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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI UDINE
FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN RELAZIONI PUBBLICHE
D’IMPRESA
TESI DI LAUREA SPECIALISTICA
Il lobbying: dalla connotazione negativa alla difesa
trasparente dei legittimi interessi
Il caso AMD
Relatore: Laureando:
Ch.ma Prof.ssa Renata Kodilja Antonio Fracas
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
A mio nonno Bruno
5
INDICE:
INTRODUZIONE ..................................................................................................... 7
CAPITOLO 1 .......................................................................................................... 13
Il lobbying e il lobbista sotto la lente ....................................................................... 13
1.1 Definizione di lobbying ................................................................................ 13
1.2 Identikit del lobbista ..................................................................................... 21
1.3 Gli attori ....................................................................................................... 29
1.3.1. I portatori di interesse ................................................................................ 30
1.3.2. Mediatori................................................................................................... 37
1.3.3. Le istituzioni pubbliche ............................................................................. 38
1.4 L’azione di lobbying ..................................................................................... 39
1.4.1 Gli strumenti di back office ....................................................................... 41
1.4.2 Strumenti di comunicazione esclusivi ........................................................ 43
1.4.3 Strumenti di comunicazione non esclusivi ................................................. 45
1.5 L’azione di lobbying ..................................................................................... 48
1.5.1 I public affairs ........................................................................................... 49
1.5.2 I quattro modelli di public affairs............................................................... 50
1.5.3 Le tre fasi del lobbying .............................................................................. 53
1.5.4 Il lobbying diretto ...................................................................................... 58
1.6 La legislazione italiana sul lobbying ............................................................. 60
1.6.1 Le proposte di legge .................................................................................. 63
1.6.2 I casi Toscana, Molise ed Emilia Romagna ................................................ 66
1.6.3 Calabria e altri ........................................................................................... 68
1.6.4 Riflessione ................................................................................................ 68
CAPITOLO 2 .......................................................................................................... 69
La regolamentazione del lobbying al di fuori dei confini italiani: USA e UE ........... 69
2.1 La regolamentazione del lobbying negli USA ............................................... 70
2.1.1 Dalla seconda metà dell’800 al Federal of Lobbying Act. .......................... 70
2.1.2 Il Federal Regulation of Lobbying Act ...................................................... 73
2.1.3 Gli anni Settanta e le riforme collaterali ..................................................... 76
6
2.1.4 Il Lobbying Disclosure Act........................................................................ 78
2.1.5 Gli anni Duemila ....................................................................................... 82
2.2 Lobbying a Bruxelles .................................................................................... 85
2.2.1 Il lobbista di Bruxelles............................................................................... 86
2.2.2 Organizzarsi .............................................................................................. 87
2.3 Obiettivo e influenza ..................................................................................... 88
2.3.1 Commissione Europea ............................................................................... 88
2.3.2 Parlamento Europeo .................................................................................. 89
2.3.3 Consiglio dell’Unione Europea .................................................................. 92
2.4 Regole .......................................................................................................... 93
2.4.1 I primi tentativi.......................................................................................... 93
2.4.2 La situazione attuale .................................................................................. 95
CAPITOLO 3 ........................................................................................................ 101
AMD e l’intervento per la nuova formulazione dei bandi pubblici della Pubblica
Amministrazione ................................................................................................... 101
3.1 AMD .......................................................................................................... 101
3.2 Lo scenario competitivo per AMD nei primi anni 2000 in Italia .................. 102
3.3 AMD scende in campo ................................................................................ 103
3.3.1 La strategia di AMD ................................................................................ 104
3.4 La svolta in positivo per AMD .................................................................... 106
3.4.1 L’intervento della CE .............................................................................. 109
3.5 Epilogo ....................................................................................................... 110
CONCLUSIONI .................................................................................................... 113
ALLEGATI ........................................................................................................... 115
BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA
RINGRAZIAMENTI
7
INTRODUZIONE
Questa tesi è frutto della profonda curiosità sorta nei confronti del tema del lobbying
durante lo studio delle attività di Relazioni Pubbliche. Si legge di lobbisti che sono
padroni dell’arte della comunicazione e della relazione, ma, soprattutto, che si tratta di
esperti professionisti capaci di convincere anche i più ostici interlocutori.
La cultura popolare riconosce tali doti accostandole però spesso a fini non sempre
limpidi. Il lobbista è allora colui che agisce per conto dei “cattivi”, che “avvantaggia” le
multinazionali e le attività più o meno occulte.
Agli occhi di chi non conosce la professione, il lobbista è nel migliore dei casi un
manipolatore.
Non si può dare torto a coloro che la pensano in questo modo in quanto non sono
poche le occasioni offerte dalla cronaca che portano l’opinione pubblica in questa
direzione. Basti qui ricordare lo scandalo denominato “Tangentopoli” degli anni
Novanta che anche a distanza di vent’anni non è stato ancora dimenticato.
Rappresentanti senza scrupoli di interessi particolari non hanno esitato a ricorrere a
mezzi illeciti per influenzare il legislatore. In quel frangente, i cinque fogli di analisi
citati da John Fitzgerald Kennedy e citati nel capitolo I sono stati brutalmente sostituiti
da pratiche meno lecite.
Ma queste persone non possono essere considerate dei lobbisti e per loro esiste
un’unica denominazione: corruttori.
A distanza di vent’anni, “Tangentopoli” non è stata dimenticata. A pagarne le
conseguenze non è stata solo la credibilità delle istituzioni ma anche la professione del
lobbista L’idea di fondo è che il lobbista difenda sempre e comunque i “cattivi” a
scapito dei “buoni”.
Ma il lobbista non è questo. O, se vogliamo, non dovrebbe essere questo. Resta il
fatto che un lobbista può difendere tanto un’organizzazione che genera i suoi profitti a
8
scapito dei cittadini quanto aziende che godono di un’ottima considerazione da parte
della gente (per esempio le O.N.G.). Ma qualora difenda un’azienda del primo tipo, il
vero lobbista dovrebbe comunque usare solo gli strumenti propri della comunicazione e
dati oggettivi a supporto della propria tesi difensiva, escludendo categoricamente il
ricorso a mezzi di persuasione che non sia non leciti. Non è scontato che, per quanto
bravo, riesca nell’impresa di salvaguardare l’interesse del suo cliente in quanto esistono
anche cause indifendibili. Ma nessuno potrà negare che ha agito correttamente, nel
rispetto delle norme.
Per comprendere meglio la figura del lobbista professionista, il capitolo I di questa
tesi è incentrato attorno ad una dettagliata analisi delle sue competenze e degli strumenti
da lui stesso impiegati. Confidare in un cambiamento dell’opinione pubblica nei suoi
confronti da parte del lettore è ambire a qualcosa di estremamente difficile se non
addirittura impossibile. Ma la finalità del capitolo I è quella di rispondere alla domanda
che troppe volte rimane priva di risposta: come lavora il lobbista? Si è pertanto
analizzato la figura professionale del lobbista cogliendone gli aspetti caratterizzanti
quanto a capacità e competenze. La figura professionale che ne esce non riguarda solo
un esperto di comunicazione ma anche di un insieme di altre specifiche competenze che
abbracciano Diritto, Economia e Relazioni Pubbliche. Si tratta di una figura che fa dell’
“ascolto” il suo strumento principale e che gli consente di cogliere sia le esigenze del
cliente che le peculiarità dell’ambiente in cui questo opera nonché i provvedimenti
normativi che possono influire sulle attività del cliente stesso. L’ascolto è altresì
finalizzato ad individuare i giusti interlocutori istituzionali e dare vita ad un dialogo
costruttivo per entrambe le parti (azienda cliente e legislatore). Il lobbista, bravo e
competente, non difende il proprio cliente ad oltranza alterando la realtà ma trova e
fornisce gli spunti per il miglioramento del testo di legge a tutela dell’attività di un
intero settore di cui il cliente è solo uno dei molti esponenti. Rappresentare gli interessi
implica ulteriori skills rispetto a quelle già menzionate. Il lobbista è
contemporaneamente un pianificatore strategico e un consulente senza il quale l’azienda
non saprebbe muoversi nel mondo istituzionale. Un novello Virgilio che accompagna
Dante, se è concesso il paragone. Egli aiuta l’azienda a comprendere i testi di legge e il
loro impatto, delinea i passi per imbastire una relazione col legislatore e consiglia le
giuste tecniche di approccio. Per cambiare le regole del gioco non basta infatti una
9
lettera firmata da un Amministratore delegato, seppur autorevole e potente, all’indirizzo
di un politico, neanche se si è Claudio Marchionne: anche la FIAT, infatti, ha i suoi
lobbisti.
L’ambiente in cui opera il lobbista italiano è particolare. Il nostro territorio si
contraddistingue per l’assenza di una legislazione nazionale che regolamenti l’attività di
lobbying. L’Italia è così in una condizione di forte arretratezza nonostante reiterati
tentativi per colmare il vuoto normativo. Fin dal 1948 i rappresentanti del Parlamento
hanno avanzato proposte di legge ma la necessità di tale intervento non è mai stata
avvertita dalla maggioranza dei parlamentari, rendendo vano ogni sforzo in tale
direzione. Neanche quando il provvedimento è approdato all’esame della commissione
parlamentare competente ha goduto di un destino migliore. Nessun testo è mai stato
sottoposto all’analisi dell’Aula. È chiaro, allora, che esistono dei “lobbisti” più forti
ricollegabili anche ai partiti politici, interessati a detenere l’esclusiva sui rapporti
istituzionali e la formulazione delle leggi. A poco valgono le convocazioni in audizione
di coloro su cui le proposte di legge impattano direttamente. L’ascolto nei loro confronti
è spesso solamente di facciata. Non da meno è l’atteggiamento di certe associazioni che
si sono sempre opposte all’idea di una regolamentazione del lobbying perché
fermamente intenzionate a mantenere la loro posizione di interlocutore privilegiato del
legislatore e magari a scapito delle aziende più piccole. In controtendenza appaiono
alcune regioni italiane, come Toscana e Molise che si sono dotate di una legge
regionale, caratterizzate però dall’uso di espressioni quali
“rappresentante/rappresentanza di interessi”. Questo perché il termine lobbying fa
ancora paura.
Il capitolo II offre invece una panoramica su uno scenario decisamente diverso che
riguarda gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea. Nel caso degli USA la
legislazione è presente ma, ancor più radicato nella cultura a stelle e strisce è il
riconoscimento del diritto a manifestare i propri interessi senza che tale diritto possa
essere prevaricato.
Il capitolo assume la valenza di una cronistoria della legislazione americana: dai
tentativi più datati risalenti al XIX secolo fino ai giorni nostri. Ma ciò che più
caratterizza la legislazione americana è il continuo tentativo di apportare miglioramenti
10
ai testi in vigore tramite l’inserimento di definizioni precise dei termini di lobbista e di
lobbying finalizzato alla riduzione del rischio di errate interpretazioni. A questo si
aggiungono disposizioni chiare circa i modi e i tempi di avvio alla professione, con
particolare riguardo alle figure che, prima di diventare lobbisti, occupavano posizioni
importanti all’interno della Pubblica Amministrazione. Non mancano inoltre le sanzioni
per coloro che non rispettano le disposizioni stabilite. Tutto perfetto? Non esattamente.
Anche nella patria del lobbying vi sono stati casi di lobbisti che hanno fatto ricorso a
mezzi di persuasione illeciti: Jack Abramoff, il lobbista americano più famoso, che dalla
persuasione è passato alla corruzione pagandone però le conseguenze con la perdita
della libertà personale.
Dal canto suo anche l’Unione Europea ha provato a dotarsi di una legislazione sul
tema. Pur potendo prendere spunto da quanto attuato dall’amministrazione americana,
l’Unione non ha ancora compiuto quel necessario salto di qualità. L’attuale normativa
infatti rende solo facoltativa, e non obbligatoria, l’iscrizione al registro dei lobbisti di
Bruxelles. Anche in tema di sanzioni è previsto solo il ritiro del tesserino di lobbista per
coloro che non rispettano il codice di condotta la cui accettazione è conseguente
all’iscrizione. Certo rispetto all’Italia la situazione dell’UE è migliore ma non si può
certo sostenere che quanto operato in questa sede istituzionale possa fungere da esempio
da imitare. Potrebbe però essere almeno un punto di inizio per discutere della nuova
legislazione che, si spera, un giorno arrivi anche da noi.
Per meglio illustrare re la teoria del lobbying e i suoi elementi principali è stato
analizzato un caso specifico come dimostrazione pratica di ciò che l’attività di lobbying
può o non può realizzare. Il Capitolo III è così incentrato sull’azione di lobbying che ha
sostenuto gli interessi dell’azienda americana AMD nel contesto italiano. La vicenda
risale al 2004. È un caso di lobbying propriamente detto, con la riscrittura delle regole
in vigore in un certo settore. AMD ha avuto agli inizi degli anni Duemila forti problemi
per partecipare alle gare di appalto della Pubblica Amministrazione per la fornitura di
computer. Nodo della questione, la formulazione dei bandi che penalizzava la
concorrenza. AMD ha subìto una drastica riduzione delle possibilità di vincere il bando.
L’attività di lobbying si è così rivelata fondamentale per consentire ad AMD di
competere allo stesso livello dei concorrenti. Il risultato a cui si è giunti è stata la
11
rivisitazione completa dei testi dei bandi pubblici che ha preservato gli interessi di tutte
le aziende di settore. Il felice epilogo ha, al tempo stesso, preservato gli interessi delle
altre aziende di settore. Ad oggi, il bando non prevede più l’uso di un brand a scopo
comparativo ma stabilisce precisi criteri minimi prestazionali per i microprocessori
installati nei computer. Il caso ha fatto scuola e, merito anche del sostegno della
Commissione Europea, ora in tutta Europa i bandi pubblici per questa tipologia di
forniture non prevedono altro se non i livelli minimi prestazionali richiesti.
Come è stato dimostrato, il lobbying non è attività ai limiti della legalità o contro il
cosiddetto “bene comune” ma un aiuto fondamentale per garantire il rispetto dei valori
propri della democrazia.
13
CAPITOLO 1
Il lobbying e il lobbista sotto la lente
«I lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano dieci minuti e mi
lasciano sulla scrivania cinque fogli di carta. Per spiegarmi lo stesso problema, i miei collaboratori
impiegano tre giorni e decine di pagine».
J.F. Kennedy
1.1 Definizione di lobbying
Parlare in Italia di lobbying è un’azione non esente da rischi, soprattutto per chi è
intenzionato ad illustrarne la pratica. Troppi, infatti, sono i pregiudizi che ancora oggi
gravano su chi si definisce lobbista. È il prezzo da pagare per le azioni compiute da
coloro che, negli anni Novanta e in occasione dello scandalo Tangentopoli, hanno
preferito influenzare il decisore politico (Deputato o Senatore che fosse) usando il
linguaggio delle tangenti piuttosto che proporre un’analisi dettagliata dello scenario
(presente e futuro), in conseguenza della diretta attuazione di una nuova norma. Perché
è questo ciò che fanno i lobbisti: influenzare il processo decisionale.
Sono trascorsi quasi vent’anni da quel periodo grigio, in cui la credibilità dell’intero
sistema democratico ha conosciuto uno dei punti più bassi (se non addirittura l’apice
della decadenza), eppure nulla è cambiato. «Stereotipi», «clichè superficiali duri a
morire», «Paragoni impropri e abusi del linguaggio, non solo giornalistico, che
distorcono la nostra funzione»1. Ecco le risposte degli operatori di settore a chi insinua
che il lobbying rappresenti una professione tutt’altro che onesta. Nella penisola dello
stivale si continua a confondere lobby con corporazioni, consorterie, comitati d’affari o,
peggio, con potentati oscuri al confine col malaffare. Nulla di più falso. «Il lobbismo,
quello vero – sostengono – non ha niente a che fare con il clientelismo né con gli
1 CAPITAL, n.372, Febbraio 2011, p. 16.
14
intrallazzi. Piuttosto, è la capacità di rappresentare interessi leciti, in modo trasparente,
presso i decisori pubblici»2.
È d’obbligo, prima ancora di procedere con la definizione completa di lobbying, una
precisazione. Essendo un’attività di relazione3, implica il contatto tra il legislatore e
rappresentanti di interessi, generando il rischio della creazione di una zona grigia nelle
relazioni stesse: «Una zona grigia tra conflitti di interesse e intrecci tra politica e affari –
sostengono sempre gli specialisti – esiste». Franco Spicciariello, cofondatore della Open
Gate Italia4 e professore di lobbying alle università romane Lumsa e Tor Vergata,
sostiene che tale problematica è comune a tutto il sistema: «L’avvocato che va in
piscina con il giudice o a giocare a tennis con il pubblico ministero non è zona grigia?
Quando la zona grigia si fa corruzione – gli fa eco Gianluca Comin5 – si tratta di
patologia, non di lobby». Questo perché «i lobbisti professionali rendono un servizio al
sistema democratico. Noi lobbisti siamo chiamati a coprire un gap informativo tra gli
interessi legittimi delle aziende o comunque dei soggetti per i quali lavoriamo e le
competenze dei decisori pubblici6».
2 Ibidem, p. 16.
3 M. Mazzoni in Le relazioni pubbliche e il lobbying in Italia, Laterza, Bari, 2010, lo
include nel terzo dei quattro modelli di RP di James E. Grunig: il “two-way symmetric”,
caratterizzato da una comunicazione bidirezionale, distinta dal disequilibrio degli effetti.
4 Società specializzata in attività di lobbying, public affairs, regolamentazione e
comunicazione strategica. Sito web: http://www.opengateitalia.com/. I public affairs
sono, per definizione, l’insieme delle attività di relazioni con le istituzioni. Il lobbying è
parte dei public affairs.
5 Direttore delle relazioni esterne e istituzionali del gruppo Enel, il primo ad aver
formalmente accorpato le due cruciali responsabilità nelle mani dello stesso manager.
Da Capital, op. cit. p. 17.
6 Le competenze e l’utilità del lobbista saranno proposte nei paragrafi successivi del
presente capitolo.
15
Nonostante i molteplici tentativi di far apparire il lobbying per quello che realmente
è, il contesto italiano gli attribuisce ancora oggi un’accezione negativa. Il termine viene
utilizzato a sproposito e, soprattutto, per qualificare qualsiasi atto poco chiaro oppure
addirittura in contrasto con la legge. Se si riprendono le cronache sui giornali, ogni volta
che si parla della lobby si evoca un’azione di corruzione. Ma se così fosse, sarebbe
qualificata da un articolo del codice penale e non ci sarebbe bisogno di chiamarla
attività di lobbying.7
Il termine lobby, prima ancora di essere coniato dalla linguistica ottocentesca
americana, deriva dal latino lobium, ovvero chiostro. Ma anche lobia, parola di
derivazione latina medioevale, traducibile con loggia, portico. Secondo Andrian Room
(citato da Wikipedia), il suddetto termine venne usato per la prima volta da Thomas
Bacon in The relikes of Rome nel 1553; nel 1539 William Shakespeare usò lobby in
Enrico VI (parte II), con il significato di “passaggio”, “corridoio”. Altre fonti fanno
derivare lobby dall’Antico Alto-Tedesco lauba, che significa deposito di documenti, che
divenne poi lobby nell’adattamento inglese. Fu nel XIX secolo, 1830 circa, che il
termine lobby venne a indicare, nella House of Commons, quella grande anticamera in
cui i membri del Parlamento usavano votare durante una “division”8. Successivamente
il termine venne attribuito più in generale a quella zona del Parlamento in cui i
rappresentanti dei gruppi di pressione cercavano di contattare i membri del Parlamento
stesso. Per indicare questi rappresentanti e l’attività da essi esercitata, nel XIX secolo si
iniziò a far uso dei termini lobbyist e lobbying. Secondo gli americani tutto cominciò
attorno al 1820, quando il presidente in carica, Ulysses Grant, cominciò a ricevere i
lobbisti nella lobby dell’Hotel Willard di Washington9. A tal proposito, citiamo un
saggio di Vittorio Zucconi, giornalista di Repubblica:
«Depresso dalla atmosfera della Casa Bianca nel 1869, il presidente americano Ulysess Grant
spostava la sua passione per i sigari e il whisky al vicino Hotel Willard in Pennsylvania Avenue, nel cuore
7 Mazzoni, op. cit. p. 92.
8 Una votazione.
9 B. Facchetti, L. Marozzi, La guida del Sole 24 Ore alle Relazioni Pubbliche. La
comunicazione d’impresa del nuovo secolo. Gruppo 24 Ore, Milano, 2009.
16
di Washington. Lì, nell’atrio, il vincitore della Guerra Civile eletto capo dello Stato sprofondava nel cuoio
screpolato e teneva corte. Una lunga fila di “clientes” e postulanti attendeva l’occasione per sussurrargli
una richiesta, domandare od offrire un favore, raccomandare un progetto o una proposta. E se lo
spettacolo del “sovrano” che riceve questuanti non era certamente nuovo neppure nella storia della
giovane repubblica nordamericana, è da quell’atrio d’albergo che furono formalizzate e consolidate quella
parola e quella tecnica di influenzare la democrazia che oggi conosciamo, e temiamo, con il nome di
“lobby”. Essendo appunto l’atrio degli alberghi la “lobby” in inglese, dall’italianissimo, e latinissimo,
“lobia”, loggia»10.
Secondo Beppe Facchetti e Laura Marozzi (2009), «la lobby è un’azione
consapevole e coordinata nel tempo condotta nel rispetto delle leggi vigenti, realizzata
da un soggetto pubblico o privato, che si propone di influenzare il processo decisionale
pubblico a tutti i livelli e che sviluppa sistemi di relazione diretta: strumenti o canali di
informazione verso i decisori pubblici o persone fisiche e giuridiche, gruppi o
associazioni che si ritiene possano influenzare a loro volta i decisori». L’attività di
lobby (ovvero il lobbying) rientra a pieno titolo nel quadro delle relazioni pubbliche, in
quanto finalizzata a creare relazioni stabili ed efficaci. Ma si distingue dalle altre attività
di relazione per il pubblico di riferimento (esclusivamente decisori e autorità pubbliche)
e le finalità (influire sugli atti dell’autorità politico-amministrativa).
Ruben Razzante11
aggiunge una componente in più alla definizione, utile per
provare a contrastare i pregiudizi: «Il lobbying è la trasmissione di messaggi dal gruppo
di pressione ai decision maker, quindi è uno strumento articolato e complesso di
comunicazione».
Anche secondo Paolo Zanetto e Alberto Cattaneo, partner fondatori della Cattaneo
Zanetto & Co., lobbying firm italiana, l’uso del verbo “to lobby” è da ricongiungere al
XIX secolo in quanto «se ne trova traccia nei resoconti dei lavori del campidoglio dello
10
V. Zucconi, “Lobby. Quando la democrazia è in ostaggio”, La Repubblica, 24
gennaio 2006.
11 Professore di Diritto dell’informazione e del prodotto culturale e di Diritto del
copyright e legislazione dei beni culturali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano. È socio de Il Chiostro.
17
Stato di New York ad Albany già nel 1832»12
. Il termine lobbista, invece, identificava, a
partire dal XVII secolo, i cittadini che stanziavano fuori dalla Camera dei Comuni di
Londra.
In realtà, ancora oggi è in atto una disputa per definire universalmente il termine
lobbying. La matrice latina è certamente condivisa, ma a lobium si aggiunge laubia: era
la tribuna da cui il popolo proponeva le sue idee alla classe politica. Questo senso
sociale e propositivo del termine è stato perso nell’uso anglosassone.
Secondo Mirko Rubin è possibile considerare con particolare riguardo tre
definizioni:13
«Il processo per mezzo del quale i rappresentanti dei gruppi di interesse agendo
da intermediari portano a conoscenza dei decision maker, i desideri dei loro
gruppi. Lobbying è quindi soprattutto una trasmissione di messaggi da gruppi di
pressione ai decision maker per mezzo di rappresentanti specializzati (e in alcuni
casi, come negli USA, legalmente autorizzati) che possono, o no, far uso della
minaccia di sanzioni» (G. Pasquino, 1976);
«In quanto verbo significa fare pressione, presentare ragioni o altre motivazioni
per cercare di rendere un decisore politico favorevole alla propria posizione. Può
essere usato in un contesto istituzionale, ove un rappresentante di un gruppo di
pressione può fare lobby su un parlamentare, un ministro o un funzionario
pubblico per portare avanti l’interesse del suo gruppo» (D. Robertson, 1987);
«Attività di relazione e di comunicazione, legittima consapevole e programmata,
messa in atto per orientare la decisione pubblica, i suoi attori ed i loro influenti,
perché assumano, sempre nel prioritario interesse generale, decisioni le cui
conseguenze siano positive o comunque non negative, per l’organizzazione e/o
l’interesse rappresentato» (T.M. Falconi, 2002).
12
A. Cattaneo – P. Zanetto, Fare lobby. Manuale di public affairs. Etas, Milano,
2007.
13 M. Rubin, Le relazioni con il processo decisionale pubblico, in G. Vecchiato,
Relazioni pubbliche: valore che crea valore, a cura di, FrancoAngeli, Milano, 2005, p.
135.
18
Ulteriori contributi sono giunti nel corso degli anni. Proprio recentemente, il già
citato Marco Mazzoni14
ha svolto una vera e propria autopsia del termine in questione,
partendo da un punto ampiamente condiviso: il lobbying è uno sforzo implementato per
condizionare il policy process15
, ovvero, è quella azione rivolta al processo decisionale
con l’intento di influenzarlo. Come si può notare, rispetto alla definizione di Pasquino vi
sono degli importanti elementi innovativi. Mazzoni però contesta a sé stesso una sorta
di incompletezza, e aggiunge che «il lobbying è un processo attraverso il quale si tenta
di influenzare l’attività delle istituzioni pubbliche e di permeare la public policy
agenda16
. Il lobbista non preme soltanto sul processo legislativo o esecutivo; la sua
azione è qualcosa di più ampio, poiché racchiude altresì le interazioni con i governi e le
assemblee legislative locali, con organizzazioni non governative, con autorità
responsabili di aree di pubblico interesse e con i mass media»17
. Dal presente
ragionamento si giunge ad una duplice conclusione, ottima per iniziare ad identificare
gli attori dell’azione di lobbying:
Il lobbying è la ricerca di una negoziazione18
con parti del governo (locale,
nazionale o sopranazionale);
è la mobilitazione dell’opinione pubblica e dei mass media per agire contro una
decisione del governo19
o per inserire una issue all’interno dell’agenda politica.
14
Ricercatore di Sociologia della comunicazione presso la Facoltà di Scienze
politiche dell’Università di Perugia. Insegna Comunicazione pubblica nel corso di
laurea in Scienze della comunicazione.
