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Università degli Studi di Milano Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze Naturali C.N.R. - Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali Sezione di Milano
Campagna Naturalistica Gran Canaria
Gran Canaria, 31 Maggio - 7 Giugno 2012
Coordinatori: Cesare Ravazzi, Federica Badino, Glauco Patera, Renata Perego
Istruttori:
Julia Perez de Paz, Jardin Botanico Canario, Tafira Alta Francisco José Perez Torrado, Alvaro Rodriguez Berriguete, Universidad de Las Palmas
Studenti:
Elisa Andreoli, Maddalena Angeleri, Giovanni Boi, Giacomo Boffa, Daniele Crimella, Roberto Gavazzi, Emanuele Mascheroni, Michele Pozzi, Laura Salvi, Debora Voltolina
Didascalia Immagine di copertina: A sinistra- immagine panoramica della vegetazione all’interno del barranco del “Jardin Canario” di Tafira, a destra in alto- affioramento all’interno del Barranco di Tamaraceite dove è ben visibile il contatto fra depositi marini sottostanti e lave a pillows, a destra in basso- Foglia di Ocotea foetens.
1
Indice 1. GEOLOGIA DELLE ISOLE CANARIE
1.2 Inquadramento geodinamico ( in base soprattutto a Perez
Torrado et al. 2008)
1.3 Tappe evolutive
1.4 Età delle isole Canarie
2. STORIA GEOLOGICA DI GRAN CANARIA
2.1 Introduzione
2.2 Evoluzione geologica
2.3 Stratovulcano Roque Nublo
2.4 Vulcanismo post Roque Nublo
2.5 Vulcanismo recente
3. TRAVERTINI 3.1 Parte generale
3.2 Barranco di Azuaje
3.3 Depositi di travertino del barranco di Azuaje
3.4 Edificio di travertino “Los Chorretones”
3.5 Affioramento “Tres”
4. CLIMA E VEGETAZIONE 4.1 Cardonal e Tabaibal 4.2 Bosco termofilo
4.3 Laurisilva
4.4 Pinar
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4.5 Le coste e il cordòn halofilo arenoso
4.6 Transetti attraverso la vegetazione
5. SCHEDE BOTANICHE DELLE LAURIFILLE
5.1 Myrica faya
5.2 Ocotea foetens
5.3 Picconia excelsa
5.4 Apollonia barbujana
5.5 Laurus azorica
5.6 Ilex canariensis
5.7 Persea indica
5.8 Arbutus canariensis
5.9 Maytenus canariensis
5.10 Sideroxylon mirmulans
5.11 Rhamnus glandulosa
6. OSSERVAZIONE DI ALCUNI TIPI DI POLLINE FRESCO AL MICROSCOPIO OTTICO
6.1 Raccolta sul campo
6.2 Preparazione in laboratorio
6.3 Osservazione al microscopio ottico
7 RISULTATI PRELIMINARI DELL’ANALISI POLLINICA SU DEPOSITI FOSSILI 8 BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
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3
1. GEOLOGIA DELLE ISOLE CANARIE
Le Isole Canarie (figura a lato) costituiscono uno
degli arcipelaghi di origine vulcanica meglio
studiati al mondo; sono localizzate nel settore
nord-est dell’Atlantico centrale, tra i 27° 37′ e i 29°
25′ di latitudine N e tra i 13° 20′ e i 18° 10′ di
longitudine O.
L’arcipelago è costituito da sette isole (Lanzarote,
Fuerteventura, Gran Canaria, Tenerife, El Hierro,
La Gomera e La Palma), quattro isolotti e varie
montagne sottomarine (seamounts).
Una caratteristica importante delle Isole Canarie è
quella di avere una straordinaria varietà di climi,
dovuta a fattori dinamici e geografici (come la
circolazione dei venti, la presenza di correnti
oceaniche, la distanza dal continente, l’ insularità,
latitudine e altitudine) che hanno favorito lo sviluppo
di un elevato tasso di endemismo di grande valore
per la biodiversità delle isole.
1.1 Inquadramento geodinamico ( in base soprattutto a Perez Torrado et al. 2008) L’arcipelago è posizionato sulla Placca Africana, in particolare sul suo margine continentale
atlantico; questa placca si muove lentamente in senso antiorario verso NE scontrandosi con la
Placca Eurasiatica.
Le isole sono costituite da crosta oceanica di cui non si conosce precisamente l’età, ma sono
presenti depositi sedimentari di natura continentale nelle vicinanze di Fuerteventura e
Lanzarote. Ogni isola è la cima di un edificio vulcanico di più di 4-5 km di altezza, con
Fig.1.1 Localizzazione geografica isole
Canarie
4
l’eccezione di Fuerteventura e Lanzarote che sono separate da uno stretto di mare profondo
meno di 40 metri.
Esistono due teorie che spiegano la formazione delle Isole Canarie:
Prima teoria: le isole si sarebbero formate a causa di movimenti tettonici dovuti allo sviluppo
della Faglia dell’Atlante o di una faglia che è posta trasversalmente alla Dorsale Medio-
atlantica.
Non ci sono prove però che sostengano questa teoria: è molto improbabile che una frattura
continentale come è la Faglia dell’Atlante, possa prolungarsi in una litosfera oceanica così
spessa e rigida come è quella presente sotto Canarias; inoltre la disposizione curva e allineata
di queste isole non ha nessuna relazione con la diposizione della faglia trasversale alla
dorsale.
Seconda teoria: la disposizione allineata delle isole
suggerisce la presenza di un pennacchio di mantello
(mantle plume) che, a causa del lento movimento della
placca, ha formato una catena di isole intraplacca ( fig.2 ).
Gli stadi di formazione di tali isole comportano
inizialmente una fase di accrescimento submarino
caratterizzata da bassa esplosività in profondità e
predominio di pillow-lavas; l’accumulo di materiale porta
alla formazione di montagne sottomarine (seamounts),
che nella zona più superficiale, a causa dell’interazione
con l’acqua, hanno anche attività esplosiva con
produzione di depositi piroclastici.
L’emersione di tali montagne porta alla formazione di una
vera e propria isola vulcanica.
La principale obiezione a questo modello è la presenza di
attività vulcanica recente all’estremo più antico dell’arcipelago, Lanzarote, ma ciò si può
spiegare con la presenza del flusso di un piccolo volume di magma sotto la parte orientale
dell’arcipelago indotto per correnti di convezione causate dal bordo del vicino cratone africano
(un cratone è la parte più rigida, antica e stabile della crosta continentale) .
Fig.1.2 Teoria del “mantle plume”
5
1.2 Tappe evolutive L’evoluzione di questo arcipelago può essere comparata a quella di altri arcipelaghi di origine
vulcanica, come quello delle Hawaii. Si ha infatti lo stesso contesto geodinamico in cui
molteplici aspetti hanno determinato la formazione ed evoluzione dell' arcipelago stesso:
1. Scontro dinamico tra costruzione e distruzione, dovuta quest'ultima a processi erosivi
continui.
2. Concetto di 'vulnerabilità di placca' che mette in relazione velocità della placca e spessore
della litosfera. Nel caso delle Isole Canarie si ha a che fare con una litosfera vecchia, spessa
ed in lento movimento.
3. Lo sviluppo degli edifici vulcanici avviene ad opera sia di ampliamento effusivo, sia per
intrusione; nel caso di ampliamento effusivo si individuano due tappe a seconda che l’attività
vulcanica avvenga sopra o sott'acqua.
4. Durante la formazione di un'isola, la crescita sottomarina prevede più dell' 80% del volume
totale e necessita tassi eruttivi molto alti.
Nel caso delle isole Canarie, si distingue una crescita sottomarina profonda e una superficiale.
La prima ha bassa capacità esplosiva e si traduce nella formazione di pillow-lava; la seconda
è caratterizzata da forti esplosioni, dovute al contatto tra acqua e magma, con la formazione di
depositi piroclastici.
La fase di crescita subaerea, si divide a sua volta in tre principali fasi: fase di scudo, riposo
vulcanico e ringiovanimento (la figura a lato mostra il profilo dell’arcipelago e le tappe di
evoluzione della crescita subaerea). Fig.1.3 Schema evolutivo delle isole Canarie
6
La fase a scudo è quella più importante dal punto di vista volumetrico poiché comporta la
totale costruzione superficiale dell'isola. Caratterizzata da una crescita molto rapida (che
continua dalla fase sottomarina) e da una bassa esplosività e termina con la completa
formazione dello scudo vulcanico. La fase di inattività vulcanica inizia quando l'isola si allontana dalla zona principale e l'attività
effusiva diminuisce. È questa la fase in cui agiscono anche le forze erosive e compaiono
profondi barracos, piattaforme erosive e tutte le tipiche forme del paesaggio erosivo.
La fase di ringiovanimento infine, si ha quando l'isola si allontana tanto da non presentare più
connessione con la 'zona calda'; agiscono forze distensive che creano nuove eruzioni che
coprono le morfologie formate in precedenza.
