentono il dispiegarsi di strategie di marketing tese alla personalizzazione dei prodotti e dei servizi, quindi alla fidelizzazione dei clienti e all’occupazione esclusiva di interi segmenti di mercato. D’altra parte la cessione dei dati personali costituirebbe un vantaggio anche per l’utente finale: non solo i provider sarebbero in grado di erogare servizi aderenti alle esigenze e alle preferenze del cliente, ma persino l’attivazione di relazioni sociali basate su interessi condivisi della più svariata natura potrebbe rivelarsi particolarmente agevole. Scorgendo nella necessità di rispondere a tale interessi diffusi una promettente opportunità commerciale, molti soggetti imprenditoriali si propongono oggi come profile managers, ovvero come gestori dell’identità dell’utente finale in Rete; il medesimo ruolo tentano di rivestire alcune organizzazioni non-profit spinte invece dal riconoscimento della necessità di tutelare l’utente finale della Rete dall’azione dei providers di servizi, con i quali esso è spesso costretto ad instaurare relazioni asimmetriche. Le scelte operative che questi soggetti devono compiere riguardano essenzialmente le tipologie di dati da raccogliere e conservare e i processi e i dispositivi attraverso i quali raccoglierli e renderli fruibili agevolmente e in sicurezza da parte del titolare; ciò che li accomuna è una visione esaustiva dell’insieme dei dati personali: si ritiene infatti che essi debbano essere rappresentati – per essere meglio gestiti – come un unicum, a ricomporre in Rete l’identità dell’individuo. Tra il concetto di raccolta di dati personali in Rete e quello complesso di soggettività espressa in forma digitale emerge quindi con forza il concetto di identità digitale: la questione della gestione dell’identità digitale, della quale i dati personali ceduti in Rete sono singoli mattoni, è divenuta centrale per incentivare gli utenti all’uso della Rete e quindi anche per consentire lo sviluppo delle attività che nella Rete possono dispiegarsi. La tesi da noi sostenuta è che in questo contesto - e date tali premesse - emerge il ruolo del soggetto pubblico come attore dotato – nelle sue articolazioni organizzative - di legittimazione formale nella gestione dei dati personali di rilevanza giuridica, la presenza dei quali in capo ad un cittadino comporta l’obbligatorietà, la possibilità od il divieto di azione amministrativa da parte del soggetto pubblico. Tra tutti gli attori candidati il soggetto pubblico è indubbiamente dotato di indipendenza dai meccanismi del mercato e di forte visibilità dovuta all’ampio mercato dei servizi da esso erogati (anche in forma tradizionale), destinati alla totalità degli utenti della Rete in quanto cittadini. Il rapporto fiduciario tra il profile manger e l’utente della Rete, d’altra parte, non può che basarsi anche sulla consapevolezza, da parte del titolare dei dati personali, dell’affidabilità nell’efficienza organizzativa e nella sicurezza tecnologica del soggetto al quale delega la gestione della propria identità. Tale forma di legittimazione sostanziale è ciò che il soggetto pubblico sta tentando di acquistare attraverso il processo di innovazione normativo, culturale e organizzativo intrapreso dall’inizio degli anni novanta – quando ha toccato il fondo di delegittimazione - sino ad arrivare alla fase che potremmo definire di “telematizzazione” dei giorni nostri, nella quale la Rete e i sistemi informativi interni – modernizzati anche nell’ottica della cooperazione applicativa con le altre amministrazioni – si integrano a trasformare la P.A. in soggetto aperto, non solo facilmente accessibile

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Introduzione

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dal cittadino, ma anche in grado di metabolizzare e tesaurizzare in termini organizzativi gli input che dal cittadino e dalla società civile provengono. Le potenzialità dell’utilizzo della telematica da parte delle Pubbliche Amministrazioni trovano esplicazione normativa nell’emanando Codice dell’Amministrazione digitale [147], in cui - per la prima volta - alle nuove tecnologie viene affidato il compito di dare forma alle interazioni tra società civile e soggetto pubblico; la ratio dei principi generali sanciti dal Codice – nella sua impostazione programmatica - sembra essere la relega delle tradizionali forme di interazione ad un ruolo marginale e residuale.

“Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizza ed agisce a tal fine utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.” (art.2 c.1)

“I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei rapporti con le pubbliche amministrazioni centrali e con i gestori di pubblici servizi statali […].” (art.3)

“La Repubblica promuove la realizzazione e l’utilizzo di reti telematiche come strumento di interazione tra le pubbliche amministrazioni ed i privati.” (art.10 c.4)

Un’ulteriore novità del Codice è costituita dalle prescrizioni normative relative alla ristrutturazione organizzativa (in termini di processo e di supporti informativi) che le PP.AA. sono chiamate a porre in essere nel medio termine: le tecnologie dell’informazione sono interpretate così come strumenti privilegiati di razionalizzazione e sistematizzazione.

“[…] Le pubbliche amministrazioni provvedono in particolare a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese […].” (art.13 c.2)

“Le pubbliche amministrazioni centrali provvedono alla riorganizzazione ed aggiornamento dei servizi resi; a tal fine sviluppano l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sulla base di una preventiva analisi delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese, anche utilizzando strumenti per la valutazione del grado di soddisfazione degli utenti.” (art.7 c.1)

“Le pubbliche amministrazioni nell’organizzare autonomamente la propria attività utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza e semplificazione.” (art.10 c.1)

“La riorganizzazione strutturale e gestionale delle pubbliche amministrazioni […] avviene anche attraverso il migliore e più esteso utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’ambito di una coordinata strategia che garantisca il coerente sviluppo del processo di digitalizzazione.” (art.13 c.1)

Infine costituisce una novità di indubbio valore la prescrizione – all’interno di una norma di primo grado (non una direttiva né una circolare contenente regole tecniche) – di azioni specifiche finalizzate alla cooperazione applicativa, all’integrazione informativa tra le Pubbliche Amministrazioni e alla condivisione delle categorie concettuali e delle modalità di interazione con i cittadini.

“Le pubbliche amministrazioni operano per assicurare l’uniformità e la graduale integrazione delle modalità di interazione degli utenti con i servizi informatici da esse erogati, qualunque sia il canale di erogazione, nel rispetto della autonomia e della specificità di ciascun erogatore di servizi." (art.10 c.3)

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“Le pubbliche amministrazioni utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, garantendo, nel rispetto delle vigenti normative, l’accesso alla consultazione, la circolazione e lo scambio di dati e informazioni, nonché l’interoperabilità dei sistemi e l’integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni […].” (art.10 c.5)

Se l’evoluzione in corso dovesse proseguire nei termini indicati dagli indirizzi politici espressi a partire dal Piano di Azione di e-government del 2000 sino all’emanando Codice dell’Amministrazione Digitale, si aprirebbe finalmente una nuova fase nei rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione, caratterizzata dalla effettiva realizzazione dei principi di rilevanza costituzionale di buon andamento, accessibilità e trasparenza amministrativa, tempestività ed efficienza nell’erogazione dei servizi. La tesi che in questa sede sosteniamo si spinge però oltre: se il soggetto pubblico ponesse al centro delle azioni di innovazione organizzativa e tecnologica il suo ruolo di profile manager finalizzando tali processi innovativi alla creazione delle condizioni ottimali per una gestione unitaria – per quanto federata - e insieme sicura dell’identità digitale di ciascun cittadino, esso non solo otterrebbe a nostro avviso con maggior efficacia la realizzazione dei principi costituzionali, ma soprattutto potrebbe arrivare a rinnovare le stesse categorie concettuali con le quali ancora oggi si pensa al rapporto tra cittadini e Pubbliche Amministrazioni. Per dare forma e sostanza all’identità dell’utente finale, il soggetto pubblico dovrebbe provvedere alla “costruzione” di una base di conoscenza relativa a ciascun cittadino nella quale ogni dato trattato da ciascuna Pubblica Amministrazione sia contenuto e messo in relazione con l’insieme degli altri dati relativi al medesimo cittadino, in forma coerente e non ridondante. Tale base di conoscenza si suppone collocata in un “luogo virtuale” custodito da un soggetto che noi abbiamo chiamato Intermediario di Trust, della stessa natura delle Amministrazioni Pubbliche. Ciascuna porzione di base di conoscenza inerente il singolo cittadino è stata in questa sede denominata Profilo Integrato del Cittadino e definita come l’insieme dei dati relativi ad una medesima persona fisica o giuridica che le Pubbliche Amministrazioni nel loro complesso certificano o di cui devono disporre per lo svolgimento delle loro funzioni istituzionali e per l’erogazione dei servizi cui sono preposte. Nel corso dell’elaborato è stato operato il tentativo di dimostrare che i procedimenti amministrativi si basano sul Profilo Integrato: se quindi l’innovazione tecnologica e organizzativa fosse finalizzata alla progettazione e all’implementazione di sistemi di workflow interagenti con la base di conoscenza dei Profili Integrati sarebbe possibile realizzare livelli di efficienza e semplificazione amministrativa e inter-amministrativa diversamente impensabili, così come diverrebbe irrilevante l’ubicazione temporanea dell’utente richiedente un servizio (legato alla conseguente attivazione del relativo procedimento amministrativo). Ma la cognizione di procedimento basato sul concetto di Profilo Integrato apre anche altri scenari evolutivi per i rapporti tra soggetto pubblico e cittadini. Ad esempio, l’utilizzo dei dati personali del cittadino per l’attivazione di processi di comunicazione personalizzata e pro-attiva sui procedimenti dei quali il cittadino stesso sia destinatario o sui quali possa essere interessato darebbe luogo ad un nuovo concetto di trasparenza dei procedimenti e di eguaglianza nell’accesso ai servizi - soprattutto quelli che comportano benefici o agevolazioni - nonché nuovo vigore ai diritti del cittadino che derivano dall’obbligo di comunicazione da parte della Pubblica Amministrazione. Sfruttare a pieno la disponibilità dei dati personali del cittadino significherebbe inoltre metabolizzare all’interno dei processi decisionali di ciascuna Pubblica Amministrazione la conoscenza che ne deriva in termini di analisi di bisogno e marketing territoriale strategico; progettando e implementando Decision Supporting Systems avanzati e strutturando un’architettura organizzativo-istituzionale

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Introduzione

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compatibile con la presente ma che insista maggiormente sull’analisi dei dati e la sintesi delle informazioni, le decisioni politiche e strategiche (in particolare di tipo regolamentare) potrebbero basarsi – sui diversi livelli territoriali - su cognizioni oggettive dell’impatto che esse avrebbero sulla popolazione di riferimento ed i cittadini godrebbero della trasparenza dei presupposti che ispirano la policy generata da scelte basate su tali cognizioni. Al di là degli innovativi progetti di e-democracy, alla Pubblica Amministrazione potrebbe infine essere affidato un ruolo più attivo nel trarre vantaggio dalla partecipazione dei cittadini ai processi decisionali; in particolare, beneficiare della base di conoscenza dei Profili Integrati consentirebbe anche di valorizzare la socializzazione dei problemi e degli interessi comuni incentivando non solo lo sviluppo ma anche la generazione delle forme di cittadinanza attiva: sarebbe il soggetto pubblico a farsi carico dell’attivazione delle relazioni tra cittadini potenziali portatori di interessi comuni in relazione alla sua attività e alle scelte politico-strategiche che ne derivano e sarebbe lo stesso soggetto pubblico che alle nuove comunità così generate offre spazi di condivisione in Rete, aprendo canali privilegiati di scambio con esse. Efficienza e trasparenza dell’azione amministrativa, trasparenza dei processi decisionali, uguaglianza nell’accesso ai servizi, promozione della partecipazione ai processi decisionali. Si tratta di principi dal significato consolidato socialmente, lessemi fondamentali del registro con il quale si parla di innovazione della Pubblica Amministrazione nonché obiettivi prescrittivi dello stesso Codice dell’Amministrazione Digitale: ciò che però in questa sede è sostenuto è che essi vedranno ampliare ed approfondire il proprio significato se verranno poste in essere politiche per razionalizzare e sistematizzare i dati personali di ciascun cittadino che le Pubbliche Amministrazioni raccolgono e trattano per svolgere le loro funzioni istituzionali. Nella Società dell’Informazione e della Conoscenza è auspicabile che anche il soggetto pubblico – che si presuppone agire per l’interesse generale – operi quanto è necessario per valorizzare le risorse informative che possiede trasformandole in conoscenza su cui basare la propria azione a beneficio del singolo cittadino e della collettività. Se il soggetto pubblico dunque riuscirà a ricomporre in Rete l’identità del cittadino, quest’ultimo potrà beneficiarne non solo nei suoi rapporti con le Pubbliche Amministrazioni, ma anche in tutte le relazioni che vorrà intraprendere in Rete con altri cittadini o con i providers commerciali: l’intermediario di Trust – custode dei Profili Integrati – potrà fungere da garante dei diritti di privacy e accessibilità dei dati personali, agevolando nel contempo il controllo e la fuibilità degli stessi da parte del titolare attraverso dispositivi e processi finalizzati all’usabilità del sistema complessivo. Lo scenario evolutivo che abbiamo prospettato è senz’altro fuori dalla portata di azioni innovative nel breve-medio termine. Esso si scontra contro numerosi ostacoli di tipo giuridico e organizzativo. Gli ostacoli di tipo giuridico sono essenzialmente legati alle norme – in particolare il recente Codice sul trattamento dei dati personali – che tutelano la privacy del cittadino e la riservatezza dei suoi dati personali. Per questo nel corso dell’esposizione si è tentato di dimostrare come – attraverso dispositivi tecnologici specifici e un’architettura di Rete adeguata supportata da un impianto organizzativo ad hoc – sia possibile non solo rispondere esaustivamente a quanto richiesto dalla norma, ma soprattutto potenziare le possibilità di godimento da parte dei cittadini dei diritti che si vogliono tutelare. Gli ostacoli di tipo organizzativo sono ovviamente legati all’annosa questione dell’arretratezza della nostra Pubblica Amministrazione, dovuta alla farraginosità dei processi di servizio, alla scarsa digitalizzazione delle infrastrutture e alla scarsa dimestichezza delle risorse umane con gli strumenti informatici. Da alcuni anni è in corso una sorta di “revanescenza culturale”, dovuta alla formazione dei dirigenti (alcuni dei quali iniziano a comportarsi come managers), all’ingresso di nuove leve, ma soprattutto alla disponibilità dei fondi europei, finalizzati a progetti di innovazione specifici. Le infinite opportunità di scambio offerte dalla Rete hanno inoltre agevolato non poco da una parte i processi di

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trasferimento delle esperienze di innovazione e dall’altra il dibattito degli addetti ai lavori sulle nuove norme – caratterizzanti l’evoluzione del diritto amministrativo degli ultimi anni - riguardanti documentazione amministrativa, firma digitale, protocollo elettronico, ecc.., dibattiti che a loro volta hanno condizionato l’azione del legislatore conducendo a volte ad una più corretta e coerente normazione. L’urgenza di una ristrutturazione organizzativa interna a ciascuna P.A. è ormai sentire comune e la testuale applicazione degli articoli del Codice che precedentemente abbiamo citato condurrà senza dubbio ad ulteriori miglioramenti. Ciò che d’altra parte è evidenziato nella trattazione è la necessità di un lavoro di elaborazione a livello nazionale per giungere ad una condivisione generale di alcune categorie centrali non solo peraltro per l’implementazione degli scenari prospettati ma anche per garantire un ordinato e sistematico protrarsi dei processi di innovazione sia normativa che organizzativa in corso. Uno studio approfondito sulle tipologie di procedimenti amministrativi e sulle caratteristiche di ciascuno, sulle Pubbliche Amministrazioni chiamate a parteciparvi e sui dati personali trattati in ciascun procedimento è un lavoro che – oltre a far emergere sistematicamente le note incoerenze dell’ordinamento – condurrebbe finalmente alla formazione di una cultura organizzativa dell’amministrazione pubblica italiana. Non vi sono invece ostacoli di ordine tecnologico: le tecnologie telematiche correnti – e anche le ipotesi di architettura di Rete che in tempi recenti hanno preso forma - consentono il dispiegarsi delle funzionalità caratterizzanti gli scenari prospettati, anche se una loro adeguata implementazione richiederebbe l’investimento di ingenti risorse soprattutto a garanzia del cruciale requisito della sicurezza. Proprio il carattere fondamentale rivestito dalla problematica “sicurezza” e quindi proprio le risorse che essa dovrebbe assorbire affinché sia garantito il livello di affidabilità che può forgiare il rapporto fiduciario tra Intermediario di Trust e cittadino, rende a nostro avviso la natura pubblica dell’Intermediario una condizione quasi imprescindibile per il realizzarsi non tanto di tali specifici scenari, ma soprattutto di un sistema di interazioni di Rete che voglia basarsi sullo strumento del profile manager. L’oggetto del presente lavoro è strettamente inerente a quanto abbiamo brevemente e superficialmente delineato. La trattazione si articola in tre parti, ciascuna composta di quattro capitoli: in generale, la prima parte definisce i due elementi fondamentali dell’architettura di Rete che si vuole delineare, ovvero l’Intermediario di Trust e il Profilo Integrato del cittadino; la seconda parte entra nello specifico di alcuni scenari applicativi evoluti dell’architettura ipotizzata; la terza parte prospetta l’applicazione degli elementi precedentemente definiti nel campo dei servizi socio-sanitari, attualmente caratterizzato da una forte spinta all’innovazione. In particolare, dopo aver dato conto degli strumenti e delle tecniche delle quali si servono i providers per operare la profilazione dei navigatori e aver quindi esposto una panoramica degli strumenti normativi (europei e nazionali) e tecnologici dei quali gli utenti della Rete dispongono per tutelare la privacy dei propri dati personali (1.1), viene introdotto il concetto di Intermediario di Trust (1.2): in particolare lo sforzo è stato quello di individuare i pre-requisiti (indipendenza, affidabilità, visibilità) che necessariamente debbono caratterizzare il soggetto che si proponga di rivestire tale ruolo, le tipologie di dati (strutturati o non strutturati) che – per rispondere alle esigenze dell’utente delle Rete – dovrebbero essere oggetto di raccolta e gestione da parte dell’Intermediario, la forma (centralizzata o distribuita) che la gestione di tali dati potrebbe assumere; il tutto prendendo come spunto di riflessione alcune esperienze del settore della ricerca, tra cui il già citato programma di ricerca B.E.S.T. beyond Internet; è in questo contesto che emerge il soggetto pubblico quale candidato a rivestire il ruolo di Intermediario di Trust: la riflessione quindi si incentra sui vincoli, i rischi e le potenzialità legate a questa ipotesi.

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Nel circoscrivere la riflessione ai soli dati personali “strutturati”, ovvero solo a quelli rappresentanti “fatti giuridici” relativi al singolo individuo, viene quindi definito il concetto di Profilo Integrato del Cittadino (1.3). Tale limitazione (e la conseguente rinuncia ad assoggettare al controllo dell’Intermediario anche i dati espressione della personalità dell’utente e dei relativi condizionamenti di tipo culturale e sociale, dati peraltro contemplati dal concetto di profilo soggettivo) è dovuta non solo ad esigenze di ricerca, ma soprattutto alla necessità di contemperare le condizioni di fattibilità operativa con le esigenze effettive e stringenti dell’utente della Rete. Per dare sostanza al concetto di Profilo Integrato del Cittadino si è proceduto alla dimostrazione della sua consistenza giuridico-amministrativa, mostrando come i dati da esso contemplati non siano altro che i requisiti soggettivi del cittadino accertati o costituiti attraverso procedimenti e provvedimenti amministrativi, o costituenti essi stessi le pre-condizioni per l’esplicazione di procedimenti e provvedimenti amministrativi. Una volta fornita la giustificazione giuridica dell’esistenza “virtuale” del Profilo presso le diverse articolazioni del soggetto pubblico, si è ritenuto necessario tracciare un percorso analitico in sette steps attraverso il quale poter arrivare a definire in maniera sistematica la struttura della relativa base di dati. Il Profilo Integrato, d’altra parte, deve costituire in primo luogo una risorsa a disposizione dell’utente finale, ovvero del cittadino: per questo abbiamo tentato di individuare alcuni requisiti (unitarietà, privacy, accessibilità, autodeterminazione, fruibilità) ai quali nel loro insieme i dati gestiti dal soggetto pubblico in capo ad un medesimo cittadino debbono rispondere perché sia possibile affermare che il cittadino dispone dei suoi dati personali nei termini auspicati poco sopra (1.4). Alcuni di questi requisiti sono prescritti dalla normativa, altri sono avversati dalla stessa, altri ancora non sono nemmeno contemplati dalle ipotesi normative o tecnologiche in campo: noi tentiamo di dimostrare la fattibilità di una loro applicazione ai dati personali costituenti il Profilo senza che risulti necessario contravvenire alle norme vigenti. Gli scenari applicativi dell’architettura di Rete basata sull’Intermediario di Trust ed il Profilo Integrato del Cittadino delineati nella seconda parte della trattazione – e dei quali abbiamo brevemente parlato più sopra – mostrano solo alcuni esempi dell’evoluzione alla quale andrebbero incontro i rapporti tra PP.AA. e cittadino (2.1, 2.2 e 2.3); come si è affermato, non vi sono determinanti vincoli tecnologici rispetto alla loro realizzazione né stringenti problematiche di ordine giuridico: semmai essi costringono a pensare all’uso di determinate tecnologie in termini diversi e più ampi rispetto a prima (come nel caso dei web services e di altri strumenti di cooperazione applicativa) e a ipotizzare – come si è visto - l’ampliamento di determinati diritti già riconosciuti dalla normativa vigente. Per dimostrare ciò, gli elementi critici di ogni scenario sono stati messi in relazione sia con alcune iniziative innovative in atto – di livello internazionale, comunitario, nazionale e locale – sia con specifiche fonti normative di settore; infine (2.4) abbiamo provveduto ad analizzare la fattibilità tecnologica degli scenari in relazione all’evoluzione delle politiche di e-government e alle architetture di Rete da queste ipotizzate. Ciò che emerge chiaramente dall’analisi è la necessità di procedere alla standardizzazione – a livello nazionale - di alcune categorie di rilevanza prettamente organizzativa sulle quali basare le interazioni formalizzate e agevolare l’attivazione delle interazioni non formalizzate tra i diversi attori del sistema: i dati costituenti il Profilo, le tipologie di servizi, di procedimenti e di ruoli istituzionali non possono essere oggetto di elaborazione autonoma, che sia di livello locale o regionale; essi debbono fare parte della cultura organizzativa del soggetto pubblico in tutte le sue articolazioni, nonché divenire linguaggio comune nelle interazioni tra PP.AA. e cittadini: su questa condizione si fonda la possibilità di creare una Pubblica Amministrazione aperta in grado di riconoscere come risorsa propria gli input informativi provenienti dall’esterno e di generare a sua volta conoscenza condivisibile e finalizzabile all’apprendimento generale del sistema.

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La terza parte della trattazione è stata ispirata dall’esperienza concreta svolta nell’ambito di un progetto per la costruzione di un sistema integrato di valutazione dei bisogni e di erogazione degli interventi socio-sanitari per cittadini affetti da patologie di demenza. Il progetto M.I.R.A. – questo il nome dell’iniziativa della ASL 10 di Firenze in collaborazione con il Centro di Ascolto Azheimer di Firenze – ha costituito una occasione privilegiata per riversare le riflessioni sulla rilevazione, la gestione e l’uso del profilo del cittadino in un campo di azione concreto. Un campo di azione, peraltro, dalle caratteristiche altamente complesse e articolate per il numero e le tipologie dei soggetti coinvolti e per l’oggetto stesso dell’azione di questi, ovvero il bisogno sanitario ed assistenziale che deriva dalla sofferenza psichica e fisica di pazienti e familiari. D’altra parte il progetto M.I.R.A. si colloca all’interno di un settore, quello dei servizi socio-sanitari, in grande evoluzione, caratterizzata dal passaggio dal vecchio sistema di welfare state al nuovo sistema denominato welfare locale: dopo aver dato conto delle principali caratteristiche del nuovo modello ancora in fase di attuazione sperimentale (3.1), si è proceduto a definire una metodologia integrata di diagnosi sistemica e progettazione di strategie di policy adeguate allo sviluppo - secondo il suddetto modello - di qualsiasi campo interorganizzativo dei servizi socio-sanitari (3.2). Dimostrato infatti che il campo interorganizzativo prefigurato dal welfare locale assume la forma di una “rete”, si propone di applicare la metodologia della network analysis per perseguire la progettazione di sistemi di coordinamento e comunicazione adeguati all’interazione tra tutti i soggetti della rete sia in fase di strutturazione della rete stessa (e quindi di istituzionalizzazione del modello) che in una situazione a regime. La rilevanza della raccolta e dell’analisi dei dati costituenti il profilo del paziente appare evidente laddove si riconosce la centralità del bisogno della persona in situazione di disagio: solo valorizzando la conoscenza che ciascun soggetto della rete possiede sul singolo paziente sarà possibile comprendere esaustivamente il bisogno di cui il paziente è portatore e porre in essere interventi adeguati. In tale complesso contesto, per costruire un sistema di condivisione e costruzione della conoscenza (che abbiamo chiamato “Laboratorio della Conoscenza”) è necessario che il soggetto pubblico investa ingenti risorse per incentivare il coinvolgimento di tutti gli attori (pubblici e privati, imprenditoriali e non) e garantire al sistema la massima partecipazione attiva, sulla quale esso basa il suo sostentamento. In particolare, la partecipazione attiva e la responsabilizzazione dei pazienti e dei familiari costituisce non solo un beneficio per questi stessi soggetti (come costituisce un beneficio per il cittadino poter gestire autonomamente il proprio Profilo Integrato), ma soprattutto una risorsa per l’intero sistema che può così metabolizzare la conoscenza tacita sul bisogno a garanzia della propria efficacia (3.3). Nell’ultimo capitolo (3.4) si è tentato di sintetizzare le indicazioni che dal lavoro di analisi effettuato nell’ambito del progetto M.I.R.A. è stato possibile trarre per delineare i requisiti ai quali dovrebbe rispondere un sistema di comunicazione avanzato a supporto della rete dei servizi socio-sanitari. I processi interorganizzativi che sottostanno alla rilevazione e alla gestione del profilo Integrato del paziente sono senz’altro più complessi di quelli dai quali deriva quello che abbiamo definito Profilo Integrato del cittadino, per certi aspetti più amplio del primo ma per altri molto più facilmente progettabile e gestibile: il Profilo del paziente infatti è caratterizzato da dati sia strutturati che non strutturati, la maggior parte dei quali “sensibili” e comunque non definibili – per lo meno fino ad oggi - “fatti giuridici”; ovviamente, se poi sulla base di tali dati vengono attivati procedimenti amministrativi (per l’erogazione di determinati servizi), essi con il tempo – e se la condivisione metodologica dovesse assumere carattere generalizzato – si trasformerebbero in “fatti giuridici”, spingendo al riconoscimento di nuovi specifici diritti in capo al paziente. Come nel caso del sistema basato sul Profilo Integrato del Cittadino, si sono rivelati necessari i processi di standardizzazione di determinate categorie

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concettuali, quelle riguardanti cioè i dati costituenti il Profilo e i servizi erogabili, nonché le chiavi di lettura dei dati aggregati dei Profili. Ciò ha consentito di rendere probabile il raggiungimento dell’efficacia degli interventi, trasparenti i processi decisionali, semplice l’accesso alle informazioni da parte del paziente e dei suoi familiari, improntato sull’uguaglianza di trattamento l’accesso agli specifici interventi socio-sanitari, finalizzato alla socializzazione il sistema relazionale, aperto alla partecipazione quello decisionale.

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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1. L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

1.1 La rilevanza del possesso dei dati personali nell’attuale sistema di mercato

Il progressivo sviluppo di Internet sta causando l’accelerazione dei processi di destrutturazione-ristrutturazione dell’ambiente di vita quotidiano dell’individuo in relazione ai più svariati contesti (professionali, familiari, amicali) e, effetto ancora più rilevante, prefigura un progressivo condizionamento dei processi di inserimento e collocazione dell’individuo nel tessuto sociale, rimettendo in discussione le definizioni di soggetto sociale, soggetto economico e soggetto politico [86]. Tali processi, se non adeguatamente governati, rischiano di condurre a conseguenze sia sociali che economiche perverse. Data la loro rilevanza quantitativa, infatti, gli utenti finali rappresentano gli attori principali della Rete sia dal punto di vista sociale che economico; d’altra parte tale preminenza è solo potenziale: ad assumere un potere negoziale preponderante sono infatti i providers di servizi commerciali, dato che – a causa della scarsa usabilità delle interfacce e degli strumenti, nonché dei rilevanti problemi di accessibilità1 – il Web soffre di un’innegabile difficoltà a coinvolgere masse diversificate ed eterogenee. Lo sviluppo di Internet deve infatti il proprio successo originario al taglio fortemente commerciale che si è voluto attribuire ai suoi contenuti e dispositivi2 (da qui anche l’ingente quantità di risorse economiche che vi sono confluite): per questo ancora oggi il sistema è governato da meccanismi avulsi dai bisogni dell’utente finale ed è per questo che vi è ancora forte asimmetria nelle relazioni intrattenute in Rete tra questi e i providers di servizio [85].

1 I problemi di accessibilità non sono necessariamente legati a disabilità individuali rilevanti nel mondo reale, ma possono essere ricondotti a

disagi strettamente connessi alle nuove tecnologie, secondo la più ampia accezione di digital divide. 2 Secondo quanto espresso dal suo ideatore, il World Wide Web (l’espressione più evoluta di Internet) era destinato ad avere un taglio

fortemente sociale, basandosi sull’idea di comunicazione in quanto fonte di costruzione e sviluppo della conoscenza e dell’intelligenza collettiva.

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1.1 La rilevanza del possesso dei dati personali nell’attuale sistema di mercato

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1.1.a. Compe ti t iv i tà , f ide l izzaz ione e prof i l ing

L’aspetto più grave è che tale asimmetria si sublima nella trasformazione dei dati personali dell’individuo da connotanti l’identità soggettiva ad oggetto di scambio per l’ottenimento di servizi3. Il motivo di tanta rilevanza attribuita ai dati personali risiede nella stessa evoluzione del sistema di mercato: la globalizzazione dei mercati e la progressiva omogeneizzazione dei modelli di consumo hanno condotto le imprese alla necessità di appropriarsi di segmenti specifici di mercato, sviluppando una differenziazione di servizi e prodotti finalizzata alla personalizzazione e quindi alla fidelizzazione del cliente4; in sostanza da sistema altamente concorrenziale e competitivo su larghi e pochi segmenti di mercato si transisce progressivamente ad un sistema fortemente e multidimensionalmente segmentato privo di concorrenza all’interno di ciascun segmento [30]. Tale scenario costituisce il presupposto teorico su cui si basa lo sviluppo del marketing fino alle sue versioni più evolute, ovvero il direct marketing e il marketing relazionale, oggi supportato anche da strategie fortemente customer-oriented come il Customer Relationship Management (CRM) anche nella versione basata su un utilizzo intensivo del Web (e-CRM)5. Attraverso infrastrutture tecnologiche avanzate, in grado di integrare i processi organizzativi interni con applicazioni orientate alla gestione quantitativa e qualitativa del rapporto con i clienti, il CRM agevola la raccolta dei dati derivanti dall’interazione dell’azienda con il cliente e i canali di vendita, l’analisi degli stessi, la pianificazione delle azioni fino all’esecuzione degli interventi.

3 Tale scambio può configurarsi sia come azione volontaria e consapevole da parte dell’utente finale che come raccolta dei dati all’insaputa

dell’utente; una sintetica ma completa esposizione delle diverse metodologie e tecniche di data mining nella rete pubblica applicate dall’e-business intelligence è la seguente [119]:

CESSIONE INCONSAPEVOLE DI DATI PERSONALI CESSIONE VOLONTARIA DI DATI PERSONALI

Indirizzo e-mail o nome

registrati nel browser

Registrazione tramite ID e password

La registrazione permette l’accesso stesso al sito o a particolari servizi

Web bugs

Java applets o Java scripts che si nascondono dietro a una piccola immagine invisibile all’interno delle stringhe di HTML registrando dall’HD ciò che non raggiunge il server (come il contenuto dei cookies o il tipo di browser usato).

Compilazione di un questionario on-line

La compilazione spesso è richiesta per la cessione di prodotti gratuiti

Temporary Cookies

Files di testo memorizzati nell’HD dell’utente al momento della connessione al sito: la loro validità è relativa alla specifica sessione ed ha lo scopo di controllare le caratteristiche dell’ambiente tecnologico dell’utente e meglio servire il caricamento delle pagine.

Temporary Cookies

Di solito i browsers supportano funzionalità blockers; quando queste sono attivate l’utente può scegliere se istallare o meno il cookie: non istallarlo spesso comporta il non poter accedere al sito.

Persistent Cookies

Files di testo memorizzati nell’HD dell’utente al momento della connessione al sito: registrano ID e password , informazioni sulla visita ed eventuali preferenze manifestate.

Persistent Cookies L’utente può decidere di voler istallare questo tipo di cookies soprattutto per evitare di ri-autenticarsi presso lo stesso sito nella successiva connessione.

4 E’ generalmente accettato che vendere un prodotto/servizio ad un cliente già acquisito costi all’azienda circa un quinto rispetto a quanto

costerebbe vendere il medesimo prodotto/servizio ad un cliente nuovo e che un incremento medio del 5% di fatturato legato alle vendite ai clienti abituali possa fare aumentare fino all’85% i profitti di un’azienda.

5 Direct Marketing, relational marketing e Customer Relationship Management sono “categorie” del marketing che attengono alla fidelizzazione del cliente. Il primo è una tecnica con cui l’impresa si propone di ottenere una risposta diretta (non necessariamente l’acquisto) da parte del cliente finale: essa è caratterizzata da personalizzazione e dalla natura interattiva della comunicazione attivata. Un’azione di direct marketing si sviluppa in tre fasi principali: l’individuazione dei clienti potenziali, la costruzione del messaggio personalizzato e la scelta dei mezzi e strumenti di comunicazione diretta secondo una logica di multicanalità, ai quali la forma del messaggio stesso viene calibrato. Il relationship marketing più che una tecnica è invece una strategia, che punta a fornire valore al cliente secondo una logica di lungo periodo: per perseguire tale strategia l’impresa si avvale di basi di dati sulla clientela in grado di offrire un supporto informativo di elevato livello agli operatori e di agevolare l’individuazione dei clienti-chiave che vengono quindi assegnati ai responsabili del portafoglio clienti. Il CRM è un vero e proprio processo aziendale, per quanto complesso, finalizzato alla creazione e al mantenimento di relazioni con i clienti (imprese o privati): esso si basa su un approccio olistico che parte dalla segmentazione del mercato per giungere alla personalizzazione dei prodotti/servizi e quindi alla fidelizzazione del singolo cliente legata anche all’erogazione di servizi a valore aggiunto. Per perseguire tale obiettivo viene coinvolta l’intera catena produttiva e distributiva dell’impresa anche attraverso l’utilizzo di software che consentono l’ottimizzazione dei processi di business. Mentre prima dell’avvento delle tecnologie di rete il CRM si avvaleva di canali classici di interazione con il cliente, ovvero il call center e il direct mail advertising (che permettono una rilevazione di informazioni essenzialmente di tipo socio-demografico), con l’e-CRM la frequenza di interazione con il cliente e la possibilità di approfondire la conoscenza dei suoi bisogni, delle sue aspettative e delle sue abitudini di consumo sono molto più elevate [48].

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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Internet è senza dubbio il mezzo attraverso il quale questa logica di mercato ha modo di dispiegarsi più rapidamente e facilmente. Il tracking del comportamento dell’utente in Rete ha infatti due obiettivi funzionali, che possono considerarsi alla stregua di vere e proprie analisi di mercato in tempo reale: le statistiche a livello di sito e le statistiche a livello di utente [108]. Mentre le statistiche sull’attività del sito hanno lo scopo di aggregare dati anonimi relativi alla navigazione di più utenti per valutare quali siano l’efficienza del sito e l’efficacia dell’interfaccia e migliorarle progressivamente sulla base delle caratteristiche comportamentali del cliente medio, le statistiche a livello utente hanno lo scopo di valutare la fedeltà del cliente analizzando le informazioni sulle sue viste e di approntare quindi servizi e prodotti che eventualmente la incrementino6. In quest’ultimo caso vengono trattati dati personali e individuali la cui raccolta da una parte – soprattutto in caso di mancanza di consenso da parte del titolare – ha rilevanti risvolti in tema di privacy, ma dall’altra può incidere fortemente sull’efficacia del processo comunicativo e quindi sulla qualità del servizio fornito. Tra le metodologie funzionali alla personalizzazione automatica dei servizi in rete, la click-stream history (la rilevazione del percorso di navigazione di un medesimo utente attraverso molteplici siti) è certamente la più invasiva, ma anche la più ricca di potenzialità: se dotate di strumenti di CRM che permettano – contestualmente alla rilevazione dei dati – anche la produzione di reports e l’integrazione con risorse informative di natura commerciale derivanti da canali diversi (ad esempio altre ricerche di mercato sugli stili di consumo o di vita), le aziende possono fare ricorso alla click-stream history non solo per la personalizzazione del servizio on-line ma anche per incidere nei processi di progettazione e realizzazione dei prodotti, nonché per rivedere le categorizzazioni di profiling della propria domanda potenziale. Quanto più le attività in Rete vanno a sostituire quelle della vita reale, tanto più i dati del comportamento dell’utente in Rete potranno convenientemente incidere nella pianificazione aziendale. Se dunque è vero che l’impostazione attuale del sistema è frutto dell’interesse del più forte dal punto di vista “contrattuale”, è altrettanto realistico prospettare che un siffatto sistema non possa sostenersi a lungo: uno studio dell’ottobre 2000 condotto dalla Harris International dimostrava come il 56% dei consumatori statunitensi – pur riconoscendo le evoluzioni tecniche in direzione user-friendly - fossero ancora intimiditi dalla Rete a causa della percepita impotenza nel tentativo di impedire la raccolta, l’uso

6 I dati anonimi vengono elaborati attraverso metodologie variegate che fanno ricorso ai file log del server e ai cookies session-temporary;

con l’aggregate traffic tracking i dati raccolti dal server automaticamente in un file log comune sono utilizzati per la gestione e la manutenzione del sito e con gli indici click-through rate (quante volte viene cliccato un banner) e look-to-buy data (quante volte ad un click di un link corrisponde un acquisto) si valuta essenzialmente l’efficacia del web come canale alternativo o complementare rispetto al mercato; con i sistemi di customer profiling i cosiddetti click-through data sono rilevati dai sempre più diffusi Internet Advertising Center che catturano i comportamento di navigazione attraverso molteplici siti commerciali per elaborare i “profili” dei consumatori, anche in relazione alle specifiche esigenze di aziende affiliate. Dalla elaborazione dei dati personali possono derivare due strategie di servizio: 1)semi-customization: ottenendo la collaborazione dell’utente, che si esplica attraverso la compilazione di un questionario on-line, è possibile far scegliere i contenuti del servizio o le modalità di accesso allo stesso oppure costruire percorsi semantici personalizzati che facilitino l’usabilità del servizio stesso; 2)personalizzazione automatica: la metodologia di rilevazione della click-stream history si basa sul largo utilizzo di persistent cookies o di agenti posizionati tra browser e web che rilevano i dati di navigazione tra tutti i siti visitati da uno stesso individuo: ciò permette la personalizzazione automatica delle pagine del sito (adaptive site). Nella tabella seguente riepiloghiamo tali metodologie.

ATTIVITÀ STRATEGICA STRUMENTI DI RILEVAZIONE ATTIVA DEI DATI

STRUMENTI DI RILEVAZIONE PASSIVA DEI DATI

METODOLOGIA DI ANALISI DEI DATI

TIPOLOGIA DI DATI

Statistiche a livello di

sito

Aggregate traffic tracking Temporary cookies

Analisi file log nel server Web bugs

Temporary cookies

Click-through rate Look-to-buy data

Dati anonimi

Customer profiling Registrazione con ID e

psw Temporary cookies

Temporary cookies Click-through data

Statistiche a livello di

utente

Semi-customization Compilazione di form on-line - Qualitativa e legata al

contesto Dati personali

Personalizzazione automatica - Persistent cookies Click-stream history

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1.1 La rilevanza del possesso dei dati personali nell’attuale sistema di mercato

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e la distribuzione inconsapevole dei propri dati personali; ovviamente tale sfiducia si ripercuote nella domanda di servizi. Affinché la domanda nella Rete possa soddisfare gli ingenti sforzi di investimento economico dell’offerta garantendo ai providers adeguati R.O.I.7, il sistema dovrà calibrarsi e perseguire un compromesso ragionevole tra necessità di informazioni sempre più particolareggiate ed esigenze di privacy. I soggetti portatori di interessi commerciali sono pertanto chiamati oggi ad agevolare un cambiamento culturale che li conduca ad abbracciare un approccio al mercato (e quindi alle tecnologie su cui il nuovo mercato si basa) user-oriented, piuttosto che customer-oriented: è necessario cioè che venga riconosciuta centralità non solo agli aspetti dell’identità di utente strettamente attinenti all’attività commerciale, ma a tutte le esigenze connesse alla sua soggettività, primo fra tutti il bisogno di privacy [73]. E’ possibile distinguere tre diverse direttrici – di mercato, normativa e tecnologica- lungo le quali si muove l’evoluzione del sistema di mercato basato sul web, sempre più tematizzato dalla problematica privacy.

1.1.b. L’at tenz ione de l mercato per la pr ivacy

Da un punto di vista di analisi aziendale e di mercato già nel 2002 una ricerca di Gartner Group rilevava come il 40% dei progetti CRM adottati negli anni precedenti dovesse essere modificato entro lo stesso anno per rispondere a specifiche esigenze di privacy che inizialmente erano state sottovalutate. Le pre-dizioni della stessa Gartner per il 2004 [94] sottolineavano come le problematiche relative alla privacy dei clienti avrebbero richiesto innovazione nelle metodiche di marketing, ad esempio attraverso l’implementazione di funzionalità operative quali gli opt-in, i do-not-call e le preferenze di contatto del cliente. Rilevare, monitorare e incontrare le preferenze di privacy diverrà infatti centrale quanto lavorare sui metodi tradizionali di segmentazione della clientela, basati su dati demografici, potenziale di acquisto, dati psicografici, stili di vita. Proprio per far fronte a tali esigenze sono stati costituiti gruppi di lavoro finalizzati alla produzione di standard tecnologici e metodiche per la gestione della privacy e della sicurezza con il CRM, ma il quadro di mercato che sembra emergere evidenzia un orientamento secondo cui i clienti sono ancora onerati dei costi dei servizi “di base” per la sicurezza, come la crittografia e l’autenticazione “forte”8: si pensi ai servizi di e-banking che – pur consentendo di fatto all’istituto bancario di risparmiare in termini di logistica, procedure e personale - vengono offerti come servizi opzionali a pagamento, addebitando al cliente la messa in opera delle tecnologie legate alla sicurezza come costo aggiuntivo rispetto al servizio di sportello.

1.1.c. L’evoluz ione normat iva in tema di pr ivacy

Da un punto di vista normativo dal 31 luglio 2002 è entrata in vigore la Direttiva 2002/58/CE del Parlamento e del Consiglio Europei [194], riguardante il trattamento dei dati personali e la tutela della privacy, applicata al settore delle comunicazioni elettroniche. L'Europa si è così distinta creando per prima una legislazione all'avanguardia, in quanto la Direttiva coinvolge temi importanti, quali la raccolta

7 Returns On Investments. 8 A differenza di quello “debole”, il sistema di autenticazione si definisce “forte” quando la carta di firma venga rilasciata da un’apposita

autorità accreditata come CA (Certification Authority) che detiene i dati relativi al firmatario e ne valida la correttezza ogni volta che viene utilizzata la firma.

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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dei dati personali, il loro trattamento, la riservatezza, l'invio non richiesto di messaggi pubblicitari indesiderati (spamming tramite e-mail e SMS/MMS), la gestione dei cookies ed il software spyware9. A nostro avviso, nel contesto attuale, la disposizione più innovativa della Direttiva risiede nel riconoscimento della necessità di incorporare le funzionalità necessarie per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica a quelle che garantiscano la tutela dei dati personali: l’ipotesi è che esse (siano di natura hardware o software) possano essere incorporate nella Rete o in una parte qualsiasi dell'apparecchiatura terminale dell'utente. Si afferma esplicitamente cioè che il diritto alla privacy debba essere garantito a prescindere dall’evoluzione tecnologica, tanto da prefigurare la possibilità di adottare provvedimenti a livello comunitario che prescrivano ai produttori di hardware e software impiegati per i servizi di comunicazione elettronica di costruire il loro prodotto in modo da incorporarvi dispositivi che garantiscano la tutela dei dati personali e della vita privata dell'utente. A conferma di quanto detto, l’art.4 prevede che il provider debba obbligatoriamente adottare appropriate misure tecniche e organizzative per salvaguardare la sicurezza dei suoi servizi, se necessario congiuntamente con il fornitore della rete pubblica di comunicazione in relazione alla sicurezza della Rete. L’Italia si è adeguata alla nuova normativa europea dotandosi di un Testo Unico sul Trattamento dei dati personali, che sostituisce - a partire dal gennaio 2004 - la prima fonte normativa nazionale sulla privacy risalente al 1996 (la L.675/96). Esso, conformemente alla Direttiva, presenta importanti novità soprattutto sotto il Profilo della sicurezza: il provider (in quanto titolare del trattamento di dati personali dei propri clienti), oltre a dover adottare misure organizzative, procedurali e tecnologiche che permettano il trattamento dei soli dati strettamente “necessari” al core dell’attività, è tenuto ad adottare i migliori strumenti tecnologici sul mercato per ridurre al minimo qualsiasi rischio di uso illecito dei dati: l’onere della sicurezza, cioè, è a carico del titolare del trattamento10. L’impostazione normativa europea e nazionale è tale per cui le funzionalità di Rete legate alla gestione della privacy e della sicurezza dovrebbero essere garantite proprio dalla ristrutturazione dell’architettura di base della Rete, dando alla natura delle stesse il riconoscimento di “bene pubblico” alla stregua della connettività. Un ulteriore strumento di tutela dell’utente è costituito dal Codice di deontologia e di buona condotta che l’art.12 del T.U. prevede debba essere adottato dalle varie categorie interessate al trattamento di dati personali: il Garante per la protezione dei dati personali aveva già promosso, in attuazione della Direttiva Comunitaria del 1995 [194], la sottoscrizione di un codice di deontologia e di buona condotta nell’ambito dei servizi di comunicazione e informazione offerti per via telematica e particolarmente nella rete web; tale Codice, una volta sottoscritto congiuntamente da soggetti rappresentativi del settore (la ANFOV11 – facente parte del gruppo di lavoro - ne ha già adottato uno) dovrà essere inserito nell’allegato A del testo unico acquisendo così la veste di fonte ordinamentale e rendendo il

9 Riconoscendo come un diritto, ai sensi della Convenzione europea per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - la

tutela delle informazioni archiviate nei dispositivi informatici - facendo esse parte della sfera privata dell’utente - la Direttiva sottolinea che l’uso di “software spia, bachi invisibili ("web bugs"), identificatori occulti ed altri dispositivi analoghi” dovrebbe essere consentito unicamente per scopi legittimi e l'utente interessato dovrebbe esserne a conoscenza. D’altra parte essa evidenzia anche che i "cookies possono rappresentare uno strumento legittimo e utile, per esempio per l'analisi dell'efficacia della progettazione di siti web e della pubblicità, nonché per verificare l'identità di utenti che effettuano transazioni on-line", e che pertanto il loro uso dovrebbe essere consentito purché siano fornite agli utenti informazioni chiare e precise sugli scopi dei marcatori, nonché sia loro consentita la possibilità di rifiutare che un marcatore o un dispositivo analogo sia installato nella propria apparecchiatura terminale.

10 Come osserva Monica Gobbato in Interlex (19.12.03) “quello che si evince tra le righe del nuovo testo è che diventa sempre più necessario non assolvere solo a dei meri oneri burocratici, ma soprattutto creare una reale cultura della privacy attraverso degli strumenti più complessi delle semplici informative e richieste di consenso. Mi riferisco alla creazione di strutture dedicate (uffici di sicurezza, nomine di responsabili interni ed esterni); all’elaborazione di procedure e manuali di sicurezza efficaci; all’elaborazione di contratti di outsourcing che prevedano la nomina del fornitore responsabile e apposite clausole a tutela delle informazioni; ai nuovi obblighi di dichiarazione di conformità da parte dei fornitori di servizi informatici; ai più stringenti obblighi di formazione e all’obbligo di allegare ai bilanci delle società di capitale l’avvenuta predisposizione del documento programmatico per la sicurezza”.

11 Associazione per la convergenza nei servizi di comunicazione.

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1.1 La rilevanza del possesso dei dati personali nell’attuale sistema di mercato

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rispetto delle sue disposizioni una condizione essenziale per la liceità del trattamento dei dati da parte dei providers. Quanto sussista un problema relativo alle norme che si occupano di privacy in Rete è però dimostrato dall’approccio totalmente differente che alla questione hanno gli Stati Uniti. Sin dalle origini di Internet e dell’e-commerce, mentre negli USA si è sempre tutelata la possibilità per le imprese di disporre delle informazioni sulla clientela - con la conseguenza che veniva negata qualsiasi possibilità di interferenza nel settore economico di leggi a tutela della privacy - l'Europa è stata sempre accusata di arroccarsi dietro l’alibi della riservatezza, avendo sempre ribadito il proprio timore sulle possibili cadute di sicurezza nel corso delle transazioni economiche. Gli USA sono con il tempo rimasti dell'opinione che anche in Internet, e in particolare nel contesto dell’e-commerce, l'approccio più indicato fosse quello dell'autodisciplina, mentre l’Unione Europea – nei consessi internazionali a ciò dedicati - premeva perché gli USA creassero un ente incaricato della tutela della privacy che potesse partecipare al dibattito internazionale in materia: ciò avrebbe rivestito grande importanza in chiave politica, fornendo ai sostenitori statunitensi della privacy un punto di riferimento nei rapporti con il Governo. Nel 2000 - nell’ambito dell’accordo detto di "Porto Sicuro" (Safe Harbor) - sono stati messi a punto da USA ed Unione Europea dei criteri congiunti per garantire alle imprese USA che svolgevano attività nell’Unione Europea di essere in regola con i più severi standard esistenti in Europa in questo settore12. Secondo una indagine condotta dalla Andersen Consulting13, nel 2001 il 75% dei siti web di imprese private non rispettava tali criteri: delle 75 imprese multinazionali esaminate, nessuna risultava rispettare tutti i 6 principi descritti, e solo 2 ne rispettavano cinque. Mentre l’80% delle imprese dava ai consumatori adeguate possibilità di scelta in tema di marketing ed il 74% affermava di utilizzare i dati raccolti solo per le finalità indicate, appena il 25% forniva un’informativa adeguata e solo il 5% prevedeva misure che dessero ai consumatori effettive possibilità di far valere i propri diritti. Ancora nell’aprile 2002, mentre nel frattempo era stata ufficialmente dichiarata (attraverso la persona del presidente della Federal Trade Commission statunitense, competente per l'applicazione dell'accordo di Safe Harbor) l’opportunità di introdurre norme federali per combattere reati come il furto di identità, è stata ribadita tuttavia la contrarietà a leggi che, sul modello della direttiva UE, contenessero disposizioni generali in materia di informativa e consenso del consumatore soprattutto se riferite ad Internet e commercio elettronico. La nuova norma che ha istituito nel novembre 2002 l'Homeland Security Department (Dipartimento per la Sicurezza Interna) - un nuovo organismo sotto il controllo del governo federale adibito alla difesa dal terrorismo - ha marcato ancora più in profondità la linea divisoria tra USA e UE in tema di privacy: la nuova legge non solo consente agli investigatori del governo di tracciare senza la preventiva autorizzazione di un giudice le e-mail e il traffico Internet di chiunque sia sospettato di attentare alla sicurezza nazionale (anche solo sulla base di una mera minaccia di probabile attacco informatico), ma anche di tracciare il traffico Internet degli utenti da parte dei providers senza la preventiva approvazione delle forze dell'ordine. Se con il Patriot Act del 2001 i provider erano autorizzati a tracciare, analizzare e rendere pubbliche le comunicazioni dei propri utenti solamente dietro richiesta motivata della polizia o di un giudice, ora possono farlo di propria iniziativa purché preventivamente

12 Tali criteri prevedono i seguenti obblighi : 1) informare i consumatori sull’utilizzazione dei dati personali raccolti; 2) utilizzare i dati solo per

le finalità indicate; 3) permettere ai consumatori di accedere ai dati che li riguardano e di correggerli, se opportuno; 4) dare ai consumatori la possibilità di opporsi alla diffusione dei propri dati per scopi di marketing; 5) conservare i dati in modo da garantirne la sicurezza; 6) fornire rimedi giuridici per i consumatori che ritengono di aver subito una violazione della privacy.

13 Informazioni tratte dall’articolo di Kathleen Murphy pubblicato sul sito www.Stateline.org il 16 agosto 2001.

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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autorizzati da mere "entità governative", nel caso sia in pericolo l'incolumità fisica di qualsiasi persona14. Il risultato di tale situazione è evidenziato da una ricerca condotta da Jupiter Media Metrix nel 2003, secondo cui il 70% dei consumatori statunitensi continuano ad essere preoccupati per la propria privacy on-line15. E’ quindi evidente che – essendo nel caso di Internet insussistente qualsiasi vincolo geografico - non è possibile ipotizzare alle attuali condizioni una autorità centrale che garantisca il rispetto delle norme e l’applicazione delle sanzioni in relazione a tutti i servizi on-line e che le iniziative di normazione abbiano quindi soprattutto una rilevanza “culturale”.

1.1.d. L’evoluz ione tecno logica per la pr ivacy

In mancanza di una regolamentazione coerente a livello planetario [112], ci pare dunque che una tale autorità possa essere quanto meno surrogata da strumenti tecnologici tarati sulle preferenze dell’utente e sotto il controllo dell’utente. Da un punto di vista tecnologico ha assunto quindi rilevanza l’acronimo PET - Privacy-enhancing Technologies - ovvero quegli strumenti tecnologici che possono rassicurare parzialmente o totalmente l’utente sull’utilizzo dei propri dati personali e di navigazione. Alcuni di questi strumenti sono mutuati dal settore della security in Rete e per questo necessitano in

14 La diatriba relativa all’equilibrio tra diritti civili ed esigenze di sicurezza e di lotta alla criminalità ha preso ulteriore vigore in Italia con il

cosidetto “decreto di Natale” (Decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354), che portava a cinque anni l'obbligo di legge per gli operatori di telecomunicazioni di conservare i dati relativi alle comunicazioni telefoniche, via SMS, via Internet e via e-mail. Nonostante dal decreto fosse esclusa la registrazione dei contenuti delle comunicazioni, con la telematica (soprattutto nel caso dei dati del traffico internet) una chiara distinzione fra contatti e contenuti sarebbe venuta meno: poiché i "contatti" riguardano il numero del chiamante, del chiamato, la data e l'ora e la zona per i telefoni mobili, ma anche altri dati come il tragitto della comunicazione, mittente e destinatario e numero dei caratteri inviati per e-mail, la loro registrazione può infatti essere usata per ricostruire gli interessi e la rete delle relazioni sociali di ogni utente. Tali informazioni possono pertanto essere finalizzate ad una profilazione dei soggetti da cui e' possibile ricavare dati sensibili, cioè opinioni politiche e religiose, stato di salute e orientamento sessuale, abitudini d'acquisto e altri comportamenti sociali e soggettivi. In questo senso il decreto-legge conteneva significative modifiche al Codice in materia di trattamento di dati personali, del quale veniva integralmente riscritto l'art. 132 (conservazione dei dati di traffico per altre finalità), a sua volta elaborato proprio per tenere conto delle modifiche avvenute nel mercato delle telecomunicazioni che ha trasformato i gestori di telefonia da soggetti pubblici a soggetti privati. Se il decreto fosse stato convertito in legge dopo i 60 giorni previsti, a ciò sarebbe potuto seguire – dati i costi di implementazione della norma – aumenti di tariffe per gli utenti e utilizzo delle informazioni così raccolte come asset strategico a fini di marketing o come beni da vendere a terze parti. Come sarà meglio evidenziato in 2.3, il decreto non è stato convertito ed è decaduto.

15 La ricerca evidenzia anche che solo il 40% legge l'informativa sulla privacy prima di fornire i dati e che solo il 30% dei consumatori trova queste informative semplici da capire. L'82% dei consumatori è più disposta a fornire dati personali alle aziende sui siti web in cambio di benefici o sconti, il 60% fornisce senza troppe resistenze l'indirizzo e-mail, il 49% il proprio nome completo, il 19% il proprio numero di telefono, il 18% informazioni sulla propria famiglia.

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1.1 La rilevanza del possesso dei dati personali nell’attuale sistema di mercato

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ogni caso di integrarsi con funzionalità che ne modulino il comportamento sulla base delle normative locali e delle preferenze dell’utente16. Tra i PETs, assume particolare rilevanza il protocollo P3P, piattaforma creata nell’ambito del Privacy Preferences Project del W3C: esso costituisce infatti un esempio ideale ai fini del nostro ragionamento. La piattaforma consiste in un formato standard attraverso il quale i siti web possano esprimere le loro politiche di privacy in tal modo rilevabili automaticamente e interpretabili facilmente dal P3P agent istallato nel PC dell’utente. Questo dovrebbe permettere all’utente non solo di essere informato delle politiche del sito (che sarebbero tradotte anche in Natural Language), ma anche di automatizzare il proprio processo decisionale: il P3P agent infatti potrà basarsi sulle preferenze dell’utente per decidere autonomamente se e quali dati cedere al sito - in relazione all’appropriatezza delle sue pratiche - senza che sia l’utente stesso a prendere visione delle politiche di privacy di ogni sito che visiti. D’altra parte, le stesse specifiche 1.0, rese pubbliche dal W3C il 16 aprile 2002 attraverso un’apposita Raccomandazione, puntualizzano che, nonostante il P3P fornisca un meccanismo tecnico per assicurare agli utenti di essere informati sulle politiche di privacy di un provider prima che forniscano le loro informazioni personali, ciò non garantisce che i medesimi providers si comportino effettivamente secondo ciò che dichiarano. Si afferma quindi che il P3P è complementare alla legge e ai piani di self-regulation che a loro volta dovrebbero prevedere meccanismi di rinforzo. Inoltre, il P3P non include meccanismi per trasferire i dati o per rendere sicuri i dati in transito o immagazzinati nel PC dell’utente: per questo esso potrebbe essere installato all’interno di dispositivi appositamente progettati per facilitare il trasferimento dei dati, a loro volta dotati di appropriate misure di sicurezza. Nonostante la piattaforma P3P sia prodotto di un gruppo di lavoro della massima autorità del web, esso trova grosse difficoltà di implementazione: il problema principale è che attualmente i providers i cui servers supportano il P3P sono ancora molto limitati perché la porzione di domanda dotata dello specifico software è pressoché inesistente. E’ un circolo vizioso dal quale difficilmente sarà possibile uscire, a meno di una presa di coscienza della classe politica dirigente che si traduca non solo nel riconoscimento giuridico della privacy come un diritto della personalità, ma soprattutto in politiche “attive” in grado di stimolare – se non imporre 16 Proponiamo di seguito un tentativo di classificazione dei PETs da una nostra rielaborazione da [165]:

TIPOLOGIE STRUMENTI NOTE

Applicazioni client-side

Blockers Sono funzionalità applicative spesso supportate dai browsers stessi Web o di posta elettronica che permettono di essere pre-impostati in modo da impedire l’accesso al PC di messaggi pubblicitari o cookies.

Encryption software Sono applicazioni installate nel PC che codificano/decodificano qualsiasi tipo di output informativo tramite il sistema delle chiavi pubbliche e private interagendo o con periferiche esterne (lettore di smart card, sensori biometrici) o con fornitori certificati di chiavi in Rete.

Tecnologie web-based

Anonymizers

Si tratta di un intermediario posto tra client e Rete in grado di evitare l’identificazione dell’indirizzo IP dell’utente da parte del sito web: questo strumento può aprire problematiche relative alla deresponsabilizzazione dell’utente in relazione alle conseguenze delle sue azioni in Rete, che sono comunque registrabili nei log files del server del sito.

Applicazioni P3P-supporting

Il P3P è uno standard del W3C che permette al browser del client e al server di negoziare prima di concludere una richiesta di invio di dati; con l’aiuto di appositi software, l’utente e il provider dovrebbero predefinire rispettivamente le proprie preferenze e la propria politica relative alla privacy: la traduzione delle proprie preferenze nell’XML schema del P3P e la fase della negoziazione sono automatiche e quindi trasparenti all’utente..

Tecnologie Network-

based

Privacy Networks

Si basano sulla tecnologia dei proxy server, che provvedono all’assegnazione di pseudonimi o identità alternative in veste delle quali l’utente naviga: presso il proxy egli immagazzina cookies, colloca la propria home page, definisce il proprio punto di accesso alla Rete; un utilizzo sapiente di questo sistema, inclusa la costruzione di un Profilo fittizio, permette di ottenere servizi personalizzati senza immagazzinare alcun dato nel proprio PC né rivelare la propria vera identità.

Firewalls

Trattandosi di una tecnologia prettamente finalizzata alla security, la sua efficacia in termini di privacy è limitata: infatti, pur essendo in grado di nascondere l’indirizzo IP dell’utente, non si pone come intermediario tra questi e il provider e pertanto permette la comunicazione unilaterale e diretta dal provider all’utente all’interno di una medesima sessione.

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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dall’alto – la diffusione e l’adozione degli strumenti tecnologici riconosciuti come adeguati anche a garantire la fruizione di tale diritto.

1.2 L’Intermediario di Trust: il nuovo ruolo del soggetto pubblico nell’evoluzione della Rete

Come abbiamo visto, il concetto di profilazione dell’utente è tipico del marketing: la costruzione dei profili dei consumatori è infatti propedeutica alla personalizzazione dei servizi e dei prodotti. D’altra parte non possiamo non sottolineare le potenzialità che il possesso e la gestione diretta da parte dell’utente finale del proprio Profilo nelle relazioni e nelle interazioni in Rete possono attivare nel miglioramento della qualità della vita complessiva, considerando anche che l’interazione mediata è probabilmente destinata a complementare e - a volte - a sostituire quella reale. Ipotizzare la strutturazione di una risorsa informativa come il Profilo di Utente significa porre in campo un’ampia serie di problematiche legate alla sua costruzione e gestione: stiamo tentando di dimostrare che certe questioni non possono essere risolte demandandole a tipologie di strumenti attualmente esistenti nel mercato e che l’architettura di Rete, così come attualmente si presenta, è inadeguata a soddisfare tutti i pre-requisiti tecnici necessari ad agevolare l’esplicazione delle esigenze soggettive dell’individuo (prime fra tutte la privacy). Un primo problema è individuare il soggetto adeguato a gestire in luogo e per l’utente la sua identità in Rete. Nella situazione attuale, ove – come si è visto - permane una condizione di forte asimmetria negoziale tra providers di servizi e utenti, si è sviluppata una nuova categoria di soggetti della Rete, gli “infomediari” o brokers, i quali – valorizzando in termini di margini di profitto il vuoto di fiducia esistente - si posizionano nel mercato offrendosi al consumatore quali “garanti”, in virtù di servizi di gestione dei dati personali. Un caso esemplare è quello del prodotto Microsoft .Net, basato su applicazioni orientate all’utente (si parla di user centric experience) fondate sul concetto di identità e sulla gestione e condivisione di informazioni contenute nel Profilo – chiamato Passport - tra applicazioni, siti Web e servizi. Passport è un sistema di autenticazione on-line che permette all’utente di accedere mediante un unico nome e una password ai siti (o ai singoli servizi) registrati e consente ai providers di usufruire di un servizio di autenticazione a pagamento, evitando di dover implementare e gestire un proprio sistema. Il successo di questo servizio dipende in effetti dal numero di utenti e siti che appoggiano l’iniziativa, ma il fatto che il 90% degli utenti Internet usi come sistema operativo Windows e che Passport sia il sistema di autenticazione esclusivo supportato da questo, rende l’offerta molto appetibile per i service providers e, più in generale, per le società interessate agli scambi on-line, in quanto è già garantito un bacino di utenza molto ampio. A questo riguardo il problema non è solo la sicurezza dei dati, immagazzinati in un database centrale che può diventare l’obiettivo preferito di attacchi da parte di hackers, ma anche la loro privacy: l’utente può controllare la condivisione dei dati personali contenuti nel Profilo Passport con i siti visitati, ma il suo potere di negoziazione nei confronti di Microsoft è decisamente limitato, dato che, secondo l’informativa, questa si riserva il diritto di elaborare i dati relativi all’utente per statistiche e indagini di mercato [104]. Come si è visto in 1.1, il tasso di fiducia degli utenti nel sistema è una variabile che incide molto sulla possibilità di esplicazione delle potenzialità del sistema stesso, sia dal punto di vista dei vantaggi per coloro che hanno trovato nella Rete uno spazio di mercato, che per gli utenti finali, che nella Rete possono trovare spazi diversificati di esplicazione della propria soggettività (come singoli e soggetti

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1.2 L’Intermediario di Trust: il nuovo ruolo del soggetto pubblico nell’evoluzione della Rete

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sociali). Il soggetto della Rete che voglia offrirsi quale “garante” nelle interazioni, transazioni e relazioni in Rete deve pertanto prima di tutto essere un intermediario di fiducia, che in questa sede chiameremo - a nostro avviso più efficacemente - Intermediario di Trust.

1.2.a. I pre- requis i t i de l l ’ In termediar io d i Trus t

Tentiamo in questa sede di operazionalizzare il significato complesso della variabile fiducia, per giungere ad una enunciazione dei pre-requisiti ai quali un qualsiasi soggetto debba rispondere nel momento in cui si candida a svolgere la funzione di gestore del Profilo dell’utente finale, ovvero – non dimentichiamo – di gestore della sua identità in Rete. I nuovi “infomediari” della Rete si muovono anch’essi nel mercato con le medesime finalità commerciali di coloro con i quali intrattengono transazioni (di dati) in luogo e per il consumatore finale: ciò significa che la tutela di quest’ultimo è ancora finalizzata agli interessi propri di tale “garante”, sia in termini di libertà di scelta dell’offerta che in termini di libertà di disposizione della propria identità. L’indipendenza effettiva dell’“infomediario” dai providers è quindi un primo pre-requisito indispensabile al perseguimento della tutela dell’utente finale. Perseguire in primo luogo gli interessi degli utenti tutelati (e quindi non focalizzarsi sui margini di profitto) significa infatti essere liberi di attuare politiche che: pongano al centro la questione della scelta dell’utente - sulla base delle sue preferenze - in merito

alla cessione dei suoi dati personali; trattino seriamente – investendovi risorse - le questioni dell’usabilità e della praticabilità della

gestione diretta (e consapevole) dei propri dati da parte dell’utente stesso. A livello ideale, potrebbero avere tale caratteristica un soggetto pubblico o un soggetto privato no-profit (che persegue finalità di interesse collettivo o diffuso); ma vi sono numerose configurazioni organizzative e giuridiche che potrebbero garantire il pre-requisito dell’indipendenza: ad esempio un soggetto imprenditoriale sotto controllo pubblico (con forme di partecipazione societaria: società pubbliche o società miste pubblico-privato oppure società private operanti su concessione pubblica); tale soggetto potrebbe inoltre avere forma consorziata, per garantire il reciproco controllo da parte dei diversi membri17. Un secondo pre-requisito è la riconoscibilità: per innescare meccanismi di fiducia è alquanto utile che il soggetto che si candida a svolgere un ruolo così rilevante goda di visibilità. Ciò significa avere già una posizione dominante sul mercato. Il caso .Net è emblematico: su questa forza si basa essenzialmente la sua potenzialità di successo che, semmai, è inficiata da altre carenze. Soprattutto, come si è visto – tralasciando i sospetti di non indipendenza dai providers – la carenza di Microsoft è quella dell’affidabilità: l’identità dell’utente, la sua stessa presenza nella società, non può che essere affidata alla gestione di un soggetto che – per tecnologia e organizzazione – ne garantisca la sicurezza, l’integrità, la privacy, la coerenza. L’affidabilità è quindi il terzo pre-requisito che compone la variabile fiducia. Usabilità, praticabilità della gestione diretta, sicurezza, privacy. Sono tutte condizioni che l’Intermediario di Trust deve poter garantire attraverso l’investimento di risorse e a scapito di margini di utile. Ciò significa che il peso del pre-requisito indipendenza è molto elevato: indipendenza dai meccanismi attuali del mercato, e soprattutto dalle regole di ingresso nel mercato attualmente dominanti, che esulano dalla logica di lungo periodo in questo caso necessaria.

17 Su questa particolare questione una proposta concreta è stata recentemente avanzata dal Gruppo di Ricerca “B.E.S.T. beyond Internet”

del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni dell’Università di Firenze [88].

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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Figura 1.2.1 I pre-requisiti dell’Intermediario di Trust.

La consistenza dei tre pre-requisiti, e soprattutto di indipendenza e affidabilità, in capo ad un medesimo soggetto intenzionato a svolgere il ruolo di profile manager innescherebbe il processo virtuoso di una sua legittimazione sostanziale a rivestire il ruolo di Intermediario di Trust.

1.2.b. Prove d i In termed iar io : XNS, IDsec e B .E.S.T .

Vi sono alcune importanti iniziative che mirano a innescare tale processo: in questa sede abbiamo scelto di presentare le soluzioni elaborate e promosse da IEFT18, da XNS.org19 e dal gruppo di ricerca B.E.S.T. beyond Internet20. Esse differiscono in relazione all’approccio metodologico al problema, alle scelte architetturali e alle problematiche focalizzate. “IDsec” di IEFT prefigura l’inserimento nel mercato del Web di nuovi service providers ai quali vengano demandati l’immagazzinamento e la gestione dei dati personali, in grado di garantire al contempo la possibilità da parte dell’utente di gestire direttamente - aggiornandolo e modificandolo – il proprio Profilo attraverso flussi comunicativi che garantiscano sicurezza e privacy. “XNS”, sviluppando il concetto di Web come integrazione di documenti [4] e di Web Service come interoperabilità delle applicazioni, giunge ai concetti di “Web Identity” come integrazione delle enterprises directories per lo storage di dati personali afferenti al medesimo individuo fisico (ID) e di “Web Identity Services” come servizi di base in grado di garantire l’interoperabilità dei databases. XNS prende quindi in considerazione – come elementi del Profilo – dati attualmente immagazzinati presso i vari soggetti organizzativi operanti in Rete, mentre IDsec prevede la strutturazione del Profilo sulla base delle tipologie di dati personali attualmente indispensabili per l’erogazione dei servizi in Rete. Ciò significa che: XNS utilizza un metodo induttivo per la costruzione del Profilo (il Profilo prende in considerazioni

quelle proprietà dell’utente la cui base informativa è già in possesso dei soggetti operanti in Rete: esso viene chiamato Web Identity) e per fare ciò non può che abbracciare l’idea della federazione di agenti in quanto varietà dei detentori di profili parziali, in cui la sicurezza del processo di integrazione dei database è garantita dall’architettura proposta;

18 Internet Engineering Task Force: si tratta di un’organizzazione formalmente costituita nel 1986 dallo IAB (Internet Architecture Board)

finalizzata allo sviluppo e all’implementazione dell’architettura di Internet. 19 XNS Public Trust Organization si definisce testualmente una indipendent non profit corporation: è la comunità di coloro che implementano

e promuovono l’adozione degli standards XNS. 20 Il programma di ricerca B.E.S.T. (Bridging Society and Technology) beyond Internet afferisce al Dottorato interuniversitario in “Telematica e

Società dell’Informazione”, facente capo al Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni dell’Università di Firenze. In questa sede sono resi noti – peraltro senza alcuna pretesa di approfondimento - solo gli aspetti strettamente necessari ai precipui scopi che si prefigge il presente elaborato. Per acquisire una visione più ampia e approfondita di questo complesso programma si veda [86].

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1.2 L’Intermediario di Trust: il nuovo ruolo del soggetto pubblico nell’evoluzione della Rete

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IDsec utilizza un metodo deduttivo (il Profilo prende in considerazione quelle proprietà dell’utente che si postulano come necessarie per rispondere a determinati scopi di interazione – che poi sono essenzialmente quelli commerciali: esso viene chiamato Profile) ed affida la gestione del Profilo così costruito ad un unico gestore, anche per garantire un rapporto fiduciario esclusivo tra questo e l’utente.

La discriminante tra l’approccio B.E.S.T. e le due esperienze descritte è in relazione alle tipologie di dati reputate necessarie alla costituzione del Profilo dell’utente: per quale scopo l’utente dovrebbe mettere in gioco la propria identità in Rete? Il presupposto di B.E.S.T. è che l’utente avrà sempre più necessità di proiettare la propria identità in Rete per numerosissime attività non esclusivamente legate agli aspetti commerciali e alle transazioni economiche: e in tutte queste attività egli necessiterà di garanzie per ottimizzare l’utilizzo della Rete.

OBIETTIVI INSIEME DEI DATI PERSONALI GESTORE DEI DATI PERSONALI FOCUS

IEFT IDsec

Univocità e non ridondanza dei dati personali S-S-O nei rapporti con i providers di servizio Segretezza a terzi dei contenuti delle transazioni

DENOMINAZIONE Profile DEFINIZIONE Insieme di attributi attraverso cui viene descritto l’utente che agisce in Rete (dati anagrafici, riferimenti economici, risorse applicative).

NOME Profile Manager NATURA Service provider legato ad uno o più user tramite SLA

Rapporti reciproci tra Profile Owner, Profile Manager e Profile Requester Meccanismi di sicurezza (HTTPS) e certificati di firma Gestione diretta del Profilo da parte dell’utente Strutturazione del DTD del Profilo Compatibilità con l’architettura di Rete attuale

XNS XNS eXtensible Name Service

Sincronizzazione dei DB dei vari soggetti organizzativi possessori di dati personali S-S-O nei rapporti con i providers Tutela della privacy negli scambi tra i detentori dei dati

DENOMINAZIONE Web Identity DEFINIZIONE Identità logica derivante dall’insieme delle identità proprietarie di ciascun dominio amministrativo riferite ad un unico soggetto fisico.

NOME Web Identity Agent NATURA Soggetti organizzativi di varia natura giuridica attualmente in possesso di dati relativi al medesimo utente

Relazioni tra i vari Agenti detentori di profili parziali (federazione di agenti) Servizi di base forniti dalla XNS.org a tutta la comunità XNS-based (autenticazione, indirizzamento, …) Compatibilità con l’architettura di Rete attuale Sviluppo del concetto di Web Service in quanto Web Identity Service

B.E.S.T. Subjective Profile

Completezza dei dati personali (a identificare l’intera soggettività dell’individuo) Soggetto gestore dei dati personali come tutore dell’utente a garanzia dell’usabilità della Rete

DENOMINAZIONE Subjective Profile DEFINIZIONE Insieme delle caratteristiche anagrafiche, socio-economiche e psicologiche stabili e contingenti, rapportate ai contesti sociali, economici e culturali della vita reale e al contesto socio-tecnico delle attività in Rete.

NOME Agente Tutore NATURA Applicazione complessa situata in Rete con rapporto esclusivo con l’utente

Modalità di rilevazione attiva e automatica delle proprietà della soggettività dell’utente da parte del gestore del Profilo Comunicazione in linguaggio naturale tra utente e gestore del Profilo Matching tra le risorse di rete e il Profilo dell’utente basato sull’elaborazione di uno Spazio di Conoscenza Condivisa in Rete alimentata da una comunità Indicazioni per un’architettura di Rete diversa dall’attuale che supporti funzionalità di base attualmente a livello applicativo (sicurezza, privacy, information retrieving,…)

Tabella 1.2.1 Tre proposte avanzate per la gestione in Rete dei dati personali.

Si prospetta pertanto un concetto più ampio di quello di Profile o di Web Identity e si introduce il nuovo concetto di Profilo Soggettivo: esso è un unicum che ricompone in Rete la soggettività dell’utente finale affinché possa esplicarsi in tutte le relazioni e interazioni di Rete ed è costituito dall’insieme delle proprietà psicologiche, culturali, sociali e fisiche – sia strutturali (o di background) che contingenti (o di foreground) – che lo caratterizzano in un dato momento e in un dato luogo, rappresentate funzionalmente in formato digitale [106]. Del Profilo Soggettivo si possono quindi distinguere due parti. Una parte costituita da quelle caratteristiche dell’utente che rientrano nella categoria dei cosiddetti “fatti giuridici”, ovvero di quegli

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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“eventi della realtà sociale rilevanti per la norma giuridica e che quindi producono effetti giuridici”21 [13]: ciascun individuo, infatti, in quanto parte di un tessuto sociale strutturato e normato, esiste in quanto “riconoscibile” dai soggetti organizzativi che incarnano le fondamenta ordinamentali del vivere comune. In questa categoria ritroviamo tutte le proprietà cui fanno riferimento anche IDsec e XN S: si tratta sempre di dati strutturali, definibili con valori discreti riconoscibili da tutti perché giuridicamente categorizzabili. Un’altra parte di Profilo Soggettivo è quella costituita dai dati non definibili “strutturali”. Il presupposto di base di B.E.S.T. è – come si è visto - che sia necessario prendere in considerazione la globalità della soggettività della persona, inclusi i condizionamenti di tipo sociale, economico, familiare, culturale, politico che possono derivare dal contesto nel quale l’individuo ha sviluppato la propria personalità e ha tratto origine alla propria storia di vita, nonché dai contesti entro i quali si trova ad agire in circostanze variabili. Le caratteristiche del Profilo innate o che derivano da tali condizionamenti non sono categorizzabili a priori, sebbene vi siano numerosi tentativi – nell’ambito delle scienze sociali - di giungere ad una nomenclatura degli aspetti sociali, psicologici, antropologici ed etnologici della personalità umana. Da quanto detto, emergono due aspetti fondamentali dell’approccio di B.E.S.T.. Il metodo induttivo usato da XNS è il più economico per la costruzione di quegli aspetti del Profilo Soggettivo costituiti da “fatti giuridici”. Come detto, vi sono soggetti giuridicamente chiamati a gestire e certificare tali dati: si tratta delle Pubbliche Amministrazioni e di tutte quelle organizzazioni che rivestono specifiche funzioni di interesse pubblico (tipo banche, assicurazioni, enti previdenziali, fornitori di public utilities). Tali soggetti detengono legittimamente i dati di ciascun individuo e non è pensabile togliere loro tale potestà: l’idea pertanto è quella di evitare di duplicare tali dati per affidarli anche alla gestione di soggetti diversi, ma – caso mai – di definire un’architettura che ne consenta la completa integrazione. Il metodo induttivo appare però l’unico utilizzabile nel caso di quegli aspetti del Profilo che abbiamo momentaneamente definito “non strutturali”: nessun soggetto della Rete al momento ne possiede o ne gestisce una parte, proprio perché sino ad oggi non è mai stata presa in considerazione la potenzialità di una tale risorsa. Lo sforzo dovrebbe pertanto essere quello di individuare a priori un insieme di variabili attraverso le quali definire tali caratteristiche dell’identità dell’utente e affidare la gestione di questa parte del Profilo ad un soggetto di Rete a diretto contatto con l’utente stesso. D’altra parte tale sforzo di categorizzazione non potrà che essere incompleto: è impossibile pre-definire a priori la struttura di questa parte di Profilo (come detto anche sopra), e sarà quindi necessario utilizzare i più disparati frames di riferimento che consentano la sua strutturazione-destrutturazione continua (non solo dei valori afferenti alle diverse variabili, ma anche delle variabili stesse individuate come rilevanti per il Profilo). La complessità di tale concatenazione di processi è tale da dover essere gestita da un agente intelligente (Agente Tutore) in grado di interagire senza mediazione alcuna (né fisica né cognitiva) con l’utente stesso (quindi, in Linguaggio Naturale) e contestualmente di analizzarne il comportamento in Rete per rilevarne continuità tali da incrementare la sua conoscenza dell’utente, anche alla luce di interpretazioni basate sul suo background sociale e culturale [71].

