View
54
Download
0
Category
Preview:
DESCRIPTION
Che cos'è il Lobbying, e i vari punti di vista.
Citation preview
Indice
Introduzione…………………………………………………………………..3
1. Terminologia………………………………………………………….........4
1.1 Gruppi di pressione/ gruppi di interesse………………………...4
1.2 Lobbying…………………………………………………………...5
2. Concezione del lobbying in Italia, Bruxelles e in USA…………………..6
3. Regolamentazioni………………………………………………………….8
3.1 U.S.A……………………………………………………………….8
3.2 Europa……………………………………………………………..9
3.3 Italia………………………………………………………………10
4. Attività di lobbying……………………………………………………….11
5. Tecniche…………………………………………………………………...12
6. Attività legislativa delle lobbies………………………………………….16
7. Professione lobbista………………………………………………………20
8. I Public affairs e il pre-mercato…………………………………………23
8.1 Analisi dello scenario ………………………………………… 26
9. Il public affairs mix affianca il marketing mix………………………...2
10. eBay………………………………………………………………………30
Conclusioni…………………………………………………………………..33
1
Bibliografia…………………………………………………………………..35
2
Introduzione
Un momento particolarmente importante dell’attività di comunicazione
istituzionale di un’ impresa è rappresentato dal lobbying.
Il legislatore, le istituzioni dello Stato, il governo emanano spesso leggi,
norme e regolamenti che in qualche modo interferiscono o possono interferire
con le attività economiche delle imprese. Il rischio, in tutti questi casi, è che se
chi legifera non ha in approfondita conoscenza delle problematiche
imprenditoriali, e questo per comprensibili ragioni è il caso più frequente, il
“prodotto legislativo” che ne deriva può costituire un serio problema per lo
sviluppo delle attività delle imprese. D’altra parte non è pensabile che il
legislatore possa essere informato sempre e su tutto, soprattutto quando si
entra nel dettaglio di difficili, complessi aspetti delle molteplici realtà
aziendali. Quindi come aiutare il legislatore ad avere un visuale un po’ più
globale? Proprio attraverso il lobbying, strumento attraverso il quale si
tengono informate le istituzioni dello Stato su quelli che sono i problemi delle
imprese, le loro esigenze, i vincoli che ne ostacolano o ne possono ostacolare
lo sviluppo, i progetti di legge che potrebbero favorire una loro ripresa, ecc.
Se pensiamo ad un utilizzo assiduo di questo strumento, però, si creerebbe uno
stretto collegamento tra interessi privati dell’impresa operanti in un settore e
regolamentazione adattata. Questo collegamento costituisce un filone di
studio, appartenente alla tradizione economico-istituzionale, da cui discendono
alcune strategie competitive dissuasive. In certi casi, infatti, le autorità
pubbliche operano nei mercati, non tanto secondo criteri di razionalità
pubblica, riflettendo criteri di benessere sociale, ma a beneficio di alcune
impresi esistenti, andando di fatto a costituire delle barriere all’entrata
artificiali e falsando quindi il livello di competizione interna al settore.
Nel caso in cui l’attività di lobbying assuma carattere illecito (corruzione di
funzionari pubblici), le strategie di deterrenza all’entrata attraverso alla leva
istituzionale si inseriscono nell’ambito della letteratura economica sulle
attività criminali. Il pagamento di tangenti, nell’ipotesi di corruzione (e non di
concussione), ad esempio, può essere espressione di una strategia di deterrenza
3
all’entrata rispetto all’esecuzione di una gara d’appalto oppure all’ottenimento
di una legislazione protezionistica.
Con queste poche pagine, vorrei spiegare cos’è il lobbying, dov’è nato, come
si è sviluppato nel tempo e nelle realtà degli Stati Uniti, in Europa e in Italia,
quali sono le tecniche che ogni attore può utilizzare nel rispetto delle leggi per
far pressione, o meglio, per far valere i propri interessi nella propria realtà; in
seguito scriverò delle caratteristiche che un vero lobbista deve possedere per
far sì che la propria azione arrivi a soddisfare le proprie aspettative e in fine di
una nuova versione del marketing mix: il public affairs mix, un insieme di
attori che un’ impresa deve influenzare e attività che deve attuare per fare
lobbying.