1.3 Età delle isole Canarie Non si conosce con esattezza l'inizio dell'attività vulcanica nell'arcipelago poiché la datazione
di queste formazioni, molto alterate e con un certo grado di metamorfismo, risulta molto
complessa; tuttavia si può definirne un inizio verso la fine del Terziario.
Sono state eseguite più di 500 datazioni radioisotopiche in tutto l’arcipelago e si è notata una
progressione generale dell'età delle isole, che va da est ad ovest: Fuerteventura è l’isola più
antica (circa 20 Ma) e si trova all'estremità opposta di isole come El Hierro o La palma che
sono considerate le più recenti (‹20 Ma). Questa progressione può essere spiegata
considerando l’origine stessa dell’arcipelago (cioè da un plume di mantello posto sotto alla
placca in spostamento).
7
2 STORIA GEOLOGICA DI GRAN CANARIA
2.1 Introduzione
Gran Canaria occupa una posizione centrale nell’arcipelago con una superficie di circa 1532
km2.
Morfologicamente si presenta come un edificio cupuliforme con una pianta di circa 45 km di
diametro e un’altitudine massima di 1949 m.
Fig.2.1: mappa geologica semplificata di Gran Canaria
8
2.2 Evoluzione geologica
L’evoluzione geologica segue le tappe di una qualsiasi isola vulcanica. Possiamo riconoscere
diversi stadi. La divisione cronostratigrafica evidenzia l’evoluzione geochimica dei materiali
osservando un progressivo aumento dell’alcalinità e della sottosaturazione delle rocce con
l’età, coerente con tassi di produzione magmatica ogni volta più ridotta.
Fig.2.2: principali avvenimenti nella storia geologica di Gran Canaria
Stadio di accrescimento sottomarino
Viene prodotto più del 90% del volume totale dell’isola. La transizione sottomarina-subaerea
viene marcata per un cambio dello stile eruttivo e non per un cambio di fonte magmatica. Si
registrano le più alte velocità di apporto di materiale, più di 150 m/Ma.
Non vi sono dati geocronologici precisi per la durata dello stadio sottomarino, ma si stima che
ebbe inizio non più di 16 Ma fa. (Fig.2.3- 2.4)
9
Fig. 2.3 Fig. 2.4
Stadio giovanile
Lo stadio di maggior durata nell’accrescimento dell’isola, da 14,5 a 8,5 Ma fa.
Questo stadio comprende tre tappe ben differenziate che corrispondono allo sviluppo di un
vulcano a scudo (shield stage), lo sviluppo di una caldera di collasso e la successiva
riattivazione vulcanica post-caldera.
Edificio in scudo
Fig. 2.5
Corrisponde all’emissione di più di 1000 km3 di lava che formarono un complesso edificio
vulcanico a scudo, con altezza massima di 2000 m. (fig.2.5). Meccanismo di tipo hawaiano
con emissione continua di lava (basalti alcalini) e scarsi intermezzi piroclastici. Breve periodo
emissivo (tra 14,5 e 14 Ma fa). Non si conosce esattamente la morfologia del vulcano/i sorto/i
in questo stadio.
Sono stati stabiliti tre possibili centri di emissione: a Nord Ovest,ad Ovest e a Sud Est dell’isola
più un quarto possibile punto a Nord.
10
Caldera di collasso
Fig. 2.6
Alla fine dello sviluppo del complesso vulcanico a scudo si è formata una camera magmatica
riolitica a bassa profondità (circa 4,5 km) e alimentata periodicamente da un serbatoio
basaltico
sublitosferico (circa 14 km di profondità). Questo magma riolitico provoca le prime eruzioni
altamente esplosive nell’isola e la conseguente formazione di ignimbriti. Probabilmente la
rapidità di emissione della lava del vulcanismo a scudo, unito alla brusca colata della camera
magmatica riolitica furono la causa del collasso della sommità dell’isola e la formazione della
Caldera de Tejeda. (Fig. 2.6)
Nello stesso momento in cui iniziò il collasso della caldera, la camera magmatica si stava
riempiendo di magma basaltico, il quale, a causa della pressione, viene violentemente espulso
attraverso le fessure della caldera come nuove eruzioni ignimbritiche. L’unione di questi
depositi (ignimbriti, rioliti, basalti) con un volume di 80 km3 formano una unità di
raffreddamento (cooling-unit) chiamata P1 che ricopre i basalti dell’edificio a scudo sopra una
superficie di più di 400 km2 intorno alla caldera (14 Ma fa).
Post-caldera
Fig. 2.7
11
Questo stadio si caratterizza per l’emissione di una grande quantità di materiale (circa 1000
km3) dai bordi della caldera (ring fractures). Gran parte di questi materiali sono depositi
ignimbritici che si vanno a distribuire in due domini: intra ed extracalderico. (Fig. 2.7)
Stadio di inattività vulcanica e incisione dei barrancos
Fig. 2.8
Al finire della tappa giovanile l’isola entra in un lungo periodo di inattività vulcanica che si
prolunga per 3 Ma. Esistono comunque nei settori a Nord eventi eruttivi residui di natura
fonolitica.
Il tratto più caratteristico di questo periodo è la crescita di un rilievo erosivo associato a una
rete radiale di paleoburroni (paleobarrancos) (Fig. 2.9), che scavarono i materiali fino a
raggiungere il substrato basaltico dell’edificio in scudo. (Fig. 2.8)
Questa rete di barrancos va a condizionare in gran misura la distribuzione dei depositi
vulcanici posteriori e, a grandi linee, va a mantenere una regola di distribuzione fino a oggi.
I materiali provenienti da questa attività erosiva si accumularono principalmente nelle zone
litorali del NE, E e S dell’isola, costituendo il “Miembro Inferior” della Formaciòn Detritica de
Las Palmas (FDLP). In questo periodo si hanno i minimi valori di accumulo di materiale nelle
“faldas” sottomarine (circa 22 m/Ma), il che indica che crescono principalmente in periodi di
grande intensità vulcanica.
Coincidendo con la riattivazione vulcanica dell’isola infatti registriamo un periodo in cui si
accumulano una serie di sedimenti marini lino-arenosi che formano il “Miembro Medio” della
FDLP.
Questi sedimenti costituiscono un importante livello fossilifero di inizio Pliocene localizzato
nelle zone costiere del N-NE dell’isola, appoggiato sul “Miembro Inferior” e a quote tra i 50 e i
110 m s.l.m.
12
Fig.2.9: Barranco di Fataga, esempio di paleobarranco
Stadio di ringiovanimento (post-erosivo) con persistente attività vulcanica a bassa intensità
Dura da 5,5 Ma fa fino a oggi e comprende varie fasi di attività vulcanica che possono
raggrupparsi in: Roque Nublo, post-Roque Nublo e recente.
Si tratta di uno stadio post-erosivo considerevole più complesso di quelli esistenti sulle altre
isole, con formazione di un unico e grande edificio centrale secondo la tipica dispersione
spazio-temporale caratteristica di questo stadio al finire della sua evoluzione. Si ha inoltre una
drastica diminuzione nel volume di materiale emesso e il progressivo aumento nell’alcalinità
dei magmi.
2.3 Stratovulcano Roque Nublo
Fig.2.10 Fig.2.11
13
I primi segni di attività vulcanica, verso 5,5 Ma fa, si caratterizzano per eruzione stromboliana
localizzata principalmente nei settori meridionale e centrale di Gran Canaria. Verso 4,6 Ma fa
l’attività si spostò verso i settori centrali dell’isola dove vi si mantengono per 1,5 Ma dando
luogo alla formazione di un complesso edificio vulcanico chiamato stratovulcano Roque Nublo.
(Fig. 2.10). Le prime eruzioni di carattere effusivo emettono lave di composizione basanitica-
basaltico alcalina che vengono canalizzate attraverso la rete di barrancos. Uno tra questi è il
barranco di Tamaraceite. Parte di questa lava penetra in mare formando lave a cuscino
(pillow-lavas) sopra il “Miembro Medio” della FDLP (Fig. 2.12). Man mano che prosegue
l’attività effusiva del vulcano, la composizione del magma assume carattere trachitico-fonolitico
che portano il vulcano ad assumere meccanismi eruttivi più esplosivi. Inizia così, verso 3,9 Ma
fa, l’emissione di potenti depositi ignimbritici. L’attività vulcanica finisce con l’intrusione di
numerosi duomi di composizione fonolitica verso 3 Ma fa.
I. Al finire della sua evoluzione, lo stratovulcano Roque Nublo subisce una serie di collassi
gravitazionali, tanto sui fianchi settentrionali quanto sui meridionali, generando questi ultimi
una serie di depositi di valanghe vulcaniche che possono arrivare fino a 25 km al largo
dell’isola (Fig. 2.11). Attualmente il vulcano è profondamente eroso e scomposto (Fig. 2.13).