21 L’apertura di un conto corrente presso un Istituto di Credito ad esempio, e quindi l’acquisizione della titolarità di quel conto, è un fatto

giuridico, perché consiste in una transazione tra il titolare e l’Istituto di Credito ed in quanto tale è regolato da specifiche norme giuridiche facenti parte dell’Ordinamento; l’utilizzo di quel conto corrente per transazioni commerciali virtuali, poi, dà seguito ad ulteriori eventi giuridicamente rilevanti, che la norma non può non prendere in considerazione. In questo senso anche il fatto di essere residente presso un determinato Comune è giuridicamente rilevante, in relazione a numerose norme dell’Ordinamento (per l’esercizio del diritto di voto, per gli obblighi fiscali, …), così come è rilevante il titolo di studio (per l’accesso a concorsi pubblici e privati, a corsi di studio più avanzati,…). Il fatto che io sia insana di mente non è giuridicamente rilevante fintanto che un’Autorità, alla quale l’Ordinamento attribuisca specifica competenza, non lo riconosca ad esempio certificandolo e quindi producendo un effetto giuridico: non ha alcuna rilevanza per l’Ordinamento – e quindi non può avere alcun effetto giuridico – il fatto che i miei vicini mi ritengano insana di mente o che lo dicano agli altri o che io stessa mi ritenga instabile mentalmente.

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1.2 L’Intermediario di Trust: il nuovo ruolo del soggetto pubblico nell’evoluzione della Rete

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La tesi che B.E.S.T. sostiene è dunque la seguente: che per garantire un rapporto fiduciario esclusivo tra individuo e gestore dei dati personali è

opportuna l’unicità del gestore che interfaccia l’individuo stesso (come in IDsec), ma che – contestualmente – è necessaria la federazione di più soggetti di Rete quando si tratti di dati personali indispensabili a individuare e caratterizzare giuridicamente l’individuo;

che pertanto si attribuisce: 1) ai soggetti organizzativi giuridicamente deputati la competenza di gestire i dati “strutturabili” dell’individuo e 2) alla capacità elaborativa dell’Agente Tutore sia il compito di rilevare e gestire le proprietà del Profilo Soggettivo non definibili a priori e quindi non strutturabili sia quello di interfacciare i suddetti soggetti e di integrare quindi i due aspetti del Profilo Soggettivo.

Figura 1.2.2 I soggetti della Rete secondo il programma B.E.S.T. beyond Internet.

1.2.c. I l sogge tto pubb l ico come Intermediar io d i Trus t?

In questa sede dobbiamo limitare la nostra riflessione alla parte di Profilo Soggettivo costituita dai soli dati strutturati, che – come tenteremo di dimostrare in 1.3 – è definibile, mentre la parte dei dati non strutturati costituisce una linea di ricerca sperimentale molto più complessa. In questo caso, è possibile ipotizzare un rapporto diretto tra utente finale e federazione di enti gestori (di dati strutturali giuridicamente rilevanti), che in questo caso fungerebbe da intermediario tra questo e i providers di servizio nelle interazioni in Rete che richiedano la cessione di dati personali.

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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Figura 1.2.3 Una federazione di agenti gestori come Intermediario di trust.

Apparentemente si tratta di una ipotesi molto simile a quella di XNS. Andando oltre nell’analisi, si rileva inoltre che i soggetti competenti ad accertare “fatti giuridici” sono sempre Pubbliche Amministrazioni. Poniamo quindi che i soggetti federati siano principalmente Pubbliche Amministrazioni o sotto il controllo del soggetto pubblico: a questo punto si pone la questione della legittimazione del soggetto pubblico a svolgere il ruolo di Intermediario di Trust nelle relazioni in Rete. Secondo quanto abbiamo detto precedentemente, esso dovrebbe infatti rispondere ai tre pre-requisiti dell’affidabilità, della riconoscibilità e dell’indipendenza. Per quanto attiene l’indipendenza, pare evidente che il soggetto pubblico fornisca la massima garanzia possibile, essendo istituzionalmente chiamato alla tutela dell’interesse generale: in questo senso esso gode di una sorta di legittimazione formale. I pre-requisiti della riconoscibilità e dell’affidabilità, d’altra parte, sono strettamente legati ad una forma di legittimazione sostanziale, ovvero a ciò che deriva dai comportamenti e dalle azioni intraprese. La Pubblica Amministrazione ha subìto negli ultimi anni – in seguito agli avvenimenti politico-giudiziari dei primi anni ‘90 ed all’esplosione della questione del debito pubblico - un processo di delegittimazione a favore dell’affermazione di un nuovo “paradigma imprenditoriale” [9]. Oggi, agendo sulle potenzialità di affidabilità e riconoscibilità in quanto soggetto della Rete, essa potrebbe riacquistare la legittimazione perduta ritornando a svolgere il ruolo di garante dei diritti del cittadino, dando peraltro notevole spinta al processo di innovazione organizzativa avviata sin dai primi anni ’9022. Sino ad oggi evoluzione normativa della P.A. ed evoluzione delle nuove tecnologie nella P.A. si sono invece mosse a due diversi livelli. Negli anni ‘80 l’adeguamento tecnologico del soggetto pubblico è consistito nell’utilizzo dei sistemi informativi interni ai singoli processi; in seconda battuta alcune PP.AA. più avanzate si sono dotate di sistemi informativi integrati per migliorare l’efficienza dei

22 Si ricorda che a partire dal 1990 si è inaugurata una lunga stagione di produzione normativa che ha accompagnato l’innovazione

organizzativa della Pubblica Amministrazione: nel 1990 sono state emanate la L.142/90 sull’ordinamento degli EE.LL. e la L.241/90 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”; l’ordinamento contabile degli EE.LL. è del 1992 e del 1993 sono sia il D.Lgs. 29/93 in materia di “Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni Pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego” che il D.Lgs.39/93 istituente l’AIPA. Ad essi sono seguiti la legge delega 59/97, il D.Lgs.127/97 e il D.Lgs.115 (Bassanini 1, bis e ter); infine il T.U. degli EE.LL. (2000), il T.U. sulla documentazione amministrativa (2001) e il già citato T.U. sul trattamento dei dati personali (2003).

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1.2 L’Intermediario di Trust: il nuovo ruolo del soggetto pubblico nell’evoluzione della Rete

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processi (sistemi ERP), ma ancora nel 1999 una ricerca di Gartner Group rilevava come solo il 7% delle PP.AA. avesse investito su questo percorso. L’introduzione di Internet nella prima metà degli anni ‘90 ha visto la corsa delle PP.AA. alla costruzione dei primi siti web, più per isomorfismo organizzativo [50] rispetto alle imprese private che per reale convincimento [170] della loro utilità. Anche per le spinte dell’Unione Europea e quindi della propulsione normativa a livello nazionale ha poi avuto origine una successiva macro-fase - che è quella che stiamo adesso vivendo - che trova la sua massima compiutezza in ciò che potremmo definire “telematizzazione” della P.A., secondo la quale più che su Internet in quanto tale si punta sull’integrazione tra Internet e sistemi informativi: è in questa fase che il soggetto pubblico può divenire un’organizzazione aperta, in quanto la strumentazione tecnologica disponibile permette l’accesso ai cittadini dall’esterno.

Figura 1.2.4 Le fasi di evoluzione dell’informatizzazione della P.A.

Da questa fase può quindi derivare l’acquisizione dei due pre-requisiti mancanti: riconoscibilità e affidabilità. Laddove svilupperà in Rete quegli stessi servizi che per propria vocazione istituzionale è tenuta ad erogare in forme tradizionali, la sua posizione nel mercato della Rete sarà necessariamente dominante, perché riguarderà tutti gli utenti della Rete in quanto cittadini. Laddove, nell’erogare tali servizi in Rete, sarà in grado di garantire sicurezza e privacy degli scambi e delle transazioni, nonché accessibilità, usabilità e personalizzazione, essa acquisirà anche quel pre-requisito dell’affidabilità che i soggetti operanti nel mercato spesso non hanno interesse (per non investire ulteriori risorse sulla sicurezza) o possibilità (perché di fatto hanno difficoltà ad acquisire i dati personali dell’utente) di perseguire. L’indipendenza del soggetto pubblico dai meccanismi del mercato (il primo pre-requisito) ed il fatto di essere già gestore dei dati personali di tutti gli utenti (potenziali ed effettivi) della Rete lo rendono quindi un soggetto privilegiato a candidarsi a rivestire il ruolo di Intermediario di Trust. La fase che abbiamo definito di “telematizzazione” della P.A., d’altra parte, non può poggiare su un processo di informatizzazione interna incompiuto: applicare Internet alle PP.AA. prima della riorganizzazione dei processi interni inficia la potenziale efficacia dello stesso strumento tecnologico. Affinché la P.A. possa invece incidere efficacemente sull’evoluzione della Rete è necessario che appronti al suo interno le pre-condizioni che ne agevolino un’adeguata trasformazione in termini culturali, organizzativi e tecnologici, avviandola all’acquisizione di una identità di organizzazione aperta e pro-attiva e dotandola di strumenti in grado di gestire efficacemente l’enorme patrimonio di conoscenza che detiene per sua natura; perdendo la sfida di questo momento, l’inadeguatezza organizzativa già riscontrata rispetto all’aumento della complessità sociale ed economica (che ha già

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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causato il passaggio dalla sfera pubblica a quella privata di molte attività di interesse pubblico), coniugata alle dure condizioni imposte dall’era dell’ICT rischia di far accelerare lo scollamento tra P.A. e cittadini e di causare il definitivo tracollo di legittimazione del soggetto pubblico. Le politiche pubbliche odierne – che siano di settore o di innovazione istituzionale - dovrebbero quindi puntare sul pieno sfruttamento della miscela positiva offerta dal connubio tra le potenzialità strumentali insite nell’Information Technology e la legittimazione istituzionale di cui il soggetto pubblico gode. Questo può e deve fare uso dell’ICT:

per rendere più efficienti i propri processi interni e più efficace l’intervento pubblico nei settori dell’economia, della sanità, della formazione, dell’assistenza sociale, della cultura: l’automazione dei processi e l’abbattimento dei vincoli spazio-temporali sono forieri di efficienza organizzativa e semplificazione amministrativa, che possono condurre a loro volta a trasparenza amministrativa e personalizzazione dei servizi e delle informazioni;

per inserirsi nel processo di sviluppo della Rete al fine di condizionarne l’evoluzione, sperimentando, promuovendo e trasferendo soluzioni tecnologiche e operative adeguate a tutelare l’utente finale, non solo in quanto cittadino ed utente, ma anche in quanto consumatore, acquirente, membro di diversificate comunità sociali.

Sussistendo tutte le precedenti condizioni, il soggetto pubblico potrà porsi nella Rete non solo in quanto provider di servizi, ma anche in quanto autorità garante della qualità dei servizi in Rete per tutte le transazioni che il cittadino andrà ad esplicare in Rete relazionandosi con providers di servizi privati. Il processo andrebbe nella direzione propria dell’evoluzione attuale del ruolo del soggetto pubblico che da soggetto di “amministrazione” (la valutazione della cui azione era basata sulla legittimità) si è evoluto in soggetto di “prestazione” (con valutazione di efficacia) [65] e deve quindi sempre più trasformarsi in soggetto di “regolazione” (con valutazione sulla capacità di tutela) [63]. Nella seguente figura riassumiamo brevemente il processo di ri-legittimazione del soggetto pubblico, fondato sull’evoluzione del sistema di welfare da base di garanzia per diritti universalistici a insieme – entro un quadro di princìpi fondanti e condivisi - di strumenti per la risposta a bisogni specifici e differenziati. Tale evoluzione va di pari passo con l’evoluzione del sistema di mercato da product a customer-oriented. L’evoluzione dei due sistemi è strettamente legata perché basata essenzialmente sulla capacità di acquisizione di conoscenza del rispettivo campo di azione: e se è vero che cittadini e clienti sono parte del medesimo universo e che la fiducia è la variabile in grado di attivare i necessari meccanismi di espressione e reciproca lettura dei bisogni e dei desideri è evidente che l’efficacia (perseguimento di legittimazione e perseguimento di competitività) dei due sistemi è reciprocamente condizionata.

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1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici

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Figura 1.2.5 L’evoluzione del ruolo del soggetto pubblico.

Lo scopo del prossimo paragrafo sarà quello di individuare quali siano effettivamente i soggetti facenti parte della federazione di gestori dei dati personali strutturati e quali siano effettivamente tali dati.

1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici

Per circoscrivere il campo di analisi, abbiamo scelto di limitare le nostre riflessioni alla sola parte del Profilo Soggettivo costituita da quelli che abbiamo chiamato “fatti giuridici”, ovvero agli “accadimenti o stati di fatto tanto del mondo della natura che del mondo degli uomini che ricevono apposite qualificazioni normative a fini determinati” [21]. La questione che stiamo tentando di introdurre con tali argomenti potrebbe apparire estranea rispetto ai confini entro i quali sino ad adesso abbiamo contenuto la trattazione, ma riveste un’importanza centrale per capire da quali dati sia effettivamente costituita la parte di Profilo che ci interessa, da chi di fatto siano essi attualmente gestiti e, soprattutto, in quale modo: solo attraverso il percorso analitico che ci accingiamo a descrivere sarà possibile a nostro avviso giungere ad una soluzione di gestione del Profilo veramente funzionale alle esigenze del titolare, ovvero dell’utente finale. In uno stato di diritto, per perseguire i propri scopi istituzionali, il soggetto pubblico esplica un insieme di attività il cui coordinamento dà luogo ad una specifica “funzione”: la funzione attraverso la quale “lo Stato svolge una attività effettiva e concreta diretta al soddisfacimento dei suoi fini immediati [29]” è la funzione amministrativa. Quando si parla di fini immediati del soggetto pubblico si intendono le attività che rispondono ad azioni con dirette ricadute su individui o categorie di individui, ovvero su intere fasce della popolazione: tali azioni danno luogo a ciò che di fatto il senso comune definisce “servizi pubblici”.

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In questo contesto, la nozione di fatto giuridico è essenziale per giustificare quanto abbiamo affermato in 1.2, cioè: 1 che non è pensabile togliere al soggetto pubblico la gestione dei dati individuali che possiede 2 che è opportuno evitare di duplicare tali dati per affidarli alla gestione di soggetti terzi 3 che è quindi necessario puntare sulla legittimazione del soggetto pubblico come Intermediario di

Trust La prima proposizione è fondata sul fatto che il soggetto pubblico detiene tali dati in funzione dell’applicazione del principio di legalità: storicamente si pensò che uno dei modi per disciplinare l’azione dell’amministrazione pubblica consistesse nel precisare quanto più possibile le evenienze (ovvero i presupposti, i requisiti, le circostanze) in presenza delle quali fosse permessa o vietata - da parte del soggetto pubblico - la tale o tal’altra azione e attraverso quale modalità [21]. Le evenienze sono ciò che si è detto fatti giuridici. Tradotto in termini più semplici, si può dire che per erogare i propri servizi la Pubblica Amministrazione si serve di informazioni riguardanti i destinatari, sia per accertarne la reale identità sia per accertare il possesso di taluni requisiti che li rendono potenziali portatori di diritti o di doveri. Definiamo quindi Profilo Integrato del Cittadino l’insieme dei dati relativi ad una medesima persona fisica o giuridica che le Pubbliche Amministrazioni nel loro complesso certificano o di cui devono disporre per lo svolgimento delle loro funzioni istituzionali e per l’erogazione dei servizi cui sono preposte. E’ d’altra parte necessario contestualizzare il concetto generico di Profilo Integrato del Cittadino nell’ambito dell’attività della pubblica Amministrazione.

1.3.a. Procedimen ti e provvediment i amminis trat iv i

La volontà della autorità amministrativa nell’esercizio di una funzione amministrativa per un caso concreto e nei confronti di destinatari determinati o determinabili si manifesta all’esterno attraverso l’emanazione di atti amministrativi [57]. Mentre in tempi non recenti la funzione amministrativa, e quindi l’emanazione di tali atti, si svolgeva in forma libera, negli Stati moderni essa si dispiega in forme pre-ordinate dalla norma per l’intero arco del suo svolgimento: gli ordinamenti giuridici dell’era contemporanea cioè circoscrivono l’esercizio dell’autorità amministrativa entro i limiti di procedimenti (amministrativi) formalizzati [21]. Ma cos’è il procedimento amministrativo? Esso è una sequenza di atti pre-ordinati all’emanazione di un provvedimento amministrativo, che è l’atto finale mediante il quale l’autorità amministrativa esercita la propria potestà incidendo in posizioni giuridiche soggettive del privato23. Gli atti amministrativi del procedimento al servizio di un provvedimento si dicono invece atti strumentali [21]. La dottrina categorizza i provvedimenti [57] e i relativi procedimenti [21] secondo macro-tipi caratteristici: i due macro-tipi più ricorrenti nelle fattispecie specifiche sono i dichiarativi e i costitutivi24. I procedimenti dichiarativi hanno lo scopo di dare certezza a fatti giuridicamente rilevanti, attraverso le fasi di acquisizione da parte della Pubblica Amministrazione della conoscenza del fatto (giuridico) e della dichiarazione verso l’esterno di ciò che essa ha acquisito.

23 Sulle fondamentali nozioni di posizioni giuridiche soggettive (potestà, obbligo, dovere, interesse legittimo, diritto soggettivo) si vedano [29],

[57], [21]. 24 In realtà esistono altri macro-tipi di procedimenti e provvedimenti: organizzativi, sanzionatori, precettivi, esecutivi, di controllo; in questa

sede di essi non ci occuperemo: oltre ad essere largamente minoritari, infatti, essi non aggiungerebbero alcunché di rilevante per gli scopi della nostra trattazione.

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1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici

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La fase di acquisizione può essere di diverso livello: l’acclaramento consiste nella rilevazione dell’esistenza, nella misurazione o nell’analisi tecnica di dati fattuali; l’accertamento invece è qual cosa di più perché l’apprendimento dei dati fattuali è finalizzato alla possibilità di attribuire una qualità giuridica ad una persona o ad una cosa: (si pensi agli esami o ai collaudi); le certazioni sono ancora più “pesanti” perché creano esse stesse delle qualità giuridiche che prima dell’adozione del provvedimento, anche se esistevano di fatto, non erano riconoscibili25. L’esternazione dei procedimenti dichiarativi consiste nella formazione di atti idonei a permetterne la conservazione, l’accessibilità o la facile esibizione: tecnicamente è il caso delle certificazioni, delle rogazioni e delle iscrizioni o delle registrazioni presso registri (come albi professionali, albi imprenditoriali, pubblici registri, registri scolastici). Come appare evidente, i procedimenti dichiarativi hanno un ruolo importantissimo nella vita pratica, poiché servono ad attribuire qualificazioni giuridiche a cose e a persone: tra questi, non a caso rientrano gli atti di anagrafe e di stato civile, i titoli di studio, le iscrizioni ad albi professionali. Nell’emanazione dei relativi provvedimenti, la Pubblica Amministrazione è vincolata, nel senso che, qualora risulti accertata la sussistenza dei presupposti a cui la legge subordina la loro emanazione, essa è obbligata ad emanarli nelle modalità e con i contenuti normativamente già previsti. Diverso è il caso dei procedimenti costitutivi: in questo caso la Pubblica Amministrazione ha una discrezionalità molto ampia in relazione all’incidenza nelle posizioni giuridiche soggettive dell’individuo. Questo perché essa deve poter valutare se l’ampliamento della sfera giuridica del privato – che egli potrebbe richiedere per soddisfare propri interessi - sia neutrale o meno rispetto all’interesse pubblico e deve quindi poter decidere se impedire l’esercizio di nuovi diritti o ad esempio subordinarlo all’osservanza di alcune prescrizioni. Esistono numerose tipologie di procedimento costitutivo: ammissioni (a prestazioni pubbliche, ad una gara, ad un concorso), autorizzazioni (come le licenze, i nulla osta, le abilitazioni), concessioni (di beni o di servizi pubblici a soggetti privati), ordini (comandi o divieti), dispense (da alcuni obblighi scolastici), sovvenzioni (per ragioni di carattere assistenziale o per incentivare l’attività economica). Sia nel caso dei procedimenti costitutivi che nel caso di quelli dichiarativi la Pubblica Amministrazione decide – e quindi emana il relativo provvedimento – sulla base della rilevazione e della valutazione di taluni requisiti soggettivi. L’unica differenza, come si è detto, è che nei primi essa ha un certo margine di discrezionalità (pur essendo obbligata alla motivazione), nei secondi è invece solo tenuta o meno ad emanarli. E’ necessario ribadire e sottolineare i seguenti concetti: a. con i procedimenti dichiarativi la Pubblica Amministrazione prende atto di taluni requisiti soggettivi

e dà loro rilevanza e riconoscibilità giuridica b. con i procedimenti costitutivi essa “costituisce” nuovi requisiti soggettivi c. per valutare se emanare o meno provvedimenti costitutivi, essa si basa su precedenti

provvedimenti dichiarativi, cioè le fonti attraverso cui essa può acquisire la conoscenza dei requisiti soggettivi dei destinatari dei provvedimenti

Dato che i requisiti soggettivi di cui stiamo parlando sono i cosiddetti fatti giuridici che abbiamo ipotizzato andare a costituire il Profilo Integrato del Cittadino, possiamo affermare che i procedimenti

25 Si pensi alla certazione costituita dall’atto di nascita: il complesso di posizioni giuridiche soggettive attive e passive che costituiscono lo

status di figlio non è prodotto dall’atto di nascita ma dal fatto giuridico che è la nascita; d’altra parte l’atto di nascita fa sì che quella persona possa, di fronte a tutti, affermare di avere lo status di figlio e che per ciò tutti i componenti dell’universo giuridico siano obbligati ad assumere che ciò che è enunciato nell’atto è certo.

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amministrativi si basano sul Profilo Integrato e che il Profilo Integrato si modifica attraverso l’emanazione dei provvedimenti frutto di procedimenti amministrativi. Quest’affermazione trova ulteriore fondamento nella riflessione - che ci accingiamo a fare - sullo svolgimento delle fasi dei procedimenti amministrativi e sulla forma dei relativi provvedimenti.

1.3.b. Le fas i dei procediment i e la forma de i provved imenti ammin is trat iv i

Il procedimento consta tipicamente di quattro fasi: la fase di iniziativa, la fase istruttoria, la fase della decisione e infine quella integrativa dell’efficacia (ovvero controllo e pubblicazione, della quale non ci occuperemo in questa sede). Nella fase di iniziativa il procedimento si mette in moto per iniziativa d’ufficio o di parte (attraverso istanze o denuncie): nel caso dell’iniziativa di parte il cittadino si serve di moduli dove riporta anche le proprie generalità (requisiti soggettivi), autocertificazioni sul possesso di ulteriori requisiti soggettivi richiesti dalla tipologia di procedimento, e, laddove previsto dalla recente normativa [190], altra documentazione (ad esempio, copie autenticate di altri documenti)26. La fase di istruttoria è fondamentale ai fini del nostro discorso sul Profilo Integrato: con essa l’Amministrazione accerta l’esistenza dei requisiti e dei presupposti per l’ammissibilità dell’istanza (nel caso di iniziativa di parte), verifica i dati rilevanti, acquisisce - se previsto dal tipo di procedimento - pareri e valutazioni tecniche da parte di altri soggetti pubblici o privati (consulenti, periti) e richiede manifestazioni di volontà di altri organi o enti27. Per ricollegarci a quanto affermato poco fa, puntualizziamo che: i requisiti soggettivi da verificare sono gli elementi fondanti del Profilo Integrato; spesso essi vengono acquisiti dalla P.A. titolare del procedimento (come si è visto) sotto forma di

provvedimenti dichiarativi (ad esempio, certificazioni), che derivano quindi da altri procedimenti nei quali si sono trattati altri elementi del Profilo Integrato;

pareri, valutazioni tecniche, manifestazioni di volontà sono a loro volta provvedimenti scaturenti da procedimenti amministrativi che vengono posti in essere in funzione del procedimento principale28 da altri soggetti organizzativi e tratteranno anch’essi dati che costituiscono il Profilo Integrato di quel medesimo cittadino.

Nella fase di decisione, infine, la Pubblica Amministrazione, sulla base di quanto acclarato (requisiti soggettivi e presupposti) nella fase istruttoria, emana il provvedimento finale. Ora, uno degli elementi fondamentali del provvedimento è la forma, ovvero il mezzo attraverso il quale la volontà viene esternata, che è imposto dalla legge o dalla natura dell’atto. La forma imposta è sempre quella scritta (manuale, meccanica, digitale) e gli atti amministrativi scritti sono denominati documenti amministrativi: essi costituiscono la prova dell’esistenza dell’atto. I documenti amministrativi sono costituiti dalle seguenti parti: l’intestazione (nella quale è indicata l’autorità), il preambolo, il dispositivo, la data e la sottoscrizione.

26 L’onere della documentazione a carico del cittadino si è notevolmente ridotto negli ultimi anni: già la L.15 del 1968 prevedeva lo strumento

dell’autocertificazione e l’obbligo per le PP.AA. di fare riferimento a documenti e informazioni già in possesso del soggetto pubblico; la L.241/90 ha ribadito tali concetti, ma solo con il D.Lgs. 127/97 e poi con il testo Unico in materia di documentazione amministrativa le forme di documentazione diverse dall’autocertifcazione sono divenute residuali.

27 La L.241/90 ha inoltre introdotto la possibilità da parte degli interessati di produrre memorie scritte, osservazioni od opposizioni che la P.A. è tenuta a prendere in considerazione nella fase istruttoria. Di questo parleremo più a fondo in 2.3.

28 Vi sono i cosiddetti procedimenti per atti di procedimento (cioè che non terminano con un atto decisionale, ma con un atto finale funzionale al procedimento generale); i subprocedimenti (che terminano con un provvedimento decisionale, il quale però non potrebbe sussistere senza l’esistenza del provvedimento del procedimento generale); i procedimenti incidentali (totalmente svincolati dal procedimento ma che possono produrre fatti giuridici che condizionano l’altro procedimento in corso).

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1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici

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Il preambolo riporta i fatti e motivi per i quali il provvedimento è stato posto in essere, ovvero richiama i presupposti di fatto (eventi, situazioni, contingenze al cui verificarsi è subordinato l’esercizio del potere amministrativo) e di diritto (adempimenti che devono essere stati compiuti dalla stessa autorità, da altra autorità o da un privato) accertati nella fase istruttoria, nonché le ragioni giuridiche che ne costituiscono il fondamento (ad esempio, il riferimento ad una legge). Senza il preambolo non sarebbe possibile estrapolare dall’atto la motivazione oggettiva in base alla quale la P.A. è stata indotta ad adottare il provvedimento; non sarebbe cioè possibile verificarne la legittimità. In teoria, tra due provvedimenti della stessa tipologia, gli elementi “variabili” del preambolo sono costituiti dai requisiti soggettivi del cittadino destinatario del provvedimento, ovvero da alcuni elementi del Profilo Integrato di quel cittadino; mentre ad esempio il riferimento alla legge sulla base della quale viene adottato il provvedimento sarà sempre lo stesso29. Il dispositivo costituisce la parte precettiva dell’atto, quella che cioè manifesta l’oggetto della volontà della Pubblica Amministrazione, la quale si sostanzia – come si è visto nella stragrande maggioranza dei casi - nella constatazione di un fatto giuridico (provvedimenti dichiarativi) o nella costituzione di un fatto giuridico (provvedimenti costitutivi). Entrambe le tipologie danno luogo alla creazione o alla modifica di requisiti soggettivi che costituiscono il Profilo Integrato del cittadino30. La data del provvedimento è altrettanto importante ai fini del Profilo Integrato: esso, infatti, essendo l’ipostatizzazione dell’identità del cittadino, deve rappresentare ciò che questo è in uno specifico momento, quello attuale. Fanno parte del Profilo Integrato - tra i requisiti soggettivi di un medesimo cittadino che siano oggetto di diversi procedimenti amministrativi - quelli più recentemente accertati o costituiti in riferimento ad una medesima variabile: ad esempio, alla variabile residenza del Profilo di uno specifico cittadino corrisponderà il valore dell’indirizzo risultante dal provvedimento di cambio di residenza avente la data più recente. Nella seguente figura si tenta di dimostrare come il costrutto del Profilo Integrato sia insito nell’attività amministrativa che si sostanzia nell’adozione di provvedimenti attraverso l’attuazione dei procedimenti amministrativi.

29 In pratica questo spesso non è vero, dato che nella legislazione italiana numerose leggi e fonti regolamentari possono trattare di una

medesima tipologia di provvedimento, senza che le stesse siano state peraltro tra loro coordinate: per questo ad esempio un medesimo cittadino potrebbe non avere i requisiti soggettivi per beneficiare di un determinato contributo ai sensi della principale fonte normativa che regola l’erogazione di quel tipo contributo, mente potrebbe risultare beneficiario ai sensi di un’altra fonte che – magari nel regolamentare una diversa materia - ha costituito un’eccezione a quanto disposto dalla prima.

30 Questo è evidente anche nel caso particolare di un esproprio, il prodotto di un particolare tipo di procedimento costitutivo, ovvero il procedimento detto ablatorio: il requisito soggettivo di proprietario di un “determinato” terreno il cittadino diviene proprietario di “nessun” terreno, o rimane proprietario di altri terreni, ma non di quello del quale è stato espropriato. Il requisito di proprietario di terreni viene quindi modificato (e mai rimosso, semmai assume valore zero).

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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Figura 1.3.1 Procedimenti e provvedimenti amministrativi: le fondamenta del Profilo Integrato del cittadino.

Il documento amministrativo altro non è che un insieme ordinato di elementi nucleari in relazione tra loro: tali elementi sono i requisiti soggettivi del cittadino necessari alla formazione di quello specifico tipo di documento relativamente a quello specifico cittadino, posti in relazione ad una marcatura temporale determinata. Gli altri elementi del documento (intestazione, firma, presupposti normativi) sono in relazione non allo specifico cittadino (e allo specifico documento) ma alla tipologia di provvedimento31. I requisiti soggettivi del Profilo Integrato del cittadino destinatario del provvedimento vengono usati durante l’istruttoria per motivare giuridicamente l’adozione del provvedimento che a sua volta va a modificare il Profilo Integrato stesso: come si è visto infatti i diversi provvedimenti amministrativi vanno a creare o modificare lo status giuridico di un soggetto, ovvero i suoi requisiti soggettivi rilevanti per l’ordinamento e quindi per la comunità.

1.3.c. La t ip ic i tà de i procedimen t i amminis trat iv i

Ad oggi, purtroppo, la relazione tra Profilo Integrato del Cittadino e provvedimenti e procedimenti amministrativi appartiene ancora alla teoria: come è noto (nonostante gli sforzi degli ultimi tempi), il soggetto pubblico è diviso in unità organizzative distinte e non coordinate e non è ancora in grado di tradurre i dati relativi ai requisiti soggettivi in informazioni strutturate processabili ed elaborabili e quindi in basi di conoscenza fruibili. Questo tipo di deficienza potrebbe essere con il tempo superata grazie alla tecnologia telematica, che potrebbe quindi permettere uno sfruttamento intensivo delle risorse informative in possesso delle PP.AA.. La riunificazione dei dati relativi a ciascun cittadino e la loro

31 Di questi aspetti ci occuperemo in 2.3.e.

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1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici

39

gestione integrata richiedono infatti l’informatizzazione di tutti gli archivi documentali cartacei gestiti dal soggetto pubblico, la loro normalizzazione e infine la loro integrazione attraverso, ad esempio, la progettazione e la costruzione di un database relazionale centralizzato (o di più database federati, appunto [si veda 1.2]) che integri sistematicamente tutti i dati di tutti i cittadini. Quello che oggi definiamo Profilo Integrato del cittadino è quindi solo un costrutto metodologico, ovvero un’entità logico-funzionale atta a delineare il percorso analitico ed operativo per la progettazione e la realizzazione di tale base di conoscenza. Per questo in 1.2 abbiamo parlato di metodo deduttivo: attualmente non sappiamo quali tipi di dati debba contenere con esattezza il Profilo Soggettivo, ma sappiamo che potremmo essere in grado di individuarli attraverso un lavoro di ricerca meticoloso sull’attività amministrativa. A questo scopo è importante sottolineare una caratteristica fondamentale dei provvedimenti amministrativi, ovvero la loro tipicità [21][57]: esiste una connessione, fissata dalle norme, tra i vari elementi di ciascun atto e una predeterminazione, sempre normativa, degli effetti che esso può produrre; di conseguenza vi è anche inderogabilità delle fasi del procedimento attraverso le quali il provvedimento deve essere posto in essere (si è parlato, appunto, di formalizzazione dei procedimenti amministrativi). Vuol dire che è possibile con una buona dose di attendibilità enucleare tutte le tipologie di provvedimenti amministrativi esistenti e, di conseguenza, tutti i procedimenti necessari alla loro emanazione; unendo a ciò la nozione di formalizzazione dei procedimenti, secondo la quale ogni procedimento dipende da determinati atti, fatti e condizioni, si giunge alla conclusione che sia possibile individuare a priori tutte le tipologie di requisiti soggettivi necessari ad ogni procedimento. Il percorso di enucleazione dei procedimenti amministrativi è arduo. Non a caso numerosi tentativi, anche normativi, sinora non hanno avuto buon esito. In primo luogo si ricordi il dispositivo della L.241/90 [174], che all’art.2 affidava alle Amministrazioni il compito di individuare i procedimenti e di renderne pubblica la tipologia: tale disposizione è stata disattesa nella maggior parte dei casi, a ribadire la difficoltà a confrontarsi con problemi di strutturazione e formalizzazione, anche organizzativa32. Un altro tentativo di tipizzazione è scaturito dall’attività dal Garante per la Privacy in seguito alla L.675/96 e, soprattutto, al D.Lgs.135/99 [183], con il quale si chiedeva alle Pubbliche Amministrazioni di adottare provvedimenti nei quali si indicassero le rilevanti finalità di interesse pubblico per le quali sarebbe stato necessario continuare a trattare dati sensibili. Questo adempimento avrebbe comportato una scrupolosa ricognizione di tutte le attività materiali che ciascun soggetto pubblico intendesse proseguire in relazione a dette finalità (con strumenti automatizzati e non automatizzati), nonché una previa valutazione della stretta pertinenza e necessarietà dei dati e delle operazioni rispetto alle finalità. In mancanza di norme sanzionatorie certe, anche le richieste del Garante sono state in gran parte disattese33.

32 La tipizzazione dei procedimenti era infatti finalizzata anche all’individuazione dell’ufficio e del funzionario responsabili di ciascun

procedimento. 33 A tal fine il Garante aveva predisposto prospetti schematici per facilitare il collegamento tra le tipologie di informazioni e di operazioni e le

finalità di rilevante interesse pubblico specificamente individuate dal D.Lgs.135/1999, dal Garante o da un altro atto normativo: i dati personali trattati andavano indicati per categorie (senza entrare in ulteriori specifici dettagli), tenendo conto che le tipologie di dati non individuate e rese pubbliche non sarebbero poi potute essere utilizzate. La scheda proposta dal Garante è la seguente:

Denominazione del trattamento Indicare sinteticamente la denominazione o il tipo di trattamento Fonte normativa Indicare le fonti normative sull’attività istituzionale cui è collegato il trattamento Rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite dal trattamento Indicare le rilevanti finalità esplicitate dalla legge, dal d.lg. n. 135/1999 o da altri decreti legislativi attuativi della l. n. 675/1996 o dal provvedimento del Garante ed il relativo specifico riferimento Tipi di dati trattati (barrare le caselle corrispondenti)

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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Un tentativo di classificazione delle attività della P.A. che ha dato avvio a numerose altre iniziative è stato invece quello comunitario di eEurope 2002 [145]. Il Piano di Azione inseriva tra i propri obiettivi prioritari un punto che prevedeva la messa in rete dei servizi pubblici essenziali e delle informazioni di tipo legale, amministrativo, culturale, ambientale e relative al traffico entro il 2002-3: i progressi sono stati oggetto di attività di benchmarking relativamente all’implementazione di 20 macro-tipologie di servizi on-line ritenute essenziali (12 per il cittadino e 8 per l’impresa), classificate non in relazione all’organizzazione delle diverse PP.AA., ma alle necessità dell’utente finale, utilizzando la metafora di comunicazione - già sperimentata in alcuni paesi europei - degli “eventi della vita” dei cittadini e delle imprese. Dal benchmarking34 è stato poi possibile rilevare anche l’incidenza dei servizi on-line su quattro categorie esaustive attraverso le quali la UE ha classificato tutti i servizi pubblici: Generatori di reddito per la P.A. (income), Anagrafici (registration), Pubblici (return), Permessi e licenze (licence)35. La metodologia inaugurata per il benchmarking di e-Europe 2002 si è rivelata efficace anche per i processi di pianificazione delle politiche di e-government nazionali, tanto che la Direttiva del Ministero dell’Innovazione e della Tecnologia (MIT) del dicembre 2001 recante “Linee-guida in materia di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione” [158] ha posto come prioritario l’obiettivo della disponibilità on-line a cittadini e imprese di un primo nucleo di 80 servizi essenziali. Anch’essi sono stati individuati sulla base dell’approccio degli “eventi della vita”, anche attraverso l’ampio coinvolgimento diretto delle PP.AA. centrali e locali eroganti i servizi, che ha permesso prima di identificare ben 600 servizi esistenti e poi di selezionare gli 80 sulla base del principio di “utilità” per l’utente36.

origine |_| razziale |_| etnica convinzioni |_| religiose, |_| filosofiche, |_| d’altro genere convinzioni |_| politiche, |_| sindacali stato di salute: |_| patologie attuali |_| patologie pregresse |_| terapie in corso |_| anamnesi familiare vita sessuale dati genetici dati di carattere giudiziario (art. 24, l. n. 675/1996) Operazioni eseguite (barrare le caselle corrispondenti) Trattamento “ordinario” dei dati |_| Raccolta: |_| presso gli interessati |_| presso terzi |_| Elaborazione: |_| in forma cartacea |_| con modalità informatizzate Altre operazioni pertinenti e non eccedenti rispetto alla finalità del trattamento e diverse da quelle “standard” quali la conservazione, la consultazione interna, la rettifica, la cancellazione o il blocco nei casi previsti dalla legge (specificare) Particolari forme di elaborazione Interconnessione, raffronti, incroci di dati: |_| con altri trattamenti o banche dati dello stesso ente (specificare quali ed indicarne i motivi): ………………… |_| con altri soggetti pubblici o privati (specificare quali ed indicarne i motivi): ………………… Trattamento automatizzato volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo o giudiziario (specificare ed indicarne i motivi):…………………………. Comunicazione ai seguenti soggetti per le seguenti finalità (specificare ed indicare l’eventuale base normativa): …….. Diffusione (specificare ed indicare l’eventuale base normativa) : …………………………….. Sintetica descrizione del trattamento del flusso informativo (Descrivere sinteticamente il trattamento ed il relativo flusso) ………………………………………………

34 La scala di valutazione si è basata su due indicatori: la percentuale dei servizi di base disponibili on-line e la tipologia di accesso ed utilizzo

di tali servizi basata su quattro gradazioni: a.servizi informativi, b.download di moduli, c.attivazione del processo di servizio (inclusa l’autenticazione dell’utente), d.conclusione del processo di servizio (ovvero sino al provvedimento e, laddove previsto, al pagamento). Naturalmente non tutti i servizi hanno caratteristiche tali da poter raggiungere potenzialmente il quarto grado, pertanto la somma dei punteggi di ogni Stato relativi a ciascun servizio è stata rapportata alla somma dei punteggi potenzialmente assegnabili per ciascun servizio.

35 La categoria che ha visto il maggior utilizzo di Internet è quella della registration (62% di incidenza di servizi on-line), mentre gli altri si attestavano al 33%.

36 La dimensione di “utilità” è emersa attraverso la costruzione di un indice basato: 1.sulla frequenza media di utilizzo del servizio, 2.sul “valore aggiunto” del servizio per l’utente (in base ai parametri definiti da e-Europe: “Registration”, “Licence”, “Income”, “Return”), 3.sulla predisposizione all’utilizzo di Internet da parte degli utenti destinatari, 4.sull’entità dei pagamenti (se previsti dal servizio), 5.sulla disponibilità di un canale di erogazione migliore di internet e infine 6.sull’assenza di “falsi” servizi (ad esempio, la richiesta di certificati da parte di una P.A., contenenti dati già in possesso della stessa o di una diversa P.A.).

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1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici

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Sulla base di questo medesimo approccio, il progetto “P.E.O.P.L.E.” - finanziato attraverso un bando nazionale del febbraio 200237 - ha sinora individuato ben 163 servizi (90 destinati a cittadini e 73 destinati ad imprese), al fine di condividere tra i 47 Comuni coinvolti modalità di interazione on-line con il cittadino e criteri di usabilità e di sicurezza. L’approccio degli “eventi della vita” proposto dall’Unione Europea è stato scelto sulla base del principio della trasparenza amministrativa verso l’esterno: è un approccio senza dubbio citizen-oriented. Lo stesso che recentemente ha portato numerosi siti di Pubbliche Amministrazioni sensibili al rapporto con il cittadino a identificare i molteplici ruoli che il cittadino nel corso della propria vita riveste a seconda del contesto specifico entro il quale si trova a richiedere informazioni o prestazioni, per rendere più usabile lo strumento telematico [172]. Il cittadino-tipo infatti riveste contestualmente ruoli differenti, tutti aventi funzioni sociali determinanti (può essere elettore, lavoratore dipendente, paziente, madre, volontario, studente, … ); basandosi poi sulle proprietà attraverso le quali è possibile descrivere ciascun ruolo, si risale ai “servizi pubblici” che rispondono alle attività caratterizzanti quel ruolo. Individuare i servizi delle PP.AA. secondo il ruolo del cittadino dà senza dubbio l’opportunità di visualizzare la possibile risposta integrata ai bisogni, quindi le opzioni di personalizzazione degli interventi. Il nostro scopo è però quello di definire un percorso metodologico che ci consenta di strutturare le risorse informative in capo alle PP.AA. riguardanti ciascun singolo cittadino: il nostro scopo è cioè “costruire” il Profilo Integrato del cittadino per dare forma e sostanza all’identità dell’utente finale in Rete. Riteniamo infatti che il Profilo Integrato, più di qualsiasi altra innovazione tecnologica, anche laddove consenta multicanalità e massima usabilità strumentale e informativa in relazione al ruolo rivestito dall’utente, possa garantire la vera trasparenza amministrativa e la vera personalizzazione.

1.3.d. Percorso anal i t ico processua le vs . s trut tura le

Il percorso che proponiamo integra dunque il metodo degli eventi della vita – che scegliamo di definire “processuale” - con il metodo della progettazione sistematica di una base di dati, a partire da variabili specifiche: tale percorso – che per coerenza lessicale definiamo “strutturale” - consta a nostro avviso delle sette fasi che ci accingiamo a descrivere. Un “evento della vita” può essere considerato l’output di un macro-processo, composto da più processi organizzativi di servizio: una volta individuati gli eventi è quindi necessario individuare i processi. Ad esempio, l’evento “Avere una casa” comporta - secondo il Piano di Azione e-government italiano [161] - diversi possibili processi di servizio, tra i quali “Richiesta contributi fondo sociale su affitto casa”, “Finanziamenti per ristrutturazione”, “Pagamento contributi collaboratori domestici”. E’ questa l’opera di identificazione che è stata già fatta - anche se non in maniera sistematica (perché evidentemente quelli già individuati non sono esaustivi) – soprattutto nell’ambito del progetto “P.E.O.P.L.E.”. Le prime tre fasi del nostro percorso analitico fanno quindi riferimento al metodo “processuale”: 1 Definizione dei ruoli

37 In seguito alla Direttiva del MIT del dicembre 2001 le PP.AA. territoriali sono state chiamate a concentrarsi su progetti integrati territoriali -

finanziati attraverso bando e selezione - strettamente legati alle finalità generali della predisposizione di infrastrutture di base e della messa in rete dei servizi; il primo dei bandi è stato emesso nel febbraio 2002, accompagnato da cinque allegati contenenti altrettante linee-guida relative a servizi on-line, CIE e CNS, protocollo informatico e posta certificata, trattamento dei dati pubblici e cooperazione e interoperabilità applicativa della Rete Nazionale, documenti che costituiscono il sunto stringente degli studi di pre-fattibilità e fattibilità di AIPA e Centro Tecnico RUPA degli anni precedenti. Il bando del febbraio 2002 è stato impostato dando particolare rilevanza ad alcuni aspetti sistemici e trasversali, come la promozione del riuso delle soluzioni, la compartecipazione di più PP.AA., la collaborazione pubblico-privato, nonché l’incoraggiamento all’acquisizione di una cultura adeguata di project management. Alla Commissione di valutazione sono pervenuti ben 415 progetti, spesso parti integranti di Piani Territoriali Integrati (a livello di coordinamento regionale) con i quali si è promossa l’innovazione congiunta e la cooperazione tra le varie PP.AA.. Il progetto People ha visto come promotore il Comune di Firenze ed oggi coinvolge ben 47 Comuni italiani; recentemente è stata poi stipulata una convenzione con la provincia di Bologna, promotrice del progetto “Panta Rei”, maggiormente impegnato negli aspetti del back-office.

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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2 Individuazione degli eventi della vita legati al rivestimento di ciascun ruolo 3 Individuazione dei servizi legati a ciascun evento della vita

Figura 1.3.2 Percorso analitico “processuale”: individuazione di ruoli, eventi, servizi.

In questo tipo di esperienza, la rilevanza è però ancora posta sugli aspetti di front-office più che sull’ottimizzazione dell’utilizzo dell’informazione soggettiva per semplificare l’attività amministrativa e favorirne realmente la trasparenza38. Il Piano di Azione infatti definisce “servizi pubblici” quelli che in realtà sono categorie di procedimenti amministrativi: la definizione di “servizio” ricorre perché tali procedimenti si concludono con il contatto diretto col cittadino39. Per procedere alla costruzione della griglia dei requisiti soggettivi che costituiscono il Profilo Integrato del cittadino è ulteriormente necessario quindi non solo individuare quali siano i procedimenti che terminano con provvedimenti esterni (cioè con output diretto all’utente finale), ma anche i procedimenti interni, il cui output non è diretto al cittadino, bensì all’ente, all’organo o all’unità organizzativa deputata all’adozione del provvedimento finale. A volte infatti sequenze di atti realizzano parti minori, organicamente concluse, di uno o più procedimenti complessi: in tutti questi casi si parla di subprocedimenti. Dato che, appunto, molti procedimenti hanno rilevanza interorganizzativa e non si esauriscono all’interno di un’unica P.A., complementare a tale analisi – e funzionale alla stessa – è l’individuazione delle PP.AA. coinvolte in ciascun processo di servizio e dei dati personali che ciascuna di esse è chiamata a trattare nel procedimento di propria competenza (appunto, il subprocedimento). La quarta fase di analisi pertanto inaugura la parte di percorso analitico basato su un metodo “strutturale”: 4 Individuazione delle tipologie di soggetti organizzativi facenti parte della Pubblica Amministrazione

L’individuazione delle PP.AA. costituisce però un’attività controversa. Secondo la letteratura, le PP.AA. sono “pubblici uffici che - svolgenti funzioni sostanzialmente amministrative - compongono l’apparato (centrale e periferico) dello Stato e degli altri enti pubblici sia territoriali che non territoriali”. A ciascuna funzione dello Stato – come è noto - corrisponde un potere definito come “figura organizzatoria 38 Il fatto invece che il recente Piano Esecutivo [169] di “P.E.O.P.L.E.” preveda anche attività di BPR (Business Process Re-engineering) e

che sia stata stipulata una convenzione per integrare i risultati di “P.E.O.P.L.E.” con quello del progetto “Panta Rei”, che si occupa di document management e tratta essenzialmente problematiche di back-office, fa ben sperare in un futuro approfondimento degli aspetti organizzativi.

39 Comportando quindi interazione diretta con il cittadino (anche se magari mediata tecnologicamente), i servizi riguardano anche numerose variabili che esulano dalle categorie del diritto amministrativo.

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1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici

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composta da uno o più organi fra loro collegati ai quali l’ordinamento attribuisce l’esercizio di una frazione di autorità”: il potere chiamato a svolgere la funzione amministrativa è detto esecutivo ed esso è costituito da “Governo, Ministri, Organi Ausiliari” (questi ultimi però non svolgono attività amministrativa attiva, ma solo consultiva e di controllo) [29]. Il D.lg.29/93 [177], recita: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di Commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”. Tentando un’integrazione di quanto detto sopra, può concludersi che la Pubblica Amministrazione è costituita da: a) Organi dello Stato che detengono il potere esecutivo (attraverso il quale viene svolta l’attività

amministrativa), ovvero Governo e Ministri (che costituiscono gli organi centrali dello Stato) e relativi organi decentrati; tutti gli organi infatti sono definibili attraverso il settore in cui operano, “che nella maggior parte dei casi corrisponde ad un ministero”; per individuare le PP.AA. che erogano servizi con ricaduta diretta sugli individui è però necessario ritagliare la categoria degli organi40 per considerare solo quelli che svolgono attività amministrativa “attiva” (e che quindi “portano ad esecuzione la volontà dello Stato”) e quelli esterni (che “pongono lo Stato in rapporti giuridici con altri soggetti”).

b) Enti pubblici (la cui definizione è a tutt’oggi aleatoria41) territoriali (Comune, Provincia, Camere di Commercio; ASL, Regioni), di servizio (per il decentramento di servizi amministrativi o tecnici ordinati in forma amministrativa: INPS, Università, CNR) e imprenditoriali (deputati all’erogazione di prestazioni materiali).

Su questi criteri potrebbe basarsi un primo tentativo di individuazione delle tipologie di PP.AA.42, facendo però attenzione a non trascurare alcune considerazioni: non tutti i ministeri sono computabili, in quanto molti di essi non svolgono attività amministrativa

attiva e non sono esterni (si troverà che quasi tutti i Ministeri cosiddetti “senza portafoglio” non rispondono a tali requisiti);

secondo la recente normativa moltissimi tra gli organi periferici dello Stato dovranno essere accorpati nella Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo (UTG) facente capo al Prefetto43;

40 Uno dei criteri di distinzione degli organi è in riferimento alle loro attribuzioni, per le quali si distinguono in primari-secondari, esterni-interni,

centrali-locali, attivi-consultivi-di controllo. 41 In [1] si propone la seguente classificazione degli enti pubblici:

Enti indipendenti: enti territoriali (Regioni ed enti locali); Enti associativi: così definiti in quanto aventi la struttura tipica delle associazioni (assemblea dei soci, consiglio direttivo, presidente), o

quando gli interessi degli associati siano considerati meritevoli (associazioni patriottiche) o nel caso in cui lo Stato attribuisca all’ente compiti pubblici (ordini professionali) che non siano articolazione di compiti svolti altrove;

Enti ausiliari: sono così definiti gli enti strumentali, aventi rapporto di subordinazione esecutiva allo Stato, in quanto uffici tecnicamente attrezzati (Ufficio italiano Cambi); gli enti di servizi, derivanti dal decentramento di servizi amministrativi o tecnici ordinati in forma amministrativa (INPS, CNR) per l’erogazione di prestazioni materiali; gli enti di disciplina di settore, ovvero enti con struttura di diritto privato che svolgono compiti di coordinamento e di direzione di grandi amministrazioni a livello statale, aventi con lo Stato un rapporto di direzione a contenuto politico con scarsi punti di affioramento all’esterno (Banca d’Italia, IMI); infine gli enti pubblici imprenditoriali, oggi tutti trasformati in Società per Azioni a maggioranza di capitale pubblico (come le Poste Italiane).

42 Si parla di tipologie perché nei casi di organi decentrati o di alcuni enti pubblici, vi possono essere svariati esemplari per una medesima categoria (Comuni, Province, Università,…).

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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buona parte degli enti pubblici di servizio e imprenditoriali stanno progressivamente divenendo enti privati svolgenti attività di interesse pubblico.

Le successive fasi analitiche sono: 5 Individuazione delle funzioni specifiche di ciascuna P.A.44 6 Individuazione di ciascun procedimento amministrativo (o eventuale subprocedimento) legato a

ciascuna funzione svolta da ciascuna P.A.45

Figura 1.3.3 Percorso analitico “strutturale”: individuazione di PP.AA., funzioni e procedimenti.

Il percorso che abbiamo definito di tipo “strutturale” è quello che ci porta a perseguire effettivamente il nostro scopo, ovvero la 7 Enucleazione dei dati personali del cittadino trattati in ciascun procedimento o – laddove esista –

subprocedimento.

43 Il Regolamento varato dal DPR DPCM del 9.1.2001, in attuazione del D.Lgs. 300/99, ha teso a razionalizzare tutti gli uffici periferici del

Governo accorpandoli in uno solo, denominato Ufficio Territoriale del Governo, dipendente dal Ministero dell'Interno. Il titolare dell'UTG è il Prefetto, al quale è stato demandato il compito di provvedere al riordino e all'accorpamento di tutte le strutture periferiche facenti capo ai ministeri del dell'Interno, dell'Ambiente, delle Attività Produttive, delle Infrastrutture e dei trasporti, del Welfare e della Salute, fatta pertanto eccezione per alcune materie: affari esteri, giustizia, tesoro, finanze, pubblica istruzione, beni ed attività culturali. Il prefetto è chiamato a provvedere alla eliminazione di duplicazioni organizzative o funzionali, al coordinamento nei rapporti tra lo Stato e le autonomie locali sulla base delle indicazioni della Conferenza Stato-Regioni, alla promozione di centri interservizi comuni a più amministrazioni e all'inserimento nel sistema amministrativo delle leggi generali.

44 Ad esempio, il comma 1 dell’art.13 dell’Ordinamento degli Enti locali recita che “spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze” e il comma 1 dell’art.14 aggiunge che “il Comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica” come servizi d competenza statale.

45 Come si è visto, tale attività analitica incontra numerose difficoltà se gestita con metodo bottom-up: essa dovrebbe essere oggetto di ricerca sistematica.

Page 45: Identità in rete

1.3 Il Profilo Integrato del Cittadino: origine e fondamenti giuridici

45

Figura 1.3.4 Integrazione dei percorsi analitici “Processuale” e “strutturale”.

Il risultato dell’intero lungo percorso di categorizzazione potrebbe essere diversamente riassunto attraverso la tabella seguente:

Evento della vita A Evento della vita B

Servizio x Servizio y Servizio z Servizio n

Sub- procedimento <a>

Sub- procedimento <b> Procedimento <c> Sub-

procedimento <d> Sub-

procedimento <e> Procedimento <f>

Tipologia PP.AA. 1 attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n

attributo n attributo n

Tipologia PP.AA. 2 attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n

Tipologia PP.AA. n attributo n attributo n attributo n attributo n attributo n

attributo n

Tabella 1.3.1 Possibile procedura di analisi per la costruzione del Profilo Integrato del cittadino.

Tale griglia, derivante dal percorso analitico illustrato in Figura 1.3.4, è un insieme di attributi giuridicamente rilevanti che costituiscono i Profili parziali che ciascuna P.A. detiene relativamente ai propri cittadini-utenti; le fasi dalla 4 alla 7 necessarie alla costruzione di essa comportano la costruzione di tre diversi cataloghi: tipologie di Pubbliche Amministrazioni tipologie di procedimenti amministrativi (ed eventuali subprocedimenti) relativi a ciascuna P.A. tipi di dati (requisiti soggettivi) necessari all’espletamento di ciascun procedimento

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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Nel seguente diagramma in Uniform Modeling Language (UML) tentiamo di riepilogare gli elementi dai quali dipende la costruzione logica del Profilo Integrato e le relazioni che tra di essi intercorrono.

Figura 1.3.5 UML Class Diagram degli elementi funzionali alla costruzione del Profilo Integrato del cittadino.

Riepilogando: il rivestimento di un ruolo (genitore, studente, elettore, paziente, …) comporta l’esplicarsi di diversi eventi della vita, i quali si realizzano appunto anche attraverso l’erogazione di d i v e r s i servizi pubblici. Ciascun servizio è erogato dal soggetto pubblico attraverso l’espletamento di u n o o p i ù procedimenti amministrativi, che a loro volta p o s s o n o constare di più subprocedimenti. Ciascuna Pubblica Amministrazione, per l’espletamento delle sue specifiche funzioni, è chiamata a porre in essere una o più tipologie di procedimenti amministrativi che p o s s o n o costituire a loro volta e zero o più tipologie di subprocedimenti. I procedimenti e gli eventuali subprocedimenti trattano uno o più requisiti soggettivi relativi al cittadino destinatario del servizio. Solo dopo aver compiuto tale analisi – peraltro strettamente organizzativa - sarà possibile definire un elenco univoco ed esaustivo di dati personali dei quali si serve il soggetto pubblico (in tutte le sue articolazioni) per l’espletamento delle sue funzioni: e solo allora tale elenco potrebbe trasformarsi in una risorsa tecnologicamente gestibile come il Profilo Soggettivo, secondo la definizione che di esso si è data in 1.2.b, e – ad esempio – essere funzionalmente tradotto in uno specifico XML-schema, come nel caso dell’Identità Digitale ipotizzata da XNS.

1.4 Il Profilo Integrato del Cittadino: pre-requisiti e requisiti funzionali

Una volta definito il costrutto del Profilo Integrato del Cittadino è possibile individuarne le caratteristiche fondanti. Ci pare sia utile distinguere tali caratteristiche in requisiti strutturali (o pre-requisiti), requisiti normativi e requisiti funzionali.

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1.4 Il Profilo Integrato del Cittadino: pre-requisiti e requisiti funzionali

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Requisiti strutturali Unitarietà I dati personali devono essere ricomponibili in una visione complessiva ed integrata (Profilo), a prescindere dal numero e dalla tipologia di PP.AA. detentrici.

Requisiti normativi

Privacy L’accesso ai dati personali deve essere logicamente e strumentalmente riservato agli operatori afferenti alle PP.AA. detentrici di quei dati che ne devono fare uso solo in casi specifici e predefiniti.

Accessibilità Il cittadino deve essere in grado di accedere in qualsiasi momento e a qualsiasi scopo a tutti i propri dati personali.

Requisiti funzionali

Autodeterminazione Il cittadino deve poter scegliere in quali contesti e circostanze i propri dati personali possono essere utilizzati dalle PP.AA. che non ne necessitino intrinsecamente per l‘esercizio delle loro funzioni istituzionali.

Fruibilità Il cittadino deve poter utilizzare in Rete i propri dati personali - anche se prodotti e detenuti presso una P.A. - in contesti diversi da quelli che prevedono interazioni dirette con le PP.AA. stesse

Tabella 1.4.1 I requisiti del Profilo Integrato del cittadino.

Alla fine del paragrafo vedremo poi che non solo il Profilo nella sua interezza, ma anche i singoli dati che lo compongono sono caratterizzati da proprietà tipiche.

1.4.a. Requis i t i s trut tura l i : uni tar ie tà

Il requisito dell’unitarietà è strutturale in quanto, se esso non sussistesse, l’esistenza dello stesso Profilo Integrato non potrebbe darsi. Per questo è detto anche pre-requisito. Il Profilo Integrato presuppone l’esistenza di una base di conoscenza relativa a ciascun cittadino nella quale ogni dato trattato da ciascuna Pubblica Amministrazione sia contenuto e messo in relazione con l’insieme degli altri dati relativi al medesimo cittadino, in forma coerente e non ridondante. Tale base di conoscenza si suppone collocata in un “luogo virtuale” custodito da un soggetto chiamato Intermediario di Trust della stessa natura delle Amministrazioni Pubbliche. E’ evidente che al momento tale unitarietà non esiste; e infatti non esiste alcun Profilo Integrato. Ma le difficoltà derivanti dalla necessaria innovazione organizzativa e tecnologica delle Pubbliche Amministrazioni gestrici di dati personali è solo uno dei problemi che si scontrano con la loro unificazione. Esperienze analoghe a quella che comporterebbe la costruzione del Profilo, anche se più limitate, lo dimostrano. Da tempo i legislatori italiani hanno predisposto normative e strumenti – attraverso la normalizzazione di data-bases settoriali di dati personali in possesso di diverse PP.AA. svolgenti le medesime funzioni sul territorio nazionale - per favorire la centralizzazione delle informazioni; tali interventi avrebbero dovuto perseguire due obiettivi:

a) agevolare la semplificazione amministrativa, facilitando l’aggiornamento dei dati ed evitando la duplicazione dei processi;

b) agevolare la funzione di controllo da parte degli organi centrali. Soprattutto per rispondere al primo obiettivo è stata promossa la costituzione dell’INA (Indice Nazionale delle Anagrafi), del SIL (Sistema Informativo del Lavoro) e della banca dati ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente); mentre si è molto discusso della necessità di costituire un

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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sistema di gestione dei dati relativi al profilo sanitario46. Soprattutto per finalità istituzionali di controllo sono invece sorte l’Anagrafe dei Conti Correnti, la Banca dati dei Sinistri stradali, il Sistema centralizzato per la rilevazione dei Rischi Creditizi e il Ruolo magnetico degli abbonati RAI.

DB per la semplificazione amministrativa DB per il controllo da parte degli organi centrali

Indice Nazionale delle Anagrafi Sistema Informativo del Lavoro Banca dati degli Indici della Situazione Economica

Equivalente

Anagrafe dei Conti Correnti Banca dati dei Sinistri Stradali Sistema centralizzato per la rilevazione dei Rischi Creditizi Ruolo Magnetico degli Abbonati RAI

Tabella 1.4.2 Data-bases centralizzati a livello nazionale.

Tra le banche dati già istituite, quelle relative a profilo anagrafico e profilo economico rivestono senza dubbio la massima rilevanza, in quanto la prima riguarda informazioni di base indispensabili alla identificazione del cittadino, mentre la seconda costituisce il parametro di valutazione per l’esercizio di molti diritti e doveri. Su queste ci soffermiamo. Le attività relative alla gestione dei dati anagrafici sono delegate ai Comuni dallo Stato, che ne detiene la titolarità. Con l’introduzione del Sistema di Accesso e Interscambio Anagrafico (SAIA), è stato sviluppato lo scambio telematico di dati e informazioni relativi alle variazioni anagrafiche tra i Comuni e tra questi e gli altri enti pubblici, per arrivare all’eliminazione del rilascio di certificazioni anagrafiche e per il migliore espletamento dei compiti di vigilanza attribuiti al Ministero dell'interno. Il fulcro del SAIA è costituito dall'Indice nazionale delle anagrafi (INA), istituito con un D.L. del dicembre 2000 convertito nella L.26/2001. L’indice contiene nome, cognome, codice fiscale e ultima residenza delle persone iscritte in anagrafe, consentendo l'individuazione del Comune al quale richiedere i dati di interesse istituzionale. La rilevante incidenza di quest’ultima innovazione sull’ordinamento anagrafico, e l’ampia individuazione dei soggetti legittimati ad accedere all’Indice, avevano originato l’esigenza, espressamente contenuta nella previsione legislativa, che ai fini dell’adozione del decreto del Ministero dell’Interno per la gestione dell’INA, fosse sentito il Garante per la protezione dei dati personali. Con il decreto del Ministero dell’interno 513/2002 è stato costituito il Centro nazionale per i servizi demografici, competente della gestione dei processi di autenticazione e convalida dei dati anagrafici e della gestione, dell'aggiornamento e della consultazione dell'INA47.

46 Sulla base dell’art.22 della L.675/96 i dati in materia sanitaria rientravano nella disciplina del trattamento dei “dati sensibili” da parte di

soggetti pubblici non economici: il trattamento di tali dati era permesso solo in virtù di specifiche disposizioni normative di rango almeno regolamentare che individuassero scrupolosamente le finalità di rilevante interesse pubblico legate all’espletamento di attività materiali che comportino il trattamento dei suddetti dati: propedeutica dunque all’ipotesi di costruzione del “profilo sanitario” era l’emissione dell’apposito regolamento da parte del Ministero della Sanità, attraverso il quale sarebbe stato possibile per lo meno uniformare la disciplina del trattamento dei dati sulla salute da parte dei soggetti pubblici e privati accreditati operanti nell’ambito del Servizio sanitario Nazionale. Tale regolamento non è mai stato emanato. Forse per aggirare tale realtà il nuovo Codice [197] definisce ed enuclea direttamente (artt. 85 e 86) le finalità di rilevante interesse pubblico per le quali è possibile per i soggetti ad esse competenti esercitare il trattamento di tali tipi di dati e prevede quindi che sia assicurata “ampia pubblicità” all’identificazione dei tipi di dati a rilevare lo stato di salute e alle operazioni su di essi eseguibili.

47 A dimostrazione di ciò, nella relazione per l’anno 2000 [148] (che non trova sostanziali revisioni di merito nelle due successive al momento pubblicate [149][152]) il Garante fa notare che, sebbene l’interconnessione tra gli archivi sia in linea generale giuridicamente ipotizzabile, essa deve comunque limitarsi alla comunicazione di dati e non può dare luogo alla costituzione di una anagrafe unica e autonoma su base ultracomunale. Le amministrazioni connesse al sistema, diverse dal Comune competente, infatti non partecipano alla diretta gestione degli archivi e vi possono accedere in tempo reale su richiesta e solo indicando la motivazione che giustifica il collegamento (il quale deve essere previsto da specifiche norme di regolamento); non vi è quindi connessione diretta ma collegamenti telematici per la trasmissione o la consultazione e l’oggetto può essere soltanto un certificato relativo ad elenchi di iscritti all’anagrafe ovvero a singole posizioni anagrafiche (secondo la tipologia di P.A.). Il Garante osservava inoltre come si rendesse necessario individuare le PP.AA. che possono accedere ai dati anagrafici, i dati accessibili a ciascuna P.A. o le funzioni ed i servizi per i quali è consentita la richiesta di dati, nonché il formato dei dati trasmissibili (aggregati e/o individuali).

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1.4 Il Profilo Integrato del Cittadino: pre-requisiti e requisiti funzionali

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Su questi temi, in relazione anche agli obblighi di consultazione previsti dall’art. 31 comma 2 della L.675/1996 il Garante è chiamato a collaborare strettamente con il Ministero degli Interni [152]. Cosa che è tuttora in corso anche in relazione all'istituzione della carta d'identità elettronica (CIE) e alla connessa ipotesi di sostanziale trasformazione del codice fiscale in un identificativo generale. Per il concetto di Profilo Integrato quella di identificativo generale è evidentemente una nozione fondamentale: di fatto si tratterebbe di una sorta di chiave primaria attraverso la quale identificare ciascun singolo record della struttura portante della base di dati dei Profili Intergrati. Ma come lo stesso Garante ha fatto notare [152], essa pone delicati profili di compatibilità con la disciplina prevista dalla direttiva 95/46/CE, nella parte in cui questa dispone che gli Stati membri determinino in base a quali garanzie e condizioni un numero nazionale di identificazione o qualsiasi altro mezzo identificativo di portata generale possa essere oggetto di trattamento. Appare evidente come, nell'ambito dei progetti di Carta di Identità Elettronica (CIE) e Carta Nazionale dei Servizi (CNS), particolare delicatezza venga ad assumere la definizione - sulla base ed in conseguenza di una totale partecipazione degli enti locali al processo di aggiornamento dell'Indice Nazionale delle Anagrafi - di un sistema integrato delle anagrafi di tutti i comuni italiani che, oltre ad assicurare, attraverso l'utilizzo di una chiave di ricerca univoca individuata nel codice fiscale, la piena circolarità dell'informazione anagrafica detenuta dall'ente locale e le relative variazioni, può consentire la verifica e l'allineamento delle informazioni delle anagrafi comunali con il contenuto dell'anagrafe tributaria. A questo scopo il Garante sottolinea: a. la necessità di specificare, attraverso uno o più atti normativi, le condizioni per cui un tale sistema

identificativo generale potrà essere utilizzato per il trattamento delle informazioni b. la necessità di ravvisare una corrispondenza tra il fine per il quale si ricorre all'identificativo

generale e il tipo dei dati utilizzati c. la necessità di garantire la riservatezza e la segretezza nelle modalità di utilizzazione,

trasmissione e accesso ai dati che tale identificativo generale consente Per quanto riguarda invece la situazione economica, la L.109/99, con l’istituzione del “riccometro”, ovvero una serie di indicatori quantitativi attraverso i quali viene calcolato l’ISEE (l’Indice della Situazione Economica Equivalente), sono state gettate le basi per la costituzione di un vero e proprio “profilo economico” sulla base del quale ciascun cittadino può accedere alle agevolazioni e a molti servizi pubblici. In questo caso i Comuni costituiscono il front-office a cui il cittadino comunica i dati ISEE, mentre l’INPS è l’ente certificante e gestore della banca dati ISEE: a tal fine i Comuni trasmettono i dati forniti dal cittadino all’INPS che provvede a calcolare automaticamente l’ISEE e ad inserirlo in archivio. La funzione di controllo dei dati dichiarati dai cittadini spetta invece al Comune. Ed è qui il centro del problema: ad oggi molti dati sono difficilmente verificabili, soprattutto quelli relativi al patrimonio; l’Anagrafe dei conti correnti, che pure già esiste, potrebbe avere la funzione di collegare il nominativo di un cittadino ad un conto corrente esistente, anche quando questi abbia omesso di dichiararne l’esistenza, ma proprio le remore di ordine giuridico, di cui poco fa dicevamo, impediscono di mettere in relazione diretta fonti di informazione afferenti ad ambiti diversi. La più recente diatriba in questa materia è stata sollevata dall’art. 50 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, che prevederebbe la realizzazione di un modello di ricetta medica a lettura ottica e la costituzione di una banca dati contenente il codice fiscale di tutti gli assistiti, al fine di un più razionale monitoraggio

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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della spesa pubblica nel settore sanitario48. Questo caso è ancora più particolare rispetto ai casi precedentemente riportati, perché riguarda dati sensibili. Tale sistema, secondo il Garante, violerebbe il diritto dei cittadini alla protezione dei dati personali per quanto riguarda le informazioni riguardanti la salute e quindi protette da particolari garanzie49. Se si intende mettere a punto un sistema di controllo conforme a quanto disposto dalla normativa sulla protezione dei dati personali, l’unica soluzione corretta sarebbe quella di escludere il trattamento di qualsiasi dato identificativo degli assistiti, costituendo eventualmente un archivio di soli dati anonimi. La garanzia prevista dal fatto che al Ministero dell’economia e delle finanze non è consentito trattare i dati acquisiti nell’archivio relativo ai codici fiscali degli assistiti appare, infatti, insufficiente, dal momento che la semplice esistenza di tale archivio conserva nel sistema la possibilità di risalire (ad opera di soggetti diversi) dal codice fiscale - e quindi dall’identità dell’assistito - all’intera sua storia sanitaria, documentata da ricette mediche e prescrizioni specialistiche. Dal punto di vista della protezione dei dati personali, quindi, la centralizzazione (e quindi, l’unitarietà) costituisce un rischio evidente. Non solo: dato che la legittimità del trattamento dei dati è sempre fortemente legata alla funzione svolta dalla P.A. trattante, a maggior ragione la stessa gestione dei data-base è legittimata solo da parte delle PP.AA. alle quali l’ordinamento attribuisce funzioni specifiche ed esclusive relative all’oggetto del data-base stesso. L’esempio calzante è proprio quello dei dati anagrafici: solo i Comuni sono riconosciuti competenti alla gestione di data-base relativi, perché ai Comuni compete la funzione anagrafica; il demandare l’archiviazione e la gestione dei dati anagrafici ad enti diversi - come la Regione - anche se attraverso una semplice interrelazione dei data-base originari (costruzione di un data-base relazionale su base territoriale) è attualmente considerato giuridicamente illegittimo. Per il Garante per la Privacy dunque occorrono correttivi di natura tecnica e giuridica che da un lato garantiscano lo scambio delle informazioni senza il coinvolgimento diretto degli operatori, dall’altro delineino e ridefiniscano gli ambiti di competenza degli attori della rete delle PP.AA..

1.4.b. Requis i t i normat iv i : pr ivacy e access ib i l i tà

Chiamiamo requisiti normativi del Profilo quelli strettamente legati a diritti esigibili del cittadino. I diritti fondamentali dell’uomo o, più brevemente, i diritti umani, il cui sviluppo dalla fine della seconda guerra mondiale è avvenuto nelle due direzioni dell’universalizzazione e della moltiplicazione, si sono trasformati in diritti esigibili allorché sono stati resi costituzionali e poi tradotti in norme dell’ordinamento

48 Secondo il decreto-legge, nelle ricette dovrebbe essere riportato, in aggiunta agli spazi di compilazione dei dati prescritti dalle vigenti

disposizioni in materia, un codice a barre recante i dati di identificazione dei medici del S.S.N. e delle rispettive AA.SS.LL. di appartenenza e il codice fiscale dell'assistito, anche in formato codice a barre, che sarà rilevabile - superato il periodo di prima applicazione - attraverso apposita tessera. In occasione della spedizione della ricetta, le farmacie, pubbliche e private, e i dispensari di farmaci aperti al pubblico effettuano con cadenza giornaliera la rilevazione ottica della ricetta e l'invio della sua immagine al Ministero dell'Economia e delle Finanze: avvenuto l’invio, le apparecchiature distruggerebbero i dati in ambiente residente. Al momento della ricezione dell'immagine della ricetta, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con modalità esclusivamente automatiche, inserirebbe i dati da essa desumibili in archivi distinti e non interconnessi, uno per ogni Regione o Provincia autonoma, in modo che sia assolutamente separato il codice fiscale dell'assistito da tutti gli altri dati desunti dall'immagine della relativa ricetta. In ogni caso, prima dell'acquisizione del codice fiscale dell'assistito nel relativo archivio, il Ministero dell'Economia e delle Finanze verifica, con modalità esclusivamente automatica, attraverso l'anagrafe tributaria, il diritto di ciascun assistito alla prestazione sanitaria economicamente agevolata, cancellando subito e in via definitiva il codice fiscale dell'assistito che risulta privo di tale diritto. Al Ministero dell'economia e delle finanze non sarebbe comunque consentito trattare i dati acquisiti nell'archivio dei codici fiscali degli assisiti, mentre sarebbe consentito trattare gli altri dati desunti dalle immagini delle ricette per fornire mensilmente alle Regioni gli schemi di proposta di rimborso dovuto agli erogatori di servizi sanitari. Gli archivi sono resi disponibili all'accesso esclusivo, anche attraverso interconnessione, delle AA.SS.LL. di ciascuna Regione per la verifica ed il riscontro dei dati occorrenti alla liquidazione periodica delle somme spettanti ai fornitori.

49 Si noti che l’art.87 del Codice forniva indicazioni bene precise sulla costitutizione di ricette mediche in grado di garantire la riservatezza dei

destinatari, integrandole con un tagliando presposto su carta unito ai bordi della zona ove sono trascritti generalità e indirizzo dell’interessato, da rimuovere solo in caso di necessità connesse al controllo della correttezza della prescrizione, per verifiche ammnistrative o per scopi di ricerca.

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1.4 Il Profilo Integrato del Cittadino: pre-requisiti e requisiti funzionali

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giuridico. Essi riposano, più che sul concetto di natura umana, su quello di dignità umana e infatti il Garante, ad esempio, chiama il diritto alla riservatezza diritto della personalità. Ma affinché tali diritti siano effettivamente esigibili e non solo conclamati come affermazioni di principio, è necessario che le fonti normative che li sanciscono definiscano: gli aventi diritto (la legge deve individuarli con chiarezza), i soggetti che devono garantire il loro rispetto, l’esplicazione dei contenuti specifici dei diritti, le modalità organizzative e le azioni che i soggetti deputati devono porre in essere per garantirne il

reale rispetto, le sanzioni per i soggetti inadempienti.

In mancanza di tali elementi il diritto è solo meramente esigibile. Ed è ciò che era accaduto ai diritti di riservatezza (dei) e accesso (ai) dati personali con la L.675/96. Il Codice che ha sostituito la legge ha reso tali diritti realmente esigibili, proprio e soprattutto perché ha introdotto il concetto di “sistema minimo di sicurezza” (che attiene alle modalità organizzative) ed ha ampliato notevolmente il profilo sanzionatorio: le sanzioni amministrative sono raddoppiate, sono stati aggiunti illeciti precedentemente non previsti e sono stati previsti risarcimenti di danni patrimoniali e non causati dal trattamento. Inoltre è prevista la possibilità da parte del Garante di disporre il blocco o la sospensione provvisoria di operazioni di trattamento con o senza presenza di ricorsi da parte dell’interessato. Il diritto alla riservatezza e all’accesso sono quindi non solo sanciti dal Codice, ma anche garantiti, sebbene il cittadino sia definito “interessato”, lasciando sottintendere che la sua posizione giuridica in relazione a questi due istituti si configuri più come interesse legittimo che non come diritto soggettivo, in quanto l’interesse privato del singolo cittadino soccombe di fronte alle necessità di trattamento dei dati personali che le Pubbliche Amministrazioni sono chiamate a svolgere nel rivestimento delle loro funzioni istituzionali finalizzate all’interesse generale. Proprio entro tali limiti il diritto alla riservatezza è garantito ed il Profilo Integrato troverebbe l’esplicazione del proprio requisito di privacy: il Codice infatti introduce il principio di necessità, ben più forte rispetto a quello di pertinenza della L.675/96. L’art.3 infatti afferma che “I sistemi informativi e i programmi informatici sono configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità”. E poi, anche nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali, gli enti pubblici – al pari dei privati - devono porre in essere delle azioni che rafforzino la garanzia di riservatezza e protezione: a. definire i profili di autorizzazione, ovvero l’insieme delle informazioni, univocamente associate ai

singoli individui, che consentono di individuare a quali dati ciascuno di loro può accedere ed i trattamenti ad essi consentiti

b. costruire un sistema di autorizzazione, che abiliti concretamente l’accesso ai dati solo alle persone effettivamente autorizzate

c. porre in essere le misure minime di sicurezza (ovvero il complesso delle misure tecniche e tecnologiche, organizzative e logistiche che prevengano l’accesso non autorizzato, il trattamento non consentito, o il trattamento non conforme alle finalità della raccolta dei dati)

Il diritto di accesso ai dati personali, che configurerebbe effettivamente il requisito di accessibilità del Profilo, è previsto dall’art.7, che afferma che “l’interessato ha diritto di ottenere la conferma

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelleggibile”. Non solo egli può ottenere l’indicazione dell’origine, delle finalità e delle modalità del trattamento, ma può ottenerne l’aggiornamento, la rettifica e l’integrazione e, al limite, la cancellazione e il blocco, se si tratta di dati trattati in violazione della legge. Tutti questi diritti, che attengono in parte al requisito di accessibilità e in parte, come vedremo - al requisito di autodeterminazione, sono esercitati dall’interessato senza alcuna formalità (artt.8 e 9) e, anzi (cosa molto importante ai nostri scopi) il titolare del trattamento è tenuto (art.10) ad agevolare e velocizzare l’accesso anche attraverso strumenti telematici.

