Emerge da un codice medievale l’antica Messa per i Patroni · 2018. 7. 2. · e poi l’Ufficio...

Preview:

Citation preview

Data e Ora: 10/02/10 22.55 - Pag: 43 - Pubb: 11/02/2010 - Composite

Imanoscritti medievali continuano a re-galarci gradite sorprese. L’ultima novi-tà è una sfavillante Messa gregoriana,intitolata ai santi Faustino e Giovita,

proveniente dalla Bodleian Library diOxford, ritrovata e trascritta dalla musico-loga Maria Teresa Rosa Barezzani. Lunedì15 febbraio, in occasione della festa per isanti patroni di Brescia, la Scuola diocesa-na di musica Santa Cecilia la presenterà inprima esecuzione moderna, nella chiesa diSan Faustino.

Alle 18,15 questi antichi canti rivivrannonel loro naturale e originario contesto: unacelebrazione eucaristica presieduta da donCarlo Bresciani, rettore del Seminario. Alle21 gli stessi brani si inseriranno invece inuna cornice più spettacolare e accattivan-te: un singolare concerto ricco di contrastie novità. La serata prevede infatti l’esecu-zione di composizioni per organo di MarcoEnrico Bossi (il maggiore concertista-orga-nista di tutto il ’900), alternate alla frizzan-te e moderna Little Jazz Mass di Bob Chil-cott (inglese, classe 1955), e all’incanto ar-dente e mistico dei riscoperti pezzi gregoria-ni. Gli esecutori del concerto serale saran-no Fausto Caporali all’organo Serassi, Juri

Lanzini al pianoforte, Sandro Massazza alcontrabbasso, il Coro di voci bianche dellaScuola diocesana di musica diretto da Ma-rio Mora e l’ensemble Palma Choralis diret-to da Marcello Mazzetti (organista MariellaSala) cui saranno affidate le parti in cantusfirmus degli anni intorno al Mille.

Una tradizione millenaria«La festa dei Santi Faustino e Giovita è

radicata nella nostra storia - spiegano gli or-ganizzatori -. Proprio questa tradizione mil-lenaria ha fissato, nei più diversi modi, la vi-ta delle varie generazioni, i loro ideali esteti-ci, desideri, speranze, convinzioni profon-de: dall’iconografia alla liturgia, dalla musi-ca alla sagra popolare, nulla escludendo». Ilconcerto è organizzato in collaborazionecon il Museo diocesano di Brescia, che finoal 4 aprile ospita la mostra sul barocco e isanti Faustino e Giovita. «Vogliamo riper-correre un millennio di brescianità - precisala studiosa Rosa Barezzani - attingendo al-le radici più remote dei nostri avi. Il mano-scritto su cui ho lavorato riporta neumiadiastematici, cioè segni che non indicanol’altezza esatta delle note. Era destinato arimanere muto per altri secoli. Ma fortuna-

tamente questa stessa Messa esiste anchein altri due codici più tardi, conservati pres-so la biblioteca "Angelo Mai" di Bergamo,che indicano con precisione le melodie. Dalconfronto tra le fonti ho ricostruito la ver-sione che potrete ascoltare in anteprima».Quale è stata lo stupore più grande nel tra-scrivere questa musica? «Il graduale "Glo-riosus Deus" ha rivelato linee impetuose,uno slancio inaspettato, estese e labirinti-che varianti. Il tratto "Sancti et iusti", canta-to al posto dell’Alleluia in tempo di Quaresi-ma, composto da formulari di provenienzadiversa sapientemente assemblati, mi hafatto faticare più del previsto».

Da Santa Giulia a Faustino e GiovitaIl codice di Oxford è stato probabilmente

redatto nel capitolo del Duomo di Brescia.«Appare molto consumato dall’uso, mostral’intervento di più mani, contiene numero-se messe e uffici liturgici, è notato da princi-pio alla fine con una scrittura minuta: tuttisegnali della sua grande importanza. Deveessere ancora studiato a fondo. Al suo inter-no - continua la studiosa - vi sono Uffici inonore di Santa Giulia, un Inno a san Pietroe poi l’Ufficio liturgico dai santi Faustino e

Giovita. È un documento davvero corposoe complesso, e meriterebbe l’intervento diun team di ricercatori. Mi aspetto altre sor-prese». Cosa ci faranno ascoltare gliinterpreti? «Sulla prassi esecutiva non ci so-no certezze - aggiunge la studiosa -, dal mo-mento che nei documenti antichi mancanoindicazioni circa il tempo, le pause, l’allun-gamento o l’accorciamento dei suoni. Il fa-scino della musica antica sta anche in que-sta libertà».