Fig. 2.12: particolare del barranco di Tamaraceite
14
Fig.2.13: resti dello stratovulcano Roque Nublo
2.4 Vulcanismo post Roque Nublo
Questa fase è separata dalla precedente da un intervallo di 500000 anni di inattività vulcanica.
Anche se nei settori mediani e costieri lo stratovulcano soffrì un progressivo smantellamento
erosivo anteriore all’emissione dei depositi di questa nuova fase, nei settori centrali, al
contrario, parve esistere una contemporaneità tra le intrusioni fonolitiche finali del Roque
Nublo e le prime eruzioni basanitiche di questo nuovo periodo.
Il “Miembro Superior” della FDLP, costituito da depositi di carattere alluvionale, coincide in
gran parte con l’emissione di ignimbriti dallo stratovulcano Roque Nublo e risponde pertanto
all’attività erosiva dei barrancos delle pendici del vulcano mentre era ancora attivo.
L'attività vulcanica in questa fase è caratterizzata da eruzioni stromboliane associate a una
struttura di tipo rift con orientazione NO-SE che origina una serie di coni piroclastici entro i
quali scorrono le successive lave a composizione basanitico-nefelnitica.
Questi materiali vanno a coprire quelli degli stadi precedenti e ampliano la superficie della
metà settentrionale dell’isola (Fig. 2.14).
La maggior parte dell’attività vulcanica di questa fase si sviluppò tra 3 e 1,8 Ma fa.
15
Fig. 2.14
2.5 Vulcanismo recente
Questa fase ha le caratteristiche di uno stadio post-erosivo: grande dispersione spazio-
temporale delle sue attività, volume emesso molto ridotto e magma fortemente alcalino.
Comprende una serie di coni stromboliani e piccole caldere.
Caratteristica di questa fase è la posizione delle lave sul fondo dei barrancos (Fig. 2.15).
L’eruzione di Bandama è l’ultima avvenuta e gli aborigeni vi furono testimoni (Fig. 2.16, 2.17)
Fig.2.15: particolare del barranco di Azuaje, evidenziata
colata lavica infilata nel barranco
16
In basso a sinistra: Fig.2.16: particolare della parete del Pico di Bandama. Visibile la successione di piroclasti di caduta
(nero) e l’ondata piroclastica (marrone chiaro). Nelle fascie nere è comune trovare grandi cristalli di
olivina
In basso a destra:
Fig.2.17: Caldera di Bandama
Fig. 2.16 Fig. 2.17
Attualmente agiscono sull’isola solo gli agenti geologici esterni che creano una serie di
depositi sedimentari che si accumulano principalmente nelle zone costiere e lungo l’alveo della
rete radiale di barrancos. (Fig. 2.18).
Fig.18
17
3. TRAVERTINI
3.1 Parte generale
Il travertino è un tipo particolare di roccia sedimentaria, organogena o chimica, formata da
cristalli di carbonato di calcio, CaCO3, presente generalmente come calcite o aragonite.
La sua origine può essere ricondotta alla cessione di anidride carbonica all’ambiente da parte
di acque ricche in bicarbonati che, per riequilibrare questa perdita, devono lasciar precipitare
carbonato di calcio.
In base al tipo di acqua di partenza si può fare una prima divisione di tipo genetica dei
travertini.
-Travertini termali, derivano da acque calde che raffreddandosi e sottoposte ad una diversa
pressione di diossido di carbonio tra atmosfera e sistema acquifero iniziano la precipitazione di
carbonato di calcio.
-Travertini formatisi da acque a temperatura ambiente, (chiamati anche “calcareous tufa”). In
questo caso l’acqua è in equilibrio con la pressione di diossido di carbonio del suolo, più alta
rispetto a quella dell’ atmosfera, quando emergono perdono diossido di carbonio e, di
conseguenza, precipitano carbonato di calcio.
La velocità del processo di deposizione è molto variabile a seconda delle modalità, tuttavia
risulta essere in generale molto rapida rispetto ai tempi geologici. In condizioni di acque
soprassature si può avere una deposizione di qualche millimetro all’ anno, ciò significa avere
una deposizione di qualche centimetro in una decina di anni.
Si possono quindi formare depositi di notevoli dimensioni, la cui età può essere stabilita
tramite lo studio radiometrico, utilizzando l’ U/Th. Infatti le acque trasportano piccole quantità
di Uranio 238 quindi, sapendo la quantità di Uranio 238 e quella del Torio 234 e conoscendo il
tasso di decadimento, si può risalire all’ età del deposito.
I depositi di travertino e la loro morfologia dipendono principalmente dalla struttura su cui viene
deposto, dalla velocità di flusso dell’ acqua e dal tasso di deposizione.
Sulla base della morfologia del deposito di travertino si può operare una seconda
classificazione, che distingue prima di tutto le forme elementari da quelle complesse:
Forme elementari:
-Morfologia a vaschette, piccoli sbarramenti di travertino con concavità rivolta verso valle.
-Ammassi in rilievo, senza morfologie particolari, si formano in zone a stillicidio continuo.
18
-Travertini a cascata, si formano in presenza di salti morfologici. Quando il deposito raggiunge
delle dimensioni notevoli, l’acqua può essere deviata dal normale percorso disattivando così
settori del travertino in crescita.
-Travertini di alveo pendente, la loro formazione avviene negli alvei dei corsi d’acqua che non
presentano rotture significative e non possono quindi formare depositi a cascata.
-Travertini tubolari, di dimensioni ridotte, hanno origine dall’incrostazione di sassolini, granelli
di sabbia, rami, sono quindi slegati dal substrato.
Edifici complessi, si originano per sovrapposizione e associazione di forme elementari.
I depositi di travertino possono essere distinti anche sulla base del loro stato di attività quando
vengono studiati, si parla di depositi attivi se sono localizzati lungo gli attuali corsi d’acqua e
sono quindi ancora in formazione, mentre si parla di depositi fossili se sono inattivi e nascosti
dalla vegetazione o ricoperti dal suolo sviluppatosi sopra.
È inoltre da sottolineare come all’interno di questi depositi si possano rinvenire resti di origine
organica che sono stati inglobati dal travertino mentre questo era in via di formazione, per
esempio foglie che sono state sepolte durante il processo di deposizione del carbonato di
calcio. Questi resti sono estremamente importanti in quanto permettono di ottenere
informazioni circa l’ecologia della zona nel periodo in cui è stato formato il deposito.
3.2 Barranco di Azuaje
Lo studio delle formazioni di travertino lungo il barranco di Azuaje è stato condotto con
l'assistenza lo studente di dottorato Alvaro ? che ci ha accompagnato durante le escursioni. Le
osservazioni sono state integrate da considerazioni personali.
I campioni di travertino da noi esaminati sono stati prelevati da depositi che si trovano nel
barranco di Azuaje (Fig. 3.2-3.3), riserva naturale di 61 ha di superficie situata nella zona nord
di Gran Canaria, vicino alla località di Firgas y Moya (Fig.3.1).
19
Fig.3.1: posizione barranco di Azuaje, nel nord dell’isola (riquadro verde)
Questo barranco fa parte di un sistema più ampio che comprende il barranco de la Virgen. Per
tutta la sua lunghezza è attraversato da un corso d’acqua di limitate dimensioni e di bassa
portata.
Fig.3.2
20
Fig. 3.3
(Fig.3.2- 3.3: Barranco di Azuaje visto dal fondovalle)
Dal punto di vista geologico sono state trovate le seguenti unità stratigrafiche:
-Flusso di lava datato alla fine del Miocene
-Breccia del Roque Nublo
-(Fase di erosione del Barranco)
-Flusso di lava olocenica, circa 3000 anni fa
-Depositi di travertino, formatisi per percolazione d’acqua nella breccia e deposizione di
carbonato di calcio sopra alla breccia stessa e al flusso di lava olocenico solidificato, aventi
quindi meno di 3000 anni
Il barranco di Azuaje intaglia la breccia del Roque Nublo, il risultato della cementazione di
rocce di origine vulcanica, di solito senza una particolare selezione. Nel nostro caso,
trovandoci in un luogo di origine vulcanica, i clasti che compongono la breccia derivano
dall'erosione di rocce di tipo vulcanico. L’aspetto il più delle volte è caotico e non lascia
intravedere una struttura interna.
La presenza del travertino nel barranco tuttavia si concentra principalmente sulla sinistra
idrografica, lungo la parete est, sono stati trovati depositi anche sulla parete ovest, ma molti
meno. A tale riguardo sono state elaborate due teorie per spiegare questa disomogeneità.
La prima prende in considerazione l’eruzione dal vulcano Doramas (vedi Fig. 3.1) da cui
probabilmente arriva anche l’acqua e l’inclinazione delle fratture ha fatto in modo che
quest’acqua passasse maggiormente da una parte del barranco.