1. Terminologia
1.1 Lobbying
Il termine “lobby” in inglese si traduce in atrio, ingresso, anticamera: sono
questi i primi significati, rintracciabili in qualunque dizionario inglese-italiano,
del termine «lobby». L'uso istituzionale della parola nasce attorno al 1650 in
Inghilterra, per indicare la stanza d'ingresso della Camera dei Comuni;
successivamente, a metà del diciannovesimo secolo, con lobby ci si riferisce
alla zona del Parlamento inglese dove i deputati erano soliti incontrare il
pubblico. Dall'altra parte dell'oceano, il termine lobby è legato a qualche
singolo cittadino (definito lobby agent) che, ritenendo i propri interessi non
sufficientemente protetti dagli eletti, si recò a Washington e cominciò a «fare
anticamera», inaugurando così quella che diventò una vera e propria
professione, fatta di incontri e scambi di favori tra i parlamentari e i gruppi di
interesse. Così lobby è divenuto sinonimo di gruppo d'interesse o di pressione,
cioè un insieme di persone che mobilita risorse per influenzare - cioè
supportare o contrastare - decisioni legislative e/o governative delle istituzioni.
Il lobbying è diffuso e ampiamente praticato in tutte le democrazie. In
particolare, oltre alla Capitale degli Stati Uniti, vi è un altro luogo e sistema
4
politico dove le lobby sono di casa: Bruxelles, sede della Commissione
europea.
1.2 “Gruppo d’interesse e “gruppo di pressione”
In ogni comunità politica, fin dalla antichità, sono presenti gruppi di uomini
che, legati tra loro da comuni interessi, si adoperano, ricorrendo a forme di
pressione, per ottenere da parte del potere politico, l'adozione di particolari
provvedimenti o di complesse linee politiche che a quegli interessi siano
conformi.
Nell'uso corrente della lingua italiana, un tale gruppo di uomini viene definito,
indifferentemente, “gruppo di interesse” o “gruppo di pressione”.
Adottiamo invece una suddivisione secondo cui una distinzione tra gruppo di
interesse e gruppo di pressione deriva dal significato intrinseco di “interesse” e
“pressione”. Nel primo caso ci si riferisce alla motivazione e alla finalità del
gruppo; nel secondo si tiene in considerazione il modo in cui i gruppi
perseguono tale finalità. Il fatto che la parola pressione indichi una modalità
d’azione mentre la parola interesse attenga alla finalità dell’azione, chiarisce in
che modo agisce un gruppo (esercitando una pressione) per perseguire un
determinato interesse (obiettivo primario del gruppo).
Si può quindi individuare il semplice passaggio da gruppo di interesse a
gruppo di pressione quando il primo, formato da individui accomunati da un
interesse comune, esercita un’azione volta ad influenzare le scelte politiche
esercitando una pressione, quando entra nel sistema politico ed agisce come
attore politico, quando esercita una pressione per indurre le istituzioni di
governo ad adottare -o non adottare- una determinata posizione. Inoltre, la
distinzione tra i due gruppi si basa anche sulla netta separazione tra sistema
sociale, nel quale agisce il gruppo di interesse, e sistema politico, dove opera il
gruppo di pressione.
5
2. Concezione del lobbying in Italia, Europa e Stati Uniti
Al termine "lobby" vengono generalmente attribuite, in Italia, varie
connotazioni negative.
Sotto la voce "lobby" di alcuni dizionari della lingua italiana si legge:
- gruppo di potere occulto;
- gruppo di potere economico-finanziario che agisce occultamente
influenzando le decisioni politiche;
- gruppo di interesse che, mediante pressioni anche illecite su uomini politici,
ottiene provvedimenti a proprio favore;
- gruppo di persone che, sebbene estranee al potere politico, hanno la capacità
di influenzarne la scelte, soprattutto in materia economico finanziaria.