Ma per quali oscure strade è giunta fino aOxford un’antica Messa cantata dedicataai nostri santi patroni? Quale speciale devo-zione legava la famosa città inglese a Fausti-no e Giovita? E chi trascrisse quella stessaMessa, negli altri due codici bergamaschi?Per quale occasione? Perché ne modificò lastruttura generale? Come spesso accade,parlando di Medioevo le domande si molti-plicano. La vecchia fontana del villaggio an-cora versa acqua fresca, e noi non finiamodi abbeverarci. La doppia occasione di lune-dì, liturgica e concertistica, potrà restituircialmeno una parte di quel remoto splendoresonoro. Se non chiarire i molti interrogativi,almeno soddisfare qualche curiosità.

Enrico Raggi

I Santi Faustino e Giovita nell’affresco di Giandomenico Tiepolo in S. Faustino; a destra,particolaredi un codice del ’500, proveniente da Brescia, nella Bodleian Library di Oxford

Va’ in Egitto! - eraun’esclamazionefrequente decenniaddietro nei vicoli

del Carmine per mandarequalcuno a quel tal paese oper dirgli di andare a farsi be-nedire - così almeno mi riferi-scono amici un po’ più agésdel sottoscritto e cultori delletradizioni locali. Certo, oggisarebbe un bel calembour(tra i due significati) in boccaad un vecchio carmelitano (ipochi tenacemente sopravvis-suti nonostante le avversecondizioni ambientali) che ri-volgesse l’esclamazione ad ungiovane dalla pelle un pocopiù scura, che probabilmenteproprio dall’Egitto proviene,o al massimo dal Marocco.Ma nessuno corre più il peri-colo di non venire compreso,o di venire rimandato inconsa-pevolmente al suo paese nata-le, dal momento che il detto ècaduto in disuso. E per giun-ta a qualcuno il Carmine po-trebbe sembrare davvero unnuovo Egitto, da quando lasua popolazione - in meno didue decenni - è così vistosa-mente mutata.

Per uno strano fenomenoche non saprei spiegare, mache forse attiene ad un qual-che tipo di verifica di una cu-riosa nemesi storica che inve-ra il detto latino che nominasunt consequentia rerum -mio nonno chiamava il quar-tiere del Carmine normalmen-te «el Cairo», con una deriva-zione toponomastica a medel tutto oscura, ma che cer-to deve essere stata di auspi-cio in qualche modo all’inse-diamento nel cuore di Bre-scia della popolazione prove-niente dalle rive del sacro fiu-me che bagna e divide la terradei Faraoni.

Tuttavia un secolo e mez-zo, o due, or sono i bresciani(anche se rari e magari un po’visti come avventurieri sprez-zanti del pericolo) che parti-vano per guadagnare la cor-rente placida del Nilo, per visi-tare i templi plurimillenariche sulle sue sponde si affac-ciano, non mancavano, e di al-cuni di essi ci è rimasta so-vrabbondante memoria, so-prattutto grafica.

Per dire che se oggi è diven-tato così facile e quasi norma-le salpare direttamente col-l’aereo da Orio al Serio (ValSeriana) per approdare dopopoco più di tre ore di volo aTebe (Valle del Nilo), anchenel passato i rapporti di Bre-scia con l’Egitto non manca-rono ed anzi - mentre oggi il«mordi e fuggi» dei viaggi or-ganizzati o il «fai da te» diquelli individuali ed un po’ et-nici, produce tutt’al più qual-che rullino di fotografie sovra-esposte o di diapositive dalleinquadrature bizzarre - nel-l’Ottocento i viaggiatori bre-sciano riportarono dall’Egit-to copiosa messe di disegni,di appunti, di dipinti. E tra diessi occorre ricordare Giovan-ni Renica, Flaviano Capretti eGaetano Valbusa. E senza di-menticare - poi - che i nostriCivici Musei conservano (an-corché non esposti al momen-to in cui scrivo) una cinquan-tina di oggetti egizi, di prove-nienze probabilmente dispa-rate, e che purtroppo sono en-trati nelle collezioni pubbli-che senza un’adeguata docu-mentazione, che invece per-metterebbe di ricostruire - incontroluce, ma su dati certi -la storia del collezionismo bre-sciano del secolo XIX, com-preso quello delle «curiosità»egizie.