21
Secondo l’altra teoria invece le fratture presentavano tutte la stessa inclinazione e l’acqua si è
infiltrata in queste fratture. Bisogna sottolineare che una teoria non esclude l’altra.
Attualmente nel barranco da noi studiato l’acqua ha smesso di produrre travertino - si ritiene -
per una diversa composizione dell’acqua e per un cambio di temperatura. Si pensa che ai
tempi della formazione dei depositi l'acqua avesse una temperatura di circa 40-50 °C. In
questa fase erano presenti diatomee, alghe unicellulari composte di silice.
3.3 Depositi di travertino del barranco di Azuaje
Il travertino presente nel barranco forma degli affioramenti discontinui, rendendo quindi più
difficile il suo studio e inoltre presenta fatturazione. Le colate laviche, che si trovano sul fondo
del barranco, sono molto incassate, ciò si ritiene sia legato alla dinamica del flusso.
L’acqua passava attraverso la breccia vulcanica. La forma di alcuni depositi suggerisce che l’
acqua deve aver formato dei pool, ossia delle vaschette di decantazione, avendo trovato dei
depositi con morfologia di questo tipo.
Da sottolineare il fatto che il travertino, che di solito è composto di calcite, in questo caso è
fatto di aragonite che (pur avendo la stessa composizione chimica CaCO3) rispetto alla calcite
presenta un abito molto più fibroso. La deposizione dell’aragonite è dovuta alla composizione
dell’acqua, la quale in quel periodo conteneva molto più Mg di Ca, tuttavia il Mg era circondato
da ioni acidi e ciò rende difficile l’ incorporazione del Mg nel deposito. Il processo porta alla
dissoluzione della silice e alla deposizione del carbonato.
Il travertino poroso viene chiamato tufo calcareo dagli inglesi. La differenza tra travertino e tufo
si basa sulle temperature, in questo caso si parla di travertino vero e proprio.
22
3.4 Edificio di travertino “Los Chorretones”
Fig. 3.4 affioramento “Los Chorretones” Fig.3.5 affioramento “Los Chorretones” (dettaglio)
Adiacente all'affioramento ‘Los Chorretones’ (Fig. 3.4- 3.5) è stata osservata la presenza di
lava vetrificata formatasi a partire da una bolla che, a contatto con la breccia, si è raffreddata
velocemente. (Fig. 3.6- 3.7)
Fig.3.6 presenza di lava vetrificata Fig. 3.7 lava vetrificata (particolare)
È inoltre possibile osservare un masso, trasportato dal flusso di lava, di dimensioni molto
elevate che ha resistito fino ad oggi poiché la lava ha iniziato a solidificarsi prima di poterlo
fondere. È probabile che non tutto il travertino si sia formato nello stesso periodo, ma che una
23
parte si sia formata successivamente sopra ad una formazione preesistente, è infatti possibile
notare come i depositi sembrino avere morfologie diverse, lasciando supporre che abbiano
dato origine ad un edificio complesso.
Tramite l’orientazione delle striature del travertino possiamo stabilire che nel periodo di
formazione del travertino l’ acqua scorresse nella stessa direzione attuale, parallelamente al
barranco, ciò è confermato anche da alcuni punti in cui il travertino è a cascata tuttavia
l’altezza del fiume doveva essere maggiore rispetto al fiume attuale.
3.5 Affioramento “Tres”
In questo affioramento è possibile osservare un altro deposito di travertino che è stato formato
molto probabilmente da una lamina d’ acqua di non grande quantità ma continua ed è stata
inoltre osservata la presenza di rilles1. La deposizione dei carbonati porta ad un allargamento
meccanico della frattura.
Caratteristica importante di questo affioramento è la presenza all’interno del deposito delle
impronte della materia organica rimasta intrappolata durante il periodo di formazione del
travertino (Fig. 3.7-3.8). Si tratta di impronte di foglie, alcune delle quali possono essere
identificate come appartenenti al genere Salix.
Fig.3.8 Fig. 3.9
(Fig. 3.8- 3.9: impronte di foglie rimaste intrappolate durante la formazione del travertino)
1 Alveoli che si presentano come delle cavità emisferiche, molto ravvicinate sino talora ad interferire lasciando esili diaframmi di separazione o minuscole cuspidi. La parete dell’alveolo è a sua volta irregolare e lavorata a depressioni e protuberanze.
Estratto da “Atlante delle microforme di dissoluzione carsica superficiale del Trentino e del Veneto”. Giuliano Perna – Ugo Sauro. Estratto da Memorie del Museo Tridentino di Scienze Naturali, 1978.
24
4. CLIMA E VEGETAZIONE Nelle zone temperate e delle basse latitudini le condizioni climatiche variano rapidamente con
la quota, dando origine ad un paesaggio a piani altitudinali la cui successione ricorda quella
che si verifica passando dalle medie alle alte latitudini. In genere le temperature diminuiscono
con la quota e le escursioni termiche diurne divengono sempre più accentuate con l'aumento
dell'altitudine. Le variazioni dei regimi di precipazione, con l'altitudine possono essere
complessi. Queste condizioni climatiche determinano una successione di piani vegetazionali.
L'arcipelago delle Canarie si localizza all'interno della regione biogeografica della Macaronesia
(makaro = felici e nesia = isole) posta a latitudini tropicali (28-29° N).
Il clima tropicale di queste isole è mitigato in primo luogo dall'influenza dei venti alisei. Le
differenze di pressione che si generano fra le zone equatoriali e quelle tropicali originano dei
venti costanti, gli alisei, che soffiano costantemente da nord-est verso sud-ovest nell'emisfero
boreale. Quando questi venti umidi provenienti dall'oceano incontrano un rilievo sono costretti
a risalire lungo il pendio sopravento. Le masse
d'aria ascendenti si raffreddano
adiabaticamente, cioè senza scambi di calore,
fino a che l'aria diviene satura di umidità e il
vapore in eccesso comincia a condensare
formando fra 500 e 1200 m di quota il
cosiddetto “mare di nubi” (Fig. 4.1). L’aria,
giunta sulla cresta ormai quasi totalmente priva
di umidità, scende sul versante sottovento
riscaldandosi adiabaticamente e diventando
sempre più secca. Il clima risulta più secco e
caldo nella regione meridionale e presenta tassi
di umidità più elevati nella regione
settentrionale. Durante l'inverno le burrasche si abbattono frequentemente sulle coste
settentrionali portando precipitazioni anche solide nelle zone più elevate (al di sopra dei 2000
m). Inoltre la differenza di temperatura e umidità tra la massa d'aria al suolo umida e fresca, e
la massa d'aria sovrastante più calda e secca, provoca il fenomeno dell'inversione termica .
Al di sopra dei 1200-1500 m le temperature aumentano anziché diminuire con l'aumentare
dell'altitudine e le precipitazioni diminuiscono. L'umidità si concentra in una precisa fascia
Fig.4.1 Mare di nubi con il Teide a Tenerife
sullo sfondo
25
altitudinale dove si localizza il mare di nubi, al di sopra della quale vi è un piano vegetazionale
tipico delle regioni aride che comprende ad esempio il brezal.
Anche l'altezza e l'orientamento dei rilievi sono responsabili di differenze nella distribuzione di
precipitazioni, temperatura e nebulosità e agiscono come una barriera alla direzione dei venti.
Le differenze di altitudine, di temperatura e di umidità condizionano notevolmente la
distribuzione della vegetazione (Fig. 4.2). In Gran Canaria si distinguono quattro principali
piani vegetazionali: basale; di transizione; montano umido; montano secco. Per ognuno si
questi piani si individua una comunità vegetale ben distinta.
4.1 Cardonal e Tabaibal Piano basale
I pendii e le pianure inferiori dell'isola,
principalmente nelle zone più calde e secche,
sono occupati da una comunità vegetale
denominata cardonal – tabaibal. L'esposizione
all'umidità dei venti costanti influenza
pesantemente lo sviluppo altitudinale del
cardonal – tabaibal: questa fascia
vegetazionale si estende a quote meno
elevate sul versante settentrionale e
raggiunge i 400-700 m su quello meridionale,
Fig 4.2 Piani vegetazionali
riscontrabili sul Teide a
Tenerife (cortesia Julia
Perez de Paz).
fig.4.3 Diagramma climatico ( temperatura e
precipitazioni in funzione del tempo) del
piano basale
26
più riparato. Comunità di questo tipo si sviluppano su diversi substrati, dai campi di lava ai
terreni pietrosi.
Nonostante la vicinanza al mare incrementi l'umidità ambientale, l'elevato grado di insolazione
rende il clima caldo e secco. Le temperature medie annue si aggirano intorno ai 20°C e le
precipitazioni annue, che si concentrano fra ottobre ed aprile (200-250 mm), apportano una
quantità di acqua che non è sufficiente a compensare quella persa attraverso la rapida
evaporazione.