Numerosi politici e giornalisti italiani considerano tuttora il lobbying portato
attraverso canali diversi da quelli partitici, come una attività illecita, spesso
accompagnata da corruzione, corporativismo, manipolazione delle
informazioni, clientelismo, insomma come una attività che disturba la serena
autonomia del giudizio del legislatore, la neutralità dell'amministratore
pubblico. Questa concezione deriva dalla opinione diffusa in Europa ed in
specie in Italia, secondo cui, il processo decisionale, sia legislativo che
amministrativo, deve, in una democrazia rappresentativa, essere
monopolizzato dai politici di professione e quindi dai partiti.
Gli interessi che non passano attraverso questi canali verrebbero quindi
ritenuti emanazione di centri occulti.
Qualcosa però sta cambiando, anche se la figura del lobbista non è ancora stata
istituzionalizzata, l’Italia sente la necessità di avere un tramite, qualcuno che
promuova gli interessi della popolazione o delle imprese, diverso dal politico.
Negli ultimi anni infatti blog, associazioni e imprese, si sono sviluppate per
cominciare quest’attività tanto mal rinomata; un esempio lampante è la “FB &
Associati s.r.l.”, impresa che “offre ai proprio clienti competenze e supporto
nella costruzione di sistemi di relazioni, mirati a influenzare le opinioni e le
scelte del decisore pubblico” (www.fbassociati.it).
In Europa però, o meglio, a Bruxelles presso il Parlamento Europeo questa
concezione negativa del termine lobbying si è capovolta; il concetto di
6
pressione non indica necessariamente l’uso di sanzioni negative quali
corruzione, clientelismo, scioperi o manifestazioni di protesta violente come
quelle, ad esempio, organizzate in Italia dai cobas degli agricoltori per ottenere
l’annullamento delle multe sugli eccessi di produzione di latte. La pressione va
intesa anche in senso positivo, come offerta di informazioni al governo
dell’Unione. Per la complessità e peculiarità del sistema politico dell’Unione
Europea, le informazioni sono uno strumento importantissimo a disposizione
dei gruppi che praticano un attività continua di lobbying, che è proprio il
processo di comunicazione e informazione mediante il quale i lobbisti tentano
di persuadere il personale politico e burocratico ad accogliere le istanze dei
gruppi riguardo ai programmi politici. La struttura istituzionale dell’Unione
Europea agevola ed incoraggia la partecipazione dei gruppi organizzati di
interesse al processo legislativo, ma soprattutto favorisce un rapporto di
collaborazione costante e scambio continuo con la Commissione. In questo
panorama la funzione del lobbying è da un lato di fornire expertise e supporto
tecnico alle proposte ed alle iniziative legislative comunitarie; dall’altro di
garantire il collegamento con i governi nazionali. Inoltre, in assenza di un
rapporto diretto cittadini- istituzioni il lobbying è considerato anche un’utile
forma di controllo del policy making. La struttura dei gruppi è un elemento
determinante per un lobbying efficace. I gruppi di maggiore successo sono le
organizzazioni pan- europee costituite attorno ad interessi forti, quelle a
struttura flessibile di tipo orizzontale e verticale, con ampia disponibilità di
risorse e con scopi non profit.
Negli USA,invece, il lobbismo è tutelato come diritto costituzionale dal primo
emendamento della Costituzione, dove si legge: «Il Congresso non farà
alcuna legge [...] che limiti il diritto delle persone a riunirsi pacificamente e a
rivolgere petizioni al Governo per riparare i torti subiti».
Come primo Paese che regolamentò giuridicamente l'attività di lobbying
(Federal Regulation of Lobbying Act del 1946), gli USA hanno più volte
modificato la legge in materia, sempre in direzione di una maggiore
trasparenza (obbligo di registrazione per le lobby attive al Congresso) e di
meccanismi sanzionatori severi e puntuali.