1.4.c. Requis i t i funz ional i : au todete rminaz ione e fru ib i l i tà

Ciò che definiamo requisito funzionale è strettamente legato alle modalità di trattamento del Profilo Integrato e dei dati che lo compongono: ovvero i requisiti di autodeterminazione e di fruibilità richiedono, per la loro effettiva sussistenza, una diversa visione (rispetto a quella attualmente preponderante) del concetto stesso di dato personale e delle finalità legate al suo trattamento e, di conseguenza, una diversa visione dei vincoli organizzativi e tecnologici relativi al perseguimento di tali nuove finalità. In termini generali, tale nuova visione prospetta un utilizzo dei dati personali in possesso e trattati dalle Pubbliche Amministrazioni per finalità diverse o ulteriori rispetto a quelle oggi definite “istituzionali”: si pone cioè l’ipotesi di un ampliamento di tali finalità o, meglio, una loro lettura più approfondita. Questi concetti saranno più chiari con la lettura del capitolo 2. Intanto però può essere utile capire come già nel Codice sia insito il concetto di autodeterminazione, anche se non esplicitato. Abbiamo detto che sussiste tale requisito quando

Il cittadino deve poter scegliere in quali contesti e circostanze i propri dati personali possono essere utilizzati dalle PP.AA. che non ne necessitino intrinsecamente per l‘esercizio delle loro funzioni istituzionali.

Certamente il cittadino può fare in modo (e ne ha gli strumenti) che la P.A. non usi i dati personali per finalità diverse da quelle istituzionali: infatti, come si è visto, può anche bloccarne il trattamento e richiedere un risarcimento. Ma se egli volesse, potrebbe permettere lecitamente alla P.A. di farlo, laddove ritenga di soddisfare un proprio interesse? Dato che le Pubbliche Amministrazioni trattano i dati personali per svolgere le funzioni istituzionali (di interesse pubblico) di cui sono competenti, non è richiesto che il cittadino esprima il consenso al trattamento di tali dati50. Ma, ci si chiede, se una Pubblica Amministrazione volesse offrire al cittadino servizi a valore aggiunto che richiedano il trattamento di dati personali per la loro erogazione, può farlo purché ne chieda il consenso all’interessato esplicitando le finalità che vuole perseguire? Può cioè avvenire tale incontro di interessi? Se questa ipotesi venisse suffragata (alcuni enti pubblici l’hanno già attuata) il requisito di autodeterminazione sarebbe sulla buona strada dall’essere riconoscibile in capo ai dati che (sussistendo il pre-requisito dell’unitarietà) compongono il Profilo Integrato del cittadino. Ovviamente un secondo passo dovrebbe essere quello dell’individuazione da parte delle PP.AA. di quei servizi a valore aggiunto di cui parlavamo poc’anzi, strettamente legati, peraltro, al concetto di personalizzazione (nei termini descritti in 1.1). La sussistenza del requisito di fruibilità richiede ancora molta maturazione, non tanto e non solo organizzativa e tecnologica, ma soprattutto culturale. Esso è soddisfatto quando

50 L’eccezione a questa regola è data dal trattamento di dati indicanti lo stato di salute da parte medici di base e strutture del Sistema

Sanitario Nazionale (art.72).

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1.4 Il Profilo Integrato del Cittadino: pre-requisiti e requisiti funzionali

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Il cittadino può utilizzare in Rete i propri dati personali - anche se prodotti e detenuti presso una P.A. - in contesti diversi da quelli che prevedono interazioni dirette con le PP.AA. stesse.

Nessuna norma si è mai spinta a prefigurare la Pubblica Amministrazione come infomediario, come Intermediario di Trust (nel senso descritto in 1.2). Come si è tentato di dimostrare, tale ruolo potrà essere svolto dal soggetto pubblico solo quando sarà in grado di svolgere la funzione di provider di servizi e di gestore dei dati personali del cittadino in maniera efficiente e adeguata, in primo luogo nelle interazioni che lo vedono direttamente coinvolto.

1.4.d. La gest ione dei da t i personal i nei rappor t i in ter is t i tuz iona l i : problemat iche

I requisiti del Profilo Integrato, anche laddove rispettati, potrebbero non essere risolutivi. Potrebbero presentarsi problematiche legate ai rapporti interistituzionali, e quindi alla complessità delle norme e delle prassi che regolano il funzionamento dei flussi informativi tra i vari soggetti istituzionali. Soprattutto per l’esplicazione funzionale dei requisiti di autodeterminazione, accessibilità e fruibilità potrebbero sussistere problemi per il trattamento dei dati sensibili e giudiziari. Alcune attività prettamente amministrative, ad esempio, necessitano di informazioni in possesso di organi afferenti a poteri diversi da quello esecutivo e quindi non svolgenti funzioni amministrative51. In questi casi di solito si tratta di organi del potere giurisdizionale: i servizi al cittadino – che in questo contesto si configurano come concessioni o autorizzazioni (license) secondo la categorizzazione dell’UE illustrata in 1.3.c – sono legati a processi informativi che non si conformano alla normativa generale sui tempi dei procedimenti [174] e sul trattamento dei dati personali [197]. I dati personali di cui necessita l’organo o l’ente procedente non possono quindi essere parte del Profilo Integrato, in quanto non rispondono ai requisiti che devono caratterizzare indistintamente tutti i dati del Profilo, in particolare quelli di autodeterminazione, accessibilità e fruibilità da parte dell’interessato. Il caso rappresentato nella figura successiva è emblematico: la Questura in questo caso è l’ente competente allo svolgimento di un procedimento amministrativo di autorizzazione (semplificato attraverso l’istituto del silenzio-assenso) all’attività di un imprenditore orafo52: per poter svolgere la fase istruttoria del procedimento l’Ufficio di Polizia competente deve poter verificare alcuni requisiti soggettivi del richiedente che si configurano come dati giudiziari, custoditi presso il CED Interforze; l’accertamento però potrebbe richiedere ulteriori approfondimenti che necessitano dell’apertura di flussi informativi tra Ufficio Procedente e, ad esempio, Tribunale competente dell’eventuale procedimento giudiziario a carico dell’imprenditore.

51 Sulle articolazioni del soggetto pubblico che svolgono funzioni amministrative si veda il paragrafo 1.3 alla pagina 43. 52 Proprio per la delicatezza dell’attività, che comporta anche l’acceso e la fruizione di materiale pericoloso, il procedimento di autorizzazione

è affidato all’Autorità di P.S., che ha facoltà di accedere anche ai dati giudiziari.

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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Figura 1.4.1 Difficoltà di integrazione dei dati allo stato attuale dell’ordinamento: il caso dell’inizio-attività di un’impresa orafa

I trattamenti effettuati da organi o uffici di polizia concernenti dati memorizzati nel Centro Elaborazione Dati Interforze - e quindi trattati per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati – dovrebbero essere effettuati nel rispetto di alcuni importanti principi previsti prima dalla L.675/96 e poi dagli artt.11 e 22 del Codice, sotto il profilo della liceità, correttezza, esattezza e aggiornamento, della pertinenza, della completezza e della non eccedenza rispetto alle finalità istituzionali e, infine, della conservazione per il solo periodo di tempo necessario al raggiungimento degli scopi. Spesso però la manutenzione dei dati è difficoltosa, proprio perché i tempi dell’organo giudiziario sono diversi da quelli ai quali sono sottoposti ad esempio le Pubbliche Amministrazioni. Gli uffici di polizia dovrebbero verificare periodicamente la rispondenza a tali principi dei dati trattati, apportandovi, ove necessario, le modifiche o integrazioni richieste. In particolare, da tempo, il Garante spinge per una più coerente disciplina dei flussi di informazione fra i vari uffici competenti - dall’ufficio giudiziario all’ufficio di polizia che ha attivato il procedimento e tra uffici di polizia - in modo tale da consentire che i dati possano essere completi in ogni sede interessata. L’art.54 del Codice infatti prescrive che il CED assicuri l’aggiornamento periodico anche attraverso interrogazioni autorizzate del casellario giudiziale e del casellario dei carichi pendenti del Ministero di Giustizia o delle altre banche dati delle Forse di Polizia. Allo stato, mancano, infatti, dispositivi che assicurino organicamente e sistematicamente un effettivo aggiornamento dei dati, e questo risulta increscioso soprattutto quando la vicenda giudiziaria si concluda con un provvedimento favorevole nei confronti del cittadino.

1.4.e. Requis i t i re lat iv i a l le s ingo le t ipolog ie d i dato per sonale

Come anticipato all’inizio del paragrafo, ciascun attributo afferente al Profilo è dotato di requisiti tipici: gli attributi sono infatti distinguibili almeno attraverso le due variabili “macro-categoria” e “occorrenza”, che possono rivelarsi rilevanti per la gestione del Profilo stesso. Le “macro-categorie” di appartenenza di un dato del Profilo hanno a che fare con definizioni del tipo “dati anagrafici”, “dati economici”, “dati su istruzione e formazione”, “dati su salute”. La volontà di non applicare una metodologia di analisi deduttiva consiglia però di non definirle a priori, ma di identificarle sulla base dei seguenti due parametri:

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1.4 Il Profilo Integrato del Cittadino: pre-requisiti e requisiti funzionali

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“settore di intervento” delle PP.AA. chiamate per funzione istituzionale a trattare il dato nei procedimenti e nei subprocedimenti di cui sono competenti

“tipologie di servizio” nelle quali il dato è coinvolto. Queste ultime riguardano la definizione dei servizi in quanto registration, licence, return o income: come abbiamo visto in 1.3, attraverso queste definizioni l’Unione Europea distingue rispettivamente i servizi anagrafici, i servizi relativi a permessi, licenze, autorizzazioni e concessioni, i servizi generatori di reddito per il soggetto pubblico e infine i servizi redistributivi di reddito (sociali, sanitari, previdenziali). Per la costruzione del Profilo Integrato sono rilevanti i servizi di licence e registration: i servizi return e income infatti si basano su di essi. Si noti infatti che per accedere ad un servizio sociale sono richieste informazioni – anagrafiche, reddituali, … - derivanti da precedenti o contestuali servizi di registrazione (procedimenti dichiarativi) o autorizzazione (procedimenti costitutitvi) e che molti servizi return e income prevedono per la loro esplicazione anche servizi di licence e registration (cioè subprocedimenti), che in sede di costruzione del Profilo dovranno essere comunque considerati. Ciascun dato sarà quindi collocato all’interno di ciascuna “macro-categoria” sulla base del settore di intervento della P.A. competente dei procedimenti di licence e registration entro i quali il dato è trattato.

L’”occorrenza” invece è la quantità di tipologie di PP.AA. che devono trattare il dato; sulla base di tale parametro è possibile distinguere tra tre tipologie di dati: 1 occorrenza completa: dati trattati nei procedimenti di tutte le tipologie di PP.AA.; 2 occorrenza rilevante: dati trattati nei procedimenti di alcune53 tipologie di PP.AA.; 3 occorrenza specifica: dati trattati solo in specifici procedimenti o solo in relazione ad una specifica

tipologia di P.A.. Il parametro relativo all’”occorrenza” è importante in quanto incide sulla localizzazione fisica che si intende attribuire ai dati del Profilo al fine di agevolare l’esplicazione dei requisiti di accessibilità e fruibilità del Profilo da parte del cittadino e di sicurezza dei dati stessi. Ad esempio, i dati ad occorrenza completa potranno essere convenientemente inseriti nella CIE, mentre quelli ad occorrenza rilevante potrebbero esservi inseriti facoltativamente; quelli ad occorrenza specifica invece potrebbero rimanere in possesso delle sole PP.AA. che ne necessitano o addirittura potrebbero essere forniti direttamente dal cittadino soltanto al momento dell’erogazione del servizio. Come si è tentato di dimostrare, cioè, le modalità attraverso le quali si procede nella strutturazione del Profilo incideranno senza dubbio nei processi di gestione dello stesso.

1.4.f. Come contes tual izzare i l Pro f i lo ne l le po l i t iche d i e-government

L’esistenza del Profilo Integrato del cittadino potrebbe agevolare il perseguimento di due importanti obiettivi operativi: 1. sarebbe possibile innanzitutto eliminare i servizi licence e registration (definiti dalla Commissione

Europea “falsi servizi”): si presupporrebbe infatti che il dato, per il solo fatto di trovarsi nel database del Profilo, sia già stato certificato dalla P.A. competente; ciò significa che tali servizi si trasformerebbero in semplici subprocedimenti interni esplicatesi, da parte delle PP.AA. deputate a verificare lo “stato” relativo a quella specifica variabile di quello specifico cittadino, in semplici notifiche di variazione dello “stato” nel database; alla stessa stregua si rivelerebbero obsolete le Conferenze di Servizi previste dall’art.14 comma 2 della L.241/90 ai fini della semplificazione

53 Il criterio quantitativo discriminante affinché un attributo sia inserito nella prima o nella seconda categoria potrà essere individuato solo al

termine della terza fase analitica.

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1.L’identità del cittadino nella Rete delle Pubbliche Amministrazioni

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amministrativa, qualora “i concerti, le intese, i nulla osta e gli assensi richiesti” non siano sottoposti a discrezionalità ma debbano rispondere a specifici criteri;

2. si realizzerebbe inoltre fattivamente il primo obiettivo dei Piani di e-government, cioè quello di rendere possibile al cittadino l’accesso ad un prestazione presso qualsiasi P.A. (qualsiasi, sia dal punto di vista territoriale che funzionale) o addirittura presso qualsiasi soggetto in Rete (privato o pubblico che sia, purché sia in grado di svolgere funzioni di front-office rispondendo ai requisiti di sicurezza ed efficienza).

Il non ragionare in termini di articolazioni delle PP.AA. e di funzioni istituzionali– limitandosi al solo approccio per “eventi” illustrato in 1.3.c – rende paradossalmente impossibile il superamento dell’approccio settoriale alle azioni delle PP.AA. stesse. Tale impostazione potrebbe avere effetti negativi anche sull’efficacia del recente Portale Nazionale del Cittadino54, limitandolo alla sola funzione di macro-contenitore di link a PP.AA. diverse, a ciascuna delle quali il cittadino deve comunque rivolgersi on-line (anche se non dovendosi più spostare allo sportello reale) per portare a termine i vari subprocedimenti; si fa cioè un passo avanti senza dubbio dal lato dell’informazione e della trasparenza amministrativa, ma non da quello della semplificazione e della efficienza.

54 Alla stregua del portale Europa, obiettivo di eEurope 2002, nel febbraio 2002 il Governo italiano ha individuato come obiettivo la

realizzazione del Portale Nazionale - una delle infrastrutture tecnologiche fondamentali della Rete Nazionale – con lo scopo di offrire a tutti i cittadini l’immediata conoscenza dei servizi disponibili e l’agevole indirizzamento per il soddisfacimento delle proprie esigenze. Il Portale – entrato in funzione nel giugno 2002 – vuole in primo luogo offrire un punto unico di accesso ai servizi digitali della P.A. e trasmettere una visione chiara ed organica della P.A. impostando l’interfaccia e i percorsi di navigazione attraverso l’approccio degli eventi della vita. Il Portale è un utile campo di sperimentazione da parte del cittadino-utente delle tecnologie di autenticazione e validazione come la CIE, la CNS e la firma digitale, e funge da modello per l’implementazione di approcci user-oriented attraverso metodologie di rilevazione della customer satisfaction e soprattutto attraverso una costruzione che garantisce il pieno rispetto delle regole di usabilità e accessibilità contenute nelle linee-guida del marzo 2001 emesse dal Ministro della Funzione Pubblica in seguito alle linee-guida per l’accessibilità dei siti web (WAI) del W3C.

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2.1 Nuove forme di comunicazione pubblica e istituzionale

57

2. Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

2.1 Nuove forme di comunicazione pubblica e istituzionale

Le origini del processo di legittimazione giuridica dell’istituto della comunicazione istituzionale55 risalgono al 1990, quando con la L.142/90 (Ordinamento delle autonomie locali [188]) il legislatore dichiarò per la prima volta che “tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del Sindaco o del Presidente della Provincia che ne vieti l’esibizione conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza” e prescrisse che gli EE.LL. – attraverso apposito regolamento – dettassero le norme necessarie per assicurare il diritto dei cittadini di accedere in generale alle informazioni in possesso dell’amministrazione. La definizione giuridica di “atto pubblico” – per quanto limitata nella fattispecie agli atti dei soli EE.LL. - risultava molto ampia e contemplava implicitamente tutti i provvedimenti amministrativi a ricaduta individuale e collettiva e le delibere consiliari e di giunta; cosa più importante, la norma di fatto non poneva alcuna pregiudiziale soggettiva per la visibilità dell’atto stesso: la L.142 prevedeva che tutti gli atti fossero pubblici salvo espressa norma di legge, che a quel momento doveva ancora essere emanata. Fu così che la L.241/90 [175] (nel Capo relativo alla partecipazione al procedimento amministrativo) disciplinò i casi nei quali sarebbe stato possibile per il cittadino accedere ai provvedimenti amministrativi di qualsivoglia P.A.– riconoscendo il diritto di accesso agli atti ai soli portatori di diritti soggettivi legati all’emanazione di quegli atti (“soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi”, nonché – laddove facilmente identificabili - a quelli ai quali il provvedimento potrebbe recare pregiudizio) - restringendo quindi nella sostanza le disposizioni della L.142/90 (in quanto con la legge si disciplinavano le fattispecie nelle quali era previsto l’accesso e non quelle nelle quali non era previsto) ma estendendo al contempo il diritto di accesso ai provvedimenti di tutti le PP.AA.. Lo stesso Capo riconosceva l’obbligo da parte delle PP.AA. procedenti di comunicare ai soggetti rispondenti ai requisiti suddetti l’avvio del procedimento. La legge precisava che le disposizioni relative alla partecipazione al procedimento amministrativo non si applicassero agli atti normativi (leggi), amministrativi generali (regolamenti) e di pianificazione e di programmazione (Piani), per i quali restavano in vigore le norme particolari che ne regolavano la formazione, così come vigevano evidentemente le norme che ne disciplinavano la pubblicizzazione legale e obbligatoria (norme sulla pubblicazione nelle Gazzette Ufficiali nazionale e regionali – resa recentemente obbligatoria anche on-line in forma gratuita - e norme regolamentari in attuazione della L.142/90). In seguito, l’art.12 del D.lgs.29/93 [177], al fine di dare piena attuazione alla L.241/90 istituì gli Uffici Relazioni con il Pubblico (URP), chiamati - “anche attraverso l’utilizzo di tecnologie informatiche” - a

55 Si vedano due i testi fondamentali di Rolando S.: La comunicazione pubblica in Italia; Roma, 1995 e Arena G.: La comunicazione di

interesse generale; Il Mulino, Bologna, 1992.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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provvedere all’informazione al cittadino relativa agli atti e allo stato dei procedimenti (ai sensi della L.241/90), a garantire il diritto del cittadino all’accesso ai provvedimenti amministrativi e a favorire “modalità di accesso informale alle informazioni in possesso dell’amministrazione e ai documenti amministrativi”. Si prevedeva inoltre che “al fine di assicurare la conoscenza di normative, servizi e strutture” le Amministrazioni Pubbliche programmassero e attuassero iniziative di pubblica utilità. Tali disposizioni sono state infine tutte riassunte, sistematizzate ed integrate dalla L.150/00 “Disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni” [187].

2.1.a. Livel l i m in imi d i pubb l ic i tà

Come abbiamo visto anche in 1.3, ciascuna attività del soggetto pubblico consiste intrinsecamente nell’emanazione di atti giuridici, per i quali la normativa sulla pubblicazione degli atti, sul diritto di accesso agli atti (L.241/90, L.142/90, D.Lgs. 29/93) e sulla documentazione amministrativa (DPR. 445/00 [190]) prescrive differenti livelli minimi di pubblicità, le attività che la P.A. è tenuta a porre in essere e i canali che deve utilizzare. In questo senso distinguiamo due categorie di flussi comunicativi tra P.A. e cittadino: top-down e bottom-up. Nei casi in cui la P.A. è obbligata ad assicurarsi del recepimento effettivo dell’informazione da parte dei soggetti destinatari dell’atto definiamo il flusso top-down (dall’alto al basso). Si pensi ad un provvedimento amministrativo particolare, ad esempio un provvedimento di esproprio di un terreno: in questo caso sussiste l’obbligatorietà da parte della P.A. di raggiungere i soggetti nei confronti dei quali esso è destinato a produrre effetti diretti (il proprietario del terreno), a quelli che per legge devono essere coinvolti (ad esempio il Consorzio degli enti che porranno in essere l’opera pubblica che sorgerà su quel terreno) e a quelli - solo qualora sia possibile identificarli e conseguentemente reperirli - ai quali il provvedimento potrebbe recare pregiudizio (ad esempio, tutti coloro che godono su quel terreno di una servitù di passaggio o - difficilmente identificabili e reperibili - tutti i soggetti portatori dell’interesse diffuso al mantenimento nella zona di un’area verde piuttosto che edificata). Nei casi invece in cui è il cittadino, qualora interessato, a doversi attivare per ottenere l’informazione, definiamo il flusso bottom-up (dal basso all’alto). Quando ad esempio una legge viene approvata definitivamente dal Parlamento, il soggetto pubblico è tenuto a pubblicarla nella Gazzetta Ufficiale, ma non è richiesto che si preoccupi che tutti i potenziali destinatari ne prendano visione o siano consapevoli della sua emanazione: è il cittadino infatti che – per non incorrere in eventuali sanzioni dovute ad inadempimenti o contravvenzioni – deve informarsi (ignorantia legis non excusat).

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2.1 Nuove forme di comunicazione pubblica e istituzionale

59

Contenuto della comunicazione istituzionale

attivazione del flusso informativo Cittadini interlocutori Soggetti pubblici chiamati

ad interloquire

Atti normativi formali e sostanziali56 Bottom-up Tutti Gazzetta Ufficiale

Provvedimenti amministrativi generali57 Bottom-up Portatori di diritti soggettivi

Portatori di interessi legittimi Ufficio Relazioni con il Pubblico

Provvedimenti amministrativi particolari58 Top-down

Portatori di diritti soggettivi Soggetti coinvolti per legge Portatori potenziali di diritti

soggettivi Ufficio procedente

Avvio del procedimento amministrativo59 Top-down

Portatori di diritti soggettivi Soggetti coinvolti per legge Portatori potenziali di diritti

soggettivi Ufficio procedente

Stato del procedimento amministrativo Bottom-up

Portatori di diritti soggettivi Soggetti coinvolti per legge Portatori potenziali di diritti

soggettivi

Ufficio Relazioni con il Pubblico Ufficio procedente

Dati personali Bottom-up

Soggetto interessato Delegato Tutore degli interessi

dell’interessato deceduto o della sua famiglia

Ufficio che effettua il trattamento dei dati

Tabella 2.1.1 Contenuti ed interlocutori dei processi di comunicazione istituzionale previsti dall’ordinamento vigente.

Da un punto di vista strettamente funzionale le fattispecie legate all’obbligatorietà dell’attivazione del flusso comunicativo narrowcast (uno-a-molti) da parte della P.A. sembrano dipendere dai limiti che nella pratica impedirebbero il raggiungimento diretto di tutti i potenziali destinatari: è in questi casi infatti che si rimette all’interessamento attivo del cittadino il compito di procurarsi l’informazione. Da ciò ne deriva che, se tale difficoltà di raggiungimento venisse meno (ad esempio grazie al supporto delle nuove tecnologie), la normativa attualmente in vigore si rileverebbe inadeguata. In uno scenario caratterizzato dall’esistenza di una base di dati contenente il Profilo Integrato di ogni cittadino, l’attivazione dei processi comunicativi potrebbe infatti essere top-down per ogni casistica contemplabile: le PP.AA. cioè sarebbero in grado di individuare a priori (per tutti i casi – peraltro esaustivi60 – enucleati nella Tabella 2.1.1) tutti i cittadini aventi i requisiti soggettivi che li qualificano come destinatari del processo comunicativo e attivare pertanto processi di comunicazione pro-attiva e personalizzata a questi diretta.

56 Rientrano in questa categoria giuridica le leggi, i regolamenti esterni, gli Statuti degli enti territoriali, le ordinanze per prescrizioni generali ed

astratte, le cd. circolari-regolamento, le direttive degli organi di vertice dell’amministrazione (cd. atti di alta amministrazione). 57 Rientrano in questa categoria ad esempio le delibere di Giunta Comunale o Provinciale che istituiscono un nuovo servizio o che modificano

le tariffe I.C.I., ovvero i Provvedimenti dirigenziali che emanano regolamenti per il funzionamento di uno specifico servizio al cittadino o bandi di concorso.

58 Rientrano in questa categoria i Provvedimenti (dirigenziali) con i quali si agisce sulla sfera giuridica di individui o persone giuridiche specifiche.

59 Materialmente la comunicazione si configura con lo stile di una missiva. 60 L’ultima fattispecie della Tabella 2.1.1 peraltro riguarda l’art.7 del Codice sulla protezione dei dati personali, relativo al diritto di accesso ai

propri dati detenuti da una P.A. da parte del cittadino: qualora esistesse il Profilo Integrato, come si è visto in 1.4, tale diritto si sostanzierebbe nel requisito di accessibilità.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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2.1.b. Un’archi tet tura ad hoc

Si è disquisito in 1.4.b sul requisito della privacy che deve caratterizzare il Profilo Integrato: tale requisito può essere massimamente garantito dall’automazione (come convenientemente ha evidenziato più volte il Garante per la Privacy) dei processi di:

a) individuazione dei (potenziali) destinatari dei provvedimenti e dei servizi b) comunicazione pro-attiva

Gli stessi atti oggetto della comunicazione istituzionale dovranno quindi essere tutti descritti univocamente sulla base di attributi caratterizzanti che possano essere messi in relazione con gli attributi del Profilo Integrato corrispondenti ai requisiti soggettivi attraverso i quali è possibile determinare le tipologie di potenziali destinatari degli atti stessi. L’automazione di tali processi può configurarsi attraverso un’architettura tecnologica che preveda i seguenti elementi61:

1. i Profili Integrati dei cittadini marcati da tag XML previsti da uno specifico XML-schema 2. gli atti marcati da tag XML previsti da uno specifico XML-schema62 e aventi alcuni tag uguali a

quelli del Profilo Integrato nella parte relativa ai presupposti e al dispositivo (e quindi ai requisiti soggettivi dei potenziali o diretti destinatari dell’atto: si veda Figura 1.3.1 a pagina 38)

3. una sorta di data-base (anche virtuale) nel quale siano immagazzinati tutti i Profili Integrati 4. una sorta di repository temporanea degli atti emessi dalle Pubbliche Amministrazioni, ovvero una

sorta di “bacheca” nella quale ciascuna P.A. iscriva digitalmente e secondo l’XML-schema specifico l’atto da rendere pubblico

5. una sorta di catalogo delle tipologie di atti giuridici, alla quale tutti gli atti pubblicati nella repository temporanea debbano uniformarsi per garantire la cooperazione applicativa63 tra i soggetti del sistema

61 In questa sede non vorremmo entrare nel merito dell’infrastruttura tecnologica, ma ci sembra necessario fare determinati riferimenti per

rendere più chiaro, attraverso specifici casi esemplificativi, lo scenario ipotizzato. 62 Si ricorda che con il termine “atti” si intende riferirsi ad un’entità “formale”, in quanto macrocategoria che nella sostanza comprende norme,

servizi e provvedimenti (che formalmente, infatti, si sostanziano in “atto giuridico”); relativamente agli atti normativi, si ricorda che il programma NormeInRete promosso dall’AIPA si prefigge proprio l’obiettivo, peraltro in parte già conseguito, di elaborare il DTD dei testi giuridici allo scopo precipuo di agevolarne la ricerca e il trattamento attraverso il web.

63 Di cooperazione applicativa parleremo più approfonditamente in 2.4.

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2.1 Nuove forme di comunicazione pubblica e istituzionale

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Figura 2.1.1 Gli elementi dell’architettura tecnologica per i processi di comunicazione pro-attiva.

L’operazione di matching tra il data-base dei Profili Integrati e quello degli atti emanati è oggetto dell’attività di applicazioni ad hoc costituenti quello che chiamiamo agente di processo: tale operazione cioè non richiederebbe l’intervento di alcun operatore umano; infatti lo stesso agente di processo è competente del pushing dell’informazione dalla repository temporanea degli atti al cittadino destinatario.

Figura 2.1.2 I flussi della Rete per la comunicazione personalizzata e pro-attiva.

L’agente di processo e il data-base dei Profili Integrati dei cittadini sono componenti specifici dell’Intermediario di Trust, il soggetto della Rete che – secondo lo scenario ipotizzato in 1.2 – fornisce il servizio principale di “gestore dei dati personali del cittadino” e ha la funzione istituzionale di

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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ottimizzare quanto più possibile tale prerogativa per rendere il soggetto pubblico provider di servizi di eccellenza in Rete. Dal punto di vista funzionale, quindi, il processo vero e proprio di comunicazione è attuato non dalla singola P.A. che ha emesso l’atto, ma da un altro soggetto della Rete che opera per tutte le PP.AA.. Grazie agli strumenti telematici, che permettono il matching tra le caratteristiche di nuove norme e nuovi interventi e gli attributi afferenti a ciascun cittadino, potrebbe prospettarsi dunque una nuova forma di comunicazione personalizzata e pro-attiva, che garantisca il diritto di accesso e di informazione istituzionale senza che si richieda alcuna istanza o alcuna azione specifica da parte del cittadino.

2.1.c. Obbl igator ietà de l la comun icaz ione pubb l ica e responsabi l i tà de l c i t tad ino

Dato che nello scenario ipotizzato non sussistono i limiti tecnici che sino ad oggi hanno impedito alla P.A. di raggiungere direttamente tutti i potenziali destinatari degli atti, la comunicazione istituzionale personalizzata potrebbe prospettarsi come un dovere istituzionale, al pari dei precedenti e parziali doveri di comunicazione dell’avvio dei procedimenti e dei provvedimenti amministrativi. D’altra parte, questa forma di comunicazione pro-attiva e personalizzata è al momento un servizio a valore aggiunto, cioè non rientra nelle finalità di interesse pubblico previste dall’ordinamento giuridico, per le quali è rispettato il principio di necessità nel trattamento dei dati personali del cittadino, come disposto dal relativo Codice [197]. Ed è anche vero che il cittadino potrebbe non avere interesse a fruire di un tale servizio, preferendo il modus operandi attuale del soggetto pubblico. Affinché quindi sia rispettato il requisito di autodeterminazione del Profilo Soggettivo, è necessario che il cittadino esprima il proprio consenso al trattamento dei dati personali ai fini di comunicazione istituzionale pro-attiva: alla stregua di ciò che fa un’organizzazione privata – ad esempio per scopi di marketing diretto – l’Intermediario di Trust rilascia al cittadino una informativa recante le modalità e gli obiettivi di trattamento dei dati personali da parte del soggetto pubblico, richiedendone specifico consenso. Il consenso deve poter essere fornito dal cittadino in relazione a ciascun settore ciascuna tipologia di atto ciascun ambito territoriale di interesse

per consentirgli di selezionare gli elementi per i quali lo stesso sia interessato a ricevere pro-attivamente comunicazioni. L’impostazione di default del modulo per il consenso al trattamento dei dati personali dovrebbe però prevedere opzionata l’espressione di consenso alla comunicazione pro-attiva da parte dell’Intermediario di Trust in merito a tutte le tipologie di atti interrelabili con gli attributi del Profilo. Il cittadino, nei casi in cui esprimesse la volontà di non essere informato pro-attivamente, si assumerebbe così la responsabilità di acquisire autonomamente le informazioni (con processo bottom-up) e quindi di imbattersi in eventuali contravvenzioni o inadempimenti causati da omissioni relative al suo dovere di auto-informazione, incorrendo nelle sanzioni previste. Laddove, però, in sede di accertamenti si riscontrasse l’esistenza dell’accettazione al trattamento dei dati in relazione a categorie di atti nelle quali rientri la fattispecie interessata dall’inadempimento e contestualmente si riscontrasse la mancata comunicazione pro-attiva da parte della P.A., sarebbe rilevabile e certificabile l’inadempimento della stessa.

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2.1 Nuove forme di comunicazione pubblica e istituzionale

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La tutela del cittadino nei confronti delle inadempienze comunicative della P.A. sarebbe infatti garantita rispetto al presente, in cui determinate forme di comunicazione sono lasciate alla volontà di ciascuna singola Amministrazione. Si pensi ad esempio al caso della mancata comunicazione pro-attiva relativa a bandi di gara o a bandi per la concessione di benefici a determinate categorie: qualora il cittadino dovesse rilevare l’esistenza dello specifico atto in ritardo rispetto ai termini per la presentazione della domanda e per questo venisse escluso dalla gara, l’inadempienza della P.A. potrebbe essere impugnata ed il cittadino, qualora ne sussistano le condizioni, reintegrato nella gara o risarcito. Questo avverrebbe perché, nel momento in cui un nuovo servizio assurge a servizio pubblico (in questo caso di comunicazione pro-attiva) inerente una specifica funzione istituzionale, il soggetto pubblico assume rispetto al cittadino degli obblighi e il cittadino a sua volta assume dei diritti soggettivi in relazione a quello specifico servizio.

2.1.d. Per una trasparenza sos tanz ia le del l ’az ione amminis trat iva

Uno degli obiettivi dei Piani di Azione di e-Government è la trasparenza amministrativa, affinché il cittadino non debba più preoccuparsi delle procedure amministrative e di come le PP.AA. funzionano. L’approccio qui proposto prefigura una diversa concezione della trasparenza, che non è relativa al processo ma all’output dell’azione amministrativa. Nello scenario proposto, il concetto di trasparenza dei procedimenti amministrativi assume un significato sostanziale: a prescindere dall’interessamento del cittadino e dalla sua propensione ad informarsi - strettamente correlata ad una consapevolezza civica che configura già una situazione privilegiata - le opportunità che l’ordinamento offre sono rese trasparenti a chiunque. Soprattutto nei casi di atti che comportano l’erogazione di benefici o agevolano il miglioramento di condizioni soggettive è importante che i cittadini più svantaggiati vengano a conoscenza delle opportunità che l’ordinamento e le politiche pubbliche offrono. La comunicazione istituzionale personalizzata e pro-attiva può funzionalmente garantire tale condizione, ma i relativi processi comunicativi non si dimostreranno efficaci se i destinatari non saranno in grado di recepirne pienamente i contenuti o troveranno difficoltà nell’interagire con gli strumenti. L’usabilità è pertanto un requisito imprescindibile del sistema affinché questo non concorra paradossalmente ad allargare la forbice tra cittadini integrati e cittadini emarginati. E’ necessario quindi che il matching tra Profilo Integrato e requisiti soggettivi previsti dagli atti sia indipendente dalla forma di comunicazione: questo sistema può cioè supportare il principio della multicanalità del contatto con il cittadino. Dopo che siano stati individuati i destinatari del flusso informativo, infatti, l’agente di processo può passare il token ad un’applicazione deputata ad avviare il processo comunicativo avendo diverse opzioni di instradamento del messaggio; la comunicazione può: essere inviata automaticamente per e-mail andare a caricare una pagina ad hoc nel sito adattivo64 dei rapporti con la P.A. messo a

disposizione di ciascun cittadino (una sorta di versione adattiva del Portale Nazionale) essere inoltrata ad un call center con il compito di contattare telefonicamente il cittadino essere recapitata ad un distretto socio-sanitario affinché l’assistente sociale convochi il proprio

utente o si rechi presso la sua abitazione essere inviata al medico di famiglia

64 Un sito è “adattivo” quando la sua forma e/o i suoi contenuti si trasformano in relazione al profilo dell’utente che vi naviga.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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essere inviata al tutore ………

Ciascun cittadino può scegliere, al momento della dichiarazione di consenso al trattamento dei dati e di sottoscrizione al servizio di comunicazione personalizzata e pro-attiva, i canali attraverso i quali preferisce essere informato; se il cittadino dovesse accettare l’impostazione di default, abbracciando il servizio con una sorta di silenzio-assenso e quindi non indicando alcuna preferenza sul canale, la comunicazione sarebbe impostata in una delle modalità automatiche, ovvero e-mail o sito adattivo – che non richiedono quindi il coinvolgimento di soggetti terzi - al fine di garantire la privacy dei dati nei termini indicati dal Garante. Peraltro l’utilizzo della Rete come canale per la fruizione dei servizi delle PP.AA. agevola numerose altre funzionalità del sistema. Nel caso che il contenuto del processo comunicativo attraverso e-mail od home page adattiva riguardi l’attivazione di un servizio al quale il cittadino informato può ed è interessato ad accedere, potrebbe essere agevolata l’attivazione immediata del processo di servizio attraverso appositi links alla pagina specifica della P.A. o forms ad hoc. Inoltre, l’utilizzo della Rete per l’accesso on-line ai servizi supportato dall’esistenza del Profilo Integrato, permette alle PP.AA. di considerare il cittadino che richiede uno specifico servizio come soggetto complesso a più dimensioni: la richiesta potrebbe attivare infatti una serie di presupposizioni da parte del sistema che è in grado di identificarlo e di attribuirgli proprietà indipendenti dai requisiti relativi al servizio specifico richiesto; essa potrebbe essere pertanto interpretata e contestualizzata in relazione al soggetto nel suo complesso: tale interpretazione potrebbe dare luogo al pushing di informazioni e a links di accesso ad ulteriori servizi rispondenti al profilo dell’utente.

Figura 2.1.3 Personalizzazione dei canali di comunicazione.

Nello scenario appena prospettato ci si riferisce a forme di personalizzazione pro-attiva dei contenuti della comunicazione istituzionale e della personalizzazione dei canali di comunicazione. Per

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2.1 Nuove forme di comunicazione pubblica e istituzionale

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perseguire l’usabilità cognitiva del sistema è però necessario concentrare la progettazione del servizio anche sugli stili ed i registri comunicativi utilizzati e sulla fornitura di risorse per l’accessibilità nel caso di soggetti disabili. Questa è realizzabile solo facendo ricorso a:

1) moduli applicativi aggiuntivi in grado di costruire “profili di stile comunicativo”; 2) attributi relativi a dati personali “sensibili” che il Profilo Integrato del cittadino non contempla.

Nel primo caso, dato che l’elaborazione delle forme della comunicazione istituzionale avviene a monte del processo comunicativo stesso (non si è in presenza di un front-office con operatori che realizzano il servizio informativo interpretando e mediando on-time), una volta individuati gli attributi che si ritengono rilevanti per definire le abilità interpretative dell’individuo, sarà possibile costruire macro-profili complessi di stile comunicativo a cui ricondurre ciascun Profilo Integrato in relazione all’esigenza specifica di intelligibilità del messaggio. Per quanto riguarda il secondo e più complesso caso, è necessario ipotizzare (come si è fatto in 1.2.b illustrando il programma di ricerca B.E.S.T. beyond Internet) la costruzione e la gestione dei dati sensibili - utili a tracciare socialmente, culturalmente e psicologicamente l’individuo al di là delle presupposizioni che possano basarsi sugli attributi relativi all’età, all’istruzione, al reddito, … - ad opera dell’Agente Tutore dell’utente titolare del Profilo stesso. A tale scopo, soluzioni architetturali ad hoc potrebbero prevedere flussi informativi diretti tra le applicazioni che gestiscono il Profilo Integrato del cittadino e l’Agente Tutore, al fine di abilitare: a. l’utilizzo dei dati certificati del Profilo Integrato da parte dell’Agente Tutore o direttamente da parte

del cittadino (così da garantire il requisito di fruibilità del Profilo) per interagire con soggetti diversi dalle PP.AA.

b. la collaborazione dell’Agente Tutore alla costruzione di messaggi adeguati alla soggettività del cittadino.

La Figura 2.1.3 si complica quindi ulteriormente con l’aggiunta dei nuovi elementi individuati: un agente applicativo dell’Intermediario di Trust (Gestore dei macro-profili di stile), che redige il

messaggio per il cittadino secondo il macro-profilo di stile maggiormente adeguato al Profilo Soggettivo - al quale attinge attraverso un flusso comunicativo aperto con l’Agente Tutore del cittadino – e lo inoltra all’Agente di Comunicazione per l’invio personalizzato

l’Agente Tutore del cittadino, che gestisce sia il Profilo Soggettivo limitatamente alle variabili di background sia lo scambio di dati del Profilo con l’Intermediario di Trust: in output attraverso il Gestore dei macroprofili di stile ed in input attingendo direttamente al data-base dei Profili Integrati (per garantire la priorità ai requisiti di accessibilità e fruibilità del Profilo da parte del cittadino)

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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Figura 2.1.4 Usabilità strumentale e cognitiva per la trasparenza sostanziale dell’azione amministrativa.

Quest’ultimo aspetto, pur essendo legato a fasi molto evolute del sistema che si sta cercando di delineare, è alquanto rilevante, in quanto relativo all’opportunità offerta a ciascun individuo di godere pienamente dei nuovi diritti di cittadinanza che un utilizzo razionale e giuridicamente legittimato delle risorse informative in capo alle PP.AA. (il Profilo Integrato, appunto) concorrerebbe ad istituire.

2.2 Supporto alla programmazione e all’analisi dell’impatto degli interventi pubblici

Le Pubbliche Amministrazioni sono l’emblema delle organizzazioni a struttura gerarchico-funzionale65; con il complessificarsi dei sistemi socio-economici, tale struttura si è dimostrata sempre più inadeguata a consentire al soggetto pubblico un’azione consapevole che incidesse razionalmente sull’ambiente esterno. Il comportamento delle PP.AA. è stato quindi accostato a quello delle organizzazioni di tipo garbage can66: come in queste, infatti, nello svolgersi dei processi di public policy, gli attori delle Pubbliche Amministrazioni tralasciano spesso due delle fasi fondamentali del processo decisionale razionale: l’analisi preventiva (del contesto, dei bisogni e dei requisiti) e la valutazione a posteriori (dei risultati e dell’impatto delle proprie azioni sul campo di riferimento). Le PP.AA. cioè si comportano

65 Come descritta da Weber in Economia e società nel 1922 (ed. italiana: Comunità, Milano, 1961). 66 Secondo una nota definizione di March e Olsen (1982), le garbage can (“pattumiere”) sono organizzazioni nelle quali vengono svolte

innumerevoli attività e prese continuamente decisioni senza che alcun membro sia consapevole delle motivazioni legate a tali decisioni, che si sviluppano in un contesto assolutamente privo di razionalità.

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2.2 Supporto alla programmazione e all’analisi dell’impatto degli interventi pubblici

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spesso come organizzazioni passive, incapaci di scrutare le dinamiche del mondo che le circonda: il processo decisionale che le caratterizza – la programmazione politica, che si attualizza nella progettazione strategica – si basa solo raramente su informazioni provenienti dall’ambiente esterno su cui il soggetto pubblico deve andare ad incidere, mentre è guidato spesso da esigenze prettamente autoreferenziali e di autoconservazione. Inutile dire quanto questo condizioni fortemente l’efficacia potenziale dell’intervento pubblico. L’unico modo per arginare questa carenza ormai intrinseca alla natura delle Pubbliche Amministrazioni moderne è quello di rendere quanto più possibile veloci, economicamente sostenibili, attendibili, politicamente accettabili e giuridicamente legittimi i processi di analisi di contesto e valutazione di impatto delle politiche pubbliche. In questo paragrafo tenteremo di dimostrare come lo strumento del Profilo Integrato del Cittadino possa agevolare tale evoluzione della Pubblica Amministrazione e come lo sviluppo di un’architettura tecno-istituzionale in grado di gestirlo sia coerente con le recenti tendenze normative e di public policy. In pratica si tratta di mettere la P.A. in condizioni di analizzare come possa modificarsi l’ambiente in seguito ad un provvedimento legislativo o amministrativo, ovvero di carpire la dipendenza di una o più variabili caratterizzanti l’ambiente da un fattore esogeno quale può essere appunto un provvedimento normativo.

2.2.a. L’Anal is i d i Impa t to del la Regolaz ione

Proprio per perseguire l’obiettivo operativo di un più efficace intervento pubblico è stata introdotta da pochi anni a livello comunitario la metodologia dell’Analisi di Impatto della Regolazione (AIR): in un Memorandum del 1996 [142] il Presidente della Commissione Europea raccomandava che i testi legislativi si basassero “su valutazioni razionalizzate e aggiornate, che forniscano una determinazione effettiva dell’interesse comune, sottoposti a valutazione durante tutto l’iter decisionale e il periodo di implementazione e il risultato di più ampie consultazioni esterne”. L’AIR è stata in seguito esplicitata in diverse linee-guida che ne hanno tracciato lo spirito, i metodi e gli strumenti generali, alle quali fanno eccezione l’Impatto Ambientale e l’Impatto sulle Imprese (BIA), caratterizzati da metodologie di analisi ad hoc. In ciascuna tipologia di AIR una fase determinante è costituita dalla “consultazione”, ovvero la rilevazione sistematica delle opinioni dei destinatari per potenziare la base empirica di riferimento per la decisione [22]. La metodologia di rilevazione più diffusa è quella dei panels, gruppi di persone la cui disponibilità a rispondere a questionari strutturati o semi-strutturati sia stata preventivamente verificata. Essi sono distinguibili in grandi panels, composti da un campione di individui (anche migliaia di persone) che aspira ad

essere statisticamente rappresentativo della popolazione di riferimento: un esempio è il “People’s Panel” britannico, costruito nel 1998 e basato su un campione di 5.000 individui rappresentativi per età, sesso, distribuzione territoriale di residenza e altri indicatori della popolazione britannica, consultabile dal Governo discrezionalmente secondo le problematiche sul tappeto (è un panel multiscopo);

piccoli panels, composti da gruppi di soggetti competenti nella materia di indagine e regolazione: un esempio di successo è il BTP (Business Test Panel) danese, costituito da imprese di diverse dimensioni interpellate ogni qual volta venga avviato un processo di progettazione normativa che preveda impatti a loro carico.

Il ricorso all’uno o all’altro tipo di panel è legato agli scopi di rilevazione, ma entrambi pagano lo scotto di limiti insuperabili in relazione all’oggettività della valutazione delle variabili di contesto e

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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dell’eventuale previsione di impatto delle variabili esogene. Infatti vi sono casi in cui la gente comune, anche se potenzialmente interessata ad un provvedimento, non è in grado di giudicarne le conseguenze, né di quantificare i relativi costi e benefici, per cui è inevitabile il ricorso a soggetti dotati di conoscenza specialistica. Ma qui il problema è che l’esperto non sempre parla come portatore di una conoscenza disinteressata: egli può essere condizionato nel suo giudizio da rapporti di natura economica, politica, ecc…[22]. Le diverse esperienze che a livello europeo si sono registrate hanno messo in luce le numerose carenze dell’utilizzo dei panels e quindi della fase di consultazione nell’AIR. Potremmo usare il seguente elenco di carenze della metodologia del panel come una sorta di check list con cui valutare l’aderenza delle diverse metodologie di rilevazione utilizzabili ai bisogni informativi legati a differenti processi decisionali [25]:

a) Intempestività rispetto alle fasi del processo regolativo. b) Rischio di esclusione di soggetti rilevanti in relazione al problema oggetto dell’intervento (ci si

deve basare sempre su un “campione”, per quanto rappresentativo). c) Mancanza di trasparenza circa le informazioni su cui la decisione si baserà: attraverso i panels

vengono più spesso rilevate le opinioni piuttosto che l’interconnessione tra le caratteristiche strutturali (anagrafiche, professionali, economiche, culturali, …) del singolo membro del panel, mentre proprio queste possono rendere il soggetto più o meno condizionato dal provvedimento di regolazione oggetto della discussione.

d) Non generalità dei dati raccolti rispetto ai fini conoscitivi veramente funzionali alla fase di regolazione.

CARENZE METODOLOGICHE

Intempestività Discrepanza temporale tra l’incombenza del processo decisionale e la disponibilità dei dati rilevati

Rischio di esclusione di soggetti rilevanti

Mancanza di trasparenza Impossibilità di rendere pubblico un eventuale coinvolgimento di interesse di alcuni membri del panel

Non generalità I dati non possono essere riutilizzati per fini conoscitivi diversi o simili perché specificamente legati alla questione originaria

Tabella 2.2.1 Check-list delle carenze metodologiche dei sistemi di rilevazione.

Se consideriamo approfonditamente tali carenze possiamo rilevare che esse riguardano essenzialmente l’oggetto e l’ampiezza del processo di rilevazione: 1 se si tratti cioè di variabili rilevabili oggettivamente, come quelle strutturali (discrete, misurabili

quantitativamente) o se si tratti di variabili legate alla soggettività dell’individuo, come le opinioni. 2 se il campo di analisi sia limitato a settori, organizzazioni, ambiti territoriali ben definibili o se

riguardi la totalità della popolazione. In relazione a tali esigenze di rilevazione la metodologia del panel si pone a metà strada: con i piccoli si tenta di perseguire (pur non riuscendoci del tutto) l’oggettività della rilevazione degli stati delle variabili che si ritengono rilevanti per l’analisi di un problema, mentre con i grandi si tenta di perseguire la rappresentatività del campione (non potendo coprire la totalità dell’universo). Nell’uno e nell’altro caso sia l’oggettività che la rappresentatività costituiscono obiettivi irraggiungibili pienamente.

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2.2 Supporto alla programmazione e all’analisi dell’impatto degli interventi pubblici

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2.2.b. l cens imen ti e i l Sis tema S tat is t ico Nazionale

Nella tabella successiva abbiamo posto tali dimensioni (ampiezza e oggetto della rilevazione) come caratterizzanti alcuni strumenti e metodologie di rilevazione che il soggetto pubblico utilizza per “captare” dati informativi di diverso tipo dal proprio substrato sociale di riferimento.

AMPIEZZA DELLA RILEVAZIONE

Dimensione Oggetto di indagine Organizzazione/settore Universo nazionale

Soggettiva Opinioni Focus Groups Tavoli di concertazione

Panels

Strutturale Variabili discrete Inchiesta campionaria Censimento

Tabella 2.2.2 Strumenti di rilevazione delle variabili nel campo di azione della P.A..

Rispetto alle carenze dei metodi di consultazione usati nell’ambito dell’AIR lo strumento del censimento a nostro avviso si trova in una posizione privilegiata, in quanto garantisce:

a) la rappresentatività: in effetti si tratta dell’intero universo, più che di un campione rappresentativo b) l’oggettività della rilevazione, andando a rilevare – attraverso questionari strutturati – variabili

strutturali discrete c) la trasparenza delle informazioni scelte come rilevanti per la successiva analisi (su cui potrà

basarsi in parte l’attivazione di processi decisionali) Mentre i primi due punti sono ovvi, è necessario commentare il terzo punto: le variabili investigate nel censimento sono “trasparenti” in quanto in Italia sono impostate dall’ISTAT: esso infatti redige il Piano Statistico Nazionale (PSN) entro il quale può collocarsi anche il censimento67. Il regolamento di esecuzione dei censimenti generali è il D.P.R. 276/2001 [194], ove tra le altre cose è definito il “campo di osservazione” dei censimenti della popolazione, delle abitazioni, e delle industrie e servizi, sulla base del quale sono state effettuate le rilevazioni a livello nazionale nel 2001. Nella tabella seguente sono enucleate le macro-variabili investigate attraverso tali censimenti.

67 Il censimento, come è noto, è decennale, mentre il PSN è triennale.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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CENSIMENTO POPOLAZIONE CENSIMENTO ABITAZIONI ED EDIFICI CENSIMENTO INDUSTRIA E SERVIZI

Popolazione residente Consistenza numerica Consistenza numerica unità giuridico-economiche

Popolazione presente Caratteristiche strutturali Tipologia di natura giuridica

Caratteristiche anagrafiche Edifici occupati/non occupati Settore economico

Caratteristiche di stato civile Destinazione d’uso Caratteristiche fondamentali unità giuridico-economiche

Caratteristiche socio-economiche

Mobilità territoriale

Consistenza e dislocazione territoriale gruppi linguistici

Tabella 2.2.3 Macro-variabili investigate nei censimenti del 2001.

Riprendendo la check-list delle possibili carenze delle metodologie di rilevazione cui abbiamo fatto riferimento nella Tabella 2.2.1, tra le carenze del censimento generale – oltre all’intempestività della rilevazione rispetto ai processi decisionali – rileva la mancanza di generalità: le variabili investigate sono limitate e quindi le informazioni ricavabili dall’elaborazione dei dati del censimento non sono flessibili a molteplici scopi decisionali. Eppure questa appare un’esigenza di cui è stata da tempo acquisita consapevolezza non solo a livello comunitario ma anche a livello nazionale. La stretta necessità di legare le rilevazioni statistiche prodotte a livello nazionale alle esigenze conoscitive degli enti pubblici per attuare efficacemente i processi decisionali è infatti sottolineata fortemente dall’impianto del D.Lgs.322/89 [174], la legge che costituisce il S.I.S.T.A.N. (SIstema STAtistico Nazionale)68, la rete di soggetti pubblici e privati che fornisce l'informazione statistica ufficiale, sotto il coordinamento dell’ISTAT. L'attività del SISTAN è indirizzata dalle linee-guida del Comstat (il Comitato di indirizzo e coordinamento per l’informazione statistica). Relativamente al triennio 2003-2005, tali linee-guida individuano molteplici obiettivi, tra i quali particolarmente importanti per il nostro ragionamento sono gli “obiettivi di produzione, diffusione e utilizzazione”, e quelli “strumentali”: nel primo caso infatti particolare attenzione è rivolta “al consolidamento e al miglioramento della produzione di informazioni statistiche a sostegno delle decisioni individuali e collettive, allo sviluppo di statistiche per il territorio, alla valorizzazione statistica di fonti organizzate pubbliche e private (archivi, registri, basi di dati) e allo sviluppo di sistemi informativi statistici integrati”. Tra gli “obiettivi strumentali” è evidenziata la “diffusione all'interno del Sistema di metodi e standard per

68 Del Sistema fanno parte: l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT); gli enti ed organismi pubblici d'informazione statistica (ISAE, INEA,

ISFOL); gli uffici di statistica delle amministrazioni dello Stato e delle aziende autonome; gli uffici di statistica delle amministrazioni e degli enti pubblici; gli uffici di statistica degli Uffici territoriali del Governo; gli uffici di statistica delle Regioni; gli Uffici di Statistica di Province, Comuni (singoli o associati), ASL, Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura; gli uffici di statistica di soggetti privati che svolgono funzioni o rendono servizi di interesse pubblico, ovvero che si configurano come essenziali per il raggiungimento degli obiettivi del Sistema stesso. Tutti questi uffici, pur rimanendo incardinati nelle rispettive amministrazioni di appartenenza, sono uniti dalla comune funzione di fornire al Paese l'informazione statistica ufficiale.

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2.2 Supporto alla programmazione e all’analisi dell’impatto degli interventi pubblici

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l'armonizzazione delle statistiche, la normalizzazione della modulistica amministrativa, l'integrazione a fini statistici dei sistemi informativi settoriali [216]”69.

2.2.c. I l me todo prev is ionale ogge tt ivo causale app l ica to a l po l icy mak ing

Appare evidente come le rilevazioni statistiche rivestano quindi una rilevanza centrale nell’ambito della programmazione degli interventi pubblici, proprio perché consentono di acquisire elementi di conoscenza “certi” su cui basare le decisioni. Come quindi poter disporre di una base di conoscenza che consenta alle PP.AA. di sapere come sia effettivamente caratterizzato il loro campo di azione e poter quindi a quel punto valutare (a quel punto sì, magari, attraverso ulteriori fasi di consultazione) quali decisioni prendere per modificarlo secondo gli obiettivi che ci si prefigge? Dove reperire una base di conoscenza che sia massimamente rappresentativa, oggettiva, flessibile secondo gli scopi, aggiornata? E’ qui forse necessario puntualizzare che nell’analisi che stiamo effettuando in questo paragrafo la Pubblica Amministrazione è considerata una tecnostruttura il cui fine è quello di agire razionalmente sulla base di presupporti logico-scientifici70: definire questo obiettivo operativo significa dichiarare di voler applicare al policy making una sorta di metodo previsionale oggettivo causale, un’analisi che consenta di costruire scenari verosimili in cui una o più variabili endogene (variabili specifiche del campo di azione) siano dipendenti da una o più variabili esogene (oggetto dell’intervento normativo).

Figura 2.2.1 L’applicazione del metodo oggettivo causale nella fase di programmazione delle public policies.

69 Le stesse norme che regolano i censimenti generali in Italia sono contenute nell’art.37 della L.144/1999 [184], una “legge contenitore” il cui

Capo I tratta “Disposizioni in materia di investimenti”. Tale norma non tratta di “regolamentazione” (come l’AIR), ma di investimenti pubblici: essa sottolinea comunque (art.1) la necessità di effetuare analisi di opportunita' e fallibilita' degli investimenti e per la valutazione ex ante di progetti e interventi per rendere efficace la programmazione, la formulazione e la valutazione dei documenti di programma69. A tale scopo essa prevede la “costituzione di unita' tecniche di supporto alla programmazione, alla valutazione e al monitoraggio degli investimenti pubblici”: si tratta di nuclei di valutazione chiamati a garantire il supporto tecnico nelle fasi di programmazione, valutazione, attuazione e verifica di piani, programmi e politiche di intervento promossi e attuati da ogni singola amministrazione”. Essi operano all'interno delle rispettive amministrazioni in stretto collegamento con gli uffici di statistica locali, dato che per lo svolgimento delle loro funzioni debbono avvalersi del SIstema STAtistico Nazionale. Il campo di analisi dei nuclei sono i “Sistemi Locali del Lavoro”, ambiti territoriali nei quali le Regioni si suddividono sulla base di indicatori elaborati dall'ISTAT, che considerano fenomeni demografici, sociali, economici, nonche' la dotazione infrastrutturale e la presenza di fattori di localizzazione, situazione orografica e condizione ambientale.

70 E’ diverso infatti l’agire di un soggetto che debba rispondere ad una logica “politica” e che quindi debba basare le proprie decisioni anche su opinioni e consensi: questo aspetto verrà approfondito in 2.3.

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Per alcuni di questi scopi le tecnologie della telematica hanno già dimostrato la loro utilità. Un’esperienza si successo – sebbene limitata ad un solo settore e legata ancora a meccanismi di consultazione - è quella del BIT (Business Impact Test) canadese, un software interattivo utilizzato per gestire la consultazione delle imprese in merito alle proposte di nuova regolazione: la sua peculiarità rispetto alle altre esperienze di consultazione tramite panels è data dall’archiviazione dei dati in un apposito data-base periodicamente aggiornato con dati rilevati ad hoc per le esigenze dell’AIR, attraverso l’elaborazione automatizzata dei quali si consente alle PP.AA. di procedere ad un’analisi costi/benefici affidabile in relazione alla quantificazione dei costi di adempimento delle imprese, dell’impatto nel processo produttivo, della capacità di innovazione. L’archiviazione sistematica dei dati ed il loro aggiornamento automatico sono caratteristiche di sistema alle quali è necessario tendere per consentirne non solo la tempestività ma anche la flessibilità funzionale.

2.2.d. I s is temi d i suppor to a l le dec is ion i

In generale queste caratteristiche, insieme alla capacità di costruire modelli previsionali basati su dati esistenti, sono proprie dei cosiddetti Decision Supporting Systems (DSS), strumenti informatici interattivi che hanno proprio lo scopo di aiutare i managers a prendere decisioni rendendo più semplice il reperimento, l’aggregazione e l’analisi dei dati ricavabili dagli E.R.P. (Enterprise Resource Planning) aziendali [11]. I DSS di grandi dimensioni (detti enterprise DSS) sono applicazioni complesse che elaborano i dati estratti da grossi data-base relazionali - spesso arricchiti da dati provenienti da fonti di diversa provenienza (ISTAT o altri istituti di ricerca o marketing) – per mezzo di numerosi servers di appoggio che lavorano in parallel processing per trasformarli in grossi datawarehouse. A tali datawarehouse il singolo utente può poi interfacciarsi attraverso ulteriori DSS detti desktop DSS, che – sulla base delle esigenze informative dell’utente specifico – elabora solo una porzione dei dati del datawarehouse di origine, creando le cosiddette Data Mart (datawarehouse di piccole dimensioni risiedenti in locale).

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Figura 2.2.2 L’architettura generica dei Decision Supporting Systems.

Vi sono diverse tipologie di DSS: le principali sono i Query&Report (Q&R), gli OLAP, i Data Mining. Per giungere ad applicare il metodo previsionale causale alle public policies - che risponda a tutti i requisiti che si è tentato in questa sede di evidenziare - è necessaria la realizzazione di un applicativo modulare che supporti tutte e tre le tipologie. Per l’estrazione dei dati dai data-bases relazionali è infatti opportuno l’uso di un modulo Q&R: questo infatti si interfaccia con essi attraverso l’esecuzione di queries, ovvero di istruzioni che, oltre all’estrazione dei campi desiderati, consentono la definizione della struttura dei vincoli cui si vogliono sottoporre i dati e dei campi di raggruppamento e l’assegnazione dei nomi che si vogliono dare ai campi. Le operazioni di elaborazione avanzata dei dati però deve essere oggetto del lavoro di un OLAP (On-Line Analytical Processing), strumento molto più potente di un Q&R, in quanto consente:

a) di creare viste interamente personalizzabili a seconda delle esigenze dell’utente71 b) di gestire la dimensione temporale, ovvero di gestire la natura sequenziale del tempo

consentendo analisi dinamiche complesse c) di applicare la possibilità di calcolare i dati on the fly, al volo: questa caratteristica – che è propria

di una particolare categoria di prodotti detti HOLAP – è particolarmente importante per rispondere al requisito della tempestività

71 Questo è il caso in particolare degli OLAP detti multidimensionali: essi basano le viste su strutture multidimensionali (ipercubi), nelle quali

sono organizzate - secondo dimensioni, gerarchie all’interno della medesima dimensione e misure, ovvero i valori relativi a ciascuna dimensione - le variabili di origine selezionate come di interesse per l’analisi. Grazie a questa strutturazione qualsiasi utente è in grado di operare le funzioni di slice and dice (incrocio contemporaneo di più variabili basiche o derivate) e drill-down/drill-up (approfondimento di analisi nel livello di dettaglio delle variabili secondo la gerarchia di aggregazione delle categorie), essendo ad esso completamente trasparente la struttura di origine dei dati e le diverse forme di aggregazione e incrocio.

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Per la creazione di modelli previsionali, che consentono la individuazione delle variabili che hanno il maggior effetto nel perseguimento degli obiettivi organizzativi e permettono di creare scenari di tipi what if e simulazioni dinamiche, è infine necessario ricorrere a sistemi di data-mining. Essi esplorano i data-base relazionali alla scoperta delle variabili leva che descrivono i fenomeni ambientali e organizzativi e delle relazioni nascoste tra di esse: il presupposto è dato dalla elaborazione di modelli interpretativi da parte dei managers in collaborazione con gli esperti EDP. Purtroppo si tratta di sistemi complessi e per questo molto costosi che poche organizzazioni possono permettersi.

2.2.e. I l data-base compless ivo de i Prof i l i In tegrat i

Un sistema centralizzato gestito da un unico soggetto come l’Intermediario di Trust, che agisca al servizio di tutte le PP.AA., potrebbe invece fornire le risorse e gli strumenti per accedere ai servizi di un DSS evoluto in maniera efficiente, efficace e relativamente economica. In particolare si consideri l’architettura di Rete nella quale a ciascun cittadino corrisponda un Profilo Integrato: l’insieme dei Profili Integrati gestito dall’Intermediario di Trust costituisce una enorme base di dati normalizzata che può essere interrogata in relazione a determinate variabili rilevanti ai fini specifici dell’analisi. Se poi si scruta meglio nei meandri del Profilo Integrato - per come lo abbiamo definito - ci si accorge che i dati richiesti nel censimento sono parte di esso. Unendo le potenzialità delle caratteristiche rivestite dal censimento e le tecnologie della telematica applicate alla gestione dei dati personali del cittadino, e quindi al concetto di Profilo Integrato, è possibile pensare di disporre di una base di conoscenza affidabile, rappresentativa, aggiornata e applicabile alla più ampia molteplicità degli scopi analitici. L’esistenza dei Profili Integrati infatti rende le operazioni di clustering, segmentazione e aggregazione di tutte le variabili strutturali esistenti relative ai cittadini attuabili in tempo reale e soprattutto basabili non più su campioni rappresentativi ma sull’intero universo di riferimento. Si tratta non solo di riprodurre in forma automatizzata il tradizionale censimento della popolazione, ma di completarlo con innumerevoli altre variabili: automatizzando la rilevazione dei dati, si prefigura una sua evoluzione in una sorta di fotografia on-time aggiornata, completa ed unitaria della popolazione. Tale scenario comporta che: il censimento come evento definito (e raro!) non esiste più, mentre sussiste un flusso informativo

(proveniente dalle PP.AA.) che aggiorna continuativamente il data-base virtuale complessivo dei Profili Integrati di tutti i cittadini;

il momento della definizione delle variabili, degli indicatori e degli indici attraverso i quali analizzare, semplificare e confrontare i fenomeni sociali è totalmente scollegato dal processo di rilevazione dei dati stessi (che come si è detto non è un evento ma è un continuum temporale): queries complesse impostate su di un medesimo data-base potrebbero quindi essere funzionali ad obiettivi conoscitivi diversificati.

Come si innesterebbe tale scenario nell’attuale situazione normativa? E’ pensabile la raccolta centralizzata a scopi statistici dei dati personali dei cittadini per un loro trattamento da parte di molteplici Pubbliche Amministrazioni? Se si escludono - come si è scelto di fare sinora – le problematiche di tipo tecnologico, la questione fondamentale è legata ancora alla necessità primaria di garantire la riservatezza dei dati personali. Il legislatore ha affrontato questa problematica a partire dal 1999, con un Decreto legislativo apposito basato sulla L.675/96 [185]; l’attività del Garante ha poi visto il coinvolgimento di questo nell’elaborazione del Codice di deontologia per i trattamenti a scopi statistici [151]; l’applicazione delle

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norme è stata valutata dallo stesso e riportata nella relazione annuale 2002 [149] e anche sulla base di quest’attività la norma ha assunto compiutezza nel T.U. sulla privacy [197] . Secondo queste disposizioni, al rispetto di quali requisiti è legato il trattamento dei dati personali a fini statistici?

2.2.f. Necessar ietà de l la raccol ta

In primo luogo alla necessarietà della raccolta e/o del trattamento di tali dati, in relazione alle finalità di interesse pubblico perseguite. Abbiamo affrontato il concetto di necessarietà in 1.3.c: qui preme sottolineare ancora che le finalità perseguite con la raccolta debbono essere esplicitate dall’ente interessato attraverso apposita nota informativa resa nota al momento della raccolta stessa. Il requisito di necessarietà della raccolta per finalità di interesse pubblico si considera rispettato se questa è prevista da: il Piano Statistico Nazionale (che è adottato sentito il Garante per la protezione dei dati personali) una legge, un regolamento o una fonte normativa comunitaria [174] la stessa nota informativa, purché gli scopi siano chiaramente determinati e di durata limitata (art.

6 bis di [174]) In quest’ultimo caso rileva l’opportunità o meno di rendere obbligatoria la cessione dei dati da parte del cittadino: l’esplicitazione dell’obbligatorietà o meno è cioè strettamente legata all’esistenza di una legittimazione normativa della raccolta di quei determinati dati. Nella Relazione relativa all’anno 2002 [149] il Garante denunciava talune problematiche emerse in sede locale a seguito della rilevazione progettata da un Comune dove si intendeva svolgere un’indagine per conoscere le esigenze dei cittadini e coinvolgerli in una maggiore partecipazione alla vita politica e amministrativa del Paese: in questo caso si trattava più di un sondaggio che di una vera rilevazione a scopi statistici e tale modalità di raccolta e trattamento sarebbe dovuta essere prevista dall’apposito regolamento comunale (come richiesto da [183]); tra l’altro le finalità non erano chiaramente illustrate al cittadino, né si evidenziava il carattere obbligatorio o facoltativo del conferimento dei dati: in mancanza dunque di tali requisiti, la raccolta dei dati è stata bloccata.

2.2.g. Non ident i f icab i l i tà de l l ’ in teressato

In secondo luogo è necessario che la raccolta e il trattamento garantiscano la non identificabilità del cittadino al quale i dati raccolti si riferiscono: “un interessato si ritiene identificabile quando, con l'impiego di mezzi ragionevoli, e' possibile stabilire un'associazione significativamente probabile tra la combinazione delle modalità delle variabili relative ad una unità statistica e i dati identificativi della medesima” [151]. Come esempio possiamo citare il caso – ancora riportato nella Relazione per l’anno 2002 [149] – di un Comune che aveva avviato un sondaggio sulla condizione socio-economica degli utenti del servizio di assistenza domiciliare: pur apparentemente non in grado di consentire l’individuazione delle persone coinvolte, in realtà - attraverso le modalità di consegna del questionario ed alcune informazioni ivi contenute (ovvero attraverso mezzi sicuramente ragionevoli) – tale attività avrebbe potuto far risalire agli interessati. Per questo motivo il Garante ha impedito la conclusione della raccolta e l’attivazione della fase del trattamento. Il Codice di deontologia per il trattamento dei dati personali a scopi statistici risalente al 1999 [151] enuclea i mezzi ragionevolmente utilizzabili per identificare un interessato:

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risorse economiche risorse di tempo risorse hardware e software per effettuare le elaborazioni necessarie per collegare informazioni

non nominative ad un soggetto identificato Tali mezzi debbono ovviamente scontrarsi con le misure di sicurezza adottate da chi ha raccolto e trattato i dati per proteggere gli stessi dall’azione di chi agisce per perseguire finalità illecite: la loro efficacia non dipende solo dall’adozione di specifici sistemi e di software di controllo, ma anche dall’immediatezza o meno delle procedure di estrazione campionaria e di imputazione, correzione e protezione statistica adottate per la produzione dei dati.

2.2.h. I v incol i a l la comunicaz ione e a l la d i f fus ione de i dat i s tat is t ic i

Il rischio più grave per la protezione dei dati personali, sia in termini di necessarietà del trattamento che in termini di non identificabilità dell’interessato, è l’esistenza di archivi contenenti dati identificativi congiuntamente ad un sottoinsieme delle variabili oggetto di comunicazione o diffusione. Questa importante condizione si realizza soprattutto nei casi di interconnessione dei sistemi informativi, anche nell'ambito del SISTAN: la comunicazione o l’estrazione diretta di dati appartenenti a sistemi informativi differenti all’interno del SISTAN può infatti avvenire solo se si tratti di dati anonimi; i vari soggetti possono invece usare dati identificativi solo qualora il trattamento di dati anonimi non permetta di raggiungere i medesimi scopi (che devono comunque rientrare in quelli già identificati come finalità pubbliche) e comunque, dato che tali dati non sono stati raccolti direttamente presso l’interessato, il requisito di necessarietà del trattamento si considera rispettato solo se questo è oggetto di pubblicità con idonee modalità da comunicare preventivamente al Garante, che potrebbe prescrivere ulteriori ed eventuali accorgimenti o misure restrittive (art. 6 bis di [174])72. Le prescrizioni normative citate da ultimo sono tutte tese a limitare i possibili danni della sempre più frequente diffusione delle banche dati di grandi dimensioni, delle quali il Garante, come si è visto anche in 1.4, riconosce il valore in termini di efficienza degli scambi informativi, ma non nasconde la pericolosità per la riservatezza delle persone e per il rispetto dei diritti della personalità. Per questo motivo esso ha sempre ribadito, laddove si è presentata occasione, la necessità: di stabilire presupposti normativi specifici per garantire la necessarietà del trattamento (e quindi

la sua legittimazione istituzionale) di realizzare tale banche dati in forme accordate fra loro per coordinare l’applicazione

contestuale delle misure di sicurezza massimamente spendibili (come afferma l’art. 106 del T.U. sulla privacy [197]): è soprattutto nei casi di interconnessione che devono essere attuati i massimi sforzi per attivare misure di sicurezza volte a impedire con certezza l’accesso da parte di persone fisiche non incaricate e rendere quindi più efficiente la gestione dei flussi informativi

Lo sforzo che in questa sede ci accingiamo a fare è quello di dimostrare come l’architettura di Rete basata sul binomio Intermediario di Trust-Profili Integrati dei Cittadini possa rispondere alle prescrizioni

72 Il Codice di autoregolamentazione [151] spende molte righe sulla conservazione dei dati identificativi e dei dati personali in generale: “I dati

identificativi, qualora possano essere conservati, sono custoditi separatamente da ogni altro dato personale salvo che ciò, in base ad un atto motivato per iscritto, risulti impossibile in ragione delle particolari caratteristiche del trattamento o comporti un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato”. “I dati personali trattati per scopi statistici sono conservati separatamente da ogni altro dato personale trattato per finalità che non richiedano il loro utilizzo”. “I dati identificativi, qualora possano essere conservati, sono abbinabili ad altri dati, sempre che l'abbinamento sia temporaneo ed essenziale per i propri trattamenti statistici”. “I dati personali sono resi anonimi dopo la raccolta o quando la loro disponibilità non sia più necessaria per i propri trattamenti statistici”.

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2.2 Supporto alla programmazione e all’analisi dell’impatto degli interventi pubblici

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dettate dall’architettura normativa e contestualmente agevolare l’attuazione di un DSS avanzato – in grado di applicare il metodo previsionale oggettivo causale – al complesso delle PP.AA..

2.2.i. Un’archi tet tura ad hoc

Lo scenario che qui proponiamo contempla al solito la presenza di un Intermediario di Trust chiamato a gestire in maniera esclusiva il data-base dei Profili Integrati, il cui aggiornamento è garantito – come si è accennato in 1.3.b - dalla diretta dipendenza dai flussi documentali delle Pubbliche Amministrazioni. In questo scenario assume particolare rilevanza l’insieme delle applicazioni che andrebbero a costituire il cosidetto “agente di elaborazione statistica”, al quale il data-base dei Profili Integrati deve essere accessibile in ogni momento: questo, a differenza dell’”agente di processo” di 2.1 (che elabora i dati relativi a ciascun singolo Profilo Integrato e procede al matching tra gli attributi di un atto amministrativo e quelli del Profilo), elabora dati aggregati matchando tra loro i Profili Integrati, requisito soggettivo per requisito soggettivo; il suo output non è quindi un flusso comunicativo personalizzato basato sul matching tra servizi (o provvedimenti) e Profili il cui destinatario sia il cittadino, bensì una base di dati che consente il matching tra i Profili Integrati secondo queries altrove determinate. Esso costituisce la sede di un DSS di tipo enterprise che

1 estrae i dati dal data-base relazionale dei Profili Integrati sulla base di queries che limitano il campo delle variabili rilevanti

2 organizza tali variabili sulla base di un ipercubo, una struttura multidimensionale che consente la visualizzazione delle informazioni attraverso datawarehouse diversificate secondo i diversi obiettivi conoscitivi

Il datawarehouse che i risultati delle queries vanno ad alimentare è aggiornato in tempo reale, dato che il modulo OLAP dell’”agente di elaborazione statistica” supporta la caratteristica dell’on the fly: ogni volta che un cittadino modifica una sua condizione soggettiva e la P.A. competente lo registra, e ogni volta che lo stesso richiede l’accesso ad un atto o la fruizione di un servizio, tali flussi vengono rilevati dal sistema, automaticamente registrati nel data-base dei Profili e, attraverso l’”agente di elaborazione statistica”, automaticamente condizionanti il datawarehouse.

Figura 2.2.3 Gli elementi della Rete per la base statistica basata sui Profili Integrati.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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A parte le questioni di sicurezza strettamente legate alla gestione del data-base dei Profili Integrati in relazione ai flussi informativi da e verso le Pubbliche Amministrazioni (per le quali si rimanda ai paragrafi 1.4 e 2.1), si rileva come quello dei Profili Integrati sia l’unico archivio contenente dati identificativi. L’”agente di elaborazione statistica” peraltro estrae da esso solo dati personali per i quali non è necessario che siano riconducibili ai relativi dati identificativi: la funzione di questo “agente” è infatti quella di aggregare dati, ovvero di trattare dati anonimi e quindi ad esso saranno inaccessibili gli archivi digitali contenenti dati identificativi (cognome, codice fiscale, numero di tessera sanitaria, …). L’”agente” ha accesso esclusivo al data-base, che non è quindi consultabile direttamente da operatori umani: le persone fisiche facenti parte del sistema si collocano fuori del dominio dell’Intermediario di Trust ed il loro ruolo è legato alla sola progettazione e impostazione delle queries attraverso un’apposita interfaccia con l’”agente”. La medesima interfaccia non è poi utilizzabile per l’accesso all’output delle queries di elaborazione dei dati: come si è visto, infatti, i prodotti dell’elaborazione statistica sono consultabili attraverso l’accesso ad una datawarehouse, anch’essa collocata all’interno dell’Intermediario di Trust ma con un inferiore livello di protezione. Quest’architettura punta quindi nell’interposizione dell’”agente di elaborazione statistica” per porre un ostacolo difficilmente sormontabile a chi voglia perseguire finalità illecite attraverso l’accesso e il trattamento di dati identificativi. Tale ostacolo è costituito quindi non solo dai sistemi hardware e software di sicurezza di cui sarà dotato l’”agente”, ma anche dalla scarsa “immediatezza delle procedure di estrazione campionaria e di imputazione, correzione e protezione statistica adottate per la produzione dei dati”, come – si è già visto - indicato dal Codice di deontologia per il trattamento dei dati personali [151]. Garantito così il requisito di non identificabilità, quello di necessarietà potrà essere rispettato prevedendo le queries da impostare all’interno del Piano Statistico Nazionale e in eventuali altre fonti normative, oppure rendendole note (insieme alle loro finalità) in un secondo momento attraverso le modalità di pubblicizzazione concordate con il Garante. Detto questo, appare naturale attribuire agli stessi soggetti che oggi si occupano del Piano Statistico Nazionale la competenza tecnica dell’impostazione delle queries: in particolare potranno essere operatori specializzati dell’ISTAT ad interfacciarsi direttamente con l’Intermediario di Trust e ad attuare la programmazione centralizzata dell’”agente di elaborazione statistica”.

2.2.j. E-government In te l l igence

Ma se la programmazione delle queries non potrebbe che essere centralizzata, la loro progettazione deve essere decentrata. A differenza infatti dello scenario applicativo prospettato in 2.1, che si concentrava sul rapporto diretto tra P.A. e cittadino - e tentava di dimostrare i benefici che quest’ultimo potrebbe trarre in condizioni di sistema a pieno regime - nel presente scenario gli utenti-beneficiari delle potenzialità del Profilo Integrato sono le stesse PP.AA.; il datawarehouse cioè dovrà fornire informazioni di supporto a tutte le amministrazioni, sia centrali che locali e rispondere ad esigenze sia di programmazione politica che di pianificazione strategica degli interventi pubblici: essa cioè dovrà rispondere massimamente al requisito della flessibilità rispetto ad obiettivi e processi decisionali diversificati. Per garantire l’utilità del prodotto statistico a tutte le PP.AA. potrebbe prevedersi che il gruppo di operatori specializzati dell’ISTAT mantenga rapporti continuativi con gruppi ad hoc - costituiti all’interno

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2.2 Supporto alla programmazione e all’analisi dell’impatto degli interventi pubblici

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di ciascuna P.A. - denominati “e-Government Intelligence”73, formati da referenti degli Uffici di Statistica della P.A. (già facenti parte a loro volta del SISTAN) e da referenti dei vari Dipartimenti, Servizi, Aree Organizzative della P.A. stessa; tali gruppi dovrebbero avere lo scopo precipuo di contribuire alla programmazione delle queries da parte dell’ISTAT, attraverso l’individuazione

delle variabili da investigare in relazione agli scopi conoscitivi della propria amministrazione di analizzare, secondo le proprie esigenze interpretative, le informazioni contenute nella

datawarehouse derivanti dalla elaborazione dei dati: per fare questo si servono in una prima fase di un modulo DSS OLAP che crea dal datawarehouse un data mart locale e, in una seconda fase, di un modulo DSS data-mining che – proprio sulla base di modelli interpretativi elaborati dalla stessa “e-Government Intelligence”, strettamente legati al contesto organizzativo e territoriale di riferimento – crea scenari previsionali che consentono di analizzare l’eventuale impatto dell’intervento pubblico.