15 Ovvero il processo di elaborazione delle politiche.
16 L’agenda pubblica. L’azione di lobbying è in grado, tra le altre, di far acquisire più
o meno priorità a determinate tematiche, che successivamente sono incluse nei calendari
dei lavori parlamentari.
17 M. Mazzoni, op. cit. p. 31.
18 L’idea di lobbista come negoziatore non è condivisa da tutti gli operatori
19
Il ragionamento però non si conclude certamente qua. L’azione di lobbying
coinvolge numerosi attori (definiti successivamente) e si articola in un processo
articolato, frutto della pianificazione e attuazione di più azioni. Tale caratteristica
costituisce un nuovo spunto per le considerazioni di Mazzoni. Il lobbista ha a sua
disposizione un’ampia gamma di strumenti per perseguire lo scopo concordato assieme
al soggetto-cliente. «Può ricorrere a ricerche, allarmare i membri del gruppo che
rappresenta, sottoscrivere lettere, promuovere campagne, contattare direttamente i
decisori, distribuire informazioni ai media. Qualsiasi tattica di lobbying venga
implementata, questa deve prevedere il ricorso a una varietà di attività: soltanto così si
realizza il rafforzamento della publicity dell’organizzazione (per cui il lobbista lavora),
che garantisce una più alta probabilità di successo nell’interazione con i decision
makers». Il lobbying, dunque, è un processo.
L’ultima considerazione di Mazzoni, la più importante e innovativa soprattutto se
usiamo quale metro di paragone le definizioni proposte dagli autori precedenti e raccolte
da Mirko Rubin, è anche la più attuale. Su di essa si concentra la “battaglia” di
associazioni quali Il Chiostro20
, la quale richiede non solo una legislazione nazionale a
riguardo ma il riconoscimento dell’attività di lobbying quale componente del processo
democratico. «Se il lobbying lo si descrive come un processo che influenza il decisore
pubblico – è l’affermazione di Mazzoni– o, per la precisione, come l’attività con cui si
porta a conoscenza del decisore una determinata istanza, bisogna anche avere il
coraggio, una volta per tutte, di sostenere che il lobbying fa parte del processo
democratico». Questa, ovviamente, è una incombenza che coinvolge il caso italiano. Gli
Stati Uniti d'America, come vedremo nel capitolo seguente, sono ben più privilegiati
giacché il lobbying è tutelato costituzionalmente.
19
La frase potrebbe indurre in errore, facendo credere al lettore che il lobbista voglia
attuare una strategia “io vinco- tu perdi”. Ciò è errato: la pratica di tale attività dimostra
come il lobbista si concentri invece su una strategia “io vinco-tu vinci”.
20 Associazione che promuove la cultura, la pratica e la regolamentazione della
trasparenza nella rappresentanza degli interessi.
20
Il tentativo di formulare la definizione di lobbying porta, in conclusione, ad uno
scorporamento di ciò che si vuole definire del termine stesso. Da un lato, infatti, la
letteratura italiana si è concentrata sull’interesse da tutelare e sulla rappresentanza. Da
ciò, come riporta Mazzoni, consegue che la lobby o organizzazione lobbistica è il
gruppo portatore dell’interesse o della causa da tutelare; il lobbista, è il personale
interno o esterno all’organizzazione attraverso cui si attua la rappresentanza; il lobbismo
è l’insieme delle tecniche e attività che consente la rappresentanza politica degli
interessi. Se invece si focalizza l’attenzione sulle competenze, il lobby è, nelle
democrazie compiute, il luogo di incontro pubblico tra i rappresentanti di interessi
particolari, legittimamente meritevoli di tutela, e i decisori pubblici o quei soggetti
influenti in grado di condizionare il comportamento. Il lobbying è la trasmissione di
messaggi dal gruppo di pressione ai decision makers, quindi è uno strumento articolato
e complesso di comunicazione. Il lobbismo è l’insieme di tecniche e attività che
consentono la rappresentanza politica degli interessi organizzati; è in generale la faccia
politica di tali gruppi di interesse. Il lobbista è in sostanza un bravo comunicatore ma, in
quanto rappresentante di un gruppo di interesse, deve essere anche un esperto della
materia.
I numerosi tentativi di definizione di lobbying, lobby e lobbista hanno certamente
aumentato le conoscenze teoriche ma nulla hanno potuto contro gli stereotipi, assai
radicati, che ancora oggi contraddistinguono gli esponenti dei public affairs. Ad un vero
e proprio ostracismo, fortunatamente, non si è arrivati. L’accettazione è ancora lungi
dall’essere attuata e lo scenario attuale è ben definito da Giuseppe Mazzei, presidente de
Il Chiostro: «Il problema è che non si è riusciti a trovare una parola diversa da lobbying,
lobby e lobbista per definire questa attività di relazioni istituzionali. L’unico paese che
ha una parola che potrebbe sostituire il termine lobbying è la Spagna dove si usa il
verbo cabildear, cioè tenere rapporti con le istituzioni. Il secondo problema è che c’è
un’ignoranza di fondo sull’argomento perché – è la sua analisi – non è che esistano tanti
ambiti in cui se ne discute. A molti fa comodo la situazione attuale, cioè uno scellerato
patto di coalizione tra alcuni lobbisti che vogliono fare i lobbisti all’antica, cioè
nell’ombra, e alcuni politici che preferiscono, discrezionalmente, tenere rapporti, si
21
spera corretti, ma senza dare evidenze e trasparenza. Tutto questo non aiuta, né gli uni
né gli altri, tanto meno la democrazia»21
.
1.2 Identikit del lobbista
Fornire un perfetto identikit del lobbista non è semplice. La complessità dell’attività
che viene perseguita gli richiede la padronanza di un’ampia gamma di competenze
tecniche, soprattutto relazionali. Il lobbista deve altresì disporre di preparazione
economica, giuridica e politologica a 360°, ma se non c’è la predisposizione alle
relazioni interpersonali e alla comunicazione allora gli è impossibile lavorare. Instaurare
con l’interlocutore politico una relazione di fiducia assume una rilevanza notevole e a
ciò si giunge solo con un dialogo e ascolto costanti. L’assenza di fiducia mina
gravemente il raggiungimento degli obiettivi del lobbista in quanto le informazioni
riservate (linfa vitale per la pratica del lobbying) vengono meno. La diretta
conseguenza, in questo caso, è l’accesso ridotto al policy maker e l’azione di pressione
risulta molto più complicata.
Le testimonianze di chi appartiene al settore rappresentano una fonte importante per
la raccolta di utili informazioni per tracciarne il profilo professionale. Claudio Velardi22
,
il lobbista più famoso d’Italia, sostiene che «il lobbista è una persona che deve
conoscere molto bene le dinamiche della politica, del lavoro parlamentare e del
processo legislativo. Deve avere un’agenda molto sostanziosa e possedere un grande
fiuto per la politica, cioè un sesto senso nel capire dove sta andando la politica e, quindi,
come muoversi»23
.
21
L’attività di lobbying in Italia, in Cos’è il lobbismo nel mondo: analisi
comparativa, ricerca del Master in Comunicazione per le Relazioni Internazionali
MICRI, Università IULM, Milano, 2010.
22 Capo dello staff di Massimo D’Alema segretario a Botteghe Oscure, poi di
D’Alema premier. È tra i fondatori di Reti, prima società di lobbying in Italia.
23 CAPITAL, op. cit. p. 20.
22
A Velardi fa eco Filippo Maria Grasso, responsabile delle Relazioni istituzionali del
Gruppo Pirelli: «L’interlocutore pubblico è un esperto di relazioni almeno quanto noi. È
abituato all’incontro con l’altro e a una gestione del tempo razionalizzata, che lo ha
preparato a farsi un’idea molto rapida su chi ha di fronte. Occorre quindi essere veloci,
ma non approssimativi, competenti ma non noiosi e in ultimo non dimenticarsi di essere
persone. Arrivare preparati sul proprio business è una condizione necessaria, ma non
sufficiente. Occorre essere competenti nella gestione dell`interno processo che si sta
rappresentando, offrendo prospettive e punti di vista differenti. È necessario rassicurare
l`interlocutore con un atteggiamento di assoluta trasparenza e apertura. La migliore
soluzione è sempre quella di aprire un rapporto senza formulare richieste. Coinvolgere
la persona nel mondo aziendale attraverso una scambio di informazioni che sia utile
all’attività del rappresentante istituzionale. È bene ricordare che nel rapporto con
l’interlocutore pubblico, la finalità non è mai rivolta ad ottenere un semplice consenso
in relazione ad una singola tematica, ma costruire un duraturo rapporto di fiducia e
stima. Quanto al rapporto umano credo che sia l’elemento di maggiore
caratterizzazione. Senza mai scadere in un`eccessiva familiarità, puntare a un’autentica
relazione fra persone è fondamentale. Pur nella formalità del rapporto fra istituzioni
“pubbliche e private”, pur nell’ “austerità” di certe tematiche rappresentate, tutto è
poggiato sul rapporto fra persone, con le loro complessità, le loro caratteristiche umane,
la loro storia, peculiarità che certamente andranno a condizionare gli atteggiamenti.
Stabilire empatia non è la causa che permette la realizzazione di un progetto ma
senz’altro rappresenta una condizione che facilità l’incontro e la predisposizione
all’ascolto»24
.
La letteratura di settore, pur riconoscendo una certa difficoltà, si è profusa nello
sforzo di elencare le peculiarità del bravo lobbista. Una sfida non da poco se si
considera la svariata provenienza degli operatori di settore: aziende private, esperienze a
livello statale, incarichi politici, gestione di strutture pubbliche, professione forense. Ma
qualunque sia l’origine, ciò che accomuna è l’onestà, la propensione all’ascolto
24
Relazioni Pubbliche, magazine della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana,
Ferpi, anno XX, n°61/2010, p. 6.
23
(sempre!), marcate capacità comunicative e persuasive, accurate conoscenze del
processo decisionale e maestria intellettuale.
Secondo Paolo Zanetto25
, «il lobbista deve essere innanzi tutto un mediatore e un
negoziatore. Deve essere in grado di far comprendere al proprio cliente, quindi
all’azienda, quali siano le logiche, i poteri ma soprattutto gli obiettivi che le istituzioni
si pongono». Un ruolo non sempre facile: «Davanti ad una linea dura dettata
dall’azienda – prosegue - deve saper dire di no, deve fare ragionare l’azienda. Deve
sapere far comprendere e tradurre i modelli delle istituzioni nella lingua delle aziende».
Il lobbista può allora acquisire una leadership, possedere carisma e saper guidare
l’azienda ad ottenere i migliori risultati possibili nella relazione con il legislatore. Di
nuovo Zanetto: «[Il lobbista] deve essere evidentemente in grado di tradurre nel
linguaggio della politica e delle istituzioni quelle che sono le esigenze dell’azienda e il
suo business»26
. Il lobbista, dunque, soprattutto in quest’ultimo caso, assume un ruolo di
vera e propria guida e “campanello di allarme” per il legislatore, il quale è pianifica
norme ex novo il cui impatto non viene però valutato nella sua totalità.
La mediazione, ovviamente, non viene praticata soltanto nei confronti dell’azienda
cliente ma anche dell’interlocutore politico. Secondo Emanuele Invernizzi «un
atteggiamento culturale orientato alla mediazione è il presupposto basilare per esercitare
la professione dei public affairs. Mediazione è sinonimo di dialogo, ovvero di
cooperazione e di collaborazione. Il professionista deve sapere che un’attività di
convincimento e di influenza come quella dei public affairs, basata sull’argomentazione
(e sulla soddisfazione, ndr) dei reciproci interessi (I win-you win, ndr) e sulla dialettica
tra i soggetti coinvolti, offre più opportunità rispetto a una pura trasmissione di
informazioni»27
, tipicamente unidirezionale e asimmetrica.
La capacità di gestione delle situazioni che si creano è una prerogativa affermata
anche da Mazzoni, il quale riconosce al lobbista l’importante qualifica di «superbo
25
Cofondatore della Cattaneo Zanetto & Co.
26 http://illobbista.wordpress.com/2010/02/09/italia-e-lobbismo/#comments
27 E. Invernizzi, Manuale di relazioni pubbliche 2. Le competenze e i servizi
specializzati. McGraw-Hill, Milano, 2006, p. 228.
24
comunicatore che conosce l’importanza dell’ascolto». Tale competenza si rivela di
fondamentale importanza in una delle fasi più delicate del processo di lobbying: la
gestione delle interazioni one-to-one. Il l’obiettivo del lobbista diviene così la creazione
di un rapporto di fiducia, a cui si giunge soltanto con la competenza e la preparazione
sull’argomento affrontato. Questo consente all’interlocutore politico di considerare
attentamente le informazioni che sta ricevendo, fidandosi dei contenuti proposti.
Toni Muzi Falconi28
ha così sintetizzato gli aspetti fondamentali per la credibilità e
la legittimazione del professionista di relazioni pubbliche che si occupa di public affairs:
Paga l’onestà e la trasparenza dell’interesse rappresentato. La credibilità del
professionista e dell’interesse rappresentato sono i valori più importanti;
Vanno sempre esplicitati il committente e l’obiettivo perseguito;
Al decisore pubblico va sempre garantito un “valore aggiunto”;
Mai perdere di vista il vero decisore e aggiornare costantemente la
documentazione da inviare;
Nell’argomentare il tema, partire sempre dall’interesse generale della comunità e
dall’interesse del decision maker, mai da quello dell’organizzazione;
Tenere conto delle specificità dei diversi decisori e del gruppo di appartenenza;
Informare costantemente anche i pubblici influenti;
Porsi sempre l’obiettivo di ottenere dal decisore una posizione corretta, non
“favorevole”;
Il professionista è solamente una delle tantissime fonti di informazione del
decisore pubblico;
Se non desiderate che una frase, un commento o una notizia vengano utilizzate
impropriamente, non fatene menzione, neppure in via confidenziale.
Mazzoni riprende parte delle caratteristiche enunciate da Muzi Falconi, seppur
proponendo un elenco più ristretto, frutto di interviste agli operatori di settore. In tutti
gli elenchi vi è sempre spazio per inclusioni. Mazzoni non si discosta da questa prassi e,
agli elementi di cui sopra, ingloba il non promettere mai ciò che non potrà essere
realizzato (una regola ferrea delle RP) poiché il successo di qualsiasi tattica individuata
dal lobbista dipende da un’accurata analisi delle risorse a disposizione per raggiungere
28
Rubin, op. cit. p. 140.
25
l’obiettivo. A ciò, si aggiunge l’interazione anche con i collaboratori del politico di
riferimento. La credibilità e la fiducia tra il lobbista e il politico dipendono anche dalla
capacità del primo di saper costruire un rapporto con gli uomini di fiducia del secondo.
Infine, propone un must per il professionista dei public affairs: divenire una fonte per il
decisore pubblico, ma senza incorrere in sorprese. Il politico detesta gli eventi inattesi,
in particolar modo le notizie che lo mettono in cattiva luce. Il lobbista diventa una fonte
del politico se gli fornisce informazioni sicure, chiare, semplici che lo agevolano nella
sua attività.
La necessità della già citata relazione di fiducia costringe il lobbista ad una conditio
sine qua non, ovvero un aggiornamento costante sull’evoluzione normativa e scientifica
del problema trattato, utile anche per meglio pianificare ed aggiornare la propria
strategia di influenza. «L’autorevolezza del lobbista, da cui dipende molto del successo
della sua azione, discende dalla sua credibilità che, a sua volta, è essenzialmente
connessa alle conoscenze possedute sulla questione sostenuta».
La perizia nella comunicazione non è semplice da conseguire. La pratica è
indubbiamente il miglior modo per ottenerla. Pur tuttavia, parlare di “abilità di
comunicazione” espone al rischio di essere vaghi. Stefano Rolando e Stefania
Romenti29
hanno però chiaro il concetto, secondo il quale il buon comunicatore deve
preoccuparsi di:
Rendere espliciti gli interessi rappresentanti e gli obiettivi perseguiti, spiegarli e
argomentarli con precisione;
Rendere note e certe le fonti di tutto il materiale trasmesso all’interlocutore
pubblico;
Utilizzare il linguaggio del soggetto istituzionale, tenendo presente che esso è
ricco di simbolismi e di formalità;
Catalizzare l’ascolto e l’attenzione dei decisori pubblici;
Dare buona visibilità alle informazioni capaci più di altre di modificare opinioni,
atteggiamenti e decisioni;
Rendere percepibili e apprezzabili per il decisore pubblico i “vantaggi” dello
scambio.
29
Rubin, op. cit., p. 140.
26
Il lobbista è, in aggiunta, un attento studioso del processo decisionale, del contesto
istituzionale (e della sua evoluzione), della letteratura scientifica presente
sull’argomento di suo interesse e soprattutto del suo interlocutore (il decisore).
Conoscere il proprio interlocutore (ascoltarlo) permette di capire quali siano gli
argomenti da trattare e quali da evitare, quali gli obiettivi che l’interlocutore potrebbe
appoggiare e quali, invece, potrebbe evitare. È importante, inoltre, conoscere la sua
storia personale, l’istituzione in cui lavora e ha lavorato, le sue preferenze, le sue idee.
A tale scopo il lobbista può sfruttare l’enorme banca dati rappresentata da internet. Si
genera, conseguentemente, un profilo per ognuno degli interlocutori. Le informazioni
raccolte saranno utili per rompere il ghiaccio e p instaurare fin da subito un buon
feeling: «Gli uomini (e le donne) – scrive Paolo Zanetto30
- apprezzano chi conosce le
loro attività, i loro successi e chi presta interesse alle loro idee. Il protagonista della
relazione è sempre il nostro interlocutore e mai noi stessi, quindi prepararsi, prepararsi e
ancora prepararsi». Arrivare preparati ad un incontro istituzionale significa avere ben
chiare la value proposition31
che si vuole trasmettere al proprio interlocutore. È utile in
queste circostanze allestire dei documenti allo scopo. Gli appunti devono esprimere un
concetto e niente di particolarmente complesso. Deve essere una sorta di aggancio che
permetta di essere rielaborato in incontri successivi o in momenti “operativi” e non solo
relazionali. La differenziazione appena riportata non è casuale. È invece basilare. Spiega
Zanetto: «Soprattutto i primi incontri devono avere, il più possibile, una natura
relazionale. Sono momenti in cui ci si conosce e si illustrano le proprie posizioni e si
cerca di capire quali sono le opportunità per essere utili gli uni agli altri. Gli incontro
operativi – prosegue – non solo possono essere allargati alla presenza di persone e staff
ma hanno appunto la finalità di affrontare in dettaglio problemi specifici». Il lobbista è
perfettamente consapevole della moltitudine di appuntamenti nell’agenda del politico di
riferimento. Ecco perché gli incontri non durano mai eccessivamente, a meno che non
sia l’interlocutore a condurre l’incontro in tale direzione. Considerando in anticipo la
30
Cattaneo, Zanetto, op. cit., p. 164.
31 Insieme delle strategie aziendali in termini di prodotti, prezzi, luoghi, servizi e
immagini.
27
durata dell’incontro, il lobbista segna i pochi punti da trattare. Come diceva J.F.
Kennedy, «tre fogli e dieci minuti». Un altro elemento da considerare è il luogo
dell’incontro. La maggior parte di questi avviene, normalmente, all’interno degli uffici
degli esponenti politici. Nulla vieta, soprattutto per i successivi incontri, di cambiare
location, in modo da creare un’atmosfera più confidenziale. «Dai campi da golf ai
ristoranti di lusso, sono molti i luoghi di seduzione dei lobbisti. Ma al di là dell’aspetto
aneddotico è importante che i primi contatti siano agevolati da un contesto che renda
unica l’esperienza e contribuisca a rinforzare la reputazione e il prestigio di chi ha
organizzato l’incontro»32
. Non bisogna dimenticare, infatti, che il lobbista sta
costruendo l’immagine dell’azienda, tanto quella rappresentata quanto la propria.
Competenze giuridiche, comunicative, manageriali, strategiche. Che altro? Manca
quella che, con ogni probabilità, è la caratteristica più importante, alla luce del contesto
in cui il lobbista si trova ad operare: l’Italia e i suoi pregiudizi. I lobbisti che si
occupano di public affairs non possono non disporre di un codice etico di fondo. Sono
almeno sei i valori etici che devono costituire un fermo punto di riferimento:
Democrazia degli interessi: gli interessi pubblici e privati devono poter essere
tutti rappresentati, sostenuti e argomentati presso le istituzioni pubbliche. Per
fare in modo che il processo decisionale pubblico si ispiri ai principi della
democrazia e del pluralismo non devono esistere interessi marginalizzati o presi
in considerazione in maniera inadeguata;
Equilibrio tra governabilità e partecipazione: le istituzioni pubbliche devono
ascoltare la maggior parte degli interessi in gioco in un processo decisionale
(partecipazione), giungendo in ogni caso alla decsione finale in tempi
ragionevoli e accettabili per il buon funzionamento della società civile
(governabilità). Un’azione civica può essere svolta attraverso le attività di public
affairs in quanto esse non hanno lo scopo esclusivo di tutelare gli interessi
economici dei soggetti che li esprimono, ma anche di rappresentare quelli sociali
e di esercitare il controllo sull’attività delle istituzioni pubbliche;
Manifestazione privata del pubblico interesse: i soggetti privati devono
concorrere, insieme a quelli pubblici, alla tutela di diritti, valori e interessi di
32
Cattaneo, Zanetto, op. cit. p. 165.
28
pubblica utilità. Il pubblico interesse non deve essere relegato all’esclusiva sfera
d’azione delle istituzioni;
Esercizio del pluralismo degli interessi: questo deve essere incentivato dalle
istituzioni pubbliche che dovrebbero spingere tutti i portatori di interesse ad
argomentare le proprie posizioni in nome di un pluralismo che deve essere
rispettato;
Diritto di legittima tendenziosità: ciò vale all’interno dei confini posti dalla
legge. Essere tendenziosi non significa però non essere veritieri. La credibilità
dell’interesse rappresentato e del singolo professionista sono valori fondamentali
da salvaguardare.
La fusione di tutte queste caratteristiche enunciate finora rendono delineabile in
forma pressoché completa il profilo del lobbista. È un esperto, prima di tutto: conosce
alla perfezione il processo decisionale, le issue che rappresenta e l’organizzazione per
cui lavora. Secondo Mazzoni «il lobbista è come il girasole, si muove là dove c’è il sole,
cioè dove c’è il potere e lì concentra la pressione politica». Ma, forse, il concetto che
meglio delinea l’azione del lobbista è fornito da Joseph S. Nye jr: soft power. Il termine
indica la capacità di ottenere i risultati che si vogliono con la forza delle parole dette,
dell’attrazione prodotta, senza mai agire sulla costrizione. Esso si fonda sulla «capacità
di condizionare le preferenze degli altri, affinché desiderino fare ciò che noi vogliamo
che facciano»33
. È un’azione con cui si tenta di indurre qualcuno (il decisore pubblico) a
fare ciò che si vuole che faccia tramite, soprattutto, risorse intangibili (le informazioni
trasferite).
33
Mazzoni, op. cit. p. 112.
29
1.3 Gli attori
L’attività di lobbying implica, come abbiamo visto, un’intensa interazione tra
soggetti anche differenti accomunati però da un interesse su provvedimento normativo.
Un’analisi sulla partecipazione al processo normativo porta all’individuazione di quattro
tipologie di attori, raffigurate nello schema qui proposto in figura 1:
FIG. 1: Gli attori delle relazioni istituzionali
Dal punto di vista della classificazione degli attori, la letteratura di settore propone
diversi modelli, più o meno elaborati, in cui il numero di coloro che sono coinvolti
nell’azione di lobbying varia. Il modello in figura 134
è tanto semplice quanto completo
34
Invernizzi, op. cit. p. 200.
MEDIATORI
PUBBLICI
INFLUENTI
ISTITUZIONI
PUBBLICHE
PORTATORI
DI INTERESSE
30
e ben identifica la tipologia di relazioni intercorrenti tra i diversi soggetti (definite anche
graficamente dalla presenza/assenza del tratteggio).
I portatori di interesse o stakeholder cercano un legame diretto con le istituzioni
pubbliche, verso le quali vantano degli interessi diretti (per esempio, i produttori di
sigarette costretti a inserire, sulle confezioni, gli avvisi dei danni provocati dal fumo). I
portatori di interesse possono agire tramite i pubblici influenti e i mediatori. La loro
azione, in particolare quella dei lobbisti, consiste, secondo lo schema proposto, nel
supportare le prese di posizione palesate dai portatori di interessi presso le istituzioni
pubbliche. I portatori di interesse possono quindi avvalersi del supporto della comunità
locale o degli opinion leader (gli influenti) affinché rappresentino le istanze degli
stakeholder presso le sedi istituzionali.
1.3.1. I portatori di interesse
I portatori di interesse sono definiti come «quei soggetti che operano nel contesto in
cui le istituzioni pubbliche assolvono alle proprie funzioni e che nutrono legittimi e
specifici interessi di natura economica e sociale. Pertanto ogni cittadino, ogni
organizzazione profit e non profit, ogni associazione può essere definito un portatore di
interesse». Va comunque ricordato che gli stakeholder sono caratterizzati dalla piena
consapevolezza del loro essere incisivi sulle scelte del legislatore.
Di fatto, è da notare come non tutti i portatori di interesse siano da considerare
protagonisti del processo di lobbying in quanto assumo un rilevanza strategica nel
momento in cui gli interessi che rappresentano influenzano il processo politico e
decisionale delle istituzioni pubbliche.
A loro volta, i portatori di interesse possono essere suddivisi in quattro categorie
come da figura 1.2:
31
FIG. 1.2: classificazione dei portatori di interesse
ORGANIZZAZIONI PROFIT: appartengono a tale sottogruppo le imprese e i
gruppi di imprese. La loro attività di lobbying è finalizzata alla rappresentanza degli
interessi relativi al proprio business e al sostegno delle questioni di pubblico interesse.
Molte aziende hanno, laddove possibile, instaurato contatti diretti con il decisore
attraverso l’installazione di appositi uffici/divisioni di relazioni istituzionali per
diminuire le distanze. È il caso di molte multinazionali europee e straniere, attive a
Bruxelles per monitorare (tramite lobbisti interni o professionisti esterni) le attività
all’interno della Commissione Europea e del Parlamento Europeo.
ORGANIZZAZIONI NON PROFIT: rientrano nella suddetta categoria le
associazioni che non vantano interessi economici. La loro attività è invece incentrata su
tematiche sociali, quali la difesa dei diritti sociali, la tutela dell’ambiente. Altresì
rappresentano soggetti accomunati da un particolare riferimento sociale e culturale o da
uno specifico stile di vita (associazioni sportive, religiose o circoli culturali).