7
3. Regolamentazioni
Il problema della regolamentazione dell'attività di lobbying tiene in
considerazione sia l’ambiente sociale sia quello giuridico. Attualmente solo
Austria, Canada, Germania, Israele, Stati Uniti e Svizzera dispongono di
strumenti legislativi ad hoc.
3.1 USA
Negli USA questa attività ha un proprio statuto ed una propria disciplina
legislativa, infatti il lobbismo è tutelato come diritto costituzionale dal primo
emendamento della Costituzione, dove si legge: “Il Congresso non farà
alcuna legge [...] che limiti il diritto delle persone a riunirsi pacificamente e a
rivolgere petizioni al Governo per riparare i torti subiti”. Gli Stati Uniti
furono i primi Paesi che regolamentarono giuridicamente l'attività di lobbying
con la “Federal Regulation of Lobbying Act” nel 1946. Con esso si richiedeva
espressamente a qualunque associazione, eccezion fatta per i partiti politici,
che riceveva o spendeva denaro con lo scopo di influenzare la legislazione, di
riportare contributi, registri e libri contabili e di essere pubblicamente
registrati. Rapporti trimestrali dovevano essere redatti e controllati da un
apposito ramo della Pubblica Amministrazione addetto alle lobbies.
Ci furono altre norme a riguardo:
Lobbying Disclosure Act (1995): rappresenta senz’altro una crescita
legislativa, se non altro per il fatto che la normativa interessa sia il settore
legislativo che quello esecutivo, unitamente al dato che configura nuovi poteri
sanzionatori (multe sino $50.000) per la Camera e per il Senato.
Lobbying Disclosure Technical Amendments Act (1998): in cui
viene implementato l’obbligo dei lobbisti di registrarsi presso il Secretary of
the Senate e il Clerk of the House, e di redigere rapporti semestrali in relazione
alle proprie attività che includano:
o chi sono i clienti rappresentati;
o su quale ramo del Congresso o Agenzia si è fatto lobbying;
o l’ammontare del compenso ricevuto.
8
Vengono inoltre poste restrizioni nei regali ai pubblici funzionari.
Il lobbying oggi consiste nell’influire sulle scelte politiche della società e
pertanto è considerato come rappresentanza responsabile degli interessi
sociali. Solo a Washington, ad esempio, esistono 7.000 gruppi attivi, portatori
di interessi ben definiti che partecipano all’attività pubblica.
Gli USA, come mostrato, hanno più volte modificato la legge in materia,
sempre in direzione di una maggiore trasparenza e di meccanismi sanzionatori
severi e puntuali. Le ultime norme sul lobbying emanate dal Presidente Barack
Obama infatti, sono ancora più restrittive, puntando sulla trasparenza nel
governo federale ed ostacolando chiunque voglia fare un lobbying illegale e
non etico.
3.2 Europa
In Europa, il fenomeno della rappresentanza degli interessi cominciò già nei
primi anni di vita delle Comunità Europee, infatti tra gli anni ’70 e gli anni ’80
si assistette ad una “lobbyfication” così da evidenziare in maniera pressante la
necessità di regolamentare l’attività di lobbying a livello comunitario. Così, tra
la fine degli anni ’80 e ’90 la Commissione e il Parlamento Europeo
cominciarono a formalizzare i loro rapporti con i lobbisti adottando due
strategie differenti, una basata sull’autoregolamentazione, cioè sul diretto
coinvolgimento dei gruppi di interesse nella regolamentazione del lobbying,
l’altra sull’impostazione dall’alto di alcune regole.