La collegialità che attualmente caratterizza la gestione del SISTAN dovrebbe quindi essere propria anche della fase di progettazione delle queries. Gli stessi soggetti del SISTAN costituiranno una sorta di task-force integrata denominabile “e-Government Intelligence Nazionale”, la cui attività è finalizzata alla elaborazione delle queries da inserire nel Piano Statistico Nazionale sulla base delle esigenze conoscitive espresse da ciascuna amministrazione e rappresentate a livello centralizzato dagli stessi soggetti presenti all’interno del SISTAN.

Figura 2.2.4 I soggetti dell’analisi dei bisogni di regolazione e della programmazione.

Grazie all’enorme patrimonio informativo di cui già oggi dispone, il soggetto pubblico sarebbe così in grado di realizzare la forma più completa di marketing strategico e di rilevare pro-attivamente gli outcomes di un determinato intervento costruendo scenari in cui vengano posti come rilevanti le variabili che interessano l’intervento stesso: la fase dell’analisi della situazione su cui si va ad incidere (possibile grazie all’utilizzo della datawarehouse, eventualmente integrata od incrociata con le rilevazioni derivanti dai numerosi S.I.T. settoriali) potrebbe condurre ad una maggiore razionalità nella

73 Il nome è ispirato al mondo delle imprese che operano anche attraverso Internet, presso le quali è ormai ricorrente la strutturazione di unità

organizzative denominate e-Business Intelligence, deputate all’analisi statistica della domanda e dell’utenza attraverso gli strumenti che la Rete consente di applicare (si veda la nota 6 a pagina 18) presso un sito commerciale.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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programmazione dell’agenda politica e nella progettazione degli interventi e quindi ad una maggiore efficacia delle politiche pubbliche.

Come verrà meglio evidenziato in 2.4, i flussi informativi relativi ai dati aggregati sulla popolazione potranno/dovranno integrarsi con i flussi informativi interni attraverso un efficiente sistema di workflow management che consenta di valorizzare le risorse informative metabolizzandone il trattamento all’interno per garantire l’efficacia dei processi di servizio esterni: in questo senso si può parlare di e-CRM ed extended ERP applicati alla P.A. .

2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità

La costruzione e l’implementazione di strumenti come il Profilo Integrato del Cittadino e l’Intermediario di Trust condurrebbe – come si è tentato di dimostrare - ad una profonda evoluzione dei rapporti tra soggetto pubblico e cittadini. Sino ad ora abbiamo prospettato forme di innovazione legate ad aspetti tipicamente amministrativi e di governo, e comunque ponendoci più spesso dal lato del soggetto pubblico che da quello del cittadino; nel presente paragrafo il tentativo sarà quello di delineare scenari di applicazione che si inseriscono nel dibattito sull’evoluzione delle forme di democrazia. A questo scopo circoscriveremo la discussione entro i margini del rapporto dialettico tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, per poi evidenziare il ruolo che le nuove tecnologie hanno giocato in questo senso sino ad oggi, in particolare in Italia; infine descriveremo più approfonditamente le potenzialità che un uso strategico e trasparente dei Profili Integrati dei Cittadini da parte del soggetto pubblico potrebbe esplicare proprio nel settore delle nuove tecnologie finalizzate alla partecipazione. A sostegno di tale trattazione abbiamo fatto ricorso a casi specifici – anche estremi - rispondenti ad esigenze prettamente esplicative, più che a caratteristiche di rappresentatività dei diversi scenari attuali.

2.3.a. Democraz ia rappresenta t iva VS Democraz ia par tec ipat iva

Si assiste oggi ad una crisi di legittimità del sistema di rappresentanza nella maggioranza dei paesi della democrazia liberale: segnali evidenti ne sono l'astensione elettorale, l'apatia e la non partecipazione politico-sociale, l’individualismo e i bassi indici di adesione ai partiti. La cultura politica odierna sembra cioè affetta dal virus della mancanza di partecipazione, esacerbato dall’appiattimento dei contenuti proposti dai grandi media [212]. Le cause principali sono individuate [92] nella burocratizzazione, nella carenza dei meccanismi di controllo da parte degli elettori e/o dei partiti sugli eletti, nei sistemi elettorali basati su sbarramenti e collegi che distorcono la rappresentanza ostacolando i partiti minori, nella mancanza istituzionalizzata del vincolo di mandato e, infine, nell'incapacità di questi sistemi di garantire la riproduzione del capitalismo con legittimità, di fronte all'evidenza che quest'ultimo è riproduttore di disuguaglianza e di sfruttamento sociale [111]. Soprattutto in relazione a quest’ultima argomentazione, numerosi movimenti sorti in seno alla società civile di paesi industrializzati ed in via di sviluppo hanno iniziato da tempo a guardare con interesse alle molte esperienze dell’America Latina, soprattutto brasiliane e peruviane, che hanno visto la realizzazione di architetture di partecipazione che consentono la responsabilizzazione del cittadino nella gestione diretta della cosa pubblica attraverso lo strumento del Bilancio Partecipativo [60].

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2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità

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Tali esperienze sono molto diversificate: le caratteristiche maggiormente rilevanti agli scopi del nostro ragionamento risiedono nelle modalità di interazione usate per mettere in contatto istituzioni e cittadini e nel grado di inclusione sociale perseguito dai processi comunicativi e decisionali [62]. Le modalità di interazione variano da un più limitato ad un più rigido formalismo.

Figura 2.3.1 Livello di formalità nelle interazioni a scopo di partecipazione.

In relazione al grado di inclusione sociale che queste interazioni riescono a realizzare, generalmente i processi di discussione e di votazione non privilegiano gruppi di cittadini più motivati o già strutturati (che potrebbero agire come lobbies di pressione): quando questo accade essi vengono adeguatamente identificati perché ogni pressione sia esercitata a cielo aperto e resti in un quadro di trasparenza. Il fatto che nelle formulazioni più avanzate si adotti un criterio decisionale per cui ogni abitante conta per sé, come individuo, prima ancora che per la propria appartenenza a gruppi e associazioni, facilita il superamento della meta-strutturazione del processo di formazione delle opinioni individuali che caratterizza le democrazie rappresentative. A prescindere comunque dal grado di strutturazione delle modalità di partecipazione, i diversi tipi di Bilancio Partecipativo collocano il proprio intervento a monte dei momenti decisionali formali, che per legge sono riservati – come da noi - ai Consigli (Comunali, Circoscrizionali, Provinciali, Regionali)74: i processi che conducono alla costruzione del Bilancio Partecipativo cioè non intaccano l’architettura normativa entro la quale si vanno ad innestare. La forza di tali esperienze consiste essenzialmente nel fatto che i cittadini sono chiamati ad esercitare pressioni perché le indicazioni fornite (attraverso diversi strumenti e canali) non siano disattese e, se lo fossero, perché vengano fornite dagli amministratori le opportune spiegazioni. Il momento di incontro ed elaborazione delle proposte e le fasi della verifica e dell’eventuale dialettica con gli amministratori sono spesso previsti da un regolamento, quindi da una serie di norme condivise e formalizzate anche grazie alla promozione e alla partecipazione dell’Amministrazione [111]. Nella sostanziale somiglianza del quadro normativo/istituzionale, la differenza con l’attuale situazione italiana risiede piuttosto nel fatto che gli strumenti già previsti per agevolare il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali pubblici non vengono adeguatamente valorizzati nella fase implementativa: i risultati che scaturiscono dai referendum consultivi a livello locale vengono spesso disattesi, mentre altri strumenti di recente introduzione, come i Tavoli di Concertazione, nonostante il forte impatto simbolico che si vuole loro attribuire, sono spesso asimettrici e poco rappresentativi. D’altra parte le forme di coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali sono molteplici e spesso impropriamente omologate: comunicazione pubblica, consultazione, concertazione, partecipazione hanno infatti una diversa valenza.

74 in Brasile ad esempio il Sindaco è eletto direttamente con sistema maggioritario, le leggi nazionali prevedono che il bilancio comunale sia

proposto dalla Giunta e approvato dal Consiglio Comunale e le voci di articolazione del bilancio sono simili alle nostre.

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La comunicazione pubblica consiste nella divulgazione di informazioni da parte del soggetto pubblico su decisioni già approvate: essa è sempre unidirezionale, che sia rivolta alla generalità della popolazione o ai soli cittadini interessati. Questo tipo di coinvolgimento è quello che abbiamo trattato in 2.1, ponendo il Profilo Integrato del Cittadino come lo strumento in mano alle PP.AA. (e, in particolare, all’Intermediario di Trust) per garantire una vera trasparenza dell’attività delle stesse, rendendo accessibili informazioni personalizzate in maniera pro-attiva nel tentativo di fronteggiare meccanismi di esclusione. La consultazione consiste nella richiesta di informazioni, opinioni e valutazioni da parte del soggetto pubblico rivolta a specifiche categorie di soggetti sociali ed economici o ad esperti per recepirne le esigenze o le preferenze prima di un intervento regolativo: si tratta quindi di una comunicazione bi-direzionale. E’ l’attività che in 2.2 abbiamo visto essere rilevante per l’Analisi dell’Impatto della Regolazione, ovvero per una valutazione ex-ante delle conseguenze sulla popolazione di riferimento di un intervento regolativo, anche se più spesso riesce a rispondere alla sola esigenza di recepire l’eventuale livello di consenso. Per superare le carenze di efficacia degli strumenti attualmente utilizzabili per l’AIR (come i panels), abbiamo quindi posto l’uso dell’insieme dei Profili Integrati per garantire una lettura oggettiva del campo di azione e la costruzioni di scenari attraverso cui valutare il cambiamento di stato delle variabili coinvolte dall’intervento regolativo. La concertazione consiste invece nello scambio di informazioni e posizioni tra soggetto pubblico e rappresentanti di organizzazioni di interessi per mediare le diverse esigenze e giungere a decisioni di compromesso che riescano a soddisfare gli interessi in gioco; anche in questo caso la comunicazione è bidirezionale, ma punta al coinvolgimento diretto nei processi decisionali, il cui prodotto finale non dovrebbe discostarsi da quanto negoziato. Il limite di questo approccio “neo-corporativo” è che i Tavoli “di concertazione” spesso non contemplano soggetti (e quindi risorse cognitive) che invece potrebbero rivelarsi utili, specialmente nei casi in cui si prevedono costi diffusi sull’intera collettività. La partecipazione appartiene ad una categoria concettuale qualitativamente differente: essa prevede il coinvolgimento diretto di tutti i destinatari degli interventi nel processo decisionale ed è anzi riconosciuta come intrinseca al processo decisionale. Non può senz’altro prescindere da una buona comunicazione e da una trasparenza di fondo delle logiche di funzionamento delle PP.AA. e può a buon titolo ricorrere a metodologie, strumenti e canali tipici della consultazione, ma si realizza con l’attivazione di processi di scambio continuo ed esponenziale tra soggetto pubblico e cittadini che accompagnino sino in fondo il perfezionamento del processo decisionale. In realtà non occorrono, come le esperienze in America Latina dimostrano, rivisitazioni dell’impianto normativo per far passare il coinvolgimento dei cittadini da un livello consultivo ad un livello decisionale: questo passaggio dipende da un processo politico di acquisizione della consapevolezza della necessità di coinvolgere i cittadini nelle scelte che li riguardano e contestualmente di responsabilizzazione e auto-responsabilizzazione dei cittadini75.

2.3.b. E-government VS e-democracy

In Italia l’esigenza di partecipazione è rinata negli anni ’90 (in seguito all’esplodere della stagione di Tangentopoli) e si è subito coniugata con le potenzialità di aggregazione espresse dalle nuove

75 Come sottolinea Allegretti in [62] “è stato proprio “l'atteggiamento politico di coerenza perseverante nei confronti dei processi attivati a

supportare le esperienze più significative di Bilancio Partecipativo e a far passare il peso delle scelte compiute dai cittadini da un livello meramente consultivo ad uno decisionale. Perché solo riportando caparbiamente ogni scelta territoriale agli abitanti dentro il Bilancio Partecipativo, cioè ad un meccanismo che in virtù di ciò ha assunto un ruolo decisionale che formalmente non avrebbe avuto (perché nessuna legge ne prevedeva l'esistenza ne tanto meno il funzionamento), lo stato del Rio Grande do Sul e le città di San Paolo, Belem, Porto Alegre, Belo Horizonte ecc. sono giunte a compiere scelte di successo e a costruire la fama del Bilancio Partecipativo”.

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2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità

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tecnologie, attraverso l’esperienza delle Reti Civiche, fortemente orientate alla comunicazione e al dialogo bidirezionale [59]. Principi ispiratori delle esperienze di Rete Civica sviluppatesi negli anni ’90 sono stati proprio la facilità di accesso alla rete, l'interattività garantita dai forum di discussione, la valorizzazione della molteplicità delle culture e delle identità locali. Le iniziative si differenziavano per il soggetto promotore (istituzioni, associazioni di cittadini, università) e per il tipo di vocazione, in alcuni casi prevalentemente istituzionale, in altri più comunitaria, in altri ancora di tipo turistico: ad ogni modo al centro degli interessi c'era la possibilità di avviare forme di comunicazione bidirezionale. L’area territoriale di elezione di questa nuova forma di coinvolgimento è stata la città. L'espressione “città digitale”, con cui si fa spesso riferimento al sito web di un'area urbana [170][171][172], è in realtà un fenomeno più specifico, ovvero "un sistema urbano in cui il cablaggio diffuso consente forti capacità di interazione fra tutti gli abitanti dell'area urbana, per scambiare informazioni e ottenere servizi avanzati e integrati" [100]. La prima generazione di progetti di “città digitale” ha recuperato la tradizione più libertaria e rivoluzionaria della rete, la tradizione delle comunità virtuali sviluppatesi attorno ai pionieri di Internet. La Rete è divenuta il contenitore di una nuova trama di dialoghi per ricostruire un rapporto fra cittadino e soggetto pubblico, puntando a garantire ai cittadini l’accesso universale, la possibilità di partecipare al dibattito pubblico, la garanzia di vedere riconosciute e rispettate le opinioni più diverse. Lo scopo era cogliere l’opportunità che la Rete prospettava per la società civile di riguadagnare una cultura del dibattito e dell’aggregazione preliminari a una ridefinizione complessiva dei rapporti con la classe politica e l’Amministrazione: se l’estensione a quote crescenti di popolazione si fosse verificata le Reti Civiche avrebbero potuto porsi come controparti attive delle istituzioni tradizionali, almeno a livello locale. Uno degli obiettivi sicuramente raggiunti dai promotori delle prime Reti Civiche è stato l’apprendimento sul campo delle nuove tecnologie della comunicazione da parte dei primi partecipanti e quindi l'alfabetizzazione all'uso della Rete tramite la Rete stessa: prima di tutto le Reti Civiche hanno avuto una funzione educativa stimolante che si è quindi ripercossa positivamente nell’attitudine alla partecipazione, ponendo le basi per un uso consapevole della Rete. Il sesto e il settimo rapporto sulle “città digitali” [171][172] pongono invece in evidenza la crescente “istituzionalizzazione” delle siti web cittadini a scapito delle cosiddette “piazze telematiche”. Le amministrazioni locali occupano sempre maggiore spazio nella loro veste ufficiale, mentre scarseggiano gli spazi di discussione e di confronto: solo in 7 regioni, nel 17% delle province e nel 20,6% dei Comuni capoluogo sono presenti forum di discussione su argomenti di interesse locale, mentre solo in 2 regioni, nel 5% delle province, nel 9% dei comuni capoluogo e nel 4% circa dei piccoli comuni sono predisposti sondaggi e questionari, utilizzati principalmente per monitorare l’opinione circa le funzionalità e le aspettative dell’utenza nei confronti del sito, la fornitura di nuovi servizi o la valutazione di quelli già disponibili. La dimensione conviviale e partecipativa della telematica è rimasta prerogativa delle sole Reti Civiche che non hanno seguito il processo di istituzionalizzazione (prima fra tutte la Rete Civica di Milano).

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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Tabella 2.3.1 Le reti civiche nella prima metà degli anni ’90 e l’attuale processo di e-government a livello locale (fonte: [172])

Se quindi inizialmente l’uso della Rete è stato finalizzato a migliorare la partecipazione dei cittadini nei processi democratici, esso è stato progressivamente tematizzato dall’ottimizzazione e dalla trasparenza dei processi di servizio. Il concetto di e-democracy è stato progressivamente ridimensionato in quello di e-government [99], che rappresenta solo un aspetto, ovvero riguarda l’applicazione delle nuove tecnologie ai servizi erogati dalla Pubblica Amministrazione per renderli più efficienti, a minor costo per la collettività, a maggior beneficio per l’utenza. Le complesse relazioni tra P.A. e cittadini coinvolgono però anche la relazione politica, la partecipazione alle scelte, la possibilità di esprimere opinioni, suggerimenti, proposte, critiche e dubbi [93].

2.3.c. Prove tecn iche d i democraz ia par tec ipa t iva

Questa carenza è stata avvertita anche a livello istituzionale, tanto che il documento attraverso il quale il Ministero della Tecnologia evidenzia le risorse destinate alla seconda fase di attuazione dell’e-government nelle Regioni e negli Enti Locali [162], tra le cinque linee di azione individua “l’avviamento di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (e-democracy)” che ha “come obiettivo quello di promuovere progetti di utilizzo delle tecnologie ICT come strumento per promuovere la partecipazione dei cittadini alla vita delle amministrazioni pubbliche ed alle loro decisioni”, finanziata attraverso 10 Milioni di euro: l’avviso per la presentazione dei progetti è stato pubblicato il 13 aprile 2004. Nel marzo 2003 il Coordinamento dei Centri Regionali di Competenza (CRC) [204] aveva inoltre avviato, in collaborazione con il Formez e con l’Università di Milano, una indagine denominata "e-participation" che intende raccogliere esperienze significative - già concluse, in corso o in via di definizione, con o senza l'uso della Rete - finalizzate ad accrescere il dialogo e il confronto tra cittadini e amministrazioni locali. I risultati ad oggi non sono stati ancora resi noti, ma questa è la dimostrazione del crescente interesse nei confronti di questa problematica, che evidentemente sta riassumendo rilevanza, anche grazie all’eco carismatico delle già citate esperienze di partecipazione extra-europee.

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2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità

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Nonostante i risultati della ricerca di RUR, lo sforzo di alcune – anche se poche - Amministrazioni va già dichiaratamente in questa direzione: forum telematici, caselle di posta elettronica e pagine web dedicate agli amministratori, gestione dei suggerimenti e delle proposte via Internet, sezioni tematiche dei siti dedicate ai programmi, agli atti deliberativi, alle discussioni di Giunta e Consigli sono alcuni esempi per sperimentare l’utilizzo delle nuove tecnologie nella direzione della democrazia elettronica. In alcuni casi sperimentali il coinvolgimento dei cittadini è collocato proprio all'interno del processo decisionale, con la partecipazione diretta degli amministratori nelle discussioni e nell'analisi delle opinioni espresse. Ovviamente però il coinvolgimento rimane a livello di consultazione76. Dall’altro lato vi sono numerosi segnali di interesse per la partecipazione che si esprime direttamente dal basso. Un esempio calzante è quello della petizione su scala nazionale promossa da QuintoStato.it [214] dopo l'approvazione del Decreto-Legge del Governo italiano (già citato nella nota 14 a pag.22 in 1.1.d) che obbligava i carriers telefonici e i providers che forniscono accesso a Internet a conservare la memoria del traffico generato dai loro utenti per un periodo non inferiore a 5 anni: l’iniziativa ha provocato migliaia di e-mail di dissenso (di lettori di QuintoStato.it, ma anche di molti altri blogs e siti) creando anche un vortice di iniziative correlate e adesioni di numero esponenziale ed è sfociata nella consegna – di valenza formale – di più di 8.000 firme elettroniche (contenute in un CD) ai Presidenti di Camera e Senato. Tale “pressione sociale” è sfociata nel quasi completo annullamento delle modifiche al Codice sulla privacy che il decreto-legge avrebbe disposto. Quest’esperienza peraltro non ha fatto altro che evidenziare la vivacità intellettuale che oggi percorre la società civile e che le nuove tecnologie della comunicazione in Rete consentono di far uscire allo scoperto: il sistema tradizionale della comunicazione e dell’informazione – accusato di essere una delle cause più rilevanti nella decadenza della democrazia rappresentativa - subisce oggi la concorrenza di una nuova forma di comunicazione orizzontale, non mediata, tra gli individui di tutto il mondo che, soprattutto grazie ai blogs77, hanno la possibilità di confrontarsi e discutere direttamente su ogni argomento, bypassando lo schema classico della comunicazione unidirezionale, mediata e filtrata, verticale dall’alto verso il basso, tra chi gestisce i media tradizionali e gli utenti78.

2.3.d. L’utop ia del par lamento te lema tico e la valenza del vo to e le ttron ico

Vi sono anche ipotesi radicali di applicazione della democrazia diretta on-line: ci riferiamo a quanto sostenuto dall’Associazione per la democrazia diretta [198] che, partendo dal concetto di partecipazione come fondante quello di democrazia e affermando che tutte le operazioni che costituiscono il “partecipare” (“ricevere i pensieri, le proposte, le volontà decisionali degli altri… mettere 76 Il settimo rapporto RUR-CENSIS sulle Città Digitali [172] riporta due esempi significativi: quello del Comune di Firenze, il cui sito ha

dedicato un’intera sezione alla discussione sul “Piano strategico per progettare Firenze", predisponendo tre diversi forum con la partecipazione di cittadini e amministratori per discutere d’innovazione, di territorio e di qualità urbana; e DEMOS (Sistema Online di Moderazione Delphi) del Comune di Bologna, che, attraverso un sistema di moderazione on-line, porta i cittadini al raggiungimento di una posizione chiara e condivisa su un determinato problema: il dibattito è strutturato in modo tale da rilevare e confrontare le valutazioni espresse all’interno di gruppi di consultazione composti da esperti e da attori sociali e decisionali.

77 Quella dei blogs è una tecnologia semplice: si tratta di un database interattivo ospitato su un server web e manipolato dagli script generati dall’applicativo di blogging. Il prodotto finale è costituito di pagine web aggiornate regolarmente, con i contenuti più recenti collocati in alto alla pagina con la data chiaramente indicata per ciascun intervento: generalmente il software di blog formatta automaticamente il sito, tiene traccia dei nuovi pezzi inseriti, del layout della pagina e di tutto il codice HTML necessario, che risulta invisibile all’utente. Possiamo distinguere tre tipi di blog: la formula dei “microdiari”, quella del “taccuino”, tipico di giornalisti, scrittori o aspiranti tali e quella del blog “filtro”, una sorta di portale in miniatura su un determinato argomento, dove sono raccolti link ad altre pagine a cui si affiancano commenti personali.

78 A questo riguardo riportiamo il manifesto del sito di bloggers www.politicaonline.it [212], dedicato a politica, discussione dialettica e partecipazione diretta: “Come rimediare a questa evidente falla del sistema sociale? Come ridare fiato e forza al coinvolgimento pubblico? Sulla base delle esperienze maturate finora e pur con tutte le problematiche del caso, le tecnologie digitali hanno dimostrato di potersi offrire come strumento di partecipazione, di conoscenza, finanche di attivismo concreto. Rimangono, tuttavia, soltanto uno strumento: tocca a ciascuno di noi attivarsi, creare percorsi possibili di confronto, inventare contesti innovativi per il dialogo a tutto campo. In maniera indipendente da strutture o entità di qualsiasi tipo, questo spazio vuole sfruttare l'interazione del blogs per avviare un esperimento di comunicazione a più voci. Una sorta di finestra aperta sulle potenzialità odierne insite nella riappropriazione del discorso culturale politico, dentro e fuori internet - onde impedire l'ulteriore propagazione di un virus che ci ha già strappato buona parte del processo democratico”.

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in atto le decisioni… controllare gli atti che vengono eseguiti dai delegati per conto del popolo” [67]) hanno come comune natura quella di trasmissione e ricezione di informazioni, conclude che la stessa partecipazione ha subìto tutte le restrizioni e i condizionamenti imposti dalle capacità di trattamento dell'informazione propri del livello di sviluppo di una determinata società. Dato che il primo media di trasmissione e ricezione dell'informazione è stato ed è il corpo e dato che con questo medium la partecipazione può avere luogo solo con la presenza fisica del singolo membro del popolo, sono imposte pesanti restrizioni al numero dei partecipanti, con la evidente necessità di creare un meccanismo di rappresentazione della collettività quando il numero dei membri cresce oltre un certo livello. Sarebbe per questo che i Consigli o il Parlamento non possono essere costituiti da un grande numero di partecipanti fisicamente presenti: diverrebbe ovviamente impossibile o estremamente lenta la trasmissione o ricezione dei segni della partecipazione; inoltre la presenza fisica che impone il trasferimento al luogo dell'assemblea richiede ulteriori risorse e dispendio di tempo. Sino ad oggi dunque oltre un certo numero di membri, un sistema che prevedesse la democrazia diretta sarebbe stato irrealizzabile o altamente inefficiente: da qui - secondo la tesi dell’Associazione - la necessaria delega a rappresentanti e la prevalenza delle forme di democrazia rappresentativa [67]. Secondo questa posizione quindi le nuove tecnologie potrebbero rispondere oggi all’esigenza di partecipazione e quindi garantire la presenza (anche se virtuale) di ogni membro della popolazione, presupposto stesso della partecipazione. Le ipotesi sono ad esempio [67]: a. l’immissione in rete telematica degli atti parlamentari e degli enti locali aggiornati in tempo reale; b. la creazione di un vero e proprio “parlamento telematico”, che si attualizzerebbe attraverso

dispositivi per il tele-voto a domicilio o appositi siti pubblici; c. la sperimentazione e la progressiva introduzione della possibilità di esprimere, oltre il voto, il

proprio individuale articolato parere con l'uso di tecnologie a filtro cooperativo a soglie crescenti dal livello locale al nazionale;

d. la sperimentazione e la progressiva introduzione della possibilità di proporre direttamente ed individualmente le deliberazioni sempre con l'uso di tecnologie a filtro cooperativo a soglie crescenti dal livello locale al nazionale.

Passare dall’espressione di approvazione o dissenso rispetto ad un quesito predefinito alla possibilità di esprimere pareri argomentati per condividerne orizzontalmente i contenuti significherebbe fare un salto qualitativo nel livello di partecipazione; si passerebbe poi ad una fase ancora più evoluta quando al cittadino, singolo o associato, è consentito di attivare autonomamente un processo comunicativo, ad esempio per una iniziativa legislativa.

Figura 2.3.2 Livelli di comunicazione per la costruzione della democrazia diretta on-line (ns. rielaborazione da [67][67][101])

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2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità

87

Questo scenario quanto meno avveniristico79, ha senza dubbio il pregio di evidenziare la questione su ciò che oggi connota il concetto di voto elettronico. Più che strumento di e-democracy, esso è parte di quella serie di interventi volti a rendere più semplici ed efficienti (mantenendo le garanzie di libertà, segretezza, eguaglianza e unicità del voto), le operazioni (di voto e di scrutinio) gestite dal soggetto pubblico per consentire l’esercizio di un diritto democratico fondamentale; esso è cioè un tipico strumento di e-government80. Vi sono comunque alcuni aspetti da valorizzare: che la semplificazione delle operazioni di voto potrebbe incidere negativamente nell’attuale

tendenza all’astensionismo e avere ricadute benefiche anche sulla salute della democrazia; che essa potrebbe ridurre drasticamente il numero delle persone che – per coazioni fisiche –

sono bisognose dell’aiuto di terzi o della delega a terzi per esprimere il proprio voto; che essa potrebbe evitare i casi di “adesione passiva” alla consultazione elettorale, quella cioè

che vede la scheda annullata da segni impropri non frutto di una scelta predeterminata dell’elettore: le procedure informatiche potrebbero infatti guidarlo.

Ad ogni modo, la tecnologia oggi disponibile e applicata al voto elettronico potrebbe essere sviluppata per consentire al cittadino non solo la scelta dei rappresentanti ma anche l’espressione della sua volontà in merito a questioni specifiche che lo riguardino direttamente: solo in questo caso essa diverrebbe strumento abilitante l’e-democracy.

2.3.e. Att ivare un c ircolo v ir tuoso

Nel percorso ideale che va dalle Reti Civiche (con gli strumenti di interazione che hanno introdotto) all’idea dell’impiego del voto elettronico per la costruzione di un vero e proprio “Parlamento virtuale” possiamo recuperare il concetto di democrazia partecipativa sviluppatosi con le esperienze dell’America Latina. Queste esperienze, come le Reti Civiche, si sviluppano a livello locale, dove l’interesse e la consapevolezza delle problematiche su cui prendere decisioni possono essere prerogativa di ciascun cittadino; come nelle Reti Civiche e nelle altre esperienze locali avanzate di partecipazione on-line, inoltre, l’atto formale che conclude il processo decisionale rimane prerogativa degli organi istituzionali, espressione della volontà dei cittadini risultante dalle consultazioni elettorali. La loro peculiarità però consiste: 1 nella capacità di coinvolgimento di quasi tutti i cittadini nella discussione (ruolo propulsivo degli

attori politici, frutto di una ben precisa volontà politica) 2 nella dignità istituzionale sostanziale di controparte del potere istituzionale formale riconosciuta

alle assemblee dei rappresentanti - con vincolo di mandato - dei cittadini (che si esplica nel recepimento delle proposte dell’assemblea da parte della Giunta Municipale, nella loro integrazione con le proposte della stessa Giunta e nella necessaria fase di valutazione della proposta globale da parte dell’assemblea stessa)

79 In [101] la delineazione dello scenario si avventura in riflessioni abbastanza fantasiose, anche se non prive di fascino. Dopo aver affermato

che in quest’epoca - grazie alla funzione “informatrice” a basso costo della Rete - potrebbe esserci molta più possibilità di informazione e molta più conoscenza del mondo che in qualsiasi altra del passato, a patto che vi siano mezzi di comunicazione obiettivi (e potrebbe quindi essere favorita la realizzazione della condizione utopica di omniscienza di ogni uomo in relazione a qualsiasi tematica o argomento) si osserva che in realtà su questa condizione influisce anche l’interesse, la capacità, il tempo di informarsi e farsi una opinione consapevole su ciascun argomento di public policy da parte del cittadino stesso. La soluzione proposta è quindi quella di un sistema misto flessibile: il cittadino dovrebbe cioè poter decidere volta per volta se votare direttamente o se delegare a qualche rappresentante che riscuote la sua fiducia, mentre una regolamentazione ad hoc dovrebbe prevedere un limite massimo di voti che ogni “delegato” potrebbe esprimere, assoluta trasparenza delle intenzioni di voto dei “delegati”, possibilità del cittadino di togliere la delega in qualsiasi momento prima e dopo il voto.

80 In particolare il voto elettronico è oggi oggetto di sperimentazione transnazionale attraverso il progetto e-poll (Electronic Polling System for Remote Voting Operations) finanziato dalla Commissione Europea, al quale partecipano numerosi soggetti istituzionali ed imprenditoriali europei: in Italia sono coinvolti anche i Comuni di Avellino, Campobasso e Cremona.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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I Bilanci Partecipativi mescolano sempre momenti assembleari di democrazia diretta e momenti di democrazia rappresentativa, ma l’approvazione da parte del Consiglio Municipale delle proposte così elaborate e presentate dalla Giunta diviene una fase finale necessaria svuotata di significato sostanziale: un’eventuale decisione contraria alla proposta scaturita dal processo di elaborazione condivisa obbligherebbe i membri del Consiglio (anch’essi eletti dal popolo come i rappresentanti delle assemblee, ma come in Italia senza vincolo di mandato,) ad una esplicitazione seria e approfondita delle motivazioni della scelta e li esporrebbe a manifestazioni di dissenso aperto da parte dell’intera cittadinanza. Senza dunque giungere all’idea del voto elettronico con valenza formale è stato possibile – per lo meno a livello locale – innescare efficienti meccanismi di partecipazione: come già detto la ricetta richiede a) forte volontà politica b) regolamentazione del sistema di partecipazione e del suo innesto nel tradizionale impianto

normativo, agendo all’interno degli interstizi dell’ordinamento giuridico, cioè “in quel vasto ed inesplorato campo dell'interpretazione normativa che giace tra ciò che, nei propri contesti di riferimento, è dettagliatamente normato nel suo funzionamento e ciò che è esplicitamente vietato dalle Leggi” [62].

Questa stessa strada è percorribile in Italia, perché il percorso di digitalizzazione della comunità locale di tipo graduale avviato dalle Amministrazioni può creare i presupposti per il coinvolgimento attivo del cittadino nell’ambito della gestione della cosa pubblica (ruolo propulsivo delle PP.AA.), innescando un circolo virtuoso secondo il quale gli strumenti della telematica, da rispondere essenzialmente ad una logica di servizio in senso stretto (e-government), giungano a calzare perfettamente ad una logica di relazione e partecipazione (e-democracy), valorizzando il ruolo del cittadino, il suo vissuto, la sua capacità progettuale, la sua disponibilità a fornire informazioni rispetto a problemi e priorità [99]. Questo ovviamente richiederà alle Amministrazioni, come si è visto, una volontà politica ben precisa, la capacità di mettersi in discussione e la creatività che consentano di regolamentare formalmente i meccanismi della partecipazione on-line in modo da inserirli in una architettura istituzionale pre-esistente.

2.3.f. I l c i t tadino prosumer

Potremmo proporre un’analogia con quanto accaduto nell’ambito di iniziative di web marketing promosse da imprese manifatturiere e di servizi. La profilazione degli utenti, come si è visto in 1.1, consente l’attivazione di politiche di one-to-one marketing. Uno dei limiti di queste politiche è quello di prendere in esame un insieme di informazioni sul consumatore, senza interrogarsi su quali conoscenze siano a sua disposizione a proposito della natura e degli attributi dell’offerta, senza chiedersi se disponga di suggerimenti che potrebbero favorire il miglioramento del prodotto o strategie di innovazione. Molte imprese hanno quindi rinunciato alla delega che il consumatore storicamente assegnava loro, per entrare in uno scenario di effettiva interazione, consapevoli che buona parte dei fruitori di beni e

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servizi sono utilizzatori capaci di esprimere giudizi e di sviluppare una propria progettualità rispetto a possibili innovazioni: esse hanno cioè investito sul consumatore trasformandolo in prosumer81. Per raggiungere questo obiettivo le imprese non hanno puntato sul singolo cliente atomizzato, ma hanno messo a punto vere e proprie comunità virtuali in cui clienti particolarmente motivati possono interagire fra loro per discutere di temi che considerano di rilievo e per interagire con l’offerta: esse hanno promosso la formazione di gruppi di interesse a partire da un bisogno e da un’identità [100]. E se è vero che hanno promosso questo processo soprattutto imprese il cui campo di azione era caratterizzato da una relativa complessità e ricchezza d’uso, è pur vero che esse sono accomunate da questo alle Amministrazioni Locali, oggi chiamate a gestire una crescente varietà di richieste in contesti sempre più difficili da interpretare con soluzioni di carattere generale: le richieste sul fronte dei servizi sociali, della mobilità, della sicurezza, della cultura, richiedono sempre maggiore rapidità e, allo stesso tempo, una sempre maggiore capacità di adattarsi ai contesti e alle situazioni. Volontà politica da parte delle PP.AA. e disponibilità dello strumento del Profilo Integrato dei Cittadini, gestito – come previsto – dall’Intermediario di Trust, potrebbero ridurre in modo sostanziale i costi di transazione che i cittadini sono chiamati a sostenere per l’auto-organizzazione delle comunità in Rete. Dobbiamo immaginare uno scenario nel quale la Pubblica Amministrazione si apre verso l’esterno e fa entrare i cittadini perché punta sulla loro capacità critica e propositiva e perché ritiene che un cittadino attivo sia più responsabile e consapevole del valore della cosa pubblica: l’esternazione di questo atteggiamento attraverso politiche attive non potrebbe che ripercuotersi positivamente sulla fiducia del cittadino nel soggetto pubblico, legittimandolo peraltro ulteriormente nel suo ruolo di Intermediario di Trust (si veda 1.2). Ma quali modalità esso può scegliere per aprirsi verso l’esterno? E come può sfruttare a questo scopo la grande risorsa informativa di cui dispone, il Profilo Integrato? In primo luogo la P.A. è chiamata ad operare un gesto di trasparenza e, come si è illustrato in 2.1, attivare un processo comunicativo personalizzato e pro-attivo verso il cittadino; dovrebbe farlo per metterlo a conoscenza: di provvedimenti amministrativi che vadano ad incidere nella sfera giuridica di un particolare

cittadino o di un ristretto numero di cittadini puntualmente identificabili; di provvedimenti amministrativi generali, che quindi vadano a regolare il funzionamento di settori

specifici dell’attività umana e vadano ad incidere – per lo meno potenzialmente – nella sfera giuridica di particolari categorie di cittadini;

di provvedimenti legislativi, che quindi dovrebbero riguardare la generalità dei cittadini perché rispondenti ad interessi generali: anche in questo caso, comunque, sarebbe necessario distinguere tra atti normativi di rilievo costituzionale e atti normativi ordinari, che potrebbero identificare categorie specifiche di interessi.

Questa distinzione è necessaria perché, a seconda di quale sia l’oggetto del processo comunicativo, la platea di destinatari di riferimento che vengono individuati sulla base dei loro requisiti soggettivi risultanti dai Profili Integrati e della eventuale sottoscrizione al servizio di comunicazione (espressione del consenso al trattamento dei dati personali) varia in maniera quantitativamente significativa.

81 Il prosumer (pro{ductor-con}sumer), ovvero fusione tra produttore e consumatore, è una figura sociale ipotizzata dal sociologo Alvin Toffler

nel suo testo del 1980 “La terza ondata”, secondo cui ci sono tre "ondate" nella storia dell’economia e della cultura: la prima è costituita dalla scoperta dell’agricoltura, la seconda dalla rivoluzione industriale e la terza dallo sviluppo della comunicazione e quindi dall’avvento della società dell’informazione: poiché l'informazione non è soggetta a consumarsi come il petrolio o i generi alimentari, ma al contrario si crea attraverso l'uso, secondo la tesi di Toffler il potere starebbe passando dal produttore al consumatore, da una piccola minoranza ad una vasta maggioranza, con uno spostamento dall'alto verso il basso. Con il termine prosumer si sintetizza quindi il processo di coinvolgimento dell’acquirente nel processo di produzione.

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Questo processo comunicativo è uni-direzionale, a meno che la P.A. comunicante (o, meglio, un’infrastruttura dedicata gestita dall’Intermediario di Trust) non consenta il feed-back da parte del cittadino nel merito del provvedimento oggetto della comunicazione. Ovviamente tale comunicazione bi-direzionale sarebbe più facilmente attuabile con i destinatari del servizio di comunicazione pro-attiva e personalizzata che abbiano sottoscritto il servizio scegliendo come canali l’e-mail o comunque il web82. Attraverso questi canali la P.A. avrebbe infatti la possibilità di offrire un form interattivo (o il link ad un form on-line) attraverso il quale il cittadino può esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso in relazione al provvedimento; l’aggregazione di tali dati in relazione ai requisiti soggettivi che caratterizzano il Profilo Integrato di ciascun partecipante alla consultazione realizzerebbe di fatto un vero e proprio sondaggio on-line su di un universo stratificato. La P.A., infatti, rielaborando attraverso l’Intermediario di Trust i feed-back provenienti dai cittadini conoscerebbe: a) la percentuale generale dei consensi e dei dissensi b) la caratterizzazione dei consensi e dei dissensi in relazione a variabili del Profilo Soggettivo dei

partecipanti che essa sceglie come rilevanti (questa operazione potrebbe essere oggetto dell’attività dell’e-government Intelligence locale individuata come soggetto specifico in 2.2.j)

La comunicazione bi-direzionale assume poi un aspetto più sostanziale consentendo al cittadino di argomentare la propria scelta di dissenso o consenso: il form dovrebbe allora prevedere un apposito spazio per l’estensione di pareri e opinioni. In questo modo la P.A. non solo avrebbe un quadro del livello di consenso sul proprio intervento (unico obiettivo al quale puntano strumenti come il sondaggio, oggi ampiamente utilizzati), ma potrebbe anche ottenere indicazioni utili sulla percezione delle conseguenze dell’intervento e le motivazioni che la sostengono. Fin qui si tratta di un processo comunicativo interattivo tra Pubblica Amministrazione e cittadino e quindi verticale. Il cittadino atomizzato, d’altra parte, ha scarsa rilevanza come controparte del oggetto pubblico: ma cosa accadrebbe se la P.A., oltre ad attivare un processo comunicativo uni-direzionale dal quale si apra un canale di ritorno, traesse - dall’uso di questo canale da parte dei cittadini - la base per l’attivazione di una forma di comunicazione orizzontale? Per fare questo essa dovrebbe richiedere la disponibilità al cittadino partecipante al “sondaggio” a rilasciare il proprio indirizzo e-mail per poter essere inserito nella mailing list di coloro che vogliono scambiare idee con i diversi interessati; contestualmente gli dovrebbe consentire di accedere immediatamente – attraverso un apposito link – ad una pagina ad hoc dove sono pubblicati e aggiornati on-time le percentuali di consenso e dissenso, le relative argomentazioni, le coordinate per contattare i partecipanti disponibili. In relazione all’argomento trattato dal provvedimento oggetto della discussione, la P.A. dovrebbe quindi offrire lo spazio per un forum al quale parteciperebbero i cittadini interessati; dato che si è ipotizzato che sin dall’origine del processo comunicativo i cittadini contattati avessero alcuni requisiti soggettivi del proprio Profilo che li accomunavano, è lecito aspettarsi la nascita di comunità di interessi, per lo meno temporanee, attorno al forum. A questo punto è utile fare una distinzione. In relazione al contesto che stiamo delineando, possiamo distinguere due macro-tipologie di comunità di interesse on-line: quelle formatesi in relazione ad uno specifico contenuto di fatto individuato dalla P.A. stessa (funzioni, provvedimenti, servizi, ecc…) – che

82 Questa precisazione pone alcuni problemi relativi al digital divide, che – laddove coinvolga la condivisione dei diritti di cittadinanza, quale è

o potenzialmente sarebbe il diritto alla partecipazione – assume particolare rilevanza. L’usabilità e l’accessibilità del sistema – cui abbiamo fatto riferimento in 2.1.d - dovrebbero poter essere condizioni garantite anche nei processi interattivi.

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2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità

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denominiamo “top-down” – e quelle che si costituiscano grazie all’autonoma iniziativa dei cittadini intorno ad un oggetto che non sia stato predeterminato – che denominiamo “bottom-up”. Per quanto riguarda le comunità “top-down” sono già in campo pregevoli iniziative di alcune PP.AA. che mettono a disposizione spazi di interazione in Rete sulla base di contenuti che esse ritengono rilevanti per i cittadini. Ad esempio, una proposta interessante viene da un lavoro in corso di elaborazione nel contesto del programma di ricerca B.E.S.T. beyond Internet, nel quale – tra gli altri obiettivi - si prospetta un modello di aggregazione di comunità ispirato agli “eventi della vita” (si veda 1.3.c) come ipotesi iniziale di strutturazione degli spazi in Rete: un evento della vita - a cui è associato un servizio - è senza dubbio un topic rilevante e sufficientemente "universale" per pensare che effettivamente ci saranno comunità che sorgano intorno all'evento stesso. Ciò che ci preme qui sottolineare è che il meccanismo di auto-organizzazione che conduce alla creazione di comunità “bottom-up” potrebbe avere luogo anche nel caso in cui la P.A. scelga di offrire alla cittadinanza spazi in Rete per lo sviluppo di comunità con modalità “top-down”: in questo caso lo scopo dell’aggregazione dei cittadini si trasforma rispetto a quello originariamente previsto. Dato che la P.A. può trarre vantaggio dall’interazione con entrambe le tipologie di comunità, è utile che essa si attivi per stimolare scambi trasversali tra i cittadini e favorire l’autonoma iniziativa degli stessi, in modo che essi possano porsi come controparte della P.A. su argomenti di particolare interesse, favorendo così la partecipazione e la responsabilizzazione civica. Anche se quindi non è escluso che comunità “bottom-up” possano costituirsi intorno a spazi per l’aggregazione in Rete creati sulla base di topic predeterminati (come un “evento della vita”), con l’uso intensivo del data-base dei Profili Integrati tale processo potrebbe essere notevolmente favorito implementando procedure che consentano l’esplicazione del requisito di auto-determinazione del Profilo Integrato, secondo il quale (vedi 1.4.c) è propria del cittadino la facoltà di scegliere come fruirne: egli dovrebbe quindi poter scegliere, nel contesto dell’applicativo che – in seguito ad un processo di comunicazione pro-attiva e personalizzata - gli consente anche di esprimere on-line le proprie argomentazioni e di partecipare al forum, quali dei suoi requisiti soggettivi rendere pubblici a tutti i partecipanti oppure su quali categorie di partecipanti vorrebbe che il sistema ponesse un filtro per attivare un suo personale flusso comunicativo. Il cittadino dovrebbe cioè avere la facoltà di: a) esprimere il consenso alla pubblicazione del proprio indirizzo e-mail verso i cittadini della sua

stessa opinione o dell’opinione diversa o di tutte e due le fazioni b) disporre di rendere visibile parte del suo Profilo agli altri cittadini partecipanti c) disporre al sistema di contattare per suo conto i cittadini i cui Profili rispondano a determinati

requisiti soggettivi: ovviamente il sistema sarà in grado di contattare solo i cittadini che a loro volta hanno disposto la visibilità di quella parte del loro Profilo

In questa maniera verrebbero stimolati scambi trasversali diretti tra cittadini che potenzialmente – per affinità – hanno i medesimi interessi, scambi che potrebbero assumere continuità e condurre i nuovi gruppi ad esprimere la necessità di una maggiore strutturazione: a queste esigenze potrebbe quindi rispondere la P.A. stessa allestendo appositi spazi virtuali in Rete.

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Figura 2.3.3 Modalità top-down e bottom-up di costruzione delle comunità di partecipazione

In tutti i casi ipotizzati, sia cioè che la P.A. offra spazi virtuali in Rete sulla base di topic predeterminati, sia che tale aggregazione avvenga in reazione ad un processo comunicativo pro-attivo e personalizzato da parte della P.A., sia che essa si trasformi e si segmenti sulla base dei Profili Integrati, essi riguardano situazioni temporalmente circoscritte della vita di ciascun individuo: vi è cioè il rischio che rimangano occasioni transitorie. E’ però necessario osservare che la Rete mostra esempi di comunità in cui, sebbene il fattore aggregante avesse originariamente valenza di evento individuale, hanno “trattenuto” anche coloro che ad esempio avessero già usufruito dell'informazione o dell’assistenza di cui necessitavano, i quali hanno deliberatamente scelto di mettere a disposizione la propria competenza ed esperienza a beneficio dei nuovi partecipanti. A maggior ragione questo circolo virtuoso dovrebbe attualizzarsi nel caso di comunità sorte su stimolo della P.A., laddove questa sia disposta ad accettarle come controparte attiva nei processi decisionali e non solo come strumenti di auto-sostegno (informazione, assistenza) tra i cittadini: peraltro, nel caso di aggregazioni sorte in seguito a processi comunicativi pro-attivi da parte P.A., il messaggio con cui si comunica subliminalmente di voler attribuire valore alla partecipazione del cittadino è ancora più forte e chiaro. La qui supposta efficacia dei processi di auto-organizzazione e consolidamento di questo tipo di comunità è legata – come in ogni comunità - alla motivazione dei membri a rimanere all’interno della stessa e a parteciparvi attivamente: in questo caso, a nostro avviso, il cittadino troverebbe massima motivazione dalla consapevolezza di poter incidere nei processi decisionali della P.A. di riferimento e quindi di poter tentare di perseguire attivamente i propri interessi o la realizzazione dei propri valori.

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2.3.g. L’ innes to del lo scenar io prospe ttato ne l l ’ord inamento g iur id ico at tuale

L’architettura normativa attuale – che regola i processi decisionali delle PP.AA. - non verrebbe alterata dall’attualizzazione di questo scenario, ma anzi trova in esso potenzialità di attuazione precedentemente inimmaginabili. Nel caso di processi comunicativi attivati prima dell’adozione di provvedimenti amministrativi aventi rilevanza generale, si sarebbe in presenza di un tipo di consultazione senza dubbio – alla stregua delle esperienze maturate in America Latina - più sostanziale ed educativo dei semplici sondaggi usati nelle democrazie rappresentative mature, utili al solo recepimento del livello di consenso; ma anche più avanzato – per gli stessi motivi – dei referendum consultivi previsti dai commi 3 e 4 dell’art. 8 del Testo Unico degli Enti Locali [188]. Nel caso di processi comunicativi attivati prima dell’adozione di provvedimenti amministrativi che vadano ad incidere nella sfera giuridica di cittadini determinati, lo scenario prospettato potrebbe essere una sorta di attualizzazione on-line di quanto previsto dall’art.9 della L. 241/90, secondo il quale qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento”. Il principio della partecipazione al procedimento amministrativo verrebbe rispettato garantendo il diritto ai soggetti interessati (art.10) di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, che la P.A. ha l'obbligo di valutare e prendere in considerazione. L’art.11 della stessa legge ammette anche che, in accoglimento di tali osservazioni e proposte, la P.A. procedente possa concludere con i cittadini interessati accordi al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione dell’intero provvedimento (da qui l’introduzione dello strumento dell’accordo procedimentale). La P.A. dunque invierebbe la comunicazione dell’avvio del procedimento, come previsto dall’art.7 c.1 della L.241/9083 al cittadino direttamente coinvolto, ma anche a tutti i soggetti potenzialmente interessati (come si è ipotizzato anche in 2.1) secondo quanto rilevabile dai Profili Integrati. Nel messaggio la P.A.: a) indica il link presso il quale sia possibile visionare gli atti relativi al procedimento b) richiede agli interessati il consenso a comunicare agli altri interessati, qualora venga richiesto, i

propri indirizzi e-mail oppure indica il link (verosimilmente lo stesso del precedente) presso il quale poter accedere al forum specifico

c) mette a disposizione dei contattati un form attraverso cui essi possano esprimere osservazioni e proposte, allegare documenti o indicare la posizione di documenti esistenti: l’invio di tale form compilato costituisce l’avvio della fase di partecipazione dei cittadini al procedimento. Il form potrebbe essere compilato anche da un solo interessato in luogo dell’intero gruppo di cittadini che si siano ad esempio iscritti al forum on-line e abbiano aderito alle posizioni comuni assunte in seno allo stesso: in questo caso si richiederebbe da parte dell’Intermediario l’adozione di meccanismi di sottoscrizione che garantiscano la veridicità dell’adesione, ad esempio attraverso l’uso della firma elettronica

83 Il comma recita: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del

procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento.”

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d) interagisce con i cittadini, attraverso un’apposita e distinta sezione del forum, proponendo il testo dell’eventuale accordo procedimentale in sostituzione del provvedimento finale; è qui importante sottolineare che l’interazione tra P.A. e cittadini e quella tra i cittadini deve avvenire in ambienti virtualmente separati e graficamente distinguibili, giacché sono distinti gli obiettivi che li caratterizzano: anzi, sembrerebbe opportuno dotare la comunità di alcuni strumenti che le consentano di personalizzare l’interfaccia

Il principio della partecipazione al procedimento è ripreso anche dal T.U. degli EE.LL. che al c.2 dell’art.8 afferma che “nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo Statuto, e nell'osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241”. E’ lo Statuto (peraltro strumento di auto-organizzazione degli EE.LL. per eccellenza) la fonte primaria che consente alle Amministrazioni Locali di regolare le modalità attraverso cui i cittadini possano essere coinvolti nel processo di adozione di provvedimenti amministrativi che li riguardano a vario titolo: non vi è nessun altro vincolo normativo a parte i principi della legge. Quindi, è proprio agendo negli interstizi della discrezionalità che la normativa lascia a ciascuna Amministrazione, che la volontà politica rivolta alla promozione della partecipazione può trovare margine di azione, attribuendo valenza formale ai processi comunicativi circolari che dalla P.A. conducono al singolo cittadino, poi orizzontalmente ai gruppi di cittadini accomunati da specifici interessi e condizioni soggettive e infine tornano alla P.A. sottoforma di argomentazioni razionali compiute e quantitativamente rilevanti. Da questo punto ipotizziamo il realizzarsi di una sorta di processo comunicativo “a spirale”, perché ai feed-back argomentati della comunità, se si è nel mezzo di un processo decisionale, farebbe seguito necessariamente – come nel caso del precedente punto d) – un ulteriore atto comunicativo della P.A., al quale seguirà probabilmente un altro da parte della comunità fino al raggiungimento di una posizione comune, proprio come nei contesti in cui funzionano forme di democrazia deliberativa, anche laddove i canali della partecipazione siano strutturati diversamente (vedi Figura 2.3.1 di pag. 81).

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2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità

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Figura 2.3.4 Dalla comunicazione pubblica uni-direzionale ai processi comunicativi a spirale.

L’art.8 del T.U. [188] peraltro afferma che “i Comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale.” Attraverso il Profilo Integrato e processi di comunicazione pro-attiva e personalizzata le Amministrazioni Locali sarebbero in grado di promuovere proprio tale forme associative senza aspettare che esse si esplichino spontaneamente. Anche petizioni, istanze e referendum sono strumenti contemplati dall’art.7 comma 5 del Testo Unico84 del cui uso spesso il semplice cittadino non si fa promotore lasciandolo a leaders politici o comunque a strutture rappresentative già consolidate. Formalizzando i canali comunicativi della Rete la P.A. può recuperare il rapporto diretto con il cittadino e contestualmente scardinare le strutture sociali che ad oggi favoriscono in forma eccessiva i meccanismi di delega, sminuendo il valore del concetto di partecipazione.

2.3.h. Ipotes i su i d ispos it iv i s trumen tal i necessar i

Per le nuove comunità la P.A., attraverso l’Intermediario di Trust, mette a disposizione: spazi strutturati in Rete, la cui disponibilità deve essere quantitativamente elevata, dato che si è

detto inopportuno individuare a priori il numero e l’ampiezza delle comunità applicativi per la creazione autonoma di mailing list (il che presuppone anche la disponibilità di un

software che consenta al cittadino di gestire il proprio Profilo interagendo con l’Intermediario:

84 Il comma recita: “nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di

istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere, altresì, determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere, altresì, previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini”.

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d’altra parte questa funzione è strumentale all’attualizzazione del requisito di autodeterminazione del Profilo)

applicativi per l’attivazione di forum e per la personalizzazione delle relative interfacce Quest’ultimo punto richiede particolare attenzione, dato che l’interazione tra i soggetti del forum deve potersi svolgere in un ambiente strumentalmente predisposto alla gestione della interazione conversazionale. Uno specifico filone di ricerca all’interno del programma di ricerca B.E.S.T. beyond Internet ha sviluppato alcune ipotesi per garantire l’efficacia di tale ambiente in termini di usabilità dello strumento in relazione al suo scopo, che è quello di perseguire una posizione comune tra tante argomentazioni. Gli obiettivi operativi del sistema possono essere così riassunti: identificare l’oggetto dell’interazione (il topic) tra i membri della comunità, che potrebbe essere

anche differente da quello originario sostenere l’utente nel suo processo di formazione dell’opinione individuale in relazione alle

argomentazioni già presenti rilevare la condizione di mancato accordo all’interno del soggetto collettivo: una conversazione

può infatti permanere molto a lungo ramificandosi intorno ad un topic, non in virtù di un processo dialettico costruttivo ma piuttosto di una opposizione polemica

limitare le possibilità di fraintendimento tra i partecipanti dovute all’interazione mediata Per affrontare tali problematiche le ipotesi puntano sulle caratteristiche dell’interfaccia utente e su un sistema avanzato di gestione dei significati. L’interfaccia utente per l’accesso al forum – tramite apposite finestre modali – dovrebbe richiedere al parlante di:

a) specificare la relazione del suo intervento col topic b) esplicitare il tipo di atto illocutivo (asserzione, richiesta, domanda si/no, risposta ecc.) che tale

intervento intende rappresentare c) strutturare ciascun contribuito con titoli e sottotitoli “esplicativi del contenuto”, che possano

essere estratti dal sistema in modo da presentare una sintesi schematica della conversazione Quest’ultimo accorgimento consentirebbe anche il tracciamento storico degli accordi raggiunti e dei risultati ottenuti nel corso del tempo. Ad un elevato livello di evoluzione del sistema, le diverse argomentazioni potrebbero inoltre essere oggetto di formalizzazione da parte di un parser semantico, in modo da poter essere confrontate e infine sintetizzate su base statistica. Questo consentirebbe quindi non solo la sintesi di ciascuna singola argomentazione, ma anche la sintesi dei sottoinsiemi delle argomentazioni, suddivise cioè per tipologie rilevanti ai fini del processo decisionale interno. Il parser allo studio all’interno del programma di ricerca B.E.S.T. – denominato SKS - è una sorta di “motore” che mette in relazione Profilo Soggettivo dell’utente finale (come lo abbiamo definito in 1.2.b) - soprattutto i requisiti soggettivi relativi alle variabili non strutturate - e l’insieme dei discorsi derivati dalle interazioni all’interno della comunità85.

85 Uno degli obiettivi del programma-quadro di ricerca B.E.S.T. beyond Internet è infatti quello di realizzare un parser che scandisca le

conversazioni non sulla base di definizioni assiomatiche di conoscenza (vocabolari) - come negli approcci di sistemi esperti e nelle ontologie di Semantic Web – bensì in base ad un “sistema delle conoscenze condivise” (SKS) dove i significati nascano dalla sintesi delle denotazioni/connotazioni dei singoli e delle comunità circa i significanti, in modo che i concetti siano logo di codici (tipicamente condivisi globalmente e denotativi) e sottocodici (condivisi entro contesti linguistici e sub-culturali e di tipo connotativo) [14].

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2.3 Promozione della partecipazione e della creazione di comunità

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Attraverso elaborazioni statistiche diversificate sull’insieme dei Profili, l'SKS potrebbe creare dinamicamente degli "stereotipi sub-culturali" basati sulla determinazione di macro-tipologie di Profili, individuate rispetto a particolari requisiti soggettivi. Esso potrebbe anche utilizzare categorizzazioni diverse in relazione a diverse tipologie di oggetti di discussione: in questo caso il Profilo di ciascun utente potrebbe essere legato a più stereotipi sub-culturali, ciascuno relativo ad una diversa categoria di oggetti di discussione. Le asserzioni all’interno della discussione sarebbero quindi interpretate dal sistema sulla base degli stereotipi sub-culturali di appartenenza del parlante. E sarebbe quindi possibile offrire al partecipante una lettura delle asserzioni sulla base della provenienza di esse da altri partecipanti con Profili appartenenti ai suoi stessi stereotipi sub-culturali, oppure verificare se vi siano posizioni sostanzialmente diverse all’interno dei medesimi stereotipi. Sarebbe inoltre possibile rilevare se vi siano intromissioni fuori luogo (commenti od argomentazioni non inseriti per scopi di razionalità decisionale, ma per gioco o per protesta). Esse potrebbero essere quindi inserite in una speciale categoria delle argomentazioni non usate per la sintesi statistica per evitare di distorcerne i risultati: sarebbero comunque accessibili a chi fosse interessato e soprattutto sarebbero recuperabili in un secondo momento dall’SKS; non è infatti da escludere che talune argomentazioni, che a primo avviso potrebbero sembrare non rispondenti a fini di una discussione razionale nel contesto specifico, vengano “ripescate” successivamente, soprattutto se l’incidenza percentuale della stessa tipologia dovesse crescere sino a far cambiare il paradigma della lettura, ovvero, fino a che esse assumano rilevanza “semiotica” [15]. Queste complesse operazioni allo studio si attualizzerebbero come “servizi” per l’utente e consentirebbero a ciascun cittadino partecipante di assumere maggiore consapevolezza prima di esprimere le proprie considerazioni, favorendo la razionalità della discussione.

2.3.i. Rischi e l im it i ne l l ’app l icaz ione

I processi comunicativi che abbiamo ipotizzato possono condurre a forme parziali ma avanzate di democrazia diretta, perché favorirebbero lo scambio orizzontale, la creazione di comunità temporanee di interesse e - potenzialmente - la vivacità politica e culturale della società civile; renderebbero molto più trasparenti i processi decisionali degli amministratori, agevolando i rapporti tra livello politico-istituzionale e cittadinanza e favorendo quindi i meccanismi del controllo democratico. D’altra parte abbiamo costruito tale scenario basandoci su alcuni postulati: 1 che esistano i Profili Integrati ed un Intermediario di Trust 2 che vi sia la volontà politica da parte del soggetto pubblico di responsabilizzare la cittadinanza e di

investire su di essa e sulle sue risorse di conoscenza per perseguire l’efficacia delle politiche pubbliche

3 che vi sia la volontà da parte dei cittadini di partecipare alla vita politica e di impegnarsi per incidere attivamente nelle politiche pubbliche

A parte il primo postulato, che è l’oggetto stesso dell’intera nostra trattazione, anche le altre due condizioni subiscono alcune limitazioni. Come si sottolinea in [62], la partecipazione dei cittadini può essere sapientemente “usata” dalla P.A. per costruire consenso, facendo passare per partecipati progetti che nel loro complesso susciterebbero dure reazioni, per diluire eventuali energie di protesta proponendo scambi a singole componenti della cittadinanza con trattative mirate, o addirittura per garantire alla P.A. stessa l’alibi dell’inazione traendo a pretesto il disaccordo fra i “partecipanti”. Dall’altra parte, come si evidenzia in [100], i comportamenti opportunistici da parte della cittadinanza

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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sono frequenti: la cultura della delega ha i suoi vantaggi perché consente di scaricare l’onere del progetto sulla P.A., lasciando al cittadino mani libere sul giudizio finale. Non ultima deve porsi la considerazione dell’efficacia della Rete come canale abilitante la partecipazione politica, la discussione inclusiva e la elaborazione di tesi razionalmente condivise. Il risultato di uno studio nel Regno Unito, a titolo di esempio, ha mostrato come il 49% dei cittadini che si interessano attivamente di politica siano anche utenti della Rete. Secondo quanto rilevato, le attività di partecipazione si differenziano molto tra modalità off-line e on-line: off-line si vota, si contatta un eletto, si dona del denaro, si seguono comizi e si discute, mentre on-line si cercano notizie, si visitano siti politici, ci si iscrive a newsletters, si mandano e-mail ai politici e si sottoscrivono petizioni. Come appare evidente, l’attività di partecipazione politica on-line non può prescindere da quella off-line. Presso il Dipartimento di Sociologia della Massey University in Nuova Zelanda [79] sono stati analizzati - sulla base dei requisiti richiesti dal modello di sfera pubblica elaborato da Habermas [22] - i risultati di numerose ricerche condotte presso forum on-line86: da tale analisi si rileva che il processo di progressiva mercificazione della Rete mina spesso all’autonomia dell’interazione pubblica on-line, e che la mediazione rende difficoltosa la verifica delle dichiarazioni di identità e delle informazioni usate come base per le argomentazioni e che persistenti sacche di digital divide rendono esclusivo l’accesso a tali spazi di interazione. Non solo: riflessività, ascolto delle opinioni altrui e capacità di accettare le differenze di posizione sono condizioni lontane dal realizzarsi nel cyberspace. Il rischio ad oggi più rilevante e forse il più realistico è costituito dall’”occupazione” degli spazi di partecipazione on-line da parte di lobbies o altri gruppi organizzati, che non farebbe altro che riproporre in Rete le stesse logiche distorte che hanno causato la decadenza della (o, per lo meno, il crollo di fiducia sulla) democrazia rappresentativa87.

2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

Nei precedenti paragrafi (soprattutto in 1.2, 1.3 e 1.4) abbiamo constatato come le molteplici articolazioni organizzative del soggetto pubblico – in virtù delle funzioni istituzionali che svolgono – rivestano il ruolo di gestori dei dati personali dei cittadini; abbiamo quindi denominato l’insieme dei dati personali facenti capo a ciascun cittadino Profilo Integrato del cittadino. Infine abbiamo argomentato

86 Jurgen Habermas ha teorizzato che la discussione politica all’interno della sfera pubblica debba rispondere a sei requisiti fondamentali:

l’autonomia dei partecipanti dallo Stato e dal potere economico; lo scambio di argomentazioni basate su ragioni pratiche o morali comunque criticabili; la riflessività in relazione ai propri valori di riferimento; il tentativo di capire le ragioni dell’avversario; il sincero impegno per mettere a disposizione della controparte tutte le informazioni su cui si basano le proprie argomentazioni e rendere trasparenti le proprie finalità; la possibilità da parte di chiunque sia motivato ad esprimere le proprie opinioni di accedere al dibattito con diritti equilibrati rispetto a tutti gli altri, senza limitazioni legate a classe sociale, sesso, religione, …

87 La campagna per le presidenziali americane del 2004 offre degli spunti di indubbio interesse per l’analisi delle connessioni esistenti tra Internet e politica. Da una ricerca emerge la crescita di Internet come fonte importante - se non principale - di informazione per il 13% degli intervistati. D’altra parte la grande maggioranza dei cittadini americani continua a costruire la propria immagine della politica attraverso la televisione e la carta stampata e infatti più della metà di quel 13% che considera Internet una importante fonte, cerca notizie che provengono dai gruppi editoriali che controllano i network televisivi e la carta stampata o dalle grandi agenzie di stampa. Dunque ancora negli Stati Uniti Internet si presenta come strumento utile, ma non ancora determinante per la condotta di una campagna elettorale. Il caso Dean è emblematico: l’attenzione ricevuta per aver saputo creare una intensa partecipazione via Internet da parte dei suoi sostenitori non è stata pari ai risultati ottenuti alle primarie democratiche. Significa che, sebbene la Rete sia capace di stimolare la partecipazione dei cittadini interessati alla politica ed offra spazi di confronto e discussione altrimenti impensabili, rimane comunque necessario gestire il rapporto con i cittadini elettori non solo a cavallo del periodo elettorale, ma continuativamente, per ottenere risultati nel lungo periodo. Nella Rete dominano le stesse regole che vigono negli altri sistemi di comunicazione: pertanto il rischio più grosso è che essa e gli spazi della partecipazione che crea divengano “una tabula rasa che diversi gruppi d’interesse, politico o economico che sia, tentano di plasmare, di rendere funzionale alle proprie esigenze momentanee” [61].

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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come - sino ad oggi ed in larga parte – il soggetto pubblico non sia riuscito a valorizzare come base di conoscenza tale prezioso patrimonio informativo, e questo proprio a causa della frammentazione e dello scarso coordinamento tra le diverse PP.AA.. Anche per affrontare e tentare di risolvere questo tipo di annose problematiche, è stato avviato nel 1995 con una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri [167] un percorso di elaborazione e implementazione di complesse politiche di e–government. Nel corso di dieci anni tali politiche sono state finalizzate in primo luogo a mettere in collegamento tra loro le PP.AA. (trasporto) e a consentire alle stesse la fruizione di servizi di comunicazione comuni (interoperabilità) e in secondo luogo a perseguire modalità efficienti di “dialogo” tra i variegati sistemi informativi appartenenti ai diversi domini amministrativi (cooperazione applicativa). Un’ulteriore branca si è poi sviluppata in relazione alla gestione dei documenti amministrativi, strettamente legata da una parte alla erogazione dei servizi on-line a cittadini ed imprese e dall’altra all’ottimizzazione dei procedimenti interni. Trasversalmente a questi filoni di sviluppo è stata inoltre affrontata la questione della sicurezza, considerata sia in relazione alle reti che ai dati. L’oggetto della Direttiva con la quale è stata inaugurata la stagione dell’e-government italiano era la costituzione della Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione88: in essa già si parla chiaramente di interoperabilità, ma anche di cooperazione applicativa89 e di back-office, nel momento in cui si afferma che “la Rete offrirà un sistema informativo integrato che permetterà alle singole amministrazioni, da un lato, di "colloquiare" tra di loro per lo scambio di ogni documento ed informazione utile, dall'altro, di proporsi verso la collettività come centro unitario erogatore di dati e prestazioni amministrative favorendo, così, "l'avvicinamento" del cittadino all'Amministrazione e il decentramento "reale" di quest'ultima”. Si prospettava quindi la realizzazione di una sorta di sistema informativo unico, di una “rete delle reti delle Amministrazioni Pubbliche”, ovvero di un sistema virtuale costituito dalle parti dei sistemi informativi delle singole PP.AA. che, interagendo attraverso i servizi di cooperazione, avrebbe consentito al soggetto pubblico nel suo complesso di erogare i propri servizi ai cittadini in forma coerente ed omogenea. Nei prossimi paragrafi delineeremo brevemente l’evoluzione del disegno del “sistema informativo unico”, secondo quanto espresso dai documenti di approfondimento e dalle linee guida dei soggetti (politici e tecnici) deputati alla guida del processo di innovazione tecnologica delle PP.AA.; successivamente tenteremo di evidenziare quale sia a nostro avviso la direzione che a questo punto tale evoluzione debba imboccare, soffermandoci in particolare sulle esigenze di condivisione da parte delle PP.AA. delle categorie organizzative e quindi sugli auspicati processi di standardizzazione a livello nazionale; non tralasceremo infine di sottolineare come la completa attualizzazione delle potenzialità di tali processi richieda un necessario condizionamento del livello intra-organizzativo, da determinarsi attraverso una guida autorevole esercitata in forma condivisa su tutto il territorio nazionale.

2.4.a. Traspor to e in teroperabi l i tà

Tra il settembre e il gennaio 1996 l’AIPA ha effettuato il primo studio di fattibilità di una rete unitaria della P.A. (RUPA), caratterizzata da comuni standards di trasporto e interoperabilità. Da subito la tecnologia Internet è stata individuata come centrale e sono state distinte due diverse aree di azione:

88 L’obiettivo è chiaramente identificato: “la Rete Unitaria consentirà, in prospettiva, al sistema informativo di ciascuna Pubblica

Amministrazione, l’accesso ai dati e alle procedure residenti nei sistemi informativi delle altre, nel rispetto della normativa italiana in materia di limiti all’accesso, di segreto e tutela della riservatezza”.

89 Essa afferma testualmente : “Con riferimento ai programmi applicativi, le Amministrazioni dovranno … introdurre le necessarie modifiche nella tenuta delle basi di dati e nelle applicazioni esistenti in modo da realizzare il dialogo tra i sistemi informativi.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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1. ad ogni P.A. veniva riconosciuta completa autonomia nella realizzazione della rete di trasporto, dei servizi di interoperabilità e dei sistemi informativi all’interno del proprio dominio

2. la sicurezza ed i livelli di servizio di base dovevano invece essere assicurati in modo omogeneo in ogni strato di servizio disponibile e in modo coerente per tutte le PP.AA. centrali e locali (anche per consentire un dialogo efficace con la Internet pubblica e con le altre reti istituzionali)

La gara attivata nel gennaio 1998 relativamente ai servizi di trasporto e interoperabilità ha avviato la fornitura, la messa in opera e la gestione di servizi alle PP.AA. centrali e locali, consentendo alle stesse l’utilizzo di servizi come posta elettronica, www, file transfer e telnet. Il fornitore dei servizi di trasporto vincitore della gara è stato chiamato a realizzare un Centro di Gestione del Trasporto (CG-T), responsabile dell'erogazione dei servizi di trasporto, mentre il fornitore dei servizi di interoperabilità ha dovuto costituire un Centro di Gestione per l'Interoperabilità (CG-I), responsabile della gestione dei servizi che riguardano l’intero dominio della Rete Unitaria. Ogni Amministrazione si è dovuta dotare di una propria struttura gestionale – il Centro di Gestione dell'Amministrazione (CG-Amm) - interfaccia degli utenti interni e dei Centri di Gestione del Trasporto e dell'Interoperabilità. Infine, eventuali soggetti terzi fornitori di servizi addizionali sono stati chiamati a costituire specifiche strutture (Strutture di Gestione dei Servizi Addizionali - SGSA) per assicurare la gestione dei guasti, delle prestazioni, della configurazione, dell'accounting e della sicurezza delle infrastrutture hardware e software necessarie all’erogazione90.

Figura 2.4.1 Servizi di trasporto e interoperabilità nella RUPA.

Sulla spinta del “piano di e-government 2000”, con la cosiddetta “direttiva Bassanini” del maggio 2001 le PP.AA. centrali sono state chiamate ad entrare nella Rete Unitaria, attraverso la sottoscrizione degli specifici contratti per i servizi di trasporto e di interoperabilità, mentre alle PP.AA. locali sono state concesse forme diversificate di collegamento:

a) adesione diretta e individuale alla RUPA

90 Il CG-T eroga i servizi di propria competenza nel rispetto dei livelli di servizio contrattuali e svolge le funzioni di help-desk sia nei confronti

di ciascun CG-Amm che verso il CG-I. Quest’ultimo invece eroga i servizi di interoperabilità di base (es. posta elettronica, file transfer, terminale virtuale, etc.) tra le Amministrazioni e con l'esterno nel rispetto dei livelli di servizio contrattuali e svolge funzioni di help-desk nei confronti del CG-Amm. Il Centro di Gestione dell'Amministrazione supervisiona il funzionamento della rete geografica dell'Amministrazione, svolge la funzione di help-desk di primo livello per tutti i posti di lavoro dell'Amministrazione e controlla i livelli di servizio contrattuali ed il corretto funzionamento dei servizi erogati alla propria Amministrazione.

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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b) accesso collettivo alla RUPA attraverso un’infrastruttura comune per i servizi di trasporto e di interoperabilità simile alla RUPA (è il caso delle RUPAR, le RUPA regionali)

c) utilizzo di un proprio ISP91, senza necessità di adesione al contratto della RUPA, e accesso alla RUPA attraverso specifici nodi della Rete denominati Neural Access Point (NAP)

In ogni caso, veniva previsto che le specifiche dei servizi erogati dagli ISP utilizzati dalle PP.AA. dovessero rispondere alle prescrizioni emesse dal Centro Tecnico della RUPA costituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, attraverso una specifica dichiarazione di conformità dei propri servizi da parte degli ISP: con la direttiva l’erogazione di servizi a qualità determinata diviene quindi più una questione contrattuale, piuttosto che tecnologica. Il nuovo sistema per l’interconnessione delle PP.AA. definito dalla direttiva veniva denominato “Rete Nazionale”: essa prendeva corpo come una sorta di rete confederata su dorsale TCP/IP costituita da Community Networks, RUPA, RUPAR e reti di PP.AA. locali. Le sue caratteristiche ne fanno un vero e proprio “sistema di mercato” nel quale operano tipologie di soggetti differenti, ognuno al proprio livello architetturale: a livello di rete vi sono i network providers (NP), che garantiscono il trasporto, con i quali si rapportano gli internet service providers (ISP); è solo con questi ultimi che si rapporta la singola P.A. contrattando su determinati livelli di servizio (SLA). Infine vi sono gli EPO (exchange point operators, di livello nazionale e di livello locale) con la funzione di collegare le varie reti (RUPA, RUPAR, CN, ecc…) tra di loro: è a questo livello che vi è controllo e raffronto sulla qualità dei servizi offerti dagli ISP, raffronto che viene reso pubblico attraverso Portale per il Monitoraggio della Qualità (FMQ). Come si è già visto, la struttura principale che regola questo mercato - emettendo regole ed effettuando le conseguenti azioni di controllo - è il Centro Tecnico, mentre altre Autorità Garanti sono chiamate ad effettuare azioni collaterali di controllo soprattutto sui rapporti fra NP e ISP.

Figura 2.4.2 I soggetti della Rete Nazionale.

E’ importante osservare come il passaggio logico dalla RUPA al concetto di Rete Nazionale si sia reso necessario: a) per prendere atto dell’evoluzione delle reti di livello regionale e locale che in molti casi hanno

preceduto l’implementazione - sotto la guida dell’AIPA e del Centro Tecnico - di tutti gli strumenti

91 Internet Service Providers.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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previsti dalla RUPA. Infatti, da come nel corso degli ultimi dieci anni si è sviluppata la Rete, quello regionale si è dimostrato essere il livello privilegiato per la programmazione e l’implementazione delle politiche di e-government;

b) per fornire un modello di mercato che - superando le esigenze specifiche della Pubblica Amministrazione - sia di riferimento anche al mercato privato, rispondendo quindi alle esigenze di trasformazione del ruolo del soggetto pubblico nell’evoluzione della Rete da provider di servizi ad autorità garante (si veda 1.2).

2.4.b. Cooperaz ione Appl ica t iva tra PP.AA.

Il concetto di cooperazione applicativa è stato introdotto con autorevolezza nelle politiche di e-government italiane da uno studio di pre-fattibilità dell’AIPA del 1998 [126]. Mentre l’interoperabilità viene definita come la forma di cooperazione più elementare tra due soggetti di rete (di cui almeno uno umano) che consente lo scambio non proceduralizzato di informazioni non strutturate, alla cooperazione applicativa viene attribuita la caratteristica di consentire a processi amministrativi basati su sistemi informatici diversi di cooperare tra di loro attraverso il colloquio tra i sistemi informativi sottostanti: in questo caso le applicazioni colloquiano attraverso informazioni strutturate e pertanto non è richiesta la presenza di operatori umani. Il colloquio tra applicazioni poggia direttamente sullo strato di trasporto per lo scambio delle informazioni previste e prescinde dall'architettura di interoperabilità e, nello stesso tempo, non deve necessariamente uniformarsi alle architetture di trasporto predisposte per i servizi di interoperabilità. Nel documento l’autonomia delle singole PP.AA. e le esigenze di condivisione delle informazioni tra di esse sono conciliate mediante: il concetto di Sistema Informativo di Dominio (o di P.A.), che corrisponde all’insieme dei servizi

informatici (dati e applicazioni) che la P.A. accetta di esportare alle altre PP.AA. il concetto di Sistema Informativo di Cooperazione, che permette l’efficace scambio dei servizi Il documento successivamente prodotto dal CT-RUPA nel novembre 2001 [135] e poi ripreso a febbraio 2002 per elaborare le Linee guida in tema di cooperazione applicativa tra le PP.AA. funzionali alla progettazione da parte di Regioni ed Enti Locali [168], riprende l’impostazione suddetta e pone al centro dell’architettura la “porta di dominio”, un elemento concettuale che rappresenta “la somma di tutti gli apparati preposti all’accesso delle risorse del dominio” e che consente ai sistemi informatici esistenti di affacciarsi sulla Rete Nazionale e partecipare all’interscambio telematico delle informazioni. Ogni porta è formata da due componenti: 1. una componente che realizza le funzioni di cooperazione, dipendenti dagli standard relativi alle

modalità telematiche di interscambio (essenzialmente, i protocolli HTTP ed SMTP) ed ai servizi di collaborazione (come LDAP, catalogo, posta certificata, publish&forward);

2. una componente che realizza le funzioni di integrazione, garantendo il rispetto dei formati condivisi di codifica del contenuto applicativo dei messaggi oggetto dello scambio attraverso il loro adattamento verso il sistema informatico di dominio.

Come formato condiviso di codifica del contenuto applicativo dei messaggi - interpretabile in modo automatico da ciascun sistema informatico di dominio – è stato scelto XML; le informazioni sono veicolate su Internet attraverso il protocollo SOAP, che va a costituire la “busta” con la quale il messaggio viene spedito, appunto denominata “busta di e-government”; essa contiene le indicazioni relative al mittente, al destinatario, al servizio richiesto ed al profilo di collaborazione utilizzato.