GRUPPI DI INTERESSE: in questo ambito sono inclusi i soggetti organizzati su
basi volontarie e accomunati da un interesse economico o sociale che intendono
PORTATORI DI INTERESSE
Organizzazioni profit
Organizzazioni non profit
Gruppi di interesse
Istituzioni pubbliche
32
rappresentare esplicitamente presso le istituzioni pubbliche, al fine di esercitare una
pressione sulle loro politiche decisionali. Tale pressione può essere svolta in molteplici
modalità: offerta di informazioni (cosiddette forme deboli e/o convenzionali),
manifestazioni, forme di protesta ed episodi di boicottaggio35
(forme di azioni forti e/o
non convenzionali). Nel corso del XX secolo sono state fornite più definizioni di tale
categoria. Secondo Bentley (1908), il quale pone l’enfasi sull’interesse rappresentato,
«un gruppo coincide con ogni sezione della società che agisca o tenti di agire». Gruppo
e attività di gruppo sono termini equivalenti, con una differenza soltanto di tono, utile
meramente per chiarezza di espressione. Non vi è gruppo senza un proprio interesse.
Anzi, un interesse, nell'accezione proposta da Bentley, è l'equivalente di un gruppo: il
gruppo e l'interesse non sono separati. Essi sono una cosa sola, cioè molti uomini legati
insieme in o da una certa attività. Ne consegue un'identificazione di fondo tra gruppo,
attività e interesse, il quale ultimo è esteso a indicare tutti i gruppi che partecipano al
processo sociale in vista del perseguimento di una qualunque finalità empirica.
Parafrasando Truman (1951), «Qualsiasi gruppo che, sulla base di atteggiamenti
condivisi, presenta domande ad altri gruppi della società», optando invece per un’enfasi
sull’atteggiamento manifestato. Il gruppo d'interesse è dunque visto come un gruppo di
atteggiamenti condivisi che porta avanti certe rivendicazioni rispetto ad altri gruppi
della società. A loro si discostano Gabriel Almond e Bingham G. Powell36
: «Individui
legati da comuni preoccupazioni e interessi, che sono consapevoli di questo legame»
(enfasi sull’appartenenza).
È comunque possibile disporre di una definizione empirica: «Un insieme di persone,
organizzate su basi volontarie, che mobilita risorse per influenzare le decisioni e le
conseguenti politiche pubbliche». Il gruppo di interesse si basa su:
Organizzazione del gruppo (di solito) formalizzata da apposite norme;
Aggregazione volontaria;
Partecipazione libera.
35
Le modalità di attuazione del lobbying saranno proposte nel paragrafo 1.4
36 Autori, nel 1978, di uno studio sul sistema politico.
33
La classificazione dei gruppi di interesse avviene su una quadrupla ripartizione:
Struttura organizzativa;
Modalità di azione;
Obiettivi;
Risorse.
Gli stessi Almond e Powell hanno attuato una frammentazione dei gruppi di
interesse, ripresa da Invernizzi e proposta in figura 1.3:
Figura 1.3: suddivisione dei gruppi di interesse di Almond e Powell.
GRUPPI DI INTERESSE
Anomici Non
associativi Istituzionali Associativi
34
GRUPPI DI INTERESSE ANOMICI: appartengono a tale categoria i comitati
spontanei, attivi soprattutto in casi di disagio e di malcontento in seguito ad una
determinata decisione pubblica. (Es. Comitato no TAV in Val di Susa, comitato di
Acerra contro la costruzione del termovalorizzatore).
GRUPPI DI INTERESSE NON ASSOCIATIVI: non sono organizzati da un punto di
vista istituzionale, pur essendo caratterizzati da un interesse in comune come la
religione, l’etnia, la razza, la religione, la lingua, la regione, l’occupazione o forse
legami di sangue e di discendenza (Es. la comunità ebraica).
GRUPPI DI INTERESSE ISTITUZIONALI: associazioni nate per svolgere funzioni
politiche e sociali diverse dalla rappresentanza degli interessi dei propri membri, ma che
sono pronte a farlo all’occorrenza (Es. le fondazioni e le associazioni politiche, per
esempio “Il circolo del buon governo” del senatore Marcello Dell’Utri).
GRUPPI DI INTERESSE ASSOCIATIVI: associazioni costituite con il preciso scopo
di rappresentare gli interessi dei propri membri, quali le associazioni di categoria
(Confindustria), territoriali e professionali37
.
Non è sempre detto che i diversi gruppi abbiano degli interessi comuni. Si può
infatti verificare una situazione in cui vi sia un solo interesse in comune, con un’ampia
divergenza su molti altri. I gruppi di interesse possono allora creare
un’alleanza/coalizione, dando così vita ad una issue network of influence.
La teoria pluralista dei gruppi elaborata da Arthur Fisher Bentley ha, con i suoi
concetti, supportato l’azione degli stessi e ne ha riconosciuto l’efficacia grazie a tre
caratteristiche:
Equilibrio: la pluralità dei gruppi garantisce equilibrio fra forze contrastanti. La
sfida dei gruppi attivi porta alla mobilitazione dei gruppi latenti
37
Un esempio è rappresentato dall’American Association of Retired Persons, che
raggruppa negli USA oltre 34milioni di membri tra anziani e pensionati. L’associazione
si avvale di uno staff a Washington di 400 persone che coltivano le relazioni con il
Congresso americano.
35
Socializzazione: la vita nelle associazioni educa all’interazione con gli altri. Le
appartenenze multiple facilitano la tolleranza reciproca
Autonomia della società dallo stato: i gruppi esprimono la capacità della
società di organizzarsi dal basso. La funzione essenziale dello Stato è la
mediazione fra i diversi interessi
Mentre la teoria pluralista sostiene l’efficacia dei gruppi, Mancur Lloyd Olson, Jr.38
,
nei suoi studi di settore, ha criticato tale modus operandi, sostenendo la difficoltà, per i
gruppi di interesse, a rappresentare i propri interessi. A supporto della sua tesi, Olson ha
sviluppato una critica fondata su tre istanze:
I gruppi a difesa di interessi generali sono difficili da organizzarsi a tutto
vantaggio dei gruppi a difesa di interessi particolaristici;
La mobilitazione di risorse e l’emergere di imprenditori dell’azione collettiva
sono più facili fra individui ricchi di risorse materiali più istruiti e in un alto
reddito. La capacità dei gruppi di organizzarsi varia quindi a seconda delle
risorse;
Le coalizioni (di interessi) a fini distributivi abbassano la capacità di una
società di adottare nuove tecnologie e di riallocare risorse in risposta al mutare
delle condizioni, riducendo il tasso di crescita economica. La loro crescita
accresce la complessità della regolazione, il ruolo dello Stato e la complessità
delle intese e modifica la direzione dell’evoluzione sociale.
Ciò che invece sembra apportare i risultati migliori è il concetto di Neo-
corporativismo, coniato da Philip Schmitter39
(1974) in opposizione alla teoria
pluralista. Il concetto prevede un sistema di rappresentanza di interessi dove le unità
38
1932 – 1998, economista e scienziato sociale statunitense. Lavorò presso
l'Università del Maryland, College Park. Sono di primaria importanza i suoi contributi
alla teoria della scelta pubblica, nonché all'economia istituzionale, sul ruolo della
proprietà privata, l'imposizione fiscale, i beni pubblici, l'azione collettiva e i diritti di
contrattazione nello sviluppo economico.
39 Professore di scienze politiche e sociali, Istituto universitario europeo, Firenze.
36
costitutive sono organizzate in numero limitato di categorie non competitive, strutturate
gerarchicamente, differenziate funzionalmente, riconosciute, se non organizzate dal
governo, non competitive tra loro, che esercitano complessivamente il monopolio della
rappresentanza.
Invernizzi (2006) include all’interno dei portatori di interesse anche le stesse
istituzioni pubbliche poiché queste possono dare vita a relazioni inter-istituzionali di
tipo orizzontale (stesso ambito di azione, per es. due ministeri) o verticale (ambiti
diversi, per es. il rapporto Governo – Regione).
Si è parlato, finora, di gruppo/i di interesse/i., spesso confuso con «gruppo di
pressione». È d’obbligo una precisazione: il gruppo di pressione è riconosciuto dal
potere decisionale, a differenza del gruppo di interesse. Facchetti e Marozzi40
offrono un
ampio elenco di nominativi di soggetti attivi (gruppi di pressione e gruppi di opinione)
nel panorama nazionale italiano:
Confindustria;
Fiat, Eni, Enel;
Rappresentante degli interessi delle attività regolamentare: Farmindustria, Abi,
Ania, Confservizi;
Cigl, Cisl, Uil;
Lobby-istituzione: Banca d’Italia, Autorities, associazioni dei magistrati;
Coldiretti fino agli anni Ottanta (in quanto considerata allora come l’unica
lobby ufficiale in Italia41
) e le lobby parlamentari “insider”;
Associazioni ambientaliste;
Lobby trasversale meridionalistica;
Regioni ed enti locali;
Rappresentanze UE;
Lobby mediatiche: «Porta a porta»; «Il Corriere della Sera»; «Repubblica»; «Il
Sole 24 Ore»42
.
40
Facchetti, Marozzi, op. cit. p. 235.
41 Master MICRI, op. cit. p. 12.
37
1.3.2. Mediatori
La categoria dei mediatori raggruppa tutti quei soggetti che fungono da “ponte” di
collegamento tra i portatori di interessi e il decisore pubblico. Attraverso l’analisi delle
tematiche care agli stakeholder sono in grado di rapportarsi con le istituzioni pubbliche,
incidendo sulle loro politiche decisionali. Il lobbista rappresenta il mediatore più
importante ma lo stesso ruolo di influenzatore può essere esercitato anche da media, i
centri di studi e di ricerca e le società che svolgono sondaggi di opinione. Questi ultimi
soggetti, inoltre, possono apportare importanti contributi conoscitivi al lobbista,
implementando la sua strategia di comunicazione, a beneficio della corretta capacità di
argomentazione e persuasione.
Dal canto loro, i media possono rappresentare un valido alleato in quanto,
veicolando i messaggi provenienti dalle organizzazioni (stakeholder), divengono delle
vere e proprie casse di risonanza, veicolando le azioni del decisore pubblico. L’uso dei
media stessi, inoltre, può essere consigliato dai mediatori: creando e diffondendo
informazione, infatti, si può ottenere consenso, che il legislatore non può ignorare.
Altresì fondamentale è il ruolo ricoperto dai centri di studi e di ricerca. Non solo
forniscono dati oggettivi ma gli stessi ricercatori sono prova di garanzia della veridicità
delle informazioni raccolte e il vantaggio di essere super partes non li sottopone alla
diffidenza delle istituzioni pubbliche, a differenza di quanto potrebbe accadere ad un
lobbista.
Accanto alla categoria dei mediatori si posizionano i pubblici influenti. A differenza
dei mediatori, sono rappresentati dagli opinion leader, dalle comunità locali e
territoriali. La loro azione può incidere sull’operato delle istituzioni, andando ad
accelerare o a ritardare l’iter dei provvedimenti legislativi.
42
Gli autori fanno notare che si è giunti all’espressione “partito di Scalfari” e “partito
di Mieli”, rispettivamente direttori di Repubblica e Corriere della Sera.
38
1.3.3. Le istituzioni pubbliche
Le istituzioni pubbliche sono costituite dai soggetti delegati alla stesura dei
provvedimenti legislativi che hanno un impatto diretto sul business e l’attività degli
soggetti portatori di interessi. Le istituzioni possono operare su livelli differenti:
Ambito territoriale: Regioni, Province, Comuni, comprensori e comunità
montane, aziende di pubblico servizio (Asl), aziende municipalizzate;
Ambito nazionale: Parlamento (Camera dei Deputati, Senato della Repubblica e
le relative Commissioni permanenti), Governo, Magistratura, Authority;
A livello comunitario: Commissione Europea, Parlamento Europeo, Consiglio
Europeo, Comitato economico e sociale, Comitato delle Regioni;
A livello internazionale: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico (OCSE), Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), Banca
Mondiale.
Le organizzazioni che monitorano i diversi livelli devono provvedere ad una
gestione integrata delle stesse al fine di individuare le coerenze e le sinergie esistenti tra
i diversi ambiti. In aggiunta, la gestione integrata consente di avere una visione
d’insieme utile a cogliere le interconnessioni tra gli ambiti e monitorare con più
efficacia l’intero iter dei processi normativi e regolamentativi.
Al di là della conoscenza di tali livelli operativi, il bagaglio culturale del
professionista dei public affairs deve contenere due fondamentali elementi:
Conoscenza dell’iter legislativo di un provvedimento
Capacità di identificazione del decisore di interesse.
Comprendere il processo che porta all’esame di un testo legislativo consente al
lobbista di stabilire i tempi di intervento della sua azione. Non serve a nulla, infatti,
intervenire una volta che una Commissione parlamentare ha esaminato gli emendamenti
e licenziato il testo, prossimo all’esame dell’Aula. In relazione al processo di
identificazione, il lobbista deve capire chiaramente quali possono essere i soggetti che
possono supportarlo nell’azione di lobbying. Non è detto, infatti, che il primo firmatario
di una proposta di legge sia di fatto il soggetto su cui focalizzarsi.
39
1.4 L’azione di lobbying
Come abbiamo visto dai paragrafi precedenti, l’azione di lobbying coinvolge
determinate categorie di soggetti. Ma, affinché il processo si generi, è fondamentale la
commistione di altre componenti che Alberto Cattaneo e Paolo Zanetto hanno definito
“le quattro i” (Figura 1.4):
40
Figura 1.4: le quattro i del lobbying
L’azione di lobbying prende avvio con la manifestazione di un interesse inerente un
preciso ambito (issue). L’istanza viene rappresentata presso le istituzioni (institution)
alle quali il lobbista fornisce delle informazioni (information) al fine di rappresentare e
sostenere gli interessi (interest) vantati dagli stakeholder nei confronti di un
provvedimento legislativo.
41
Al fine di scuotere l’attenzione del legislatore, il lobbista può disporre di un’ampia
strumentazione, strutturata secondo tre distinte tipologie: gli strumenti di back office, gli
strumenti di comunicazione esclusivi, gli strumenti di comunicazione non esclusivi43
.
1.4.1 Gli strumenti di back office
Gli strumenti di back office consentono al lobbista di effettuare le fasi di
monitoraggio, l’interpretazione del contesto istituzionale e la selezione degli
interlocutori principali. Nel momento in cui viene presentata una proposta di
regolamentazione (legge o decreto che sia) che coinvolge l’azienda cliente, è necessario
controllarne quotidianamente l’iter: dall’annunciazione all’esame e conseguente
votazione, passando per l’assegnazione alla Commissione competente, che opera in sede
referente44
. Alla proposta di legge è ovviamente legato il nome del primo firmatario e
dei cofirmatari. I nominativi devono essere contenuti all’interno di un database di
contatti al fine di un costante aggiornamento degli stessi. Vengono così tracciati dei
profili dei soggetti di interesse e un loro studio consente, in una fase successiva, un
approccio più facilitato. Nel database figura, in aggiunta, un elenco di influenti
(giornalisti, opinion leader).
Per monitorare l’iter legislativo, il lobbista si affida ai siti istituzionali della Camera
dei Deputati e del Senato della Repubblica, al cui interno sono pubblicati il calendario
dei lavori istituzionali (Figura 1.5), l’ordine del giorno, i resoconti45
dell’Aula (Figura
1.6) contenenti anche gli allegati A e B46
. All’interno dei siti menzionati sono quindi
reperibili i calendari delle Commissioni (Figura 1.7), i loro resoconti e gli allegati
43
Invernizzi, op. cit. p.222 e seg.
44 È la Commissione deputata all’analisi e al licenziamento del testo che viene quindi
sottoposto all’esame dell’Aula. In taluni casi la Commissione può operare in versione
legislativa. Le Commissioni possono altresì operare in sede redigente, legislativa e
consultiva.
45 I resoconti sommari contengono un riassunto dei lavori.
46 Contengo gli atti di indirizzo e controllo, quindi mozioni, interrogazioni,
interpellanze.
42
annessi. Tra gli strumenti di back office troviamo inoltre il calendario degli eventi
pubblici (inaugurazioni, comizi, partecipazioni a convegni, incontri) e le mappe dei
rapporti di potere (curate dall’azienda di lobbying).
Figura 1.5: la pagina dei lavori istituzionali del sito della Camera dei Deputati
Figura 1.6: la pagina dei resoconti del sito della Camera dei Deputati
43
Figura 1.7: il calendario dei lavori delle Commissioni della Camera dei Deputati
1.4.2 Strumenti di comunicazione esclusivi
All’interno della seconda categoria sono contenuti i documenti il cui accesso è
strettamente riservato e la cui conoscenza è limitata esclusivamente ai professionisti dei
public affairs, le aziende clienti e il decisore pubblico. Nello specifico:
Position (o positioning) paper: è un documento al cui interno è riassunta la
posizione dell’azienda nei confronti di una determinata politica di pubblico
interesse. L’elaborato è teso ad informare il decision maker e a influenzare
l’opinione pubblica al fine di mobilitarla nei confronti del legislatore. Invernizzi
ricorda che «anche se può essere diffuso all’interno dell’organizzazione, ai
dipendenti, ai collaboratori o agli azionisti, il position paper è essenzialmente un
documento a uso esterno destinato ai decisori e ai loro influenti nonché ai
giornalisti e all’opinione pubblica». Il documento deve essere di facile lettura e
contiene, di solito,
a) una descrizione del tema;
b) il probabile impatto sull’organizzazione della scelta normativa
c) proposte alternative
d) sostenitori delle proposte alternative
e) nominativi dei politici da contattare;
44
Dossier: è un documento ad uso esterno in cui vengono analizzate le posizioni
dei decision maker e degli influenti su una specifica questione e sono raccolti gli
argomenti e i dati a supporto della tesi sostenuta dall’organizzazione;
Policy brief: è un documento interno che fornisce una maggiore
conoscenza/comprensione della issue specifica e che individua le diverse
posizioni in campo. Si fonda sull’analisi dei media, degli atti legislativi, delle
dichiarazioni rese dai protagonisti del processo decisionale. Spesso il policy
brief è affiancato al dossier;
Testi tecnici: sono documenti forniti dal lobbista al parlamentare di riferimento.
A tale tipologia si collegano le bozze di proposte di legge, di decreti o di
emendamenti oppure di interrogazioni parlamentari. Al fine di far presentare
un'interrogazione parlamentare occorre individuare la Commissione
parlamentare competente sulla problematica trattata e prendere contatto con il
capogruppo della Commissione per convincerlo della validità delle
argomentazioni addotte. È quindi necessario indirizzare il parlamentare
mediante una documentazione precisa, completa e ben strutturata. Maggiore sarà
il numero di parlamentari che sottoscrivono l’interrogazione, possibilmente di
partiti diversi, maggiore sarà l’efficacia di tale azione di comunicazione;
Playbook: è un documento di presentazione dell’organizzazione e delle
tematiche della stessa con la descrizione della posizione presa e degli interessi
rappresentati. Può essere consegnata al decisore pubblico durante gli incontri
personali. Già in sede di richiesta di colloquio, comunque, l’azienda propone un
breve profilo di se stessa;
Audizioni parlamentari: le audizioni consistono in un incontro tra
organizzazione e parlamentari. Le organizzazioni che fanno richiesta di
audizione (o che sono invitate a presentarsi) possono manifestare la propria
posizione. Possono essere di tipo informale. Oltre che in Aula, le audizioni si
possono svolgere anche a livello di Commissione47
. Le audizioni presentano due
particolari criticità: la possibilità per il relatore di non poter replicare alle
47
È il caso dell’ad di Fiat, Sergio Marchionne, ascoltato a marzo 2011 dalle
Commissioni IX (Traporti) e IX (Attività Produttive) della Camera dei Deputati.
45
obiezioni mossegli al termine del suo intervento (ragion per cui è bene prevedere
le obiezioni nel testo dell’audizione) e la loro calendarizzazione (a seguito del
fitto calendario dei lavori parlamentari);
Incontri diretti con i decision maker: sono gli incontri vis-a-vis per i quali è bene
osservare delle regole precise48
:
o Fornire informazioni obiettive, aggiornate e “di prima mano”, senza
nascondere a nome di quali interessi si parla
o Esporre interamente i fatti, compreso il punto di vista di eventuali
concorrenti, fornendo appropriate controargomentazioni
o Essere preparati nel dettaglio sul tema da discutere al fine di essere in
grado di rispondere ad eventuali domande di approfondimento
o Programmare l’incontro con largo anticipo
o Essere brevi così da concedere la possibilità di svolgere domande
o Spiegare separatamente ogni argomento quando la materia è complessa
o Organizzare una visita del decisore pubblico presso la propria
organizzazione
o Essere corretti, educati e attenti
o Essere personalmente convinto di quello che viene sostenuto e
argomentato
o Persuadere attraverso la presentazione oggettiva dei fatti e considerando
le motivazioni del decisore pubblico (soft-selling), evitando di arrivare
alla pressione psicologica, all’eccessivo coinvolgimento emotivo, alla
minaccia (hard-selling)
1.4.3 Strumenti di comunicazione non esclusivi
All’interno della presente categoria rientrano numerosi strumenti tradizionali delle
relazioni pubbliche.
Newsletter: consente un contatto periodico con i principali interlocutori così da
fornire loro aggiornamenti sull’evoluzione delle tematiche di interesse
48
Invernizzi, op. cit. p.224 e seg.
46
dell’organizzazione. Ai fini di una campagna informativa, la newsletter può
rivolgersi ad importanti interlocutori istituzionali rappresentanti delle forze
politiche, sociali ed educative;
Ricerche e studi: possono essere svolti all’interno o commissionati ad istituti di
ricerca esterni. Possono avere come oggetto dei contenuti tecnico-scientifici o
dei sondaggi di opinione. La loro utilità deriva dai dati contenuti con i quali
l’organizzazione avvalora la propria tesi nei confronti del decisore. Il miglior
lobbista è colui che fornisce le migliori informazioni, cioè efficaci nel
convincere il legislatore della necessità che una decisione vada presa e nella
direzione voluta dall’organizzazione (Grunig, Hunt, 1984)
Gestione delle relazioni con i media: i media possono rappresentare un prezioso
alleato, oltre che una vera e propria cassa di risonanza. Veicolando le istanze di
un’organizzazione i media possono sollecitare l’opinione pubblica, esponendo il
legislatore al giudizio del pubblico e costringendolo a modificare il calendario
dei lavori. Tra i principali strumenti dei mass media si citano:
o Articoli
o Studi e ricerche
o Lettere ai giornali
o Interviste
o Dichiarazioni dell’organizzazione
o Comunicati stampa
o Conferenze stampa
o Press briefing
o Partecipazioni ai programmi televisivi
Organizzazione di eventi: troviamo i convegni, i workshop, i dibattiti e le tavole
rotonde. La loro funzione è duplice: sensibilizzare, mediante il coinvolgimento
diretto, i decisori pubblici e i loro influenti; sensibilizzare l’opinione pubblica
sulle problematiche e sulle posizioni dell’organizzazione (sfruttando l’effetto
“cassa di risonanza” prodotto dai media);
Sponsorizzazione di manifestazioni e iniziative artistico-culturali: hanno un
ruolo sociale per l’organizzazione in quanto contribuiscono al miglioramento
47
della propria immagine49
. Campagne di pubblicità istituzionale: rientrano in
questo settore sia le campagne di comunicazione per promuovere i propri
interessi sia quelle utilizzate per comunicare direttamente con i decisori pubblici.
Tra le prime figurano le iniziative a carattere divulgativo per presentare gli
obiettivi e gli interessi dell’organizzazione. Le secondo comprendono iniziative
di comunicazione finalizzate a suscitare l’attenzione dei decisori pubblici e
dell’opinione pubblica pubblicando, in spazi pubblicitari appositamente
acquistati, “lettere aperte” o condurre vere e proprie campagne di pubblicità
istituzionale per sostenere le posizioni dell’organizzazione.
Agli elementi citati da Emanuele Invernizzi si affiancano, inoltre, diversi strumenti,
citati da Giampietro Vecchiato50
:
Mappa delle issue e issue analysis: considerate dallo scrivente quali strumenti di
back office, sono documenti che offrono una sintetica descrizione della issue,
delle normative, degli atti/decisioni in corso, dei sostenitori/oppositori, delle
opzioni possibili e delle finalità. Per ogni questione all’ordine del giorno sono da
individuare i gruppi di interesse attivi, il loro grado di coinvolgimento, le
capacità operative e di mobilitazione, il potere di influenza;
Pareri pro veritate: sono pareri realizzati da giuristi, costituzionalisti e/o esperti
del settore di riferimento in merito alle questioni che possono apparire dubbie
sul piano legale e costituzionale. Servono a confermare la fondatezza delle tesi
sostenute dall’organizzazione, come supporto alla propria posizione, come
argomentazione integrativa autorevole per comunicare con i media;
Cause legali: è una pratica poco utilizzata in Italia. Le cause legali vengono
spesso usate per sfruttarne l’effetto annuncio con l’obiettivo di ottenere la
sospensione di un provvedimento della pubblica amministrazione. Le azioni
legali comprendono:
49
Esempi celebri sono rappresentati dal restauro del Cenacolo di Leonardo (Olivetti)
e la sponsorizzazione del Teatro alla Scala di Milano (Cariplo).
50 Vecchiato, op. cit. p. 148 e seg.
48
o Apertura di vertenze giudiziarie presso i tribunali (amministrativi e non)
o Creazione di casse di risonanza durante il processo e dopo la sentenza
se favorevole
o Patrocinio a propri aderenti che aprano vertenze giudiziarie,
possibilmente in numero elevato, sui temi di interesse
dell’organizzazione
o Assistenza tecnico-legale a propri aderenti che si impegnano in vertenze
giudiziarie
Coalizioni: usate per allargare il fronte a sostegno di una determinata posizione.
L’effetto prodotto permette di rafforzare l’influenza sui decisori pubblici e
attribuisce alla questione specifica e di parte un carattere più generale;
Grass root campaigns: l’azione prevede la mobilitazione di una parte
dell’opinione pubblica a fianco dell’organizzazione. È necessario che le persone
mobilitate siano accomunate dalla stessa opinione e che siano disponibili a
manifestarla (lettera, telefonata, cartolina, e-mail).
In riferimento alle alleanze, Facchetti e Marozzi51
attuano una loro classificazione,
distinguendole in alleanze numerose e molto rappresentative (si punta sulla quantità dei
partecipanti) e alleanze ristrette ma con forti capacità di influenza e di
“simbolizzazione” (al centro vi è la qualità). «L’interlocutore politico – ricordano – è
molto sensibile alla forza di un endorsement apparentemente, o realmente, “neutrale”.