Fra i grandi poeti italiani, Petrarcaè sicuramente quello che ha mag-giormente ispirato i compositoridi ogni epoca e stile, ma il perio-

do aureo in cui le rime del Canzoniere fu-rono ripetutamente poste in musica -con la decisiva complicità delle teorie po-etiche di Pietro Bembo - culminò nel Cin-quecento e nella civiltà del madrigale, dicui il bresciano Luca Marenzio fu straor-dinario protagonista.

E proprio il variegato percorso di Ma-renzio sulle rime del Petrarca è stato alcentro della conferenza tenuta venerdìscorso dalla musicologa Maria Teresa Ro-sa Barezzani all’Ateneo di Brescia.

Alcune liriche petrarchesche trovaro-no la via dell’intonazione musicale quan-do il poeta era ancora in vita. È il caso delmadrigale «Non al suo amante più Dianapiacque» posto in musica da Jacopo daBologna in pieno Trecento, all’epoca del-la fioritura dell’«Ars nova». Fu poi il piùinsigne maestro della prima scuola fran-co-fiamminga, Guillaume Dufay, a into-nare la canzone «Vergine bella che di sol

vestita» all’inizio del XV secolo. Ma biso-gna attendere l’inizio del Cinquecentoper assistere ad una vera e propria fioritu-ra di versi del Petrarca posti in musicanel caratteristico genere della frottola,tanto in voga nelle corti di Urbino, Ferra-ra e Mantova. Finché, a partire dal quar-to decennio del secolo, il madrigale polifo-nico non divenne - come ha ricordato laprof. Barezzani - quel «giardino meravi-glioso» in cui la poesia del Petrarca trovòil suo luogo d’elezione, rivestita delle no-te dei più ingegnosi e sensibili maestri.

Il primo incontro di Marenzio con le ri-me del cantore di Laura risale al «Primo

libro di madrigali a sei voci» (1581), unaraccolta dedicata al duca di Ferrara Al-fonso d’Este, nella quale si trova il sonet-to CXCVI «L’aura serena che fra verdifronde». Ben più copiosa la messe di ver-si petrarcheschi nella matura raccoltadel «Primo libro a quattro voci» (1585):qui appaiono alcune delle più mirabili in-tonazioni marenziane, come il celebre so-netto «Zefiro torna» o la stanza di ballata«Ahi dispietata morte», splendido esem-pio di «gravitas» musicale.

Ma è solo con il «Nono libro a cinquevoci», canto del cigno del madrigalistache il cerchio si chiude all’insegna del-

l’idea della solitudine e della fine immi-nente. Nella stanza di sestina «Crudele,acerba, inesorabil morte» non c’è alcunrichiamo al «viver lieto» o alle immaginiprimaverili che allietavano l’incipit di «Ze-firo torna», e il discorso musicale, fattosisempre più aspro e carico di cromatismi(come nell’indimenticabile, quasi wagne-riano, attacco di «Solo e pensoso») con-duce a quell’abisso di espressione che -come ha ben evidenziato Maria TeresaRosa Barezzani - esalta «la solitudine del-l’uomo di fronte al dolore».