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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Dal punto di vista dell’impostazione generale, nel giugno del 2002 – nel contesto delle Linee-guida del MIT per lo sviluppo della società dell’Informazione nella legislatura [159] – viene introdotto un concetto evolutivo di Rete Nazionale, quello di “Sistema Pubblico di Connettività” (SPC): mentre da una parte esso è la naturale evoluzione della Rete Unitaria che collega le Pubbliche Amministrazioni Centrali - alla quale sono adesso chiamate a contribuire le reti regionali che garantiscono l’interconnessione tra e con le Pubbliche Amministrazioni Locali, dall’altra è finalizzato a promuovere nuovi modelli di gestione delle risorse pubbliche, basati soprattutto sul ricorso agli ASP92 e all’esternalizzazione. Lo scopo principale è quello di separare nettamente le funzioni di sviluppo applicativo da quelle di fornitura dei servizi informatici di base, promovendo contestualmente la condivisione delle infrastrutture (banda larga, sistema integrato di sicurezza, infrastruttura integrata di pagamento on-line, CIE/CNS) non solo da parte degli Enti che costituiscono la Pubblica Amministrazione, ma anche di imprese e cittadini. Con la definizione del Sistema Pubblico di Connettività il soggetto pubblico, nella struttura del Ministero dell’Innovazione, si auto-definisce “architetto delle infrastrutture comuni”, approssimandosi ulteriormente – almeno dal punto di vista teorico - al rivestimento di quel ruolo di Intermediario e di garante della qualità dei servizi in Rete che in questa sede abbiamo cercato di definire (1.2). Sulla base delle linee-guida del CT-RUPA, di alcune esperienze regionali avanzate e di un processo di elaborazione condivisa, le Regioni attualmente afferenti al CISIS93 hanno concordato una architettura di rete che vede nella Regione il dominio territoriale entro il quale vengono promossi progetti avanzati di infrastrutture e cooperazione applicativa e nella cosiddetta Community Network Interregionale l’ambito attraverso il quale vengono garantiti gli interscambi tra le PP.AA. locali di diverse Regioni e tra PP.AA. locali, territoriali e centrali94. A questo scopo la funzione di interconnessione tra le Regioni, tra le Regioni e il SPC, e tra le Regioni e altri sistemi non direttamente appartenenti ai singoli sistemi telematici regionali, è garantita da un nuovo soggetto della Rete, una sorta di broker interregionale: esso dovrebbe garantire i processi di cooperazione applicativa interregionale a supporto delle applicazioni finalizzate allo sviluppo dell’e-government a livello interregionale, in ossequio alla Direttiva del MIT del 9 dicembre 2002 che prescrive di pervenire alla “semplificazione di procedimenti amministrativi complessi che prevedano l’attuazione di sotto-procedimenti amministrativi in domini regionali diversi” [160]. Per inciso, a nostro avviso tutte le applicazioni avrebbero rilevanza interregionale, proprio per rispondere alla esigenza di totale decentramento dei servizi e di aspazialità: tutti i servizi dovrebbero poter essere offerti a tutti i cittadini da qualsiasi P.A., in ossequio a quanto previsto dal primo piano di azione di e-government del 2000 [153]. Se il broker interregionale gestisce la cooperazione applicativa necessaria all’interazione tra le Regioni limitatamente a determinati processi di rilevanza appunto interregionale, il sistema proposto dal Q3I

92 Application Solution Providers. 93 Il Centro Interregionale per il Sistema Informatico ed il Sistema Statistico (appunto, CISIS) è l'organo tecnico della Conferenza dei

Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome per tutto quanto attiene ai sistemi informativi e all'informazione statistica ed è l'interlocutore tecnico interregionale per gli organi centrali dello Stato (ISTAT, AIPA, Ministeri, ecc.) in materia di statistica e di sistemi informativi . Nello sviluppo delle politiche di e-government, al fine di garantire ai cittadini e alle imprese la possibilità di accedere ai servizi superando competenze e limiti territoriali e tecnologici, il CISIS ha dato origine ad una struttura tecnica di livello interregionale chiamata da un lato a garantire l’operatività dei sistemi informatici, dall’altro a definire standard gestionali e operativi: tale struttura è denominata Tecnostruttura Q3I in quanto la sua mission è definire il “Quadro di Interoperabilità Informatica Interregionale”, un insieme di regole tecniche comuni relative ad architetture informatiche e dati e formati di interscambio, per l'interconnessione sicura delle reti regionali come contributo alla creazione del SPC e lo scambio di flussi documentali tra le Amministrazioni e gli Enti indipendentemente dalla rete regionale cui sono connessi [213].

94 Una community network può essere definita come un insieme di domini legati tra loro da legami di trust che nascono da accordi specifici o su base giuridica e che comunicano tra loro in modo paritetico al fine di integrare servizi, dati, procedure e politiche grazie a un modello di interazione condiviso, utilizzando i servizi messi a disposizione dalla infrastruttura di rete sottostante [77]. In questo senso il sistema complessivo può essere visto come una federazione di comunità.

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garantisce il principio secondo il quale all’interno di ciascun dominio regionale è lasciata completa autonomia in quanto ad implementazione dei servizi di cooperazione applicativa intraregionale e dei servizi applicativi erogati a livello di sistemi informativi locali95, sebbene sia stato introdotto un modello generale al quale ciascuna Regione può aderire.

Livello applicativo

Livello di integrazione

Livello di cooperazione

Livello di trasporto

Regionale oInterregionale

Interregionale

InterregionaleFederazione di SICA

Interregionale

Servizi localiServizi applicativi di rilievo centrale

Standardizzazione formato dati (busta e-gov)

Messaggistica (SOA, EDA)Pubblicazione e ricerca (registry e repository)

SLA SPC

Sicu

rezz

a

Gest

ione

e c

oord

inam

ento

Autenticazione (CIE, CNS, carta di firma)

Autorizzazione (registry di ruoli e profili)

Riservatezza (VPN, crittografia)

Integrità (ash PKCS 7# )

Non ripudiabilità (protocollo elettronico, posta certificata)

Tracciabilità

Figura 2.4.3 I livelli della cooperazione applicativa regionale e interregionale.

In generale, ogni amministrazione è un dominio applicativo che si affaccia all’esterno attraverso porte applicative96; la porta applicativa si trova presso una componente tecnologica detta nodo di dominio che si interfaccia con il sistema informativo locale del dominio applicativo per mezzo di un adapter (come chiamato dalla Regione Campania) anche detto proxy applicativo (dalla Regione Toscana). L’interazione tra domini – e quindi tra PP.AA. - può essere [112][113][114]

a) diretta b) mediata da un elemento broker attraverso cui si dispiegano i servizi interorganizzativi di tutti gli

enti c) supportata da un elemento broker che supporta una connessione diretta e paritetica tra domini

attraverso servizi di catalogo d) mediata da un altro dominio che funga esso stesso da elemento broker fornendo un servizio di

cooperazione ad altri domini che lo richiedano In generale la presenza di una sorta di broker, per la gestione della maggior parte dei processi di cooperazione, è riconosciuta come indispensabile. In particolare, il Q3I denomina Centro SICA (Servizi di Interoperabilità e Cooperazione Applicativa) Regionale tale elemento di Rete, contemplando prioritariamente i casi b) e c). Per la Regione Campania il broker è anche detto intermediatore o NAG (Nodo Aggregatore) ed è il punto unico di accesso al sistema distribuito, fungendo da broker tra gli utenti che richiedono un servizio e i sistemi informativi che debbono erogarlo. Per la Regione Toscana

95 E’ possibile fare una distinzione tra livelli interregionale e regionale, ove rileva il concetto di cooperazione applicativa, e livello locale, ove

invece rileva il concetto di applicazione. 96 Come si è visto precedentemente, il CNIPA parla di porte delegate e applicative: tale distinzione serve a richiamare il ruolo che ciascuna

porta di dominio riveste a seconda che il dominio in quel momento sia rispettivamente requestor o provider del servizio applicativo.

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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i servizi di cooperazione applicativa sono gestiti a livello regionale dal cosidetto Centro Servizi Regionali.

Centro SICA

Dominio applicativo

Dominio applicativo

Porta applicativa

Centro SICA

Dominio applicativo

Figura 2.4.4 Gli elementi di Rete nell’architettura di cooperazione applicativa di livello regionale.

Secondo il modello di base elaborato dal Q3I il broker (Centro SICA Regionale) svolge le funzioni di pubblicazione dei servizi, indicizzazione e ricerca dei servizi e gestione degli eventi. La funzione di pubblicazione (publish) consiste nella gestione del catalogo dei servizi e degli eventi (catalogo). Ovviamente tale funzione si basa sulla pre-definizione del catalogo, che a sua volta necessita di una definizione a priori delle tipologie di servizi che potranno essere erogati da ciascun dominio applicativo. In questo senso è previsto che ciascuna tipologia venga contrassegnata da un identificativo univoco e che ad esso siano associati i domini che erogano quel servizio e le modalità di colloquio con ciascuna porta di dominio per l’invocazione del servizio (binding). Questo modello, così come suggerito dalla tendenza attuale, prevede che tali caratteristiche siano descritte in WSDL, mentre il publishing dovrebbe basarsi sugli standard UDDI o ebXML. Tutte i processi di publishing, finding e binding potranno dispiegarsi in Rete attraverso lo standard SOAP. Le funzionalità publish e find (indicizzazione e ricerca dei servizi) rispondono al modello cooperativo SOA (Service-Oriented Application), mentre la funzione di gestione degli eventi risponde al modello cooperativo EDA (Event-Driven Application). La scelta se privilegiare il modello SOA o quello EDA per la gestione dei processi di cooperazione applicativa tra le PP.AA. è oggetto di riflessione in tutte le sedi deputate ad elaborare le architetture di cooperazione. Entrambi i modelli infatti offrono funzionalità vantaggiose da alcuni punti di vista: mentre infatti il SOA permette l’aggregazione di più funzionalità applicative purché preventivamente descritte nel catalogo (tipica e nota caratteristica dei Web Services), l’EDA permette di gestire numerosi eventi in parallelo senza che siano preventivamente definite le interfacce. Quindi, nel primo caso siamo in presenza di un’aggregazione di applicazioni, nel secondo di una gestione contemporanea di eventi: si

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tratta di stabilire quale modello sia più adatto, anche in relazione alle tipologie di processi organizzativi presi in considerazione. Nel caso dei processi di integrazione amministrativa rivestono particolare importanza i servizi che producono variazioni nei sistemi informativi di uno o più domini (servizi transattivi), ovvero i servizi applicativi che sostanziano procedimenti amministrativi di tipo costitutivo (si veda 1.3.a). Il modello SOA, che si basa su processi sincroni di interazione tra domini serventi (server) e domini client, richiede in questi casi che l’insieme delle attività correlate e gestite da diversi enti vengano trattate e completate come una singola unità di lavoro, in maniera contestuale (quindi sincrona) e completa (atomicità della transazione): per garantire la coerenza dei processi e dei dati presso i differenti sistemi informativi coinvolti nessuna transazione parziale dovrebbe infatti dirsi effettivamente compiuta laddove non fossero compiute tutte le altre. Per assicurarsi che ciò non accada mai sarebbe necessario ricorrere ad una sorta di “coordinatore della transazione” che possa ad esempio far annullare l’operazione complessiva quando anche una transazione parziale non vada a buon fine, ma questo processo è piuttosto difficoltoso [77]. Il modello EDA – in cui la comunicazione di un evento da parte del publisher al broker può anche avvenire in maniera asincrona rispetto alla comunicazione dell’evento da parte di quest’ultimo all’Amministrazione subscriber - non richiede il controllo contestuale delle operazioni di tutti i S.I. coinvolti né peraltro la pre-definizione e la pubblicazione nei catalogo delle caratteristiche tecnologiche di interazione tra i diversi servizi. In particolare, dato che nel caso delle PP.AA. e dei procedimenti amministrativi è possibile pre-definire quali enti debbano essere a conoscenza di quali eventi, il meccanismo EDA forse più efficiente è quello denominato publish&forward: esso non richiede sottoscrizione esplicita da parte delle PP.AA. affinché queste - in relazione alle loro competenze istituzionali - possano beneficiare del meccanismo di push. Le tre funzioni fondamentali di publish, find e gestione degli eventi sono attribuite al broker in tutte le architetture definite a livello regionale. In relazione ad altre funzioni, invece, vi sono maggiori differenziazioni: ad esempio, in relazione alle funzioni di protocollazione, la Regione Toscana ne attribuisce la gestione dell’interoperabilità ai cosiddetti Centri Servizi Locali che fungono da Porte di Dominio per più sistemi informativi locali, mentre la Regione Campania li attribuisce allo stesso broker (denominato NAG); inoltre, la Regione Campania attribuisce al NAG le funzioni di sicurezza (PKI per la validazione delle firme digitali e server LDAP) e di monitoraggio della Quality of Service (monitoraggio della rete e delle applicazioni), mentre il Q3I li affida ad altri soggetti della rete. A dimostrazione dell’evoluzione culturale nel percepire il potenziale ruolo del soggetto pubblico nei processi di interazione in Rete, il modello architetturale del Q3I infatti prevede una specifica funzione di monitoraggio della qualità dei servizi erogati e ne affida la gestione ad uno specifico soggetto di Rete, il Centro Servizi Regionale, che funge anche da punto di raccolta dei dati a livello di dominio applicativo. E’ interessante notare come, nell’ottica del monitoraggio della qualità, i servizi applicativi siano solo una parte delle tipologie di servizi da valutare: sono infatti oggetto di monitoraggio anche i servizi di trasporto erogati dal SPC e gli stessi SLA (Service Level Agreement) monitoring services erogati dai Centri Servizi. Il Q3I prevede quindi la costituzione ad hoc di una repository dei servizi

a) di cooperazione applicativa, erogati dai SICA o dai domini applicativi autonomamente b) di front-office, erogati dal singolo dominio applicativo c) di trasporto, erogati dal SPC d) di monitoraggio degli SLA, erogati dai Centri Servizi

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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nella quale gli stessi siano descritti in base al WSLA framework - che fissa i parametri che definiscono cosa va misurato e come - e ne affida la gestione allo stesso Centro Servizi.

Centro Servizi

regionale

Repository centrale

Servizi di cooperazione applicativa

Servizi di monitoraggio degli SLA

Servizi di front-office

Servizi di trasporto

Dominio applicativo

Dominio applicativo

SLA monitoring application

Punto raccolta dati

Porta applicativa

Figura 2.4.5 Architettura per il monitoraggio cooperativo della qualità dei servizi in Rete (Q3I).

A nostro avviso sarebbe piuttosto auspicabile evitare la ridondanza dei registri e dei gestori dei registri e affidare l’unico catalogo dei servizi alla gestione del broker regionale – che comunque dovrebbe gestire quello per la cooperazione applicativa – integrando la descrizione degli stessi con i parametri previsti dal WSLA framework: il Centro Servizi Regionale - per lo svolgimento della sua funzione di monitoraggio della qualità - dovrebbe allora fare riferimento all’unico catalogo centrale gestito dal broker.

2.4.c. La gest ione del back-of f ice

Sino ad oggi la riflessione a livello di politiche nazionali e regionali si è concentrata soprattutto sull’aspetto della cooperazione applicativa, ritenendo che le questioni legate al back-office dovessero rimanere di stretta autonomia di ciascuna singola Amministrazione. In questa logica vi è però a nostro avviso un limite di fondo: se è vero che molti dei servizi delle PP.AA. hanno luogo attraverso procedimenti interamministrativi, che consistono – come abbiamo visto in 1.3.a - nell’accertamento, nella costituzione o nella modifica di requisiti soggettivi del cittadino, è necessario poter automatizzare, oltre ai procedimenti interni, anche i flussi informativi tra PP.AA. diverse, flussi informativi che poi dovranno andare a innestarsi negli stessi procedimenti interni. Le PP.AA. devono quindi poter condividere le proprie categorie concettuali in riferimento alle tipologie dei procedimenti e quindi dei servizi e devono poter condividere le definizioni logiche e tecnologiche delle tipologie di requisiti soggettivi trattati all’interno di quei procedimenti. Peraltro, come si è visto in 1.3.c, i procedimenti e i sub-procedimenti amministrativi godono della caratteristica della tipicità e così dovrebbe essere anche per i requisiti soggettivi che vanno a costituire il Profilo Integrato. Più che in relazione ai procedimenti amministrativi, la riflessione sulle possibili ripercussioni dell’applicazione degli strumenti telematici nell’attività amministrativa si è concentrata invece sulla gestione dei documenti che (come si è visto in 1.3.b) costituiscono la “forma” degli atti amministrativi

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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che attraverso i procedimenti si trasformano, trascurando così l’importanza centrale degli elementi “nucleari” del documento amministrativo, quelli sui quali si basa in definitiva l’attività amministrativa, ovvero i requisiti soggettivi del cittadino. Queste affermazioni non vogliono ovviamente togliere nessun merito alla ricca riflessione sul document management nella Pubblica Amministrazione italiana che si è sviluppata negli ultimi anni:97 essa si è rivelata molto utile allo sviluppo di una cultura amministrativa più consapevole delle possibilità offerte dalla telematica per l’ottimizzazione dell’attività amministrativa. Per questo è a nostro avviso importante delinearne l’evoluzione anche normativa ed evidenziare le conclusioni alle quali si è sinora giunti. Come già evidenziato nel documento GeDoc (gruppo di lavoro sulla Gestione Documentale) del febbraio 1997 approvato dall’AIPA, il fenomeno della frammentazione dei registri di protocollo ha da sempre costituito una delle maggiori cause di inefficienze nella gestione dei documenti delle PP.AA.: la questione della gestione documentale in Italia si è quindi sviluppata sulla scia dell’evoluzione dei sistemi di protocollo, che ha segnato una prima svolta con il DPR 428/98 [182]: esso finalmente prescrive la deframmentazione degli uffici di protocollo e la diminuzione del numero dei registri secondo criteri di coesione interna dal punto di vista funzionale, pur nel rispetto di eventuali vincoli di tipo logistico e/o organizzativi. Concetto centrale di tale riorganizzazione è quello di Area Organizzativa Omogenea (AOO): essa è una particolare unità organizzativa che offre il servizio di protocollo dei documenti in entrata ed in uscita (art. 61). Il regolamento infatti definisce gli elementi di base essenziali per instaurare un nucleo minimo di protocollo, ovvero indica quali fossero i servizi di certificazione (di “registrazione” e “segnatura” di protocollo) con cui è possibile tenere traccia degli eventi di transito dei documenti ufficiali attraverso i confini delle PP.AA.. Con il sistema di protocollo viene documentata (attraverso apposita segnatura ed un sistema di reportistica) l’avvenuta presa in carico del documento da parte dell’Amministrazione ricevente e garantita la non-ripudiabilità dell’avvenuta produzione del documento da parte dell’Amministrazione mittente. Complementare al perseguimento di questo obiettivo è l’introduzione della posta elettronica certificata (PEC), che consente l’invio e la ricezione sicure di documenti informatici, anche firmati digitalmente. In seguito al DPR, nel settembre 2000 l’AIPA, in collaborazione con numerose professionalità, ha approvato le Linee guida alla realizzazione dei sistemi di protocollo informatico e gestione dei flussi documentali nelle pubbliche amministrazioni (GEDOC 2) [129], dalle quali il governo ha tratto molte delle indicazioni riportate sulle Linee guida alla realizzazione dei sistemi di protocollo informatico e gestione dei flussi documentali nelle PP.AA. del febbraio 2002. La trattazione effettua una categorizzazione delle possibilità di intervento organizzativo presso una P.A. a partire dalla razionalizzazione del protocollo; essa riconosce quattro tipi di approccio: quello del nucleo minimo di protocollo (previsto dal DPR del 98), quello della gestione documentale, quello del workflow management e quello del business process re-engeenering (BPR). Ciascuno di tali interventi richiede un impegno organizzativo e di revisione della cultura organizzativa sempre crescente.

97 Si pensi soprattutto al già citato progetto “Panta Rei”: esso conta un network di oltre 250 amministrazioni (Province e Comuni, oltre alla

Regione Emilia Romagna) appartenenti a diverse regioni italiane del nord, centro e sud ed è finalizzato alla realizzazione di una infrastruttura tecnologica ed organizzativa di back-office documentale. Nel pieno rispetto delle singole autonomie, le Amministrazioni condividono soluzioni tecniche e metodologie organizzative che riguardano tutto il ciclo dei documenti, dalla nascita (quando ancora non sono documenti formali), alla gestione dell’archivio corrente (esistono nei sistemi di protocollo degli Enti), fino alla loro conservazione (ingresso nell’archivio di deposito). Esso comporta la condivisione, tra tutte le PP.AA. partecipanti, delle metodologie di gestione dei documenti digitali: come renderli validi a norma di legge, come protocollarli, come firmarli digitalmente quando è necessario, come archiviarli e conservarli nel tempo. Infine, il progetto definisce sotto tutti gli aspetti gli elementi tecnologici necessari al document management: l’impianto di EDMS, l’integrazione con i sistemi di protocollo, l’autenticazione degli operatori, la firma digitale degli operatori, la posta certificata, l’archiviazione ottica sostitutiva, l’integrazione con i sistemi di workflow. In mancanza di esperienze analoghe, il progetto ha previsto servizi di supporto e consulenza per le Amministrazioni partner, affinché esse possano affrontare più agilmente l’impatto dell’innovazione dal punto di vista giuridico, archivistico ed organizzativo.

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Il primo livello consiste nella gestione informatica dei profili dei documenti, ovvero dei dati identificativi ai fini di certificazione, di arrivo e partenza: la disponibilità è limitata ai profili elettronici dei documenti e non ai documenti stessi, che rimangono conservati in archivi cartacei; è però possibile apporre al profilo l’indice di classificazione e l’assegnazione al procedimento amministrativo. Il secondo livello consiste nella gestione informatica dei documenti, il che comporta la loro scannerizzazione con la quale si approda alla loro dematerializzazione e quindi all’accesso diretto per via informatica: questo livello – proprio dei cosiddetti Document Management Systems (DMS) - consente la possibilità di assegnazione per via telematica, la gestione avanzata della classificazione (thesauri, vocabolari controllati, abstract), funzioni a valore aggiunto come indexing, retrieval, library (gestione e controllo degli accessi alla consultazione/modifica dei documenti), multifilling (gestione di documenti composti da più file collegati tra loro), e pubblicazione sul web. Si arriva fino a forme di gestione del patrimonio informativo a un passo dal groupware e quindi a sistemi avanzati di gestione della conoscenza organizzativa, di formazione delle relazioni basate sulla conoscenza, di apprendimento complessivo del sistema. Il terzo livello - possibile solo quando sia già attuata l’archiviazione informatica dei documenti (almeno di quelli protocollati) - prevede la razionalizzazione e la conseguente informatizzazione dei processi documentali ed è proprio dei cosiddetti Workflow Management Systems (WfMS). Il workflow documentale investe direttamente solo i flussi informativi strettamente legati al passaggio di documenti senza riguardare quindi i processi primari, ma solleva molte questioni relative alle funzionalità di revisione e versione dei documenti e di gestione dei livelli di accesso per via informatica agli iter di processo. La più avanzata categoria di intervento – il quarto livello - è quella che prevede la reingegnerizzazione dei processi dell’ente al fine di una loro successiva informatizzazione: in particolare vengono gestiti mediante sistemi integrati di workflow tutti quei processi che possiedono i requisiti di convenienza, ovvero la complessità, la ripetitività e la stabilità dell’iter. In seguito ad un’analisi organizzativa accurata è auspicabile pensare di sovrapporre al sistema di workflow anche sistemi tipo groupware che consentirebbero di sviluppare l’apprendimento organizzativo di contenuto e di applicarlo quindi a quello di processo98.

Figura 2.4.6 Livelli realizzativi in un progetto di protocollo elettronico (fonte: [129]).

98 Tale tipo di operazione è molto dispendiosa in termini organizzativi e di risorse ed infatti – secondo una ricerca della FED (Federazione

economia Digitale) del luglio 2000 solo il 3,7% delle PP.AA. è dotata di sistemi di questo tipo. A tale scopo l’AIPA ha emesso nel febbraio 2002 le Linee guida per le PP.AA. per l’acquisizione di servizi di implementazione di sistemi ERP, ove si evidenzia che, a valle della decisione di impostare attività di BPR, la P.A. può scegliere tra una soluzione di tipo custom (sviluppo di un software ad hoc), un acquisto di pacchetti specializzati nelle singole aree funzionali, l'impiego di un pacchetto distinto per ognuno dei settori tradizionali dell’ERP (amministrazione finanziaria, gestione delle risorse umane, contabilità), l’acquisto di un sistema ERP integrato, o infine una soluzione mista. Il documento fornisce criteri di confronto e dimensionamento comparativi anche per effettuare una stima dell'impegno necessario per la realizzazione, la gestione e la manutenzione del sistema.

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Per inciso, ipotizziamo inoltre la possibilità di implementare un quinto livello, quello del knowledge management: invece dell’assegnazione dei documenti sulla base delle competenze di procedimento amministrativo sarebbe auspicabile in primo luogo la possibilità di accesso indistinto a tutti i documenti da parte di tutti gli operatori – ovviamente con censura dei dati e delle informazioni protette da privacy – e in secondo luogo la selezione di tali documenti accessibili automatizzata sulla base del profilo dell’operatore; il matching degli attributi del profilo di diversi operatori potrebbe inoltre portare alla creazione di comunità professionali finalizzate all’approfondimento su determinati temi e al sostegno reciproco nelle attività amministrative. Entità chiave di tali processi dovrebbe essere un’anagrafe delle risorse umane basata non solo su dati meramente contabili e amministrativi (ad esempio la categoria economica e giuridica di appartenenza) od organizzativi (ad esempio il ruolo organizzativo, l’Ufficio presso il quale si presta servizio), ma anche su dati riguardanti altre caratteristiche strutturali dell’operatore, come il titolo di studio, le precedenti esperienze professionali o corsi di formazioni frequentati, nonché su informazioni su fattori strettamente soggettivi, come l’interesse professionale. L’anagrafe delle RU potrebbe risultare utile alla P.A. anche per integrare la fase di diagnosi organizzativa propedeutica per eventuali processi di BPR con informazioni preziose attraverso le quali ottimizzare l’uso delle risorse umane. I dati relativi al singolo operatore pubblico potrebbero essere contenuti all’interno di una smart-card in possesso dello stesso operatore che potrebbe fruirne per le attività amministrative, per i rapporti con la propria Amministrazione o con i propri colleghi; alcuni dati potranno essere aggiornati o modificati direttamente dal titolare, mentre altri saranno comunque oggetto esclusivo di competenza dell’Amministrazione99. Un altro elemento che dalle esigenze di implementazione del protocollo informatico condiziona fortemente l’organizzazione del back-office è l’Area Organizzativa Omogenea. Le Regole tecniche applicative del DPR 428/98 del 31 ottobre 2000 [190] hanno previsto che ciascuna AOO venga identificata con un codice univoco a livello nazionale: mentre le Amministrazioni statali o sotto controllo ministeriale sono tenute all’accreditamento presso l’”Indice delle P.A.”, le Regioni e gli Enti Locali possono costituire aggregazioni di indici propri, eventualmente da federare con l’Indice Nazionale. E’ previsto che negli “indici”, sia nazionale che regionali, siano reperibili: l’elenco delle AOO di ciascuna Amministrazione registrata l’indirizzo di PEC relativo a ciascuna AOO le unità organizzative (U.O.) afferenti a ciascuna AOO i servizi erogati (in forma tradizionale e on-line) da ciascuna unità

Le linee-guida [136][137] relative all’”Indice delle PP.AA.” e alla PEC inoltre forniscono indicazioni specifiche sul processo di co-elaborazione delle regole necessarie alla individuazione dei nomi e delle descrizioni delle AOO da registrare nell’Indice, da individuare sulla base di esigenze di intelligibilità condivise (il nome deve infatti poter esplicare la collocazione organizzativa dell’AOO). Per inciso, a nostro avviso un’implementazione approfondita di questa prescrizione dovrebbe in realtà prevedere anche la costruzione condivisa e quindi l’adozione comune di un “nomenclatore” dei servizi erogabili (cioè il catalogo dei servizi cui si è più volte accennato). Secondo quanto affermato dall’AIPA nella deliberazione del novembre 2000 [130], l’individuazione delle AOO è strettamente legata ad un’analisi organizzativa interna (prima dei processi organizzativi e quindi delle strutture che di essi o di parte di essi si occupano) e comprende una necessaria e preliminare azione di razionalizzazione e semplificazione delle attività, dei procedimenti, della documentazione e della modulistica (art.3): con ciò non si fa altro che ribadire che laddove si voglia effettivamente dare un senso all’adozione di prodotti informatici in grado di gestire efficientemente i

99 Su questo argomento – che a nostro avviso merita di essere approfondito - si rimanda ad un lavoro successivo.

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movimenti input-output dei documenti amministrativi (e quindi gli scambi e i rapporti tra amministrazioni diverse) è necessario mettere mano più approfonditamente alle attività interne di ciascuna organizzazione, nell’ottica del già richiamato BPR.

2.4.d. La ques tione cen tra le del la s icurezza

La validazione dei documenti informatici, il riconoscimento dei soggetti che operano a distanza, la certezza delle transazioni on line e il pieno valore giuridico di alcune categorie di documenti sono essenziali per il progresso della società dell'informazione: il loro impiego generalizzato è un passaggio obbligato per lo sviluppo delle attività on line e per la l’innovazione effettiva della Pubblica Amministrazione. La normativa nazionale e comunitaria si è occupata a partire dal 1997 dei dispositivi che consentono di traslare in rete numerose attività sino ad oggi relegate al mondo reale attraverso i processi di identificazione e autenticazione: in particolare ha normato rispettivamente la diffusione e l’utilizzo della Carta di Identità Elettronica (CIE) e della firma digitale, nella doppia accezione di “debole” e di “forte”, anche in relazione al valore legale del documento elettronico. Soprattutto nella prima fase d costruzione normativa (1997-2000) il legislatore ha teso a mantenere i legami di omologia di tali strumenti con i rispettivi tradizionali, ovvero con la Carta di Identità cartacea e con la firma autografata impressa in calce al documento cartaceo. La CIE in Italia è stata introdotta dal D.Lgs.127/97 [179] con finalità sia di identificazione e riconoscimento a vista del cittadino che di autenticazione per l’accesso ai servizi in rete: per questo la CIE è una carta a tecnologia ibrida, dotata sia di banda ottica che di un chip. La banda ottica permette l’identificazione a vista (come detto in seguito), mentre il chip costituisce il token crittografico che consente all’utente di custodire ed utilizzare la chiave privata della firma dopo preventiva identificazione tramite PIN: si tratta evidentemente di una firma elettronica “debole” che permette di stabilire se si sta interagendo con un documento valido (validazione) senza per questo poter risalire all’identità dell’utente; come si è visto, infatti, questa è rinvenibile dai dati registrati nella banda ottica. Con il DPCM 437/99 [186] è stato dato il via ad un Gruppo di lavoro costituito da AIPA, Anasin, Assinform, Assintel che nel febbraio 2000 ha emesso lo “Schema per il circuito di emissione della CIE”. Come si è detto, le peculiarità dell’architettura dell’emissione e del processo di autenticazione della CIE sono stati elaborati in modo tale da non modificare lo status di rilascio a vista del documento di identità attualmente in vigore:

a. le transazioni che i Comuni devono effettuare verso il Sistema di Sicurezza dl Ministro dell’Interno (SSCE) per emettere le CIE certificano l’emissione virtualmente centralizzata

b. i dati sono riportati sul supporto plastico e memorizzati con modalità informatiche di sicurezza sulla banda laser che oltretutto consente la memorizzazione di informazioni di grosso volume come la foto e la firma del titolare, nonché l'impronta digitale (l’art.289 del regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S. la ne prevederebbe la possibilità).

c. la CIE rimane come documento di riconoscimento “a vista”, consentendo però controlli più efficaci da parte delle Forze di Polizia e degli enti pubblici o privati (es. Banche) proprio grazie alla memorizzazione nella banda ottica dei dati cifrati con la chiave privata del SSCE e grazie alla possibilità di vedere eventuali manomissioni (alterazioni, tentativi di cancellazione, danneggiamenti provocati, …).

d. la carta filigranata di cui è costituito il documento cartaceo come garanzia di sicurezza è sostituita dagli ologrammi che il Poligrafico appone sul supporto plastico, mentre il timbro a secco apposto dal Comune nel momento della consegna al cittadino è sostituito dall’applicazione sulla banda ottica dell’embedded hologram, ovvero un ologramma riportato a

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laser sulla superficie della banda contenente tutti i dati espressi in chiaro sul documento; ovviamente gli “scrittori di banda ottica” devono essere opportunamente certificati e rilasciati sotto il controllo di SSCE, così come attualmente esiste il controllo dei timbri a secco rilasciati ai Comuni.

Per garantire siffatti standard di sicurezza, il Circuito di emissione della CIE è particolarmente complesso e ciò si riflette nel ritardo dell’emissione di un numero adeguato di carte. Per rendere disponibili più velocemente strumenti che permettessero l’accesso sicuro ai servizi on-line della P.A., la direttiva del dicembre 2001 del Ministero per l’Innovazione [158] ha introdotto quindi una seconda tipologia di carta, la Carta Nazionale dei Servizi (CNS), con il solo scopo di autenticare l’utente, senza pretendere di costituire un documento di identità né di identificazione a vista: essa non è dotata di banda ottica, né di foto e può essere emessa da qualsiasi produttore che risponda agli standard richiesti. Il concetto di firma digitale è stato introdotto anch’esso dal D.Lgs 127/97 [179] ed è stato da subito indissolubilmente legato a quello di documento informatico, la cui disciplina è stata introdotta nello specifico dal DPR 513/97 [181], che aveva come oggetto la dottrina sul documento cartaceo: si attribuiva al documento informatico la stessa efficacia del documento tradizionale. La specifica disposizione sull'equivalenza della firma digitale alla sottoscrizione autografa e la previsione del deposito della chiave privata con le stesse formalità del testamento segreto indicavano il valore che veniva attribuito al nuovo strumento. Infatti vi si afferma che l’apposizione o l'associazione della firma digitale al documento informatico equivale alla sottoscrizione prevista per gli atti e documenti in forma scritta su supporto cartaceo (art.10), che il titolare della coppia di chiavi asimmetriche può ottenere il deposito in forma segreta della chiave privata presso un notaio o altro pubblico depositario autorizzato (art.7); che gli atti formati con strumenti informatici, i dati e i documenti informatici delle PP.AA. costituiscono informazione primaria ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto, riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge (art.18). La firma digitale di cui parlava il DPR, recepito dal TU sulla documentazione amministrativa [191], prevedeva una carta di firma emessa da una CA certificante (accreditata in quanto iscritta all’elenco dell’AIPA): la presenza di una trusted part garantisce infatti l’abbinamento identità della persona/chiave pubblica assegnata, attraverso il rilascio di un certificato digitale (chiave pubblica)100. D’altra parte la necessità di una firma qualificata che ne garantisse il valore probatorio è stata messa in discussione dal DPR n.10 del 2002 [195] con il quale si sarebbe dovuto attuare la normativa comunitaria, costituita dalla direttiva CE 93/99: nel parlare di documento elettronico non si faceva alcuna differenza tra firma debole (a chiave simmetrica) e firma qualificata (a chiavi asimmetriche, di cui la pubblica assegnata

100 La public-key infrastructures (PKI) risponde all’esigenza di essere certi di quale sia l’identità della persona con la quale mi sto

relazionando a distanza scambiandomi documenti: attraverso Io standard X.509 - che definisce i formati dei dati e le procedure relative alla distribuzione delle chiavi pubbliche per mezzo di certificati digitali firmati dalle CA – essa fornisce certezza dell’identificazione e non ripudio e permette flussi comunicativi protetti provvedendo alla privacy e all’integrità dei dati attraverso l’uso della crittografia.

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dalla CA)101. Il nuovo art.10 del T.U. aggiornato finiva per attribuire valore di scrittura privata ai documenti sottoscritti con firme insicure, rendendo inutile la firma digitale qualificata nella maggior parte degli atti per i quali era prevista dalla normativa originaria, mentre il nuovo art.28 affermava come recepibile il documento inviato alla P.A. sia se firmato elettronicamente che se validato tramite CIE/CNS. La proposta di Assocertificatori102 è stata allora quella dell’inserimento della firma forte nella CIE/CNS: si è pensato ad un certificato ausiliario omogeneo tra i certificatori da inserire nella CIE/CNS all’atto della inizializzazione per permettere l’accesso ai servizi on-line. D’altra parte la CIE, nata principalmente come strumento di identificazione e caratterizzata dalla centralizzazone del circuito di emissione per motivi di sicurezza, deve veder istallata la firma a livello nazionale; per questo a suo tempo il legislatore ha scelto per la firma debole così da evitare il monopolio di una sola CA: ne consegue che nel caso della CIE la proposta di Assocertificatori potrebbe essere recepita solo in seguito a revisione normativa, mentre nel caso della CNS non sussisterebbero motivi di inopportunità. Ad ogni modo, lo schema del Codice dell’amministrazione digitale diffuso nel mese di dicembre 2004, sembra dimostrare che il legislatore ha recepito le indicazioni dei giuristi in relazione al valore probatorio della firma digitale: solo il documento informatico con firma forte è equiparato al documento tradizionale scritto, mentre quello con firma debole – usata in ambiti definiti in cui i diversi soggetti coinvolti siano d'accordo nel riconoscere a tale firma una sufficiente attendibilità per l'identificazione del firmatario di un documento - è rimesso alla libera valutazione del giudice. Anche il problema dello scarso utilizzo della firma digitale sembra essere risolto dal nuovo decreto, che all’art.66 afferma che le istanze e le dichiarazioni presentate alle PP.AA. per via telematica sono valide sia nel caso il cittadino sia identificato con l'uso della CIE o della CNS, nei limiti di quanto stabilito da ciascuna P.A., sia se sottoscritte mediante firma digitale qualificata103. A questo riguardo, di particolare interesse è il nuovo standard - recepito dal Centro Tecnico della RUPA - messo a punto da AssoCertificatori: esso assicura la possibilità di includere nel certificato digitale qualificato l'indicazione del ruolo e della competenza rivestiti dal titolare della firma digitale nell'ambito della propria organizzazione. Nel compimento di attività giuridiche ed economiche infatti un soggetto può agire sia in qualità di privato cittadino che nell'esercizio di una professione o di una funzione pubblica, che in rappresentanza di imprese o altri soggetti; in tal caso, l'ordinamento giuridico richiede una

101 La firma digitale non qualificata o “debole” ha il solo scopo di validare l’integrità di un documento (data authentication) e non può in alcun

modo fungere da strumento per l’identificazione di chi quel documento sottoscrive. Sull’efficacia della validazione poi, vi sono ancora dubbi: non molto tempo fa sono state scoperte e comprese alcune falle del sistema delle firme digitali, che rendono la possibilità di una loro diffusione ancora più difficoltosa. Il software delle firme funziona in quanto a verifica dell’integrità del file trasmesso, ma non è in grado di assicurare l’integrità del documento in senso giuridico. Molte delle applicazioni nel mercato non rendono evidente agli utenti i problemi di non integrità che su un file – seppur firmato – si possono riscontrare se questo contiene macro al suo interno (come spesso può accadere in comunissimi files di Word o Excell) od è esso stesso un file eseguibile: un file firmato digitalmente non cambia anche se ci sono contenuti dinamici (e quindi la verifica dà esito positivo), ma può cambiare il documento che viene presentato all'utente. Secondo la definizione che ne dà l’art.1 del TU, il documento informatico è la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti: se c'è una modificabilità (dovuta a macro o a files eseguibili) non ci può essere la sicurezza dell'integrità della rappresentazione e se la firma digitale deve consentire di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico è evidente che il documento non deve essere modificabile senza che la procedura di verifica se ne accorga, perché ciò potrebbe portare a gravi conseguenze sul piano civilistico. Le soluzioni prospettate a suo tempo anche dalla comunità che ha seguito tale vicenda in Internet [209] sono solo parzialmente recepibili: limitare il novero dei documenti firmabili digitalmente ai soli formati non programmabili limiterebbe automaticamente portata ed utilità della norma sulla firma digitale stessa, dato che escluderebbe dalla sua applicazione i formati più diffusi; d’altra parte inserire nei prodotti di firma digitale librerie e moduli applicativi che consentano di processare files in formati nativi e proprietari programmabili per prendere gli opportuni provvedimenti sui campi variabili all’atto della firma, significherebbe che il produttore avrebbe l’obbligo di supportare tutti gli standard di mercato con la necessità di apportare aggiornamenti al prodotto ogni volta che un formato di mercato cambia.

102 AssoCertificatori, l’associazione dei certificatori di firma digitale iscritti nell'elenco pubblico tenuto dal CNIPA (ACTALIS, BNL Multiservizi, Cedacri, InfoCamere, IT Telecom, Postecom, nonché il Consiglio nazionale del notariato), nasce nel 2001 con lo scopo esclusivo di promuovere iniziative per la diffusione dei sistemi di firma digitale, della relativa certificazione, dell'archiviazione elettronica e della sicurezza informatica, con riferimento sia agli aspetti tecnici, sia a quelli giuridici.

103 In realtà lo schema di decreto prevede anche che ciascuna P.A. possa decidere di utilizzare altri strumenti di identificazione, che però dovranno essere sostituiti da firma digitale qualificata e da CIE e CNS entro il 31 dicembre 2007.

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legittimazione dei poteri esercitati, che generalmente è rappresentata da una procura, da un atto amministrativo o dall'iscrizione in albi, ruoli o pubblici registri, la cui relativa documentazione deve essere allegata al documento da sottoscrivere. Lo strumento della firma elettronica è in grado di assicurare una notevole semplificazione dei processi organizzativi tradizionali, grazie all'utilizzo del certificato elettronico, che può attestare contemporaneamente l'identità del firmatario ed il ruolo da questi rivestito. Già il DPR del 1997 consentiva al soggetto che richiedesse il rilascio di un certificato elettronico di poter specificare in esso il ruolo nel quale intende agire o il potere di rappresentanza attribuitogli. In tal modo, la verifica della sottoscrizione elettronica consente di accertare nello stesso momento sia l'integrità e la provenienza di un documento informatico, sia il ruolo in cui ha agito colui che lo ha sottoscritto. La semplificazione è poi di portata ancora maggiore se si utilizza la firma digitale con indicazione del ruolo o del potere nell'ambito di sistemi di workflow: nel caso di un ufficio pubblico abilitato a ricevere documenti solo da una determinata categoria di soggetti la selezione dei mittenti è fatta all'inizio del procedimento, in maniera automatica, con notevole alleggerimento dei controlli successivi. Le informazioni relative ai ruoli contenute nei certificati elettronici rilasciati dalle CA sono classificate in quattro raggruppamenti:

1. rappresentanza (volontaria e legale) di persone fisiche 2. rappresentanza di persone giuridiche ed altri enti di diritto privato 3. esercizio di funzioni pubbliche, inteso sia come rappresentanza di Enti ed Uffici della P.A., sia

come esercizio di funzioni pubbliche delegate 4. abilitazioni professionali

La descrizione in Linguaggio Naturale (NL) del ruolo da inserire nel certificato elettronico è tratta dalla Tabella unica dei ruoli, gestita direttamente da AssoCertificatori. Peraltro, l’indicazione del ruolo del titolare comporta che all’interno del certificato debbano essere inseriti anche i dati relativi al terzo interessato: a tal fine si utilizzano gli attributi “organization”, “organization unit” e, per quanto riguarda eventuali informazioni geografiche, l’attributo “locality”. L’iniziativa di Assocertificatori traghetta la nostra riflessione verso un terreno interessante: l’integrazione in un medesimo sistema di processi di identificazione e processi di autorizzazione. In termini generali, sicurezza dei dati significa impedire a chiunque non sia stato stabilito avere un diritto di accesso, di accedere al sistema che custodisce determinati dati. Ciò comporta: identificare - attraverso meccanismi tecnici di validazione - chi richiede di accedere e autorizzare all’accesso se chi è stato identificato risulta avere le credenziali per operare all’interno del sistema. Occorrono quindi due fonti di informazione: quella che accoppia l’identità con la prova dell’identità e quella che accoppia l’identità con le credenziali. Per quanto attiene alle politiche di sicurezza legate al concetto di validazione informatica dell’identità si è visto che il legislatore accetta come probanti la firma digitale qualificata e la CIE o la CNS (anche non è ancora chiaro se esse debbono in questo caso supportare carte di firma per la validazione dell’identità a distanza, il che potrebbe equivalere alla integrazione della CNS con dispositivi biometrici che attestino che al di là della Rete vi sia effettivamente il cittadino titolare di quella CIE o CNS). E’ peraltro necessario chiarire la distinzione tra firma digitale e sistemi di validazione. La firma è strettamente legata al documento, al suo contenuto, mentre la validazione è legata a un soggetto che deve farsi riconoscere da un sistema informatico: l’esempio più comune è quello del PIN del Bancomat, che non è, e non può essere, una "firma", ma solo un meccanismo "abilitativo", mentre la firma digitale esprime una "manifestazione di volontà".

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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Per quanto attiene alla politiche di sicurezza legate al concetto di autorizzazione, il Centro Tecnico della RUPA, nel definire le caratteristiche dell’architettura di cooperazione applicativa della Rete Nazionale [135], ha indicato a suo tempo un modello di sicurezza basato sul controllo degli accessi. Il controllo degli accessi è un concetto evoluto: si passa dal controllo dell’accesso all’applicazione alla differenziazione dei livelli di accesso all’applicazione attraverso profilazione degli utenti. Il modello di sicurezza si basa sui concetti di entità (utente o programma software che opera all’interno di un dominio) servizio (la funzionalità richiesta) ruolo (un utente astratto a cui vengono poi associati i richiedenti e gli esecutori del servizio) profilo (l’insieme di azioni che possono essere effettuate su un certo servizio)

Ciò significa che per ogni servizio ad ogni singolo ruolo deve essere associato a priori un profilo. La cessione delle autorizzazioni deve essere quindi pre-definita da un’architettura squisitamente organizzativa. Numerose iniziative, sia dei vendor che di organismi istituzionali o non-profit, hanno lo scopo di superare la dicotomia tra sistemi di autorizzazione e sistemi di identificazione. Ad esempio PERMIS (PrivilEge and Role Mangement Infrastructure Standard validation) [211] è un progetto della Commissione Europea che si pone come scopo quello di progettare una Privilege Management Infrastructure (PMI) avanzata, ovvero un “insieme di dispositivi hardware, prodotti software, persone, politiche, procedure che consente l’applicazione di regole di autorizzazione all’uso delle risorse informatiche”. Tale architettura è nata dall’esigenza di rafforzare i sistemi di sicurezza, coniugando in maniera integrata il processo di identificazione con quello di autorizzazione dell’utente (user permission). La PMI consente il single-sign-on (SSO) - favorendo la semplicità di accesso per gli utenti, la gestione centralizzata dell’autorizzazione e dell’audit e un maggior controllo sulla sicurezza e sull’interoperabilità di eventuali sistemi proprietari coinvolti. In generale, l’ente certificatore (CA) dovrebbe validare la PKI identity (l’informazione personale necessaria all’identificazione), mentre la PMI identity dovrebbe essere validata dal gestore dei dati personali dell’utente richiesti per l’attribuzione di un determinato profilo di accesso. Il progetto si propone appunto di elaborare i codici e le procedure attraverso cui la PKI identity possa essere matchata con tutti gli attributi (PMI identity) disponibili su Internet relativi all’utente al quale corrisponde quell’identità. In prospettiva, proprio la CIE potrebbe essere adottata come attribute certificate per accedere alla PMI delle PP.AA.: i dati per la gestione delle autorizzazioni dovrebbero cioè trovarsi a bordo della CIE, che per sua natura è invece uno strumento di identificazione. Su questo punto, l’emanando Codice dell’Amministrazione digitale di cui si è parlato precedentemente prevede non solo che la CIE debba contenere i dati identificativi della persona e il codice fiscale, ma anche che possa contenere l'indicazione del gruppo sanguigno, le opzioni di carattere sanitario previste dalla legge, i dati biometrici (con esclusione, in ogni caso, del DNA), nonché tutti gli altri “dati utili al fine di razionalizzare e semplificare l'azione amministrativa e i servizi resi al cittadino, anche per mezzo dei portali, nel rispetto della normativa in materia di riservatezza” e “le procedure informatiche e le informazioni che possono o debbono essere conosciute dalla pubblica amministrazione e da altri soggetti, occorrenti per la firma elettronica”. Nell’ottica – che sembra oggi prevalere - dell’integrazione in un unico supporto di tutte le informazioni personali necessarie all’accesso alle più disparate attività in Rete, può essere utile pensare alla CIE come supporto attraverso il quale l’operatore pubblico può accedere al S.I. della propria P.A.: affinché sia autorizzato al trattamento di dati personali altrui dovrà essere presente nella sua CIE anche il ruolo organizzativo, oltre che, ovviamente, la P.A. di appartenenza; se poi lo stesso operatore dovesse sottoscrivere documenti relativi a procedimenti amministrativi, la firma digitale che userebbe dovrebbe

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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essere compatibile – nella parte relativa agli attributi della P.A. in luogo della quale agisce – con gli elementi del profilo all’interno della CIE; anzi, sarebbe auspicabile che proprio la firma – come proposto a suo tempo da Assocertificatori - fosse inserita nella CIE e che la descrizione degli attributi in questa fosse in tutto normalizzata rispetto alla descrizione degli attributi previsti dai cataloghi per la cooperazione applicativa. Ovviamente questa ipotesi comporta la necessità della certezza di un continuo aggiornamento (magari automatico prima di ogni utilizzo) dei dati contenuti all’interno della CIE104. Anche il Q3I si è occupato - all’interno del progetto ICAR sopra richiamato – del sistema di identificazione e autorizzazione da implementare nel contesto dell’architettura di cooperazione applicativa interregionale. A questo scopo esso propone l’adozione da parte delle Regioni di un modello logico di identità digitale unica e una gestione distribuita dei processi di identificazione e autorizzazione, basati però su regole condivise in relazione all’attribuzione dei ruoli a ciascuna identità digitale. In ossequio al concetto di architettura distribuita, è previsto che tale attribuzione sia oggetto di responsabilità di ciascun singolo dominio. A nostro avviso, d’altra parte, le regole – peraltro direttamente discendenti dal rapporto che lega indissolubilmente ciascuna tipologia di procedimento amministrativo alle P.A. competenti di quel procedimento e quindi alla sfera di responsabilità di ciascuna tipologia di operatore in relazione alla sua qualifica - dovrebbero essere sufficientemente specifiche da essere applicate automaticamente in maniera univoca da ciascun dominio, lasciando pochissimi margini di discrezionalità. Dal punto di vista operativo, il soggetto gestore del PMI a livello regionale è il SIRC (Servizio di Identificazione e di Ruolo di Comunità), che gestisce i processi di entity validation e autorizzazione: non esiste un’unica repository di ruoli, ma tante repository quanti sono i SIRC, sebbene ciascuna si basi su regole condivise.

SIRC

Repository dei ruoli

Repository delle

identità

Dominio applicativo

Porta applicativa per l’autenticazione

Dominio applicativo

Porta applicativa per l’erogazione del servizio

Figura 2.4.7 Il processo di autorizzazione all’accesso dei servizi di cooperazione applicativa (Q3I).

104 In 2.4.c abbiamo ipotizzato il possesso di una smart-card da parte degli operatori pubblici nella quale conservare dati personali rilevanti

non solo per le attività amministrative ma anche per alcune attività di sviluppo delle risorse umane (tipo knowledge management ed empowerment del personale). A questo scopo, e sempre nell’ottica del supporto unico, potrebbe essere utilizzata la stessa CIE: sarebbe possibile pensare all’inserimento in essa di alcuni dati leggibili solo dal KMS della propria Amministrazione, oltre che di altri dati squisitamente organizzativi rilevanti per il sistema di autorizzazione.

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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Ogni SIRC è federato con gli altri SIRC regionali: esso è in grado di ricomporre l’identità unica del soggetto e di riconoscerne i ruoli attribuiti dagli altri SIRC: identificazioni e attribuzioni di ruolo devono essere riconoscibili da parte di tutti i domini. In pratica, per consentire la sincronizzazione bidirezionale dei dati sugli attributi degli utenti sono necessari sistemi a due vie in modo tale che le mutazioni di stato delle autorizzazioni in un sistema locale possano essere sincronizzate tra quest'ultimo e l’eventuale metadirectory, e non solo erogate attraverso un unico canale. A livello di standard, sono in corso diverse elaborazioni per rendere più fluida la gestione e il provisioning delle identità: SPML (Service Provisiong Markup Language) è ad esempio uno standard XML per la creazione,

la modifica e la cancellazione degli account attraverso i diversi sistemi. SAML (Security Assertion Markup Language) è invece un modello per lo scambio di messaggi di

sicurezza (validazioni informatiche e autorizzazioni) attraverso i confini aziendali con altri motori di sicurezza fidati105.

Il livello massimo di destandardizzazione è quello dell’impostazione del modello della Regione Lombardia elaborato da CEFRIEL [77], nel quale ciascun dominio ha la prerogativa di definire i profili e i ruoli di accesso e, nel caso, di delegare ad un autentication server (AS) la verifica dell’identità: l’autentication server potrebbe svolgere questo servizio a supporto dell’intera community, ma rimarrebbe in ogni caso al singolo dominio la responsabilità tecnica di autorizzare l’utente all’accesso, sulla base delle proprie specifiche policy. Anche riguardo a questa impostazione è opportuno a nostro avviso evidenziare che l’AS potrebbe svolgere anche la funzione di autorizzazione per l’intera community, dato che le regole di correlazione tra ruoli e profili possono essere pre-determinate in relazione ai procedimenti amministrativi e perciò valgono per tutte le PP.AA. indistintamente. Spicca della Regione Campania affida invece le repository dei ruoli e delle identità allo stesso soggetto al quale è affidata anche la repository dei servizi, ovvero alla Service Registration Authority situata presso il NAG (il Nodo Aggregatore analogo al broker regionale del Q3I). Il merito di questa impostazione è che il servizio di autorizzazione è concepito in stretto collegamento con la costituzione e la manutenzione del catalogo dei servizi: l’authority infatti non solo gestisce i diversi meccanismi di validazione dell’identità e si occupa dell’iscrizione di nuovi utenti, ma controlla la conformità dei servizi pubblicati agli standard condivisi e, quando necessario, aggiorna i formati per la pubblicazione.

2.4.e. Process i d i s tandardizzaz ione per serv iz i a va lore aggiunto

Senza dubbio con l’elaborazione logica dell’architettura di cooperazione applicativa, l’introduzione del protocollo elettronico presente nella busta di e-government, le prospettive di descrizione dei servizi attraverso i Web Services e il servizio di catalogo, la Rete Nazionale immaginata nel 2000 è passata dall’accezione minima che vedeva la P.A. on-line come front-office all’integrazione con i processi organizzativi interni delle Amministrazioni: come si è visto, le norme del protocollo [131] richiedono infatti l’invio di dati XML insieme ai documenti formali e questa “segnatura” XML trasporta dati essenziali alle procedure amministrative che li utilizzano, segnando un primo passo verso la realizzazione di procedure di workflow management che potranno automatizzare largamente le attività amministrative. Come abbiamo avuto già modo di esprimere nei capitoli precedenti, d’altra parte, a nostro avviso non è solo l’efficienza organizzativa delle Pubbliche Amministrazioni a dover essere perseguita in questa 105 Nel mondo J2EE esistono proposte per stabilire come i container J2EE supporteranno l'autorizzazione e si integreranno con i motori di

sicurezza. Nel mondo Web Services, Microsoft, Verisign e IBM hanno invece introdotto WS-Security e hanno accettato l'uso di SAML all'interno delle buste WS-security. Un comitato OASIS ha invece l'obiettivo di estendere WDSL per includere informazioni su utenti e regole che potrebbero aiutare la gestione e federare l'identità tra portali. .Net/Passport di Microsoft e Liberty Alliance si sono ora spostate verso un modello federato per facilitare la gestione delle identità, se non il loro provisioning, attraverso imprese estese.

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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fase, ma anche e soprattutto un nuovo modello di relazioni tra soggetto pubblico e cittadino: proprio a questo scopo, più che attraverso l’ottimizzazione della gestione documentale, è attraverso la condivisione delle categorie organizzative relative a servizi e procedimenti amministrativi e ai requisiti soggettivi che potranno essere implementati scenari applicativi avanzati costituenti potenzialmente le carte di vero valore aggiunto per auspicare una reale evoluzione dei rapporti tra P.A. e cittadini. In particolare, da parte nostra, nei precedenti paragrafi abbiamo ipotizzato tre diversi scenari applicativi del Profilo Integrato: a) l’attivazione di un servizio di comunicazione pubblica pro-attiva e personalizzata, che agevoli la

trasparenza dell’azione amministrativa e il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale nei rapporti di tutti i cittadini con le Pubbliche Amministrazioni (2.1)

b) la sistematizzazione di una metodologia di programmazione che preveda la valutazione ex-ante dell’impatto delle politiche pubbliche e degli interventi regolamentari, attraverso cui vengano sostanzialmente perseguiti il principio di buona amministrazione e l’efficacia strutturale dell’intervento pubblico (2.2)

c) l’attivazione di una infrastruttura tecnologica che agevoli l’attuazione di politiche attive da parte del soggetto pubblico per la promozione della partecipazione ai processi decisionali delle singole PP.AA. dei cittadini organizzati in comunità virtuali la cui auto-organizzazione sia sostenuta attraverso la fornitura delle risorse tecnologiche necessarie da parte del soggetto pubblico (2.3)

In tutti e tre gli scenari è stato posto come centrale il ruolo di un nuovo soggetto della Rete, che abbiamo chiamato Intermediario di Trust: esso ha la duplice funzione di gestore dei Profili Integrati dei cittadini e di interfaccia tra singola P.A. e cittadino per l’implementazione dei servizi e delle attività a valore aggiunto che abbiamo ipotizzato nei tre

scenari applicativi per l’erogazione di tutti i servizi a fruizione individuale necessariamente basata sull’identità del

cittadino e sugli altri suoi requisiti soggettivi. L’Intermediario di Trust gestisce (crea e modifica) i Profili sulla base degli input informativi provenienti da ciascuna P.A.: a questo scopo in 1.3.d abbiamo ipotizzato che dal punto di vista tecnologico il Profilo possa essere visto come un data-base relazionale centralizzato (nelle mani dell’Intermediario di Trust) o come più database federati la cui vista complessiva possa essere ricomposta attraverso gli stessi Intermediari. Generalmente si danno due opzioni per i sistemi di identity management:

a) strutturarli come una rete di agenti software distribuiti che risiedono sui sistemi target b) strutturarli con più intelligenza collocata localmente

Il primo approccio alimenta un repository centrale, o un database per la razionalizzazione, contenente i dati e i cambiamenti sulle identità prodotte dai singoli sistemi target. Il modello centralizzato opera invece più come una sorta di motore di ricerca per le identità, un sistema di puntamento o una metadirectory virtuale che effettua in tempo reale auto-discovery e mapping (ad esempio per la sincronizzazione delle password).

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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Figura 2.4.8 Centralizzazione o federazione di Intermediari di Trust.

In 2.1.b abbiamo inoltre auspicato la formalizzazione del Profilo in un XML-schema; questa tecnologia consentirebbe: di facilitare la trasmissione dei dati tra le PP.AA. e l’Intermediario di Trust necessaria

all’aggiornamento del data-base, che sia su base federata o sia centralizzato; di procedere al matching (come visto sempre in 2.1.b) dei servizi e dei processi posti in essere

dalle PP.AA. (anch’essi definiti in XML nel catalogo dei servizi e degli atti) con i requisiti soggettivi del Profilo, secondo la logica tipica dei web services;

di modificare il catalogo dei servizi e dei procedimenti amministrativi, laddove e qualora lo richieda l’aggiornamento della normativa vigente106.

In questa sede, anche alla luce di quanto detto sulla questione della sicurezza, si ipotizza la presenza di un Agente di autorizzazione che – facente parte dell’Intermediario di Trust - funga da interfaccia immediata tra cittadino e Intermediario e tra P.A. e Intermediario. a) per garantire il requisito di privacy dei dati contenuti nel Profilo Integrato (si veda 1.4.b),

impedendo l’accesso e la modifica di tali dati da parte di operatori il cui ruolo istituzionale non li identifichi come competenti al trattamento107;

b) per garantire i requisiti di accessibilità, autodeterminazione e fruibilità (si veda 1.4.b e 1.4.c) che rendono il cittadino gestore del proprio Profilo - anche se attraverso la mediazione tecnologica del soggetto pubblico - prevenendo nel contempo reati di “sostituzione di persona”.

Ogni persona fisica (semplice cittadino, operatore pubblico od operatore privato) dovrà essere registrata nella repository temporanea degli autorizzati, che metterà in relazione identità specifica e profilo di accesso. Il processo di validazione dell’identità potrà essere oggetto dell’attività di una CA, anche costituita all’interno dell’Intermediario; questo in realtà è irrilevante dal punto di vista organizzativo. L’Agente di autorizzazione agisce in base a profili di accesso predeterminati e definiti nell’apposito catalogo, consentendo o meno l’azione del soggetto che chiede di interfacciarsi a ciascuna delle risorse gestite dall’Intermediario di Trust:

106 I procedimenti amministrativi - che vanno a configurarsi come “servizi” (si veda 1.3) - basano infatti la loro sostanza sui requisiti soggettivi

dei cittadini potenziali a vario titolo coinvolti nei procedimenti stessi (destinatari diretti e indiretti); con l’evoluzione della normativa, i requisiti soggettivi su cui essi si basano potrebbero pertanto modificarsi richiedendo la modifica del catalogo: a questo scopo la tecnologia dei web services appare la più adeguata per flessibilità e semplicità di gestione.

107 Gli articoli 28, 29 e 30 del Codice sulla protezione dei dati personali identificano tre tipologie di soggetti: il titolare del trattamento è l’ente che esercita un potere decisionale autonomo sulle finalità, le modalità e il profilo di sicurezza del trattamento; il responsabile è designato facoltativamente dal titolare e svolge i compiti relativi al trattamento da questo analiticamente specificati; l’incaricato opera sotto la diretta autorità del titolare o del responsabile e si attiene strettamente alle istruzioni impartite.

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a) singoli dati del Profilo Integrato, suscettibili di essere consultati o ceduti (ad esempio per eventuali transazioni con soggetti terzi privati, in ossequio al requisito di fruibilità del Profilo) dal cittadino titolare, oppure consultati o modificati dall’operatore pubblico incaricato dalla P.A. titolare del trattamento in relazione ad uno specifico procedimento amministrativo attivato per iniziativa d’ufficio o di parte108;

b) le repository temporanee che – alla stregua di bacheche - sono aggiornate da ciascuna P.A. sulla base delle proprie attività (procedimenti e servizi [2.1.b]) e delle evoluzioni organizzative (persone autorizzate al trattamento);

c) le queries su cui si basa l’attività dell’Agente di elaborazione statistica, che vengono programmate da operatori appartenenti dagli operatori dell’ISTAT sulla base di quanto deciso dall’e-government intelligence del SISTAN [2.2.i];

d) il datawarehouse dei dati statistici, accessibile dagli operatori delle Pubbliche Amministrazioni membri dell’e-government intelligence locale (anche per la creazione – attraverso modulo DSS OLAP – del data-mart locale [2.2.j]) e da altri utenti registrati per motivi di ricerca e informazione;

e) gli spazi di partecipazione e scambio in Rete, accessibili (a diversi livelli di self-management) dai cittadini e dagli amministratori membri delle molteplici comunità di interesse [2.3.f].

Secondo quanto abbiamo prospettato, la costruzione e la gestione del data-base dei Profili Integrati richiederebbero tre distinti processi di standardizzazione:

1. l’informatizzazione di tutti gli archivi cartacei gestiti dal soggetto pubblico e la loro normalizzazione sulla base dell’XML-schema [1.2.b e 2.1.b];

2. la definizione di un complesso XML-schema dei profili di accesso, i cui tags principali individuino le tipologie di ruoli organizzativi e le tipologie di servizi legate al singolo ruolo organizzativo;

3. la definizione di un XML-schema dei servizi, i cui tags principali individuino i dati personali trattati (le variabili che definiscono i requisiti soggettivi) e le tipologie di trattamento (consultazione, modifica, cessione,…) applicate a ciascuna tipologia di dati.

E’ richiesto che tutte le PP.AA. arrivino quindi a “ragionare” alla stessa maniera, ovvero a incentrare la propria cultura organizzativa su categorie concettuali condivise: a questo scopo è necessario, per quanto possibile, entrare nel merito dei back-offices amministrativi e della gestione intra-organizzativa dei processi e dei documenti.

108 Ciascuna P.A., per mano di un proprio operatore, potrà essere abilitata alla modifica degli attributi costituenti il Profilo limitatamente ai dati

di sua competenza (a livello territoriale e funzionale).

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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Figura 2.4.9 Le tre direttrici delle politiche di e-government.

La miscela costituita dall’implementazione dell’architettura applicativa e dalla diffusione di WfMS e DMS conduce progressivamente alla reale configurazione del Sistema Informativo Unitario della Direttiva del 1995: d’altra parte, se è vero che l’architettura di cooperazione applicativa prevede la non incidenza del tipo di sistema informativo all’interno del dominio sul corretto funzionamento dei servizi, è pur vero che un’eccessiva disparità e disomogeneità tra di essi potrebbe creare situazioni di stallo dei servizi correnti sulla Rete Nazionale, anche in relazione allo sviluppo dei progetti intersettoriali in essere come l’INA, l’anagrafe tributaria, il Sistema Informativo del lavoro e la rete sanitaria, che possono perseguire un elevato valore aggiunto solo se la loro ricaduta investirà presto l’intero territorio nazionale e tutte le tipologie di PP.AA.. Molto quindi si è fatto per la realizzazione della vision di lungo periodo prospettata dalla Direttiva del Presidente del Consiglio del 1995; ma a nostro avviso è ancora debole – dietro l’alibi della necessarietà dell’autonomia amministrativa della quale ciascuna amministrazione deve poter godere - l’impegno a perseguire livelli adeguati di condivisione di taluni fondamenti di cultura organizzativa, peraltro di importante riferimento anche per la pura azione amministrativa (che per antonomasia richiederebbe alti livelli di uniformità su tutto il territorio nazionale e per certi versi presso tutte le tipologie di P.A.). Cooperazione applicativa e automatizzazione dei back-offices difficilmente potranno consentire un salto di qualità dei rapporti tra cittadino e amministrazione, se a monte non saranno le stesse PP.AA. a realizzare un salto di qualità dei loro reciproci rapporti. E’ dunque auspicabile un intervento di promozione dell’automazione dei processi organizzativi e di normalizzazione degli archivi delle PP.AA. da parte del Governo che vada ben oltre il Nucleo Minimo di Protocollo e che possa connettersi con eventuali ulteriori iniziative di implementazione dell’architettura di cooperazione, come: la definizione del catalogo di servizi la definizione del catalogo di ruoli e profili (secondo una logica di Privilege Management

Infrastructure)

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2.Il Profilo Integrato per l’evoluzione del rapporto tra P.A. e cittadino

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l’inserimento nella CIE dei dati sui ruoli organizzativi e dei dati del Profilo Integrato ad occorrenza completa (si veda 1.4.e)

l’inserimento nello standard di firma digitale dei ruoli organizzativi previsti nel catalogo, senza dubbio più significativi per la P.A. rispetto a quelli previsti da Assocertificatori nella Tabella dei ruoli

l’organizzazione delle AOO sulla base del raggruppamento dei servizi individuati nel catalogo e la relativa conforme indicazione nella segnatura di protocollo informatico

la contemplazione, da parte dei WfMS e dei DMS, delle categorie di servizi individuati nel catalogo (si veda l’esempio applicativo della bacheca repository temporanea dei servizi per il servizio di comunicazione pro-attiva e personalizzata)

la elaborazione di un modello-tipo di anagrafe delle risorse umane che contempli i dati rilevanti del Profilo Integrato di ciascun dipendente

Figura 2.4.10 Gli elementi tecnologici oggetto di standardizzazione.

E’ evidente come una tale impostazione sarebbe in grado di perseguire elevati livelli di integrazione non solo tra attività delle diverse PP.AA., ma anche tra interno ed esterno di ciascuna P.A.: la Pubblica Amministrazione si fa organizzazione aperta, organicamente integrata con l’ambiente circostante e dell’ambiente circostante (cittadini e altre organizzazioni) si nutre per compiere al meglio le proprie funzioni ad esso finalizzate. S’innesca cioè un circolo virtuoso di scambio che arricchisce progressivamente le potenzialità di ciascun soggetto coinvolto agevolando l’efficacia complessiva del sistema.

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2.4 Cooperazione applicativa tra le PP.AA.: la necessaria riorganizzazione del back-office

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L’informazione soggettiva in Rete per l’evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale

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3. Un particolare settore di applicazione del Profilo del Cittadino: la nuova rete dei servizi socio-sanitari

3.1 La trasformazione del sistema di welfare: il Welfare Locale

Nel corso degli ultimi quindici anni si sono levate da più parti numerose critiche al tradizionale sistema di Welfare State che per almeno 70 anni ha caratterizzato e accompagnato l’evoluzione delle democrazie occidentali. Le motivazioni da cui muovono tali critiche sono molteplici e condizionate dal sistema filosofico-politico sottostante. In Italia le difficoltà dello Stato Sociale sono state spesso lette secondo una chiave economica che mette in evidenza la scarsità delle risorse pubbliche (finanziarie, ma anche organizzative): la delegittimazione sociale del sistema pubblico, aggravatasi con gli avvenimenti politico-giudiziari dei primi anni ‘90 ed il problema del deficit pubblico, ulteriormente enfatizzato dalla causa europea, hanno infatti avuto come principale risvolto l’introduzione di un “paradigma imprenditoriale” nella Pubblica Amministrazione, che si va sostituendo o, meglio, sovrapponendo a quello burocratico109 [9] [2]. In alcuni contesti socio-economici il dibattito sulla revisione del Welfare State si è legata allo sviluppo di politiche di riforma dell’offerta dei servizi pubblici che – sul finire degli anni ‘80 - hanno creato una condizione denominata “quasi mercati” [102]. Soprattutto nel Regno Unito lo Stato ha abbandonato il ruolo di produttore e si è concentrato sulla funzione di programmazione, finanziamento e controllo dei servizi, la cui produzione è stata affidata ai soggetti del mercato in competizione diretta: secondo questo sistema – denominato welfare mix - le risorse destinate ai finanziamenti vengono direttamente assegnate ai cittadini, attraverso appositi vouchers distribuiti per ciascun specifico servizio [17]. Questo modello è influenzato dall’esperienza statunitense, dove la crisi del Welfare State ha avuto un impatto particolarmente attenuato grazie all’implementazione della residual view of social welfare, secondo la quale il compito pubblico e statale è residuale in rapporto ai compiti ed al ruolo della società. Questa tradizionale concezione statunitense, dopo aver subìto un ribaltamento nel periodo 1930-1980 (il periodo keynesiano), è tornata prevalente dal 1980 con l’amministrazione Reagan, anche per la necessità di contenere le spese per i servizi sociali [76].

3.1.a. Grant sys tem s tatun i tense e commun ity care br i tannica

Secondo il modello statunitense, nei casi in cui sia necessario intervenire in situazioni considerate di rilevanza pubblica, i luoghi istituzionalmente deputati a convogliare le energie presenti nella società sono le cosiddette non profit organizations; si tratta di forme organizzative che hanno assunto crescente importanza dalla nascita dello stato federale americano e che la Pubblica Amministrazione ha sempre considerato interlocutrici privilegiate per il raggiungimento dei propri fini istituzionali; ciò al punto di consentire che i cittadini, servendosi di esse, agiscano direttamente ed in prima persona, senza attendere l’intervento pubblico, per procurarsi ciò che è loro necessario. Tali organizzazioni 109 Quando principi di azione e legittimazione elaborati in una sfera istituzionale o in un institutional domain si trasferiscono ad altre sfere o ad

altri domain si è in presenza di un processo di permeabilità istituzionale [28].

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Un particolare settore di applicazione del Profilo del Cittadino: la nuova rete dei servizi socio-sanitari

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godono di forte legittimazione, anche perché forniscono una maggiore garanzia di efficienza ed economicità gestionale rispetto alla struttura pubblica: infatti, oltre a potere agire senza vincoli di carattere formale e burocratico, esse sono sottoposte al controllo e alla verifica diretta del soggetto che fruisce dei beni e dei servizi erogati (il quale molto spesso ne è socio), oltreché a quelli dei finanziatori privati. Nel settore dei servizi sociali (assistenza ai malati mentali, consulenza legale, consulenza al lavoro, ospitalità residenziale) le non profit organizations giocano un ruolo prevalente, tanto che i finanziamenti pubblici loro destinati superano di molto le spese direttamente sostenute dai governi. Tali finanziamenti hanno la forma di sovvenzioni, di grants, i quali consistono in una somma stanziata dal soggetto pubblico competente (agency) finalizzata alla realizzazione di uno scopo precisamente individuato e determinato in ogni suo aspetto (“programma”) [75]. La peculiarità di questa concezione è che lo “scopo pubblico”, e non il soggetto che lo eroga, è identificativo della natura di servizio pubblico: sono “pubbliche” dunque non solo le attività gestite dalla Pubblica Amministrazione, ma anche quelle gestite da altri soggetti purché pubblicamente programmate, o riconosciute rilevanti dal legislatore. L’impianto denominato Community Care, adottato nel Regno Unito a partire dal 1990, lungi dall’essere finalizzato alla sola efficienza della produzione e dell’allocazione dei servizi in una situazione di carenza di risorse pubbliche, pone piuttosto l’accento sulla rilevanza pubblica dei servizi sociali: nel Regno Unito essi rientrano infatti nella categoria dei “beni meritori”, cioè beni non pubblici nel cui meccanismo allocativo il legislatore ritiene comunque di dover entrare per motivi etici oltre che per ragioni economiche, separando nettamente il problema della produzione da quello della domanda e del finanziamento [82]110. Si riconosce come necessaria la limitazione della possibilità di scelta del consumatore (ad esempio, legando la fruizione del servizio alla spesa di un voucher valido solo presso alcuni fornitori) per proteggere il cittadino da quei fenomeni di distorsione percettiva sulla qualità dei beni dovuti da un lato alla complessità degli effetti che il consumo di questi servizi può produrre sul benessere del consumatore e dall’altro al ruolo che alcuni fattori di produzione, impiegati nella realizzazione dei servizi stessi, possono svolgere nel determinarne la qualità. In conseguenza di tale ragionamento sono state introdotte norme in merito alla responsabilità civile dei produttori, ai diritti dei consumatori di rivalersi nei loro confronti, alla certificazione di qualità [102]. La qualità è controllata mediante l’iscrizione dei fornitori in appositi registri, attraverso un sistema di ispezioni, nonché per mezzo di vari meccanismi di controllo della qualità che scattano al momento della presa in carico di un utente. Queste funzioni sono necessariamente decentrate e attribuite agli enti locali: sono essi che, non erogando i servizi direttamente, hanno il ruolo di promuovere il coordinamento e la valorizzazione dell’assistenza informale (amici, parenti, volontari) e formale (imprese sociali, organizzazione non-profit), anche attraverso l’erogazione di appositi incentivi. Le pratiche di decentramento e di territorializzazione dell’assistenza sociale sono applicate attraverso la funzione di case management [37]: si tratta di un processo di interazione all’interno di una rete di servizi, guidato da una strategia a livello di utente che promuove a) il coordinamento delle risorse umane, delle prestazioni e dei sussidi finalizzato a perseguire

l’integrazione e la continuità dei servizi

110 Gli inglesi chiamano “beni meritori” ciò che i Servizi Sociali dei nostri enti locali classificano come “servizi a prestazione individuale”: dalla

teoria economica sono definiti “servizi semipubblici” ovvero “azioni di un’unità economica che interessa le persone o i beni appartenenti a diverse altre unità economiche con il consenso di ciascuna di esse” e si differenziano dai “servizi pubblici” propri, che sono “azioni da parte di un’unità economica che interessa la persona o i beni appartenenti a tutte le unità economiche della collettività”.

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b) una fruizione da parte dell’utente partecipata, efficace ed ottimizzata dal punto di vista economico 111.

Nel caso dei servizi sociali, infatti (ma anche in quello dell’istruzione e della sanità) si è ritenuta necessaria la presenza di un intermediario fisico (e non solo normativo) tra consumatore e mercato, che ricomponesse la particolare complessità delle relazioni tra i due poli: una delle caratteristiche fondamentali della community care è proprio la figura del case manager, analoga a quella del nostro assistente sociale ma dotata di maggior autonomia all’interno di un contesto regolato per promuovere l’empowerment dell’utente (ovvero la responsabilizzazione nella scelta). Il case manager parte dai bisogni dell’assistito e adatta a tali bisogni un determinato pacchetto di servizi: egli deve coordinare il “lavoro di rete” fra le diverse figure professionali, che devono saper esprimere una azione congiunta nelle varie fasi di acquisto, erogazione e controllo dei servizi attivati: la rete formale infatti può essere considerata come un aspetto complementare della rete informale dell’utente. Dopo aver messo a punto il pacchetto, il case manager lo implementa intavolando delle trattative con un certo numero di aziende in grado di fornire i servizi necessari, creando così un intervento aderente e flessibile. Nel corso dell’erogazione del pacchetto, egli effettua un monitoraggio continuo dei servizi e si assicura che siano usufruiti dall’utente come un servizio unico, senza soluzioni di continuità. Il pacchetto viene periodicamente rivisto e ogni fattore di novità risultante da valutazione viene preso in considerazione per eventuali modifiche. Nel frattempo l’utente viene attivamente coinvolto nei processi decisionali e nella progettazione, nell’erogazione, nel monitoraggio e nella revisione del pacchetto assistenziale. Il pregio dei “quasi-mercati” è stato quindi quello di introdurre nel settore dei servizi sociali il principale elemento di efficienza del mercato - la concorrenza - ponendo però argini all’espansione dell’offerta dei privati attraverso processi governati di definizione delle strategie generali e di monitoraggio dei risultati realizzati dalle organizzazioni private.

Figura 3.1.1 L’evoluzione del sistema di Welfare: i “quasi mercati” e il welfare mix.

La definizione di “personalizzazione assistita” fa proprio riferimento all’interazione tra offerta (i fornitori dei servizi) e domanda (cittadino), mediata da una figura garante. L’incompletezza informativa in capo all’utente rispetto ai contenuti qualitativi del servizio e quella del case manager, che non è in grado di 111 Esistono due approcci principali al case management; entrambi puntano alla cooperazione tra diversi servizi in campo socio assistenziale

e all’empowerment degli utenti, cioè incoraggiano questi a formulare direttamente la domanda e a attivarsi in prima persona: il cosiddetto approccio dell’«imprenditorialità sociale» (social care entrepreneurship) deriva dalla tradizione americana, mentre quello dell’«intermediazione con i servizi» (service brokerage) si è sviluppato a partire da modelli canadesi.

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conoscere perfettamente la struttura delle preferenze dell’utente e di verificare con certezza il livello di benessere raggiunto dopo la fruizione del servizio, sono tali che comunque il case manager, in virtù della sua specializzazione, è in grado di guidare le scelte dell’utente più di quanto non possa fare autonomamente quest’ultimo. Si ha la sostituzione dell’utente effettivo con una sorta di utente “specializzato”, che sceglie in veste di garante pubblico: ciò dovrebbe ridurre l’asimmetria informativa tra produttori e consumatori, rafforzando la posizione degli utenti e migliorando i risultati ottenibili attraverso la concorrenza.