Le piante, sottoposte ad un permanente stress
idrico, hanno sviluppato meccanismi di
adattamento per migliorare la loro efficienza.
Durante le stagioni con maggiore disponibilità
idrica piante come il cardòn accumulano acqua
nelle cellule parenchimatiche del fusto, che si
ingrossa assumendo l'aspetto succulento
caratteristico delle piante adattate agli ambienti
aridi. L'acqua sarà resa disponibile nelle stagioni
più secche. Un'altra strategia adottata è
quella di ridurre le dimensioni delle foglie per
minimizzare la perdita di acqua per
traspirazione. Nel cardòn le stipole sono
infatti ridotte a mere spine. Le tabaibas si
difendono dall'aridità defogliandosi
completamente nelle stagioni più sfavorevoli.
L'apparato radicale è molto esteso per
garantire una maggiore efficienza
nell'assorbimento di acqua e svolgere
l'importante funzione di sostegno del suolo.
La copertura vegetale è di carattere aperto e
là dove la disponibilità di acqua è minore, le piante crescono molto distanziate per diminuire la
competizione per le risorse. Di conseguenza nella regione meridionale la densità della
vegetazione è minore rispetto a quella della regione settentrionale. Le specie più
rappresentative di questa comunità sono il cardòn (Euphorbia canariensis) e numerose specie
di tabaiba fra cui ricordiamo la tabaiba dulce (Euphorbia balsamifera) e la tabaiba amagra
(Euphorbia regis-jubae).
Fig.4.4 Euphorbia canariensis
Fig.4.5 Euphorbia balsamifera
27
4.2 Bosco termofilo
Piano di transizione
Il bosco termofilo si localizza al di sotto
della zona lambita dal “mare di nubi”. La
vicinanza allo strato nuvoloso provoca
una riduzione dell'insolazione e un
leggero incremento dell'umidità
ambientale. Le temperature medie
annuali infatti diminuiscono fino a 15-
18°C e le precipitazioni salgono fino a
400-600 mm annui.
Tipici del bosco termofilo sono Phoenix canariensis, esclusiva dell'arcipelago, e Dracaena
draco, endemita della Macaronesia (?). Sono rappresentativi inoltre Juniperus phoenicea,
Olea europaea ssp. cerasiformis, Pistacia lentiscus (e atlantica), Rumex lunaria. Sideroxylon
mirmulans e Maytenus canariensis sono presenti solo in alcune zone. Nelle zone più umide
come in prossimità degli alvei fluviali possono essere presenti alcune popolazioni di Salix
canariensis.
Fig.4.6 Diagramma climatico ( temperatura e precipitazioni in
funzione del tempo) del piano di transizione
Fig.4.7 Bosco termofilo a Los
Tilos de Moya
28
Phoenix, che come Salix richiede una certa umidità edafica, forma popolazioni anche estese in
prossimità del fondo dei barrancos che prendono il nome di palmital.
4.3 Laurisilva
Piano montano umido
Le peculiari condizioni di umidità e
temperatura consentono la formazione, sui
pendii esposti a Nord, di una comunità
vegetale relitta di carattere subtropicale, la
laurisilva. Gli alisei, portatori di pioggia
durante l'inverno, in estate generano
piogge orografiche dovute alla
condensazione della grande quantità di
umidità che trasportano. Proprio questa
condensazione origina fra i 500 e i 1200 m
di altitudine il cosiddetto “mare di nubi”,
fondamentale per l'esistenza di una fitta
laurisilva. Le temperature medie annue si
aggirano fra i 12 e i 14°C grazie all'azione
mitigatrice delle nubi che, impedendo alla radiazione solare di raggiungere il suolo,
diminuiscono l'insolazione e quindi l'aridità. Le precipitazioni annue sono invece elevate (800-
1400 mm).
L'orizzonte superiore organico del suolo è ben sviluppato, umidificato, mineralizzato e ricco di
elementi nutritivi grazie all'intera-
zione fra l'elevata umidità e le
temperature miti.
La laurisilva, con la sua straordinaria
capacità di trattenere l'umidità,
riveste un ruolo importante nel ciclo
idrogeologico e previene l'erosione
del suolo specialmente dei pendii più
ripidi.
In condizioni ottimali la densità dello strato
Fig.4.8 Diagramma climatico ( temperatura
e precipitazioni in funzione del tempo) del
piano montano umido.
Fig. 4.9 Laurisilva a Los Tilos de Moya.
29
arboreo riduce notevolmente la quantità di luce capace di raggiungere il sottobosco,
consentendo lo sviluppo di muschi, licheni e felci che richiedono habitat umidi e ombrosi. Al
variare delle condizioni ambientali il bosco diventa più rado lasciando penetrare una maggior
quantità di luce. Ciò consente una notevole diversificazione del sottobosco.
Fra le specie più rappresentative:
1. Lauracee, fra cui Laurus azorica, Ocotea foetens, Persea indica, Apollonias barbujana
2. Aquifogliacee, in particolare Ilex canariensis
3. Ramnacee, come Rhamnus glandulosa
4. Oleacee, come Picconia excelsa
5. Ericacee, come Arbutus canariensis
6. Miricaceae, come Myrica faya.
Le numerose analogie morfologiche che accomunano queste specie sono il risultato
dell'adattamento alle stesse condizioni ambientali (convergenza evolutiva). Le foglie coriacee
e lucide, associate ad un apice appuntito, favoriscono il deflusso evitando l'accumulo di acqua
sulla superficie.
Nei barrancos, zone con maggior umidità ambientale ed edafica,
predominano Ocotea e Persea. Sui pendii predomina Laurus
accompagnato da Ilex e Rhamnus, mentre nelle zone con
maggior insolazione, prevalgono Apollonias e Picconia.
Nelle zone più ombrose numerose specie di muschi coprono
parte della superficie dei tronchi. Negli spazi più aperti sono
comuni Viburnum rigidum, Bencomia caudata, Hypericum
grandifolium e Geranium canariensis.
Allontanandosi dal mare di nubi, verso quote maggiori, si
osservano una diminuzione dell'umidità, sia ambientale che
edafica, ed un incremento delle temperature legato all'aumento
dell'insolazione. Condizioni queste che favoriscono lo sviluppo
di un'associazione vegetale simile ma ben distinta dalla
laurisilva, il fayal-brezal in cui domina Myrica faya.
Fig.4.10 Myrica faya
30
4.4 Pinar
Piano montano secco
A partire dal limite superiore della laurisilva le
condizioni climatiche variano
significativamente. Le temperature medie
non si discostano molto da quelle registrate
nel piano inferiore della laurisilva poiché
l'aumento dell'insolazione legato
all'allontanamento dal “mare di nubi” è
compensato dall'aumento dell'altitudine, cui
generalmente corrisponde un decremento
delle temperature. Si ha un clima secco con
scarse precipitazioni ed escursioni termiche
giornaliere consistenti. (vedi Rivaz Martinez)
La specie che meglio si è adattata a queste brusche variazioni di temperatura e all'aridità è
Pinus canariensis, conifera a carattere xerofilo, unica componente del pinar.
Sui versanti esposti a nord-est, cioè all'influenza diretta degli alisei, il limite inferiore del pinar
corrisponde a quello superiore della laurisilva, 1200-1300 m. Sui versanti esposti a sud, dove
la laurisilva è assente si riscontrano popolazioni di Pinus già a 700-800 m di quota.
Il pinar compare su suoli con diverso grado di sviluppo, mediamente poveri in materia organica
e nutrienti a causa della lenta decomposizione degli aghi di Pinus. L'apparato radicale di
questa specie è molto resistente, capace di colonizzare anche i substrati più duri come quelli
vulcanici.
Fig.4.11 Diagramma climatico ( temperatura e
precipitazioni in funzione del tempo) del piano
Fig.4.12 Pinar visto dal Roque Nublo
31
Pinus canariensis è una conifera che
supera i 50 m e presenta aghi lunghi e
penduli, di colore verde chiaro brillante,
riuniti in fasci di tre da un brachiblasto.
La forma delle foglie, oltre che a
minimizzare la perdita di acqua per
evapotraspirazione, consente di
sopportare temperature molto basse. É
inoltre una specie pirofita capace di
resistere alle temperature estreme del
fuoco. Ha la particolarità di germogliare
dal ceppo, così da poter ricostruire la porzione aerea distrutta dalle fiamme. Si pensa che
questo sia un'importante adattamento per sopravvivere alle frequenti eruzioni vulcaniche. Sulla
maggior parte dei fusti si osservano importanti segni di combustione, dovuti anche a periodici
incendi.
In condizioni ottimali forma coperture vegetali dense ed estese che consentono solo a pochi
raggi solari di raggiungere il suolo. La scarsa luminosità, unita alla carenza di nutrienti, rende il
sottobosco povero di biodiversità e rado.