Le iniziative assunte dalla Commissione per regolamentare il lobbying si
inquadrano, in senso più ampio, nella politica di maggior trasparenza e
accessibilità degli organi decisionali comunitari intrapresa dalla Commissione
stessa. Nel 1992 la Commissione adottò due comunicazioni complementari,
una sulla trasparenza (Increased Trasparency in the Work of the Commission),
l’altra sui gruppi d’interesse (An Open and Structured Dialogue between the
Commission and the Special Interest Groups), in risposta alla dichiarazione
sul diritto d’accesso all’informazione annessa al Trattato di Maastricht
sull’Unione Europea, dove si afferma che “la trasparenza del processo
decisionale rafforza la natura democratica delle istituzioni e la fiducia del
9
pubblico nell’amministrazione”. In seguito ci fu la creazione di una banca dati
di gruppi di interesse europei e nazionali in contatto con le istituzioni
comunitarie così da facilitare, da una parte la trasparenza e dall’altra la
consultazione da parte delle istituzioni del numero più ampio possibile di parti
interessate alla specifica questione.
È previsto anche un Code of Conduct che prescrive varie regole di
comportamento, tra i quali:
dichiarare per conto di chi agiscono;
non tentare di ottenere informazioni in modo scorretto, ne di arricchirsi
utilizzando i documenti del Parlamento Europeo;
non offrire regali ai parlamentari
dichiarare il tipo di assistenza offerto.
A coloro che sottoscrivono il codice di condotta viene rilasciato un
lasciapassare che garantisce un regolare diritto d’ingresso al Parlamento
Europeo; nel caso in cui questo codice venga violato, l’unica sanzione da parte
dell’Unione Europea sarà il ritiro del pass.
3.3 Italia
E in Italia? Nel nostro paese il termine lobbying, nella visione convenzionale,
viene associato ad una pratica corruttrice tesa ad ottenere privilegi attraverso
lo scambio politico di favori. Il supposto legame tra lobby e corruzione funge
da deterrente ad una regolamentazione dell’attività di rappresentanza di
interessi. L’assenza di regolazione, però, non implica l’inesistenza di canali di
accesso alle Istituzioni o l’impossibilità per i gruppi di costruire contatti
formali o informali. L’esistenza di tali contatti in assenza di riferimenti
normativi precisi contribuisce ad infittire l’alone di mistero che aleggia intorno
a tale attività. Di qui la necessità di una disciplina in grado di coprire tutto il
contesto politico ed istituzionale entro il quale si inserisce l’attività di
lobbying. A tal fine è necessario un Codice etico che contribuisca alla
definizione di regole di comportamento comuni, chiare e riconosciute sia da
chi esercita tale attività, sia da chi entra in contatto con i professionisti.
10
In questi anni però l’Italia si trova in mezzo ad un lento processo di
riconoscimento del lobbismo come vera e propria professione autonoma;
infatti esistono molte domande di legge proposte da svariati esponenti politici,
ma il Parlamento non si è mai mosso a proposito.
4. Attività di lobbying
La letteratura politologica individua tre condizioni indispensabili affinché i
gruppi di pressione esercitino in modo legittimato la loro attività di lobbying:
1. la diffusione e il radicamento delle associazioni nel tessuto
sociale;
2. istituzioni di governo aperte alle domande della società e capaci
di rispondervi in modo responsabile;
3. un sistema di gruppi di pressione che sia il più pluralista
possibile.
1. L’associazionismo è un elemento indispensabile per la rappresentanza degli
interessi. Come già Tocqueville (1789) aveva riconosciuto, l’associazione
volontaria è una forma efficace per riunire persone che altrimenti, prese
singolarmente, non avrebbero alcun peso politico.
In sintesi, senza la componente associativa il lobbying non avrebbe la forza
politica di cui necessita per condurre il gioco di influenza e lo staff non
avrebbe la delega necessaria per attuare l’azione politica.
L’associazionismo insieme all’emergere della società capitalistica con
l’interventismo della “mano pubblica” nel sistema economico ed
all’espandersi del suffragio è tra i principali motivi della nascita dei gruppi di
interesse o di pressione.
Le associazioni rendono più visibili gli interessi e chi li rappresenta e
soprattutto si affidano ad uno staff altamente specializzato che conduce
l’attività di lobbying nei confronti dell’autorità pubblica diventandone il
principale interlocutore. In caso contrario, l’autorità pubblica dovrebbe
11
confrontarsi con una moltitudine di cittadini, rendendo vano e dispersivo ogni
sforzo di partecipazione.