La scelta legislativa o amministrativa, proprio perché ha bisogno, per essere
convincente, di essere fatta nel nome dell’interesse generale, è molto più forte se
sostenuta non solo dall’interesse di parte dichiarato, ma da chi apparentemente è
portatore di una neutralità di giudizio».
1.5 L’azione di lobbying
Abbiamo finora definito il lobbying e analizzato, in particolare, il professionista del
settore. Definire questa attività solo come il tentativo di influenzare il decisore pubblico
è assai limitativo in quanto il lobbista deve sapere coniugare tutti gli strumenti a sua
disposizione. Il lobbying è sì l’esercitare una pressione sul legislatore ma è
51
Facchetti, Marozzi, op. cit. p. 241 e seg.
49
fondamentale, per chi la pratica, scegliere i mezzi più idonei e la tempistica in cui
applicarli. In particolare, due sono le fasi critiche: l’esposizione al decision maker di
un’informazione oggettiva e documentate e la corretta capacità di argomentazione e di
persuasione.
La teoria delle relazioni istituzionali propone differenti modelli di attuazione: i
modelli adattivo, reattivi, proattivo ed interattivo; il lobbying diretto e indiretto.
1.5.1 I public affairs
Il termine public affairs viene spesso utilizzato per indicare l'attività di fare pressione
sulle istituzioni, quale sinonimo di lobbismo o relazioni istituzionali. Tuttavia per public
affairs si devono intendere piuttosto tutte le attività strategiche di un'impresa dirette ai
suoi numerosi stakeholder, ovvero a quello che il marketing chiama pre-mercato52. Si
tratta di tutte quelle forze che direttamente o indirettamente creano il contesto
competitivo nel quale l'azienda deve muoversi. Ovvero le regole del gioco. Una
strategia di public affairs si basa sull'utilizzo sinergico di tutte queste leve, senza
limitarsi alla sola attività di lobbismo. Le relazioni istituzionali senza la capacità di
gestire in modo corretto le relazioni con i media, o le relazioni sindacali senza
un’efficace comunicazione istituzionale, sono infatti degli strumenti spuntati che
difficilmente sono in grado di produrre risultati. Così come esiste un marketing mix che
amalgama e rende efficaci le leve di marketing, allo stesso modo l’azienda deve iniziare
a programmare le sue strategie in termini di public affairs mix. La tabella di figura 1.8
può facilitare la comprensione del public affair mix:
52
Cattaneo, Zanetto, op. cit. pp. 4 e seg.
50
Soggetti del pre-mercato Attività di influenza
Istituzioni pubbliche
Lobbying/Relazioni istituzionali
Comunità finanziaria Political intelligence
Mass media Media relations
Sindacati Relazioni sindacali
Gruppi di opinione Marketing relazionale
Grande pubblico Comunicazione istituzionale
Comunità internazionale Business diplomacy
Potere giudiziario e Authority Affari legali e regolatori
Figura 1.8: il public affair mix
1.5.2 I quattro modelli di public affairs
Alberto Pastore e Maria Vernuccio53
hanno identificato quattro tipologie di
approccio alle relazioni istituzionali attuato dalle organizzazioni, classificate in base a
due variabili: la loro complessità per l’organizzazione e il livello di interazione con le
istituzioni pubbliche (Figura 1.9).
Adattivo: Secondo tale approccio, l’organizzazione cerca solamente di adattarsi ai
cambiamenti dell’ambiente in cui essa opera. Subisce passivamente l’azione del
legislatore senza tentare (per assenza di volontà o di risorse) di influenzarlo ex-ante.
Che si affidi a dei professioni dei public affairs o al reparto di Relazioni Istituzionali, il
risultato non cambia: l’unica azione prodotta è un semplice monitoraggio legislativo.
Reattivo: l’azienda ha una reazione di fronte ad un cambiamento legislativo, senza
averlo indirizzato nelle fasi preparatorie.
Proattivo: è l’azienda a determinare il cambiamento legislativo, favorendo iniziative
che tutelano (direttamente e non ) i propri legittimi interessi.
53
Pastore, Vernuccio, Impresa e comunicazione. Principi e strumenti per il
management, seconda edizione. Apogeo, Milano, 2008.
51
Interattivo: l’impresa ha un dibattito costante con le istituzioni. È un interlocutore
fondamentale e l’azione di influenza è assai efficace.
Figura 1.9: i quattro approcci ai public affairs delle organizzazioni
Mirko Rubin54
propone una seconda tipologia di schema del processo di public
affairs. Non si può parlare di strategia, come nei quattro modelli, ma di un’utile analisi
step-by-step riassunta in figura 1.10.
Ascoltare e capire: il lobbista deve comprendere i bisogni dell’organizzazione,
identificando ostacoli o facilitazioni derivanti dal sistema di relazioni con il decisore
pubblico;
Definizione degli obiettivi: si analizzano i rapporti dell’organizzazione con gli
interlocutori pubblici. Di fatto, si esegue un’analisi SWOT;
54
Rubin, op. cit. p. 146 e seg.
Inte
razi
one
Complessità
52
Issue analysis: contiene le valutazioni di impatto del provvedimento legislativo nei
confronti dell’organizzazione e le descrizioni dei possibili sostenitori e oppositori delle
loro argomentazioni;
Mappa del potere: contiene le diverse interconnessioni dei decision maker;
Monitoraggio: si segue l’iter legislativo del provvedimento, con particolare
attenzione rivolta ai soggetti politici coinvolti;
Stesura del playbook: contiene approfondimenti specifici per ciascuna issue da
proporre all’attenzione dei decisori e dei loro influenti;
Gestione operativa: è la fase di programmazione degli incontri (personali e diretti).
Alla gestione operativa sono collegate una serie di attività:
Monitoraggio permanente delle dinamiche, delle issue, dei decision maker;
Attività di reporting all’interno dell’organizzazione;
Contatti periodici con i decision maker ed i loro influenti; sviluppo e
mantenimento dei contatti personali;
Studio ed interpretazione degli atti normativi
Incontri one-to-one con i principali influenti;
Stesura e aggiornamento della documentazione;
Aggiornamento del calendario: tempi operativi, tempi prevedibili, accelerazioni,
frenate, accompagnamenti di un inter naturale;
Diffusione delle informazioni e iniziative di comunicazione per la promozione
degli interessi dell’organizzazione;
Gestione delle emergenze.
Verifica dei risultati: avviene tramite un monitoraggio costante per seguire le
dinamiche delle relazioni con i decision maker. Vanno visionati eventuali cambiamenti
di opinione, gli atteggiamenti ed i comportamenti del decisore pubblico.
53
Figura 1.10: le fasi del processo di public affairs
1.5.3 Le tre fasi del lobbying
All’interno di una pratica di lobbying, le strategie adottate possono essere differenti
e dipendono dalla necessità generatasi sul momento. Se ad una prima analisi il lobbista
reputa il soggetto X quale migliore interlocutore per perseguire i propri obiettivi, può
risultare invece necessario tessere una relazione con il soggetto Y a seguito di
improvvisi cambiamenti (dimissioni di X, cambio di schieramento, abbandono di una
Commissione ecc.). Se un’organizzazione deve adattarsi e rispondere ad un
cambiamento, la stessa pratica deve essere attuata dal lobbista. Stiamo comunque
parlando di particolari fasi dell’azione di lobbying. Più in generale, si possono
evidenziare tre macro fasi:
1. fase della mappatura
2. fase nominale
3. fase della pressione.
Verifica dei risultati
Gestione operativa
Playbook
Monitoraggio
Mappa del potere
Issue analysis
Obiettivi
Ascolto
54
1. Fase della mappatura: il lobbista si concentra sullo scenario attuale. Ha già
ricevuto l’incarico di rappresentare e tutelare gli interessi di un’organizzazione
e, nel momento in cui il decisore propone l’adozione di un provvedimento,
analizza a quale livello istituzionale avviene il processo (locale, nazionale o
europeo). Inizierà quindi ad usare i primi strumenti a sua disposizione, andando
a ricreare la mappa del processo decisionale, per poi tracciare l’iter legislativo a
cui sarà sottoposto il provvedimento, prevedendo possibili cambiamenti della
procedura55
. Il lobbista, inoltre, “ascolta” ed individua eventuali altri gruppi di
interesse attivi sulla stessa materia al fine di vagliare l’ipotesi di alleanze. Se ciò
non è possibile, sarà suo compito individuare i vari competitors, di norma mai
assenti. L’analisi prodotta porta inoltre ad effettuare un’ulteriore valutazione:
fattibilità dell’obiettivo o meno. Fallire un obiettivo comporta infatti un notevole
danno alla reputazione e alla credibilità del lobbista. Nell fase della mappatura
avviene la preparazione del position paper.
2. Fase nominale: gli obiettivi dell’organizzazione sono chiari, il quadro
istituzionale è completo e i documenti sono stati redatti. È il momento di
ricercare le persone strategiche da contattare. La ricerca dei nominativi, attorno a
cui si concentra la fase nominale, è di notevole importanza. Non riguarda un
mero elenco di persone (parlamentari, Ministri, sottosegretari, tecnici ecc.) ma
un’attenta analisi dei possibili interlocutori in cui si ripercorre il loro excursus
politico, dagli esordi fino ai tempi recenti. In gergo tecnico si parla di profili o
bioprofile. La struttura (Figura 1.11) presenta uno schema di semplice lettura,
con una prima parte dedicata agli aspetti biografici, preceduta sempre dalla
carica occupata (prima informazione subito dopo il nome). Nella seconda parte
viene rivissuta la carriera politica dell’interlocutore, andando ad analizzare la
sua partecipazione nei partiti (o nel partito) di cui ha fatto parte, gli incarichi
ricoperti negli enti locali ed, infine, il suo operato a livello nazionale o,
eventualmente, europeo. Eventuali cariche o nomine possono facilitare la
tracciatura e la comprensione delle mappe di potere. Vi è quindi un paragrafo
aggiuntivo preposto alla raccolta di informazioni particolari sul soggetto in
55
Per esempio, l’esame di un testo in sede di Commissione legislativa.
55
questione, da cui si evincono particolari attitudini e idee su tema preciso. Per
esempio, se un parlamentare è stato, in gioventù, un forte contestatore delle
multinazionali, è molto probabile che lo sia anche nel momento in cui occupa
una carica istituzionale. Le informazioni vengono estrapolate sempre da internet,
che garantisce l’immediatezza dell’informazione. Non è detto, comunque, che il
profilo redatto disponga di numerose informazioni, soprattutto se il parlamentare
è giovane, alla prima Legislatura e con un background limitato. Discorso
diametralmente opposto, invece, per le figure che possono vantare una lunga
militanza a Palazzo Madama o a Montecitorio.
56
Bioprofile : XXXX yyyy
Attuali cariche istituzionali:
Deputato FLI.
Dati biografici:
Nato a Trieste il 24 settembre 1947.
Laureato in Scienze della Comunicazione e Relazioni Pubbliche.
Master in Comunicazione.
Carriera politica
Partito – Cresciuto politicamente in Alleanza Nazionale, di cui è stato coordinatore
provinciale a Pordenone. Segretario regionale di FLI per il Friuli Venezia Giulia.
Politica nazionale – Eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati nel 2008.
Nell’attuale XVI Legislatura è componente della IV Commissione Difesa.
Nel 2010 ha lasciato il PDL per seguire Gianfranco Fini in FLI.
Politica locale – Consigliere comunale a Pordenone dal 2000 al 2005.
Eletto Consigliere regionale per il PDL – AN.
Nel 2008 ha rassegnato le dimissioni per l’elezione alla Camera dei Deputati.
Attività legislativa – Nell’attuale Legislatura ha presentato, come primo firmatario,
la proposta di legge “Norme per la regolamentazione del contrasto della pirateria navale
nelle acque territoriali”.
Altro – Ha dichiarato di aspettarsi le dimissioni del Presidente Silvio Berlusconi per
la sua presunta condotta immorale legata ai recenti scandali che hanno chiamato in
causa ragazze minorenni.
Figura 1.11: esempio di bioprofile
57
3. Fase della pressione: il lobbista interagisce con il decisore pubblico e gli
fornisce le informazioni raccolte precedentemente. Le informazioni devono
essere funzionali tanto al politico (per indirizzarlo verso la decisione da prendere
bisogna «dire qualcosa di rilevante - spiega Paolo Zanetto - portandogli
informazioni che non aveva») quanto al lobbista. Come avviene la costruzione
del consenso? Per rispondere alla domanda si cita un’intervista raccolta da
Marco Mazzoni56
:
«Per prima cosa, chi fa lobby si accredita in prima persona, […] poi va sempre dichiarato per chi sta
lavorando. Dopodiché, un argomento va portato avanti con dossier, position paper, […] questo fa il
lobbista. […] Quando incontro il decisore, è il momento che cerco di far pressione su di lui; […] durante
l’incontro devo essere in grado di illustrare in maniera sintetica e chiara qual è il problema, quali
conseguenze può avere quel particolare atto normativo nei confronti del mio cliente, qual è la mia
proposta. […] È molto importante mostrarsi convinti di quello che si sta proponendo e soprattutto far
capire al politico che conosco a fondo la questione, che ho fatto delle ricerche, non dimenticando di
indicare quali sono le mie fonti. Insomma, devo evitare che il mio interlocutore dica: “chissà perché devo
credere a questo lobbista”…».
L’azione di pressione ha maggiore probabilità di successo se è stato creato un
rapporto di fiducia e gratitudine tra il lobbista e il suo interlocutore, ma la fiducia è
legata ai modi e ai tempi in base ai quali il lobbista si muove. Qui entrano in gioco i
contatti informali al di fuori degli spazi prettamente istituzionali. In questi casi è buona
regola che gli interessi da tutelare non abbiano la precedenza assoluta. Il lobbista
accorto sa che l’incontro è governato da una regola: il momento buono per fare appello
al suo importante interlocutore è quando ne ha meno bisogno. È logico comunque che,
una volta conclusi gli argomenti introduttivi per la reciproca conoscenza, il dialogo si
focalizzi sullo scopo dell’incontro, ovvero lo scambio di informazioni. Come citato nei
paragrafi precedenti, la sincerità e la qualità delle informazioni rivestono un ruolo
fondamentale al fine della creazione di una relazione di fiducia. L’incontro non si
conclude con una stretta di mano e un arrivederci in quanto prevede un naturale
proseguo del dialogo. Il lobbista attua i principi delle relazioni pubbliche, curando nei
minimi dettagli il rapporto interpersonale. Ogni segno di disponibilità del politico viene
seguito da note personali di ringraziamento. Dopo che un incontro ha avuto luogo è
56
Mazzoni, op. cit. p. 117.
58
buona prassi che il lobbista fornisca le informazioni promesse accompagnate da una
lettera di cortesia (Mazzoni, 2010). Fiducia, integrità personale e competenza sono
elementi imprescindibili. L’onestà paga: «Un decisore, una volta ingannato, è un amico
perso per sempre».
1.5.4 Il lobbying diretto
La fase di pressione si può concretizzare secondo una duplice modalità. Il lobbista
ha di fronte a sé due strade: la prima lo porta ad un contatto diretto del decisore
pubblico, al quale propone le istanze dell’azienda cliente avvalendosi degli strumenti di
comunicazione (esclusivi e non) proposti nei paragrafi precedenti. In questo caso si
parla di lobbying diretto, ovvero la più vecchia forma di interazione con le istituzioni
(ricordate la lobby room americana?). Caratterizzato dagli incontri vis-a-vis, il lobbying
diretto costituisce una sfida non di poco conto per il lobbista. È il terreno su cui egli è
chiamato a concentrare e manifestare tutte le sue abilità comunicative e relazionali. Il
colloquio va curato in ogni minimo dettaglio: la conoscenza dell’interlocutore ottenuta
tramite la raccolta di informazioni on line (“ascolto”), raccolte poi in un bioprofile, è il
primo passo, cui segue la preparazione della documentazione, in primis il position
paper. L’incontro non è mai scontato. L’essere accolti, infatti, non è garanzia di essere
poi ascoltati ed appoggiati. Il lobbista ha l’obbligo di saper argomentare in maniera
comprensibile e suscitare interesse. L’esposizione deve essere chiara, semplice e
concisa. Il politico non dedica mai molto tempo agli incontri e non è un caso che la
durata media degli stessi sia inferiore ai 30 minuti. Minore è il tempo a disposizione,
maggiore dovrà essere l’abilità del lobbista. I primi incontri sono sempre i più delicati e
non sono mai finalizzati all’ottenimento di un risultato immediato. È un’occasione per
farsi conoscere e iniziare a porre le basi per un rapporto. In incontri successivi si
cercherà di approfondire i temi trattati attraverso ulteriori audizioni o anche colloqui, la
consegna di materiale informativo su richiesta del politico o per volontà del lobbista.
1.5.5 Il lobbying indiretto
Il lobbista ha a disposizione una seconda opzione, ovvero il lobbying indiretto.
Anziché arrivare al decisore per vie dirette, si può avvalere dell’appoggio dell’opinione
pubblica, debitamente informata sia attraverso i media tradizionali che con l’uso di
59
nuove tecnologie che riportano testimonianze di esperti di chiara fama e super partes. In
questo caso ci troviamo di fronte ad una mobilitazione dal basso (dalla società civile),
più nota come grass-roots lobbying (letteralmente «le radici dell’erba»). Ma perché
l’opinione pubblica gioca un ruolo decisivo? Andare contro l’opinione pubblica
significa, il più delle volte, perdere consenso con ripercussioni sulla vita politica. E la
rielezione è il primo obiettivo di un politico. Scrive infatti Charles Mack in Lobbying
and Government Relations (1989)57
: «Neanche il lobbista più ricco di talento può
garantire una risorsa decisiva per il legislatore, cioè votare per lui. Il lobbista vota dove
vive. Agli occhi del legislatore le richieste dei suoi elettori vengono prima di ogni altra
cosa, perché l’obiettivo del legislatore è la sua rielezione».
Il fine del lobbying indiretto è indurre riflessioni e portare a conoscenza del
pubblico e dei decisori il tema affrontato. In questo modo il lobbista evita
un’esposizione diretta dell’azienda cliente. Solo in un secondo momento questa
scenderà direttamente sul campo. Perché questo avvenga, l’organizzazione aspetterà che
il tema di suo interesse venga preventivamente trattato dagli organi di stampa, attirando
così l’attenzione del legislatore. L’azione di grass-roots, curata dal lobbista, rileva
dunque una sua importante abilità: rispecchia l’importanza e il ruolo dei media nonché
la necessità di una corretta gestione delle relazioni con i mezzi di informazione.
In figura 1.12 è possibile comprendere le dinamiche relative alle due tipologie di
lobbying proposte da Mazzoni58
:
57
Ibidem p. 120.
58 Ibidem p. 119.
60
Figura 1.12: modalità di lobbying
1.6 La legislazione italiana sul lobbying
Allo stato attuale, l’Italia versa in una condizione decisamente particolare. Le
aziende che praticano lobbying esistono e sono riconosciute59
. Vi operano circa 1200
addetti ai lavori, tra uffici di consulenza e reparti di Relazioni Istituzionali presso
59
Cattaneo Zanetto & Co.; ES; FB Associati; Nomos; Open Gate Italia; Reti;
Strategic Advice; VM.
Gruppi di interesse,
lobbisti
Ricorso a:
Informatori
Lobbisti
Staffe del decisore
Decisore pubblico
Opinione pubblica
Lobbying diretto
Grass-roots pressione
61
strutture private (multinazionali). Tuttavia, il Belpaese non si è ancora dotato di una
legge sul lobbying, al pari di Stati Uniti e Unione Europea.
Nel corso delle numerose legislature della Repubblica Italiana vi sono stati diversi
tentativi di regolamentare l’attività di rappresentanza degli interessi, con ben 25
proposte di legge dal 1948 al 2006. Tralasciamo per il momento la citazione delle
proposte di legge più importanti e concentriamoci sull’assenza di una legislazione.
Di fatto, non rappresenta una novità, al pari dell’intreccio tra partiti politici, gruppi
di interessi e burocrazia. Proprio i partiti politici hanno rappresentato l’ostacolo
maggiore da sopravanzare verso l’ottenimento del riconoscimento, per legge, della
professione del lobbista. Questo perché sono essi stessi a ricoprire un vero e proprio
ruolo lobbistico. Il partito ha tutto l’interesse che le lobby rimangano deboli e non
regolamentate. Solo se le lobby fossero forti (come negli USA) verosimilmente si
sentirebbe l’esigenza di controllarle tramite provvedimenti legislativi.
Come ha sottolineato Pier Luigi Petrillo60
, i partiti politici detengono un ruolo
monopolistico che consente loro di essere gli unici intermediari tra la società e lo Stato.
Non solo: se l’Italia non si è ancora dotata di una legge nazionale61
una spiegazione va
ricercata nella composizione del tessuto economico-sociale, costituito principalmente da
piccole e medie imprese. Per quanto queste possano essere interessate dall’attività del
legislatore, non saranno mai così influenti come nel caso di un’attività di lobbying
praticata da una multinazionale di ragguardevoli dimensioni.
L’arretratezza italiana della regolamentazione dell’attività di lobbying è comunque
figlia del basso livello di cittadinanza attiva, la quale scende in campo per manifestare i
propri interessi ma solo in determinate occasioni. In più, solo negli ultimi vent’anni si
sta iniziando a superare il mito dell’interesse pubblico di derivazione francese
(specialmente nell’azione amministrativa).
60
Esperto in Diritto Pubblico comparato, autore dell’articolo intitolato La disciplina
dei gruppi di pressione a livello regionale: il caso della regione Toscana (e, senza
originalità, quello del Molise). Rivista Amministrazione in cammino.
61 È d’obbligo l’aggettivo “nazionale” in quanto Toscana e Molise hanno una propria
legge regionale sul lobbying.
62
Il ruolo dominante dei partiti è riconosciuto anche da Facchetti e Marozzi62
i quali
individuano ulteriori ragioni di carattere politico-culturale che giustificano la mancata
legislazione in termini di lobbying:
I poteri intermedi (associazionismo, sindacato, cultura, scuola, ecc.) senza forti
influenze sulla società complessiva, preferendo rapporti diretti speculativi con il
potere politico;
La pretesa di ruolo esclusivo e totalizzante delle rappresentanze di interessi, in
un rapporto di scambio non regolamentato con il potere politico;
Il comportamento della politica nelle istituzioni, prima impegnata a garantire, in
proprio e in una competizione tutta interna al sistema dei partiti, la
rappresentanza dei vari interessi. Poi (dagli anni Novanta) più attenta alla
regolamentazione dei rapporti formali (legge elettorale, conflitto di interessi, par
condicio), che non alla regolamentazione del rapporto tra corpi speciali,
istituzioni e soggetti politici;
Resistenza delle rappresentanze di interessi a una modifica dello status quo per
detenere l’esclusività dei rapporti con il mondo politico.
A quest’ultimo punto si ricollega nuovamente Giuseppe Mazzei, secondo cui «C’è
un’ignoranza di fondo sull’argomento perché mancano occasioni di discussione. A
molti fa comodo la situazione attuale, cioè un patto di coalizione tra alcuni lobbisti che
vogliono fare i lobbisti all’antica, cioè nell’ombra, e alcuni politici che preferiscono
tenere rapporti a titolo discrezionale, e si spera almeno corretti, ma senza darne
evidenza. Tutto questo non aiuta, né gli uni né gli altri, tanto meno la democrazia». A
chi fa comodo? Soprattutto alle organizzazioni sindacali e a Confindustria (Facchetti e
Marozzi, 2009) e altre organizzazioni, appoggiate da una lobby giornalistica,
preoccupata di vedere limitato il proprio potere di pressione attraverso i mezzi di
comunicazione di massa.
L’assenza di una legislazione è un problema non da poco per il lobbista, con
ripercussioni anche sull’opinione pubblica. Al di là degli stereotipi che comunque
rimarrebbero, il vuoto normativo impedisce al lobbista di uscire dall’ombra e di porsi
62
Facchetti, Marozzi, op. cit. p. 245 e seg.
63
come rappresentante trasparente di interessi meritevoli di attenzione. Lentezza dei lavori
parlamentari? Non solo, anche se la senatrice Mariapia Garavaglia ha ammesso che «in
Parlamento si sta dibattendo su questioni che di politico hanno ben poco63
». Il problema
sarebbero dunque i partiti che rappresentano un ostacolo così forte ed efficace che solo
una proposta di legge è approdata all’esame finale dell’Aula.
1.6.1 Le proposte di legge
In questo paragrafo cercheremo di ripercorrere le tappe più importanti verso
l’ottenimento della legislazione del lobbying.
I primi veri tentativi sono datati 1976 con la proposta di legge dell’on. Nicola
Sanese, “Riconoscimento delle attività professionali di relazioni pubbliche” (AC953).
Nel 1982 ci prova l’on. Pietro Ichino (“Riconoscimento e disciplina delle attività
professionali di relazioni pubbliche”- AC3200) mentre nel 1983 il tentativo è avanzato
dalla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. Il testo, giudicato positivamente
anche dalla Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana), è poi caduto con la fine
della Legislatura.
Nel 1986 è la volta della proposta unificata rispetto al pdl Sanese, Casini, Cristofori
(DC), Francese (Pci), Facchetti (Pli), giunta nel 1987 all’approvazione di un ramo del
Parlamento.
Il 13 settembre 2001 l’on. Giuseppe “Pino” Pisicchio (allora con la Margherita,
attualmente in Iniziativa Responsabile) presenta la proposta di legge “Disciplina
dell’attività di relazione istituzionale” (AC 1567). Il testo, giudicato minimalista da
Giuseppe Mazzei, prevedeva la creazione di registri dove iscrivere coloro che vogliono
svolgere un’attività di relazione istituzionale che inizi a promuovere interessi legittimi.
La proposta, composta da sei articoli, presentava però dei limiti:
Assenza dei requisiti per la definizione di lobbista;
63
Dichiarazione rilasciata a Roma l’8 febbraio 2011 al convengo “Evoluzione del
lobbismo in Italia”, organizzato da Il Chiostro, Università IULM di Milano e Cattaneo
Zanetto & Co. nell’ambito del Master in Comunicazione per le Relazioni Internazionali
(MICRI).
64
Assenza di norme che identifichino eventuali incompatibilità per attività passate
e future;
Assenza di sanzioni (previste solo per la mancata iscrizione nei registri o la
omessa presentazione delle relazioni periodiche).