3.1.b. L’evoluz ione del Wel fare in I ta l ia

A partire dalla fine degli anni ’80 in Italia gli enti pubblici hanno progressivamente sostituito la gestione diretta dei servizi con un diffuso sistema di convenzionamento [188]: nel caso dei servizi socio-sanitari, gli enti locali titolari dell’intervento si fanno carico della programmazione, del finanziamento e del controllo, rinunciando a svolgere il servizio con proprio personale per affidarlo ad un fornitore esterno selezionato mediante gara d’appalto a cui possono partecipare solo soggetti iscritti ad appositi albi o registri (sulla base di requisiti quali il radicamento nel territorio, la tipologia di attività svolte, il numero e la tipologia dei soci, la tipologia di fonti finanziarie e di risorse economiche). Questa scelta è stata spesso divulgata come la strada maestra per liberare il servizio dagli impacci burocratici, avvicinarlo agli utenti, dargli flessibilità, restituirlo al territorio; tuttavia il dialogo si svolge ancora tra ente erogatore e acquirente pubblico, l’offerta non è articolata perché predeterminata a monte, per cui la domanda (l’utente finale) ha ancora un peso trascurabile sia nello sviluppo quantitativo del settore che nella promozione della qualità [109]. Laddove le sue disponibilità non rendono necessario l’intervento economico dell’Amministrazione, il cittadino – che si ritroverebbe comunque escluso dalla progettazione e dalla gestione e privato di un ruolo nell’acquisto - non ha pertanto interesse a rivolgersi all’offerta pubblica e cerca di reperire il servizio di cui ritiene di avere bisogno direttamente sul libero mercato. In questo caso però egli deve sobbarcarsi tutto il lavoro organizzativo finalizzato a selezionare l’operatore, formarlo sul campo relativamente alle competenze mancanti sul caso specifico, sostituirlo nei periodi di ferie e malattia, calcolare il compenso, pagare l’assicurazione; contestualmente deve rinunciare al lavoro di rete che il Servizio Sociale generalmente garantisce per coordinare la varietà di competenze ed aiuti di cui l’utente necessita ed evitare contemporaneamente tutte quelle prestazioni improprie e non necessarie che rendono difficoltoso raggiungere gli obiettivi dell’autonomia della persona e della responsabilizzazione del contesto socio-familiare. Come dimostra anche l’esperienza britannica, la mediazione tra il singolo utente ed il mercato è importante. E di questo si sono accorte numerose Amministrazioni che, anche anticipando l’intervento del legislatore nazionale e regionale, sono andate nella direzione del superamento dell’alternativa secca che colloca il cittadino o nella posizione di utente assistito che non può scegliere né il fornitore né il contenuto del servizio (welfare tradizionale) o nella posizione di libero acquirente, abbandonato a se stesso (mercato puro). Anche in Italia il sistema si è andato quindi lentamente caratterizzandosi come basato su servizi consigliati e promossi dall’ente pubblico (ovvero accreditati) all’interno di una rete di fornitori che il cittadino può scegliere e dei quali può fruire – quale che sia il suo reddito - attraverso strumenti diversi: pagando una retta, un ticket o spendendo un buono-servizio [41]. Il 2000 è stato un anno decisivo: finalmente il Parlamento Italiano ha approvato la Legge-Quadro sulle politiche sociali [189]; d’altra parte già in precedenza la normativa della Regione Toscana risalente al 1997 [179] (alla quale la normativa nazionale si è ispirata) aveva introdotto tutti gli elementi necessari a delineare il profilo di un nuovo modello di gestione dei servizi ed elaborazione delle politiche socio-

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sanitarie, che – per far fronte alle carenze del Welfare State – si ispirava esplicitamente ai principi ideali e organizzativi sistematizzati nella community care britannica e nel grant system statunitense. Tale modello condiviso, denominato Welfare Locale, è stato il frutto di un dibattito sviluppatosi per tutti gli anni ’90 che ha poi condotto alla trasposizione normativa nazionale112. Questa, anche sulla base del dibattito in corso sul federalismo (che ha poi visto tradursi nel Testo della legge costituzionale sul federalismo "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione" sottoposto al referendum popolare confermativo indetto il 7 ottobre 2001), ha avviato due direttrici di sviluppo: a) attuazione del principio di sussidiarietà verticale: la gestione dei servizi sociali deve essere di

competenza propria degli enti locali ed in particolare dei Comuni ai quali viene attribuito un ruolo di “regia”, “in virtù della capacità propria dei governi locali di mobilitare attorno alla costruzione del sistema di protezione sociale le risorse dell’intera comunità” [120]. Si punta a la ricaduta diretta sul territorio delle risorse investite; il by-pass di numerosi passaggi finora richiesti affinché le stesse giungano al luogo a cui sono

destinate, con effetti positivi sulle possibilità di controllo economico; l’utilizzo di capitale umano (“volontariato”) oltre che a costo zero, fortemente motivato; l’incentivo all’occupazione per la necessità dell’ingente impiego di risorse umane tipico dei

servizi alla persona; b) attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale: sulla base dell’acquisizione, largamente

condivisa, per la quale “la titolarità delle funzioni pubbliche non comporta necessariamente la gestione delle stesse in capo ai pubblici poteri”, si indicano “quali attori fondamentali del sistema di protezione sociale i soggetti del terzo settore, del privato sociale e le forme di auto-organizzazione dei cittadini” [120]. Uno sguardo diretto sulla realtà locale permette infatti di: leggere ed interpretare con maggiore attendibilità la complessità dei bisogni emergenti; finalizzare gli interventi a situazioni di effettivo bisogno, evitando la sovrapposizione degli

stessi in capo a soggetti riconosciuti “bisognosi” sulla base di parametri superati e poco significativi;

rispondere ai bisogni interpretandoli sul campo ed integrando sia le diverse competenze e professionalità pubbliche e private, sia le risorse della comunità e del contesto socio-familiare.

Il Welfare Locale consiste quindi nell’integrazione delle risorse economiche e umane provenienti dagli enti locali e dalla società civile; in particolare vede come metodologie indispensabili al perseguimento dell’efficacia del sistema le forme della concertazione delle politiche, della partnership pubblico-privato, della coprogettazione e dei sistemi di accreditamento che incentivano l’esprimersi della libera scelta dei cittadini relativa ai soggetti erogatori dei servizi. In generale, come si è visto, la struttura in cui il modello va ad incidere è quella di un sistema locale costituito da numerosi e differenti soggetti organizzativi autonomi, operanti in uno stessa area

112 L’approccio del case management è, anche dal punto di vista prettamente metodologico, molto simile a quello del Welfare Locale. La L.R.

Toscana 72/97, infatti, demanda al Piano Integrato Sociale Regionale (PISR) la definizione degli standard cui devono attenersi i soggetti erogatori dei servizi socio-assistenziali (art.9, c.1f). Già il primo PISR del 1998 ha applicato la disposizione della legge ricalcando i principi del modello britannico, di cui abbiamo parlato poco fa: “Lo standard generale cui i soggetti erogatori dei servizi dovranno attenersi è assicurare modalità idonee per garantire al cittadino: il tempestivo ed informato accesso ai servizi e alle prestazioni disponibili in relazione al bisogno accertato e la loro fruizione appropriata avendo a riferimento lo stato di permanenza di disuguaglianza e comunque l’obiettivo di reinserimento sociale dell’individuo. Gli standard funzionali sono: collegamento tra le strutture operative dedicate ai servizi sociali (pubbliche, private, del III Settore); conseguente individuazione di una responsabilità di presa in carico dell’individuo e di tutela del medesimo nel percorso assistenziale; definizione interdisciplinare del percorso assistenziale a cura del responsabile dell’individuo assistito; disponibilità, per l’accesso del cittadino ad ogni livello del percorso di assistenza, di opportuni strumenti di tutela attraverso i quali il medesimo possa manifestare le proprie valutazioni in merito alla rispondenza della risposta assistenziale circa la disuguaglianza di cui è portatore.”

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territoriale (Zona socio-sanitaria113) e in uno stesso settore (servizi socio-sanitari), che intrattengono tra loro rapporti di servizio, transazioni, nonché associazioni di risorse economiche, umane, negoziali, informative. Tra questi soggetti l’Ente Locale, utilizzando primariamente lo strumento della convenzione e basandosi su dati formali ed interpretazioni all’interno di schemi tradizionali, progetta servizi strutturati e dispensa risorse economiche ai soggetti che li erogano fattivamente in suo luogo. I soggetti che rimangono fuori da tale sistema di sostentamento operano autonomamente offrendo i propri servizi spesso con modalità informali e destrutturate, rispondendo spontaneamente e senza alcun tipo di mediazione (né temporale né di rielaborazione) ai bisogni che si manifestano nel territorio. La struttura prefigurata dal modello di innovazione è invece quella di un sistema locale integrato, in cui i differenti soggetti organizzativi intrattengono tra loro stretti rapporti in larga prevalenza di tipo associativo: associazioni di risorse economiche (partnership), di risorse umane (coordinamento operativo), negoziali (nell’allocazione delle risorse economiche e nell’elaborazione degli obiettivi da inserire nell’agenda politica), dello know-what e dello know-how (costruzione di banche-dati e coprogettazione). Tra questi soggetti, gli Enti Locali in forma associata dovrebbero svolgere un ruolo di coordinamento dei contributi che ciascuno è in grado di apportare e di guida verso obiettivi comuni collettivamente definiti.

Sistema del Welfare State tradizionale Sistema del Welfare Locale

Campo territoriale di azione con soggetti autonomi Sistema locale integrato

Rapporti transattivi Rapporti associativi

Convenzione Partnership

Erogazione di servizi pubblici sulla base di schemi tradizionali e erogazione di servizi privati destrutturati e informali

Co-progettazione sulla base di una visione integrata e sistemica

Tabella 3.1.1 Le differenze strutturali tra Welfare State e Welfare Locale

Ma si tratta di un modello solo simbolico o di un modello che può assumere efficacemente anche un carattere operativo? Non solo la delegittimazione del soggetto pubblico, ma anche la mancanza di una normativa coerente sul settore non-profit lo hanno reso adatto a soddisfare interessi di legittimazione di questi soggetti sociali. La sua credibilità poi è stata legata, fin dall’origine, non solo a casi esteri il cui successo aveva grossa rilevanza interna, ma anche alla mole di convegni, seminari ed eventi frequentati da sociologi ed economisti autorevoli, che sulla questione spendevano le proprie risorse intellettuali in note pubblicazioni: grazie alla disponibilità di riferimenti hanno potuto trovare quindi un buon campo di azione alcuni dirigenti pubblici interessati a perseguire prestigio e visibilità, i cosidetti “imprenditori istituzionali” [80]. Capire che lo sforzo della messa in opera del nuovo modello non è dato solo dagli obiettivi professati, cioè quelli relativi all’efficacia del sistema (strumentalità operativa), ma anche a quelli relativi alla legittimazione di soggetti specifici (strumentalità politica) è importante per interpretare attraverso chiavi di lettura adeguate eventuali parziali fallimenti della fase di implementazione.

113 La Zona Socio-sanitaria descrive l’ambito territoriale di un gruppo di Comuni, generalmente gli stessi che - prima della riforma del Sistema

Sanitario Nazionale del 1992 - afferivano ad una medesima Unità Sanitaria Locale. Tale ambito, per tradizione, ma anche per dimensione, è considerato ottimale per l’ottimizzazione delle risorse e la programmazione efficace delle politiche e degli interventi.

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Figura 3.1.2 I fattori esogeni dell’avvio del processo di istituzionalizzazione del modello di Welfare Locale.

Nel Regno Unito la riforma della community care è già stata implementata (significa che è un modello alla prova dei fatti): le osservazioni che sono state poste in essere inerenti a problematiche effettivamente emerse in quel contesto possono essere facilmente applicate anche al modello italiano del Welfare Locale. Ad esempio, il problema della tensione tra i due aspetti diversi della cooperazione - quello della chiara definizione delle singole responsabilità e quello del concomitante incremento delle attività comuni in virtù di politiche condivise - ha creato non poche difficoltà nell’integrazione tra servizi sociali e sanitari. A livello normativo sono state infatti demarcate le linee di separazione tra Agenzia Sanitaria e Agenzia dei Servizi Sociali, demandando alla collaborazione professionale il superamento di tale discontinuità; in realtà l’integrazione nella presa in carico dei casi non avviene senza difficoltà: si riscontrano carenze soprattutto nel lavoro multiprofessionale, nelle strutture di management e nella chiarezza in materia di ruoli professionali, per non parlare della mancanza di leadership efficaci. Alcune di tali problematiche, peraltro, sono già presenti nelle pratiche lavorative quotidiane presso i nostri Distretti Sociali: il riscontrarle anche in un sistema di community care potrebbe significare che non è sufficiente l’applicazione macchinosa delle norme che prescrivono l’implementazione del Welfare Locale affinché quegli stessi problemi possano essere risolti.

3.1.c. La governance del le po l i t iche e de i serv iz i nel model lo de l Wel fare Locale

Il modello del Welfare Locale è piuttosto complesso, anche per la numerosità degli attori che vi sono coinvolti, ciascuno con le proprie funzioni e prerogative. Possiamo distinguere quattro livelli di governance, che – non a caso - si sviluppano secondo l’ampiezza territoriale delle competenze degli enti che vi operano, che non è possibile peraltro descrivere in modo sequenziale per la complessità delle interazione.

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Figura 3.1.3 La governance nel modello di Welfare Locale.

Un primo livello è quello degli enti di indirizzo, finanziamento e controllo proprio di Unione Europea, Stato Nazionale e Regione. Mentre le azioni collegate all’erogazione del Fondo Sociale Europeo – attraverso le Regioni - sono principalmente inerenti attività istituzionali proprie della Provincia (attività di promozione, formazione, ricerca e politiche attive), la parte più rilevante delle risorse destinate agli interventi sociali e socio-sanitari proviene dallo Stato - attraverso il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali istituito dalla L.328/00 e stabilito triennalmente da un apposito Piano per le Politiche Sociali - e dalla Regione, attraverso i fondi regionali istituiti dalle Leggi Regionali di settore che normalmente prevedono l’adozione di un Piano Triennale aggiornabile di anno in anno (che risponda anche agli indirizzi nazionali) e legano ad esso l’allocazione delle risorse necessarie al perseguimento degli obiettivi regionali. Le risorse provenienti dai fondi nazionale e regionale sono quindi erogati dalla Regione alle Zone Socio-sanitarie sulla base di parametri quantitativi di ripartizione (relativi a variabili demografiche e indicatori di disagio) e si vanno ad aggiungere alle risorse del proprio bilancio che ciascun Comune singolarmente destina alle politiche sociali. La programmazione delle politiche e l’allocazione delle risorse a livello locale è condizionata dagli indirizzi dei livelli nazionale e locale, anche se normalmente è lasciata una parziale autonomia nell’individuazione di peculiarità territoriali e quindi discrezionalità nell’uso di parte delle risorse assegnate. Abbiamo detto che tale programmazione avviene entro un ambito territoriale privilegiato (e che la Regione di solito incentiva i Comuni a privilegiare, anche economicamente) che è quello delle Zone Socio-sanitarie: i Comuni, cioè devono dotarsi di sovra-strutture interorganizzative snelle che consentano l’associazione di risorse e la loro finalizzazione a servizi di rilevanza zonale. L’organo politico delle Zone è la Conferenza Zonale dei Sindaci dei Comuni, mentre l’organo tecnico varia secondo il contesto regionale, ma di solito si tratta di una tecnostruttura chiamata precipuamente a redigere i Piani di Zona e a promuovere o effettuare la progettazione dei servizi associati.

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Come nella community care britannica, è a questo livello che dovrebbe avvenire l’integrazione operativa, sia quella tra servizi sociali e sanitari che quella tra soggetti pubblici e privati. La prima forma di integrazione riguarda quelle aree di assistenza che necessitano di competenze sia sociali che sanitarie (anziani non autosufficienti, maternità e protezione dell’infanzia e dell’adolescenza, disabilità, salute mentale, dipendenze) e debbono quindi essere finanziate complementariamente da ASL e Comuni: per questo tanto nella Conferenza dei Sindaci, quanto nell’organo tecnico, è sempre prevista la presenza di un referente della ASL. La seconda forma di integrazione riguarda il coinvolgimento della società civile in generale e del Terzo settore in particolare nei processi decisionali relativi a programmazione, allocazione delle risorse e progettazione degli interventi: molte Zone hanno costituito Tavoli di Concertazione oppure gruppi tecnici di supporto agli organi zonali che coinvolgano anche operatori del privato sociale, mentre in Toscana ed Emilia Romagna si stanno introducendo le cosiddette Carte di Cittadinanza Sociale, ove le forme di organizzazione della partecipazione vengono formalizzate attraverso un percorso condiviso tra enti locali e rappresentanti della società civile. Il livello di base della Figura 3.1.3 è quello dell’erogazione dei servizi e dell’attuazione dei progetti: oggi, come si è visto, gli enti pubblici non erogano quasi più alcun servizio in forma diretta; i soggetti del Terzo settore (come Cooperative Sociali, Associazioni di Volontariato e Imprese Sociali) sono sempre coinvolti come soggetti erogatori, mentre molto raramente questo ed il livello superiore trovano punti di intersezione attraverso attività di co-progettazione con l’ente locale114. Oltre tutto, quei soggetti privati meno strutturati, come i gruppi di auto-aiuto o di cittadinanza attiva, anche più vicini degli altri al bisogno, operano la loro attività di sostegno spesso nell’indifferenza dell’ente pubblico. Una delle peculiarità della community care britannica invece è proprio quella di investire negli informal care-giver e nelle risorse di comunità, anche per stimolare l’utente stesso alla partecipazione attiva nella costruzione del proprio piano di assistenza. Vi è poi un’ultima forma di integrazione, oltre a quelle territoriale e socio-sanitaria, quella relativa alle cosiddette “politiche sociali integrate”, ovvero le politiche del lavoro, della casa, della formazione,… alle quali la Provincia partecipa direttamente svolgendo una funzione di coordinamento tra le diverse politiche territoriali. Essa peraltro, proprio per il ruolo di coordinamento che le è riconosciuto dal Testo Unico [188], partecipa alle Conferenze dei Sindaci di tutte le Zone che territorialmente le appartengono e presiede la Conferenza dei Sindaci Provinciale: è così che può svolgere al meglio anche le proprie funzioni di consulenza su problematiche specifiche e di promozione di tematiche avanzate per lo sviluppo del sistema di Welfare Locale. Anche la Regione, a sua volta, nelle sue funzioni di indirizzo, svolge attività di consulenza, promozione, ricerca e sviluppo ricorrendo spesso a professionalità di alto livello o ad agenzie formative e di consulenza accreditate: queste iniziative sono finanziate con appositi fondi regionali e riguardano generalmente i temi della partecipazione, della comunicazione, della qualità dei servizi e della formazione degli operatori. E’ attraverso tali attività – sia regionali che provinciali, ma anche attraverso esperienze pilota a livello locale che a volte anticipano l’iniziativa regionale - che il modello si evolve e si riproduce.

114 Il T.U. sulle politiche sociali del 2000 ridefinisce la geografia dei soggetti del Terzo settore e ne incentiva la reale qualificazione. Di fatto

valorizza tutte le leggi che hanno cercato di mettere mano alla ricca composizione del non profit: dal 1991, con il riconoscimento delle associazioni di volontariato e le cooperative sociali, fino al 1998, con l'introduzione delle ONLUS - Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale - per arrivare alla fine del 2000, con la L.383/2000 che ha fatto spazio finalmente alle Associazioni di Promozione Sociale. Ma la legge indica anche un'ulteriore innovazione basata sull'idea che la qualità dei servizi non può compiutamente realizzarsi se "i saperi sociali" non si coniugano con i saperi professionali: per realizzare servizi di qualità è infatti previsto il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze professionali in campo sociale [110]. Emanata la legge di riforma, tutta l'attenzione dovrebbe essere puntata su come nei diversi territori i soggetti pubblici, privati e sociali, i soggetti istituzionali e non, possono affrontare la programmazione e la coprogettazione dei servizi.

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D’altra parte, esso è ancora lontano dal perseguimento di tutti gli obiettivi che la sua elaborazione si riprometteva: le possibilità di scelta autonoma da parte dell’utente sono ancora ridotte: gli strumenti

dell’accreditamento, dei buoni-servizio e della certificazione della qualità sono scarsamente applicati e prevalgono ancora forme di convenzionamento;

sino ad oggi la concertazione ha avuto esiti poco sostanziali, a parte rari casi, sia per la scarsa capacità di ascolto delle Amministrazioni che per la scarsa capacità di reciproca collaborazione e condivisione tra gli stessi soggetti organizzati della società civile, presupposto perché gli stessi si pongano autorevolmente come controparte del soggetto pubblico;

l’integrazione territoriale a livello locale assume spesso ancora forme poco strutturate e sviluppa processi organizzativi e flussi informativi poco sistematici, tanto che in alcuni casi - nonostante la consistenza delle risorse che dovrebbero essere finalizzate alla gestione associata – i servizi ed i progetti rimangono caratterizzati da una valenza esclusivamente comunale;

l’integrazione socio-sanitaria è spesso lontana dal realizzarsi a livello di Presidi territoriali115 attraverso la collaborazione professionale tra figure socio-assistenziali e figure sanitarie; infatti, sebbene a livello normativo [192] siano stati chiariti molti equivoci che avevano causato in passato lunghi periodi di negoziazione tra ASL e Comuni, è l’aspetto prettamente organizzativo, operativo e professionale a risultare carente, effetto spesso – in Italia come in UK – di un management scarsamente consapevole;

il servizio sociale professionale fatica a seguire quotidianamente le prassi che il modello richiederebbe: lavoro di rete, garanzia della continuità dei servizi, responsabilizzazione e coinvolgimento dell’utente e delle risorse informali, coordinamento informativo con il back-office e visione completa dell’offerta disponibile sono spesso ancora lontani dal divenire pratiche consuetudinarie.

3.1.d. Ol tre i l mode l lo ideale

Le indicazioni “generiche” che il modello del Welfare Locale offre, anche attraverso le sue trasposizioni normative, sia nazionali che regionali, sembrano quindi non essere sufficienti a perseguire gli obiettivi che lo stesso si poneva e quindi a superare del tutto le carenze del sistema di welfare precedentemente vigente. Si è adesso in una seconda fase, che rispecchia l’evoluzione del sistema istituzionale del nostro paese, ovvero il progressivo passaggio delle competenze in materia di welfare dallo Stato alle Regioni: se dal punto di vista delle politiche sociali il vuoto normativo a livello nazionale aveva spinto la Regione Toscana ad anticipare la riforma, questo era rimasto pur sempre uno “strappo” solitario, peraltro rivelatosi utile per l’intera comunità nazionale. Oggi invece, con la progressiva attuazione della riforma della sanità [176] (passaggio alle Regioni di tutte le competenze amministrative e organizzative relative alla gestione delle ASL), con la riforma federalista del 2001 (competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni in materia di diritto alla salute), e soprattutto con le riforme costituzionali in atto (competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di tutela della salute), si sta configurando un patchwork nazionale di modelli operativi – tutti basati sul modello ideale del Welfare Locale – promossi a livello regionale.

115 Il Presidio è il luogo specifico nel quale si esplica il servizio sociale territoriale, ovvero è il front-office del Servizio Sociale, dove operano gli

assistenti sociali e dal quale dovrebbe scaturire l’attivazione delle equipe multiprofessionali per la presa in carico del singolo utente.

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Si parla quindi di “modello lombardo” (con accento sulle funzioni delle ASL), di “modello toscano” (con la strutturazione di un nuovo soggetto organizzativo denominato “società della salute”), di “modello veneto” (con accento al modello organizzativo delle ASL in funzione dell’integrazione socio-sanitaria), di “modello emiliano-romagnolo” (con recupero di ruolo dei Comuni). In generale, ci pare che sino ad oggi – a parte alcune rare eccezioni - i casi più positivi si siano avuti laddove si sia proceduto alla creazione di consorzi o di istituzioni per la gestione dei servizi socio-sanitari finanziariamente e organizzativamente autonomi rispetto ai singoli Comuni: questo infatti ha facilitato la condivisione sistematica di risorse e di programmi. Risultati simili si sono avuti anche nel caso delle valorizzazione delle Comunità Montane o laddove le ASL siano state delegate dai Comuni della Zona alla gestione dei servizi sociali; anzi, in quest’ultimo caso anche l’integrazione socio-sanitaria, oltre che quella territoriale, ne ha particolarmente beneficiato, per lo meno a livello organizzativo di Presidio territoriale. Questa riflessione, non basata su una ricerca sistematica ma sull’osservazione diretta e partecipata, conduce essenzialmente ad una conclusione: ciò di cui è carente il sistema è soprattutto di regole operative, strumenti, strutture organizzative che agevolino i Comuni nello svolgimento delle loro funzioni. E queste funzioni sono riassumibili in una sola parola: coordinamento. Integrazione, coinvolgimento, partecipazione, responsabilizzazione sono principi che prima di tutto richiedono grosse capacità di coordinamento a diversi livelli di complessità. E’ questo l’argomento che ci accingiamo ad approfondire nel prossimo paragrafo.

3.2 Il Welfare Locale, ovvero la rete dei servizi socio-sanitari

Il modello del Welfare Locale, come metafora e come forma organizzativa [31], evoca la “rete”: l’analisi del contenuto degli atti di convegni e seminari, di pubblicazioni di settore, della stessa normativa, proverebbe che l’occorrenza della parola “rete” è superiore a quella di qualsiasi altra. Nel linguaggio comune, si parla quindi di “rete dei servizi socio-sanitari”. D’altra parte è lecito chiedersi se la rete sia la metafora più adeguata a descrivere il modello del Welfare Locale. Se la risposta a questa domanda fosse positiva sarebbe infatti possibile: a) utilizzare gli strumenti analitici delle reti per verificare lo stato di implementazione di questo

modello, che – come tutti i modelli – è stato introdotto nel campo interorganizzativo116 dei servizi socio-sanitari da fattori esogeni al sistema (esperienze esistenti, norme)

b) ipotizzare l‘approntamento e la costruzione di strumenti adeguati – già sperimentati o individuati in casi di reti similari – per sostenere la strutturazione di questa particolare rete

In questo paragrafo cercheremo quindi di inquadrare il modello del Welfare Locale secondo le categorie analitiche proprie dello studio delle reti e quindi di ipotizzare un percorso metodologico

116 Il termine “campo interorganizzativo” è stato utilizzato per la prima volta (Warner W.L., Unwalla D.B., Trimm J.S. The emergent american

society: large scale organization Yale University Press, New Haven 1967, citati in [49]) per una ricerca sul grado di sviluppo della “struttura decisionale inclusiva” a livello territoriale. È dunque molto utile per lo studio delle relazioni tra un insieme di organizzazioni nell’ambito di un’area geografica. Ci è molto più utile se integrato con il concetto di “campo organizzativo” definito come l’aggregato di organizzazioni che costituiscono un’area riconosciuta di vita istituzionale (Di Maggio P.J. e Powell W.W. The iron case rivisited: institutional isomorphism and collective rationality in organizational fields in American Sociological Review, n.48, 1983, citati in [50]). Molto interessante in questa sede è sottolineare le variabili che incidono sul processo di strutturazione del campo organizzativo: il grado di interazione tra le organizzazioni, la quantità di flussi di informazione, la formazione di una struttura di dominio e di coalizioni, lo sviluppo di una ideologia di campo. Il processo di strutturazione del campo organizzativo, dunque, va di pari passo con il processo di “istituzionalizzazione” del modello del Welfare Locale. In questa sede, quando si utilizza il termine “campo interorganizzativo” si intendono coniugare i due criteri territoriale e funzionale: dunque, relativamente al territorio zonale campo di analisi e all’area dei servizi socio-sanitari.

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adeguato per l’implementazione del modello stesso. Le riflessioni che faremo non si riferiscono a casi specifici: esse hanno carattere generale e sono più che altro funzionali al tentativo di introduzione di una metodologia integrata di diagnosi sistemica e progettazione di strategie di policy adeguate allo sviluppo - secondo il modello del Welfare Locale - di qualsiasi campo interorganizzativo dei servizi socio-sanitari. La forma della rete nelle scienze socio-economiche può essere studiata da due prospettive. Valorizzandone il ruolo simbolico, essa è usata come strumento analitico di rappresentazione e di studio delle relazioni intra-organizzative e interorganizzative: è la prospettiva della social network analysis, che si pone come domain di analisi le relazioni non formalizzate e gli schemi di azione non codificati che compongono le reti di relazioni sociali su cui si fondano tutte le organizzazioni. Assumendo che la spiegazione della struttura sociale vada ricercata nelle interconnessioni che si stabiliscono fra le diverse unità di analisi (organizzazioni, ma anche individui o gruppi sociali), la social network analysis ha elaborato un insieme di tecniche di ricerca basate sull’utilizzazione empirica dei concetti matematici della teoria dei grafi, che sostituisce e/o integra i tradizionali metodi statistici propri della ricerca sociale117. Una seconda prospettiva è quella che considera le reti, più che come strumento analitico applicabile a qualsiasi tipo di organizzazione, come soluzioni concrete di organizzazione: molti analisti118 hanno dimostrato come la forma reticolare costituisca un sentiero di sviluppo economico alternativo sia all’espansione del mercato che alla crescita dell’impresa centralizzata, fondato essenzialmente sulla collaborazione stabile e sulla cooperazione, sulla negoziazione, sulla fiducia e sulla reputazione: si tratta dunque di una sorta di forma ibrida, intermedia tra mercato e gerarchia. In 3.1.a abbiamo mostrato come questo contesto socio-economico, dal punto di vista delle public policies e dell’evoluzione del sistema di welfare, sia chiamato “quasi-mercato”. In questo paragrafo guarderemo all’ipotetica “rete dei servizi sociali” che dovrebbe strutturarsi con l’implementazione del modello del Welfare Locale da entrambe le prospettive, salvo integrarle con altri approcci analitici, come il neo-istituzionalismo e il simbolismo organizzativo.

3.2.a. Cos’è la rete?

Dalla prospettiva che studia i gruppi reticolari in un sistema economico, la rete – secondo una definizione che ci pare esaustiva [6] - è definita come “quel sistema di riconoscibili e multiple connessioni e strutture entro cui operano nodi ad alto livello di autoregolazione capaci di cooperare tra di loro in vista di fini comuni o di risultati condivisi”. I nodi sono le parti costitutive della rete: si tratta di unità organizzative di differenti dimensioni, orientate ai risultati e relativamente autoregolate, capaci di cooperare con gli altri e di interpretare gli eventi esterni; in particolare sono unità “vitali”, cioè “capaci di condotta autonoma, al tempo stesso autoreferenziata per la propria sopravvivenza e interattiva con gli altri sistemi per lo scambio di energia e di valori” [6]. La rete si sviluppa come sistema organizzativo laddove siano presenti due particolari condizioni [6][52]:

117 L’analisi delle reti sociali trae la propria origine da diversi filoni; le tre linee principali sono: gli analisti sociometrici provenienti dalla Gestalt

(Lewin, Moreno, Heider), che per primi utilizzarono la teoria dei grafi; i ricercatori della “Scuola delle Relazioni Umane” (Mayo, Radcliffe-Brown, Warner), che studiarono le motivazioni personali e le cliques (i sottogruppi e le coalizioni); gli antropologi della scuola di Manchester degli anni ’70 (Granovetter, Lee) interessati a costruire, attraverso l’analisi strutturale di orientamento matematico, modelli di strutture sociali di ogni tipo.

118 Williamson O.E. Le istituzioni economiche del capitalismo. Imprese, mercati, rapporti contrattuali; Angeli, Milano, 1987; Powell W.W. Neither market nor hierarchy: network forms in organization in Reasearch of organizational behaviour n°12, 1990; Sabel C.F. Flexible specialization and the re-emergent of regional economics in Hirst P., Zeitlin J. Reversing industrial decline? Bers, London, 1989 (citati in [52] e [6]).

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1 Tutti i nodi sono idonei a raggiungere risultati di efficacia e di efficienza validi sia per se stessi che per l’intero sistema.

2 Esiste un sistema socio-economico in grado di generare consenso e cooperazione fra i soggetti tali da assicurare il controllo sui processi essenziali del sistema complessivo, una sufficiente identità dei suoi membri, efficaci sistemi di autoconservazione in caso di pericolo, nonché un minimo di risorse comuni per l’innovazione e per il fronteggiamento delle sfide dell’ambiente.

Ci accingiamo quindi dapprima a verificare la pregnanza di tali condizioni nel modello del Welfare Locale e successivamente - al fine di valutare il livello di implementazione del modello - ad ipotizzare una metodologia di analisi in grado di delineare efficacemente la loro sussistenza in un ipotetico campo interorganizzativo dei servizi socio-sanitari.

3.2.b. In terd ipendenza e meccanismi d i coord inamen to

La prima condizione posta è definita “interdipendenza”, condizione nella quale devono trovarsi necessariamente i vari nodi perché essi entrino in una relazione, sia essa di scambio o associativa. Questo assunto è fondamentale per la teoria delle reti in economia. Nel caso dei servizi socio-sanitari, la possibilità di perseguire gli obiettivi individuali di ciascun attore è strettamente correlata all’efficacia del sistema nel suo complesso, ovvero alla capacità dello stesso di perseguire il benessere della persona; questo a sua volta costituisce il valore comune che legittima la stessa esistenza di ciascun attore all’interno della rete. Come in un circolo virtuoso ogni nodo della rete può quindi perseguire i propri obiettivi concorrendo attivamente al perseguimento degli specifici obiettivi altrui. In teoria dell’organizzazione [54] si distinguono tre classici tipi di interdipendenza: generica, generata dal semplice fatto di appartenere allo stesso sistema, al cui successo contribuiscono i risultati di ognuno, ma senza che si creino occasioni specifiche di scambio diretto; sequenziali, in cui i rapporti tra due soggetti sono di tipo input-output; reciproche, in cui la relazione input-output è bidirezionale, incrociata. Nelle ricerche organizzative è frequente l’utilizzo dell’interdipendenza come variabile indipendente: di solito lo scopo operativo è quello di capire quali meccanismi di coordinamento siano più efficienti in presenza di un determinato livello di interdipendenza (dunque coordinamento come variabile dipendente); in generale per raggiungere l’efficacia del sistema è necessario che ad una elevata interdipendenza si risponda con soluzioni di coordinamento complesse119.

Per quantificare il livello di interdipendenza è possibile ricorrere all’analisi dell’oggetto dei processi relazionali. Si tratta di una delle macro-variabili definite dalla social network analysis per analizzare o descrivere la variabilità delle relazioni tra i nodi della rete.

119 Lawrence P.R., Lorsch J.W. Organization and environment: managing differentiation and integration; Harvard University Graduate School

of Business Administration, Boston, 1967 citati in [54].

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Oggetto delle relazioni Complessità delle relazioni

Raggio di azione Grado di incertezza dei risultati Volume di attività

Attraverso i tre indicatori del raggio di azione, del grado di incertezza dei risultati e del volume di attività proprie del sistema complessivo, l’oggetto delle relazioni identifica la complessità delle relazioni e, quindi, dell’ambiente in cui operano le organizzazioni del campo. Complessità dell’ambiente e complessità delle relazioni sono due concetti analoghi, in quanto il passaggio cognitivo dall’uno all’altro sta come il passaggio dalla concezione dell’organizzazione aperta allo scambio con l’ambiente a quella dell’organizzazione immersa in un reticolo di relazioni con altre organizzazioni. Nel caso del campo interorganizzativo dei servizi socio-sanitari la complessità dell’ambiente non è una variabile da investigare, bensì un dato di partenza. Possiamo infatti qui affermare che la complessità delle relazioni in un campo interorganizzativo dei servizi sociali è intrinsecamente elevata perché:

a) è elevata la complessità dei tasks svolti nel complesso dal sistema (si tratta infatti di erogazione di servizi120)

b) le variabili da monitorare per il controllo dei processi di scambio sono numerose c) non esistono indicatori di efficacia dei servizi sociali riconosciuti come affidabili d) il tempo occorrente per controllare i risultati del sistema è molto alto (le ripercussioni degli

interventi di tipo sociale sulla qualità della vita degli appartenenti alla comunità interessata sono verificabili solo nel lungo periodo)

e) il numero degli utenti, l’estensione dell’ambito territoriale e la quantità di risorse investite nei tasks sono elevati

Come è evidente, nel caso specifico, la complessità delle relazioni è una “complessità informativa”. L’inefficacia del sistema di gestione dei servizi socio-sanitari precedente al modello del Welfare Locale è imputabile principalmente all’impossibilità, dovuta alla carenza di strumenti (culturali e tecnici), di effettiva aderenza alla complessità del tessuto sociale. In particolare gli attori che operano nel campo dei servizi socio-sanitari hanno una visione limitata e pertanto sono impossibilitati a rilevare bisogni nascosti, a segmentare quelli espressi, a rendere gli interventi equi affinché non siano sempre gli stessi utenti ad usufruire di ogni possibile servizio, ad ottimizzare le risorse evitando sovrapposizioni di attività e gaps nei tipi di intervento e a controllare l’efficacia strutturale degli interventi sui singoli (“intervento globale” finalizzato alla qualità della vita) e sulla comunità (le ricadute a livello macro e di lungo termine). Completando meglio il quadro analitico, secondo l’approccio reticolare [52] l’oggetto delle relazioni che identifica la complessità dell’ambiente è considerato variabile di mediazione nella relazione tra le forme di interdipendenza e le forme della rete: l’elevata complessità delle relazioni denota una elevata interdipendenza dei nodi, che – come si è visto - richiede a sua volta meccanismi di coordinamento complessi.

120 Sono talmente complessi i tasks che ancora – come dimostra la vicenda dell’accreditamento – non è stato ancora risolto il problema della

valutazione della qualità dei servizi sociali. Non è facile elaborare degli indicatori che siano sensibili agli aspetti specifici che fanno la qualità nella relazione di aiuto e al tempo stesso facili da applicare. Innanzitutto nella natura del servizio vi è una caratteristica di intangibilità del prodotto offerto, di contemporaneità del momento della produzione e del consumo e di vicinanza tra il produttore ed il consumatore: l’estrema personalizzazione delle prestazioni sociali fa in modo che i fattori realmente discriminanti del servizio si sviluppino nel quotidiano rapporto tra operatore e utente dando luogo ad una destandardizzazione sostanziale anche delle unità di misura che potrebbero essere considerate a priori come comuni tra le differenti alternative di scelta [2][17].

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Il nostro caso, relativo ai servizi socio-sanitari, è però differente: la complessità informativa, come si è visto, è un dato di fatto sappiamo quale sia la forma di rete che dovrebbe strutturarsi per farvi fronte, cioè quella

identificata dal modello del Welfare Locale; anzi, è proprio per fare fronte all’inefficacia del sistema attuale di welfare, incapace di rispondere a tale complessità informativa, che è stato “elaborato” il modello del Welfare Locale

sino al completamento dell’implementazione del modello, l’interdipendenza quindi - lungi dall’essere un dato di fatto - è variabile dipendente

Il fine precipuo del processo di strutturazione della rete dei servizi socio-sanitari è proprio quello di far aumentare - attraverso una massiccia produzione di conoscenza - il grado di interdipendenza dei soggetti che vi agiscono, così da poter fronteggiare la complessità informativa dell’ambiente; la quantità di conoscenza necessaria ad affrontare tale complessità richiede in primo luogo una suddivisione del lavoro finalizzato alla sua produzione, sino ad arrivare ad una sua ricomposizione ed una sintesi finale qualitativamente superiore. Ma quale tipo di interdipendenza caratterizza la rete dei servizi socio-sanitari? Mentre la sequenziale e la reciproca sono tipicamente transazionali (e si applicano bene a situazioni di acquisto o scambio di beni o servizi) [54], l’interdipendenza generica è concettualmente più utile, ma ha una intensità troppo limitata. È dunque necessario introdurre il concetto di interdipendenza cooperativa o associativa121: essa si basa sull’allineamento di determinati comportamenti e sull’utilizzo comune di risorse umane, organizzative ed economiche122. La peculiarità di tale interdipendenza dipende dal fatto che difficilmente essa è riscontrabile in un ambiente “tecnico”, quale è quello in cui operano la maggior parte dei soggetti imprenditoriali oggetto delle analisi organizzative. Sono invece pregnanti, nell’ambiente “misto” e particolarmente complesso in cui operano gli attori del campo dei servizi socio-sanitari, fattori umani e sociali. I nodi della rete dei servizi socio-sanitari, per rispondere alle caratteristiche di tale ambiente particolarmente complesso dovrebbero quindi essere fortemente interdipendenti dal punto di vista “associativo” o “cooperativo”. Come abbiamo visto in 3.1, però, è probabile che il grado di interdipendenza sia ancora basso; e che ciò sia dovuto al fatto che non ci sono strumenti adeguati per allineare i comportamenti e mettere in comune risorse di diverso genere: non ci sono cioè – e qui si chiude il cerchio - idonei meccanismi di coordinamento. In pratica ipotizziamo che allestendo i necessari meccanismi di coordinamento sia possibile influenzare l’interdipendenza cooperativa delle organizzazioni del campo, facilitandone la trasformazione in nodi “vitali”. Un elevato grado di interdipendenza cooperativa dei nodi della rete – lungi da essere variabile indipendente - è l’obiettivo organizzativo del processo di implementazione del modello del Welfare Locale. Se questo obiettivo non venisse raggiunto ne conseguirebbe l’impossibilità di perseguire l’equilibrio dell’ambiente e quindi l’efficacia del sistema nel suo complesso: 121 Grandori A. L’organizzazione delle attività economiche Il Mulino, Bologna, 1995. 122 La peculiarità di tale interdipendenza dipende dal fatto che difficilmente essa è riscontrabile in un ambiente “tecnico”, quale è quello in cui

operano la maggior parte dei soggetti imprenditoriali oggetto delle analisi organizzative. Gli attori della rete che stiamo osservando operano invece in un ambiente “misto” e particolarmente complesso.

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la prima condizione indicata in 3.2.a non sussisterebbe e, dunque, non saremmo in presenza di una rete.

D’altra parte sono proprio gli attori del campo - pubblici e privati – ad essere chiamati a provvedere alla progettazione, alla gestione ed al mantenimento di un sistema dalle caratteristiche del Welfare Locale: tale rete – proprio per l’intenzionalità di questo processo di strutturazione – si caratterizza non come “rete naturale” ma come “rete governata”, il cui successo dipende innanzitutto dalla capacità degli attori di assicurare la vitalità complessiva di tutti i nodi, di selezionare e sviluppare i meccanismi di coordinamento adeguati, di trovare forme per far convivere strutture multiple e diversificate. Un’ultima precisazione ci sembra importante: meccanismi di coordinamento e grado di interdipendenza dei nodi della rete sono fattori interconnessi e reciprocamente condizionatisi; infatti la cooperazione e la comunicazione interorganizzativa sono variabili fondamentali non solo in una fase a regime del sistema di Welfare Locale, ma anche durante il processo di strutturazione della rete. I meccanismi di coordinamento progettati e rodati agiscono sull’interdipendenza dei nodi che, una volta raggiunto il livello ottimale, favorisce a sua volta l’ottimizzazione dei meccanismi stessi.

Abbiamo tentato di costruire una griglia in cui si individuano le dimensioni legate al coordinamento in condizioni di interdipendenza associativa e le varie tipologie di meccanismi e strumenti che possano rendere operative tali dimensioni teoriche nel contesto di un campo interorganizzativo dei servizi socio-sanitari. Tale griglia non vuole essere esaustiva, ma può costituire una base di partenza per un’analisi sul campo dei meccanismi di coordinamento posti in essere, ovvero delle dimensioni del coordinamento attivate e del loro livello di attivazione: quest’analisi potrebbe offrire – insieme ad altri parametri - utili indicazioni sul livello di strutturazione della rete.

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Dimensioni Sotto-dimensioni Indicatori

Condivisione informazioni e competenze

Servizi di staff o Internalizzazione di competenze esterne alla rete o Nodi con tasks specialistici al servizio della rete o Strutture specialistiche dedicate a livello di nodo o Gruppi di lavoro permanenti integrati a livello di sistema

Processi

o Pubblicazioni o Seminari e convegni o Corsi di formazione specialistici o Ricerche-intervento o Sistemi di reporting o Banche-dati aggiornate e accessibili

Condivisione processi decisionali

Elaborazione congiunta dell’agenda degli obiettivi

o Comitati e forum o Tavoli di Concertazione o Canali formali per l’espressione di pareri

Coprogettazione o Patti Territoriali o Progetti sperimentali o Gruppi di lavoro all’interno di partnership

Negoziazione dell’allocazione delle risorse

o Oggettività e pubblicità dei parametri di ripartizione o Commissioni miste pubblico-privato per la ripartizione dei fondi o Bilancio sociale partecipato

Coordinamento operativo

Canali comunicativi aperti per l’interdipendenza sequenziale e reciproca

o Procedure formali o informali diffuse per l’interazione funzionale ai processi di produzione e mantenimento di un servizio

Coprogrammazione o Possibilità di elaborare e modificare congiuntamente procedure o

iter organizzativi che si rilevino inefficienti o Definizione delle responsabilità per obiettivi

Risposta alle varianze o Costituzione di task-forces temporanee integrate o Apertura contingente di canali verticali-trasversali privilegiati a

discrezione degli operatori secondo la tipologia della varianza

Tabella 3.2.1 Meccanismi di coordinamento per l’implementazione del Welfare Locale.

3.2.c. La conf iguraz ione s trut tura le del la rete

Per analizzare specificamente il grado di interdipendenza dei nodi di una rete, la metodologia della social network analysis si serve di indicatori che consentono di descriverne la configurazione strutturale, una sorta di “fotografia dall’alto” della rete stessa: se si separano le forme delle relazioni dai loro contenuti diventa possibile descrivere e analizzare i tratti generali delle strutture reticolari con metodo comparativo, costruendo modelli formali facendo ricorso all’approccio matematico proprio della teoria dei grafi. Tale fotografia viene “scattata” misurando la dimensione, la connettività, la presenza di clusters e la centralizzazione della rete oggetto di analisi123. Le dimensioni di una rete sono date dal numero dei nodi che compongono il suo campo inter-organizzativo. Il problema metodologico di solito è stabilire il confine, il “domain”, ma nel modello del Welfare Locale il dominio è dato dalla normativa di riferimento ed è il territorio della Zona socio-sanitaria: essa infatti è riconosciuta come l’ambito ottimale all’interno del quale debbono incentrarsi le relazioni oggetto dell’analisi.

123 I parametri riportati non danno merito della ricchezza della network analysis, ma sono il frutto di una nostra selezione sulla base delle

esigenze analitiche proprie del campo dei servizi socio-sanitari.

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Il numero elevato degli attori rappresenta una condizione in grado di influenzare l’efficacia del coordinamento. Da una parte infatti fa aumentare i costi di coordinamento124, è correlato con un’alta specializzazione delle funzioni125 e può generare - in caso di carenza di integrazione culturale tra i nodi - l’incremento esponenziale della competitività. Dall’altra si può ipotizzare che più soggetti operino nel territorio, più sia efficace la loro azione complessiva, dunque più sia legittimato il sistema che riconosce il ruolo e facilita l’intervento di tali soggetti: un sistema di Welfare Locale, ad esempio, è senza dubbio avvantaggiato da una situazione di vivacità comunitaria che determini un alto numero di soggetti del Terzo settore o comunque di cittadini attivi e organizzati. Vediamo ora come la connettività, la presenza di clusters e la centralizzazione – peraltro tra loro strettamente connesse - siano proprietà rilevanti per la descrizione della configurazione strutturale della rete dei servizi socio-sanitari. Nella letteratura sulla network analysis, la connettività è definita sulla base dei concetti di densità relazionale (il rapporto tra numero di relazioni esistenti all’interno della rete e numero di relazioni potenziali126) e di distanza (la sommatoria del numero minore di passi127 per congiungere ciascun nodo ad ogni altro, diviso il numero dei nodi). Quando relazioni esistenti e relazioni potenziali coincidono, la rete è definita tightly coopled e ogni attore è direttamente connesso con tutti gli altri: siamo cioè in presenza di una “rete totale”; in questo caso la media delle distanze tra i nodi all’interno della rete è uguale a 1, ovvero ogni attore è in grado di attivare scambi con un altro senza dover rivolgersi ad alcuno. Questi indicatori ci offrono un’immagine geometrica del grado di diffusione delle relazioni tra i nodi che compongono la rete. Ma per misurare efficacemente la loro effettiva interdipendenza sarebbe opportuno ricorrere ad una valutazione differenziata dei legami (valued density), pesando ciascun legame attraverso indicatori relativi alle variabili che la stessa social network analysis individua per l’analisi della natura delle relazioni all’interno della rete128.

124 Pfeffer J., Salancik G.R.: The External control of organizations: a resource dependence perspective, Harper and Row, London, 1976, citati

in [52]. 125 Blau P.M. A formal theory of differentiation in organizations in American Sociology Review n. 35, april 1970, citato in [52]. 126 A titolo informativo, riportiamo la formula matematica per calcolare l’intensità: D = 2l/[nx(n-1)], dove l è il numero dei legami e n il numero

dei nodi; il risultato di tale equazione è compreso tra 1 e 0; se è in prossimità di 1 la rete si dice “tightly coopled”, se di 0 “loosely coopled”. 127 Il numero di passi che occorrono per congiungere un nodo ad un altro indica il numero degli attori che occorre attraversare per andare da

un nodo all’altro; il percorso più breve in grado di collegarli è chiamato “distanza geodetica”. La connettività della rete è dunque la media delle distanze geodetiche all’interno della rete.

128 In letteratura esiste scarso accordo su come i valued graph relativi alla densità debbano essere calcolati; la valued density infatti è molto sensibile agli assunti che il ricercatore fa riguardo ai dati [47].

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Natura delle relazioni

Reciprocità Convergenza interessi Interdipendenza reciproca dei tasks Orizzonte temporale relativo al completamento del ciclo di scambio

Molteplicità Diversità dei livelli-valore delle connessioni

Formalizzazione

Atti pubblici Contratti di diritto privato Accordi scritti privati Dichiarazioni pubbliche Impegni informali

Forza Frequenza interazioni Motivazione affettiva Longevità

Intensità Conoscenza personale di altri membri della rete Frequenza di interazioni per discutere delle rispettive attività Scambi informativi sistematizzati Accordi scritti

Tabella 3.2.2 Le variabili investigative della natura dei processi relazionali.

Nel caso specifico della rete dei servizi socio-sanitari, potrebbe essere utile fare ricorso alle dimensioni del coordinamento individuate in Tabella 3.2.1, stabilendo che il punteggio complessivo della connettività sia direttamente proporzionale al numero delle sottodimensioni oggetto della relazione, pesate a loro volta sulla base del livello di formalizzazione della relazione (variabile relativa alla natura delle relazioni) e della frequenza delle azioni di attivazione della stessa (indicatore della intensità della relazione). Nella teoria dei grafi, un sottoinsieme di nodi di dimensioni minime pari a tre, caratterizzato dal fatto che ciascun nodo è collegato con tutti gli altri, si definisce clique. In social network analysis le cliques – studiate misurandone la valued density - divengono associazioni informali tra attori della rete tra cui si è sviluppato un sentimento di gruppo e in cui si sono stabilite certe norme di comportamento: è stato dimostrato come l’esistenza di tali sottogruppi possa costituire un capitale relazionale per l’intera rete dei nodi che gravita intorno alla clique129. Occorre sempre analizzare il tipo di relazioni che lega i membri di un gruppo: se il gruppo è un team decisionale multifunzione è evidente che la connettività dei flussi di comunicazione non può che favorire lo sviluppo di sinergie utili al raggiungimento dell’obiettivo decisionale; se invece si considerano le relazioni di lobbies una rete fortemente coesa può portare un gruppo verso comportamenti patologici - come il “pensiero di gruppo” risultato della pressione al conformismo - che potrebbero minarne l’efficacia [52]. Un concetto simile è quello di cluster, che corrisponde all’insieme dei nodi facenti parte di un’area di densità relativamente alta in un grafo; i clusters possono essere rilevati attraverso diagrammi a dispersione, in cui i singoli nodi vengono posizionati in base a due variabili – relazionali o attributive - rappresentate sugli assi del diagramma: la dispersione dei nodi indica quanto essi siano simili o dissimili nel rapporto a queste variabili [47]. Incrociando i dati sulla valued density dei legami tra i nodi con attributi intrinseci a ciascun singolo nodo è quindi possibile rilevare l’esistenza di coalizioni e sottogruppi: nel caso dei servizi socio-sanitari, si possono rilevare clusters basati sulla tipologia giuridica (enti locali, associazioni di volontariato, cooperative sociali), sulla struttura organizzativa (organizzazioni professionalizzate/organizzazioni informali), sugli output (ad esempio il sottogruppo delle organizzazioni che si occupano dei bisogni delle persone immigrate).

129 Soda G., Usai A. Institutional embeddedness and interorganizational network in the italian costruction industry paper presented at the

EMOT Conference Industry structure and introrganizational networks Geneve 1-2 december 1995, citato in [52].

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Una volta individuati i clusters è utile riflettere sul fatto se tali coalizioni siano di ostacolo all’istituzione di una vera e propria rete dei servizi soci-sanitari (qualora assumano la sostanza di lobbies, con obiettivi precipuamente autoreferenziali) o se ne costituiscano un primo embrione in piccola scala (soprattutto se sono parte di una “rete di reti”, quindi se alcuni nodi di clusters diversi sono correlati tra loro). Vediamo il caso dei servizi socio-sanitari. Una delle peculiarità generalizzate dei diversi campi dei servizi socio-sanitari degli ultimi anni è la presenza di quelle che potremmo definire “strutture di coordinamento”, ovvero organismi associativi di organizzazioni non profit, sia associazioni di volontariato che cooperative sociali130. Ciascuna struttura di coordinamento, solo per il fatto di essere una inter-organizzazione, costituisce di fatto una rete: tutte le organizzazioni facenti parte della medesima struttura hanno infatti reciproci rapporti con le altre, in quanto in un legame associativo131 non vi sono posizioni gerarchicamente o spazialmente definite. Ciascuna struttura è dunque una rete ad elevata connettività e può quindi essere considerata una rete totale. Peraltro, i nodi che appartengono a più strutture di coordinamento, oltre che rivestire per questo un ruolo di mediazione contribuendo alla diffusione del capitale relazionale, fungono da links, da ponti tra le stesse strutture, portando alla formazione di quella che potremmo chiamare “rete di reti”: tramite tali links, ogni nodo-struttura di coordinamento è direttamente connesso con tutti gli altri, il che vale a dire che il campo organizzativo complessivamente considerato è esso stesso una rete totale.

Figura 3.2.1 Le strutture di coordinamento e la rete totale dei servizi socio-sanitari.

La configurazione strutturale della rete totale sarebbe perfetta per l’implementazione del modello del Welfare Locale. D’altra parte i legami che si instaurano all’interno delle strutture di coordinamento solo raramente sono di tipo operativo, o comunque di tipo organizzativo, e spesso si fermano alla dimensione di coordinamento che in Tabella 3.2.1 abbiamo denominato “elaborazione congiunta degli obiettivi”, dando luogo a reti a bassa densità relazionale, anche se vi si svolge una funzione fondamentale: al loro interno le persone delle varie organizzazioni si incontrano, si conoscono, prendono coscienza dei servizi offerti da ciascuna, condividono i problemi relativi anche ai rapporti con le istituzioni, recepiscono le testimonianze di tutti gli altri relative al rapporto con i cittadini e grazie a

130 Si pensi alle diverse sezioni provinciali del Forum del terzo settore, o ai numerosi coordinamenti del cooperativismo. 131 Le nostre considerazioni si basano sul dato dell’appartenenza formale alla struttura di coordinamento, ma una ricerca sul campo dovrebbe

poter approfondire alcuni aspetti importanti sia per la densità che per la distanza: come, ad esempio, sapere se partecipano alle riunioni i referenti di tutte le organizzazioni o rilevare il sociogramma di ogni struttura.

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queste opportunità si viene a creare una sorta di identità, di senso di appartenenza al settore, fino allo svilupparsi del capitale relazionale indispensabile per rapportarsi efficacemente con l’ente pubblico. Riepilogando: se le organizzazioni non profit dell’ipotetico campo interorganizzativo oggetto di analisi avessero rapporti e scambi (tranne rare eccezioni) solo attraverso le strutture di coordinamento e se queste fossero caratterizzate da relazioni a bassa valued density, dovremmo parlare di rete di reti a bassa connettività (loosely coupled). E dato che la connettività è direttamente proporzionale all’interdipendenza dei nodi, ciò significherebbe che le strutture di coordinamento come meccanismi di coordinamento, pur svolgendo un’importante funzione relazionale, non sono sufficienti per la strutturazione della rete e che è necessario incentivarne le potenzialità operative ed integrarle con altri meccanismi. Ad ogni modo, la network analisys offre anche altri strumenti di analisi: oltre a proprietà strutturali e geometriche della rete come la presenza di clusters (anche se essa viene ottenuta con l’analisi della natura delle relazioni), l’analisi reticolare ha introdotto anche proprietà strutturali riferite ai ruoli, come l’equivalenza strutturale132. Essa si riferisce ad attori che all’interno della rete occupano ruoli simili, ovvero hanno posizioni relazionali simili in relazione a terzi. Ad esempio, l’analisi delle reti applicata agli studi manageriali – sulla base del concetto di equivalenza strutturale - distingue i nodi come generalmente distribuiti su tre livelli [6]; le caratteristiche dei nodi che si trovano ad ognuno di questi livelli sono facilmente riconducibili alle peculiarità dei diversi soggetti che operano nel contesto del Welfare Locale; questa distinzione ci è utile per poter razionalizzare la diversificazione di funzioni che si viene a creare all’interno del sistema133. 1 Agenzia strategica: unità organizzative che controllano le risorse strategiche (tecnologia e risorse

economiche) ed in cui avviene la concentrazione delle strategie: nel caso che stiamo trattando, tale ruolo è evidentemente rivestito dal governo della Zona; e, contingentemente, dall’Amministrazione Provinciale.

2 Poli operativi: unità che svolgono servizi diversificati, si rivolgono a diverse categorie di utenti e offrono servizi di consulenza alle altre organizzazioni della rete: normalmente si tratta di associazioni e cooperative sociali di grandi dimensioni e fortemente professionalizzate che hanno ormai assunto la forma di “imprese sociali”; le stesse caratteristiche sono proprie di strutture specializzate ove si concentrano competenze altrove non individuabili all’interno della rete (come le Unità Ospedaliere o le strutture residenziali e semi-residenziali presso le quali sono erogati servizi per l’utenza di tutta la rete).

3 Macro-impresa: è la peculiarità della rete, ciò che rende la dimensione dell’erogazione fortemente decentrata [14]. Questo livello è costituito da piccole e medie associazioni di volontariato e da cooperative sociali di più modeste dimensioni, che erogano concretamente i servizi di base. Esse sono fortemente “orientate al mercato e al risultato”, nel senso che, rivestendo boundary roles (ruoli di confine), sono quotidianamente a contatto con il bisogno, persino con l’emergenza e, grazie alla prevalenza di capitale relazionale, sono dotate di strutture piatte, fortemente recettive e flessibili. Tale livello dota il sistema di una flessibilità strutturale intrinseca che rende più rapida ed economica l’adozione di condotte orientate alla flessibilità strategica, gestionale, operativa. La rete è cioè dotata di specializzazione flessibile, grazie alla quale il sistema ha più rapida capacità di segmentare i processi ed allocarli ad unità specializzate.

132 Lorrain F., White H.C. Structural equivalence of individuals in social networks in Journal of mathematical sociology, 1, citati in [52]. 133 Ovviamente la distribuzione dei ruoli prevista dal modello dovrebbe trovare attuazione nelle pratiche quotidiane, grazie ad un design in

grado di ottimizzare - attraverso l’uso di meccanismi di coordinamento adeguati – lo svolgimento delle diverse funzioni ad essi legate.

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Un particolare settore di applicazione del Profilo del Cittadino: la nuova rete dei servizi socio-sanitari

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Figura 3.2.2 I tre livelli di equivalenza strutturale nella rete dei servizi socio-sanitari.

Dunque, nella rete convivono strutture dissimili ma compatibili; alcune di esse sono descrivibili e razionalmente progettabili, altre possono essere influenzate ma non pienamente progettate. Anzi, è proprio la fluidità delle associazioni di base e della cittadinanza attiva che può garantire l’efficacia del sistema nel lungo periodo, consistente nella sua capacità di innovazione e ristrutturazione continua. Tanto è vero che si osserva spesso come l’eccessiva strutturazione delle organizzazioni non-profit le renda a volte incapaci di rispondere esaustivamente ai bisogni: l’efficacia della risposta è data dall’eliminazione del bisogno e non dalla sua protrazione; a volte invece il bisogno sembra come adattarsi alla struttura dell’organizzazione e quindi la risposta ad esso è più funzionale al sostentamento dell’organizzazione che al tessuto sociale. Dunque, nel modello del Welfare Locale il Governo della Zona svolge il ruolo di agenzia strategica: si può dire che esso è l’organizzazione “focale” della rete134. La focalità costituisce una proprietà strutturale e strategica: nel caso della Zona è una proprietà strutturale in quanto essa, intesa non come ambito territoriale ma come soggetto organizzativo, è fonte di risorse economiche e di legittimazione, origine di norme e dispensatore di sanzioni; ed una proprietà strategica per il ruolo che essa può svolgere/svolge nell’ottica dell’ottimizzazione e dello sviluppo del sistema e dell’implementazione del Welfare Locale. Spesso però la posizione centrale dal punto di vista formale (focalità) – che senza dubbio è propria del governo della Zona - non corrisponde al potere reputazionale, che dipende principalmente da una conoscenza approfondita del network di relazioni (accuratezza cognitiva135) e dalla volontà e capacità di inserirvici. A questo scopo, per rilevare il gap esistente tra il modello del Welfare Locale e la effettiva struttura geometrica di un campo interorganizzativo specifico, è utile ricorrere al concetto di centralità, che è diverso da quello di focalità: descrive la posizione del governo della Zona all’interno della rete, misurata attraverso i due indicatori degree (il numero dei nodi a cui è legato un attore in rapporto al numero di tutte le relazioni possibili) e betweenness, la proprietà del nodo che svolge il ruolo di broker, di facilitatore di transazioni, quando costituisce il passaggio obbligato per mettere in comunicazione altri nodi136.

134 Perrone V. La rete in Costa G., Nacamulli R. (a cura di) Manuale di organizzazione UTET, Torino, 1997, citato in [52]. 135 Krackhardt D. The political landscape: structure, cognition and power in organizations in Administrative Science Quarterly, n.35, citato in

[52]. 136 Gli attori che mediano all’interno di una struttura relazionale svolgono il ruolo di broker. Il brokerage è l’attività attraverso cui un attore

intermediario facilita le transazioni tra altri attori che non hanno tra loro legami o fiducia diretta.

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Il soggetto pubblico dovrebbe instaurare legami anche informali con gli altri nodi della rete per acquisire quella posizione centrale che – coniugata con la legittimazione formale - gli consentirebbe di svolgere un ruolo propulsivo nel governo della rete.

Figura 3.2.3 Accuratezza cognitiva e potere reputazionale.

E’ importante che, almeno in un primo momento, il governo della Zona tenti di acquisire una posizione di centralità all’interno del campo, ad esempio entrando a far parte delle strutture di coordinamento esistenti e instaurando legami intensi con nodi di tali strutture: ciò gli consentirebbe di facilitare e promuovere la costituzione di ulteriori strutture di coordinamento e l’uso di specifici meccanismi di coordinamento, e quindi di condizionare le relazioni tra i nodi in senso non opportunistico. Ad esempio, l’istituzione di Tavoli di Concertazione (elaborati in campo sociale e in ambito regionale a partire dalla L.R. Toscana 72/97) dovrebbe incidere notevolmente sull’interdipendenza associativa delle parti. Stessa cosa vale per la promozione dei cosidetti “patti territoriali di solidarietà” (previsti anch’essi per la prima volta dalla L.R. Toscana 72/97). Tali iniziative possono fungere da “palestra” non solo per le organizzazioni non profit, che devono misurarsi con aspetti specialistici e professionali di approccio alla materia dei servizi, e modalità strutturate di cooperazione e azione, ma anche per gli enti locali che vi partecipano. Ciò significa che, grazie all’autorevolezza del governo della Zona e alla sua capacità di motivare i diversi attori del campo, si possono creare occasioni di apprendimento organizzativo, seconda la nota tipologia del learning by interacting137. D’altra parte i numerosi problemi legati alla capacità degli enti locali della Zona di fare “rete” tra di loro (lo abbiamo visto in 3.1) e attivare forme di governo adeguate a guidare tutti i nodi appartenenti al dominio interorganizzativo nella costruzione della rete territoriale possono favorire piuttosto il posizionamento centrale di alcuni nodi che - mentre godono di rapporti informali e di esperienze non strutturate di collaborazione con altri nodi del campo con cui la Zona non ha a che fare - hanno anche continuativi contatti con l’esterno del campo stesso. Nella rete dei servizi socio-sanitari hanno spesso tali caratteristiche le “agenzie formative” o le “imprese sociali di servizio”, ovvero i “nodi operativi” del secondo livello. La loro funzione è infatti quella di importare e diffondere nel campo esperienze significative, strumenti metodologici e concettuali - dunque incidenti nella cultura - molto innovativi, sostituendosi spesso agli enti locali nella loro funzione di “traino”, soprattutto quando dagli altri nodi della rete sia percepita più importante la detenzione del controllo sulle informazioni piuttosto che sulle risorse economiche (questo avviene più spesso quando le risorse economiche sono reperibili anche direttamente da fondi regionali od europei). L’attivismo degli altri nodi del campo non deve andare a scapito della posizione centrale dal punto di vista formale (focalità) che il modello affida al governo della Zona. Per giustificare quest’affermazione

137 Malerba F. Apprendimento, innovazione e capacità tecnologiche: verso una nuova concettualizzazione dell’impresa in “Economia e

politica industriale”, 58, 1988.

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introduciamo il concetto di centralizzazione. La caratteristica di centralizzazione del campo è data dalle differenze tra i punteggi di centralità del punto più centrale e quella di tutti gli altri punti. E’ stato rilevato che generalmente, in presenza di problemi complessi e poco strutturati, una rete di comunicazione tra i membri più estesa e meno accentrata favorisce l’ottenimento di risultati migliori138: senza dubbio problemi complessi e poco strutturati sono quelli che deve affrontare la rete dei servizi socio-sanitari; in accordo con tale assunto, parlando prima di connettività, abbiamo infatti già accennato al fatto che la rete totale potrebbe essere più adeguata di una rete con un’organizzazione focale che funga da agenzia strategica alla gestione dei servizi socio-sanitari. Abbiamo però anche affermato che la rete dei servizi socio-sanitari è un vero e proprio progetto, ovvero è una “rete governata”: la struttura della rete è variabile indipendente (posta come scontata dalla normativa che prescrive il modello del Welfare Locale) mentre l’interdipendenza dei nodi è variabile dipendente da ciò che i soggetti deputati in primis alla implementazione del modello (gli enti locali) sapranno mettere in campo. Dunque possiamo distinguere due fasi temporali: 1 una prima fase di strutturazione e consolidamento della rete nella quale il governo della Zona

dovrà svolgere la funzione di agenzia strategica, impiegando sapientemente le risorse economiche, definendo le “regole del gioco” e allenando i diversi nodi ad un atteggiamento cooperativo non sempre scontato. In questa fase potrà valere un'altra tesi derivante da ricerche di social network analysis139: essa afferma che, in presenza di una sovrapposizione di valori tra i nodi della rete, ad una elevata complementarietà delle funzioni tra l’organizzazione focale e gli altri nodi corrisponde un’alta probabilità di cooperazione. I poli operativi della rete potranno svolgere il loro ruolo di importatori, magazzini e sviluppatori di competenze, mentre il soggetto pubblico avrà la funzione di coordinamento di tali competenze nel quadro di un disegno complessivo, sempre che sia riuscito ad acquisire il necessario potere reputazionale.

2 una seconda fase di sviluppo e trasformazione della rete, guidata da processi di auto-organizzazione della configurazione strutturale, nella quale ciascun nodo sarà in grado di relazionarsi autonomamente con tutti gli altri e di agire contestualmente rispondendo esclusivamente ai propri obiettivi e perseguendo automaticamente gli obiettivi dell’intera rete [45].

3.2.d. La condiv is ione cu ltura le de l mode l lo

In questo paragrafo ci accingiamo ad analizzare la seconda condizione – indicata in 3.2.a - necessaria alla strutturazione di una rete: esiste un sistema socio-economico in grado di generare consenso e cooperazione fra i soggetti che assicurino: il controllo sui processi essenziali del sistema complessivo, una sufficiente identità dei suoi membri, efficaci sistemi di autoconservazione in caso di pericolo, un minimo di risorse comuni per l’innovazione e per il fronteggiamento delle sfide dell’ambiente. Essa è relativa a variabili su cui con il disegno organizzativo si può incidere solo limitatamente: i meccanismi di coordinamento progettati e implementati si rivelano efficaci ai fini della trasformazione di un’organizzazione in nodo vitale della rete solo se la loro azione poggia su un sistema sociale ed economico e una cultura e pratiche quotidiane di cooperazione e collaborazione taken for granted grazie all’azione di molteplici fattori, che fungano quindi da “facilitatori” dell’implementazione di tali meccanismi.

138 Bavelas A. Communication patterns in task-oriented groups in Lerner D., Lasswell H.K. (eds.) The policy-sciences Stantford University

Press, Stanford, 1951, citato in [52]. 139 Evan W.M. Organization theory: research and design Macmillian, New York, 1993, citato in [52].

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Il “substrato” giusto per la creazione delle condizioni di efficacia dei meccanismi di coordinamento è dato dalla variabilità dei processi relazionali che si instaurano all’interno del campo. La social network analysis definisce tale variabilità attraverso i parametri dell’oggetto, del contenuto e della natura delle relazioni. Si tratta di parametri a cui abbiamo fatto già ricorso: l’oggetto delle relazioni è la variabile indipendente da cui scaturisce il modello del Welfare Locale, mentre la natura delle relazioni è la variabile complessa attraverso cui può essere “pesata” la connettività di una rete. Nella seguente tabella riportiamo tutte insieme le dimensioni relative ai processi relazionali.

Oggetto delle relazioni Complessità delle relazioni

Raggio di azione Grado di incertezza dei risultati Volume di attività

Contenuto delle relazioni

Obiettivi o interessi

Economici Di legittimazione Di autoconservazione Di prestigio Di realizzazione di valori sociali (gli interessi coincidono con gli obiettivi)

Oggetto dello scambio

Valutazioni Manifestazioni di affetto o stima Informazioni e conoscenze Norme Risorse

Natura delle relazioni

Reciprocità Convergenza interessi Interdipendenza reciproca dei tasks Orizzonte temporale relativo al completamento del ciclo di scambio

Molteplicità Diversità dei livelli-valore delle connessioni

Formalizzazione

Atti pubblici Contratti di diritto privato Accordi scritti privati Dichiarazioni pubbliche Impegni informali

Forza Frequenza interazioni Motivazione affettiva Longevità

Tabella 3.2.3 Le variabili analitiche della varietà dei legami in una Rete sociale.

Il contenuto delle relazioni è determinato dagli obiettivi che con esse si intendono perseguire oppure dagli interessi che soggiacciono al loro instaurarsi e dall’oggetto dello scambio. Nel caso dei servizi socio-sanitari in 3.1 abbiamo visto esservi numerosi obiettivi e interessi interagenti (recupero di legittimazione del soggetto pubblico, legittimazione del Terzo settore, prestigio degli imprenditori istituzionali, riduzione della spesa pubblica): l’obiettivo sistemico – cioè il benessere della persona – posto in testa alla lista, ha spesso valore simbolico, anche se di fatto costituisce e costituirà la vera cartina di tornasole dell’efficacia del sistema e quindi la fonte di legittimazione di ciascun attore. L’oggetto dello scambio può essere costituito da valutazioni individuali e manifestazioni di affetto e stima (networks personali)140; informazioni e conoscenze (advice networks); standard, regolamenti, codici comportamentali (relazioni normative); risorse di varia natura (sotto forma di transazioni: contracting-out, partnership; o associazioni: consorzi, comitati). Il modello del Welfare Locale punta soprattutto sulle advice network e sulle partnership e per fare questo prevede la elaborazione di standard (di qualità) e regolamenti (di accreditamento, di accesso ai servizi, …) cui dovrebbero attenersi tutti i soggetti del campo.

140 Johanisson B. Beyond process and structure: Social exchange networks in International studies in management and organization, 18,

1987.

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Tra gli indicatori della natura delle relazioni particolarmente rilevante per il modello sono la forza [92], la reciprocità, ed in particolare il “grado di incertezza relazionale”141 cioè la prevedibilità del comportamento altrui basato su schemi e valori-guida; infine, variabile centrale, il grado di formalizzazione delle relazioni che abbiamo visto essere ancora caratterizzato quasi solo dalla stipula di convenzioni o al massimo di protocolli di intesa e dall’associazione in strutture di coordinamento, peraltro spesso scarsamente strutturati in relazione ad obiettivi operativi e modalità specifiche di perseguimento e reporting. Una configurazione tipica dei processi relazionali nel contesto attuale di implementazione del modello di Welfare Locale è quella che vede sì un basso grado di formalizzazione delle relazioni, ma una elevata forza dei legami tra gli appartenenti alle organizzazioni. Tale forza è basata sulla frequenza delle interazioni, sulla motivazione affettiva e sulla longevità (che crea fiducia) derivante dalla prima stagione di fioritura del volontariato nella seconda metà degli anni ‘80. Per favorire la cooperazione e la sperimentazione142 risultano centrali i legami forti, gli strong ties [84], ovvero le forme di conoscenza diretta, di stima, ammirazione. A questo scopo una ricerca sul campo dovrebbe poter rilevare l’esistenza di “eroi”, figure individuate143 come le persone più rappresentative dei valori del campo interoganizzativo; il loro ruolo nella rete è la diretta conseguenza della loro personalità e della loro “storia”. Queste persone possono essere considerate dei veri e propri testimonials simbolici [2] dei valori della rete. Un’ulteriore indicatore da considerare è il fenomeno dell’appartenenza di una persona a più associazioni: nelle ricerche sui sistemi imprenditoriali esso è studiato sulle società per azioni ed è chiamato interlocking directorate (scambi dei consiglieri di amministrazione). Si tratta di una forma di rete sociale interpersonale e paritetica basata sulla trasmissione reciproca di informazioni e sulla decisione congiunta (si coordinano due o più azioni senza ancorare l’accordo a contratti complessi): la chiave della stabilità risiede nelle persone e quindi anche nelle sfere emotive [52]. Questo fenomeno risulterà comunque raro nel caso delle Cooperative Sociali, che tra loro hanno un rapporto competitivo, più che cooperativo: è pur vero che esse di solito sono i nodi più evoluti, per cui non necessitano di fonti di elaborazione del modello; il problema subentrerebbe nel momento in cui o la mancanza di rapporti informali, o lo spirito competitivo, bloccassero i flussi informativi. Le reti come quelle che abbiamo descritto, fondate sull’identificazione e il senso di appartenenza attraverso la condivisione di valori, sono definite network simbolici144: questo tipo di network è fondamentale per la creazione di un clima favorevole alla predisposizione di meccanismi di coordinamento che a loro volta conducano alla condivisione fattiva di esperienze, conoscenze ed informazioni. La presenza di questa tipologia di network molto sviluppata all’interno della rete mostra l’esistenza di una vera e propria cultura interorganizzativa (si veda oltre) orientata alla realizzazione del modello del Welfare Locale. Riepilogando, il circolo virtuoso che abbiamo ipotizzato attivarsi tra interdipendenza associativa e meccanismi di coordinamento si attiva o meno, con maggiore o minore efficacia, attraverso il filtro dei processi relazionali, la cui variabilità supporta o meno il processo di strutturazione della rete. D’altra parte lo stesso circolo virtuoso si attiva tra meccanismi di coordinamento e processi relazionali: a questi sottostà in prima battuta la possibilità di “rodare” eventuali meccanismi di coordinamento, ma le stesse relazioni, gli scambi, grazie all’azione di quelli, acquisiscono maggiore profondità.

141 Perrone V. La rete in Costa G., Nacamulli R. (a cura di) Manuale di organizzazione UTET, Torino, 1997, citato in [52]. 142 Krackhardt lo dimostra nel suo saggio sui “legami di tipo philos” [92]. 143 Deal T., Kennedy A. Corporate culture Addison-Wesley, Reading, 1982, citati in [20]. 144 Johanisson B. Beyond process and structure: Social exchange networks in International studies in management and organization, 18,

1987, citato in [52].

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Figura 3.2.4 Mediazione della variabilità dei processi relazionali nella reciprocità tra meccanismi di coordinamento e interdipendenza.

3.2.e. L’ is t i tuz ional izzaz ione del model lo e i l l ive l lo d i condiv is ione cu l tura le

Una volta rilevata la configurazione dello stato delle variabili legate ai processi relazionali è infatti necessario inquadrare tale configurazione all’interno di uno schema analitico che consenta di valutare il livello di consolidamento del modello nel campo interorganizzativo dei servizi socio-sanitari. A nostro avviso, l’approccio analitico più opportuno è quello istituzionalista: è possibile stabilire il grado di istituzionalizzazione del modello del Welfare Locale, basando l’analisi sulle componenti cognitiva, strutturale, giuridico-formale e prescrittiva attraverso cui viene operazionalizzato il concetto di istituzionalizzazione [28].

COMPONENTI INDICATORI

GRADO DI ISTITUZIONALIZZAZIONE

COGNITIVA

Coerenza delle espressioni linguistiche Tempo dedicato alla definizione dei significati Credenze condivise sugli obiettivi Omogeneità dei significati

PRESCRITTIVA

Obbligo di uniformità ai requisiti Grado di formalizzazione di criteri di valutazione delle performance Codici comportamentali Riti di riconoscimento

STRUTTURALE Interessi in gioco Risorse investite Standard di riferimento Grado di commitment

GIURIDICO-FORMALE Leggi, Regolamenti e Statuti esistenti e rispettati

Tabella 3.2.4 Le quattro componenti del grado di istituzionalizzazione del modello di Welfare Locale (fonte: [28]).