L’associazione si fonda su un aspetto rilevante: la fiducia che lega i vari
membri, disciplina il loro comportamento, favorisce il controllo democratico.
Pertanto, sono considerate efficienti strutture di azione collettiva.
2. In relazione a quanto descritto in precedenza, possiamo dedurre le varie
differenze nelle tecniche e nelle strategie di lobbying rapportandole alle varie
concezioni che l’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti hanno di questo.
3. Il pluralismo sociale è ritenuto un elemento indispensabile per la nascita dei
gruppi di pressione. Tuttavia, questo solleva alcune problematiche. Esistono
due contrapposte correnti le cui posizioni possono essere sintetizzate nel
seguente modo: da un lato c’è chi reputa gli interessi dei gruppi come ostacoli
e pericoli per il perseguimento dell’interesse pubblico, in tal caso il gruppo è
visto come fazione. Dall’altro lato, invece, c’è chi reputa i gruppi come
partecipazione diretta alla vita pubblica di un Paese. Una seconda
problematica riguarda la possibilità di estendere i concetti di gruppo e di
gruppo di pressione ad esperienze non democratiche.
5. Le tecniche
Le tecniche di lobbying maggiormente diffuse sono cinque:
1. rapporti diretti;
2. grassroots lobbying o lobbying indiretto;
3. coalizioni;
4. finanziamenti elettorali: i Political Action Committees
(PACs);
5. le audizioni parlamentari.
La scelta della tecnica da utilizzare dipende essenzialmente da due fattori:
- il sistema politico ed il fattore culturale nel quale si opera;
12
- i destinatari dell’azione di lobbying.
Ad esempio, se facciamo riferimento agli USA non è consigliabile far ricorso
ai finanziamenti elettorali nel caso in cui si operi con l’Esecutivo perché si
tradurrebbe in corruzione; mentre la stessa tecnica può essere utilizzata nei
confronti dei membri del Congresso.
1. Il lobbying diretto è la forma più antica e tradizionale di lobbismo. La sua
caratteristica è di svolgersi tra attori che sono per la maggior parte
professionisti: gruppi e loro rappresentanti, Congressmen, amministratori e
staff. Questa attività, negli Stati Uniti ad esempio, trova fondamento giuridico
nel Primo emendamento della Costituzione americana, in cui tutela il diritto
popolare di rivolgere petizioni al Congresso per rimediare a torti. Tuttavia,
questa attività dà vita a rapporti informali tanto che spesso capita di non riuscir
a tracciare una linea netta tra lobbying ed amicizia. Un motivo essenziale sta
nella natura informale della rappresentanza del gruppo, tipico di un contesto
pluralista. In realtà i rapporti informali consentono di ottenere informazioni in
maniera tempestiva e/o di seguire più attentamente l’intera procedura di un
dossier. Il lobbying diventa un rapporto di scambio tra il lobbista, che fornisce
la propria competenza in specifiche questioni e aree, ed il deputato che invece
ha il potere di proporre in Parlamento l’oggetto della suddetta questione. Lo
stesso lobbista può aiutare il deputato nella raccolta di firme per un progetto di
legge o più concretamente fornendo una consulenza in una specifica materia. I
fattori determinanti nel rapporto tra il lobbista ed il deputato sono la fiducia e
l’integrità della persona: la prima consolida la credibilità del lobbista e delle
informazioni che egli fornisce, mentre la seconda consente di creare quel
rapporto tra lobbista ed il deputato che altrimenti non si avrebbe; quindi
fiducia, integrità e competenza sono caratteristiche essenziali del lobbista.
2. Il lobbying indiretto è : “ogni tentativo d’influire sulla legislazione con
mezzi volti ad influenzare le opinioni del pubblico o di un suo settore”. In
questa definizione, che dobbiamo all’Internal Revenue Service (IRS),
13
legislazione sta per leggi, referendum e nomine a uffici pubblici soggette
all’approvazione del Congresso.