Il 16 dicembre 2002, l’on. Daniele Galli presenta la proposta “Disciplina
dell’attività di relazione svolta nei confronti dei componenti delle Assemblee legislative
e dei titolari di pubbliche funzioni” (AC 3485). Tra i vari contenuti del provvedimento,
citiamo l’istituzione dei registri delle attività di relazione con i componenti delle
Assemblee legislative presso gli Uffici di presidenza del Senato della Repubblica e della
Camera dei deputati. È inoltre istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri –
Dipartimento della funzione pubblica, il registro delle attività di relazione con i titolari
di funzioni pubbliche, disponibile online. Secondo l’articolo 2, quindi, è attività di
relazione ogni informazione, orale o scritta, resa da singoli o da associati, ai
parlamentari, al Governo, ai dirigenti della pubblica amministrazione. L’articolo 3
stabilisce invece chi siano i soggetti, obbligati e non, all’iscrizione al registro.
Il 27 gennaio 2005 il Parlamento riceve la proposta di legge Colucci “Disciplina
dell’attività di relazione istituzionale svolta nei confronti dei membri del Parlamento”
(AC 5567). Il testo è breve (tre articoli) e teso soprattutto a definire cosa non costituisca
attività di relazioni istituzionali (art. 2).
Il 15 maggio 2006 l’on. Pisicchio ripropone un testo di legge col medesimo titolo,
“Disciplina dell’attività di relazione istituzionale” (AC 695), poi avanzato anche il 7
maggio 2008.
Tra i testi più importanti figura il ddl 1866 del Governo Prodi, a firma dello stesso
premier e dell’allora Ministro per l’attuazione di programma, Guido Santagata:
“Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi particolari”. Comunicato alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri il 31 ottobre 2007, il ddl apporta diversi elementi
innovativi:
Massima trasparenza dell’attività di lobbying: i decisori pubblici devono rendere
disponibili a chiunque i documenti presentati dai lobbisti;
65
Obbligo dei decisori pubblici di citare nella relazione illustrativa e nel
preambolo degli atti normativi e degli atti amministrativi generali l’attività di
rappresentanza degli interessi svolta nei propri confronti;
Individuazione nel CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) del
soggetto garante dell’esercizio dell’attività di lobbying;
Istituzione presso il CNEL di un “Registro pubblico dei rappresentanti di
interessi particolari” al fine di garantire la conoscibilità dell’attività dei soggetti
che influenzano i processi decisionali pubblici;
Iscrizione a tale registro subordinata ad alcuni requisiti, tra i quali, il rispetto del
Codice di deontologia che sarà emanato dal CNEL, previa consultazione delle
organizzazioni rappresentative del settore;
Previsioni di un sistema di sanzioni reputazionali (pubblicazione sui giornali) e
pecuniarie (da 2000 a 20000€) per lo svolgimento di attività senza iscrizione al
registro;
Obbligo per i lobbisti di presentare ogni anno al CNEL una relazione
sull’attività svolta;
Trasmissione al Parlamento da parte del CNEL di un rapporto annuale
sull’attività di verifica svolta.
Il 12 agosto 2008 l’on. Antonio Milo (Movimento Per Le Autonomie), nel corso
della XVI Legislatura del quarto governo Berlusconi, ha presentato il progetto di legge
1594, “Disciplina dell'attività di rappresentanza di interessi particolari”, sottoposto
all’esame della Commissione il 16 marzo 2009. Il testo prevedeva:
Sanzioni inferiori rispetto al ddl Santagata, con ammende comprese tra i
1.000 e i 10.000€;
La possibilità di effettuare una nuova iscrizione al Registro dopo solo un
periodo di soli 18 mesi (e non più dopo 4 anni);
Criteri più rigidi per entrare nel Registro (vengono richiesti tre anni di
esperienza);
In aggiunta, poi, i decisori pubblici, possono chiedere l’intervento di
rappresentanti di interessi sollecitando «informazioni, incontri, udienze,
66
proposte, richieste, suggerimenti, emendamenti, studi, ricerche, analisi,
memorie scritte, documenti e qualsiasi altra documentazione relativa
all’interesse documentato a corredo di iniziative da intraprendere nel corso
della medesima attività».
All’interno della stessa legislatura, il 7 maggio 2008 gli on. Mura e (nuovamente)
Pisicchio (entrambi esponenti dell’Italia dei Valori) avanzano un’ulteriore proposta per
la “Disciplina dell’attività di relazione istituzionale” (AC 854), nella quale propongono
un’ammenda non superiore ai 50.000€ e l’affidamento del Registro ai Presidenti della
Camera e del Senato, al Governo e alle varie istituzioni dove viene esercitata l’attività.
Ultimo, in ordine di tempo, il disegno di legge avanzato dalla senatrice Mariapia
Garavaglia (PD) il 12 marzo 2009: “Regolamentazione dell’attività dei consulenti in
relazioni istituzionali presso le pubbliche amministrazioni” (AS 1448). Composto da 4
articoli, il testo si prefigge di facilitare e disciplinare l’accesso dei soggetti pubblici e
privati all’attività legislativa, normativa, regolatoria e amministrativa. Dalla definizione
di Consulente in relazioni istituzionali (art.2, «chiunque esercita singolarmente o
all’interno di organizzazioni aventi personalità giuridica, anche in via non esclusiva e
temporanea, un’attività professionale tendente a favorire il dialogo tra i soggetti pubblici
e privati e le pubbliche istituzioni, siano esse finalizzate a favorire la comprensione e la
corretta interpretazione della normativa e dei provvedimenti in essere o in fieri, la
conoscenza degli obiettivi e dei programmi della Pubblica Amministrazione o a
promuovere la conoscenza presso le istituzioni della realtà dei soggetti rappresentati e di
loro specifiche esigenze»), il testo comprende gli obblighi della trasparenza, per quanto
concerne le finalità dell’incarico svolto e il nominativo della persona a cui è affidata
l’esecuzione (art.3), oltre che l’obbligo di accreditarsi presso le pubbliche istituzioni
attraverso l’iscrizione in apposito registro pubblico, istituito presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’Editoria e l’Informazione, consultabile on-
line, con facoltà di iscrizione e recesso sempre aperti (art.4).
1.6.2 I casi Toscana, Molise ed Emilia Romagna
Prima in Italia, la regione Toscana si è dotata di una legge regionale per
istituzionalizzare l’attività di lobbying. Il testo (l.r. 5/2002), approvato a larga
maggioranza (contrario solo il Pci) e intitolato “Norme per la trasparenza dell’attività
67
politica e amministrativa del Consiglio Regionale della Toscana”, ha lo scopo di
favorire la presenza di soggetti rappresentativi di interessi nell’attività politica ed
amministrativa della Regione, al fine di consentire la trasparenza dell’attività politica.
Di fatto, si assiste ad un riconoscimento dei gruppi di pressione e del loro ruolo di
portatori di interessi.
Per quanto sia evidente il passo in avanti compiuto dalla Regione Toscana rispetto
alla legislazione nazionale, la normativa non può essere definita completa. Mancano,
infatti, una definizione di lobbies e di gruppi di pressione o di interesse. C’è però una
distinzione tra gruppi che rappresentano le categorie economiche, sociali, terzo settore
(rappresentativi a livello provinciale e regionale) e gruppi presenti sul territorio
(associazioni o fondazioni). Questa suddivisione risulta importante ai fini della
registrazione nel Registro dei gruppi d’interesse accreditati presso il Consiglio
regionale: per il primo gruppo infatti l’iscrizione avviene d’ufficio, i secondi, invece,
devono inviare una richiesta al Consiglio regionale.
In tema di sanzioni, la legge è esplicita nel prevedere il divieto di esercitare
pressione diretta sui Consiglieri regionali e sulle rispettive organizzazioni che abbia
ripercussioni sulla libertà di voto. Sul Consiglio regionale ricade, invece, la
responsabilità di giudicare eventuali violazioni della legge e stabilire provvedimenti.
Sulla stessa linea si è posta la regione Molise, approvando la legge regionale n° 24
del 22 ottobre 2004, copia identica del provvedimento adottato in Toscana.
Di fatto, come ha commentato Ruben Razzante64
«le due normative non hanno
prodotto effetti di grande rilievo, tranne la creazione, presso il Consiglio Regionale, di
un registro dei gruppi di interesse che lavorano a livello regionale, facendo attività di
lobbying».
Flebili tentativi di regolamentare l’attività di lobbying sono stati effettuati anche
dall’Emilia Romagna. Il 15 ottobre 2009, il Consigliere regionale Gioenzo Renzi (AN-
PDL) ha depositato il progetto di legge “Norme per la trasparenza della Regione Emilia
Romagna e per la regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi
particolari”. Fulcro del progetto, l’iscrizione obbligatoria in un Registro pubblico on
64
Dichiarazione resa durante una lezione del Master MICRI, a.a. 2009/2010.
68
line, istituito presso l’Assemblea Legislativa, per chi esercita l’attività di
Rappresentanza di Interessi Particolari. Chi fa rappresentanza? Associazioni, enti e
società, attraverso proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi
altra iniziativa o comunicazione orale e scritta, anche per via telematica. Il tutto per
perseguire interessi leciti propri o di terzi, anche di natura non economica, nei confronti
del Presidente della Regione, dei membri e dei funzionari con ruoli direttivi della
Giunta Regionale, e dei componenti dell’Assemblea Legislativa, così da incidere sui
processi decisionali pubblici in atto, o di avviarne dei nuovi. Il testo, però, non è stato
approvato e gli attuali principi di trasparenza sono contenuti solamente nello Statuto
Regionale (Titolo II, art. 14 Trasparenza e partecipazione).
1.6.3 Calabria e altri
Al di fuori della Toscana e del Molise, un’altra regione che sta cercando di dotarsi di
una normativa a riguardo è la Calabria. Il 29 giugno 2009, la Commissione regionale ha
esaminato la proposta di legge del consigliere Egidio Chiarella (capogruppo del Gruppo
Misto nel Consiglio Regionale della Calabria), “Norme per la trasparenza dell’attività
politica e amministrativa del Consiglio Regionale e della Giunta della Regione
Calabria”. Il testo, approvato, garantisce la partecipazione dei gruppi di pressione
(accreditati) alle attività delle Commissioni consiliari, per sola via telematica. In caso di
violazione, non sono previste sanzioni economiche, alle quali si preferiscono una
sospensione temporanea o la revoca dell’iscrizione al Registro. Un allineamento
pressoché identico è stato attuato dalle regioni Piemonte, Veneto, Umbria e dalla
provincia autonoma di Trento, le quali garantiscono la possibilità di consultare gruppi di
pressione in commissione.
1.6.4 Riflessione
L’impegno, sebbene insufficiente, c’è stato ma la cultura del lobbying, intesa come
un’attività a servizio del processo democratico, è ancora allo stato embrionale. Il
termine stesso di lobbying fa ancora paura. Non è un caso, infatti, che tale espressione
venga sempre sostituita con terminologie più acquietanti. Ma, soprattutto, la parola non
compare in nessun articolo dei testi finora citati. Al massimo esso trova posto solo nelle
introduzioni dei testi normativi ma con una funzione di benchmark, cioè per ricordare
quanto viene praticato al di fuori dei confini italiani.
69
CAPITOLO 2
La regolamentazione del lobbying al di fuori dei confini italiani: USA e UE
«Il congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione o per
proibirne il libero culto; o per limitare la libertà di parola o di stampa o il diritto che hanno i cittadini di
riunirsi in forma pacifica o di inoltrare petizioni al Governo per la riparazione dei torti subiti»
Bill of Rights – I Emendamento
In tema di lobbying, gli Stati Uniti d’America (d’ora in avanti USA) rappresentano
uno scenario diametralmente opposto rispetto al contesto italiano. La rappresentanza
degli interessi è infatti parte integrante del processo democratico ed è sancita dal primo
emendamento della Costituzione (1791). I cittadini, quindi, hanno la facoltà di inoltrare
petizioni al Governo, manifestando così le proprie istanze per provare ad influenzare la
produzione normativa. Il fatto che tale diritto sia costituzionalmente garantito, rende
possibile una considerazione positiva dell’attività di lobbying e della figura del lobbista.
La differenza del territorio italiano è evidente (cap. I) . Vero è, comunque, che la sola
legislazione non garantisce la totale onestà del lobbista come ha dimostrato chiaramente
la vicenda di Jack Abramoff1. Dalle argomentazioni oggettive, strumento principale
1 Nel 2006, il lobbista repubblicano Jack Abramoff , detto il burattinaio di
Washington, è stato al centro di un apparato di raccolta fondi e di lobby legate agli
interessi della Christian Coalition e della lobby contro le tasse. Ha confessato e
patteggiato una pena per frode ed evasione fiscale. Secondo un Centro di ricerche
indipendente, i soldi di Abramoff sarebbero finiti ad almeno 300 tra deputati e senatori
dal 1999 al 2006 e il capogruppo repubblicano alla Camera dei Rappresentanti, Tom
DeLay (di cui Abramoff è stato il braccio destro finanziario), è stato incriminato con
70
dell’attività di influenza, Abramoff è ben presto passato all’equivalente italiano di
“bambole, bottiglie e bustarelle”.
Nel corso degli anni il fenomeno del lobbying ha assunto negli USA un’importanza
rilevante e il grado di influenza dei gruppi di pressione ha reso necessario la stesura di
un’apposita legislazione. Come fa notare Tiziano Checcoli2, gli studiosi americani di
lobbying si sono imbattuti nel preoccupante interrogativo, se si possa correre il rischio
che le lobby acquisiscano così tanto potere da poter influenzare negativamente l’attività
del sistema parlamentare, fino a farlo diventare ostaggio degli interessi particolari. Un
rischio scongiurato però da una sentenza del 1954 della Corte Suprema nella causa
United States vs Harris, che ha richiamato uno dei provvedimenti più importanti riferiti
alla regolamentazione della rappresentanza degli interessi tramite le lobby: il Federal of
Lobbying Act del 1946. Di seguito un estratto della sentenza menzionata:
Al giorno d’oggi, la complessità del sistema legislativo è tale che non è possibile che i singoli
membri del Congresso tengano conto di ogni singola pressione a cui sono sottoposti. Tuttavia, il modello
americano ideale di governo tramite rappresentanti eletti dal popolo dipende in larga misura dalla abilità
dei medesimi rappresentanti di valutare appropriatamente queste pressioni. D’altra parte, la voce del
popolo può con estrema facilità essere messa a tacere dalla ben più forte voce di gruppi di interesse
particolari alla ricerca di trattamenti favorevoli celati dietro la ricerca del bene comune. Questo è l’aspetto
negativo che il Lobbying Act è deputato a prevenire
2.1 La regolamentazione del lobbying negli USA
2.1.1 Dalla seconda metà dell’800 al Federal of Lobbying Act.
l'accusa di aver orchestrato il finanziamento illecito della campagna elettorale di diversi
esponenti repubblicani.
2 T. Checcoli, Il fenomeno del lobbying negli Stati Uniti e nell’Unione europea,
http://www.lobbyingitalia.com/__P_U_B_L_I_C__/ItemsUploaded/file/Il%20fenomeno
%20del%20lobbying%20negli%20Stati%20Uniti%20e%20nell%E2%80%99Unione%2
0europea%20.%20Tiziano%20Checcoli.pdf
71
La letteratura di settore menziona il 1789 come anno di nascita del lobbying negli
USA. L’anno in questione segna infatti il momento dell’entrata in vigore della
Costituzione americana, il cui primo emendamento consente, come già citato
precedentemente, il diritto alla manifestazione dei propri interessi.
Poiché si è temuto fin da subito che vi potesse essere un abuso di tale diritto, il
Legislatore americano ha provveduto all’emanazione di una serie di provvedimenti atti
a prevenire una simile eventualità. Al di là del rischio di abuso, la regolamentazione era
necessaria per ricordare che alla base della rappresentanza vi fosse il bene per il popolo
e l’essere al servizio dello stesso. Nella seconda metà del XIX secolo il pericolo di
rappresentare interessi privati per benefici non estesi alla collettività si concretizzò
ulteriormente. Conseguente al fenomeno dell’industrializzazione, vi fu una
proliferazione di atti normativi a vantaggio delle maggiori industrie del Paese le quali
godevano di un alto potere di influenza sui soggetti politici. La situazione degenerò a tal
punto che nel 1906 il giornalista David Graham Philips pubblicò una serie di articoli
intitolati “Il tradimento del Senato”, denunciando le fitte relazioni tra le aziende e i
rappresentanti politici. La diretta conseguenza delle sue cronache fu un’ampia protesta
dell’opinione pubblica e la riforma del sistema del finanziamento elettorale del 1925
con il Federal Corrupt Practices Act. Nel 1913, intanto, era stato approvato il XVII
emendamento della Costituzione con cui veniva sancita l’elezione diretta dei senatori
degli USA, che quindi non venivano più eletti dai parlamenti statali, limitando così
l’influenza diretta degli affaristi verso i medesimi senatori.
Il primo tentativo di regolamentazione risale al 1852 allorché la House of
Representatives emanò una legge per impedire ai giornalisti parlamentari, impiegati
come lobbisti, di accedere alla floor of the House e alle tribune stampa loro riservate per
assistere alle sedute finalizzate alla promozione di progetti di legge in discussione al
Congresso. Due anni più tardi, nel 1854, venne istituito un comitato per il controllo
degli strumenti di influenza nei confronti dei membri del Congresso affinché questi
votassero a favore o contro un determinato provvedimento. Tra gli strumenti monitorati
figuravano anche i pagamenti in denaro. Il comitato era quindi finalizzato anche a
compiere verifiche anticorruzione.
Nel 1890 il Massachussets regolamenta il fenomeno lobby attraverso dispositivi di
legge mirati ma senza spiegare il significato di tale fenomeno. Vero è, però, che il
72
provvedimento istituiva appunto un registro con obbligo di rendere pubbliche le spese
sostenute dai lobbisti.
Nel 1905 il Wisconsin sentenziò che i lobbisti potessero comparire soltanto di fronte
alle commissioni legislative o attraverso dichiarazioni pubbliche.
I primi anni del XIX secolo sono dunque anni di grande fervore normativo. Alle
conseguenze degli articoli di David Graham Philips già menzionati si affianca
l’istituzione nel 1913 di una commissione d’inchiesta sull’attività lobbistica della
National Association of Manifacaturers (NAM). La NAM, infatti, godeva di un accesso
diretto a tutte le conversazioni dei membri della Camera che non avvenivano in luoghi
ufficiali. Tale privilegio era stato garantito dalla corruzione di alcuni importati
funzionari della Camera e in tal modo la NAM si assicurava il controllo delle decisioni
assunte dalle Commissioni interne alla Camera. Una volta avuta la conoscenza esclusiva
delle conversazioni, poteva agevolmente esercitare pressione per perseguire i propri
scopi. Non solo: la NAM aveva anche un ufficio nell’edificio della Camera.
È datato 1913, invece, l’Anti lobbying Act. La norma proibiva ai funzionari e agli
impiegati di avere contatti con i lobbisti ma non venne mai applicata così come è stat
redatta poiché la Corte Costituzionale avrebbe potuto dichiararla incostituzionale. Solo
nel 1989 l’Ufficio Legale del Dipartimento di Giustizia americano si sbilanciò nel
proporre una sua interpretazione, intendendo che la norma volesse solo praticare una
limitazione all’uso dei fondi per campagne politiche successivamente destinate
all’attività di influenza del legislatore. Gli studiosi del tema, quali Franco Spicciariello,
ricordano comunque che mai sono state promosse azioni per la violazione dell’Anti
lobbying Act essendo il testo abbastanza impreciso in relazione al suo campo di
applicazione.
Nel 1935 ci provò il senatore Hugo Black: la sua proposta di legge prevedeva sia la
registrazione di tutte le persone che cercassero in qualunque modo di influenzare
l’attività di un soggetto istituzionale sia la divulgazione degli interessi rappresentati, le
attività collaterali e le spese sostenute per portarle avanti. Il testo trovò l’approvazione
del Senato ma venne bocciato dalla Camera dei Rappresentanti su pressione delle lobby.
Un ulteriore tentativo venne fatto con il Black Bill e lo Smith Bill. Alla base delle due
proposte stava la registrazione obbligatoria per taluni soggetti e la rendicontazione
73
periodica delle spese sostenute e dei finanziamenti ricevuti per svolgere l’attività di
lobbying.
Come si può notare, il tema della registrazione dei lobbisti rappresenta un caposaldo
della legislazione americana e si possono identificare tre precise finalità perseguite
durante questi primi tentativi:
1. Fornire la definizione di lobbying per prevenire incomprensioni e conseguenti
abusi di tale attività e giungere, come nel caso della Georgia (1877), a proibirla
totalmente;
2. Istituire la registrazione dei lobbisti;
3. Garantire la trasparenza dell’attività dei lobbisti tramite la pubblicazione della
documentazione relativa ai loro incontri e agli interessi rappresentati.
Le finalità di cui sopra andranno quindi a costituire le basi per i più importanti
provvedimenti di regolamentazione del lobbying: il Federal Regulation of Lobbying Act
del 1946 ed il Lobbying Disclosure Act del 1995.
In attesa della fatidica data del 1946, si segnala il Foreign Agents Act del 1938 il
quale obbligava i lobbisti stranieri operanti negli USA a registrarsi presso il Ministero
della Giustizia.
2.1.2 Il Federal Regulation of Lobbying Act
Il 1946 segna una tappa storica nella regolamentazione del lobbying americano.
Inserito quasi per caso all’interno di un più ampio provvedimento legislativo (il
Legislative Reorganization Act), il Federal Regulation of Lobbying Act riuscì ad essere
approvato e ad apportare diversi elementi innovativi.
Come specifica Tiziano Checcoli, «ogni soggetto registrato aveva l’obbligo di
specificare periodicamente quali fossero le somme spese per sostenere o contrastare una
determinata proposta di legge, la quale anche doveva essere specificata. Vi era inoltre
l’obbligo di rivelare il nome e l’indirizzo di coloro che avevano contribuito all’attività
con almeno 500 $, e i nomi di coloro ai quali erano stati in qualche modo versati, come
somme impiegate nell’attività di lobbying, più di 10 $. Vi erano però varie eccezioni
all’obbligo di registrarsi: non erano tenuti a farlo coloro che apparivano saltuariamente
74
di fronte alle Commissioni, i pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni ed i
giornali, qualora la loro attività di lobbying non venisse svolta al di là delle pagine del
quotidiano stesso». Franco Spicciariello integra l’analisi di Checcoli includendo le
sanzioni previste dall’atto: 10.000$ e pena detentiva fino ad un massimo di 5 anni di
reclusione per chi contravviene alle disposizioni3.
Ma il testo presentava comunque diverse criticità. Il clerk of the House e il Secretary
of the Senate non avevano il potere per avviare inchieste o verificare eventuali
infrazioni. I due uffici non erano coordinati e gli stessi non erano, a loro volta,
coordinati con il Dipartimento di Giustizia il quale si è trovato spesso in difficoltà
nell’applicare le sanzioni nei confronti dei lobbisti che violavano il Federal Regulation
of Lobbying Act. In aggiunta, il numero delle registrazioni dei lobbisti fu notevolmente
inferiore alle attese (6.500 contro una stima di 80.000).
Oltre ai problemi di applicazione concreta della legge, il Federal Regulation of
Lobbying Act fu censurato tre volte per incostituzionalità e in uno dei tre casi venne
chiamata ad esprimersi la Corte Suprema (1954) nella sentenza United States vs.
Harris. Secondo i difensori di Harris4, la legge era incostituzionale sotto tre profili
principali: in primo luogo, l’eccessiva vaghezza delle previsioni di cui alle sezioni 305,
307 e 3085 non rispettava il principio del Due process of law, originando
l’incriminazione, appunto, da disposizioni legislative eccessivamente indeterminate; in
secondo luogo, le medesime disposizioni violavano il diritto di manifestazione del
3 F. Spicciariello, Lobbying e gruppi di pressione negli Stati Uniti d’America in
Lobbying e gruppi di pressione, profili di diritto pubblico italiano e comparato del 23
luglio 2001.
http://www.lobbyingitalia.com/__P_U_B_L_I_C__/ItemsUploaded/file/Lobbying%20e
%20gruppi%20di%20pressione%20negli%20USA%20-
%20Franco%20Spicciariello.pdf
4 Robert Harris, lobbista e direttore del National Farm Committee. Fece pressione sul
Congresso tramite offerte di denaro e non rispettò l’obbligo della pubblicazione degli
atti inerenti l’attività di lobbying.
5 Obbligo per taluni soggetti di registrarsi quali lobbisti.
75
pensiero, di stampa ed il “right to petition” (diritto alla petizione); infine, con questo
stesso diritto contrastava la previsione dell’esclusione dalla possibilità di fare lobbying
per i tre anni successivi alla condanna.
La Corte Suprema respinse la tesi della difesa e la sentenza introdusse tre nuovi
requisiti, soggettivi e oggettivi, necessari per l’applicazione della legge, potendo così
affermarne la legittimità costituzionale:
1. il soggetto (lobbista) deve avere sollecitato, raccolto o ricevuto
finanziamenti;
2. uno dei principali obiettivi di questo soggetto o di questi finanziamenti deve
essere stato quello di influenzare il Congresso al fine di ostacolare o
facilitare l’approvazione o meno di una legge;
3. lo strumento attraverso il quale si è perseguito questo obiettivo deve essere
stato quello di un contatto diretto con membri del Congresso.
Quali le conseguenze della sentenza? Ancora Checcoli: « Con questa precisazione
creativa, la Corte superò la prima censura di indeterminatezza; per fronteggiare la
seconda, relativa alla lesione del diritto di petizione all’Assemblea, la Corte utilizzò una
sorta di bilanciamento fra principi costituzionali. In un passo celebre, la Corte affermò
sostanzialmente che, se è imprescindibile il diritto di rivolgersi ai propri rappresentanti
affinché questi possano tutelare i diritti e i bisogni dei propri rappresentati, proprio per
questo è necessario che questi contatti siano trasparenti e pubblici, affinché di questo
diritto di petizione possano servirsi tutti e non soltanto i gruppi di interesse più forti e
influenti nel Paese. In questo senso, l’obbligo di pubblicazione previsto dalla legge
federale, peraltro non così incisivo, può ben essere “costituzionalmente tollerato” di
fronte alla necessità, altrettanto costituzionalmente necessaria, di evitare le
degenerazioni del fenomeno del lobbying».