4.5 Le coste e il cordòn halofilo arenoso
Frequenti sull'isola di Gran Canaria
sono le formazioni sabbiose che, solo
nella regione meridionale, si presentano
come campi di dune formatesi per
accumulo eolico di sabbie. Il cordòn
halofilo arenoso è dunque confinato
all'estremo sud dell'isola nei pressi della
località di Maspalomas. Nelle zone
costiere dell'isola invece piccole
depressioni si inondano tempora-
neamente all'arrivo dell'alta marea
formando saline. In questi ambienti la
sabbia e le elevate concentrazioni
saline sono i due fattori che condizionano il tipo di vegetazione.
Fig.4.13 Pinus canariensis
Fig.4.14 Traganetum sulle dune costiere di Mas
Palomas
32
Le piante alofile presentano importanti adattamenti alle peculiari condizioni di elevata salinità
del substrato. Le radici avventizie accumulano sale per sfruttarne le proprietà igroscopiche.
L'eccesso di sale rende i fluidi delle piante iperosmotici rispetto all'ambiente esterno favorendo
un maggior assorbimento di acqua dal suolo.
I campi di dune sono colonizzati da un'unica
specie dominante, il Traganum moquinii
conosciuto come balancòn. Il balancòn è nativo
dell'isola e appartiene alla classe delle
Ammophyletea che coadiuvano la fissazione
delle dune in corso di consolidamento nelle
zone costiere. Nella fascia più interna invece le
dune sono già fissate e si osservano i
salicorneti.
4.6 Transetti attraverso la vegetazione
Seguono Transetti che illustrano la distribuzione spaziale della vegetazione in tre diverse aree:
1-Barranco di azuaje (Fig. 4.16)
2-Barranco di fataga (Fig. 4.17)
3-Los Tilos de Moya (Fig. 4.18)
Fig.4.15 Traganum moquinii
33
Fig. 4.16
34
Fig. 4.17
35
Fig. 4.18
36
Fig. 5.1
5. SCHEDE BOTANICHE DELLE LAURIFILLE
In questa sezione sono esaminati i caratteri delle principali laurifille di Gran Canaria.
L’importanza di un’analisi dettagliata risiede nel fatto che la convergenza evolutiva ha portato
queste piante ad avere un aspetto molto simile anche se appartengono a famiglie diverse.
L’identificazione attraverso l’osservazione dei fiori è inapplicabile per la maggior parte delle
stagioni, in quanto questi sono manifesti per brevi periodi all’anno. La somiglianza morfologica
rende difficile anche l’identificazione dei campioni fossili (peraltro spesso frammentari).
La nomenclatura adoperata fa riferimento a Bramwell, le immagini sono state invece realizzate
durante la Campagna Naturalistica.
5.1 Myrica faya Famiglia: Myricaceae
Caratteri generali
Pianta dioica a portamento arbustivo con diversi rami che si
dipartono a livello del terreno. Altezza compresa tra i 6 e gli 8 m
(a maturità).
Corteccia grigia, con lenticelle ben visibili, variabili in
dimensioni e colore, ma sempre più scure del fusto. Presenta
screpolature longitudinali profonde (Fig. 5.1).
Foglie
Alterne, semplici, simmetriche ed ellittiche. Raggiungono la
massima larghezza nella loro metà superiore e si restringono in
prossimità della base. Notofille, con lamina di dimensioni
comprese fra 2 mm2 e 4,5 mm2. Angolo alla base acuto, così
come l’angolo all’apice. Base della lamina fogliare decorrente
(che si allunga cioè fino a scorrere parallelo al picciolo) e apice
allungato.
37
Margine intero o minutamente
crenato (raramente seghettato
nella parte centrale della
foglia) e ondulato, anche
perpendicolarmente allo
sviluppo della lamina fogliare.
Picciolo marginale e rigonfio
alla base.
Nervatura primaria pennata molto evidente. Nervature secondarie semicraspedodrome
ondulate che nella zona marginale si biforcano e si congiungono (Fig. 5.2). Colore variabile:
verde chiaro per le foglie giovani; verde scuro per quelle mature. Tempo di ricambio rapido (2-
3 anni).
Raggruppate sui rami più giovani (Ø 1 cm) di colore chiaro con striature.
Fiori
Infiorescenza femminile semplice con glomeruli,
portati da spighe laterali sessili sugli assi.
Infiorescenza maschile composta e ascellare, portata
in vicinanza dell’apice vegetativo della pianta, ma non
terminale (spighe di spighe). Le due infiorescenze
sono portate, come si è detto, da piante differenti (Fig.
5.3).
Fig. 5.3
Fig. 5.2
38
fig. 1
Fig. 5.7
Frutti Glomeruli di 5-6 mm di diametro, inizialmente verdi, che divengono rossi sfumando al
porpora ed infine al nero (Fig.5.4, 5.5, 5.6).
5.2 Ocotea foetens Famiglia: Lauraceae
Caratteri generali
Portamento arboreo. Corteccia liscia,
grigia (anche su tronchi di 50 cm), con
zone desquamate in prossimità delle
biforcazioni dei rami e del fusto
principale. Grosse lenticelle lunghe
diversi millimetri, distanziate e sparse
(Fig.5.7).
Foglie
Alterne, semplici, con lamina simmetrica.
Ellittiche con lunghezza doppia rispetto
alla larghezza (rapporto
lunghezza/larghezza 2:1). Notofille –
mesofille con dimensioni superiori a 4,5
mm2. Angolo alla base acuto, così come
l’angolo all’apice. Base cuneata e apice
acuminato. Margine intero. Picciolo
marginale lungo fino ad 1 cm, non rigonfio.
Nervature primarie pennate. Nervature
Fig.5.4, 5.5,
5.6
Fig. 5.8
39
Fig. 5.11
secondarie debolmente brochidodrome, arcuate verso l'alto che si congiungono fra loro in
prossimità del margine (Fig.5.8).
Ghiandole, solitamente 3 (per un massimo di 6) localizzate all'ascella delle nervature principali,
rendono la pianta odorosa in seguito a sfregamento. Visibili anche nella pagina superiore e
ricoperte da tricomi in quella inferiore.
Fiori
Bianchi, di dimensioni non superiori a 1 cm a simmetria
raggiata, con 6 petali e 9 stami. Organizzati in
pannocchie e portati all'ascella delle foglie apicali,
apparentemente ermafroditi, ma anche unisessuali (Fig.
5.9).
Frutti
Simili a ghiande, verdi, muniti di una cupola liscia dal
bordo sommitale poligonale in pianta. Dimensioni
mediamente di 2-3 cm (Fig.5.10).
5.3 Picconia excelsa Famiglia: Oleaceae
Caratteri generali
Pianta a portamento arboreo, alta fino a 10 metri, spesso
ramificata alla base.
Corteccia grigio scuro, con fine desquamazione longitudinale e
lenticelle biancastre ovoidali, accoppiate, ben visibili solo nei
rami più giovani (Fig.5.11).
Fig. 5.9
Fig. 5.10
40
Foglie
Opposte, semplici, simmetriche e cadenti. Ellittiche, lunghe 10-12 cm (max 15 cm) e larghe 6-
7 cm. Notofille – mesofille con dimensioni superiori a 4,5 mm2. Angolo alla base acuto, così
come l’angolo all’apice. Base della lamina fogliare decorrente (che si allunga cioè fino a
scorrere parallelo al picciolo) e apice leggermente acuminato.
Margine intero, ondulato perpendicolarmente all’asse di sviluppo della lamina fogliare.
Nervatura primaria pennata.
Nervature secondarie semicraspedodrome, biforcanti e congiungenti. Picciolo marginale, non
rigonfio (Fig.12).
5.4 Apollonias barbujana Famiglia: Lauraceae
Caratteristiche generali
Tronco singolo o ramificato. Corteccia rossastra, finemente
screpolata longitudinalmente. Rami più giovani (2 o 3 anni) di
colore verde con primi accenni di strie legnose. Lenticelle
presenti, ma facilmente confondibili con le squame (Fig.5.13).
Foglie
Alterne, semplici, simmetriche, di colore verde scuro brillante e
non cadenti. Ellittiche, cioè raggiungono la massima larghezza
a circa metà della lunghezza della foglia. Rapporto medio tra
lunghezza e larghezza di 2:1. Notofille – mesofille con
dimensioni superiori a 4,5 mm2. Angolo alla base acuto, così come l’angolo all’apice. Base
della lamina fogliare cuneata e apice acuminato. Leggermente odorose dopo tritatura e prive
di ghiandole.
Fig. 5.13
fig. 12
41
Nervature primarie pennate. Nervature secondarie semicraspedodrome, che s'inarcano verso
l'alto e si biforcano ai due terzi della loro lunghezza senza raggiungere il margine fogliare
(Fig.5.14).
Picciolo marginale lungo 2-3cm, non
rigonfio, arcuato.