In questo caso il lobbista è il cittadino che è interessato nel praticare in
maniera attiva la propria cittadinanza, sono principalmente aziende no-profit,
son sempre più imprese, associazioni e lobbies di cittadini che generalmente
sono ricche di attivisti ma povere nei mezzi (in ciò però aiutati nella diffusione
d’informazione tramite il web).
Come tutte le forme di lobbying, questo è altamente focalizzato su specifici
provvedimenti.
3. Le coalizioni sono tradizionalmente la tecnica di lobbying più diffusa.
Consentono di radunare 100-150 organizzazioni e possono coinvolgere
interessi differenti. Devono la loro esistenza al Federal Election Campaign Act
(1971) e successivi emendamenti, e possono avere come obiettivo la modifica
o l’abrogazione di una legge oppure campagne più durature. Di solito sono
dirette dal gruppo che per esperienza e per capacità svolge un ruolo di
leadership. Molto spesso le coalizioni uniscono temporaneamente gruppi tra
loro contrapposti per il raggiungimento di un fine comune; infatti oltre
l’aspetto quantitativo, ce n’è uno qualitativa, non meno importante: una buona
coalizione riunisce molti tipi di gruppi in rappresentanza di diversi tipi di
interesse, questo perché nella politica come nella vita, la legittimità nasce da
ciò che altri dicono di noi.
Tuttavia, questo non comporta che tutti i gruppi d’interesse debbano seguire
delle strategie inclusive; questo, perché come in tutti i sistemi, anche nelle
coalizioni esistono dei fattori che bisogna bilanciare così da ottenere
1dimensioni ottimali e che nel caso in cui non si riuscissero a gestire,
potrebbero creare rigidità.
Le coalizioni variano infine quanto a grado di formalizzazione. Si va da
accordi informali senza messa in comune di risorse, a coalizioni per la cui
gestione si dà vita a entità distinte con propri uffici, personale e budget. Più
frequente è il caso di coalizioni gestite in economia: l’associazione leader,con
maggior risorse in gioco, competenza e autorevolezza, prende iniziativa, presta
14
la propria sede per incontri che possono essere frequenti o variare a seconda
dell’attività politica, il proprio personale su base part-time ecc.
4. La tecnica dei finanziamenti elettorali è, tra tutte le tecniche di lobbying,
quella sicuramente più controversa, perché più vicina a tecniche degenerative.
Tuttavia, è naturale che l’azione di lobbying si manifesti anche in influenza
finanziaria. Insolito però è, che questa risorsa si sia generalizzata nel contesto
di una riforma pensata per ridurre il peso dei grandi finanziamenti e accrescere
quello dei piccoli contributi. Era questo l’intento originario del Federal
Elecion Campaign Act (FECA) del 1971, prima regolazione della finanza
elettorale in America. L’obiettivo però è stato deviato, per via dell’ambiguità
della legge e dell’interpretazione restrittiva della Corte Suprema, da gruppi e
lobbisti, con il risultato di rafforzare anziché indebolire il peso politico dei
grossi contributi.
L’obiettivo è garantire il giusto equilibrio tra pubblico e privato, mercato e
Stato nel rispetto delle libertà democratiche. Questo equilibrio però è stato
rotto con la comparsa dei PACs, facendo dell’eletto un politico dipendente più
dal denaro che dalla volontà popolare.
Ma cos’è il PAC? Negli Stati Uniti il PAC è un nuovo tipo di organizzazione,
Comitato di azione politica, diverso dai partiti che è destinato a prendere il
sopravvento nel campo dei finanziamenti elettorali; è comunemente noto
come gruppo privato, organizzato per eleggere candidati politici o per
anticipare risultati legislativi o questioni politiche.