In relazione alla componente cognitiva è necessario verificare la sussistenza di omogeneità dei significati che vengono attribuiti dagli attori alle varie etichette e alle varie denotazioni e connotazioni che a questi vengono legate: se la cultura interpreta l’organizzazione, il linguaggio definisce la cultura145. In particolare è necessario che al significante Welfare Locale diano tutti la stessa rilevanza, oltre che verificare la comunanza delle credenze relative all’evoluzione del mondo non profit, al ruolo che dovrebbero svolgere ente locale e organizzazioni non profit, alle possibilità di sviluppo del loro rapporto con gli enti locali, all’obiettivo delle politiche sociali e agli scenari ideali prospettati. E’ infatti

145 Weick K. Organizzare Isedi, Torino, 1993, citato in [49].

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necessario, affinché la componente cognitiva sia soddisfatta, che tutti gli attori forniscano risposte piuttosto coerenti, o comunque riportabili ad un medesimo schema cognitivo. Le dimensioni della componente prescrittiva sono l’oggetto centrale dell’azione di “facilitatore di rete” che dovrebbero svolgere l’ente locale o il governo della Zona. Si tratta di predisporre gli strumenti “normativi” di supporto necessari ad una modalità di condotta comune: regolamenti per l’accreditamento, standard di qualità, carte dei servizi, parametri oggettivi per la distribuzione delle risorse. Ad esempio, ad oggi spesso gli unici strumenti di pre-selezione per l’accesso alle gare di appalto e l’instaurazione di rapporti formalizzati (convenzioni) con l’ente locale sono i registri provinciali delle associazioni e delle cooperative: l’iscrizione peraltro è sottoposta a deboli controlli relativi alla rispondenza a requisiti solo in parte significativi. Come si è anche sottolineato in 3.1 il dibattito sui criteri di valutazione della qualità è tuttora in corso. Componenti cognitiva e prescrittiva delineano la cultura organizzativa di un sistema: infatti, secondo la definizione più accreditata [46], la cultura organizzativa è “un insieme di assunti basilari che un certo gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato quando è riuscito a far fronte ai suoi problemi di adattamento esterno o di integrazione interna, e che si sono rivelati validi e, quindi, vengono acquisiti e trasmessi ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare, sentire quei problemi”. Per operazionalizzare il concetto di cultura organizzativa in modo da poter essere empiricamente rilevato all’interno di una rete dei servizi socio-sanitari, distinguiamo quattro livelli di condivisione [105]. Il primo livello è quello che concerne “gli assunti fondamentali”, riguardanti “la natura della realtà, del tempo e dello spazio; l’origine della natura umana; la natura dell’attività umana;…” [46]. Nel caso della rete dei servizi socio-sanitari, questa condivisione dovrebbe essere messa in dubbio: in questo campo infatti operano sia organizzazioni di origine cattolica e che di origine laica, legate a culture politiche differenti. D’altra parte, il mutamento del contesto politico e il pragmatismo che spesso caratterizza il volontariato a contatto con il bisogno hanno fatto prevalere con il tempo la volontà della condivisione. Riteniamo che le differenze negli assunti fondamentali, che pur rimangono, perdano la loro rilevanza dal momento in cui vi sia condivisione di valori al secondo livello, quelli che guidano l’azione e che portano al perseguimento di finalità comuni: in generale la condivisione circa lo scopo finale degli interventi pubblici e privati in campo socio-sanitario e su ciò che significa “efficacia” delle politiche sociali dovrebbe consentire da sola la formazione di una comunità di policy a livello locale. Il terzo livello concerne l’accordo sugli obiettivi operativi, cioè il consenso sulle credenze che riguardano le relazioni di causa-effetto e la tecnologia dell’organizzazione; i nodi del campo dovrebbero possedere “definizioni comuni della tecnologia del processo decisionale e credenze sulla causalità condivise” [107], ovvero la condivisione del modello del Welfare Locale come metodologia di governo delle politiche e dei servizi socio-sanitari. Delineiamo dunque questa ipotesi (da verificare nel campo): lo scollamento rispetto agli assunti fondamentali (primo livello) può essere ininfluente ai fini di una cultura della condivisione che possa traghettare l’istituzionalizzazione del modello; lo scollamento rispetto agli obiettivi dell’azione (secondo livello) è raro e maggiormente diffuso o tra le associazioni storiche o tra le piccole associazioni, anch’esse appartenenti all’associazionismo degli albori; lo scollamento relativo alla condivisione del Welfare Locale (terzo livello), in quanto strumento per l’attuazione dei valori, è ormai superato. Un quarto livello è relativo alla condivisione dei metodi per avviare l’implementazione dello stesso modello: ed è qui che la situazione attuale rivelerà le sue maggiori carenze. Possiamo dire, applicando una nota categorizzazione [23], che il campo dei servizi socio-sanitari è dotato di una “cultura diffusa”, composta da valori-guida condivisi, mentre la “cultura strategica” deve ancora essere del tutto interiorizzata. Siamo cioè nel corso di quel processo definibile [20] come cambiamento incrementale

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della cultura: il sistema necessita di valori nuovi ma non antagonisti rispetto a quelli tradizionali; si tratta più che altro di allargare il ventaglio di azioni146.

CULTURA INTER-ORGANIZZATIVA DELLA RETE DEI SERVIZI SOCIO-SANITARI

Primo livello Condivisione degli assunti fondamentali sulla vita e la posizione dell’uomo nel mondo

Secondo livello Condivisione dei valori che guidano l’azione e sulle finalità delle politiche di solidarietà sociale

Terzo livello Condivisione del modello come metodologia di governo delle politiche di solidarietà sociale

Quarto livello Condivisione dei metodi e degli strumenti operativi attraverso cui implementare il modello

Tabella 3.2.5 I quattro livelli di analisi della cultura inter-organizzativa.

Riepilogando: nel caso delle politiche socio-sanitarie l’obiettivo (secondo livello) riguarda non più il dovere di assistenza alle persone bisognose per il miglioramento delle loro condizioni di vita, ma la necessità di promuovere la libera e responsabile realizzazione di ogni facoltà della persona umana, anche se in condizioni di partenza svantaggiate; il perseguimento di tale obiettivo dovrebbe avvenire attraverso la metodologia individuata dal modello del Welfare Locale (terzo livello) e non più attraverso il tradizionale metodo assistenziale; attraverso quali strumenti operativi (e approntando quali meccanismi di coordinamento) questo si possa perseguire è ancora in parte da stabilire (quarto livello). Riprendiamo infine la riflessione sulle componenti giuridico-formale e strutturale del grado di istituzionalizzazione del modello. Innanzitutto, qualsiasi fosse il campo concreto di analisi, la componente giuridico-formale risulterebbe sviluppata: il T.U. sulle politiche sociali del 2000 [189] ha infatti posto una pietra miliare nella storia dei servizi per la sicurezza sociale, istituendo un apposito fondo nazionale e chiamando tutte le Regioni a legiferare direttamente in materia per stabilire le forme locali di implementazione della legge nazionale, sempre nel quadro di un sistema ideale portato a modello. Possiamo invece ipotizzare con un certo grado di sicurezza che la componente strutturale non abbia ancora raggiunto il livello di cui si necessiterebbe: le risorse investite non sono sinora sufficienti alla predisposizione di meccanismi di coordinamento adeguati alla creazione di interdipendenza.

3.2.f. Rif less ioni f ina l i

Osserviamo che le quattro componenti, oltre che essere strumenti metodologici di operazionalizzazione del grado di istituzionalizzazione, sono anche fasi cronologicamente susseguentisi attraverso le quali è possibile ricostruire il processo evolutivo. Sentori del cambiamento di paradigma erano presenti nel dibattito in corso dagli inizi degli anni ’90 scaturito dall’istituzionalizzarsi del paradigma economicista nella Pubblica Amministrazione e nella legislazione nazionale, anche non di settore (L.142/90, L.502/92); il vero impulso al processo di istituzionalizzazione già avviato ha avuto luogo con il varo della legge della Regione Toscana 72/97 (componente giuridico-formale). Successivamente si è avuta una forte accelerazione nella creazione di

146 Questo concetto, derivante dall’”analisi culturale delle organizzazioni” e dalla “teoria del simbolismo organizzativo” corrisponde anche al

“principio di impurità” definito dal neo-istituzionalismo, secondo il quale in un preciso momento storico non può che sussistere una rete di logiche di azioni istituzionali differenti, alle quali gli attori ricorrono contemporaneamente e più o meno consapevolmente.

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occasioni di scambio e di incontro ed una sempre maggiore presa di coscienza da parte degli attori del ruolo che nel nuovo sistema sarebbe dovuto spettare a ciascuno (componente cognitiva). Attualmente siamo nella fase in cui gli attori sono chiamati ad investire maggiori risorse di commitment ed economiche (componente strutturale) per poter mettere a punto gli strumenti che permettano di formalizzare la metodologia di gestione del sistema prefigurata dal modello (componente prescrittiva). Questa sequenza è particolarmente vera per gli enti locali che costituiscono il governo della Zona: come indica la stessa Legge Quadro del 2000, essi sono l’agenzia strategica della rete, in cui sono centralizzate le funzioni di programmazione, coordinamento e controllo del sistema; dovendo perciò dare il contributo maggiore allo sviluppo della componente prescrittiva, essi necessitano di puntare su ingenti investimenti economici ed organizzativi (componente strutturale). In molti casi infatti si renderà evidente l’esigenza di avviare un processo di innovazione organizzativa in sintonia con l’obiettivo della gestione della rete e della cooperazione interorganizzativa. Tra ristrutturazione organizzativa dell’agenzia strategica e meccanismi di coordinamento vi è incidenza reciproca; implementando meccanismi di coordinamento operativo a livello di struttura organizzativa degli enti locali facenti parte del governo della Zona s’innesca infatti un processo cumulativo e circolare basato su cauti processi di apprendimento organizzativo e nel processo di maturazione degli enti locali in agenzia strategica della rete si sviluppano quantitativamente e qualitativamente ulteriori tipologie di meccanismi di coordinamento. Per gli altri nodi della rete, invece, la sequenza delle ultime due fasi si inverte, o meglio, è circolare: essi possono svolgere una funzione di impulso affinché gli enti locali predispongano i meccanismi di coordinamento che consentano anche dal punto di vista operativo l’implementazione del modello; ma la ristrutturazione delle pratiche, la formazione delle persone, la trasformazione del sistema inter-organizzativo, avverrà anche sulla base delle scelte finali (politiche e organizzative) che verranno fatte a livello di agenzia strategica. Integrando gli strumenti della teoria istituzionale con quelli della network analysis, possiamo costruire il seguente schema interpretativo: la predisposizione di meccanismi di coordinamento della rete (componente strutturale e prescrittiva) non può prescindere da una ristrutturazione dell’organizzazione focale, ed è a sua volta indispensabile per il raggiungimento del livello di interdipendenza cooperativa dei nodi della rete che l’implementazione del Welfare Locale richiede e che dunque risponde agli obiettivi dell’efficacia del sistema e della legittimazione degli attori; il tutto è possibile all’interno di un contesto giuridico adeguato e su un humus culturale e cognitivo altamente sviluppato. Nella figura seguente riepiloghiamo il percorso analitico che a nostro avviso è necessario fare per valutare il livello di strutturazione della rete dei servizi socio-sanitari secondo quanto previsto dal modello del Welfare Locale.

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Figura 3.2.5 Variabili di analisi del processo di istituzionalizzazione del modello del Welfare Locale.

I meccanismi di coordinamento all’interno del campo devono rispondere alla strategia della condivisione del sapere, che si basa sulla suddivisione del lavoro di produzione della conoscenza. Sino ad oggi essi sono consistiti principalmente nel contatto diretto interpersonale e sono stati soprattutto finalizzati alla condivisione di valori e significati: il modello del Welfare Locale oggi è quasi certamente riconosciuto come riferimento da tutti gli attori del campo, la componente cognitiva del grado di istituzionalizzazione è cioè sviluppata. D’altra parte sono evidenti le difficoltà della sua implementazione: queste derivano da due tipologie di fattori. Un primo fattore è relativo alla carenza di regolamentazione del sistema (componente prescrittiva): soprattutto in merito all’elaborazione dei parametri per l’accreditamento e di standard per la valutazione della qualità; nella situazione di latitanza del soggetto pubblico, su questo terreno spesso i poli operativi della rete fanno concorrenza all’agenzia strategica. Questo non potrà intaccare il suo potere formale (qualsiasi norma dovrà essere legittimata dall’imprimatur del soggetto pubblico), ma a lungo andare potrebbe compromettere – laddove esista - il suo potere reputazionale. Il secondo fattore è relativo alla carenza di cooperazione a livello operativo (“del fare le cose”) e alla corrispondente carenza di strumenti di supporto alla stessa (meccanismi di coordinamento): non sono frequenti i casi di coprogettazione e di coproduzione in cui molti operatori specializzati si scambiano le rispettive conoscenze. Anche laddove il campo di fruizione della conoscenza si allarga e attraverso il “fare insieme” essa diventa il patrimonio di un gruppo di persone più esteso e differenziato che ruota intorno all’agenzia strategica del campo, essa rimane comunque localizzata e non avviene il salto di qualità che consente il passaggio alla conoscenza globale. Il grado di istituzionalizzazione è quindi basso relativamente alla componente strutturale, che per prima condizionerà il passaggio dalla prima alla seconda fase di sviluppo della rete, ovvero dalla rete governata alla rete auto-organizzata fondata su un accesso paritario da parte di tutti i nodi alle fonti della conoscenza (globale). Sino a quando l’agenzia strategica non sarà in grado (dal punto di vista organizzativo) o non elaborerà la volontà (dal punto di vista politico) di investire sulla costruzione di meccanismi di coordinamento

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complessi adeguati ad affrontare la complessità dell’ambiente, ne conseguirà una persistente istituzionalizzazione incompleta [28] del modello del Welfare Locale.

3.3 Partecipazione ed economia della conoscenza nel nuovo sistema di Welfare

Secondo quanto evidenziato in 3.1, il parziale fallimento del Welfare State è dovuto alla sua inadeguatezza a garantire il principio di uguaglianza sostanziale, così come definito dall’art.3 c.2 della Costituzione Italiana147. Secondo tale disposizione, lo scopo istituzionale delle politiche di sicurezza sociale è la garanzia per ogni individuo di uguali opportunità a partire da disuguali condizioni di partenza. Nell’ambito del rapporto tra cittadino e Amministrazione, dunque, l’oggetto del diritto non è solo la fruizione del bene o del servizio (diritto strumentale), ma, più generalmente, la realizzazione dell’individuo in quanto tale, realizzazione che attraverso quella stessa fruizione si intende perseguire. Avere “capacità giuridica”, essere “soggetto di diritto”, ha proprio questa valenza riflessiva [63]. Tra questa osservazione e la concezione dello Stato Sociale abbracciata dai sostenitori del cosidetto “paradigma imprenditoriale” è possibile riconoscere due minimi comuni denominatori attraverso i quali sono identificate le principali caratteristiche del welfare state che – portate all’estremo – ne hanno minato l’efficacia:

a) l’universalismo b) la deresponsabilizzazione del cittadino

Queste due caratteristiche sono fortemente interrelate da un rapporto reciproco di causa-effetto.

Figura 3.3.1 Le criticità centrali del Welfare State.

Il sistema del Welfare State ha infatti individuato livelli minimi di servizio che a ciascun cittadino sono stati riconosciuti come diritti fondamentali: l’individuazione di tali livelli è però avvenuta a partire dalla identificazione di categorie di utenti (anziani, minori, portatori di handicap, disabili mentali, extracomunitari, indigenti,…) che hanno contribuito a creare un sistema di riferimento mentale imperniato sulle carenze e sulle devianze. Per colmare tali carenze si è proceduto esclusivamente attraverso la redistribuzione di beni materiali: le persone facenti parti di quelle categorie sono così divenute “costi sociali”. Secondo la nuova concezione di welfare ampiamente introdotta in 3.1, le risorse a cui poter ricorrere potrebbero essere anche diverse da beni materiali da distribuire; in molti casi il disagio, lungi dal

147 L’articolo recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e

l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

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derivare dalla carenza di risorse economiche, è frutto di difficoltà create dalla povertà della rete di relazioni e comunque da disagio difficilmente alleviabile attraverso trasferimenti di denaro o di beni o servizi: quindi sarebbe piuttosto necessario investire in risorse simboliche e relazionali. La tesi sostenuta è che ponendo l’accento sulle differenze intersoggettive piuttosto che sulle carenze sia possibile elaborare politiche in grado di valorizzare le peculiarità e le capacità degli individui in modo che essi possano essere (e comportarsi come) soggetti autonomi. In questo contesto, quello che conta è la qualità del sistema di interazioni tra attori delle politiche sociali e loro destinatari. Le risorse per tali interazioni sono reperibili nella sfera pubblica ed in quella privata, nel contesto familiare come in quello locale e, soprattutto, nella persona stessa (esperienze, energie, interessi, abilità cognitive). Ci pare dunque opportuno evidenziare che forse il concetto centrale del nuovo sistema di welfare prospettato possa essere racchiuso dal significante “responsabilizzazione”: del cittadino, che deve assumere maggiore consapevolezza dei propri bisogni e delle proprie

potenzialità e sviluppare quindi una vera e concreta capacità di scelta e di controllo di ciò che sceglie

dei soggetti facenti parte della rete informale del singolo cittadino, che debbono inserirsi nel processo di soddisfazione del bisogno impegnandosi ad una partecipazione attiva in correlazione con gli altri soggetti della rete

dei soggetti erogatori dei servizi (organizzazioni non-profit, imprese sociali), che debbono interpretare i propri processi di servizio in termini di qualità ed efficacia

del soggetto pubblico, che deve rispondere a sua volta dell’efficacia degli interventi progettati e delegati, attraverso il confronto attivo con il cittadino, le famiglie ed i soggetti erogatori

Come si è visto anche in 3.2, la sfida è quella di progettare ed attivare meccanismi di interazione, coordinamento e comunicazione tra tutti questi soggetti che siano in grado quindi di conformare un sistema basato sulla responsabilità: ciò significa che ad essi è richiesto di garantire la trasparenza dei presupposti dell’azione di ogni attore e l’evidenza delle conseguenze dirette ed indirette e su larga scala di quella stessa azione. Obiettivo del presente paragrafo è operazionalizzare il concetto di responsabilità attraverso l’individuazione di specifici elementi evidenziando nel contempo i livelli di commitment che i diversi soggetti della rete debbono fare propri per fare sì che questi si realizzino. Il surplus di impegno – rispetto alla situazione attuale - ad essi richiesto è essenzialmente relativo ad una partecipazione attiva ai processi di scambio informativo all’interno della rete sociale per la costruzione e lo sviluppo di una base di conoscenza condivisa su bisogni e risposte ai bisogni. La tesi è che - in relazione alle finalità condivise del Welfare Locale – l’adozione di comportamenti innovativi da parte degli attori della Rete, attraverso i quali sia possibile sviluppare prima e consolidare poi meccanismi di coordinamento del sistema, è meno costosa del mantenimento della situazione attuale, non solo in termini sociali, ma infine anche economici ed organizzativi.

3.3.a. La responsabi l izzaz ione del c i t tadino

La responsabilizzazione del cittadino-utente consta di due funzioni che egli deve svolgere all’interno del nuovo sistema di welfare:

A. scelta diretta dei servizi e degli interventi B. controllo della qualità dei servizi

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Per entrambe le funzioni sono necessari interventi specifici da parte degli altri attori del sistema, che debbono rivedere a loro volta i propri comportamenti e le proprie forme organizzative per agevolare i processi di recepimento degli input – non strutturati – provenienti dal cittadino. Non solo: questo, più o meno consapevolmente, nello svolgere le funzioni di scelta e controllo, basa le proprie considerazioni su specifiche variabili inerenti il bisogno – più o meno consapevole – di cui è portatore e la sua evoluzione in relazione al grado di soddisfazione dello stesso: egli cioè, laddove il sistema sia in grado di recepirlo, può evidentemente concorrere anche a svolgere la funzione di analisi, diagnosi e monitoraggio del bisogno, anche arricchendo con nuovi elementi tratti dal disagio quotidiano le conoscenze specialistiche degli operatori professionali. A partire dalla Community Care britannica, il diritto di scelta degli utenti nel nuovo modello di welfare è considerato parte essenziale dei servizi; in particolare la community care incentiva i tre aspetti dell’informazione, dell’empowerment e dell’advocacy. In primo luogo è necessaria un’informazione esauriente, chiara ed imparziale sui servizi disponibili: erogati da soggetti convenzionati con il pubblico o in regime di libero mercato; all’interno della Zona Socio-sanitaria o fuori148; relativamente sia ai costi che ai servizi a valore aggiunto previsti o alle articolazioni spazio-temporali del servizio stesso. In una logica di concorrenza, infatti, il mercato funziona soltanto se sono disponibili diverse opzioni fra le quali poter scegliere, e la scelta è a sua volta possibile soltanto se gli utenti sono al corrente delle possibili alternative. E’ però importante che questi siano introdotti alle procedure di accesso al servizio e alle eventuali agevolazioni economiche ad esso legate (buoni-servizio nel caso di servizi accreditati oppure compartecipazione ai costi da parte dell’ente pubblico nel caso di servizi convenzionati). E’ evidente che soddisfare una attività informativa efficace richiede un’organizzazione efficiente del back-office, affinché esso sia in grado di reperire e gestire razionalmente le informazioni provenienti da tutti i soggetti erogatori e di rendere cognitivamente accessibili le informazioni sulle procedure, nella migliore logica della trasparenza amministrativa. A dimostrazione delle difficoltà sofferte in questo senso dal soggetto pubblico, si affacciano oggi sul mercato i cosiddetti “servizi di informazione sociale”: servizi di orientamento ed informazione al cittadino offerti all’esterno dello spazio di influenza dei soggetti erogatori, che si avvalgono di personale specializzato per fornire consulenza e mediazione tra cittadino ed erogatori stessi. Nel case management, l’empowerment consiste proprio nell’incoraggiare il cittadino correttamente ed esaustivamente informato a formulare direttamente la domanda di servizio e ad attivarsi in prima persona per il suo ottenimento: questo approccio, lungi dall’avere come unico obiettivo il riconoscimento e la garanzia di godimento di uno specifico diritto da parte dell’utente, si basa sull’assunto che il processo decisionale partecipato dal cittadino costituisca di per sé un percorso terapeutico per affrontare il bisogno o il disagio. Un problema centrale rilevato a questo proposito è che molti operatori non sentono affatto le organizzazioni ove lavorano come promotrici di empowerment: negli enti vige uno stile operativo rigidamente centralizzato. Su questo aspetto è utile a nostro avviso una considerazione: gli operatori che dovrebbero fungere da case managers spesso subiscono l’organizzazione entro la quale svolgono la propria attività professionale, in quanto negli enti vige spesso uno stile operativo rigidamente centralizzato che non offre al personale un’adeguata flessibilità e non riesce a stabilire né obiettivi né valori chiari potendo

148 Questo tipo di informazione è rilevante soprattutto per quei servizi il cui core consista nell’accoglienza residenziale, soprattutto di tipo

socio-sanitario, laddove vengano offerti servizi a valore aggiunto difficilmente reperibili altrove (riabilitazione specialistica di anziani o disabili, accoglienza di minori con patologie psichiatriche importanti, accoglienza per donne maltrattate, …).

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chiederne l’adesione. E’ ovvio che gli operatori saranno incoraggiati a praticare l’empowerment degli utenti se si sentiranno indipendenti e, insieme, se sentiranno di avere delle responsabilità comuni nello svolgimento del proprio lavoro. I manager che lavorano nello spirito dell’empowerment e che quindi sollecitano e rinforzano l’autonomia dei loro operatori possono offrire loro un buon esempio di pratica professionale corretta: non si può dire lo stesso per quelli che operano con spirito burocratico. Soprattutto nel servizio sociale britannico è data molto rilevanza infine alla funzione di advocacy, ovvero di tutela degli utenti da parte degli operatori pubblici nei confronti degli erogatori dei servizi; il soggetto pubblico, cioè, dovrebbe fungere da garante della qualità dei servizi offerti e, laddove questa dovesse manifestare le sue faglie - anche in occasioni specifiche riguardanti un singolo utente – dovrebbe agire in difesa del cittadino. Anche su questo potrebbe farsi una considerazione generale sugli aspetti organizzativi: gli operatori dovrebbero assumere su se stessi delle responsabilità di advocacy interna, per contribuire all’innovazione delle strutture organizzative e con ciò perseguire il bene dei loro assistiti. A volte invece si assiste al tentativo di costituire dei veri e propri “sindacati degli utenti”, che – più che a farsi promotori di azioni di protesta nei confronti di soggetti erogatori di servizi - ambiscono a costituire una controparte agguerrita dell’ente locale in relazione alle frequenti vicende di disservizio causate dalla scarsa efficienza interna dello stesso o ai casi di empasse decisionale che bloccano l’ente locale in condizioni di scacco nei confronti dei soggetti erogatori. Come si è detto, una delle funzioni determinanti che il cittadino – secondo il modello del Welfare Locale – dovrebbe essere messo in grado di svolgere, è quello della valutazione della qualità dei servizi socio-sanitari di cui si trova ad essere diretto utente. In realtà si tratta di una questione alquanto complessa, che richiede una articolazione di parametri e strumenti ancora non definitivamente individuata. Il ruolo del cittadino si innesta nella riflessione generale soprattutto grazie ad una incursione del paradigma economicista nel settore dei servizi socio-sanitari: mentre la valutazione della qualità è stata in origine posta all’attenzione degli enti locali in relazione soprattutto ai processi di accreditamento in quanto parametro sul quale basare la regolazione del mercato e l’assegnazione di incentivi da parte del soggetto pubblico, l’applicazione delle regole del marketing ai servizi rivolti alla persona e alla famiglia ha indotto ad introdurvi il concetto di customer satisfaction. In generale, una valutazione integrata delle prestazioni sociali dovrebbe basarsi su indicatori di struttura, di processo, di risultato. Quella degli indicatori di struttura è la tipologia di parametri di valutazione più facilmente utilizzabile, dato che è costituita da parametri discreti e definiti: oltre all’iscrizione ai registri del terzo settore, essa prevede la valutazione dei titoli di formazione, delle esperienze passate, dei regolamenti interni di organizzazione, delle risorse dedicate alla progettazione e alla programmazione, dell’esistenza di procedure per la selezione e l’inserimento di personale e per il controllo del turnover, e della partecipazione a reti per la ricerca e l’innovazione. Ovviamente, la garanzia di validità e attendibilità è data dal metodo di rilevazione e controllo. Se questa tipologia è strettamente legata al concetto di accreditamento delle organizzazioni, è necessario distinguere da questa l’accreditamento dei servizi erogati dalle organizzazioni, ovvero la valutazione della qualità dei processi di servizio: dato però che i servizi producono prevalentemente beni di esperienza, un controllo sugli stessi non può prescindere dalla qualità dell’esperienza concreta che gli stessi consumatori ne fanno interagendo con gli operatori. Sono i processi di comunicazione e cooperazione a dover essere al centro dell’attenzione dei valutatori, che non possono prescindere dal contatto continuo, diretto con l’erogatore e dall’osservazione diretta delle prestazioni.

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Gli indicatori di risultato richiamano l’approccio economicista, che tende a rilevare i risultati di un’attività in relazione agli obiettivi posti, configurandosi così una valutazione dell’efficacia dell’attività stessa. Da questo tipo di approccio, spesso, scaturisce un tipo di controllo autoreferenziale: l’organizzazione autodefinisce gli obiettivi, le risorse ad essi assegnati, le procedure ed i risultati desiderati in termini di beni e di servizi ed infine gli scostamenti rispetto ai programmi. Se questo approccio - perlomeno a livello simbolico - è prevalente nella Pubblica Amministrazione a partire dagli anni ’90, nel caso dei servizi, ed in particolare dei servizi socio-sanitari, esso non è applicabile. Per diversi motivi: in questo specifico contesto, infatti, è più spesso ipotizzabile una discrasia tra output ed outcome, mentre la elaborazione, la definizione e la scelta collettiva degli obiettivi da perseguire sono processi problematici. A questo scopo è utile distinguere tra efficacia strumentale ed efficacia strutturale [2]. Per la rilevazione del livello di efficacia strumentale ci si limita a misurare indicatori relativi ad elementi tangibili di un servizio, mentre affermare di aver perseguito l’efficacia strutturale di un servizio significa aver conseguito l’impatto atteso, impatto che però in molti casi è difficilmente operazionalizzabile attraverso precisi indicatori perché è caratterizzato da elementi latenti e di difficile interpretazione; in particolare, nel caso dei servizi socio-sanitari, uno specifico intervento non solo può avere una ricaduta sull’utente differita nel tempo, ma ci si aspetta possa avere un impatto sull’evoluzione del bisogno sociale. Sarebbe fuorviante non considerare i possibili outcome di un insieme di analoghi interventi di tipo socio-sanitario: ciò sarebbe più proprio di un approccio atomistico al problema tipico del paradigma economicista. D’altra parte è vero che in molti casi offrire un servizio migliore sotto gli aspetti più evidenti dà maggiori garanzie sul fatto che quel servizio possa conseguire una certa efficacia strutturale: l’efficacia strumentale può dunque essere considerata un surrogato di quest’ultima. La metodologia più appropriata per rilevare l’efficacia strumentale è raccogliere i giudizi e le opinioni espresse dagli utenti - anche in base ad una ben disposta griglia di quesiti – sebbene rimanga aperto il problema dell’operazionalizzazione dei fattori soggettivi ed intangibili (quelli che sopra abbiamo chiamato indicatori di processo). Dal punto di vista della “misurazione” dell’impatto sociale, nel settore dei servizi socio-sanitari è possibile arrivare a considerare la rilevazione degli eventuali benefici per la rete dei familiari e degli informal care givers; sebbene questa necessaria integrazione della valutazione di qualità offra la possibilità di misurare più esaustivamente l’impatto in termini di efficacia strutturale (si allarga il cerchio degli attori interpellabili), nello stesso tempo rende la valutazione complessiva molto più complessa: si rende infatti necessario considerare la trasformazione dei bisogni di tutti gli attori in chiave sistemica perché infine la qualità del servizio consiste proprio nella sua intrinseca capacità di procurare benessere all’utente principale sostenendo la sua rete di aiuti. Sul ricorso a metodologie di rilevazione della customer satisfaction nel settore dei servizi socio-sanitari, però, vengono evidenziate alcune controindicazioni [17]: oltre che dover considerare la multidimensionalità del concetto di “soddisfazione” è anche necessario sottolineare che il singolo utente che esprime oggi il suo personale gradimento sul servizio appena ricevuto non è spesso in grado di disporre di una prospettiva di lungo periodo, anche perché come elementi di valutazione della qualità del servizio egli non porta soltanto esigenze legate in modo lineare alla soddisfazione dei suoi bisogni, ma esprime anche considerazioni maturate come risultato di una serie di processi di costruzione sociale del giudizio e delle preferenze che con tutta probabilità subiscono un pesante condizionamento proprio a causa dello status di soggetto debole rivestito dall’utente.

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3.3.b. La domanda organ izzata

Uno degli elementi attraverso i quali è possibile differenziare tra loro diversi modelli di welfare, da quello assistenziale a quello del case management sino ad arrivare a quello statunitense dell’era reaganiana, è proprio il livello di affidamento sulla capacità di giudizio del cittadino utente dei servizi socio-sanitari. In particolare, nell’approccio americano al case management è centrale il concetto di “autodirezionalità” dell’utente: secondo questo approccio la competenza delle persone è oggetto di aspettative sociali e può quindi ridurre la dipendenza dai servizi aiutando gli utenti a conseguire livelli più elevati di autonomia nella gestione del disagio. La versione britannica del case management – come si è visto - prevede invece il ricorso ad un singolo coordinatore capace di una visione di insieme: si ritiene infatti che questo sistema possa essere più efficace che non l’affidamento a meccanismi di adattamento spontaneo. Come si è visto in 3.1.a, il case manager è una sorta di supercittadino-utente in grado di leggere ed analizzare il bisogno con l’aiuto del cittadino stesso, ma più abile di quest’ultimo – grazie alle specifiche competenze professionali - nel valutare con distacco e ampia veduta la qualità dei servizi erogati in termini di impatto sull’utente e sulla sua rete di relazioni, anche in riferimento agli elementi strutturali del servizio stesso che – essendo strettamente tecnici – l’utente non sarebbe in grado di analizzare. Peraltro, proprio per l’asimmetria informativa esistente tra cittadino ed erogatori dei servizi, si è visto come il sistema sia regolamentato in modo da limitare la possibilità di scelta dell’utente ai soli servizi accreditati. Il cittadino quindi trova una sorta di “consulente” nel case manager, che lo aiuta ad esprimere i suoi bisogni e le sue preferenze e lo assiste nella scelta dei servizi ad essi più adeguati: in 3.1.a abbiamo chiamato questo meccanismo personalizzazione assistita. Se il singolo individuo non è forse in grado di gestire efficacemente la relazione tra le proprie preferenze soggettive e i propri bisogni effettivi e non è in grado anche per questo di costruire un giudizio sufficientemente razionale dei servizi tra i quali scegliere, l’ipotesi che in questa sede proponiamo è quella della co-gestione del rapporto preferenza-bisogno-servizio da parte di cittadini non più atomizzati ma aggregati, che si rapportano quindi con soggetto pubblico ed erogatori dei servizi con maggiore peso. Nel modello, la rete formale è riconosciuta come complementare alla rete informale dell’utente, ma questo non basta: è necessario promuovere un allargamento della rete informale, che non deve rimanere strettamente legata alla contiguità ambientale (vicini di casa) o affettiva ma deve potersi dilatare secondo la condivisione di un medesimo bisogno. Per ottenere questo risultato sono necessarie due condizioni: che l’ente locale (agenzia strategica) si evolva culturalmente e riconosca il valore di tale nuovo soggetto aggregato e che gli utenti insieme con i numerosi attori che costituiscono le singole reti informali (elementi della macroimpresa) si aprano alla relazione con chi condivide le medesime situazioni di disagio. A questi due presupposti “culturali” si aggiunge una condizione “strumentale”, che è quella della messa in opera degli spazi e degli strumenti che possano supportare tali relazioni. Non è inoltre affatto scontato che questi processi di aggregazione si attivino spontaneamente: ecco allora che il ruolo dell’ente locale diviene centrale – come anche nello sviluppo dei processi di partecipazione descritti in 2.3 - dapprima per un’opera di promozione dello scambio relazionale tra soggetti con simili situazioni di bisogno e quindi per l’investimento di risorse per la costruzione e l’implementazione di meccanismi di coordinamento adeguati. Un suggerimento concreto ci viene dalla tradizione delle “freenet” americane, utilizzate per attivare in rete nuove politiche sociali a livello urbano e metropolitano. Dato che la rete consente ai singoli

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cittadini di condividere esperienze e opinioni con persone che non rientrano necessariamente nello spazio delle frequentazioni abituali, un problema familiare, un disagio sociale, una passione possono diventare il motore di un’aggregazione che lo spazio e i ritmi della vita cittadina altrimenti impediscono. Come già evidenziato in 2.3, in una seconda fase – una volta condivisi i significati attraverso i processi relazionali in rete - è possibile che le comunità on line sviluppino una capacità di interazione come soggetto collettivo con l’interlocutore istituzionale per favorire un miglioramento della qualità dei servizi e dell’allocazione delle risorse in ambiti particolarmente delicati. In particolare, l’esperienza della rete civica di Cleveland sviluppatasi per dare un sostegno alle famiglie con malati di Alzheimer è stata in questo senso emblematica: attorno ad alcuni medici e operatori sociali si sono aggregate centinaia di famiglie che senza la rete avrebbero probabilmente vissuto in solitudine un percorso di disagio e di sofferenza. Questa stessa comunità, come quelle di altre città americane, ha saputo proporre e elaborare tematiche complesse, difficili da comprendere e da gestire dal servizio pubblico tradizionale; ha saputo diventare interlocutore dell’amministrazione pubblica e di una varietà di soggetti terzi per suggerire forme nuove di intervento e di gestione delle risorse. Se dunque nella strutturazione della “rete governata” dei servizi socio-sanitari il ruolo - soprattutto nella fase iniziale - dell’agenzia strategica è fondamentale in quanto fonte di stimolo per l’attivazione di tutti i susseguenti processi relazionali, le problematiche “culturali” in essa non risolte rischiano di inficiare l’intero processo di innovazione, perlomeno in relazione ad alcune importantissime – se non fondamentali – questioni, come quella del rapporto con i nodi della rete definibili come “cittadinanza attiva”. Ora, come si è visto, il Welfare Locale si basa su modelli esteri che hanno già fatto altrove la loro storia con tutto il bagaglio di vittorie e sconfitte. In Italia, ove la traslazione del modello è ancora nella fase di parziale messa in opera, l’incertezza della relazione tra mezzi e fini e l’ambiguità degli scopi operativi è ancora una realtà: dunque, chi si cimenta nell’imitazione oggi di questo modello codificato e standardizzato spesso persegue in primis la propria legittimazione; l’opera di traslazione del modello quindi in molti casi ha ancora valore tipicamente simbolico, evocativo ed autocerimoniale [83]. Proprio per questo i “discorsi” intorno al modello sono importanti per attribuire ad esso i significati voluti; l’etichetta “Welfare Locale” infatti è un significante al quale possono corrispondere numerosi significati: su quali attributi basarvi il senso è questione di interpretazione, di interpretazioni scaturite da interessi od obiettivi personali degli attori. E’ così che la necessità di un reale coinvolgimento attivo della cittadinanza, di ciò che viene chiamato “cittadinanza attiva”, “azione solidale”, “auto-aiuto”, ovvero degli attori più vicini al luogo del bisogno concreto, è raramente citata nei “discorsi” degli imprenditori istituzionali, mentre ci si limita a riferirsi alle Associazioni di Volontariato e alle Cooperative Sociali e alle strutture di rappresentanza di interessi di categorie specifiche - che normalmente sono prese in considerazione e si rendono protagoniste nei e dei discorsi intorno alla Welfare Locale: non a caso attualmente questi stessi attori sono spesso mossi da scopi di legittimazione e autoconservazione. In una fase di strutturazione della rete nella quale il consenso e l’autolegittimazione contano molto come stimoli che portano ad abbracciare la causa del modello, per i cosiddetti “imprenditori istituzionali” diviene paradossalmente controproducente citare questa parte della società civile in quei “discorsi”, dato che da essa non scaturisce alcun alone di consenso, non avendo per sua natura una forma istituzionalizzata e strutturata. Se l’efficacia del sistema è legata al suo scopo, al livello topico, etico, dei valori, lo scopo delle politiche sociali è quello di integrare persone svantaggiate nella società facendo leva sulle loro stesse potenzialità e sul bagaglio civile e culturale della comunità. La peculiarità intrinseca del settore delle politiche sociali è quella di avere ad oggetto degli interventi soggetti senza voce, spesso inattivi, incapaci di utilizzare gli strumenti istituzionali e di raccogliere le opportunità che, a volte, questo sistema sociale offre: per questo risulta oggi alquanto problematico dar voce, rendere

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visibile il reale problema di tale sistema, ovvero ciò che è strettamente legato alla sua inefficacia: la carenza di politiche di ascolto e di promozione della partecipazione dei diretti interessati dalle politiche di settore. Gruppi di auto-aiuto, cittadinanza attiva, rete delle reti informali. Quando il cittadino si impossessa degli strumenti della Rete per affrontare la complessità del sistema di Welfare, crea contestualmente nuovi rapporti tra sistema tradizionale e ambiente: diviene egli stesso sistema (di saperi, bisogni, interessi), determinando nuove condizioni di empowerment [32] che concorreranno alla strutturazione della rete dei servizi socio-sanitari prevista dal modello del Welfare Locale, ovvero un macro-sistema ove i confini dei sottosistemi vanno a poco a poco dematerializzandosi per dare luogo ad una situazione di totale interdipendenza tra attori che prima di allora appartenevano ad universi distanti. Il sistema della domanda organizzata di servizi socio-sanitari, sviluppatosi attraverso la condivisione, la razionalizzazione e la sistematizzazione dei numerosi sensi del bisogno e della soddisfazione del bisogno, è l’unico realmente in grado di condizionare in modo determinante il sistema dell’offerta e quindi di riformare il sistema di Welfare.

3.3.c. L’e-Care come model lo suss id iar io a re te

Secondo quanto affermato in 3.2.b, l’inefficacia del sistema di gestione dei servizi socio-sanitari è imputabile alla difficoltà – subìta da tutti gli attori coinvolti - di affrontare la “complessità informativa” dell’oggetto di riferimento – il bisogno – e dell’ambiente di riferimento – l’intero tessuto sociale. La rete strutturata dei servizi socio-sanitari, così come prospettata nel modello del Welfare Locale, dovrebbe invece permettere una interpretazione degli eventi esterni (intesa come introduzione di nuovi elementi nel sistema cognitivo collettivo) preceduta da un processo di monitoraggio e di raccolta di dati e seguita dall’apprendimento, come nuova risposta alle modificazioni ambientali e di messa in atto delle teorie con le quali i dati ambientali vengono razionalizzati secondo il pattern culturale proprio della rete. Se l’intrusiveness149 di un’organizzazione è la capacità di penetrare negli ambienti esterni raccogliendo tutte le informazioni e le conoscenze necessarie e mettendo alla prova sul campo diverse ipotesi di azione, la nuova forma organizzativa prospettata dal Welfare Locale è caratterizzata da una elevata intrusività e si basa su meccanismi strutturati di scoperta della realtà esterna che permettono di individuare le risposte più appropriate ai cambiamenti e agli orientamenti della domanda. Anche alla luce di quanto detto sino ad ora, nel presente paragrafo verrà introdotto il concetto di e-Care, un’etichetta che, lungi dal richiamare il semplice accesso on-line ai servizi socio-sanitari da parte del cittadino - per l’attivazione dei percorsi di assistenza e di cura – racchiude in sé la visione di una tecnologia della Rete utilizzata per appiattire i livelli gerarchici attualmente esistenti all’interno del sistema di welfare (inteso come l’insieme dei soggetti istituzionali od istituzionalizzati che fanno e gestiscono le politiche socio-sanitarie) e tra sistema di welfare e sistema-società civile: tale tecnologia, consentendo la valorizzazione del ruolo delle persone - portatrici di competenze, sensibilità e motivazioni - e delle persone che insieme si auto-organizzano, può concorrere alla costituzione di nuove forme organizzative nelle quali ciascun singolo nodo, al pari di tutti gli altri, incide prepotentemente nell’evoluzione dell’intero sistema. Precedentemente abbiamo parlato di responsabilizzazione degli attori del campo interorganizzativo, che fa in modo che ognuno di essi sia e si senta attivamente coinvolto nei processi di produzione e condivisione di conoscenza; abbiamo quindi tentato di spiegare in che senso il cittadino-utente potrebbe portare il proprio fondamentale contributo al nuovo sistema, sia in quanto singolo che in

149 Daft R.,Weick K. Toward organizations as interpretation systems in Academy of management review vol.9,2,1984.

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quanto fulcro di una rete di relazioni sociali. In una situazione a regime, tutti gli attori (pubblici e privati) avranno un ruolo analogo e paritario nell’attività di produzione della conoscenza, secondo una sorta di modello sussidiario a rete [32], ovvero una forma di gestione della conoscenza né gerarchica (i cui codici sono calati dall’alto dal soggetto pubblico, con il forte rischio di una loro inappropriatezza e inesaustività) né anarchica (come la rete Internet, ove i codici sono tra i più disparati e spesso non compatibili). Per giungere alla realizzazione di un tale modello (sovrapponibile, in termini di knowledge management, a quello del Welfare Locale) è necessario superare la situazione macro-organizzativa del sistema di welfare tradizionale, in cui i processi che sottendono alla logica di produzione e scambio di conoscenza sono bloccati all’origine da condizioni culturali prima e organizzative poi che impediscono il formarsi sia di un’offerta che di una domanda di conoscenza. La responsabilizzazione dei nodi della rete procede di pari passo con la ri-suddivisione del lavoro nell'attività di produzione della conoscenza [117], che riduca i costi della sua acquisizione (organizzativi ed economici) e ne aumenti il valore d'uso anche attraverso una sintesi qualitativamente superiore. Il processo di responsabilizzazione dei diversi attori nella produzione e nell’uso della conoscenza del e per il sistema complessivo, passa attraverso le due fasi dell’attivazione di relazioni face-to-face e quindi dello sviluppo della comunicazione mediata. In un primo tempo la conoscenza non potrà che essere costituita dal sapere informale e localizzato (firm-specific), che nasce dall’esperienza di contatto diretto con il bisogno (learning by doing) [55]. Questo tipo di sapere viene trasferito attraverso processi comunicativi privi di mediazioni tecnologiche, quindi per contiguità. Solo una relazione sociale che si ponga col minimo di mediazioni tecnologiche e col massimo di significati socio-comunicativi può rendere veramente partecipi di un sistema comune i soggetti che devono imparare a governare insieme l’interdipendenza, agevolando un cambiamento più rapido dell’atteggiamento culturale, delle routines organizzative cristallizzate da decenni di burocratizzazione (nel caso degli enti locali) o di pratiche di lavoro basate sullo spontaneismo (nel caso del volontariato). Le stesse occasioni di interazione che possono apparire semplici processi cerimoniali – il cui celato obiettivo potrebbe essere parte di una strategia prettamente simbolica - in realtà hanno un loro valore performativo: comunicare significa agire e la comunicazione è il medium dell’azione organizzativa finalizzata e coordinata; le reti basate sulla comunicazione face-to-face sono “reti di impegni reciproci” (action workflows)150 attraverso le quali gli attori instaurano conversazioni per definire e prendere impegni, per valutare le opportunità, per generare i contesti dell’azione organizzativa efficace. D’altra parte, la base sociale della divisione del lavoro non può crescere più di tanto fino a che il trasferimento del sapere avviene per contiguità. Accanto alla dimensione della contiguità, che accompagna la diffusione del sapere localizzato, deve essere quindi valorizzata quella della globalità, che cresce sulla base del sapere formale, trasferibile a distanza. La contiguità della condivisione locale, la globalità del trasferimento a rete: l’idea che emerge è quella di una gestione dell’interdipendenza cooperativa basata non più soltanto sulla consapevolezza dell’interesse comune, ma anche su "processi auto-organizzativi" [117]; si tratta cioè di diffondere ai vari nodi anche la funzione - prima gelosamente centralizzata dal soggetto pubblico - di system integration. La flessibilità dei singoli nodi di una rete è ottenuta non più attraverso la delega, il sapere informale o la discrezionalità del singolo, magari corretta da feed-back ed incentivi; è invece ottenuta attraverso la predisposizione di codici che (in un certo campo di varietà e variabilità) permettono alle

150 Austin J.L. How to do things with words Harvard Business School Press, Cambridge, 1962. Per la “Speech Act Theory” la comunicazione

è l’attività fondamentale e costitutiva dell’organizzazione, per mezzo della quale le persone compiono azioni.

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persone di adeguare il loro comportamento a situazioni predeterminate, attraverso l’ausilio di un linguaggio che specifica in modo comprensibile e preciso le diverse condizioni e le diverse risposte. Quando poi si esce dal campo codificato – è il caso delle varianze non prevedibili dell’ambiente - la flessibilità è quindi affidata a procedure e a linguaggi che permettono di adattare quei codici o di crearne di nuovi: ogni nodo deve essere allora dotato della capacità di fruire autonomamente delle informazioni, di offrire informazioni sulla base di categorie codificate oppure di agire per indurre l’innovazione condivisa dei codici. Questa è l’essenza del modello sussidiario. Tale modello dà luogo ad una forma organizzativa altamente flessibile perché attribuisce centralità all’elemento umano: come più volte si è evidenziato, infatti, le fonti più attendibili di informazione sono il cittadino-utente, le persone facenti parte della sua schiera affettiva, e il volontariato o il piccolo Terzo settore a contatto diretto con il bisogno (macro-impresa): è solo grazie alla Rete che la soggettività del singolo può direttamente connettersi con l’intero sistema (micro-macro link [32]), rompendo le dinamiche autoreferenziali dei sottosistemi istituzionali; la coniugazione della tecnologia a rete e della riscoperta dell’elemento umano costituisce un “sistema socio-tecnologico condizionante”, una miscela basata sulla co-responsabilizzazione in grado di scardinare gli equilibri precedenti. Proprio per l’importanza della valorizzazione dell’elemento umano diviene essenziale progettare meccanismi di coordinamento che, essendo funzionali alla strutturazione della rete e al suo ulteriore mantenimento e sviluppo, riescano ad adattarsi alla continua innovazione organizzativa, trasformando il processo complessivo in innovazione tecno-organizzativa. In questo contesto, è auspicabile che la progettazione di tali strumenti non venga affidata ai soli tecnocrati, il cui compito è quello di minimizzare l’incertezza: dato che lo scopo è invece quello di sviluppare le capacità sociali di interazione e di co-responsabilizzazione, la progettazione di modelli innovativi deve tener conto di modalità reali di apprendimento impliciti nel contesto oggetto dei processi di informatizzazione; tali modalità devono essere valorizzate e non distrutte così come deve essere garantita la continua riproduzione del tessuto cognitivo del campo interorganizzativo. E’ quindi auspicabile la progettazione di sistemi informativi finalizzati non solo alla gestione dei procedimenti amministrativi e contabili e all’archiviazione dei documenti (Workflow Management Systems), ma piuttosto alla creazione di ambienti di lavoro cooperativo (groupware) che si pongano come nuove fonti di apprendimento attraverso la generazione di visioni condivise e la diffusione di modelli orientati alla elaborazione di conoscenza. Molta attenzione deve essere posta inoltre nella progettazione degli elementi funzionali alla partecipazione del cittadino ai processi di creazione della conoscenza: la ricerca dell’elemento umano nella Rete deve divenire elemento strutturale per un progetto che voglia effettivamente superare i limiti che hanno caratterizzato le politiche di diffusione di nuove tecnologie presso i cittadini: la filosofia dell’e-Care non è tanto incentrata sulla capacità di accesso del cittadino alla rete quanto sulla capacità del sistema di creare luoghi virtuali dotati di un’interfaccia umana. Questo processo di umanizzazione della Rete avviene trasformando l’accesso alla rete da parte del cittadino dall’atto interattivo uomo-macchina al molto più rassicurante atto relazionale persona-persona; ovviamente questo tipo di relazione che media o assiste l’interazione con la tecnologia deve essere oggetto di competenze specialistiche: potrebbe così nascere la nuova professione del “mediatore multimediale” [32][64].

3.3.d. La costruz ione del Laborator io de l la Conoscenza

Il modello del Welfare Locale – lo abbiamo più volte sottolineato – prefigura la strutturazione di una “rete governata”: di una “rete”, per creare condizioni di interdipendenza associativa tra gli attori del campo interorganizzativo dei servizi socio-sanitari, tali da poter affrontare l’incertezza informativa dell’ambiente di riferimento; che sia “governata”, in quanto si rendono necessari in una prima fase

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comportamenti attivi da parte dell’agenzia strategica della rete, da una parte per promuovere il modello presso gli altri attori e dall’altra per creare le condizioni operative dell’efficacia dei processi interorganizzativi all’interno della rete. Il perseguimento di entrambe le finalità di tali auspicabili politiche attive avviene attraverso la progettazione e la messa in opera di ciò che abbiamo chiamato genericamente meccanismi di coordinamento, ovvero di occasioni prima e di strumenti poi di comunicazione che siano adeguati alla condivisione e quindi all’allargamento della base di conoscenza necessaria ad affrontare la complessità informativa dell’ambiente (si veda il paragrafo 3.2.b). Quanto maggiore poi sarà l’interdipendenza associativa all’interno della rete (ovvero quanto più avanzata sarà la strutturazione della rete stessa) quanto maggiore dovrà essere la complessità dei sistemi di comunicazione utilizzati per la sua gestione. Da quanto si è detto anche nel paragrafo precedente, tali sistemi di comunicazione: debbono supportare la condivisione della conoscenza a distanza debbono valorizzare al massimo l’elemento umano e quindi anche i processi relazionali debbono garantire l’utilizzo di codici strutturati in maniera condivisa e ristrutturabili in maniera

condivisa, tempestiva e flessibile Ciò sta a significare che l’innovazione organizzativa - che va di pari passo con la strutturazione della rete - comporta innovazione tecnologica non solo per gli attori di quella stessa rete, ma per l’intero sistema dell’ICT. Generalmente l’offerta di ICT condiziona il mercato e la domanda di tecnologia; anzi, spesso la domanda di tecnologia è proprio trainata dall’innovazione tecnologica. Invece, nel caso della produzione di servizi pubblici, essa sino ad oggi non ha saputo essere elemento trainante dell’innovazione tecnologica interna; e anche laddove esiste è spesso vissuta come concorrente dalla vecchia struttura di offerta. I fattori che frenano l’introduzione di elementi innovativi all’interno del sistema di welfare possono riassumersi in cinque punti [32]:

1. complessità delle procedure amministrativo-gestionali 2. reperimento dei mezzi economici in un contesto di riduzione della spesa assistenziale 3. sistema dell’offerta di tecnologia fondato su una competizione amministrativa (gare) e poco

imprenditoriale 4. sistema della domanda di tecnologia con un basso livello di progettualità e una cultura autoctona

di gestione delle tecnologie informatiche (i vecchi CED) 5. assenza sul mercato di un sistema qualificato di imprese in grado di intermediare l’offerta

sanitaria con l’offerta di tecnologie informatiche fornendo non soltanto un brokeraggio intelligente ma anche un valido anello imprenditoriale per le politiche di out-sourcing e co-sourcing

La nuova filosofia dell’e-Care vuole invece arrivare a costruire – a partire dalle esigenze del cittadino - una rete per l’accesso telematico ai servizi, puntando sulla promozione di risorse imprenditoriali che andrebbero a costituire un nuovo settore industriale rivolto agli e-services per la produzione di servizi on-line alla persona e alla famiglia [32]. D’altra parte, investire nei servizi socio-sanitari conviene agli imprenditori privati perché si tratta di un mercato con un vasto settore della domanda, dati l’ampio bacino di utenza e il sempre maggiore bisogno espresso di servizi: è quindi un mercato in netta e sicura espansione. Non solo: nel presente paragrafo tenteremo di dimostrare quanto l’investimento di risorse per l’e-Care sia vantaggioso – dal punto di vista latamente economico - per tutti gli attori che a buon titolo

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dovrebbero essere coinvolti nella progettazione e nell’adozione di meccanismi di coordinamento complessi ed avanzati basati sulla tecnologia della Rete. Prima però occorre ribadire alcuni concetti. Come si è più volte sottolineato, prima di mettere in campo dispositivi tecnologici occorre il realizzarsi di due condizioni strategiche: un’elaborazione teorica condivisa e la ristrutturazione organizzativa interna ai vari nodi. In primo luogo è evidente come il passaggio dal sapere informale ai codici richieda un grosso investimento in conoscenza teorica per prevedere ex ante tutta la gamma di varianti che potranno verificarsi e studiare le risposte da dare ai vari casi, sapendo che in seguito solo alcune di queste previsioni e costruzioni saranno utilizzate: quello della ridondanza informativa che comporta la presenza di riserve di conoscenza eccedenti gli usi correnti è una condizione di cui si nutre la flessibilità del sistema. Ovviamente occorre mettere intorno ad un tavolo non solo tutte le professionalità coinvolte nei processi di presa in carico ma anche quei soggetti in grado di operare una sintesi qualitativamente superiore dei contributi di ognuno grazie a competenze non specialistiche ma trasversali. A svolgere la funzione di serbatoio di conoscenza teorica all’interno della rete sono in primis l’agenzia strategica e i nodi operativi, ma è auspicabile anche il coinvolgimento di attori originariamente non facenti parte del campo interorganizzativo dei servizi socio-sanitari, ovvero gli attori dell’ambiente accademico e della ricerca. Per questi ultimi quello dei servizi socio-sanitari è un settore privilegiato per lo studio di reti complesse: proprio per la complessità informativa dell’ambiente essi possono trovarvi numerosi spunti analitici e un campo sperimentale - in quanto a variabili da tenere sotto controllo - di notevole sostanza, sia sotto l’aspetto economico, che organizzativo, che, appunto, tecnologico. La seconda condizione è stata più volte richiamata nel corso della trattazione, soprattutto in relazione alla necessità di una propria trasformazione organizzativa da parte dell’agenzia strategica chiamata a promuovere in prima persona l’adozione di meccanismi di coordinamento adeguati alla gestione dell’interdipendenza associativa all’interno della rete. In realtà la medesima necessità è riscontrabile in capo a tutti i nodi della rete proprio perché la flessibilità di ognuno potrà manifestarsi in tutto il suo valore solo se essa viene usata per aderire nel modo di volta in volta appropriato alla esigenze di servizio alla rete che si manifestano nell’interazione tra i nodi. Occorre a questo scopo che i linguaggi di interazione non siano diversi da quelli che gestiscono la flessibilità interna ai singoli nodi; dunque occorre che il linguaggio sia nei suoi lineamenti generali unico per tutta la rete, anche se può avere specificazione o integrazioni locali. Poste queste due pre-condizioni, la conditio sine qua non dell’adozione dei meccanismi di coordinamento complessi richiesti dal sistema non potrà che essere l’investimento di risorse economiche da parte dell’agenzia strategica. Anche in assenza di sensibilità ai temi “sociali” del Welfare Locale, gli amministratori dovrebbero in prospettiva trovare buone ragioni di carattere economico a tale investimento. Gli enti locali infatti vengono progressivamente responsabilizzati dall’ordinamento, che attribuisce loro sempre maggiori competenze senza però alcuna previsione di trasferimento di nuove tipologie di risorse dallo Stato centrale o di ampie autonomie di prelievo fiscale: ora come non mai essi hanno dunque bisogno di risorse informative di qualità che li aiutino a non sprecare altri tipi di risorse (quelle economiche, appunto), rendendo possibile la precisa calibratura delle risposte ai bisogni. Tali risorse informative, come abbiamo visto, provengono da chi è a contatto con il bisogno, ovvero, da una parte da chi offre ed eroga fattivamente i servizi (macro-impresa) e dall’altra da chi soffre lo stato di bisogno (cittadini-utenti e famiglie).

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Occorre dunque in primo luogo trasformare famiglie e Terzo settore in “sistemi di ascolto del bisogno” e in secondo luogo perseguire l’obiettivo di fare agire ciò che si riesce a recepire da tali sistemi all’interno dei sistemi di progettazione e di programmazione per generare un output integrato ed efficace. Oltre a quello che abbiamo chiamato “Laboratorio della Conoscenza”, i mezzi per passare dai “sistemi di ascolto” al perseguimento dell’obiettivo principale sono anche spazi e processi strutturati di concertazione e partecipazione, per la definizione delle priorità politiche e per il coinvolgimento nei processi decisionali relativi a programmazione, allocazione delle risorse e progettazione degli interventi. Questi spazi offrono molta visibilità alle organizzazioni non-profit ed esse possono usarli per perseguire le loro finalità di autolegittimazione: occorrerebbe quindi rendere inscindibili i due momenti - quello politico (Tavoli di Concertazione, ecc…) e quello “tecnico” (Laboratorio della Conoscenza) – in modo che le motivazioni che spingono il Terzo settore a partecipare al primo fungano da traino per la partecipazione al secondo. Riepilogando: come costruire il Laboratorio della Conoscenza? Attraverso uno sviluppo di sistema che vede l’investimento di risorse organizzative ed economiche da parte dei diversi attori che compongono già oggi la rete dei servizi socio-sanitari e attraverso l’inserimento di nuovi attori, tra i quali abbiamo individuato anche imprese private, università, istituti di ricerca. Le risorse organizzative sono costituite dai “sistemi di ascolto” (famiglie e Terzo settore) e dagli attori professionali coinvolti (AA.SS, infermieri, medici, custodi sociali,…); le risorse economiche sono investite principalmente dall’ente locale per l’acquisizione di strumenti di coordinamento e comunicazione adeguati (tecnologie); infine le risorse di conoscenza codificata ma astratta sono iniettate nel sistema dal mondo accademico e della ricerca che, ricalibrandole sui processi sistemici specifici, ne ricavano conoscenza specifica. Per costruire il Laboratorio della Conoscenza dunque devono essere sostenuti dei costi:

1. gli enti locali investono dal punto di vista organizzativo ed economico con l’acquisto di strumenti di telematica

2. il Terzo settore investe dal punto di vista organizzativo per la sua trasformazione in “sistema di ascolto”, nel tentativo di entrare nell’ottica della conoscenza, secondo la quale ciò che si fa genera conoscenza

Il Laboratorio della Conoscenza genera però anche risorse: 1. gli enti locali forniscono risposte più puntuali, evitano sprechi economici (tipici

dell’assistenzialismo) e guadagnano consenso 2. molte più risorse vengono investite in servizi piuttosto che in elargizioni generiche di denaro agli

assistiti, il che comporta maggiori risorse per il Terzo settore 3. le famiglie trovano risposte efficaci e non sono costrette ad investire proprie risorse economiche 4. le università e gli istituti di ricerca hanno nuovi paradigmi su cui basarsi 5. le imprese di TLC e IT godono di nuove forme di investimento

Tutto ciò garantisce lo sviluppo di sistema auspicato, secondo il quale le risorse generate sono maggiori delle risorse investite (ovvero dei costi del sistema). In particolare, l’empowerment dei cittadini-utenti e del Terzo settore, che li vedrebbe trasformati in sistemi di ascolto, richiede agli stessi un grado di commitment più o meno elevato a seconda della strutturazione cognitiva già avviata. Ciò che è richiesto alle organizzazioni del Terzo settore è maggior impegno finalizzato:

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ad una trasformazione culturale che le porti a vedere nelle azioni concrete un denso brodo di conoscenza

ad una trasformazione organizzativa che consenta di render effettiva la fruizione di tale conoscenza.

Il Terzo settore deve abbandonare l’ottica della rendicontazione, del reporting, del monitoraggio dei progetti solo per scadenze contabili e formali oppure per richieste sporadiche di dati da parte degli enti locali, per entrare in quella culturale e organizzativa che lo porti a prendere coscienza delle preziose informazioni che derivano dalla propria attività, dal contatto con il bisogno e dal modo in cui lo si affronta. Deve quindi adattarsi a modalità che consentano di strutturare tali informazioni, “formalizzandole” in Conoscenza Condivisibile, codificandole. Su quest’ultimo aspetto l’ente locale-agenzia strategica può incidere proprio facendosi affiancare da strutture di ricerca e attirando gli investimenti delle aziende di ICT. Ciò che è richiesto ai cittadini e alle famiglie è invece un maggior impegno relazionale, per condividere le esperienze anche attraverso canali strutturati. Mentre peraltro il commitment organizzativo da parte di enti locali e del Terzo settore costituisce senza dubbio un costo, l’impegno relazionale richiesto alle famiglie, più che costituire un costo dovrebbe essere considerato come parte della soluzione ai problemi generati dal bisogno, che spesso deriva da una rete sociale latitante e da condizioni di emarginazione. Se è vero infatti che condividere i problemi allevia il bisogno, un maggior impegno relazionale è strettamente correlato con l’efficacia delle risposte ai problemi espressi, soprattutto laddove è l’ente locale-agenzia strategica che – attraverso il proprio commitment – agisce per agevolare le relazioni, attraverso l’investimento – appunto - in tecnologie, in formazione all’uso delle tecnologie o in tecnologie per l’usabilità della Rete (si veda per questo il paragrafo 3.3.c).

3.4 Alcune idee-guida per la progettazione di sistemi informativi in campo socio-sanitario: il caso del progetto M.I.R.A.

Come abbiamo mostrato nei paragrafi precedenti, per creare le condizioni di interdipendenza associativa all’interno di un campo interorganizzativo che si confronta con un ambiente ad elevata complessità informativa e – una volta raggiunto il livello ottimale (quello tipico di una rete) - gestire tale interdipendenza, occorre progettare ed implementare meccanismi di coordinamento adeguati. Abbiamo detto che per supportare efficacemente i processi collaborativi all’interno di una rete in fase piuttosto avanzata di strutturazione, tali meccanismi debbono supportare processi comunicativi che superino la dimensione della contiguità e si basino su codici strutturati e condivisi, attraverso i quali sia possibile interpretare l’ambiente: solo così sarà possibile allargare la base sociale di produzione e di fruizione di conoscenza per affrontarne la complessità informativa. In questo paragrafo tenteremo di individuare i requisiti generali ai quali meccanismi di coordinamento adeguati ad una “rete culturale” in procinto di trasformarsi in rete operativa secondo il modello del Welfare Locale dovrebbero a nostro avviso conformarsi. Per farlo, useremo un’esperienza concreta come base di analisi e confronto. Si tratta del progetto MIRA (Modello Integrato di Rete per l’Alzheimer), un progetto pilota in cui alcuni imprenditori istituzionali dell’agenzia strategica (intesa come Governo della Zona: ASL e Comuni151) insieme con attori di un polo operativo, beneficiando

151 La direzione sanitaria dell’ASL 10 di Firenze e i Servizi Sociali dei Comuni di Sesto Fiorentino e Firenze (limitatamente al SIAST 3).

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anche della legittimazione e del finanziamento dell’amministrazione regionale152 e trovando la collaborazione di attori esterni al campo interorganizzativo (Università: si veda 3.3.d) hanno coinvolto numerosi operatori per arrivare a creare una “comunità integrata in rete” che condivida gli strumenti di valutazione e di lettura dei bisogni, abbracci linee-guida strategiche e si coordini attraverso comuni regole operative nel processo di presa in carico assistenziale degli utenti. Questa comunità prevede: il coinvolgimento di diverse tipologie di professionalità – ognuna avente un ruolo rilevante e

insostituibile l’interazione operativa tra enti pubblici diversi, nonché tra enti pubblici e soggetti organizzativi

privati il contributo attivo e non secondario dei familiari degli utenti Soffermarci su questo progetto – anche alla luce dello sviluppo al quale potrà andare incontro - può rivelarsi estremamente utile. Nel campo dei servizi socio-sanitari infatti la problematica al centro del progetto - il morbo di Alzheimer - è esemplare: essa è una patologia progressivamente invalidante, sia dal punto di vista fisico che psichico, che conduce al decesso, ma che presenta picchi di crisi improvvisi e lunghi periodi di staticità del bisogno; investe drammaticamente la sfera emotiva dei potenziali care-givers informali e coinvolge numerose figure professionali (neurologi, geriatri, medici di medicina generale, assistenti sociali, psicologi, infermieri e riabilitatori), ciascuno facente capo a sistemi organizzativi e informativi diversi e a comunità professionali spesso chiuse e autoreferenziali. La complessità informativa dell’oggetto della relazione tra tutte le tipologie di soggetti coinvolti è tale che si richiedono meccanismi di coordinamento sempre più complessi (particolarmente complessi) per il passaggio dalla fase di condivisione culturale a quella della strutturazione della rete governata sino al consolidamento del sistema. Alla fine del progetto e quindi della messa a punto, tali meccanismi dovranno consentire agli attori coinvolti di: a) condividere linguaggi e chiavi di lettura delle tematiche inerenti il problema della demenza senile; b) condividere e scambiarsi informazioni sui casi; c) condividere risorse informative generali necessarie alla efficace presa in carico del paziente:

risorse (economiche, di prestazione, di spazio-tempo) a disposizione, tipologie di interventi attivabili, …;

d) lavorare in equipe a distanza e rendere tesaurizzabili dagli altri le proprie personali conoscenze; e) rendere familiari, pazienti e informal care-givers parte integrante della comunità, in modo da

valorizzarne a pieno il patrimonio conoscitivo derivante dal contatto diretto e continuo con le problematiche quotidiane (socializzazione della conoscenza);

f) assorbire gli input informativi derivanti da questi ultimi trasformandole in conoscenze generali del sistema e agevolando quindi l’apprendimento del sistema (articolazione della conoscenza).

I meccanismi di coordinamento che andremo a descrivere in questo capitolo non sono stati ancora realizzati: le caratteristiche che tenteremo di delineare sono il frutto dell’analisi compiuta a livello di requisiti di base in occasione della fase di definizione dei processi decisionali caratterizzanti il contenuto delle relazioni tra gli attori della rete socio-sanitaria di riferimento.

152 Sul ruolo della Regione nell’implementazione del modello del Welfare Locale si veda 3.1.c.

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3.4.a. Messa in opera dei pr inc ip i del Wel fare Loca le

Uno strumento di comunicazione volto al supporto della rete dei servizi socio-sanitari deve assicurare la gestione delle problematiche legate alle principali caratteristiche del modello del Welfare Locale; ovviamente si tratta di problematiche proprio per il fatto di essere carenze in capo al sistema tradizionale di welfare. Attraverso adeguati meccanismi di coordinamento il sistema deve quindi rendere operativi i seguenti principi:

Multidimensionalità del bisogno

La valutazione del bisogno da parte di un operatore che incarna una specifica professionalità è ritenuta insufficiente a tracciare il reale bisogno del paziente: per puntare ad una risposta efficace si adotta l’idea della globalità del bisogno. Per una lettura globale del bisogno il progetto MIRA si affida ad un nuovo modello organizzativo che porta i diversi operatori a integrare le proprie valutazioni e ad elaborare risposte cooperative (Piano di Assistenza unico). La formalizzazione di una nuova unità operativa interorganizzativa denominata “equipe”, costituita da assistente sociale, infermiere e medico di base ha lo scopo di rendere permanente tale integrazione in capo ad un medesimo paziente: nessuno dei ruoli è prevalente rispetto all’altro e ciascuno contribuisce in eguale misura alla elaborazione del Piano di Assistenza. Il sistema di comunicazione è chiamato a supportare i processi integrati di valutazione del bisogno e di elaborazione del Piano di Assistenza, agevolando gli scambi paritari a ciò finalizzati fra i componenti dell’equipe e facendo in modo che l’output di tali scambi sia superiore rispetto agli input in termini di accumulazione di conoscenza.

Integrazione socio-sanitaria

Il ricorso congiunto a risorse sanitarie (bilancio ASL) e risorse socio-assistenziali (bilancio Comuni) per l’erogazione di servizi a rilevanza socio-sanitaria comporta spesso procedure farraginose ed il moltiplicarsi dei livelli di valutazione delle proposte assistenziali definite dagli Assistenti Sociali, tali che la valutazione complessiva delle risorse disponibili rimane scollata rispetto alla valutazione dell’aderenza della risposta al bisogno specifico. MIRA si propone di superare alcuni ostacoli “formali” connessi all’integrazione consegnando nelle mani dell’equipe tutte le risorse informative necessarie non solo alla valutazione multidimensionale del bisogno e quindi all’elaborazione di un Piano di Assistenza (Ottimale), ma anche alla valutazione delle risorse disponibili (territoriali, familiari, socio-assistenziali e sanitarie) funzionali all’implementazione effettiva del Piano. Riuscire a centrare tale obiettivo consentirebbe di trasformare la valutazione della proposta di Piano di Assistenza da parte di commissioni territoriali integrate (UVM, UVT,…) in una semplice “validazione” del Piano proposto dall’equipe tenendo conto anche della disponibilità delle risorse153. Il sistema di comunicazione che supporta gli scambi tra gli operatori dell’equipe nell’elaborazione del Piano di Assistenza deve essere in grado di integrare informazioni (quelle sulle risorse) provenienti da sistemi informativi diversi – della ASL e dei Comuni - e quindi di incanalare i processi decisionali dell’equipe nei workflow amministrativi di ciascun ente.

153 Peraltro il ruolo di tali commissioni non è ben delineato al momento, perché oggetto di numerose iniziative di ristrutturazione, per cui

riuscire a disinnescare sostanzialmente (ma non formalmente) l’importanza decisiva del loro processo di valutazione consentirebbe di mettere al riparo il nuovo modello dalla “fluidità” attuale degli assetti.

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Sussidiarietà orizzontale

Come si è visto in 3.3.c, i soggetti del Terzo settore debbono divenire essi stessi system integrators, coinvolti non solo in fase progettuale ma anche in fase attuativa valorizzandoli come attuatori di interventi specialistici accreditati dal sistema. Nel progetto MIRA il Centro di Ascolto dell’AIMA non solo si è fatto soggetto promotore per l’elaborazione del progetto in collaborazione con la ASL, ma diviene per default soggetto attivo del Piano di Assistenza, dal momento che, subito in seguito alla presa in carico del paziente da parte dell’equipe, è previsto il tentativo di mettere questo in contatto con il Centro di Ascolto per fruire dei servizi di accoglienza e orientamento familiare154. Sarebbe quindi auspicabile non solo che il sistema informativo dell’organizzazione non profit utilizzasse le medesime categorie di analisi e descrizione di bisogni ed interventi su cui si basa il sistema dell’equipe, ma anche che a quest’ultimo – conformemente alle norme sulla privacy e comunque limitatamente al consenso dell’utente e della famiglia - potessero accedere gli operatori dell’organizzazione per reperire informazioni generali sull’utente o integrare le informazioni sul bisogno.

Empowerment dell’utente

In un ambiente ad alta complessità informativa è necessario valorizzare il ruolo del paziente e dei suoi familiari recuperando la conoscenza tacita su malattia e processi evolutivi che spesso gli stessi familiari non sono consapevoli di possedere. Con il progetto MIRA si vuole attivare un processo circolare di scambio di informazioni e conoscenza non solo attraverso la personalizzazione delle relazioni tra operatori e famiglia - sostenuta anche da una sorta di “diario di bordo” consegnato alla famiglia e integrato con i necessari riferimenti e contatti – ma anche attraverso la promozione del self-management familiare per mezzo di una scheda attraverso cui la famiglia possa monitorare l’evoluzione funzionale e clinica del familiare, integrando così gli strumenti di valutazione gestiti dagli operatori. Il sistema dovrebbe prevedere la possibilità, da parte dei familiari, di consultare le informazioni raccolte ed elaborate sul proprio congiunto (Profilo) da parte dell’equipe - anche attraverso il web - ed, eventualmente, di compilare on-line la scheda per il self-management. In alternativa, per agevolare l’usabilità del sistema, dovrebbe essere possibile per i familiari richiedere una copia cartacea della “cartella” del proprio congiunto oppure, ad esempio, compilare telefonicamente la scheda di self-management in modo da renderla comunque subito disponibile on-line.

3.4.b. I l DSS per la def in iz ione d i r ispos te appropr iate a l b isogno .

Lo scopo del lavoro multiprofessionale – uno dei capisaldi del Welfare Locale – è, come si è visto più volte, una lettura del bisogno quanto più aderente alla realtà. In questa ottica risulta fondamentale individuare le variabili attraverso le quali sia possibile operazionalizzare il bisogno e renderlo confrontabile. Chiamiamo l’insieme di queste variabili Profilo Integrato dell’utente: esse caratterizzano strutturalmente o contingentemente l’individuo, in relazione diretta alla propria persona o al contesto

154 Non solo: in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Firenze, il Centro di Ascolto AIMA svolgerà anche un ruolo

complementare a quello della ASL, fornendo un servizio, laddove necessario, di sostegno psicologico familiare. Questa iniziativa ha due obiettivi: A. Verificare l’effettiva necessità di un servizio di sostegno psicologico familiare (al momento non attuato dalla ASL, se non strettamente funzionale alla valutazione della situazione familiare); B. Utilizzare le informazioni rilevate grazie all’erogazione del servizio per scopi di ricerca.

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L’informazione soggettiva in Rete per l’evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale

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socio-economico entro il quale lo stesso agisce, impedendogli di godere di una condizione di benessere. Il primo sforzo del progetto MIRA è stato quindi quello di individuare quali variabili debbano caratterizzare il Profilo, assumendo come dato l’impossibilità dell’esaustività e accontentandosi della significatività delle variabili scelte. Il bisogno allora, da concetto o troppo specifico (“bisogno di uno specifico servizio”) o troppo astratto (“bisogno = emarginazione”) diviene un concetto con un significato determinato dalla condivisione tra i soggetti che debbono valutarlo e confrontarlo. L’obiettivo della rete dei servizi socio-sanitari – sul raggiungimento del quale si basa la valutazione di efficacia del modello del Welfare Locale - è il perseguimento del benessere psico-fisico della persona, dal quale discende quello del suo contesto socio-familiare. La definizione puntuale del Profilo Integrato è finalizzata alla individuazione di risposte appropriate per la soddisfazione del bisogno complesso per mezzo di esso definito. Il secondo sforzo del progetto è stato quindi quello di legare il Profilo Integrato ad una specifica risposta integrata, chiamata Piano di Assistenza Unico: esso consiste in un insieme variamente articolato di prestazioni e servizi, di diversa pesantezza ed invasività, di diverso costo, erogati da soggetti pubblici o privati, finanziati da un ente piuttosto che da un altro. Un conseguente obiettivo è l’automatizzazione della definizione del Profilo Integrato e quindi del Piano di Assistenza appropriato, attraverso la progettazione di un sistema di supporto alle decisioni (Decision Supporting System – DSS) che in questa sede denominiamo “DSScoop”, vista la sua peculiarità di supporto alle decisioni cooperative: il sistema deve virtualizzare una situazione nella quale persone con professionalità diverse (medici di base, infermieri professionali, assistenti sociali, geriatri e neurologi, psicologi) e con alle spalle sistemi organizzativi diversi discutono insieme intorno ad un tavolo e fare in modo che ogni volta, per ogni utente, esse siano in grado di prendere una decisione univoca in maniera tempestiva e soprattutto uniforme alle decisioni prese in casi precedenti. A questo scopo, le variabili che incidono nella costruzione del Profilo e quindi nella elaborazione del Piano di Assistenza devono essere le medesime riferite a ciascun paziente e le medesime di riferimento per ciascun membro della comunità, a garanzia dei principi di trasparenza ed uguaglianza. Come abbiamo visto in 3.3.c, cruciale nella progettazione di un meccanismo di coordinamento complesso – come è senza dubbio il DSScoop - è la condivisione dei codici, ovvero il processo di standardizzazione degli elementi cognitivi basato sulla conoscenza teorica. La standardizzazione del Profilo Integrato si è basata su un processo di selezione, da parte di ciascuna professionalità coinvolta nella presa in carico del paziente, delle variabili ritenute significative e su un processo di selezione o – laddove mancanti – di costruzione degli strumenti adeguati a rilevare quelle variabili attraverso indicatori altrettanto significativi. Si è configurato così anche un processo di standardizzazione delle Schede di valutazione del bisogno. A monte di questi processi di condivisione interni alle pratiche di lavoro di ciascuna professionalità, c’è stata una scelta pre-determinante da parte degli estensori del progetto: per razionalizzare i processi di condivisione sono state individuate le dimensioni del bisogno (nella fattispecie: clinica, infermieristica, funzionale, sociale, familiare); l’individuazione delle variabili è stata poi effettuata in relazione a ciascuna dimensione. La scelta delle dimensioni del bisogno non deve però essere considerata prettamente arbitraria: essa scaturisce non solo dalle routines organizzative e interorganizzative dominanti ma anche dall’elaborazione teorica mutuata da ambienti di ricerca e accademici. Oltre alle schede di valutazione legate a ciascuna dimensione e quindi anche a specifiche tipologie di professionalità alle quali debbono necessariamente appartenere gli operatori chiamati ad utilizzarle, è stata inoltre appositamente elaborata una scheda trasversale, detta scheda di contatto, attraverso la quale uno qualsiasi dei componenti dell’equipe – venendo in contatto per la prima volta con il paziente

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Un particolare settore di applicazione del Profilo del Cittadino: la nuova rete dei servizi socio-sanitari

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e la famiglia - rileva e registra anche per gli altri componenti i dati strutturali del paziente e del nucleo familiare, nonché le prime indicazioni sulla base di alcune variabili di bisogno. Ciascun operatore ha invece la responsabilità diretta della valutazione di quelle variabili che corrispondono alla dimensione che lo riguarda, sulla base delle schede di valutazione del bisogno scelte o costruite ad hoc nella fase di standardizzazione del progetto. Ogni scheda è costituita da una serie di items a risposta chiusa: a ciascuna risposta (derivante dalla risposta diretta del paziente o del familiare oppure dall’osservazione dell’operatore) viene assegnato un punteggio; la sommatoria dei punteggi corrisponde allo stato del paziente relativo a quella variabile. Il continuum di stati relativi a ciascuna variabile è ovviamente segmentato (cut-off) per dare luogo a macro-stati discreti entro i quali ogni punteggio complessivo va a collocarsi. Nella seguente tabella è mostrato l’esempio delle schede strutturate relative alla dimensione sociale.

VARIABILE SCHEDA DI RILEVAZIONE PUNTEGGIO MACRO-STATI

Criticità dei fattori ambientali

Incidenza dei fattori ambientali

-148/-50 -50/+50 50/148

Fattori ambientali critici Fattori ambientali neutri Fattori ambientali favorevoli

Risorse coinvolte Livello di Protezione dello Spazio di Vita

0-8 9-21 (con 1 soggetto)

Protezione sociale assente Protezione sociale sufficiente

Auto-percezione della qualità di vita

EuroQOL Questionnaire

10-15 5-9

Percezione qualità d vita insufficiente Percezione qualità di vita buona

Tabella 3.4.1 Variabili e schede di rilevazione della dimensione sociale.