Marco Bizzarini

Marenzio, «autobiografia» in musica sulle rime del PetrarcaIl madrigalista bresciano trovò nei sonetti del poeta ispirazione per la propria opera e consonanza emotiva: se ne è parlato all’Ateneo

Emerge da un codice medievalel’antica Messa per i Patroni

Flaviano Caprettiin Egitto nel 1928

Esiste oggi la democrazia inItalia? Con questa domandaNorberto Bobbio aprì la confe-renza «Quale democrazia?» che

tenne a Brescia, nel salone Da Cemmo,il 27 maggio 1959, nell’ambito degli «In-contri di cultura» allora promossi da ungruppo di intellettuali bresciani raccoltiintorno a Stefano Bazoli. Il testo di quel-l’intervento è ora raccolto in un libro edi-to da Morcelliana, con premessa di Fran-cesca Bazoli e una postfazione di MarioBussi. E la domanda di Bobbio è statarilanciata ieri da Salvatore Veca, interve-nuto alla presentazione del volume chela Cooperativa cattolico democratica dicultura ha organizzato presso la libreriadell’università Cattolica, in collaborazio-ne con l’università popolare Lunardi.

La qualità della democrazia in Italia simisurava, secondo Bobbio, risponden-

do a tre domande: «La classe politica de-riva il suo potere direttamente dal con-senso popolare? È integralmente attua-to il principio della responsabilità di chidetiene il potere di governare? Qual èl’intensità e rapidità della circolazionedella classe politica?». Nelle risposte,Bobbio analizza i punti deboli dell’an-cor giovane democrazia italiana: il «pro-cedimento misto di cooptazione ed ele-zione» con cui i partiti designano il grup-po governante; le interferenze dell’appa-rato burocratico che esercita spesso un«potere politico irresponsabile»; il «cen-trismo politico» che rende impossibilel’alternativa tra destra e sinistra, favo-rendo la «staticità» della classe dirigen-te.

Veca, che insegna filosofia della politi-ca all’università di Pavia e ha vissutouna lunga amicizia con il filosofo torine-se, ha riproposto e attualizzato le do-mande di Bobbio. Sui limiti, ad esem-pio, del principio elettivo: «Oggi ci sonoforti tendenze a una conversione dei re-

gimi democratici maturi in post-demo-cratici: si preservano alcune regole delgioco, ma esse convivono con forme dipotere neo-oligarchiche e neopatrimo-niali, favorite dal forte aumento dei co-sti della politica». Il problema non ri-guarda solo l’Italia: «L’enorme peso chele ineguaglianze sociali, economiche eculturali hanno sulla regolarità democra-tica è un pericolo per molte democra-zie».

Il «dispositivo bobbiano della demo-crazia» - ha chiarito Mario Bussi - preve-de tre fasi: «Stabilire cosa la democrazianon è, ossia cosa la differenzia dall’auto-crazia; capire cosa essa è; infine definir-ne la qualità, esaminare il grado di de-mocrazia raggiunto da un sistema politi-co». Molti studi recenti cercano di co-struire «indicatori di democrazia». Unparametro fondamentale, spiega Veca,è proprio il rapporto tra qualità di vita eforbici di ineguaglianza: «Più la societàsi frammenta in ghetti e caste, più sem-bra che la democrazia si allontani».

L’obiettivo da porsi, per realizzare la«democrazia come ideale di eguaglianzae compito di giustizia» auspicata daBobbio a Brescia, è «una società che tu-teli la possibilità delle persone di esserese stesse», di determinare liberamentela propria condizione di vita: «Per que-sto è importante accrescere l’accesso al-l’educazione, che aumenta le opzioni discelta possibili».

Da Bobbio viene anche una lezioneumana di democrazia: «Il modo in cuiegli parla in quella conferenza è lo stes-so che avrebbe utilizzato per qualunquealtro uditorio. Non cerca di catturare glialtri, li considera interlocutori e nonspettatori. Ciò è parte del costume de-mocratico: l’uguale rispetto dovuto achiunque. Bobbio è stato un grande ma-estro di scienza politica e di filosofia deldiritto. Ma da lui ho imparato soprattut-to l’arte difficile della convivenza nelladiversità».

Nicola Rocchi

L’elzeviro

Il compositore bresciano Luca Marenzio

Bresciani sul Niloe «bresciani

d’Egitto»Luciano Anelli

Ghetti e caste, termometro di crisi democraticaVeca ricorda la lezione di Bobbio a Brescia nel ’59 e allerta sul «pericolo delle ineguaglianze»

SalvatoreVecanella libreriadellaCattolica (ph.Reporter/Favretto)

Giornale di Brescia Giovedì 11 Febbraio 2010 cultura 43

Recommended