Circa il 30% delle foglie presenta una o
più galle (Fig.5.15) dovute alla presenza
di colonie di acari che stimolano una
sovrapproduzione di tricomi nella pagina
inferiore (specie specifica non deleteria).
5.5 Laurus azorica Famiglia: Lauraceae
Caratteristiche generali
Pianta a portamento arboreo che raggiunge 15 m.
Corteccia grigio uniforme, con lenticelle di forma ellittica, abbondanti,
non allineate (romboidali, lineari, distanti circa 1 cm). Il tronco può
presentare screpolature, nodi o tubercoli generati da agenti esterni:
malattie o parassiti (Fig.5.16). I rami giovani permangono verdi per
almeno 3-4 anni.
Foglie
Alterne, semplici, simmetriche. Ellittiche, con rapporto
lunghezza/larghezza di 2:1. Notofille, con lamina di dimensioni
comprese fra 2 mm2 e 4,5 mm2. Angolo alla base acuto, così come
l’angolo all’apice. Base della lamina fogliare cuneata e
apice acuminato.
Fig. 5.15
Fig. 5.14
Fig. 5.16
42
Margine intero, talvolta ondulato. Picciolo
marginale, corto e arcuato con diametro di 2-3
mm.
Meno odorose rispetto a Laurus nobilis.
Nervature primarie pennate. Ghiandole
all'ascella di ciascuna nervatura secondaria,
semicraspedodroma (Fig.5.17).
5.6 Ilex canariensis Famiglia: Aquifogliaceae
Caratteristiche generali
Pianta dioica dal portamento arbustivo o talvolta
arboreo.
Corteccia colore grigio tendente al verde. Rami verdi
per diversi metri. Lenticelle ellittiche o circolari, di
colore bianco.
Foglie
Alterne, semplici, leggermente asimmetriche alla base.
Microfille, con dimensioni della lamina inferiori a 2 mm2. Ovate, con angolo alla base ottuso e
angolo all’apice acuto. Base dalla forma convessa e apice leggermente acuminato (Fig.5.18).
Prive di ghiandole odorose. Caratteristico è il margine serrato delle foglie basali; quelle apicali
presentano invece margine intero. Nervature primarie pennate. Nervature secondarie
craspedodrome con venature intramarginali. A due terzi della loro lunghezza le nervature
secondarie si uniscono formando una cordonatura che corre parallela al bordo. Picciolo
marginale, scanalato, non rigonfio.
Frutti
Bacche rosse di piccole dimensioni sugli individui
femminili (Fig.5.19).
Fig. 5.17
Fig. 5.18
Fig. 5.19
43
5.7 Persea indica Famiglia: Lauraceae
Caratteristiche generali
Pianta a portamento arboreo che necessita di un' umidità
maggiore rispetto alle altre laurifille. Corteccia con lenticelle in
rilievo, globulari (Fig. 5.20).
Foglie
Alterne, semplici, simmetriche, prive di ghiandole. Ellittiche,
che raggiungono il massimo della larghezza nella parte
centrale della foglia, con un rapporto lunghezza/larghezza di
3:1. Mesofille, di dimensioni cioè superiori a 4,5 mm2. Angolo
alla base acuto, così come l’angolo
all’apice. Base cuneata e apice allungato.
Margine intero. Nervature primarie
pennate. Nervature secondarie
semicraspedodrome, incurvate verso
l'alto (Fig. 5.21). Si tingono di rosso
intenso prima dell’abscissione.
Picciolo marginale non rigonfio.
Frutto
Frutto bluastro, ellissoide e senza cupola.
5.8 Arbutus canariensis Famiglia: Ericaceae
Caratteristiche generali
Fusto marrone con
desquamazioni che lasciano
intravedere un tronco rossastro
senza lenticelle.
Fig. 5.20
Fig. 5.22
Fig. 5.21
44
Foglie
Alterne, semplici, simmetriche, pendule a maturità. Oblunghe,
con rapporto lunghezza/larghezza 4:1. Mesofille, di dimensioni
cioè superiori a 4,5 mm2. Angolo alla base acuto, così come
l’angolo all’apice. Base della lamina fogliare decorrente (che si
allunga cioè fino a scorrere parallelo al picciolo) e apice
allungato. Margine con due serie di crenature, una più
grossolana intervallata da una più fine. Nervature primarie
pennate. Nervature secondarie debolmente brochidodrome,
leggermente arcuate e biforcate in prossimità del margine (Fig.
5.22). Picciolo marginale, lungo fino a 2 cm, scanalato, slargato.
Fiore
Infiorescenza ad ombrella con fiori appiccicosi e ricoperti da peluria.
Frutto
Bacca, che può raggiungere il diametro di 2 cm (Fig. 5.23).
5.9 Maytenus canariensis Famiglia: Celastraceae
Caratteristiche generali
Pianta a portamento arboreo. Rami arcuati con ricacci ascendenti,
chioma fitta a foglie dense.
Corteccia grigio-bruna, in molte parti liscia, finemente screpolata in
piccole scaglie millimetriche. Diviene più desquamata in placche
(lunghe anche diversi cm) in prossimità di innesto di grossi rami,
settori contorti e zone vecchie (Fig. 5.24)
Rami ocra chiaro, con brachiblasti.
Fig. 5.23
Fig. 5.24
45
Foglie
Alterne, semplici e simmetriche. Microfille, con dimensioni della lamina inferiori a 2 mm2.
Angoli alla base e all’apice acuti, quasi retti. Base leggermente decorrente e apice convesso.
Margine crenato. Nervature primarie pennate.
Nervature secondarie semicraspedodrome, ad angolo
acuto rispetto la nervatura principale (Fig. 5.25).
Picciolo carenato, marginale, lungo fino a 1 cm.
Fiori
Infiorescenze ad ombrelle di 2-5 fiori. Ermafroditi a 6
petali, 2 triplette, 2-3 stami e 1 pistillo.
Frutto
Triloculare, ogni loculo contenente un seme
provvisto di una coppa basale bianca chiamata arillo.
( Bramwell). Semi acerbi di color verde lucido, che a
maturità divengono marrone lucido. Frutto sempre
verde, capsula secca triangolare (Fig. 5.26).
5.10 Sideroxylon mirmulans Famiglia: Sapotaceae
Caratteristiche generali
Pianta a portamento arboreo.
Corteccia di colore grigio-rossiccio, con lenticelle
orizzontali in doppiette e triplette, di 3 mm per 1 mm.
Screpolature con interno rosso ed esterno grigiastro.
Rami giovani di colore grigio-biancastro (Fig. 5.27).
Fig. 5.25
Fig. 5.26
Fig. 5.27
46
Foglie
Alterne, semplici, involute, a volte asimmetriche, prive di
ghiandole. Ellittiche, lunghe 9-12 cm e larghe 4-5 cm.
Notofille, con lamina di dimensioni comprese fra 2 mm2 e
4,5 mm2. Angolo alla base acuto. Angolo all’apice
generalmente acuto, più
raramente ottuso (Fig. 5.28).
Base cuneata e apice retuso, cioè leggermente rientrante
(meno del 5% della lunghezza della foglia). Margine intero.
Pagina inferiore di colore verde chiaro.
Nervature primarie pennate. Nervature secondarie
semicraspedodrome, debolmente arcuate,
biforcanti a ¾ della loro lunghezza, intercalate da
nervature terziarie (Fig. 5.29).
Picciolo marginale, leggermente solcato di 2,5 cm.
5.11 Rhamnus glandulosa Famiglia: Rhamnaceae
Caratteristiche Generali
Pianta a portamento arbustivo, non ramificato alla base. Corteccia
grigia con striature rossastre. Lenticelle fitte, bianche.
Foglie
Alterne, semplici, simmetriche ed ellittiche. Notofille, con lamina di
dimensioni comprese fra 2 mm2 e 4,5 mm2. Angolo alla base ottuso,
angolo all’apice variabile da acuto ad ottuso.
Fig. 5.28
Fig. 5.29
Fig. 5.30
47
Base bruscamente troncata (Fig. 5.30). Apice a volte
convesso, a volte leggermente acuminato. Margine crenato
con dentelli variabili.
Nervature primarie pennate (Fig. 5.31). Nervature
secondarie debolmente brochidodrome, rivolte verso l'alto
(da 3 a 5). Ghiandole (max 11) sempre presenti in coppia
all’ascella delle nervature secondarie prossime alla base
della lamina, ma non sempre in coppia nelle nervature
prossime all’apice. Picciolo marginale lungo 2,5 cm,
solcato e depresso sulla superficie della lamina.
Fig. 5.31
48
6. OSSERVAZIONE DI ALCUNI TIPI DI POLLINE FRESCO AL MICROSCOPIO OTTICO
In questa sezione prendiamo in considerazione la morfologia del polline di alcune piante
legnose tipiche delle isole Canarie incluse alcune laurifille. Questo lavoro serve a dimostrare
l’utilità dello studio del polline per distinguere alberi sempreverdi che sembrano simili fra loro,
ma siccome appartengono a famiglie diverse producono polline molto diverso. Questa
diversità è utile sia allo studio dell’evoluzione di questi gruppi vegetali, sia per la ricerca di
giacimenti pollinici fossili da cui iniziare uno studio sulla storia della vegetazione delle Canarie.