Nel DSScoop le schede sono digitalizzate e ciascun item corrisponde ad un record di un data-base. Gli operatori compilano on-line le schede ed il sistema calcola automaticamente il punteggio di ciascuna scheda e lo colloca entro i macro-stati, attribuendo quindi a ciascun utente una configurazione specifica di macro-stati in relazione a tutte le variabili di ciascuna dimensione. Il profilo Integrato è quindi costituito dall’incrocio di tutti gli stati riportati dal soggetto in relazione a tutte le variabili di ogni dimensione. Si osservi la seguente tabella, tralasciando per il momento la colonna “codice per tabella macro-indicatori”. Gli “indicatori di bisogno” sono le variabili (a loro volta rilevabili attraverso indicatori più o meno semplici presenti nelle schede di rilevazione) che vanno a comporre la variabile complessa “bisogno”; i livelli sono i macro-stati scelti attraverso cut-off significativi.

Dimensione

Codice per

tabella macro-indicat

ori

Indicatori di bisogno Livello 1 Livello 2 Livello 3

Clinica

1 Disturbi comportamentali Disturbi assenti Disturbi psicotici Disturbi della condotta

2 Efficienza cognitiva Efficienza cognitiva conservata Ridotta efficienza cognitiva Efficienza cognitiva compromessa

3 Compromissione delle capacità nelle attività di base della vita quotidiana Non compromesse Parzialmente compromesse Totalmente compromesse

4 Comorbilità complessa Moderato Grave Molto grave

Funzionale 5 Autonomia funzionale Autonomia Autonomia parziale Autonomia compromessa

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L’informazione soggettiva in Rete per l’evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale

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Dimensione

Codice per

tabella macro-indicat

ori

Indicatori di bisogno Livello 1 Livello 2 Livello 3

Infermieristica

6 Ipomobilità Mobilità sufficiente (nessun rischio di lesioni) Ipomobilità (basso rischio di lesioni) Immobilità (alto rischio di lesioni)

7 Incontinenza Continenza Incontinenza parziale Incontinenza

8 Alimentazione Nessuna difficoltà ad alimentarsi Difficoltà ad alimentarsi Impossibilità ad alimentarsi

9 Intensità di assistenza infermieristica Max 125’ di assistenza Max 215’ di assistenza Oltre 215’ di assistenza

Sociale

10 Criticità dei fattori ambientali Fattori ambientali favorevoli Fattori ambientali neutri Fattori ambientali critici

11 Altre criticità nel nucleo familiare Assenti semplici Complesse

12 Risorse coinvolte Protezione sociale buona Protezione sociale sufficiente Protezione sociale assente

13 Situazioni problematiche a carico del care-giver Assenti semplici complesse

14 Auto-percezione della qualità di vita Percezione qualità di vita buona Percezione qualità di vita insufficiente

15 Senso di appartenenza e rispetto delle convenzioni sociali Integrato Difficoltà ad integrarsi

16 Condizioni economiche Buona Sufficiente Insufficiente

Familiare 17 Risorse familiari Stabili Parzialmente sufficienti Precarie

18 Percezione carico familiare Basso Medio Pesante

Tabella 3.4.2 La tavola delle possibili configurazioni di macro-stati.

Come si può notare dalla precedente tabella, alla dimensione sociale corrispondono molte più variabili di quelle indicate dalla Tabella 3.4.1. In alcuni casi infatti le risposte agli items delle schede di rilevazione non possono essere normalizzate, ovvero strutturate: per salvare l’informazione rendendola in parte utilizzabile dal sistema, è quindi possibile usare quale escamotage una scheda di riepilogo attraverso cui gli operatori possono evidenziare – con formula strutturata - lo stato relativo ad alcuni indicatori significativi che ai fini della costruzione del Profilo possono così anche assurgere alla funzione di variabili direttamente condizionanti lo stato del bisogno. Il DSScoop quindi, oltre che a calcolare il punteggio complessivo relativo alle schede strutturate aggiunge alla configurazione di macro-stati anche tali valori delle schede di riepilogo; ovviamente questa operazione comporta una drastica semplificazione dell’informazione ricavabile dalla scheda: per questo, dall’informazione strutturata resa visibile nel novero delle variabili, il sistema può risalire alla fonte primaria non strutturata dell’informazione, che è quindi resa disponibile qualora l’operatore ritenga necessario entrare nel merito e approfondire. Infine può darsi il caso di un indicatore contemplato da una scheda a risposte aperte che, pur non essendo direttamente collegato allo stato di bisogno, si ritiene che in qualche modo possa aver determinato la situazione di bisogno o possa condizionare l’efficacia di un eventuale Piano di Assistenza oppure possa fornire valide indicazioni agli operatori sul comportamento da tenere con il paziente. In questo caso la risposta all’item relativo a tale indicatore viene estratta automaticamente dalla scheda e riportata sotto forma di testo insieme al Profilo Integrato. Fin qui il Profilo Integrato inteso come incrocio dei profili dimensionali. D’altra parte esso non può essere considerato una sommatoria di variabili diversificate, ma è piuttosto un insieme di variabili che possono incidere vicendevolmente le une sulle altre o attraverso relazioni di causa-effetto o attraverso contiguità temporale o per omologia. Ciò significa che la valutazione di ciascuna variabile dovrebbe

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Un particolare settore di applicazione del Profilo del Cittadino: la nuova rete dei servizi socio-sanitari

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basarsi anche sulla valutazione contestuale di tutte le altre: ed è questo che intrinsecamente significa “Valutazione multidimensionale”. Si arriva a questo complesso tipo di valutazione per stadi logici virtuali che nella realtà delle pratiche di lavoro - supportate dal DSScoop - subiscono una crasi temporale sino a diventare un unico momento valutativo per ciascun operatore dell’equipe. Uno di questi stadi consiste nel valutare alcune delle variabili contemplate nella propria dimensione sulla base di quanto osservato dagli altri operatori, laddove si ritengano significative le informazioni che da tale osservazione fossero scaturite. Questo può avvenire in tre casi: A. Items la cui risposta implica la necessità di approfondire un’altra dimensione oltre a quella che si

sta investigando con la scheda di cui l’item fa parte: se ad un certo item viene attribuito un determinato punteggio, il DSScoop segnala automaticamente all’operatore che si occupa della dimensione stabilita la necessità di un suo processo di valutazione.

B. Medesime schede di rilevazione utilizzate in valutazioni dimensionali diverse: in questo caso è necessario verificare a. se il mantenimento della medesima scheda in più di una valutazione dimensionale sia

funzionale alla valutazione del bisogno (perché ad esempio utilizzata in contesti ambientali diversi): in questo caso il DSScoop evidenzia agli operatori le eventuali discordanze di valutazione;

b. se il mantenimento non sia funzionale: in questo caso in sede di analisi si rende necessario definire quale sia il soggetto valutatore più idoneo all’utilizzo della scheda (per professionalità o per momento cronologico del contatto con il paziente); al DSScoop è quindi richiesto di automatizzare il flusso di informazione con cui avviene il passaggio diretto delle informazioni dal compilatore all’altro operatore che ne fruisce.

C. Informazioni rilevate ai fini specifici di una valutazione dimensionale, ma funzionali ad altri processi di valutazione: in questo caso si richiede di esaminare - in sede di analisi - tutti gli items di tutte le schede, evidenziare quelli potenzialmente interessanti per il processi di valutazione in altre dimensioni (specificando quali) ed infine definire, qualora necessario, il range di punteggio entro il quale la risposta all’item (e quindi l’indicatore dato dall’item) possa ritenersi realmente significativa; al DSScoop è richiesto di rendere evidenti tali items e i relativi punteggi ai valutatori per i quali sono stati definiti come rilevanti.

Alla fine della compilazione di ciascuna scheda il sistema rende al somministratore non solo il punteggio finale, ma anche quegli items critici che lo qualificano, categorizzati secondo la rilevanza per l’una o per l’altra dimensione. Tali items “speciali” – sempre categorizzati secondo le dimensioni per cui sono rilevanti - andranno a comporre il “paniere” finale del Profilo Integrato. Quest’ultima caratteristica a valore aggiunto del DSScoop – ottenuta con uno sforzo culturale e professionale di riconoscimento della validità dell’attività professionale altrui da parte di tutti gli operatori coinvolti - ha la funzione di agevolare l’allineamento degli output di valutazione a monte dell’integrazione finale dovuta all’incrocio dei macro-stati a comporre il Profilo Integrato. Ogni batteria di valutazione dimensionale offre quindi come output: a) Necessità o meno di approfondimento di ulteriori dimensioni b) Evidenziazione di criticità specifiche derivanti dagli items delle diverse schede di valutazione c) Evidenziazione delle risposte aperte relative a determinate variabili Come prodotto unitario del DSScoop, il Profilo Integrato è quindi costituito da:

a) dati strutturali (derivanti dalla scheda di contatto) b) profili dimensionali (calcolati attraverso punteggio e resi semanticamente espliciti)

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L’informazione soggettiva in Rete per l’evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale

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c) items “critici” legati a ciascun profilo dimensionale d) risposte aperte relative ad items significativi

Definito il Profilo Integrato il DSScoop deve essere in grado di definire automaticamente il Piano di Assistenza, sulla base di un catalogo (nomenclatore) delle tipologie di servizi/prestazioni erogabili e di una serie di regole con le quali poter matchare il Profilo Integrato con essi. In primo luogo è necessario un processo di standardizzazione del catalogo dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari: questo può essere fatto basandosi sulla normativa nazionale e regionale, su esperienze dirette e contigue, su scelte strategiche che si sanno in procinto di essere messe in opera. In generale è meglio costruire un catalogo ridondante (che preveda tipologie di servizi che forse non saranno mai prese in considerazione).

Denominazione prestazione

Assistenza Domiciliare Indiretta (sociale e sanitaria) Contributi straordinari Contributo per trasporto sociale Assistenza infermieristica domiciliare Assistenza medica specialistica domiciliare Assistenza Domiciliare Programmata del medico di base Riabilitazione Funzionale Domiciliare Assistenza domiciliare sociale Assistenza domiciliare specifica per la demenza Pasti a domicilio Centri diurni per anziani fragili Centri diurni per anziani non autosufficienti Centri Diurni Alzheimer per il trattamento dei disturbi comportamentali Centri diurni terapeutico-riabilitativi

Centri Diurni Alzheimer Residenze assistite (RA) Soluzioni abitative protette per anziani autosufficienti Soluzioni abitative non protette per nuclei familiari Residenze sanitarie assistenziali (RSA o RSD) Nuclei o moduli Alzheimer presso RSA Informazione e orientamento alle famiglie Sostegno familiare Trasporto sociale Attività ricreative e vacanze anziani Assistenza protesica Servizi e prestazioni per specifiche esigenze di prima necessità Teleassistenza Compagnia Accompagnamento Risanamento abitativo

Tabella 3.4.3 Ipotesi di catalogo dei servizi socio-sanitari per situazioni di demenza.

Per arrivare alla definizione del Piano - una volta definito il catalogo dei servizi - in sede di progettazione sono ipotizzabili due diversi percorsi analitici. Il primo percorso consiste nel qualificare ciascuna tipologia possibile di servizio/prestazione in relazione ai bisogni dimensionali ai quali risponde: si dispone di un elenco delle tipologie di prestazioni socio-assistenziali e socio-sanitarie destinabili ad utenza affetta da demenza e di una batteria di variabili e di “stati discreti” relativi a ciascuna variabile investigata attraverso le schede di valutazione dimensionale per la creazione del Profilo Integrato. Per ogni servizio ci si dovrà chiedere a quali bisogni risponde, ovvero in presenza di quali stati relativi alle diverse variabili risulta incompatibile (rosso), parzialmente adatto (giallo) o specificamente rispondente (verde). Si osservi l’esempio della prossima tabella relativo ad una specifica tipologia di servizio prevista dal catalogo.

Soluzioni abitative protette per anziani autosufficienti

Disturbi comportamentali Efficienza cognitiva Compromissione delle capacità nelle attività di base della vita quotidiana

Disturbi assenti Disturbi psicotici Disturbi della condotta

Efficienza cognitiva

conservata

Ridotta efficienza cognitiva

Efficienza cognitiva

compromessa Non

compromesse Parzialmente compromesse

Totalmente compromesse

Ipomobilità Autonomia funzionale Comorbilità complessa

Moderato Grave Molto grave Autonomia Autonomia parziale

Autonomia compromessa

Mobilità sufficiente Ipomobilità Immobilità

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Un particolare settore di applicazione del Profilo del Cittadino: la nuova rete dei servizi socio-sanitari

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Soluzioni abitative protette per anziani autosufficienti

Incontinenza Alimentazione Intensità di assistenza infermieristica

Continenza Incontinenza parziale Incontinenza

Nessuna difficoltà ad alimentarsi

Difficoltà ad alimentarsi

Impossibilità ad alimentarsi

Max 125’ di assistenza

Max 215’ di assistenza

Oltre 215’ di assistenza

Criticità dei fattori ambientali Altre criticità nel nucleo familiare Risorse coinvolte

Fattori ambientali favorevoli

Fattori ambientali neutri

Fattori ambientali critici assenti semplici Complesse Protezione

sociale buona Protezione

sociale sufficiente

Protezione sociale assente

Situazioni problematiche a carico del care-giver Auto-percezione della qualità di vita Senso di appartenenza e rispetto delle convenzioni sociali

assenti Semplici complesse Percezione

qualità di vita buona

Percezione

qualità di vita insufficiente

Integrato Difficoltà ad integrarsi

Condizioni economiche Risorse familiari Percezione carico familiare

Buona Sufficiente Insufficiente Stabili Parzialmente sufficienti Precarie Basso Medio Pesante

Tabella 3.4.4 Tavola di matching tra servizi e macro-stato di bisogno.

Dato che il DSScoop in fase di elaborazione individuerà molteplici tipologie d intervento adatte a rispondere alle diverse combinazioni di bisogno multi-dimensionale (Profilo Integrato), è necessario introdurre alcune regole decisionali che rendano il sistema autonomo nell’attribuzione della priorità all’uno o all’altro intervento. Tali regole possono riguardare: Occorrenza: quante più volte compare una tipologia di prestazione quanto maggiore è la sua

priorità Condizioni di bisogno dominanti: se una tipologia di prestazione è legata in particolare ad uno

specifico bisogno dimensionale che assume maggiore rilievo rispetto agli altri, si assume quella prestazione come prioritaria: in questo caso è necessario individuare le condizioni di bisogno estreme che dominano a prescindere da eventuali altre condizioni favorevoli

Strategie assistenziali e prestazioni dominanti: se vi sono tipologie di prestazione che si ritengono strategiche in generale per il sistema, si assume che queste - in caso di co-occorrenza - abbiano la priorità sulle altre: occorre quindi delineare con precisione quali siano tali strategie e individuare le prestazioni che dominano qualora vi sia una co-occorrenza con altre

Possibilità di co-occorenza in uscita: potrebbero esservi tipologie di interventi compatibili tra loro, che anzi andrebbero a costituire un pacchetto di offerta coerente al suo interno per le finalità legate alla risposta al bisogno multidimensionale: sarebbe opportuno individuare queste combinazioni (che potremmo definire “blocchi” di prestazioni) da subito, per escluderle dall’applicazione di altre regole decisionali che puntano all’esclusività delle prestazioni.

Infine occorrerà stabilire un ordine di priorità anche nell’applicazione di tali regole. Il secondo metodo tenta di semplificare la fase di attribuzione della caratteristica di appropriatezza a ciascun tipo di prestazione - che, proprio per la sua complessità, potrebbe risultare arbitraria - e ritorna sulla costruzione del Profilo Integrato. La prima fase di questo secondo metodo consiste nel fare corrispondere ad ogni dimensione (anche aggregata) uno o più macro-indicatori i cui livelli (per ogni macro-indicatore sono contemplati obbligatoriamente 3 livelli) dovrebbero poter esser determinati sulla base di quanto rilevato attraverso le previste schede di valutazione; quindi, nella colonna "indicatori di bisogno" della Tabella 3.4.5 sono indicati i numeri di riferimento degli indicatori della Tabella 3.4.2 sui quali ci si basa per determinare i valori del macro-indicatore.

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L’informazione soggettiva in Rete per l’evoluzione dei diritti di cittadinanza e delle forme di partecipazione sociale

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Dimensioni Indicatori di bisogno Macro-indicatori Livello 1 Livello 2 Livello 3

Clinica e infermieristica

1 e 2 Abilità cognitivo-comportamentale

1 = livello 1 o 2 2 = livello 1 …. ….

6, 7 e 8 Stato di salute …. …. ….

Funzionale 3, 4, 5 Stato funzionale …. …. ….

Sociale e familiare

10 Condizione ambientale …. …. ….

11, 12, 13, 17, 18 Rete socio-familiare …. …. ….

14 e 15 Imperativi culturali …. …. ….

16 Condizione socio-economica …. …. ….

Tabella 3.4.5 Dimensioni e livelli di bisogno.

Per esempio, un livello 1 (nella norma) relativo all’abilità cognitivo-comportamentale si ha quando non vi è presenza di disturbi comportamentali e – contestualmente (AND) – sia conservata o (OR) solo parzialmente ridotta l’efficienza cognitiva. E’ probabile che alcune combinazioni di macro-stati dei diversi indicatori coinvolti non vengano contemplate: questo significa che non vi è una corrispondenza certa per tali combinazioni rispetto ad alcun valore di macro-indicatore. A quel punto è l'operatore stesso che al momento della valutazione decide in quale tra i livelli di bisogno prospettati inserire il paziente. La seconda fase riguarda il matching delle tipologie di servizio con i diversi livelli relativi ai macro-indicatori. Tale operazione si basa sul criterio della compatibilità e non su quello dell’appropriatezza del metodo precedente. Il DSScoop deve essere messo in grado di discernere quali servizi siano compatibili con quali livelli di bisogno.

Abilità cognitivo-comportamentale

Servizi Livello 1 Livello 2 Livello 3

Assistenza Domiciliare Indiretta (sociale e sanitaria) Compatibile Compatibile

Contributi straordinari Compatibile Compatibile Compatibile

Contributo per trasporto sociale Compatibile

Assistenza infermieristica domiciliare Compatibile Compatibile

Assistenza medica specialistica domiciliare Compatibile

Assistenza Domiciliare Programmata del medico di base Compatibile Compatibile

Riabilitazione Funzionale Domiciliare Compatibile

Stato di salute

Servizi Livello 1 Livello 2 Livello 3

Assistenza Domiciliare Indiretta (sociale e sanitaria) ….

Contributi straordinari …

Contributo per trasporto sociale

Assistenza infermieristica domiciliare

Assistenza medica specialistica domiciliare

Assistenza Domiciliare Programmata del medico di base

Riabilitazione Funzionale Domiciliare

Tabella 3.4.6 Tabelle di compatibilità livelli di bisogno-servizi.

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3.4 Alcune idee-guida per la progettazione di sistemi informativi in campo socio-sanitario: il caso del progetto M.I.R.A.

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Ovviamente il concetto di compatibilità è molto ampio e determina che la maggior parte dei servizi sia legato con la maggior parte dei livelli di macro-indicatore. Il numero di legami però si riduce dal momento che per ogni paziente (che è comunque portatore di un profilo univoco di bisogno) verranno sovrapposte dal DSScoop tutte le tabelle relative a tutti i macro-indicatori; attraverso regole specifiche (ad esempio basate sulla progressiva "pesantezza" del tipo di servizio o sulla macrotipologia: domiciliari, semi-residenziali, residenziali, ...., che fissano priorità o necessarie co-esistenze) si arriva ad una rosa ristretta di proposte di intervento. Tra i due metodi di progettazione delle regole di matching tra Profilo Integrato e Piano di Assistenza vi sono delle notevoli differenze, soprattutto in relazione ai margini di discrezionalità che gli operatori possono operare. Nel caso del primo metodo che chiameremo “dell’appropriatezza” si assume che gli output processati dal DSScoop in relazione al Piano di Assistenza siano “indicazioni vincolanti” per l’equipe, che ha comunque facoltà di derogare alle stesse - anche sulla base di quanto riportato nella parte “qualitativa” del profilo - con l’obbligo di motivare la scelta non coerente. Qualora, nonostante l’applicazione delle regole decisionali, il sistema non riesca a fornire una scelta univoca (che non rientri nel caso dei “blocchi” di prestazioni), l’equipe potrà usare il proprio potere discrezionale basandosi anche in questo caso nella parte “qualitativa” del profilo multidimensionale. Il metodo “della compatibilità” – che senza dubbio rende più semplice e sistematica la fase di analisi e progettazione - ha qualche carenza: ad esempio non prevede la possibilità di pesare l'accuratezza degli interventi (si ricordi che nel metodo “dell’accuratezza” ogni servizio può essere qualificato – in relazione a ciascun livello di variabile – incompatibile, adatto o specificamente rispondente), né di far restituire come output – in relazione ad una determinata configurazione di bisogno – l’assenza di tipologie di intervento sufficientemente mirate. Oltre alla semplicità, d'altra parte, questo metodo ha l’aspetto positivo di lasciare un margine di discrezionalità agli operatori in fase di post-definizione del bisogno rilevato (fase di passaggio dal Profilo Integrato come configurazione di variabili a Profilo Integrato come configurazione di macro-indicatori), nonché quello di sottostimare il peso di alcuni macro-stati di talune variabili meno significative di altre nella composizione del Profilo. La discrezionalità opera quindi o a livello di Piano di Assistenza, dato che il metodo “dell’appropriatezza” rileva quando non ci sono servizi adeguati (per cui lascia all’operatore libertà di scelta tra i servizi disponibili) oppure a livello di Profilo Integrato, dato che il sistema “della compatibilità” non determina con esattezza le dimensioni del bisogno, per cui si richiede all’operatore di servirsi della propria sensibilità professionale per collocare il paziente in un determinato Profilo di bisogno, evitando così il determinismo nella fase di valutazione.

3.4.c. I l WfMS a suppor to d i un nuovo model lo organ izzat ivo

Il processo che dalla valutazione delle variabili di bisogno conduce alla definizione del Profilo Integrato e quindi alla individuazione del Piano di Assistenza è un processo decisionale cooperativo che comporta il passaggio di una sorta di token decisionale da un attore all’altro: tale passaggio è regolato da alcune norme condivise trasformate in eventi all’interno del sistema automatizzato che integra le funzioni del DSScoop con quelle di gestione del processo organizzativo, attraverso cui le regole funzionali al coordinamento operativo e sequenziale dei diversi attori sono fissate. In particolare, il processo organizzativo che conduce una persona affetta da demenza ad ottenere sostegno dalla rete dei servizi socio-sanitari per la soddisfazione dei propri bisogni è suddivisibile in quattro macro-fasi: diagnosi di demenza, valutazione del bisogno, elaborazione del Piano di Assistenza, erogazione del Piano e infine monitoraggio del Piano.

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Un particolare settore di applicazione del Profilo del Cittadino: la nuova rete dei servizi socio-sanitari

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Figura 3.4.1 Le fasi del processo MIRA.

Attori diversi hanno un ruolo specifico all’interno di ciascuna fase del processo. Per dare contezza della complessità del processo organizzativo, si mostrano nella seguente figura le azioni richieste a ciascun attore all’interno delle varie fasi.

Figura 3.4.2 Use-cases processo organizzativo del MIRA.

Ogni fase del processo è stata modellizzata attraverso activity diagrams, dai quali si evincono: a) la varietà degli attori coinvolti, b) l’articolazione e la complessità dei flussi all’interno di ciascuna fase, c) la numerosità delle intersezioni con processi organizzativi esterni, gestiti presso i singoli enti,

Page 181: Identità in rete

3.4 Alcune idee-guida per la progettazione di sistemi informativi in campo socio-sanitario: il caso del progetto M.I.R.A.

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d) le condizioni che debbono verificarsi affinché il token decisionale passi da un attore all’altro. Il progetto si è occupato prioritariamente delle macro-fasi di valutazione del bisogno (definizione delle schede di valutazione per ciascuna dimensione e individuazione delle tipologie di Profilo Integrato) e di elaborazione del Piano (corrispondenza tra tipologie di Profilo e servizi appropriati), per le quali – come si è visto - è stato ideato un DSS al quale sono state affidate anche funzioni di WfMS, per determinare – a fronte di determinati “eventi” - l’entrata in scena di specifici attori. Infine, è stata necessariamente trascurata la fase di implementazione del Piano, strettamente dipendente dagli assets organizzativi di ciascun ente coinvolto. Al WfMS del processo organizzativo di presa in carico del paziente è inoltre richiesto di integrarsi con i sistemi informativi usati nelle fasi di diagnosi (quelli dei Medici di base) e di implementazione (i sistemi dei Comuni), presso i vari soggetti organizzativi della rete. Attraverso l’esplicitazione degli ambiti di competenza dei diversi S.I. è possibile verificare i punti critici di intersezione, riguardo ai quali è necessario lavorare ogni volta che si intenda applicare la metodologia del progetto MIRA in ambiti territoriali diversi e per differenti tipologie di utenza. Nella fase di diagnosi il medico di base (MMG) - rilevato che un proprio paziente accusa disturbi di tipo cognitivo-comportamentale - utlizza una check-list appositamente elaborata per escludere il sospetto di demenza; se questo viene confermato il paziente viene inviato all’ambulatorio dei disturbi cognitivi per la visita specialistica. Lo specialista, utilizzando le apposite schede di valutazione della dimensione clinica, diagnostica o meno la condizione di demenza. Se la diagnosi risulta positiva, il paziente viene automaticamente preso in carico dall’equipe.

Figura 3.4.3 Activity diagram della fase di diagnosi.

Compatibilmente con le norme sulla privacy, le informazioni sul paziente in possesso di medico di base e specialista vengono importate nel DSScoop, per evitare il duplicarsi successivo dell’operazione

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di raccolta di dati personali già in possesso di attori che poi coopereranno alla definizione del processo MIRA. I medici di base di norma utilizzano sistemi informativi di gestione delle cartelle dei propri pazienti: è quindi necessario verificare quali tipi di dati e di informazioni essi effettivamente gestiscano, per selezionare quali sia effettivamente necessario importare nel DSScoop155. Dato che il processo di presa in carico del paziente MIRA è inizializzato dal MMG al momento del sospetto diagnostico, pare opportuno riutilizzare anche per MIRA le informazioni necessarie già presenti nel S.I. del MMG. Se si vuole fare in modo che il DSScoop possegga una sua integrità e completezza dei dati relativi ai pazienti affetti da Alzheimer non sembra opportuno infatti svilupparne il data-base all’interno dei S.I. dei diversi attori compartecipanti, ma piuttosto fare in modo che questi si adeguino per l’importazione e l’esportazione di dati dal/al DSScoop; contestualmente il sistema dovrà rendere trasparente all’operatore utente il passaggio alla consultazione e alla gestione dei dati provenienti dal DSScoop. Il principio che si definisce è quindi quello dell’adeguamento dinamico dei sistemi che interagiscono con il DSScoop, che rimane comunque il nucleo centrale ove i dati dei pazienti rientranti - dal punto di vista analitico e operativo - nel campo di azione del progetto trovano unità. Ad esempio, i dati anagrafici di base e i dati identificativi (nome e cognome, codice fiscale, residenza anagrafica, data e luogo di nascita) importati direttamente dall’anagrafe sanitaria e i dati socio-familiari, di cui dispongono generalmente i S.I. dei MMG possono essere – al momento della diagnosi positiva da parte dello specialista, importati dal DSScoop all’interno della scheda di contatto, così come i dati clinici, alcune rilevanti prescrizioni farmacologiche (cure continuative), gli interventi in atto di assistenza infermieristica o riabilitativa afferenti alle cure primarie, e infine lo storico delle diagnosi accertate. La scheda di contatto risulterebbe quindi in parte già compilata al momento della effettiva presa in carico da parte dell’equipe e non vi sarebbe peraltro rischio di difformità o errori di rilevazione.Il DSS usato dallo specialista per la diagnosi di demenza basata sulle schede di rilevazione della dimensione clinica elaborate (e quindi da riutilizzare nel corso del processo di presa in carico) è una sorta di copia parziale del DSScoop, e ne restituisce quindi gli stessi output: solo nel caso in cui la diagnosi risulti positiva, si ha un’integrazione delle schede relative al paziente all’interno del DSScoop (a costituire il Profilo), mentre in tutti gli altri casi esse vengono conservate dal solo specialista. La presa in carico effettiva si sostanzia con la compilazione – da parte di uno dei membri dell’equipe – della scheda di contatto. Come si è visto, in relazione allo specifico paziente, il DSScoop ha già importato alcuni dati nel proprio data-base: parte di quelli afferenti alla scheda di contatto e i dati delle schede relative alla dimensione clinica. Il DSScoop segnala ai membri dell’equipe incaricata (tra i quali vi è sicuramente il MMG che ha in carico il paziente) la presenza di un nuovo utente del MIRA: i membri dell’equipe che consultano il DSScoop sono già quindi a conoscenza delle principali caratteristiche del caso prima ancora del contatto face-to-face con il paziente. Dalle ulteriori informazioni raccolte con la visita domiciliare e la completa compilazione della scheda di contatto può derivare l’indicazione della necessità di approfondire una o più dimensioni di bisogno: la combinazione dei punteggi assunti dai vari items di questa scheda, infatti, conduce il DSScoop a segnalare ai membri dell’equipe tale necessità, in modo che l’operatore competente per professionalità

155 I medici di base del Distretto di Sesto Fiorentino utilizzano un software denominato “Koiné”, fornito dal consorzio Co.S.. In generale,

esistono 3 tipi di software per la gestione delle cartelle cliniche dei pazienti, che esauriscono la varietà dei S.I. con i quali potenzialmente potrebbe doversi andare a confrontare il MIRA (Koiné, Millennium, un terzo fornito da Novalis). I tre software consentono ai MMG di gestire analoghe tipologie di dati sui propri pazienti. L’unica differenza osservabile è probabilmente la cosiddetta “scheda di valutazione geriatrica” inserita nel Koiné per volere degli stessi medici di Sesto. Tale scheda è stata creata proprio allo scopo di pervenire ad una validazione locale di sospetta demenza prima di procedere alla valutazione da parte dell’UVA. Le cartelle cliniche sono accessibili ai diversi medici facenti parte del medesimo gruppo; le stesse sono accessibili anche a personale non medico competente dell’elaborazione di procedure amministrative per la semplificazione dell’accesso ai servizi dello studio medico, limitatamente ai dati indispensabili all’effettuazione di tali procedure.

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possa somministrare le schede di valutazione del bisogno rispondenti alla dimensione da approfondire. Come si è visto in 3.4.b, anche dalla fase di approfondimento di una dimensione può inoltre risultare la necessità di approfondire altre dimensioni, così come è d’altra parte possibile che dalla scheda di contatto non risulti necessario alcun approfondimento. A prescindere dai livelli e dagli stadi di approfondimento delle variabili di bisogno, output di questa fase è l’elaborazione del Profilo Integrato del paziente.

Figura 3.4.4 Activity diagram della fase di valutazione del bisogno.

E’ a partire dalla fase di valutazione del bisogno, subito in seguito alla diagnosi positiva di demenza, che subentra un’ulteriore problematica, quella dell’integrazione con eventuali S.I. comunali, che gli assistenti sociali sono chiamati ad utilizzare come strumenti di lavoro quotidiano per la gestione dei flussi interni – sia tecnici che amministrativi - al proprio ente. Quello del S.I. comunale è peraltro un importante elemento anche per la fase del processo di elaborazione del Piano di Assistenza.

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Figura 3.4.5 Activity diagram della fase di elaborazione del Piano di Assistenza.

Sulla base del Profilo Integrato rilevato, infatti, il DSScoop indica un Piano di Assistenza che in questa sede definiamo “Ottimale” in relazione al bisogno rilevato in capo al paziente. Esso d’altra parte deve essere confrontato con le risorse disponibili, ovvero con la disponibilità dei capitoli di bilancio, con la disponibilità delle unità di servizio (ore, chilometri, posti-letto,…) e infine con la effettiva attivazione di alcune tipologie di servizio che, pur essendo contemplate dal catalogo dei servizi possibili, potrebbero non essere state implementate nel Comune di riferimento. L’equipe, valutate le risorse disponibili e modificato - nel caso – il Piano di Assistenza, sottopone il Piano di Assistenza “Effettivo” alla validazione del Direttore dei Servizi Sociali (laddove siano necessarie solo risorse comunali) e della commissione integrata ASL-Comune (laddove sia necessaria l’integrazione di risorse comunali e sanitarie). Si consideri infatti che il Piano di Assistenza può avere diversi gradi di “pesantezza”. 1 Il livello più leggero è quello che prevede il solo intervento del Centro di Ascolto AIMA e la

prescrizione di farmaci; come si è evidenziato in 3.4.a, è opportuno che il data-base del S.I. del Centro di Ascolto sia strutturato con le medesime categorie del DSScoop, per favorire il trasferimento dei dati dall’uno all’altro: ovviamente questo processo è vincolato a problematiche legate in primo luogo alla privacy dei dati personali ed in secondo luogo al ruolo rivestito presso le famiglie dal Centro di Ascolto, il cui valore aggiunto è dato dalla posizione di terzietà da esso assunta rispetto al soggetto pubblico.

2 Il livello successivo è quello che richiede assistenza infermieristica: nel caso del campo di attuazione del MIRA esso non risulta particolarmente problematico in quanto il budget di ore disponibili a livello di Distretto è già sotto il diretto controllo degli infermieri, che quindi sono in grado di auto-validare questo tipo di Piano senza ricorrere alla validazione di soggetti diversi interni al proprio ente.

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3 Il Piano che richiede servizi socio-assistenziali deve entrare nel merito dei procedimenti amministrativi del Comune e quindi richiede azioni più complesse da parte dell’Assistente Sociale ed una approvazione da parte del suo Direttore.

4 Certamente il livello più “pesante” è il Piano che prevede servizi socio-sanitari: in questo caso è necessario ricorrere anche alla valutazione della proposta di Piano da parte di una commissione tecnica mista ASL-Comune.

I livelli 3 e 4 – nel campo di attuazione del progetto - vedono l’interazione degli Assistenti Sociali con il S.I. del proprio Comune: è possibile trarre dall’analisi delle possibili integrazioni tra il DSScoop e tale specifico S.I. alcune indicazioni generali. Nel sistema informativo comunale a ciascun utente corrisponde una “cartella” digitale nella quale vengono registrati: A. i dati anagrafici di base - direttamente reperiti dal sistema anagrafico del Comune, le eventuali

certificazioni (handicap, non autosufficienza, invalidità civile, diagnosi di demenza,…), le condizioni socio-economiche e familiari. Questa parte di informazioni è direttamente correlata al concetto di Profilo del MIRA;

B. le prestazioni professionali e l’erogazione di prestazioni diverse da quelle professionali, con ricorso a risorse esterne. Questa parte di informazioni è correlata al concetto di Piano di Assistenza Ottimale.

E’ per la redazione di quest’ultima parte di “cartella” che all’assistente sociale sono richieste l’individuazione delle tipologie di servizio (socio-assistenziali o socio-sanitarie) da proporre, la definizione delle specifiche di servizio (ore mensili, chilometri, giorni di frequenza, importi, …) e l’indicazione delle preferenze relative ad uno specifico soggetto erogatore (specifica cooperativa sociale, RSA, …). Dalla macro-fase di workflow di compilazione della cartella da parte dell’assistente sociale, che corrisponde alle fasi di valutazione del bisogno e di elaborazione del Piano Ottimale, il sistema segue il procedimento amministrativo, secondo il quale entrano nel workflow altri soggetti: 1) il direttore dei Servizi Sociali per la convalida o l’eventuale modifica del progetto e la conseguente

autorizzazione alla spesa: la modifica è in caso notificata all’A.S.. Nel caso di servizi richiesti che coinvolgano risorse di enti diversi, l’OK del direttore di SIAST è sottoposto alla condizione di OK accordato a livello di commissione tecnica ASL-Comune (fase MIRA di elaborazione del Piano Effettivo)

2) l’istruttore amministrativo per la predisposizione degli atti per la erogazione e la liquidazione del servizio (fase MIRA di implementazione del Piano)

3) il servizio finanziario ed eventualmente la tesoreria per il pagamento delle prestazioni (fase MIRA di implementazione del Piano)

Nel caso di utenti con diagnosi di demenza positiva, le fasi A. e B. gestite in toto dall’assistente sociale sono oggetto di gestione attraverso il DSScoop, mentre la fase di workflow che coinvolge la procedura amministrativa rimane a completa gestione del S.I. comunale, quindi indipendente dal DSScoop. Il flusso rientra in quest’ultimo nella fase di valutazione dell’esito del progetto (monitoraggio del Piano).

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Figura 3.4.6 Il workflow amministrativo come black box.

Tutte le informazioni gestite attraverso il DSScoop sono recepite dal S.I. comunale: il processo di importazione – finalizzato a garantire l’omogeneità dei due data-base - dovrebbe essere quanto più possibile automatizzato, senza prevedere interventi manuali da parte dell’assistente sociale. Ad una prima valutazione, è possibile affermare che le informazioni gestite dal DSScoop sono in generale più ampie e complete di quelle richieste dai S.I. comunali: le caratteristiche socio-economiche, familiari e la rilevazione delle certificazioni esistenti derivano infatti dalla compilazione della scheda di contatto; la valutazione del bisogno deriva dalla compilazione delle schede di valutazione dimensionale; il progetto assistenziale viene elaborato dall’equipe considerando non solo servizi di tipo sociale o socio-sanitario ma anche servizi prettamente sanitari (oggetto di prescrizione da parte del medico), nonché servizi erogati dall’associazionismo (quindi non legati all’impiego di risorse pubbliche). Ciò significa che il DSScoop prevede molti più campi rispetto alla “cartella” di utente; in questo contesto, potremmo ipotizzare quattro modalità di interazione tra questo ed il S.I. comunale: a. prevedere quanto più possibile campi omogenei tra i due sistemi (in quanto a variabili, tabelle di

decodifica e tipo di dati) b. laddove possibile, predisporre algoritmi attraverso i quali campi previsti dal S.I. comunale

potrebbero derivare da molteplici campi del DSScoop c. laddove esistano campi del S.I. comunale non rilevanti per il DSScoop né legati a suoi campi

(come invece nel punto precedente), inserire tali campi anche nel DSScoop (in modo che non si richieda all’assistente sociale di passare all’altro sistema per la gestione della medesima cartella)

d. laddove esistano campi del DSScoop non legati in alcun modo al S.I. comunale, evitarne ovviamente l’esportazione (questo caso è improbabile)

Sarebbe quindi auspicabile che nei casi a, b e c i campi del S.I. comunale fossero automaticamente compilati e bloccati. In pratica, nel caso dei pazienti con demenza l’assistente sociale dovrebbe interagire solo con il DSScoop senza mai direttamente interfacciarsi con il S.I. comunale. Nel seguente schema si è tentato di semplificare le relazioni tra le informazioni gestite dai diversi S.I. ipoteticamente coinvolti e i flussi informativi originati dall’interazione tra operatore e S.I. nell’avanzamento del processo di presa in carico del paziente.

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Figura 3.4.7 Interazioni tra sistemi informativi diversi.

Si pongono come essenziali tre DB: SISA (S.I. per i Servizi Sociali del Comune di Firenze), MIRA e S.I. dei medici di base. Tutte le informazioni gestite dal S.I. comunale sono trasmesse a questo dal DSScoop:

1 nel momento della presa in carico (in seguito a diagnosi positiva) sono trasmessi i dati di base (anagrafici e socio-familiari);

2 attraverso algoritmi che elaborano i dati derivanti dalla scheda di contatto e dalle schede di valutazione dimensionale sono definite e poi trasmesse le informazioni per la valutazione del bisogno;

3 la compilazione delle schede costituisce inoltre l’evento da cui scaturisce la trasmissione delle informazioni relative alle prestazioni professionali;

4 dalla fase di valutazione del bisogno scaturiscono automaticamente indicazioni per l’elaborazione del Piano di Assistenza; il relativo form è compilato dall’equipe attraverso numerosi campi, alcuni dei quali consentono di specificare la tipologia di servizio proposta sulla base di tabelle di decodifica (catalogo dei servizi) possibilmente condivise tra Comune (SISA) e MIRA e tra MIRA e ASL, nel caso di servizi sanitari: alla selezione di determinati servizi dovrà seguire la specificazione delle caratteristiche del servizio (quantità per unità di tempo ed erogatori);

5 i dati legati al Piano di Assistenza sono trasmessi al SISA: l’inserimento automatico di tali dati nel SISA attiva il workflow amministrativo da cui discende la determinazione dirigenziale del responsabile del Servizio Sociale (SIAST) che autorizza l’erogazione del servizio da parte dei soggetti esterni a ciò deputati oppure il servizio finanziario a trasmettere il mandato di pagamento alla tesoreria (nel caso di contributi economici);

6 ogni equipe dispone di un proprio budget relativamente a ciascun servizio erogabile a favore del paziente (risorse finanziarie, posti in strutture residenziali, ore di assistenza domiciliare, posti ed

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ore in strutture semiresidenziali, chilometri di trasporto sociale, …): tale budget, a fronte di feed-back sull’effettiva erogabilità del servizio da parte del SISA (sull’avvenuta emanazione del provvedimento dirigenziale), deve essere aggiornato;

7 l’importo risultante da tale aggiornamento è solo virtuale: è infatti necessario attendere l’effettiva liquidazione degli importi ai soggetti gestori perché l’equipe possa disporre del proprio budget reale (infatti ad esempio le ore di SAD previste dal provvedimento potrebbero essere superiori a quelle effettivamente erogate nel corso di un mese);

8 appena trascorso il periodo per il quale era stato pianificato l’intervento, il sistema agisce con un promemoria presso l’equipe, che dovrà poi verificare l’efficacia del Piano.

Il monitoraggio del Piano nel MIRA è strettamente legato alla fase di valutazione del bisogno: di fatto il monitoraggio è la valutazione dell’evoluzione del bisogno di assistenza in seguito ad interventi precedentemente selezionati. Il progetto MIRA si è quindi concentrato soprattutto su questo aspetto fornendo ai familiari una scheda di self-management e rafforzando la funzione della scheda di contatto che l’equipe aggiorna in occasione di ogni visita domiciliare: con il confronto automatico tra le precedenti e le presenti risposte alla scheda di contatto il DSS è in grado di dare concrete indicazioni sull’evoluzione del bisogno, in modo che gli operatori possano trarre conclusioni sull’efficacia del Piano attuato.

Figura 3.4.8 Activity diagrams della fase di implementazione del Piano.

3.4.d. Open Knowledge Management

Quello descritto in 3.4.b è un DSS funzionale al lavoro quotidiano degli operatori che di esso si servono per il processo di presa in carico di casi specifici. Potremmo chiamarlo DSS “tattico”, in quanto al manifestarsi del bisogno – e sulla base delle caratteristiche che lo configurano – gli operatori mettono in atto delle operazioni specifiche nel tentativo di soddisfarlo.

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D’altra parte, dalla gestione automatizzata dei singoli casi è possibile trarre numerose indicazioni utili a supportare i decisori di alto livello nella elaborazione di strategie di medio-lungo termine in relazione alla progettazione o al potenziamento di servizi o alla predisposizione di modalità innovative di presa in carico, nonché – in tempi di scarsità di risorse - alla gestione del budget disponibile. L’aggregazione dei dati gestiti dal DSS tattico, a sua volta integrato di alcuni elementi applicativi, dà luogo ad un DSS che chiamiamo “strategico”. Indicazioni fruibili a livello strategico sono peraltro offerte anche dal DSS tattico senza il ricorso ad altri elementi applicativi. In primo luogo si ricordi la fase di elaborazione del Piano di Assistenza Ottimale: l’equipe è tenuta a seguire quanto elaborato dal DSScoop in seguito al matching Profilo-servizi, ma qualora non si ritenga appropriato quanto indicato dal sistema, gli operatori possono derogare, purché giustifichino la scelta contraria a quanto standardizzato in sede di costruzione del DSScoop. Queste deroghe – e le giustificazioni richieste – debbono essere valorizzate in termini di base di conoscenza, in quanto segnalano che qualcosa nei codici condivisi è in fase di trasformazione e che una diversa griglia di interpretazione e di azione sulla realtà si sta sovrapponendo a quella precedentemente utilizzata; ovviamente le deroghe sono rilevanti se risulta evidente non essere legate al caso specifico: questo tipo di lettura è competenza del personale dirigente, al quale il DSScoop deve quindi evidenziare e segnalare l’avvenuta deroga in fase di elaborazione del Piano. Sarà il livello dirigenziale – nel caso – a disporre le eventuali necessarie modifiche al DSScoop, attivando un processo di tipo deutero learning156 sistemico, ove - presupposto della fase di progettazione degli strumenti - è la possibilità che i codici sui quali gli strumenti stessi si basano si rivelino a lungo andare inadeguati all’evoluzione delle metodologie di lettura dei bisogni, favorita dall’apprendimento complessivo del sistema da quegli stessi strumenti supportato. In secondo luogo, laddove il DSScoop sia stato programmato per utilizzare il metodo dell’”appropriatezza”, esso è in grado di segnalare l’assenza di tipologie di servizio adeguate al Profilo specifico quando non riscontri alcun matching tra la particolare configurazione di bisogno e il catalogo dei servizi: si tratta di una limpida segnalazione della carenza del sistema dei servizi e della necessità di una progettazione sociale mirata ad una determinata configurazione di bisogno. Ovviamente questa necessità è da commisurare alla quantità di casi riportanti quella configurazione di bisogno o configurazioni simili e comunque alla quantità di casi per i quali è stata riscontrata una mancanza di matching. Si ricordi inoltre che il metodo dell’”appropriatezza” consente anche di attribuire a ciascun servizio il livello di appropriatezza in relazione al bisogno, ovvero di far restituire al DSScoop come output se quello indicato sia un servizio parzialmente adatto o specificamente rispondente al bisogno. In questo contesto metodologico, il livello strategico dell’agenzia strategica, al quale il DSScoop segnala le mancanze di matching e i dati aggregati sui livelli di appropriatezza (a quanti utenti vengono erogati pacchetti di servizi non specificamente rispondenti al loro Profilo) è in grado di decidere se ricorrere alla progettazione di nuovi servizi e, nel caso, elaborare servizi “a pacchetto” che possano contestualmente rispondere a diverse tipologie di bisogno. Un ulteriore momento di rilevante valore strategico nel processo decisionale è il confronto tra quanto previsto dal Piano di Assistenza Ottimale e le risorse disponibili: questa fase, gestita direttamente dagli operatori dell’equipe facendo ricorso ai sistemi – automatizzati o non – degli enti dai quali si attingono le risorse, è fondamentale per rendere trasparenti i processi decisionali; la risposta ad un bisogno non sempre è commisurata al bisogno stesso ma spesso è condizionata dalla scarsità di risorse o dalla mancanza di tipologie di intervento adeguate perché non ancora attivate. Questo confronto, oltre che rendere “controllabili” da parte delle famiglie e degli utenti i meccanismi politico-

156 Argyris C., Shon D. Organizational learning: a theory of action perspective Addison&Wesley, Reading, 1978.

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strategici che sottendono a decisioni che per loro natura dovrebbero essere “tecniche”, offre al livello dirigenziale degli enti importanti informazioni sulle quali basare eventuali decisioni di rilievo prettamente politico: se ad esempio il numero dei casi che - per configurazione di bisogno – necessita di una certa tipologia di servizio che presso il Comune non è stata ancora attivata è molto elevato, il livello politico-strategico potrebbe decidere di attivare – alla stregua di altri enti – quella tipologia di servizio ovvero decidere di destinare le risorse che a ciò occorrerebbero per potenziare servizi finalizzati ad altre categorie con utenza ancor più numerosa; se le ore di assistenza domiciliare a disposizione risultano mancanti rispetto alle necessità, la decisione di non rimpinguare il relativo budget dovrà essere spiegata; se i posti-letto necessari per rispondere al bisogno di tanti soggetti non sono sufficienti, potrà darsi la decisione di costruire un’altra struttura residenziale o piuttosto potenziare – spendendo meno – l’assistenza infermieristica 24 ore su 24, pur non essendo questa del tutto adeguata. Queste opportunità di lettura sono offerte dal DSScoop senza che sia necessario ricorrere ad ulteriori elementi applicativi. Sarebbe però possibile ricorrere ad un’aggregazione dei dati del data-base relativi all’evoluzione temporale del processo di presa in carico - piuttosto che in relazione alle varie fasi del workflow - per andare a costruire quella che in questa sede definiamo “repository dei percorsi assistenziali-tipo”. Per ciascun paziente il data-base del DSScoop registra un Profilo Integrato di bisogno per ciascuna unità temporale, dovuta alla cadenza della somministrazione delle varie schede di rilevazione del bisogno; una volta che il paziente è stato preso in carico per la prima volta, tale somministrazione, come si è visto, può avvenire: a. laddove sia stata stabilita una scadenza della validità di quanto rilevato attraverso la scheda b. laddove un altro operatore abbia rilevato certi valori in relazione ad indicatori che rimandino

all’approfondimento in altre dimensioni c. laddove la famiglia, nel corso del processo di self-management, osservi un cambiamento nello

stato di bisogno e quindi richiami all’azione l’equipe Ogni volta che una scheda di rilevazione viene somministrata - e la configurazione di variabili che costituisce il Profilo Integrato venga quindi ad assumere valori diversi dai precedenti - è possibile pensare ad un avanzamento nel decorso della malattia al quale potrebbe corrispondere automaticamente una variazione del Piano di Assistenza. La sequenza che caratterizza un paziente in relazione alla trasformazione del suo Profilo e alle conseguenti trasformazioni del Piano di Assistenza costituisce il percorso assistenziale di quello specifico paziente, che può dispiegarsi in un arco temporale più o meno lungo. Il DSScoop clusterizza i percorsi assistenziali di tutti i pazienti sulla base della sequenza dei diversi Piani di Assistenza e dell’arco temporale di dispiegamento, sino a definire specifiche tipologie di percorsi assistenziali, correlate alla percentuale di dispiegamento; per ciascuna fase della tipologia di percorso assistenziale vengono evidenziati inoltre tutti i “fattori critici”, ovvero gli eventuali indicatori con punteggio estremo che hanno caratterizzato i Profili dei pazienti che rientrano in quel cluster. In questo senso la repository ha valore predittivo: già dalla prima trasformazione del Profilo Integrato di un paziente (passaggio da un Profilo ad un altro) potrebbe essere possibile collocare lo stesso all’interno di una tipologia di percorso assistenziale. Se il solo Profilo non fosse significativo, sarebbe possibile fare ricorso anche ai “fattori critici” che lo caratterizzano e che contestualmente caratterizzano ciascuna fase di ciascun percorso: tali “fattori critici” sono indicatori macroscopici che assurgono al valore di “sintomi” che fanno rientrare il paziente in un certo percorso o lo fanno passare ad una fase successiva del percorso. Ovviamente, più si è avanzati nelle fasi del percorso (cioè più

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trasformazioni ha subìto il Profilo) più la collocazione all’interno della tipologia di percorso corrispondente è attendibile. Se la sequenza di trasformazioni risulta invece diversa da tutte quelle caratterizzanti le diverse tipologie di percorso, il paziente va a costituire da solo un nuovo cluster a bassissima percentuale di frequenza: se il cluster dovesse rimanere così scarsamente popolato, il percorso verrebbe annoverato come eccezione. La repository risponde a due principali finalità: rendere i familiari consapevoli in anticipo del possibile decorso della malattia in relazione anche

alle terapie attivate e ai servizi offerti, nonché educarli all’osservazione di alcuni particolari “sintomi” che potrebbero rivelare in anticipo il passaggio ad una fase diversa della malattia: questa consapevolezza potrebbe risultare molto rassicurante e fare affrontare ai familiari con meno angoscia e maggior senso di protezione la malattia del proprio caro, anche perché le informazioni che dalla repository si possono ricavare, quando comunicate efficacemente, offrono la fondata sensazione di non essere in tutto e per tutto in balìa di eventi clinici inaspettati e inaffrontabili;

fornire ai decisori politici un quadro completo delle tipologie e della quantità degli interventi da porre in essere nel lungo termine, in modo da calibrare anche la distribuzione delle risorse disponibili tra i diversi pacchetti assistenziali;

offrire ai decisori strategici chiavi di lettura approfondite, ad esempio sull’efficacia di certe tipologie di percorso assistenziale: osservare che due percorsi assistenziali analoghi fino ad una certa fase si discostano poi notevolmente, registrando l’uno il precipitare della situazione clinica e l’altro un decorso stabile, porta a voler approfondire le cause di una simile difformità, attribuendole o alle caratteristiche proprie della patologia o ad esempio, alle eventuali “deroghe” apportate ai Piani di Assistenza indicati dal DSScoop o ad una variazione del Piano sproporzionata in relazione all’evoluzione del Profilo;

offrire al mondo della ricerca una base di conoscenza affidabile sulla fenomenologia della demenza senile, sulla sua evoluzione e sulle risposte più efficaci.

Figura 3.4.9 Le fasi del DSS tattico e strategico.

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Oltre alla repository dei percorsi assistenziali è configurabile una datawarehouse accessibile dalla Rete a partire dall’aggregazione dei dati gestiti dal DSScoop: le variabili strutturali, cliniche, socio-familiari, economiche possono essere rielaborate per dare conto di una lettura del campo di azione quanto più possibile aderente alla realtà, rendendo non solo l’analisi dei bisogni ma anche le attività di reporting (alla Regione, al Ministero, agli Uffici Statistica, …) molto più agevoli. Il DSS “strategico” è quindi una base di conoscenza alla quale attingono molteplici tipologie di attori e che dota la rete dei servizi di intrusiveness (si veda 3.3.c). Tale base – come si è esposto nei paragrafi precedenti – si alimenta in primo luogo nel corso delle pratiche di lavoro quotidiane degli attori professionali, i quali debbono sostituire i sistemi tradizionali di analisi e scambio informativo con il nuovo sistema. Le caratteristiche del tipo di meccanismo di coordinamento che si è delineato e il contesto organizzativo entro il quale esso dovrebbe svolgere la sua opera di supporto dovrebbero insieme fungere da forte incentivo per il suo utilizzo, rispondendo a nostro avviso a tre tipi di interesse: di tipo operativo, per poter accedere a informazioni diversamente non rilevabili ma importanti per

la propria attività professionale e poter contare sul sostegno di un sistema interorganizzativo con le proprie regole condivise che garantisce l’affiancamento di risorse professionali, economiche e relazionali di fronte alla variabilità del bisogno espresso;

di tipo strategico, per poter accrescere le proprie conoscenze generali sul problema alzheimer grazie all’aggregazione dei dati derivanti dai casi specifici presi in carico;

di tipo professionale, dato che ciascuna professione viene valorizzata in quanto corresponsabilizzata dalla possibilità di valutazione dell’utilizzo di risorse pubbliche e private.

Una volta che l’apprendimento del sistema sarà avviato attraverso l’arricchimento delle basi di dati da parte degli attori professionali coinvolti, avrà avvio una ulteriore fase di allargamento della comunità integrata al fine di: a) coinvolgere pesantemente i familiari nell’arricchimento della conoscenza di sistema, grazie alle

competenze di cui sono portatori, derivanti dall’esperienza diretta e giornaliera con il bisogno in tutte le sue sfaccettature;

b) valorizzare e coinvolgere quel livello di nodi della rete definibile come “macro-impresa”. Per agevolare l’assorbimento sistemico di tali conoscenze è necessario in primo luogo motivare i potenziali membri alla partecipazione attiva, rendendone evidente l’utilità e favorendone il coinvolgimento attraverso l’apertura di canali fortemente usabili e in secondo luogo ottimizzare il processo di valorizzazione delle competenze in funzione dell’apprendimento del sistema complessivo (processo di articolazione della conoscenza [34]). E’ previsto che i processi di scambio e condivisione della conoscenza avvengono in Rete presso un portale, attraverso cui accedono al sistema tutti gli attori coinvolti. In realtà il portale è un canale di accesso al data-base del DSScoop, presso cui ciascun utente può reperire informazioni e all’interno del quale ciascun utente può inserire dati. Utenti del sistema sono tutti gli attori della rete dei servizi socio-sanitari: invece che considerare nodi di rilevanza organizzativa, la Rete costringe a pensare a nodi “umani” (si veda 3.3.c). Al centro del sistema non vi sono solo gli operatori dell’equipe (medici di base, assistenti sociali, infermieri professionali) e gli altri professionisti chiamati a valutare le diverse dimensioni di bisogno (geriatri, neurologi, psicologi), ma gli stessi pazienti, i familiari e ciascun informal care-giver, nonché gli erogatori dei servizi più “pesanti”, come gli operatori di imprese sociali, cooperative sociali e servizi residenziali. Mentre per i primi (equipe e professionisti) i processi di inserimento di dati e reperimento di informazioni avvengono prioritariamente attraverso modalità formalizzate con l’utilizzo del DSScoop e

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del WfMS, per tutti gli altri attori debbono essere privilegiate modalità di comunicazione più informali e destrutturate che consentono non solo l’avvicinarsi più disinvolto al canale di accesso ma anche una maggiore flessibilità in relazione ai registri e ai sottocodici utilizzabili, affinché gli utenti possano esprimere il più largo spettro di concetti, anche quelli non previsti dal sistema stesso. In questo senso è utile inserire nel sistema un forum on-line finalizzato allo scambio di esperienze (socializzazione della conoscenza tacita [34]) legate alla fruizione dei servizi socio-sanitari e al vissuto della malattia. Nel primo caso potrebbero emergere importanti elementi per l’innovazione del sistema, in quanto ai familiari è offerto uno spazio entro il quale scambiare opinioni sulla qualità percepita dei servizi: il sistema concorrenziale dell’offerta dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari previsto dal modello del welfare locale troverebbe così un valido supporto e i gestori pubblici e privati dei servizi si troverebbero ad avere a che fare con una vera e propria domanda organizzata in grado – una volta raggiunta la massa critica di partecipanti alla comunità integrata – di condizionare le preferenze degli utenti e quindi le fette di mercato controllabili da ciascun gestore ovvero di costringere il soggetto pubblico a fare ricorso a gestori diversi rispetto a quelli con i quali è convenzionato. Non solo: dal forum potrebbero pervenire indicazioni sulla percezione della giustezza degli interventi in relazione al bisogno, che idealmente integrano ciò che emerge dalla fase di monitoraggio del Piano di Assistenza, che pure si basa anche sulla scheda di self-management della famiglia. Nel caso dello scambio esperienziale sul vissuto della malattia, si avrebbe - nelle interazioni informali mediate dalla Rete - ciò che si tenta di costruire attraverso i processi formalizzati del sistema a livello di DSScoop, ovvero l’accumulo di cognizioni circa il decorso della malattia e i sintomi che caratterizzano le diverse fasi evolutive, ottenendo nel contempo il medesimo importante risultato dello svilupparsi del senso di protezione sociale che deriva dalla condivisione del disagio e della sofferenza e dalla consapevolezza del percorso da affrontare. Tra i due livelli – quello della comunicazione informale e scarsamente strutturata e quello della comunicazione formalizzata – deve crearsi una situazione di osmosi affinché il sistema possa beneficiare della conoscenza derivante da tutti gli utenti e trasformarla in base per un apprendimento complessivo: i due livelli in realtà hanno rilevanza dal punto di vista tecnologico ma non del knowledge, che viene gestito come asset unico su cui basare la strutturazione dell’intera rete dei servizi. E’ in riferimento a questo contesto che chiamiamo l’intero sistema Open Knowledge Management. Tale osmosi tra i due livelli è garantita da tre elementi: il Motore di Ricerca&Input (MRI), il Social Call Center (SCC), il Gestore dei Testi (GdT). L’elemento principale di interfaccia del sistema web è il Motore di Ricerca&Input (MRI): attraverso di esso tutti gli utenti possono scandagliare il data-base del DSScoop, ottenendo informazioni basate su dati aggregati (accesso alla datawarehouse) o basate su liste di dati personali anonimizzati. Contestualmente gli utenti possono inserire dati all’interno del data-base selezionando dalla pagina di input del MRI una variabile di bisogno per poter poi compilare la pagina corrispondente al fine di segnalare specificità derivanti dalla propria esperienza concreta. Famiglie e operatori hanno l’opportunità di risalire direttamente ai dati relativi a casi specifici (sempre che siano di propria competenza o titolarità) fornendo il codice univoco (ID) relativo al singolo paziente. Pazienti e famiglie possono anche acconsentire alla diffusione dei propri dati personali, laddove vengano richiesti da altre famiglie che consultino il MRI o partecipino al forum trovando analogie con il proprio caso o comunque mostrando interesse ad approfondire determinate questioni. Sulle modalità di interrelazione tra cittadini abbiamo disquisito approfonditamente in 2.3.f: è il matching tra alcune variabili del Profilo – così come l’appartenenza al medesimo cluster - a discriminare il possibile

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interesse ad approfondire la relazione con altre famiglie o pazienti. Il sistema deve appunto essere in grado di garantire e rendere agevole il contatto in questi casi e l’anonimato in tutti gli altri.

Figura 3.4.10 Gli elementi del sistema di Open Knowledge Management

L’accessibilità del data-base è dunque consentita a tutte le tipologie di utenza attraverso il MRI, utilizzabile – sia qualora si vogliano inserire informazioni sia qualora le si vogliano reperire – selezionando una delle directories basate sulle variabili di bisogno oppure immettendo una parola-chiave: se l’accesso è correlato ad uno specifico caso (attraverso l’inserimento dell’ID) i dati inseriti andranno ad integrare quelli già presenti, se invece l’accesso è anonimo nel data-base verranno a crearsi records con tutti i campi blanks tranne quello relativo alla variabile della directory selezionata. E’ possibile pensare sia ad inserimenti strutturati che ad inserimenti di dati non strutturati: dato che evidentemente non è pensabile pretendere che tutti gli utenti del sistema siano in grado o possano esprimersi con le medesime categorie del sistema, è necessario inserire alcuni elementi di usabilità che consentano l’interiorizzazione della conoscenza tacita. Tali elementi sono appunto il Gestore dei Testi e il Social Call Center. Il primo è un parser sintattico specialistico attraverso cui il sistema è in grado di recepire gli input dal forum e dagli inserimenti tramite MRI filtrando i testi sulla base delle solite variabili costituenti le schede di rilevazione del bisogno e sulla base delle caratteristiche dei Piani di Assistenza. E’ anche possibile pensarlo in grado di svolgere la funzione inversa: rendere comprensibili – cioè sintatticamente e semanticamente ridondanti – le informazioni strutturate collocate nei campi del data-base affinché possano essere più efficacemente metabolizzate dai potenziali destinatari che interagiscono con il sistema dalla sfera della “comunicazione informale”. Si tratterebbe di uno

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strumento altamente avanzato che non può che costituire un autonomo filone di ricerca operativa in relazione alle discipline di progettazione del software e linguistica computazionale. Il Social Call Center eroga gratuitamente un servizio telefonico con operatori altamente specializzati che in 3.3.c abbiamo chiamato “mediatori multimediali”. Essi sono dotati non solo di una professionalità incentrata sulle competenze relazionali di ascolto e mimetica comunicativa, ma anche di una profonda conoscenza dei codici del sistema, nell’utilizzo del quale debbono sostituirsi all’utente: pazienti e famiglie dunque non debbono necessariamente saper interagire con la Rete per accedere a informazioni su servizi e godere di indicazioni sulla malattia ed il suo decorso. Ciò che però contraddistingue questo servizio da quello di analoghi “servizi di informazione sociale” (nel senso indicato in 3.3.a) è che gli utenti, interagendo con l’operatore, possono veder inserite nella corretta directory – ed utilizzando campi strutturati – il frutto della propria esperienza concreta, come se potessero essi stessi interagire con le maschere di input. E’ inoltre importante sottolineare che il servizio non sarebbe frutto dell’iniziativa di soggetti privati (non-profit o imprenditoriali) bensì il prodotto di un’iniziativa condivisa a tutti i livelli e strategicamente promossa dall’agenzia strategica anche per concretizzare – rendendone evidenti all’esterno i prodotti informativi – i meccanismi del DSS in grado di garantire la trasparenza dei processi decisionali: esso non potrebbe avere nulla a che vedere con un servizio di tipo promozionale né con un servizio strettamente consulenziale, trattandosi piuttosto di un servizio che potremmo definire di intermediazione comunicazionale chiamato a garantire l’usabilità di un sistema telematico. La progettazione degli elementi che consentono l’osmosi tra le due sfere del sistema complessivo non può però che basarsi su una preventiva analisi reticolare (si veda 3.2) attraverso la quale sia possibile rilevare non solo quali siano effettivamente i soggetti costituenti il sistema (i nodi della rete), ma anche quali siano le categorie concettuali condivise (in relazione ad obiettivi ed interessi specifici e sotto-campi di azione) tra quali nodi (in relazione alla presenza di eventuali strutture di coordinamento, clusters, interlocking directories o determinati livelli di equivalenza strutturale), se vi siano nodi cui affidare tecnologicamente ed organizzativamente un certo livello di decentralizzazione (distribuzione) del sistema (presenza di brokers o di nodi operativi dotati di forte centralità), se vi siano pre-esistenti meccanismi di coordinamento strutturati tra nodi della macro-impresa o i nodi operativi e nel caso quali ed in quali misura modificare o integrare nel nuovo sistema, …. Anche se attualmente il sistema di comunicazione delineato è solo in una fase embrionale di programmazione, e sebbene la fase di analisi dei requisiti sia sotto alcuni aspetti carente (come l’assenza di una vera analisi reticolare e la poco approfondita preliminare analisi dei processi interni alle strutture organizzative coinvolte), l’OKM ha a nostro avviso il merito di mettere nel piatto numerose questioni mai affrontate. Sono numerosi i tentativi di progettazione di sistemi informativi per la gestione dei servizi socio-sanitari: essi però limitano la propria azione al livello di workflow management perché finalizzati all’efficienza dei processi di gestione dei percorsi assistenziali individuali e al monitoraggio e alla valutazione dell’efficacia della spesa e degli interventi sociali. La necessità di gestione dei processi comunicativi de-strutturati, che insistono sulla fase della “condivisione culturale” non è mai presa in considerazione. In realtà questa sarebbe la pre-condizione del passaggio al livello del processo organizzativo: la novità del M.I.R.A. è che tale fase è stata condotta anche in funzione di una sua riproduzione successiva sostenuta dalle tecnologie web. Inoltre nelle altre esperienze è assente il coinvolgimento dei destinatari degli interventi (utenti, famiglie, informal care givers), mentre il sistema ipotizzato di Open Knowledge Management potrebbe essere in grado - se non di rilevare il bisogno - almeno di agevolare una sua “uscita allo scoperto”.

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La realizzazione di un sistema di knowledge management basato sulle esigenze di elaborazione e condivisione della conoscenza all’interno della rete dei servizi socio-sanitari costituisce un’esperienza ideale che rende il prodotto finito fortemente scalabile e quindi applicabile a tutti i contesti organizzativi caratterizzati da complesse situazioni di incertezza informativa: come e più di tutte le reti, infatti, quella dei servizi socio-sanitari è a geometria variabile, contempla il possibile ampliamento o la riduzione delle proprie dimensioni e lo spostamento topologico-relazionale dei soggetti al suo interno, in relazione al ripensamento degli obiettivi operativi legati alla variabilità dei bisogni.

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Riflessioni conclusive

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Riflessioni conclusive L’elaborato lascia aperte alcune questioni ed incompiuti alcuni percorsi. Ad esempio, uno stimolante lavoro di ricerca sarebbe potuto essere quello della definizione dei requisiti soggettivi del Profilo Integrato - magari sperimentando il percorso analitico tracciato in 1.3.d - e della relativa traduzione in uno specifico DTD; oppure sarebbe stato possibile andare più a fondo nell’analisi degli elementi costituenti l’Open Knowledge Management ipotizzato nell’ambito del progetto M.I.R.A.. Fatto sta che sia l’uno che l’altro ambito di possibile approfondimento non potrebbero a nostro avviso essere oggetto di pura ricerca accademica, per quanto essa aspiri a perseguire finalità operative. Ciò che si è tenuto a sottolineare nel corso della trattazione, infatti, è la necessità che il soggetto pubblico, che sia a livello nazionale o a livello locale, incentivi e promuova iniziative specifiche che coinvolgano tutti gli attori interessati in processi di standardizzazione delle categorie organizzative e di condivisione dei codici con i quali ciascuno tende ad interpretare la propria azione. I dati personali costituenti il Profilo Integrato, le tipologie dei servizi e dei procedimenti amministrativi, i ruoli che ciascun attore del sistema può rivestire in relazione ai servizi e ai dati trattati, sono categorie che scaturiscono da una parte dall’ordinamento vigente (ed in particolare dalle norme del diritto amministrativo) e dall’altra dalle prassi dominanti nell’azione amministrativa. E’ dunque innanzitutto a livello nazionale che debbono avere luogo tali processi di standardizzazione, il cui prodotto deve avere specifiche ricadute presso tutte le Pubbliche Amministrazioni di tutti i livelli territoriali (processi di innovazione top-down); essi però debbono essere oggetto di gruppi di lavoro i cui membri possano portare – attraverso le loro specifiche esperienze – conoscenze embedded e quindi aderenti alla realtà amministrativa: come è noto, solo il coinvolgimento diretto degli “addetti ai lavori” può garantire legittimazione ai processi di innovazione da parte di coloro che li subiscono come fattori esogeni di cambiamento dei modelli e delle pratiche. L’esperienza del progetto M.I.R.A. è un esempio del processo di innovazione inverso (bottom-up): da un’esperienza locale si spera di promuovere l’innovazione dei metodi e delle pratiche anche in altri analoghi ambiti territoriali, sino ad arrivare a perseguire una valenza quanto meno regionale - ma possibilmente anche interregionale – delle categorie concettuali ed organizzative elaborate e condivise e degli strumenti di rilevazione delle informazioni e di creazione della conoscenza su di esse basati. A fronte della relativamente più agevole gestione dei gruppi di lavoro (per motivi logistici e relazionali), in questi casi il rischio è però quello di scontrarsi con la scarsa legittimazione dei componenti dei gruppi, chiamati a rappresentare intere categorie di attori non tanto per il proprio livello di professionalità quanto per il fatto di operare nell’ambito territoriale prescelto per la sperimentazione. Questo fatto fa sì che spesso venga messa in discussione la validità dei processi di standardizzazione e quindi degli output che da essi sono scaturiti. In questi casi diviene cruciale l’accreditamento da parte del governo regionale del lavoro svolto: peraltro, più che un accreditamento a posteriori sarebbe auspicabile che i governi regionali fungessero da veri e propri promotori dell’iniziativa sperimentale e conferissero quindi da subito legittimazione sostanziale ai processi di standardizzazione gestiti a livello locale. In generale non ci sembra di mostrare così un atteggiamento integralista affermando che i processi di standardizzazione – a nostro avviso cruciali – debbono avvenire al livello territoriale entro il quale vengono esercitate le competenze normative (anche in relazione alla recente riforma del Titolo V della Costituzione) relative al settore oggetto di standardizzazione. Se le norme del diritto amministrativo

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hanno valenza nazionale è a questo livello che deve avvenire la definizione del catalogo dei servizi e dei procedimenti amministrativi (attraverso gruppi di lavoro dalle caratteristiche che si sono dette), così come la definizione del DTD del Profilo Integrato del Cittadino (che non potrà che essere il medesimo per ciascun cittadino della Repubblica), così come la definizione del catalogo dei ruoli, evidentemente strettamente legati al diritto amministrativo, tributario e dell’edilizia, ai contratti nazionali e alla regolamentazione delle categorie professionali. Come è già avvenuto, d’altra parte, talune iniziative del governo centrale potrebbero muovere le proteste di alcune Regioni, che a volte si sono sentite esautorate dei propri poteri legislativi, in particolare in relazione alle politiche di e-government, la cui materia è ancora scarsamente disciplinata. In questo senso ci è di aiuto l’art.12 dell’emanando Codice delle Amministrazioni Digitali che attribuisce allo Stato a) il compito di dettare le norme necessarie per garantire la sicurezza e l’interoperabilità dei sistemi

informatici, al precipuo fine di assicurare circolazione e scambio dei dati completi ed efficienti; b) il compito di favorire intese e accordi con le Regioni e gli enti locali utili per realizzare “un

processo di digitalizzazione dell’azione amministrativa coordinato e condiviso”. Lo Stato potrebbe quindi solo dettare le regole tecniche e gli standard tecnologici necessari a garantire gli scambi di informazioni tra le varie amministrazioni, ma per ogni altra questione (ad esempio, modelli operativi e gestionali e scelta dei vari software) vige la potestà legislativa ed organizzativa residuale delle Regioni. A ben vedere, d’altra parte, la standardizzazione che in questa sede abbiamo proposto può a buon titolo essere ricondotta al punto a), mentre la metodologia gestionale dei processi di condivisione può riscontrarsi nel punto b). In merito inoltre a quanto prospettato in 2.4.e, cioè l’adozione, da parte degli enti, di sistemi di workflow e di DMS basati sulle categorie oggetto di standardizzazione a livello nazionale, è possibile osservare che la possibilità di ingerire nelle strutture organizzative degli enti, e di prevedere anche per esse l’adozione di determinati moduli organizzativi o di determinate piattaforme tecnologiche, potrebbe essere anche auspicabile in ossequio al principio di buona amministrazione sancito dall’art. 97 Cost. Diverso è il caso dei servizi socio-sanitari, un settore senz’altro di competenza regionale e che quindi registra numerose idiosincrasie nel sistema di assistenza e nell’impostazione delle architetture istituzionali; è quindi il governo regionale quello più adeguato a promuovere iniziative di standardizzazione che, come si è visto, può avvenire in più modi: o accreditando iniziative a livelli territoriali inferiori per poi promuoverne il trasferimento - come nel caso del progetto M.I.R.A. - o dirigendo esso stesso l’iniziativa di innovazione mantenendola a valenza regionale, come nel caso del Gruppo di Lavoro regionale per l’elaborazione del nomenclatore dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari. E’ interessante peraltro evidenziare come il prodotto della standardizzazione a livello nazionale sui dati costituenti il Profilo Integrato dovrebbe essere recuperato dalle iniziative territoriali nel settore dei servizi socio-sanitari, dato che i dati di base del profilo del paziente sono dati del Profilo Integrato, così come quanto elaborato a livello regionale sulle categorie di servizi socio-sanitari e socio-assistenziali è stato recuperato per essere poi specificato ed approfondito nell’ambito del progetto M.I.R.A. per arrivare ad una definizione delle tipologie dei servizi per la demenza. Ciò significa che anche processi di standardizzazione in apparenza indipendenti l’uno dall’altro per settore di intervento e ambito territoriale potrebbero invece rivelarsi legati: in questi casi è auspicabile a nostro avviso incoraggiare l’implementazione a livello tecnologico delle possibili relazioni, anche per sfruttare le potenzialità di cooperazione applicativa che ciò potrebbe creare.

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Un’ultima riflessione ci sia consentita infine sul ruolo del mondo della ricerca accademica, che in questo contesto non risulta a nostro avviso centrale: esso può però essere di supporto per mantenere il timone dei processi di standardizzazione dritto verso la realizzazione di scenari di medio-lungo termine che costituiscono insieme un obiettivo strategico per la politica nazionale e oggetto di forte interesse per l’osservazione scientifica.

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dell’Informazione nella legislatura giugno 2002. [160] Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie Trasparenza dell’azione amministrativa e gestione elettronica

dei flussi documentali Direttiva del 20 dicembre 2002. [161] Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie Linee guida in materia di digitalizzazione dell’amministrazione

Direttiva del 20 dicembre 2002. [162] Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie L’e-Government nelle regioni e negli enti locali: II fase di

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2002. [167] Presidente del Consiglio dei Ministri Rete unitaria della pubblica amministrazione Direttiva del 5 settembre

1995. [168] Presidente del Consiglio dei Ministri Avviso per la selezione di progetti proposti dalle Regioni e dagli Enti

Locali per l’attuazione dell’e-government Decreto del 18 febbraio 2002. [169] P.E.O.P.L.E. Progetto Enti On-line Portali Locali E-Government: Piano di Progetto Esecutivo, 29 ottobre

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[173] Unità strategica per il Piano di Azione di e-Government Rete nazionale: architettura e caratteristiche 15 dicembre 2000,

Fonti normative [174] D.Lgs. 322 del 6 settembre 1989 Norme sul sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione

dell’Istituto Nazionale di Statistica ai sensi dell’art.24 della legge 23 agosto 1988, n.400 [175] L. 241 dell’8 agosto 1990 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso

ai documenti amministrativi [176] D.Lgs. 502 del 30 dicembre 1992 Riordino della disciplina in materia sanitaria. [177] D.Lgs. 29 del 3 febbraio 1993 Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e

revisione della disciplina in materia di pubblico impiego [178] Direttiva 95/46/CE del Parlamento e del Consiglio Europei del 24 ottobre 1995 Tutela delle persone

fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e libera circolazione dei dati [179] D.Lgs. 127 del 15 maggio 1997 Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei

procedimenti di decisione e di controllo. [180] L.R. Toscana 72 del 3 ottobre 1997 Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e

di pari opportunità: riordino dei servizi socio- assistenziali e socio-sanitari integrati. [181] D.P.R. 513 del 10 novembre 1997 Regolamento contenente i criteri e le modalità per la formazione,

l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici ai sensi dell’art.15, comma 2, della L. n.59 del 15 marzo 1997.

[182] D.P.R. 428 del 20 ottobre 1998 Regolamento recante norme per la gestione del protocollo informatico da parte delle amministrazioni pubbliche.

[183] D.Lgs. 135 del 11 maggio 1999 Disposizioni integrative della legge 31 dicembre 1996, n. 675, sul trattamento di dati sensibili da parte dei soggetti pubblici

[184] L. 144 del 17 maggio 1999 Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all' occupazione e della normativa che disciplina l' INAIL, nonche' disposizioni per il riordino degli enti previdenziali.

[185] D.Lgs. 281 del 30 luglio 1999 Disposizioni in materia di trattamento dei dati personali per finalità storiche, statistiche e di ricerca scientifica. DP.C.M. 437 del 22 ottobre 1999 Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico a norma dell'articolo 2, comma 10, della legge 15 maggio 1997, n. 127, come modificato dall'articolo 2, comma 4, della legge 16 giugno 1998, n. 191.

[186] D.P.C.M. 437 del 22 ottobre 1999 Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico a norma dell'articolo 2, comma 10, della legge 15 maggio 1997, n. 127, come modificato dall'articolo 2, comma 4, della legge 16 giugno 1998, n. 191.

[187] L. 150 del 7 giugno 2000 Disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni.

[188] D.Lgs. 267 del 18 agosto 2000 Testo Unico sull’ordinamento degli enti locali. [189] L. 328 del 8 novembre 2000 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi

sociali. [190] D.P.C.M. del 31 ottobre 2000 Regole tecniche per il protocollo informatico di cui al DPR 20/10/1998

n.428. [191] D.Lgs. 445 del 28 dicembre 2000 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di

documentazione amministrativa. [192] D.P.C.M. 129 del 14 febbraio 2001 Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-

sanitarie. [193] D.Lgs. 165 del 30 marzo 2001 Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche. [194] D.P.R. 276 del 22 maggio 2001 Regolamento di esecuzione del 14° censimento della popolazione, del

censimento generale delle abitazioni e dell'8° censimento dell'industria e dei servizi, a norma dell'articolo 37 della legge 17 maggio 1999, n. 144.

[195] D.Lgs 10 del 23 gennaio 2002 Attuazione della direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche.

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[196] Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002 Trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.

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