Al Federal Regulation of Lobbying Act è stato riconosciuto il merito di aver evitato
la declaratoria di illegittimità costituzionale ma la sentenza della Corte suprema lo ha
reso, di fatto, meno efficace dal punto di vista del controllo e della prevenzione degli
abusi delle azioni di lobbying. Non solo: temi quali la necessità di intrattenere rapporti
diretti con i membri del Congresso o le organizzazioni che ricevevano denaro per fare
76
lobbying ma non solo o non principalmente per tale scopo, risultavano essere esclusi
dalla previsione legislativa.
2.1.3 Gli anni Settanta e le riforme collaterali
La normativa del Federal Regulation of Lobbying Act era nata quindi con le giuste
premesse. Tuttavia presentava diverse criticità. In parallelo vennero approvate una serie
di norme collaterali relative al lobbying.
Nel 1977 il presidente degli Stati Uniti, Jummy Carter, annunciò la prima grande
riforma della Pubblica Amministrazione conseguente allo scandalo Watergate, che
coinvolse il presidente USA Richard Nixon.
Nel 1970 era stato approvato l’Ethics in Government Act. Otto anni più tardi Carter
decise di rivederne i contenuti. La conseguenza fu un veto per i pubblici ufficiali, a capo
dei maggiori uffici governativi, di rappresentare interessi di fronte alle agenzie
precedentemente dirette per tutto l’anno successivo a quando le avevano lasciate. In
aggiunta, gli ex funzionari pubblici non potevano mai svolgere attività di lobbying per
le questioni di cui erano stati direttamente responsabili.
Nel 1988 venne quindi introdotta una legge per limitare la possibilità degli ex-
funzionari del Pentagono di essere coinvolti a vario titolo nella concessione di appalti da
parte del Ministero della Difesa per le industrie di armi e componenti militari. Nello
stesso anno venne approvato anche un progetto di legge che estendeva lo stesso limite
anche agli ex parlamentari e ai membri dei loro staff. Al tempo stesso essa incrementava
le restrizioni per gli ex dirigenti pubblici. Ronald Reagan, allora capo della Casa Bianca,
si oppose al testo ponendo il veto e rispondendo che simili disposizioni avrebbero fatto
diminuire le richieste di lavoro nelle agenzie pubbliche.
Un’ulteriore azione parallela al Federal Regulation of lobbying act fu avanzata e
introdotta nel 1989, con ulteriori restrizioni inserite nell’Ethics Reform Act. Nodo della
questione, il comportamento di coloro che avevano svolto, a qualsiasi titolo, funzioni
pubbliche. Ne seguì che ai membri e ai funzionari del Parlamento venne proibito di
svolgere attività di rappresentanza di interessi di fronte al Congresso per l’intero anno
successivo alla cessazione dell’attività. Ai funzionari degli staff parlamentari venne
preclusa la possibilità di fare lobbying nei confronti del componente, ufficio o comitato
77
per cui avevano lavorato. Anche nel loro caso, l’arco temporale del divieto era di 12
mesi.
L’Ethics Reform Act coinvolse anche i dirigenti pubblici del settore esecutivo per i
quali era proibito rappresentare interessi se l’ex pubblico ufficiale aveva avuto
personalmente funzioni decisionali sulla materia rappresentata. La durata del divieto era
raddoppiata se il tema di interesse riguardava il proprio ufficio. Un anno di inibizione,
invece, per l’ex dirigente che aveva preso parte a trattative o negoziazioni di contratti in
nome dello Stato, in relazione ad attività di consulenza sulle stesse trattative con
soggetti privati.
È datata 1989 la disposizione del democratico Robert C. Byrd, Presidente del
Comitato del Senato per gli stanziamenti pubblici, con cui vennero innalzati i controlli
inerenti i finanziamenti pubblici. In base al testo proposto, coloro che ricevevano
prestiti, sovvenzioni e finanziamenti pubblici per un importo superiore ai 100.000$
dovevano rendere noti i nomi e i compensi dei lobbisti che avevano impiegato per avere
denaro dal Congresso o dal Governo. Proibito, quindi, l’uso dello stesso denaro federale
per avere ulteriori stanziamenti.
Anche l’amministrazione dell’ex presidente democratico Bill Clinton fece le sue
mosse per contrastare abusi o attività illegali. Egli avanzò, e il Congresso approvò, una
proposta per obbligare i lobbisti a comunicare le attività intraprese, compresi i temi di
interesse che volevano influenzare, i contatti instaurati con agenzie federali e comitati
parlamentari, le identità dei loro datori di lavoro e gli investimenti compiuti per
patrocinare gli interessi rappresentati.
Sempre durante l’amministrazione Clinton venne emanato il nuovo regolamento per
i dirigenti pubblici di più alto livello: rispetto al passato, il periodo di inibizione da ogni
attività di rappresentanza di interessi venne aumentato passando da 1 a 5 anni. Una
novità introdotta fu la proibizione per gli ex top manager della pubblica
amministrazione di fare lobbying a favore di governi stranieri.
Venne inoltre proposta una norma per limitare la possibilità ai parlamentare di
accettare regalie da parte delle organizzazioni private ma, nonostante la maggioranza
democratica in entrambi i rami del Parlamento, il testo non fu approvato.
78
2.1.4 Il Lobbying Disclosure Act
La cronostoria della regolamentazione del lobbying negli Stati Uniti d’America
riparte in maniera significativa nel 1995 con l’approvazione del Lobbying Disclosure
Act.
Il testo è la conseguenza di una profonda riflessione sulla regolamentazione
dell’attività di lobbying in vigore allora a seguito dei dati contenuti in un rapporto del
General Accounting Office (l’ufficio di accreditamento dei lobbisti): su 13.500 soggetti
elencati nella Washington Representatives Directory, solo 3.500 risultavano essere
registrati. Come sempre, erano tre gli aspetti su cui concentrare le riforme:
1. estensione degli obblighi di registrazione per i lobbisti che agiscono nei
confronti delle agenzie e degli uffici governativi o che praticano il lobbying
indiretto;
2. aumento dei livelli della trasparenza inerente le spese sostenute e i nominativi
dei membri del Congresso ed i loro staff “ingaggiati” nell’attività di lobbying;
3. aumento dei poteri di sorveglianza e delle iniziative giudiziarie del
Dipartimento di Giustizia.
Emanato dal Congresso nel 1995 e controfirmato dal presidente USA, Bill Clinton,
il 19 dicembre dello stesso anno, il Lobbying Disclosure Act entrò in vigore il 1 gennaio
1996. A distanza da quasi 50 anni dal primo tentativo di regolamentazione del lobbying
americano, un nuovo e importante testo venne approvato per revisionare interamente la
materia ed eliminare tutte le scappatoie esistenti. In primis, venne stabilito l’obbligo di
registrazione anche per tutti coloro che, in qualsiasi modo e a favore delle loro attività,
cercavano di influenzare le decisioni del ramo legislativo ed esecutivo.
Il testo proponeva poi una serie di precise definizioni di alcuni termini:
Lobbying contacts: tutte le comunicazioni scritte o orali relative alla
formulazione, modifica, adozione di un atto legislativo federale, di un
regolamento, di un Executive Order del Presidente, o di qualsiasi altro
programma di politica pubblica del Governo USA. Vi erano inclusi anche i
programmi federali, le trattative e gli arbitrati relativi a contratti federali,
79
concessioni, sovvenzioni, permessi o licenze. Per l’esecutivo i destinatari di tali
contatti sono il Presidente ed il Vice Presidente, i membri del suo staff e altri
soggetti che ricoprono posizioni di una certa rilevanza nell’amministrazione
secondo le normative del settore. Per il potere legislativo il contatto sono i
membri del Congresso e ogni altro soggetto che ricopra posizioni di
collegamento con essi in qualità di collaboratore o impiegato presso il
Congresso. Le attività istituzionali in riferimento alle quali il contatto assume la
denominazione di lobbying possono essere, utilizzando le categoria del sistema
italiano, l’attività legislativa, l’indirizzo politico, l’attività esecutiva ed
amministrativa, i poteri di nomina a cariche che richiedono la conferma del
Senato.
Attività di sostegno al lobbying contacts: comprende tutte le operazioni di
preparazione e pianificazione di lobbying, la fornitura di informazioni e le
attività di coordinamento con le attività collaterali di lobbying. Se richieste
ufficialmente, le attività di ricerca e di informazione sono escluse dalla legge;
Lobbista: colui che è incaricato dal cliente, dietro compenso monetario o di altro
genere, per attività che comprendono più di un singolo contatto con determinate
istituzioni. Il lobbista è altresì colui che impiega più del 20% del suo tempo
totale a servizio di un certo cliente, in un periodo complessivo di 6 mesi, per
patrocinarne gli interessi;
Lobbying firms: comprendono sia le persone fisiche che operano l’attività
direttamente sia le persone fisiche o giuridiche che impiegano soggetti terzi per
conto di un cliente diverso da loro stesse;
Lobbying organizations: sono costituite da enti (società, associazioni, ecc.), e
non da singoli individui, che si avvalgono di persone che effettuano attività di
lobbying per conto dell’ente medesimo;
Cliente: colui che si avvale dell’opera del lobbista. Qualsiasi persona o ente che
impieghi persone dietro compenso monetario o di altro genere per condurre
attività di lobbying per suo conto.
Alla base del testo relativo al Lobbying Disclosure Act vi erano comunque una serie
di considerazioni iniziali, maturate dall’esperienza passata e attentamente valutate dal
80
Congresso. In primis, l’obbligo di registrazione per tutti i lobbisti, indipendentemente
dal fatto che la loro attività si svolgesse all’interno o all’esterno delle istituzioni
interessate. Anche il lobbying nei confronti dell’esecutivo doveva essere controllato, a
differenza del passato. Anche se la registrazione per i lobbisti occasionali non era
obbligatoria, dovevano essere monitorati lo stesso: clienti, fonti dei finanziamenti
(anche soggetti terzi), enti stranieri collegati al cliente del lobbista o in posizione di
controllo sul professionista, salari dei lobbisti e spese per le loro attività.
Una novità introdotta dal testo riguarda la copertura della legge per quanto concerne
le attività rivolte ai membri degli staff dei rappresentanti del Congresso, verso i
funzionari della Pubblica Amministrazione e dell’Esecutivo più tutte le operazioni di
pressione inerenti tematiche di tipo non legislativo.
Una seconda novità, nata dalle considerazioni di partenza, è l’obbligo per i lobbisti
di rendere pubbliche le proprie remunerazioni e i nomi di chi li ingaggia per fare
pressione sul Congresso o sull’Esecutivo.
Per quanto attiene alla struttura del testo questa è tesa a rendere il medesimo più
semplice e comprensibile ai fini di un’aumentata efficacia ed efficienza:
Regole di divulgazione dell’attività di lobbying più chiare e ragionevoli;
Istituzione di requisiti minimi ben precisi relativi a soggetti ed organizzazioni
presi in considerazione dalla legge;
Eliminazione di prescrizioni e adempimenti inutili e/o ripetitivi;
Sostituzione dei rapporti quindicinali con un solo rapporto semestrale;
Informatizzazione;
Obbligo di registrazione solo della singola organizzazione di lobbying e non
di ogni suo singolo impiegato che opera nel settore, come invece era
precedentemente previsto;
Semplice autocertificazione delle spese relative l’attività di lobbying;
Concessione alle organizzazioni che devono giustificare le loro dichiarazioni
di spesa sotto l’egida dell’International Revenue Code (praticamente il
Codice Tributario delle Entrate e delle Imposte Dirette) di poter utilizzare gli
stessi dati forniti al Fisco.
81
La disciplina approvata individua i tempi, le modalità e le conseguenze sia della
registrazione che della sua mancata effettuazione. In particolare, la registrazione è volta
a rendere note le seguenti informazioni:
Generalità, recapito e telefono di colui che si registra, oltre alla descrizione della
attività condotta;
Analoghe informazioni su qualsiasi altra società o ente di qualsiasi tipo diversi
dal cliente dichiarato che, negli ultimi mesi, abbia corrisposto al lobbista denaro
o benefici equivalenti per un ammontare superiore a 10.000$ o, infine, abbia
svolto o svolga una funzione di supervisione, preparazione o controllo
dell’attività di lobbying di costui.
In riferimento alle figure del Secretary of the Senate e al Clerk of the House,
entrambe sono deputate a fornire le linee guida per meglio venire incontro a coloro che
hanno il dovere di registrarsi. Secretary e Clerck, con cadenza semestrale, ricevono un
rapporto che include:
Generalità del lobbista, del cliente ed eventuali variazioni rispetto alla
registrazione iniziale;
Le tematiche oggetto dell’attività di lobbying e i provvedimenti di interesse;
Nominativi dei soggetti istituzionali contattati per l’attività di lobbying;
Interessi stranieri che sono connessi a tale attività;
Cosiddetta “good faith estimate”, cioè la dichiarazione, secondo una stima di
buona fede, delle somme spese per l’attività del lobbista e di quelle ricevute dal
cliente assistito (per le lobbying firm).
I compiti di queste due figure includono anche l’attività di rilevamento delle
infrazioni della normativa. In caso di riscontro di infrazioni informano i soggetti che
hanno compiuto la violazione e richiedono loro informazioni per meglio comprendere i
fatti. Se entro 60 giorni i soggetti notificati non rispondono in maniera soddisfacente,
viene coinvolto l’U.S.Attorney General (il Procuratore Generale) del Distretto di
Columbia che può applicare una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di 50.000$.
Abolite, con il Lobbying Disclosure Act, le pene detentive previste dalla legislazione
precedente.
82
La legislazione del 1995, infine, ha esteso la registrazione prevista per i soggetti
americani anche agli stranieri che operano nel campo del lobbying negli Stati Uniti.
L’entrata in vigore del Lobbying Disclosure Act ha segnato una tappa importante
nel campo della regolamentazione del lobbying a stelle e strisce. Le statistiche, inoltre,
hanno ampiamente dimostrato la validità del provvedimento: se nel 1996 i lobbisti
registrati erano solo 6.000, allo stato attuale il numero è più che raddoppiato con oltre
14.000 professionisti accreditati.
Ma è dal punto di vista della qualità delle informazioni prodotte che si segnala un
notevole passo in avanti grazie ad una maggiore trasparenza e chiarezza, tanto a livello
di rapporti istituzionali tra lobbisti ed esponenti politici quanto a livello di definizione di
lobbista e di lobbying contacts.
Qualche carenza è comunque ancora presente visto che le spese relative alle
operazioni di lobbying indiretto tramite il “grassroots” non godono della copertura di
legge. Ad ogni modo, il maggiore punto critico rimane l’assenza di strumenti concreti
necessari alla reale attuazione della legge. I poteri dei Segretari Generali di Camera e
Senato, delegati al rilevamento delle infrazioni, non sono ancora sufficienti per lo
scopo.
2.1.5 Gli anni Duemila
La disciplina del lobbying è in continua evoluzione. Sebbene il provvedimento del
1995 sia stato adottato anche a livello statale6 (è il caso del New Mexico), gli
accorgimenti tesi ad un continuo miglioramento del settore sono proseguiti anche nei
primi 10 anni del 2000.
Nel 2007 il Presidente USA George W. Bush jr ha firmato l’“Honest Leadership
Act”. Il testo di riforma sull’etica e il lobbying ha introdotto nuove regole per i lobbisti.
È cambiata la tempistica di consegna dei report sulle loro attività di relazioni
istituzionali, che da 6 mesi si è accorciata a 3, e saranno disponibili online. Attualmente
la gestione informatizzata degli archivi del Congresso consente di visualizzare i nomi
delle società di lobbying, i loro clienti, le parcelle fatturate e le istituzioni coinvolte
6 Quindi fuori dal distretto di Washington.
83
nell’attività di influenza. Chi ne trae beneficio? Certamente il sistema, ma soprattutto i
media americani che possono monitorare le campagne di lobbying più intense. Ma la
vera novità della legge è il coinvolgimento sempre crescente dei parlamentari, chiamati
a dichiarare il totale cumulato dei contributi elettorali ricevuti da lobbisti e aziende,
anche se spalmati tra finanziamenti diretti al politico, a fondazioni sue amiche, alla
sezione locale del suo partito e simili. Gli emendamenti a leggi di spesa devono inoltre
essere pubblicati su Internet due giorni prima della votazione. Sono stati introdotti
anche dei divieti per parlamentari, candidati e assistenti quali l’accettazione di regali di
qualsiasi tipo (inclusi pranzi e cene, viaggi della durata di più di un giorno, voli su aerei
privati). Le restrizioni inglobano anche ex parlamentari che vogliono intraprendere la
carriera di lobbista: i senatori, infatti, non possono diventare lobbisti per almeno due
anni dal termine del mandato e i loro collaboratori per un anno. In aggiunta, gli ex
parlamentari perdono il diritto d’accesso ai corridoi riservati del Congresso, ai ristoranti
e al parcheggio. Inoltre, in caso di condanna per reati contro la pubblica
amministrazione, gli ex deputati e senatori perdono la pensione parlamentare.
Tra le curiosità del testo vi è anche una prescrizione per le mogli e i mariti dei
membri del Senato: non possono effettuare attività di lobbying sul Senato a meno che
non esercitassero la stessa professione prima dell’elezione del coniuge o prima di
sposare un membro del Senato. I Senatori e i loro principali collaboratori devono inoltre
notificare all’Ethics Committee entro 3 giorni dall’inizio le trattative per un nuovo
lavoro.
In nome della trasparenza, devono essere noti i nomi dei lobbisti che guadagnano
più di 15.000$ ogni semestre, allo scopo di assicurare maggiore chiarezza sugli
investimenti e i fund raising elettorali.
Sebbene l’abbia firmato, il Presidente Bush non si è dichiarato completamente
soddisfatto degli effetti del testo che consente agli ex senatori di intraprendere
un’attività lobbistica dopo due anni dalla fine del loro mandato mentre i componenti
della House invece devono aspettare solo un anno.
Anche il neo inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, si è attivato nei confronti
del mondo del lobbying. Dopo un inizio di stampo anti-lobbyista («Non prenderò un
soldo da loro nella campagna e saranno banditi dalla Casa Bianca quando sarò
84
presidente»), Obama ha sì varato delle norme più severe contro i lobbisti ma ne ha pure
assunti alcuni, peraltro non in regola con la legislazione vigente. William Lynn III, un
lobbista per l’azienda militare Raytheon, è ora il numero due del Pentagono e William
Corr, un lobbysta anti-tabacco, è ora vice-ministro della Sanità. Debole la difesa della
Casa Bianca di fronte al mare di critiche: le regole richiedono un minimo di flessibilità
«nei casi di persone eccezionalmente qualificate per i loro incarichi».
Ma veniamo all’operato di Obama e citiamo a proposito un articolo pubblicato nel
2009 nel sito www.lobbyingitalia.com:
In due ordinanze esecutive e tre direttive presidenziali, Obama ha stabilito rigorosi limiti al lobbying
che ostacoleranno chiunque voglia cercare lavoro come lobbista mentre egli è presidente, e vieterà doni
da parte dei lobbisti a chiunque nell’amministrazione. Egli ha inoltre ordinato alle agenzie che i
documenti siano rilasciati al pubblico a meno che non vi siano motivi validi per non farlo, e ha allentato
le restrizioni sul rilascio di documenti relativi agli ex presidenti e vice presidenti.
I sostenitori dell’ open-government hanno descritto queste mosse come un forte allontanamento dalle
politiche dell’ex presidente George W. Bush e dell'ex vice Presidente Richard B. Cheney, che hanno
cercato di proteggere dal pubblico le informazioni sul funzionamento interno della Casa Bianca e hanno
imposto restrizioni ai documenti pubblici.
Fred Wertheimer, presidente di Democracy 21, ha detto che le restrizioni al lobbismo "costituiscono
un importante passo avanti nella creazione di un nuovo tono e atteggiamento di Washington, che sfida il
lobbista e in particolare la cultura dell’interesse."
Steve Aftergood, direttore del Progetto sul segreto di stato della Federation of American Scientists,
ha detto che è "sorprendente" che Obama ha emanato tali direttive nel suo primo giorno. Ma, ha aggiunto,
"questo deve essere l'inizio di un processo che traduce questa policy in pratica, e ciò ha dimostrato di
essere una sfida." Le limitazioni al lobbismo sembrano anche essere notevolmente più ampie rispetto di
quelle imposte da altri presidenti, hanno detto gli esperti.
Due giorni dopo la sua inaugurazione nel 1993, Bill Clinton impedì ad alti incaricati dal lasciare
l’incarico e poi, in qualsiasi momento dei cinque anni successivi, fare lobbying sugli ex colleghi nell’
agenzia in cui aveva lavorato. Egli ha revocato l'ordinanza un mese prima di lasciare l'ufficio, poichè gli
assistenti lamentavano la difficoltà di trovare lavoro.
L’ordinanza di Obama si applica più in generale a "ogni persona in ogni agenzia esecutiva",
impedendo loro di lasciare l’incarico e poi fare azione di lobbying su qualsiasi altro ufficiale del ramo
esecutivo o alto funzionario incaricato per il resto del suo mandato. La regola impedisce anche ai nuovi
funzionari dal fare policy in merito a qualsiasi questione che riguardi i loro ex datori di lavoro o clienti
per un periodo di due anni, o dal lavorare in un'agenzia che ha fatto lobbying negli ultimi due anni. "Non
dovremmo mai dimenticare che siamo qui come dipendenti pubblici ", ha detto Obama.
85
Le osservazioni di Obama hanno suscitato critiche da parte del Comitato Nazionale Repubblicano, il
quale ha osservato che Obama ha nominato William J. Lynn III, un ex lobbista Raytheon, come vice-
segretario della difesa. Le relazioni sul lobbying depositate da Raytheon al Senato affermano che Lynn ha
fatto parte di un gruppo che esercitò azione di lobbying sul Congresso e il Pentagono nel 2007 e nel 2008.
I funzionari della Casa Bianca non hanno risposto alle richieste di commento.
In un’altra ordinanza, Obama ha autorizzato una maggiore apertura dei documenti presidenziali, in
seguito alla decisione del Congresso di un periodo di attesa di cinque anni dopo che qualsiasi presidente
lascia l'incarico. L'ordinanza consente un riesame da parte della procura generale e del Counsel of claims
della Casa Bianca nel caso in cui le informazioni debbano essere trattenute secondo la dottrina dell’
"executive privilege ". Inoltre lascia la decisione finale nelle mani del presidente in carica - e non dell'ex
presidente, come previsto in un’ordinanza di Bush del 2001.
Anne Weismann, consulente dell’organizzazione no-profit Citizens for Ethics and Responsibility di
Washington, ha detto che l’ordinanza segnala "un ritorno allo Stato di diritto" e al rispetto dei termini che
il Congresso originariamente indicò nel Presidential Records Act.
2.2 Lobbying a Bruxelles
La comparsa dei gruppi di interesse, e dell’azione di lobbying, sulla scena di
Bruxelles risale alla seconda metà degli anni Ottanta, in coincidenza con l’avvio del
progetto volto al completamento del mercato interno e con le modifiche apportate al
Trattato istitutivo della Comunità economica Europea dall’Atto Unico Europeo. Nel
corso degli anni le competenze delle istituzioni europee (Commissione, Parlamento e
Consiglio) sono aumentate e, in parallelo, si è assistito ad un considerevole aumento dei
soggetti che quotidianamente cercano di influenzare le decisioni prese. Del resto non
potrebbe essere diversamente: a Bruxelles si decide circa l’80% dei contenuti delle leggi
nazionali e locali, incluse le leggi finanziarie.
Rispetto a una realtà come l’Italia, la percezione del lobbying all’interno
dell’Unione Europea è totalmente diversa soprattutto per la definizione che ne viene
fornita:
per lobbying si deve intendere quel processo tramite il quale i gruppi di interesse forniscono
informazioni che trovano facilmente accesso alle istituzioni comunitarie per il deficit di informazione di
cui soffrono le istituzioni europee7
7 M. Mazzoni, op. cit. p. 126.
86
Ma soprattutto viene riconosciuto al lobbista un’importante utilità: il suo operato
semplifica la complessità del processo decisionale che coinvolge ogni eurodeputato e
consente ai membri delle istituzioni di avere più chiare le informazioni, in particolare
quelle tecniche, inerenti i contenuti dei vari provvedimenti che sono poi oggetto di
dibattito.
2.2.1 Il lobbista di Bruxelles
Esistono due tipologie di lobbisti a Bruxelles: gli in-house lobbyists e gli hire
lobbyists.
In-house lobbyists: sono dipendenti di un gruppo di interesse, mandati nella
capitale belga per costruire l’ufficio di rappresentanza. Un esempio pratico è
dato da Fiat, presente con tre lobbisti responsabili di tre settori specifici:
gestione dell’ufficio, settore automobilistico e macchine agricole più
trasporto pesante;
Hire lobbyists: provengono da agenzie di comunicazione o studi legali,
ingaggiati di volta in volta dalle organizzazioni presenti a supporto degli in-
house lobbyists. Gli hire lobbyists sono buoni conoscitori del processo
decisionale europeo e degli esponenti politici.
Entrambe le tipologie praticano due modalità di lobbying:
Soft lobbying: è il monitoraggio legislativo, ovvero l’atto di “ascoltare”
l’attività legislativa europea ed individuare eventuali provvedimenti di
interesse. Tra gli strumenti usati figurano: rapporti di ricerca, documenti di
lavoro, note di aggiornamento, policy briefs;
Hard lobbying: è l’atto di influenzare l’esponente politico.
La realtà di Bruxelles è abbastanza imprevedibile: di norma, un in-house lobbyist
pratica tanto il soft lobbying quanto l’hard lobbying. Ma volte capita che
un’organizzazione decida di affidarsi ad entrambe le tipologie di lobbista.
87
2.2.2 Organizzarsi
Lavorare in un ambiente in cui operano oltre 14.000 lobbisti può non essere
semplice. Il lobbista di Bruxelles può però contare su poche ma buone regole8, frutto
dell’esperienza sua e dei suoi colleghi. Una premessa è però fondamentale: la
conoscenza della lingua inglese è fondamentale, tanto per comunicare con i diversi
interlocutori (funzionari politici, collaboratori, lobbisti) quanto per farsi assumere da
uno studio di lobbying (se si è intenzionati ad intraprendere tale attività). Detto questo,
cinque regole base aiutano il lobbista a sopravvivere e a vincere il gioco delle influenze.