Le nostre osservazioni hanno compreso la raccolta del polline fresco sul campo, l’acetolisi in
laboratorio e lo studio dei granuli al microscopio ottico (MO).
6.1 Raccolta sul campo
E’ stato raccolto il polline selezionando le parti fiorali maschili e dove possibile solamente le
antere. I campioni sono stati conservati in sacchetti di carta chiusi, ognuno dei quali recanti:
data, luogo di raccolta, nome specifico, famiglia ed eventuali note. Ad ogni campione è stata
quindi associata una sigla che riassume queste caratteristiche.
I campioni sono stati quindi gradualmente essiccati in ambiente salubre. Tutti i campioni di
polline fresco raccolti sono stati inseriti in un archivio ad hoc che prende il nome di palinoteca.
6.2 Preparazione in laboratorio
Sono state isolate le antere di ciascun fiore adoperando apposite pinzette sterili per eliminare
le porzioni vegetative del fiore non utili all’analisi pollinica.
Nel caso in cui non sia possibile isolare le antere, può essere necessario effettuare un
trattamento che permetta di rimuovere la sostanza organica senza danneggiare la
sporopollenina dei granuli pollinici. Si procede in questi casi con la bollitura in KOH al 10% per
circa 10 minuti, seguita da risciacquo e un passaggio in centrifuga per separare il campione
dal sopranatante.
Per assicurarsi dell’assenza totale di acqua nel materiale, è possibile eseguire un’ulteriore
disidratazione con acido acetico glaciale (CH3COOH) al 99,5% e un successivo passaggio
nella centrifuga.
A questo punto ha inizio l’acetolisi vera e propria:
1) In un cilindro graduato è stata preparata una miscela composta da 9 parti di anidride acetica
(C4H6O3) e 1 parte di acido solforico (H2SO4) al 96%. Nel nostro caso, la preparazione di 8
campioni ha richiesto 80 ml di miscela, composta da 72 ml di anidride acetica e 8mL di acido
49
solforico. Unendo i due prodotti si ottiene una reazione esotermica.
Questa miscela è quindi suddivisa nelle provette che contengono i campioni e si procede a
mescolare con apposite bacchette.
2) Le provette vengono poste a bagnomaria in un becher con acqua a circa 80°C per 8 minuti;
in questo modo la reazione procede più velocemente di quanto non farebbe a temperatura
ambiente. Otterremo così dei granuli pollinici colorati con una gradazione che va dal giallo,
all’arancione-marrone, al rossiccio. Questo passaggio non deve essere prolungato
ulteriormente poiché questo provocherebbe un’eccessiva colorazione e di conseguenza
l’impossibilità di distinguere i caratteri microscopici dei granuli.
3) Le provette vengono poi centrifugate per 5 minuti a 3000 giri al minuto rpm. Il sopranatante
viene quindi scartato eliminato e si eseguono, sempre in centrifuga, almeno due risciacqui con
acqua distillata; anche in questo caso il sopranatante residuo viene eliminato.
4) Il materiale viene conservato in appositi barattolini e posto per metà in glicerina
(preparazione per il Microscopio Ottico) e metà in alcol etilico e acetato di isoamile
(preparazione per SEM).
6.3 Osservazione al microscopio ottico Si procede quindi alla preparazione dei vetrini per l’osservazione al MO, attraverso una
micropipetta si adagia una goccia di preparato sul vetrino e il tutto viene sigillato con uno
strato di paraffina e il vetrino copri oggetto.
Di seguito vengono elencate le caratteristiche morfologiche di granuli pollinici appartenenti a
quattro specie osservate al microscopio ottico a 400, 630 e 1000 ingrandimenti.
50
Myrica faya
FORMA GENERALE
Oblato sferoidale (se si considera la nexina) o sub triangolare (per la sexina)
DIMENSIONI 22,19 µm
APERTURE Aperturato, trizonoporato, pori apparentemente vestibolati con presenza di granulazioni all’interno del vestibolo
SUPERFICIE Psilata
Tab. 6.1
Pinus canariensis
Infruttescenza di Myrica faya
Fotografia al MO a 1000
ingrandimenti in visione polare
Fotografia al MO a 400
ingrandimenti
51
FORMA GENERALE
Bisaccato con sacche di dimensioni quasi pari a quelle del corpo, apparentemente diplostelico (attaccatura delle sacche < 90°). Cresta uniforme, talvolta sfrangiata in prossimità delle sacche
DIMENSIONI 93,436 µm
APERTURE No
SUPERFICIE NC
9)
10)
11)
12)
13)
14)
Tab. 6.2
Ocotea foetens
Fotografia al MO a 400
ingrandimenti in visione equatoriale
Fotografia al MO a 400
ingrandimenti in visione polare
Esemplare di Pinus al Jardìn Botanico Canario
52
FORMA GENERALE
Subsferica
DIMENSIONI 22, 19 µm
APERTURE Aperturato, trizonocolporato, mesocolpio di lunghezza 11,095 µm
SUPERFICIE Reticolo a catenella. I lumina hanno dimensione massima di 1,5 µm
5)
Tab 6.3
Fotografia al MO a 1000 ingrandimenti
in visione sub-equatoriale
Fotografia al MO a 630 ingrandimenti in
visione polare
Fiore ermafrodita di Ocotea foetens
53
Bencomia caudata
FORMA GENERALE
Sferica
DIMENSIONI 34,79 µm
APERTURE Tricolporato, opercolato. Pontopercolo con estremità saldata
SUPERFICIE Psilata/microverrucata
16)
17)
18)
19)
20)
21)
22)
23)
24)
Tab. 6.4
Fotografia al MO a 1000
ingrandimenti in visione sub-polare
Fotografia al MO a 1000 ingrandimenti
in visione equatoriale
Particolare di Bencomia nel barranco di Los Tilos de Moya
54
7 RISULTATI PRELIMINARI DELL’ANALISI POLLINICA SU DEPOSITI FOSSILI
Località campionamento
Litologia ANALISI POLLINICA: risultati preliminari Elenco dei tipi pollinici e dei palinomorfi non pollinici (NPP) osservati
Affioramento lungo
strada verso Moya CAMPIONI
Moya 1 e Moya 2
(Fig.x)
Deposito marino (?) Granulo tipo Anthemis
Chenopodiaceae
Granulo fam. Gramineae
Granulo tricolporato non determinati
Granuli triporati non determinati
Granulo tipo Aster
Affiornamento nel
Barranco Tamaraceite
CAMPIONI Tam 1 e Tam
3
(Fig.X)
Deposito marino Granulo di Pinus
Barranco Azujeas
CAMPIONE AZ 1C
(Fig.X)
Travertino laminato Granulo tipo Aster
Spore monolete non determinate
Spore trilete non determinate
Granulo fam. Gramineae
Granulo tricolporato non determinato
Granulo tipo Alnus
Granulo Tricolporato tipo Castanea
Granuli triporati tipo Myrica
Granulo fam. Caryophyllaceae
Tab.7.1
55
Fig. 7.1 (a sinistra): affioramento “Strada per Moya”. Fig. 7.2 (in alto): affioramento “Brarranco Tamaraceite”.
In entrambe le immagini è indicata la posizione stratigrafica
dei campioni prelevati per analisi pollinica (vedere Tab. 7.1).
Fig. 7.3. Travertino laminato nel
Barranco di Azujeas, il campione AZ
1C è stato prelevato per analisi
pollinica (vedere Tab. 7.1 )
56
7. BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
- Bramwell D. & Bramwell Z.,. Wild flowers of the Canary Islands. Ed. Rueda, Madrid.
- Leaf Architecture Working Group c/o Scott Wing, 1999 - Manual of leaf architecture,
Morphological description and categorization of dicotyledonous and net-veined
monocotyledonous angiosperms, Department of Paleobiology Smithsonian Institution,
Washington.
- Perez Torrado F.J. et al., 2011 - Un gigante derrotado: paseo por las entrañas del Volcán
Roque Nublo. Geolodìa, 11. Gran Canaria.
- Punt W, Blackmore S., Nilsson S., Le Thomas A., (Second and revised edition by Peter
Hoen), 1999 - Glossary of pollen and spore terminology, Laboratory of Palaeobotany and
Palynology, Utrecht, The Netherlands.
- Rodriguez-Gonzalez A. et al., 2009 - The Holocene volcanic history of Gran Canaria island:
implications for volcanic hazards, Journal of Quaternary Science, 24 (7), pp. 697-709
- Sunding P., 1976 - The vegetation of Gran Canaria. The Norwegian Research Council. Olso.
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