1. Conoscere il funzionamento e la tempistica del processo decisionale: sapere
come si caratterizza l’iter decisionale permette al lobbista di calcolare i
tempi del suo intervento così da proporre emendamenti nei tempi richiesti;
2. Conoscere a fondo le istituzioni comunitarie: consente al lobbista di tracciare
una mappa dei soggetti istituzionali coinvolti, cogliere i soggetti chiave e
definire una strategia di lobbying;
3. Comunicare bene: il lobbying è un passaggio di informazioni a Bruxelles. Il
lobbista cura il contenuto delle informazioni in suo possesso e la sua
trasmissione all’esponente politico di riferimento. Al tempo stesso cura
costantemente le relazioni interpersonali. Anche al di fuori degli ambienti
istituzionali;
4. Essere trasparenti: il lobbista dichiara per chi lavora e lo scopo del suo
operato. Trasparenza è sinonimo di onestà che porta alla fiducia;
5. Usare i media tradizionali e le nuove tecnologie: come è stato esposto nel
capitolo precedente, i media possono rappresentare un prezioso alleato
perché possono informare e, al tempo stesso, influenzare le decisioni. «Per di
più, quando un lobbista è in grado di far pubblicare un articolo […], non solo
conferisce maggiore visibilità al gruppo di interesse per cui lavora, ma
rafforza anche la sua posizione e fama agli occhi di chi è chiamato a
decidere»9. Risulta pertanto importante la relazione tra lobbisti e giornalisti,
8 Ibidem. p. 132 e ss.
9 Ibidem. p. 135.
88
per un continuo scambio di informazioni e notizie. Anche le nuove
tecnologie sono un valido alleato per il lobbista. Internet e i social network
gli consentono tanto di ricavare informazioni quanto di interagire con
l’europarlamentare attraverso la posta elettronica. Un esempio può chiarire il
concetto. Il prospettiva di una votazione, il capogruppo X ricorda ai colleghi
di partito di votare a favore di un determinato provvedimento. Pochi di loro
conoscono gli effetti di quel voto. A pochi minuti dal voto, e su indicazione
di un lobbista, uno dei votanti viene letteralmente sommerso da mail che gli
chiedono di non votare secondo le direttive del suo capogruppo. Se sono 3
mail a chiederglielo, il politico non cambia idea. Ma se sono 1000 volte
tanto, l’europarlamentare si ferma e chiede al capogruppo spiegazioni,
aggiungendo che non si possono ignorare 3.000 persone che chiedono un
voto contrario. Potere dei new media.
2.3 Obiettivo e influenza
A Bruxelles operano le maggiori istituzioni europee: Commissione Europea,
Parlamento Europeo e Consiglio Europeo. Tutti si caratterizzano per essere potenziali
interlocutori del lobbista.
2.3.1 Commissione Europea
La Commissione Europea (d’ora in avanti CE) detiene il potere di presentare le
proposte legislative e, in seguito a tale responsabilità, è il primo possibile
interlocutore del lobbista. La sua azione di influenza si articola in tre fasi:
Fase di impulso: il lobbista favorisce la creazione di alleanze fra il gruppo di
pressione e i rappresentanti degli Stati membri dell’UE affinché venga
richiesta l’attivazione di un processo legislativo;
Fase della redazione: la Direzione generale10
competente sulla materia
provvede alla redazione della proposta legislativa. Per farlo deve ricorrere ad
10
Uno dei dipartimenti in cui è strutturata la CE.
89
incontri con i comitati consultivi, composti da esperti di settore provenienti
da vari Stati dell’UE. Sulla base dei loro pareri poi avviene la formulazione
del testo di legge. Il lobbista fornisce al funzionario responsabile del dossier
il position paper dell’azienda rappresentata. Al tempo stesso il lobbista
agisce anche nei confronti del comitato consultivo dove può sedere un
“proprio” uomo di fiducia all’interno del comitato stesso, è compito del
lobbista trovare un interlocutore. L’obiettivo è di creare consenso all’interno
del comitato e le condizioni affinché la Direzione Generale competente e il
funzionario responsabile della redazione del testo recepiscano le
informazioni e i pareri che giungono dall’esperto contattato. Di fatto, però,
quest’ultimo obiettivo è assai difficile da conseguire;
Fase dell’adozione: il lobbista si assicura che le sue richieste abbiano trovato
posto nella proposta legislativa. Fare lobbying in questa fase è una sfida non
da poco, soprattutto se il lobbista è a conoscenza di una posizione contraria
di un Commissario alla proposta di legge. La strada consigliata è
l’inserimento, il prima possibile, della proposta legislativa nell’ordine del
giorno dei lavori della CE. Parallelamente viene richiesto un incontro al
Commissario che, successivamente, avanzerà tale richiesta.
2.3.2 Parlamento Europeo
Dopo l’approvazione della CE, la proposta di legge passa al Parlamento Europeo
(PE). Essendo aumentati i suoi settori di competenza anche il PE è diventato negli
ultimi anni un punto di riferimento per i lobbisti. Ciò che interessa al lobbista è la
facoltà, per il PE, di presentare emendamenti (in commissione parlamentare) con cui
modificare una proposta legislativa. Per influenzare il contenuto degli emendamenti il
lobbista può scegliere tra 3 differenti interlocutori:
Relatore (o rapporteur);
Assistente parlamentare;
Relatori ombra (o rapporteur shadow).
90
Relatore: l’azione del lobbista ha più probabilità di successo se può contare su una
conoscenza personale del relatore. La relazione di fiducia e le competenze maggiori del
lobbista portano quest’ultimo a scrivere i testi degli emendamenti. È utile, a tal fine,
richiamare quanto raccolto da Marco Mazzoni in una sua intervista ad un lobbista di
Bruxelles:
«Non voglio fare quello che scopre l’acqua calda e non vorrei sollevare un polverone, ma quasi
sempre l’emendamento lo scrivo io, ma tutto questo è normale. Ma secondo te, tanto per fare un esempio,
quando si devono stabilire i requisiti di classificazione dei dischi per freni delle macchine, lo sanno fare
meglio gli eurodeputati o i lobbisti che rappresentano chi li produce? Il politico, una volta ricevuto
l’emendamento, se lo legge attentamente, spesso lo invia a Roma per delle valutazioni più accorte. A
volte, si possono aprire anche delle fasi dialettiche sulla singola parola per vedere come chiudere
l’operazione. Poi, quando tutto è a posto, lo presenta in commissione».
La relazione tra il relatore ed il lobbista è così particolare che le due figure si
ricercano vicendevolmente. In un primo caso è il lobbista ad andare dal relatore per
proporgli un emendamento. Il lobbista ovviamente formula l’emendamento in base agli
interessi rappresentati sfruttando anche il peso del gruppo di interesse rappresentato. Si
può comunque verificare anche il caso in cui è il relatore a contattare il lobbista. Capita
quando il relatore, una volta nominato, abbia necessità del maggior numero di
informazioni possibili per conoscere meglio una tematica e poterla illustrare nella
relazione che accompagna il testo della proposta di legge. Lo staff tecnico del relatore è
certamente in grado di soddisfare tale esigenza ma il contributo tecnico anche del
lobbista permette al relatore di avere un’idea il più vicino possibile alla realtà. Di
conseguenza, vengono convocate diverse audizioni parlamentari dove ciascun gruppo di
interesse esterna la propria posizione. Accanto ai colloqui formali trovano posto gli
incontri informali, in cui il relatore contatta i lobbisti di cui si fida e che, col tempo,
sono divenuti punti di riferimento per il politico su specifici settori.
Assistente parlamentare: costituisce una figura di notevole valore, tanto per la
ricerca di informazioni quanto in termini di relazioni interpersonali. L’assistente è molto
vicino all’europarlamentare e, soprattutto, fa da tramite con il lobbista a cui può
anticipare la posizione del politico nei confronti di un tema di interesse. Spiega
Mazzoni:
«L’assistente parlamentare è colui che organizza l’agenda dell’eurodeputato; è quello che favorisce o
ostacola l’azione diretta con il politico. È conveniente avere con lui un rapporto informale, dato che mi
91
trovo spesso a lavorare con loro. L’assistente, a differenza del deputato che è a Bruxelles solo qualche
giorno a settimana, è sempre presente in città e conosce benissimo ogni aspetto del Parlamento, delle
regole al funzionamento».
Il lobbista attento è consapevole del rapporto stretto che esiste tra assistente e
politico e ne tiene conto. Come? Immaginiamo la solita situazione: il lobbista ha
l’esigenza di inserire specifici contenuti in un emendamento. Inizia così un intenso
scambio di informazioni tra il professionista e l’assistente, cui viene spiegato in modo
dettagliato la posizione del lobbista e cosa questo si aspetta dall’europarlamentare.
L’assistente illustrerà al suo “capo” la situazione e da questo nascerà un emendamento.
Chi ne è il vero autore? Il politico ovviamente rivendicherà la paternità del testo
prodotto e dei ragionamenti che ne stanno alla base. In realtà ha sfruttato le
informazioni giuntegli dal suo assistente che prima ancora aveva parlato col lobbista.
Ma al professionista della relazione poco importa chi sia l’autore dell’emendamento.
Relatore ombra: è una figura che si contrappone al relatore ed è nominata da ogni
gruppo politico. È, in sostanza, l’esperto del gruppo su una tematica precisa e funge da
referente in commissione. In genere il relatore e i relatori ombra si confrontano sugli
emendamenti prima di procedere con la loro votazione. Il caso di accordo tra le parti,
l’approvazione dell’emendamento è pura prassi. Ma qualora ciò non si verificasse, la
negoziazione che si svilupperebbe porterebbe alla formulazione di uno o più
emendamenti dal sapore di compromesso11
. Emendamenti di tal genere possono
rappresentare un pericolo per il lobbista perché possono minarne gli interessi e vedere
mutato o cancellato un emendamento, formulato da lui o col suo supporto. Si rende
necessario allora instaurare una relazione con i relatori ombra finalizzata alla creazione
di consenso attorno all’emendamento. Negli incontri che seguono, il lobbista fornisce al
relatore ombra l’emendamento in questione e una relazione dettagliata sulle finalità
volute. In aggiunta, il lobbista farà pervenire ai relatori ombra contattati gli
emendamenti avanzati dagli altri lobbisti, specificando la posizione del suo gruppo di
interesse nei confronti degli stessi.
11
Che soddisferebbe tanto le richieste del relatore quanto dei relatori ombra e non
del lobbista.
92
2.3.3 Consiglio dell’Unione Europea
Il Consiglio dell’Unione Europea (d’ora in poi Consiglio) è l’ultimo avamposto
istituzionale del vecchio continente. Essendo meno legato alla volontà delle istituzioni
comunitarie, è l’organo meno aperto e, conseguentemente, più difficile da raggiungere
per il lobbista. Essendo quindi caratterizzato dalla forma di voto a maggioranza, il
lobbista non può contare sull’appoggio di un singolo Stato, ma deve dare vita ad una
coalition building12
tra gli esponenti dei diversi Paesi. È comunque vero che solo i più
grandi e influenti gruppi di pressione hanno possibilità di influenzare l’attività dei
membri del Consiglio.
Il lobbista che rappresenta un gruppo di interesse ha, di fronte a sé, due soluzioni per
fare lobbying. Nel prima caso può cercare di contattare i ministri nazionali i quali, a loro
volta, si faranno carico delle istanze presentate all’interno del Consiglio. La seconda
opzione prevede l’engagement del Comitato dei rappresentati permanenti (Coreper13
),
l’organo che dibatte su una proposta di legge (e in parte la modifica) prima che questa
sia sottoposta all’esame del Consiglio. Poiché i membri del Coreper reputano il dialogo
un importante strumento di legislazione con i soggetti esterni, va da sé che il medesimo
dialogo includa, tra gli interlocutori, anche i lobbisti. «C’è la consapevolezza da parte
del lobbista che l’ambasciatore e i funzionari hanno grande interesse affinché i gruppi
del loro stesso paese riescano a penetrare nel processo decisionale comunitario. È un
modo questo per promuovere l’interesse nazionale, ma anche per incrementare il
consenso dei governanti nazionali. In pratica, tra il lobbista, l’ambasciatore e i
funzionari della rappresentanza permanente si instaura un rapporto che spesso supera
il semplice rapporto di lavoro. […]. Il lobbista telefona e incontra spesso il membro (o i
membri) della rappresentanza permanente per essere informato sulle novità giunte al
12
Una coalizione in gergo tecnico.
13 Costituito da ambasciatori, chiamati rappresentanti permanenti. Secondo una
stima, il 90% delle decisioni del Consiglio viene preso da Coreper, il quale non un
potere decisionale. Pur tuttavia, i documenti che da esso arrivano al Consiglio non sono
più facilmente modificabili. Di conseguenza, la sua attività ha una notevole influenza
sui lavori del Consiglio.
93
Coreper in merito ad uno specifico argomento e a sua volta il rappresentante aggiorna
il lobbista sulla decisione che sembra stia maturando all’interno del Comitato e sulla
posizione tenuta dal ministro nazionale. In questo modo il lobbista provvederà a
pianificare la sua azione di lobbying stabilendo in maniera più precisa chi lobbare e
quali risorse e strumenti impiegare» (Mazzoni 2010).
2.4 Regole
Attualmente l’attività di lobbying in seno alle tre istituzioni europee prevede una
flebile regolamentazione caratterizzata da un’iscrizione volontaria ad un registro e ad un
codice di condotta. Sono risultati conseguiti recentemente (2008). In realtà, la questione
della regolamentazione ha radici nei primi anni Novanta.
2.4.1 I primi tentativi
Nel 1992 la Commissione Europea affrontò il problema del lobbying nella
Comunicazione “Un dialogo aperto e strutturato fra la Commissione e i gruppi di
interesse”14
. Il documento trattava la tematica sotto due punti di vista: tecnico e
politico. Nel primo caso era riconosciuto l’apporto che i gruppi di interesse possono
fornire ai lavori della Commissione, grazie studi, pareri ed expertise. Nel secondo caso,
invece, è riconosciuto il vantaggio che deriverebbe alla Commissione (nel momento in
cui sottopone le proposte di legge al Parlamento e al Consiglio) grazie alla
collaborazione ed il confronto con soggetti del mondo economico e sociale, in grado di
generare una notevole influenza in ambito europeo. Un testo approvato da personalità
importanti avrebbe poi un iter legislativo pressoché privo di ostacoli. Ma nonostante la
Comunicazione, non si verificò nessuna produzione normativa.
Nello stesso anno, la problematica venne sollevata anche dal Parlamento Europeo
tramite il rapporto Galle (dal nome dell’europarlamentare). Il rapporto prevedeva di
istituire un registro dei soggetti autorizzati ad accedere al Parlamento, la disciplina per
la registrazione ed un codice di condotta. Venivano altresì specificati i diritti dei lobbisti
registrati, in riferimento all’accesso alla documentazione non ufficiale e alle discussioni.
14
Pubblicata sulla GUCE C 63 del 5 marzo 1992.
94
Fu però necessario un secondo rapporto, a firma Ford, del 1995 e approvato il 17 luglio
1996 per ottenere l’attuale disciplina: un registro ad iscrizione volontaria e
aggiornamento annuale, un lasciapassare15
rilasciato dai Questori (autorizzati a ritirarlo
qualora la condotta del lobbista non sia conforme alle regole) e un codice di condotta di
cui pubblichiamo il contenuto16
:
Nel quadro delle loro relazioni con il Parlamento, le persone figuranti nel registro
previsto all'articolo 9, paragrafo 4
a) devono rispettare le disposizioni dell'articolo 9 e del presente allegato;
b) devono dichiarare l'interesse o gli interessi che rappresentano nei loro rapporti
con i deputati, il loro personale o i dipendenti dell'istituzione;
c) devono astenersi da qualsiasi azione volta a ottenere informazioni in modo
disonesto;
d) non possono vantare alcun rapporto ufficiale con il Parlamento nelle loro
relazioni con terzi;
e) non possono diffondere presso terzi, a scopo di lucro, copie di documenti
ottenuti presso il Parlamento;
f) devono ottemperare rigorosamente alle disposizioni dell'allegato I, articolo 2,
secondo comma;
g) devono assicurarsi che qualsiasi assistenza fornita nel quadro delle disposizioni
di cui all'allegato I, articolo 2 sia dichiarata nell'apposito registro;
h) devono ottemperare, in caso di assunzione di ex dipendenti delle istituzioni, alle
disposizioni dello statuto del personale;
15
Come stabilito dal Regolamento, il tesserino deve prevedere la fotografia del
titolare, nome, cognome, impresa o organizzazione o persona per la quale lavora. Il
rinnovo è possibile solo se il titolare ha rispettato gli obblighi previsti. Il lasciapassare
non autorizza in alcun caso i titolari ad assistere alle riunioni del Parlamento o dei suoi
organi, fatte salve le riunioni dichiarate aperte al pubblico, e non consente, in tal caso,
alcuna deroga alle norme di accesso che si applicano a qualsiasi altro cittadino
dell’Unione.
16Disponibile al sito www.europarl.europa.eu
95
i) devono conformarsi alle disposizioni adottate dal Parlamento in materia di diritti
e responsabilità degli ex deputati;
j) per evitare possibili conflitti di interesse devono ottenere il consenso preliminare
del deputato o dei deputati interessati in merito a qualsiasi rapporto contrattuale o
all'assunzione di un assistente parlamentare e successivamente far sì che ciò sia
dichiarato nel registro previsto all'articolo 9, paragrafo 4;
2. Ogni violazione del presente codice di condotta può condurre al ritiro del
lasciapassare rilasciato alle persone interessate e, se del caso, all'impresa di cui sono
dipendenti.
2.4.2 La situazione attuale
A livello di Commissione Europea la produzione normativa ha prodotto risultati
solo negli anni 2000. Nel 2005 il Commissario per gli Affari Amministrativi, Siim
Kassas, ha avviato l’Iniziativa Europea per la Trasparenza (ETI), indirizzata a garantire
l’integrità dei decisori e dei gruppi di interesse nella scelta e nel perseguimento delle
politiche dell’UE.
Nel medesimo anno diverse associazioni di lobbying con sede a Bruxelles hanno
deciso di dotarsi di un’autoregolamentazione che implica l’osservare i principi di onestà
e integrità nella pratica del lobbying.
Solo nel 2006 si è giunti a concepire un sistema di registrazione per le aziende di
lobbying su base volontaria, un codice di condotta comune per i lobbisti e un sistema di
controllo per il rilevamento di infrazioni e l’applicazione di sanzioni.
Nel 2007 la Commissione ha presentato la prima bozza del registro, rivelatosi poi
inefficiente e quindi rivisto durante l’Iniziativa Europea per la Trasparenza del
medesimo anno. Si è così provveduto a specificare i requisiti minimi per la
registrazione:
Le società di consulenza specializzate e gli studi legali che svolgono attività
di lobbying presso le istituzioni dell’UE devono dichiarare il fatturato
generato da tali attività e indicare il “peso” relativo dei singoli clienti;
I lobbisti interni e le associazioni di categoria che si occupano di lobbying
devono formulare una stima dei costi associati all’attività diretta di lobbying
presso le istituzioni dell’UE;
96
Le O.N.G. e i centri studi (think tank) devono fornire il bilancio complessivo
e indicare la ripartizione delle principali fonti di finanziamento (importo e
provenienza dei finanziamenti pubblici, donazioni, quote associative, ecc.).
All’interno dell’atto la Commissione ha approvato un codice di condotta che i
gruppi di interesse devono sottoscrivere nel momento in cui si registrano.
Il 2008 ha segnato l’ultima tappa nella regolamentazione del lobbying di Bruxelles.
La Commissione ha istituito il registro on-line e ha ridefinito le attività per le quali è
necessaria la registrazione: «le attività svolte al fine di influenzare l’elaborazione delle
politiche e il processo decisionale delle istituzioni europee». Sono escluse invece:
Le attività di consulenza legale o professionale di altro tipo, nella misura in
cui si riferiscono all'esercizio del diritto fondamentale di un cliente a un
processo equo, compreso il diritto di difesa nei procedimenti amministrativi,
svolte da avvocati o da altri professionisti coinvolti;
Le attività delle parti sociali in quanto attori del dialogo sociale (sindacati,
associazioni datoriali, ecc.). Tuttavia, quando si impegnano in attività che
esulano dal ruolo conferito loro dai trattati, tali attori devono registrarsi per
garantire condizioni paritarie tra tutti gli interessi rappresentati;
Le attività che costituiscono risposte a richieste dirette della Commissione,
come richieste ad hoc o periodiche di informazioni fattuali, dati o
consulenze, inviti ad audizioni pubbliche o a partecipare a comitati
consultivi o a forum analoghi.
In aggiunta, «La Commissione riconosce che la missione della maggior parte delle
organizzazioni impegnate nella rappresentanza di interessi è più ampia rispetto alle
attività per le quali è prevista la registrazione. Tali organizzazioni svolgono attività,
come l'elaborazione di studi, statistiche e altre informazioni e documenti, nonché azioni
di formazione e sviluppo delle capacità per membri o clienti, che, se non sono correlate
ad attività di rappresentanza di interessi, esulano dalla definizione».
Con la Comunicazione è stato infine redatto il codice di condotta dei lobbisti nella
sua versione definitiva. L’accettazione del codice è il presupposto necessario per
97
l’iscrizione al registro, a sua volta presupposto per lo svolgimento riconosciuto
dell’attività di lobbying.
Il codice dei lobbisti17
altro non è se non un semplice elenco di norme orientate solo
alla trasparenza del rapporto. Secondo il Vicepresidente della Commissione Europea,
Kallas, «l’obiettivo non è che la Commissione dica ai lobbisti come comportarsi. Infatti
non abbiamo fatto altro che raggruppare in un unico testo i principi a cui la professione
stessa aderisce già. La novità – precisa – è che l’insieme dei lobbisti si impegna a
rispettare il medesimo codice, accettando che la loro adesione a questo codice sarà
sottomessa a un meccanismo di sorveglianza, di applicazione e di sanzione da parte di
un’autorità indipendente18
».
Per quanto concerne i contenuti del codice con riferimento ai rappresentanti di
interessi (lobbisti), viene precisato19
:
PRINCIPI:
I rappresentanti di interessi devono applicare i principi di apertura, trasparenza,
onestà e integrità, come si aspettano legittimamente da loro i cittadini e le altre parti
interessate.
Analogamente, i membri e il personale della Commissione sono tenuti a rispettare
norme rigorose che garantiscono la loro imparzialità. Le disposizioni in materia sono
contenute nel trattato che istituisce la Comunità europea, nello statuto dei funzionari, nel
codice di condotta dei commissari e nel codice di buona condotta amministrativa.
NORME:
I rappresentanti di interessi devono sempre:
indicare il proprio nome e l'organismo per il quale lavorano o che
rappresentano;
17
https://webgate.ec.europa.eu/transparency
18 B. Facchetti, L. Marozzi, op. cit. p. 249.
19 https://webgate.ec.europa.eu/transparency
98
presentarsi fornendo informazioni corrette al momento della registrazione
al fine di non indurre in errore i terzi o il personale dell'UE;
dichiarare gli interessi e, se del caso, i clienti o i membri che essi
rappresentano;
garantire che, per quanto a loro conoscenza, le informazioni fornite sono
obiettive, complete, aggiornate e non fuorvianti;
non ottenere e non cercare di ottenere informazioni o decisioni in maniera
disonesta;
non indurre funzionari dell'UE a contravvenire alle disposizioni e alle
norme di comportamento ad essi applicabili;
qualora lavorino per loro degli ex funzionari dell'UE, rispettare l'obbligo
di questi ultimi di attenersi alle norme e agli obblighi in materia di
riservatezza ad essi applicabili.
ALTRE DISPOSIZIONI:
Violazioni del codice. Gli organismi registrati sono informati e accettano che
la violazione delle norme di cui sopra da parte dei loro rappresentanti può
comportare la sospensione o l'esclusione dal registro a seguito di un
procedimento amministrativo della Commissione che rispetta il principio di
proporzionalità e il diritto di difesa.
Reclami. Gli organismi registrati sono informati del fatto che chiunque può
presentare un reclamo alla Commissione, fondato su fatti concreti, in merito
a una presunta violazione delle norme di cui sopra.
Pubblicazione di contributi e altri documenti. Gli organismi registrati sono
informati del fatto che i loro contributi alle consultazioni pubbliche vengono
pubblicati su Internet con l'indicazione dell'identità dell'autore del
contributo, a meno che questi si opponga alla pubblicazione dei dati
personali in quanto ritiene che la loro pubblicazione potrebbe ledere i suoi
legittimi interessi. Qualora ne venga fatta richiesta e fatte salve le
disposizioni del regolamento (CE) n. 1049/2001 relativo all'accesso del
pubblico ai documenti, la Commissione può trovarsi a dover divulgare la
99
corrispondenza e altri documenti relativi alle attività dei rappresentanti di
interessi.
Legiferare in tema di lobbying a Bruxelles si è reso necessario dato l’alto numero di
lobbisti presenti nella capitale belga. L’impressione, però, è che ancora una volta sia
stata persa l’occasione per elaborare una legislazione sicuramente più efficace ed
efficiente. La facoltà di iscriversi al registro non ha beneficiato sulla trasparenza,
essendo davvero poche le registrazioni effettuate: ad aprile 2009 erano 1382 i lobbisti
iscritti, ovvero l’8% di quelli considerati realmente operativi. Studi legali e centri studi
non hanno accolto, ben prima del 2008, l’invito della Commissione ad iscriversi al
registro: i primi a causa dell’assenza di norme che rispettino la riservatezza dei propri
clienti; i secondi perché non si considerano portatori di interessi specifici o a fini di
lucro. Nei loro confronti la Commissione è tornata alla carica alla luce delle nuove
disposizioni.
101
CAPITOLO 3
AMD e l’intervento per la nuova formulazione dei bandi pubblici della Pubblica
Amministrazione
Il diavolo non è brutto come si dipinge
Proverbio italiano
3.1 AMD
Fondata nel 1969, l’americana AMD (Advanced Micro Devices) è oggi una delle
aziende leader mondiali nella produzione di microprocessori. Può vantare un organico
di 11.000 dipendenti che prestano servizio nelle 47 strutture presenti nel mondo. La
sede centrale è situata a Sunnyvale (California). La filiale italiana ha sede a Milano.
Dal 1979 è quotata alla borsa di New York1 e nel 1984 è stata inserita nella speciale
classifica dedicata alle migliori 100 aziende per cui lavorare negli USA.
Nel 2000 è stata la prima azienda del settore a “rompere” il muro del Gigahertz,
valore inerente al numero di operazioni al secondo che un processore è in grado di
effettuare.
Attualmente, i processori AMD consentono il funzionamento degli ultimi ritrovati
tecnologici nel campo dei giochi elettronici, supportando la popolare console Nintendo
WII.
Come si può apprendere dal sito dell’azienda2, gli elementi che ne distinguono il
business sono il desiderio di un mondo in cui la tecnologia AMD consenta di aumentare
la qualità della vita delle persone (vision), guidare il processo di innovazione, porre al
centro dell’attenzione la propria clientela per aiutarla nella crescita del proprio business
1 New York Stock Exchange, o NYSE.
2 www.amd.com
102
e rafforzare ciò che essa chiama “digital lifestyle” e accelerare l’integrazione globale
digitale (mission).
AMD, oltre all’impegno profuso nel continuo processo di ricerca e sviluppo dei
microprocessori, è particolarmente attenta al cosiddetto “fair and open competition”,
affiancando i “government procurement” (gli uffici acquisti del governo) al fine di
promuovere processi di acquisto trasparenti e competitivi e in accordo con i contenuti
del World Trade Organization's Government Procurement Agreement.
3.2 Lo scenario competitivo per AMD nei primi anni 2000 in Italia
Nei primi anni Duemila AMD ha più volte partecipato alle gare di appalto
pubblicate dalla Pubblica Amministrazione (di seguito PA) inerenti alla fornitura di
strumenti informatici (computer). Ma fin da subito si è trovata di fronte un ostacolo
alquanto ostico. La formulazione di tutti i bandi di allora richiedeva computer dotati di
processori “Intel o compatibili”. A trarre vantaggio da tale formulazione era, di fatto,
soltanto la menzionata Intel, casa produttrice di microprocessori, anch’essa americana e
basata in California come AMD. AMD si è ritrovata così fuori dai giochi e Intel, dal
canto suo, non poteva chiedere di meglio: la sua quota di mercato era nettamente
superiore alla concorrenza con un vantaggio competitivo che le veniva dal fatto di
essere stata la prima produttrice di chip per personal computer. Questo le ha consentito
di espandersi così tanto da detenere il monopolio dei microprocessori. Ad oggi,
chiunque acquisti un computer lo trova dotato di un chip Intel. Il potere di questa
azienda era dunque così forte che anche i testi dei bandi pubblici ne sono stati
influenzati, arrivando ad includervi il brand Intel in quanto termine di paragone rispetto
a tutti gli altri produttori. In effetti, la PA non disponeva di strumentazioni atte ad una
comparazione delle prestazioni dei diversi chip presenti sul mercato e poiché Intel era la
marca più diffusa, la PA dava per scontato che fosse il prodotto di riferimento su cui
valutare le diverse proposte commerciali.
Citare una marca in un bando era comunque una prassi consolidata. Tuttavia, fino a
quando il brand era menzionato in un bando emesso da un’organizzazione privata
l’azione non rappresentava nulla di vietato e il paragone era ammesso. Nel caso di un
bando della PA, però, non si poteva dire altrettanto. Eppure la formulazione dei bandi
103
con la presenza di un esplicito termine di paragone (Intel) era ricorrente, nonostante il
decreto legislativo n. 358 del 1992 che, all’art. 8, comma 6, recitava:
«salvo che non sia giustificata dall'oggetto dell'appalto, è vietata l'introduzione nelle clausole
contrattuali di specifiche tecniche che menzionano prodotti di una determinata fabbricazione o
provenienza o ottenuti con un particolare procedimento e che hanno l'effetto di favorire o escludere
determinati fornitori o prodotti. È vietata, in particolare, l'indicazione di marchi, brevetti o tipi o
l'indicazione di un'origine o di una produzione determinata; tale indicazione, purché accompagnata dalla
menzione "o equivalente", è, tuttavia, ammessa se le amministrazioni aggiudicatrici non possano fornire
una descrizione dell'oggetto del contratto mediante specifiche sufficientemente precise e comprensibili da
parte di tutti gli interessati»3.
La situazione era per AMD altamente problematica perché nel 90% dei casi la
partecipazione alle gare d’appalto promosse dalla PA le era preclusa con pesanti
ripercussioni sul business. In sostanza AMD non poteva gareggiare e le case produttrici
di pc a cui AMD forniva i microprocessori vedevano minate le possibilità di vedere i
loro prodotti entrare nelle PA.
A guadagnarne era ancora una volta Intel. Se un’azienda di pc voleva gareggiare
doveva rivolgersi a chi gliene dava la possibilità accettando anche le relative condizioni
di fornitura imposte dall’assenza di concorrenza. Ma a quale prezzo? Sicuramente
elevato perché, a quel punto, Intel poteva stabilire a suo piacimento il prezzo per la
fornitura dei chip.
3.3 AMD scende in campo
La situazione venutasi a creare richiedeva pertanto un’azione decisa. AMD non
poteva competere a fronte di un monopolista di fatto ma neppure la PA poteva stare
tranquilla in quanto la politica di determinazione del prezzo di Intel gravava non solo
sulle tasche dei produttori di pc ma anche su quelle della PA.
AMD analizzò la situazione attraverso un’attenta fase di ascolto: i risultati parlavano
chiaro che i bandi pubblicati erano sì preparati dai vari enti pubblici con l’aiuto degli
3 www.sicurezzaonline.it
104
uffici specializzati per i sistemi informativi, ma la fase di aggiudicazione della gara era
gestita soltanto dall’ufficio provveditorato. In particolare a Milano vennero alla luce due
seri problemi:
1. Come dimostrare al provveditorato l’effettiva equivalenza tecnologica fra
microprocessori Intel e AMD?
2. Come operare nel caso in cui l’addetto al provveditorato non si lasci convincere
ed escluda le offerte di AMD, preferendo la sola e unica marca citata, ovvero
Intel?
Era ovvio che la formulazione del bando doveva essere rivista. Questo però avrebbe
comportato un’ulteriore preoccupazione per AMD: cosa sarebbe successo se il testo
avesse incluso accanto a Intel anche AMD e addirittura altri concorrenti? La
competizione si sarebbe certamente animata e AMD avrebbe dovuto fronteggiare uno
più nuovi competitor.
3.3.1 La strategia di AMD
AMD era fermamente intenzionata a rivedere la formulazione dei bandi, tenendo in
considerazione il principio secondo cui, una volta elaborati, essi non avrebbero dovuto
essere discriminanti per alcun produttore di microprocessori. La strategia, definita
grazie al supporto di un’azienda italiana di lobbying4 (che chiameremo Y) prevedeva
un impegno su tre fronti distinti:
Coinvolgimento del Centro nazionale per l’informatica nella pubblica
amministrazione (d’ora in avanti Cnipa5);
Coinvolgimento della Commissione Europea, Direzione Generale
Competition;
4 Il nome di quest’ultima, su espressa richiesta di AMD, non può essere rivelato.
5 Nel corso degli anni il Cnipa ha cambiato denominazione. Attualmente è DigitPA,
l’ente nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.
105
Attività legale.
CNIPA: è stato il primo organo contattato da AMD su indicazione di Y. Nel corso
della relazione instaurata tra le parti, AMD ha illustrato la propria posizione
(consegnando un position paper redatto sotto la supervisione di Y più un’analisi tecnica,
frutto del monitoraggio dei bandi condotto anch’esso da Y) in merito alla formulazione
dei bandi, evidenziando con forza il pericolo per le aziende, che non fossero Intel, di
non poter accedere alle gare di appalto e ribadendo i contenuti del decreto legislativo
n.358 del 1992. Il Cnipa si è dimostrato fin da subito attento alle problematiche esposte
da AMD anche senza essere in grado di formulare proposte concrete. Al tempo stesso
anche Intel ha contattato il Cnipa presentando i suoi punti di vista. Tale intervento ha
fatto sì che il Cnipa sollevasse una questione di fondo a fronte soprattutto del fatto che
alcuni decisori erano convinti che la dizione “o equivalente” non costituisse una
discriminazione tale da impedirne la partecipazione ai bandi. In sostanza, il Cnipa non
aveva la soluzione per risolvere la questione sollevata da AMD.
COMMISSIONE EUROPEA: AMD, sempre su indicazione di Y, ha coinvolto
anche la Direzione Generale Competition della Commissione Europea. Le relazioni
intercorse tra AMD e la DGC hanno successivamente fruttato lo scambio di
informazioni ufficiali tra l’istituzione europea ed il Governo italiano, nello specifico il
Dipartimento delle Politiche Comunitarie. La CE è stata necessariamente coinvolta
poiché il problema della formulazione dei bandi non era circoscritto solamente al
territorio italiano ma era esteso a tutta l’Europa.
ATTIVITÀ LEGALE: per contestare davanti ad alcuni TAR la legittimità dei bandi
in seguito alla dicitura “Intel o equivalente”, AMD ha contattato, su consiglio di Y,
anche uno studio legale specializzato in diritto amministrativo. La tesi sostenuta era che
AMD fosse oggetto di discriminazione causa la citazione del brand Intel nei bandi di
concorso ed era altresì obbligata ad assumersi il difficile compito di dimostrare
l’equivalenza dei suoi prodotti rispetto al concorrente. Questa mossa di AMD è stata
premiante e le decisioni dei pochissimi, ma fondamentali, tribunali amministrativi (uno
di questi il TAR di Palermo) hanno supportato la sua posizione. Secondo i giudici
amministrativi il bando sottoponeva AMD ad una discriminazione.
106
3.4 La svolta in positivo per AMD
L’esito positivo dell’istanza presentata nei diversi TAR ha consentito ad AMD di
contattare nuovamente il Cnipa. Forte di una sentenza in suo favore, AMD ha ribadito la
propria contrarietà alla modalità di formulazione dei bandi ma, rinunciando ad ogni
sentimento di rivalsa, ha preferito scegliere una politica di collaborazione reciproca.
Ancora una volta il supporto di Y si è rivelato prezioso, soprattutto per instaurare una
relazione costruttiva con il Cnipa. Y e lo studio legale contattato precedentemente
hanno cooperato per realizzare un semplice quanto efficace strumento di
comunicazione: una lettera con un fine educativo. È da rimarcare che AMD non ha mai
minacciato di intentare una causa amministrativa. Piuttosto la lettera è stato il mezzo
adeguato per informare il Cnipa dell’esistenza di bandi formulati scorrettamente e del
pronunciamento in favore di AMD di almeno un TAR. L’invio è stato ovviamente
affidato allo studio legale.
L’attività di Y ha implicato, in contemporanea, uno studio delle legislazioni
straniere inerenti allo stesso problema di AMD. In particolare, Y si è ispirata al territorio
degli USA, dove la soluzione adottata è stata l’introduzione di un parametro oggettivo
per la misurazione delle prestazioni dei microprocessori installati: un benchmark6.
L’esempio degli USA, è stato il pensiero di Y, avrebbe potuto essere adottato anche
dalla PA italiana. AMD, su suggerimento di Y, ha così proposto l’utilizzo di tale
strumento, ponendo la PA nella condizione di determinare con precisione il livello di
performance minima desiderata per gli strumenti informatici di cui si voleva dotare.
Tanto il Cnipa quanto la Commissione Europea hanno manifestato apprezzamento
per l’introduzione di un simile dispositivo pur sollevando una questione importante
circa la scelta del benchmark.
Il Cnipa ha innanzi tutto ribadito l’esigenza di una regolamentazione inerente
all’utilizzo del benchmark attivandosi successivamente per avviare le procedure per la
determinazione del misuratore di prestazioni. Il Cnipa decise allora di aprire un tavolo
6 Il benchmark è un software che cronometra il tempo impiegato dal pc per eseguire
operazioni standard.
107
di negoziazione, mettendo Intel e AMD uno di fronte all’altro. La cosa però non era così
semplice: Intel e AMD rappresentavano un duopolio e convocando solo queste due
aziende gli altri concorrenti del settore avrebbero potuto manifestare non poca
contrarietà per un’eventuale esclusione. La soluzione venne trovata da Y. Questi suggerì
al Cnipa di convocare Assinform7 e lasciare che fosse Assinform stessa a scegliere gli
esponenti del settore informatico per aprire il tavolo di negoziazione. L’intenzione del
Cnipa era di non avere troppi interlocutori coinvolti in modo da rendere più semplice e
gestibile il confronto. Assinform convocò così AMD ed Intel, garantendo con la sua
presenza che fossero rappresentati tutti gli altri produttori dell’Information Technology.
Così anche il Cnipa non poteva essere accusato di aver escluso altri interlocutori
legittimi.
AMD, Intel, Cnipa e Assinform hanno così dato vita al “Gruppo di lavoro
benchmark”. Al tavolo, articolato in diversi incontri, sono state affrontate le due
tematiche chiave: il divieto di indicare un brand nei bandi ed il tipo di benchmark da
impiegare. Y non ha potuto partecipare fisicamente alle trattative ma il suo ruolo di
consulente è stato determinante per comprendere le posizioni di ogni interlocutore e
preparare al meglio gli incontri successivi.
Al termine delle negoziazioni la PA ha appoggiato l’utilizzo di un solo benchmark,
sviluppato in seguito dall’americana Bapco8 e denominato Sysmark2004.
Il Cnipa ha così imposto a tutte le PA d’Italia di acquistare computer indicando
solamente il livello di performance minima desiderato. L’imposizione è stata resa
possibile dalla circolare n. 44 del 5 ottobre 20049:
L'evoluzione del mercato dei microprocessori per personal computer ha determinato il manifestarsi di
differenze, tecniche e architetturali, nelle soluzioni offerte dai diversi produttori; conseguentemente, il
riferimento ad alcune caratteristiche (quali, ad esempio, la frequenza di clock del microprocessore)
7 Associazione nazionale, aderente a Confindustria, delle principali aziende di
Information Technology operanti nel mercato italiano.
8 Consorzio di cui AMD e Intel sono azionisti.
9 www.sicurezzaonline.it
108
verrebbe oggi a pregiudicare,re o a restringere ingiustificatamente, la partecipazione alle procedure di
gara relative all'affidamento di appalti pubblici per la fornitura di apparecchiature informatiche. Con
riferimento a tale problematica, il CNIPA, al fine di garantire la piu' ampia partecipazione alle procedure
suddette, ritiene che possa farsi ricorso all'utilizzo di appositi benchmark prestazionali di tipo applicativo
sviluppati da organismi indipendenti.
Questa valutazione trova riscontro, tra l'altro, nel «Considerando 29» della direttiva 2004/18/CE del
31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori, di forniture e di servizi, che stabilisce: «Le specifiche tecniche fissate dai committenti pubblici
dovrebbero permettere l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza.
A questo scopo deve essere possibile la presentazione di offerte che riflettano la pluralità di soluzioni
tecniche.
Pertanto le specifiche tecniche devono poter essere fissate in termini di prestazioni e di requisiti
funzionali e, in caso di riferimento alla norma europea, o, in mancanza di quest'ultima, alla norma
nazionale, le amministrazioni aggiudicatrici devono prendere in considerazione offerte basate su altre
soluzioni equivalenti».
Per facilitare l'adozione di detti benchmark, il CNIPA ha costituito un Gruppo di lavoro al quale
partecipano anche i rappresentanti delle Associazioni nazionali dei produttori.
Quale primo risultato delle proprie attivita', il Gruppo di lavoro ha individuato, con il consenso
unanime dei suddetti rappresentanti delle Associazioni, il SYSMARK 2004 OVERALL RATING quale
benchmark di riferimento, allo stato attuale e salve successive evoluzioni, per la misura delle capacita'
prestazionali dei personal computer desktop.
Le caratteristiche del citato benchmark ed i risultati raggiunti da alcune configurazioni sottoposte a
test sono riportati nel sito web del consorzio non profit BAPCO (www.bapco.com) che ha sviluppato e
distribuisce il benchmark Sysmark 2004.
Il CNIPA raccomanda alle amministrazioni pubbliche che intendono acquisire personal computer di
tipo desktop di utilizzare il benchmark Sysmark 2004 negli appalti per la fornitura di detta tipologia di
apparecchiature.
Per quanto riguarda la determinazione dei valori del benchmark Sysmark 2004 Overall Rating da
porre come soglia per la partecipazione alle gare, il CNIPA ritiene necessario che questa avvenga sulla
base dei valori misurati su configurazioni di personal computer presenti sul mercato e rispondenti alle
esigenze della stazione appaltante.
Il CNIPA si riserva di aggiornare la presente circolare sulla base dei risultati cui perverra' il Gruppo
di lavoro in parola.
109
Si rappresenta, infine, che il CNIPA e' disponibile a fornire un supporto alle amministrazioni
pubbliche in merito all'utilizzo di benchmark applicativi.
Roma, 5 ottobre 2004
Il presidente: Zoffoli
3.4.1 L’intervento della CE
La situazione sembrava essersi risolta grazie alla circolare. I problemi invece non
erano finiti.
Il Cnipa intervenne per sollecitare la PA ad utilizzare concretamente il benchmark
“Sysmark2004” ma la stessa PA continuò ad operare secondo le modalità di sempre: i
bandi presentavano ancora la dicitura classica “Intel o equivalente”.
Della vicenda si interessò anche la Commissione Europea che nel 2005 aprì indagini
preliminari per abusi in gare pubbliche di informatica e avvisò l’Italia che avrebbe
potuto rischiare una procedura di infrazione (e conseguente sanzione pecuniaria) se le
violazioni alla circolare del Cnipa fossero continuate.
Interpellato dal Dipartimento delle Politiche Comunitarie sul perché i bandi
venissero ancora scritti secondo la vecchia modalità, il Cnipa faceva presente l’entrata
in vigore della circolare del 2004 e la conseguente introduzione del benchmark
Sysmark2004. Ma il Dipartimento ribadiva la tesi secondo cui la situazione non fosse
cambiata. Il Cnipa non sapeva che pesci pigliare ma Y venne in suo soccorso.
Y iniziò ad interloquire con il Dipartimento delle Politiche Comunitarie. Andava
trovata una soluzione per far allineare la PA alle disposizioni tanto della CE quanto
della circolare del 2004. Su consiglio di Y, nel 2005 il medesimo Dipartimento pubblicò
la circolare10
(poi inserita in Gazzetta Ufficiale) in cui venne stabilito che tutte le
stazioni appaltanti fossero obbligate ad inserire il punteggio di benchmark. Qualora le
disposizioni non fossero state rispettate, il bando, proposto di seguito, sarebbe stato
nullo:
10
Circolare del 12 ottobre 2005, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 290 del
14/12/2005.
110
Gli uffici della Commissione europea - Direzione generale per il mercato interno hanno segnalato al
Governo dei casi nei quali alcune stazioni appaltanti italiane, nel redigere i bandi di gara per forniture di
apparecchiature informatiche, hanno indicato specifiche tecniche in violazione della normativa
comunitaria applicabile in materia. In particolare e' stato constatato che in un numero considerevole di
gare d'appalto, le specifiche tecniche dei microprocessori richiesti come componenti delle apparecchiature
informatiche da acquistare sono state definite facendo riferimento diretto ad un marchio o ad un prodotto
ad esso riconducibile. […].Si ricorda che la Commissione europea è già più volte intervenuta nei
confronti del Governo italiano sottoponendo a vaglio critico il comportamento di alcune stazioni
appaltanti che nel corso di procedure di evidenza pubblica per l'aggiudicazione di appalti di forniture
hanno pubblicato avvisi di gara in palese contrasto con il principio sancito dall'art. 28 del trattato CE.
Poiché la reiterazione da parte delle stazioni appaltanti dei descritti comportamenti, già censurati come
illegittimi per violazione delle regole comunitarie sopra enunciate, potrebbe comportare condanne dello
Stato italiano, ai sensi dell'art. 228 del trattato CE, con conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie da
parte dell'Unione europea, si rende necessario sottolineare che, fermo restando il potere-dovere dello
Stato di porre rimedio alla violazione comunitaria, come dispone la legge 5 giugno 2003, n. 131
(«Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3»), tali ipotesi non rimarrebbero prive di conseguenza per i pubblici funzionari che vi hanno
dato causa, a carico dei quali si dovrebbero adottare i provvedimenti previsti in tema di responsabilità
amministrativa per danno all'erario. Tutte le stazioni appaltanti sono quindi tenute ad attenersi
scrupolosamente agli indirizzi operativi di cui alla presente circolare.
3.5 Epilogo
Nel corso degli anni si è reso necessario aggiornare periodicamente il testo dei bandi
in quanto nel 2007, su pressione dei produttori di pc, è stato inserito un benchmark
aggiornato: il Sysmark2007 che ha sostituito il Sysmark2004..
Al momento (2011) la PA sta continuando ad utilizzare la versione 2007, anch’esso
sviluppato da Bapco ma il benchmark dovrà essere sostituito in futuro data la sua
“anzianità di servizio”. Attorno a Bapco però si sta sviluppando un problema di
credibilità dell’azienda collegate anche a certe attività di Intel.
Nel 2009 Intel è stata condannata dalla Commissione Europea a pagare una multa di
oltre un miliardo di euro per abuso di posizione dominante e le ha intimato di terminare
111
le pratiche legali11
. La stessa accusa è stata mossa dalla Federal Trade Commission
(l’Antitrust americana), secondo cui Intel ha esercitato la sua forte influenza anche nei
confronti di Bapco per favorire i prodotti Intel12
. Ciò ha compromesso la credibilità del
software di Bapco in prospettiva del nuovo benchmark che farà seguito alla versione
2007.
Al di là di tali vicissitudini, il cui approfondimento non è oggetto della presente tesi,
ciò che più preme ad AMD quale conseguenza della sua azione in favore della modifica
dei bandi pubblici è un dato non trascurabile: nel 2004 il 92% dei bandi non gli
consentiva di competere nelle gare di appalto della PA. A distanza di tre anni, AMD ha
visto scendere notevolmente la percentuale che nel 2007 era pari al 9%.
L’azione di AMD ha consentito all’Italia di dotarsi finalmente di regole precise in
termini di appalti pubblici finalizzati all’acquisto di strutture informatiche per la PA e la
circolare n.44 del 2004 è stata fonte di ispirazione per tutti i Paesi europei che hanno
adeguato le rispettive normative e i testi dei bandi.
Dal 2004 l’impegno di AMD non si limita alla ricerca e allo sviluppo di ritrovati
tecnologici nel campo dei microprocessori sempre migliori ma si estende al costante
monitoraggio dei bandi pubblici (italiani e non solo) al fine di verificarne la correttezza
della formulazione.
11
http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/09/745&format=HTML&a
ged=0&language=EN&guiLanguage=en. La traduzione è fornita dal sito
http://www.hwupgrade.it/articoli/cpu/2203/caso-intel-antitrust-traduzione-comunicato-
e-faq_index.html.
12
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2009/12/ft
c-intel.shtml?uuid=a68784ec-ea4f-11de-925c-d5ef2eec9489&DocRulesView=Libero
113
CONCLUSIONI
Il caso pratico illustrato in questa tesi è una chiara testimonianza dell’utilità del
lobbying e di come un lobbying corretto, fondato su dati oggettivi, abbia consentito un
profondo miglioramento delle regole per la formulazione dei bandi della Pubblica
Amministrazione.
È emersa chiaramente la strategia “I win - you win” citata nel capitolo I in quanto,
di fatto, dell’azione di AMD hanno potuto beneficiare numerosi soggetti. La Pubblica
Amministrazione ha rimodulato i bandi, implementando così la qualità dei loro
contenuti. Ne è conseguito che l’Italia non è stata oggetto di un’inevitabile procedura di
infrazione, con conseguente danno non indifferente per le casse dello Stato. AMD, dal
canto suo, ha visto riconosciuti i suoi diritti e tutelati i suoi interessi assicurandosi la
possibilità di poter competere sul mercato al pari di tutti gli altri concorrenti del settore.
Questi ultimi, a loro volta, devono ringraziare AMD se il monopolio di Intel è venuto
meno dopo che è stato riconosciuto da parte delle autorità competenti una sua posizione
di particolare privilegio. Sulla scia dell’Italia molti Paesi europei hanno modificato i
rispettivi bandi, a garanzia di una effettiva partecipazione democratica alle gare di
appalto per la fornitura di personal computer di tutti i soggetti interessati presenti sul
mercato.
Anche con questo caso il lobbista ha certamente compiuto un passo in più verso una
considerazione positiva del suo operato. Egli ha infatti dimostrato di avere le
competenze e l’intelligenza per ideare soluzioni finalizzate sia alla tutela del cliente che
della società in generale. La sua azione ha confermato che, pur rappresentando una
singola azienda, gli effetti positivi possono riguardare tutta la categoria del settore.
Nell’ambito delle azioni intraprese è stata fondamentale l’applicazione dell’ascolto sia
nei confronti delle istituzioni che del cliente direttamente interessato. È stata la
prerogativa fondamentale per il conseguimento dei risultati voluti.
114
Sorge comunque spontaneo un interrogativo: ma senza il lavoro di un’azienda di
lobbying, AMD sarebbe mai riuscita in questa impresa? La risposta che ci sentiamo di
dare è no, sottolineando in questo modo l’importanza del ruolo del lobbista.
Il caso di AMD non è certamente l’unico ad aver avuto un esito positivo,
salvaguardando l’interesse del singolo e contemporaneamente della comunità. Eppure in
Italia la legislazione e, ancor più il riconoscimento dell’utilità del lobbying, stenta ad
arrivare.
Il lobbista o aspirante tale che si vuole addentrare nel mondo del lobbying non deve
scoraggiarsi ma accettare la sfida di poter, giorno dopo giorno, cercare di mutare il
pensiero comune, contribuendo così alla rivisitazione di questa figura professionale
ancora poco compresa o mal valutata.
115
ALLEGATI
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118
RINGRAZIAMENTI
Vorrei ringraziare in primis la Professoressa Renata Kodilja per aver accettato di
assumere il ruolo di relatore della mia tesi.
Un ringraziamento davvero sentito va ai miei genitori che mi hanno dato fiducia e in
mille modi hanno saputo motivarmi in questa mia avventura universitaria.
Ringrazio con grande affetto mio nonno Bruno. Quando mi ha raccontato che anche
lui è stato tra i molti friulani che hanno firmato per la nascita dell’Università degli
Studi di Udine, ho capito che è stato anche merito suo se ho potuto studiare in un
ateneo che mi ha riservato non poche importanti soddisfazioni.
Un ringraziamento particolare va al dottor Vladimiro Vodopivec con cui dopo i primi
intensi scambi di considerazioni sul tema delle relazioni pubbliche d’impresa è nato un
bellissimo rapporto professionale e umano.
Un sincero grazie va al dottor Roberto Dognini di AMD, disponibilissimo
nonostante un’agenda fitta di impegni. Le sue informazioni sono state preziose per
integrare gli elementi di teoria e per aiutarmi a comprendere ulteriormente la materia del
lobbying.
Un grazie di cuore a:
Diego per le sue parole di incoraggiamento continue e puntuali.
Gabriele, aspirante parlamentare, per le lunghe chiacchierate attorno al tema “lobby”.
Laura, Vanessa, Caterina ed Emilio per la proficua collaborazione durante gli anni
degli studi sfociata in un rapporto interpersonale e di amicizia profondo e sincero che
continua nel tempo.
Inoltre: a tutti coloro che non ho potuto citare, e sono tanti: grazie, grazie davvero.
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