Oggi un PAC può contribuire illimitatamente, nel rispetto del contributo
massimo a ciascun candidato; questo contributo però cambia spesso in base
alle legislazioni, lo stesso Barack Obama voleva porre dei limiti molto stretti,
ma nel gennaio 2010 la Corte Suprema cassò a maggioranza la legislazione
federale che limitava il finanziamento delle lobby a favore delle campagne
elettorali dei politi.
I gruppi in genere comprano “accesso” presso i rappresentanti: il che non è
ancora influenza ma buona carta in quella direzione. Chi non paga può vedersi
opporre una fitta agenda che non lascia tempo di ascoltare. Ovviamente non si
15
sta parlando di influenza di legislatori incerti, ma bensì del discreto clima delle
Commissioni, dove il provvedimento è, perché ancora all’inizio del suo iter,
ancora malleabile.
5. Le audizioni parlamentari consentono ai gruppi di far valere formalmente la
propria voce e sono canali importanti per quanto si dice e forse ancor più per i
contatti che rendono possibili.
La seconda notazione è che le audizioni, almeno nel contesto USA, rendono
chiara l’originale affinità tra rappresentanza e rappresentazione (nel senso di
rappresentazione teatrale). Nel disegno retorico di molti testimoni e di chi li
prepara, la recitazione ha un peso importante: convince chi argomenta
riportando, ogni qualvolta ciò sia possibile, dirette esperienze personali (ma di
questo ne parleremo più approfonditamente nel capitolo successivo).
La pratica a Bruxelles invece è ben diversa, perché è più incentrata sulla
Commissione e i suoi Servizi piuttosto che sul Parlamento europeo, il quale fa
uso limitato delle audizioni. Perché? Perché con i suoi circa 15.000 dipendenti
e un numero crescente di materie tecniche che rientrano tra le competenze
comunitarie, la Commissione è disponibile a contatti con i gruppi di interesse,
che costituiscono, tra l’altro, una preziosa fonte di informazioni. Per molti
versi essa costituisce un canale di accesso privilegiato per i lobbisti perché,
come promotrice dello sviluppo economico dell’Unione Europea, cerca di
avere sempre il sostegno delle imprese. La Commissione, inoltre, tende a
coinvolgere nell’attività legislativa comunitaria tutti i gruppi d’interesse
importanti, al fine di utilizzare l’esperienza degli specialisti dei vari settori a
beneficio delle politiche comunitarie.
6. Attività legislativa delle lobbies
È opinione diffusa e pratica seguita quella secondo la quale uno dei modi
migliori per influire su una legge è farsene promotori, sollecitandone la
presentazione della proposta. Prima si è parte del processo, minori risorse
occorrerà impiegare per orientarlo nel senso voluto.
16
Una fetta importante dell’attività dell’associazione va in quest’opera di
redazione iniziale di legislazione. Un autore, John Zorack, lui stesso lobbista,
scrisse che “probabilmente un numero consistente di leggi è presentato per
conto del mondo degli affari che da ogni altra fonte”, compresa
l’Amministrazione, aggiungendo che “la business community […] spende
moltissimi soldi nell’impiegare lobbisti per assicurarsi che sia introdotta la
legislazione” voluta.
Mentre le associazioni possono promuovere una proposta di legge, devono
trovare un congressman disposto a presentarla in uno dei due rami
dell’assemblea. L’individuazione del primo firmatario e degli altri co-sponsors
è delicata questione di strategia congressuale: l’ideale è far sì che fra i
firmatari ci sia il presidente e altri membri chiave della Commissione
legislativa a cui il testo sarà trasmesso. Molte proposte legislative rimangono
congelate a livello di commissione, in genere per l’ostilità del Presidente: non
essendo fatto oggetto di una relazione dell’Assemblea, non possono passare al
vaglio del Congresso e abortiscono. Individuati i primi firmatari,
l’associazione e la comunità lobbistica inizieranno un lavoro di mobilitazione
che ha più fasi.
Una prima, consiste nell’aiutare il politico a trovare co-firmatari, meglio se
appartenenti ad entrambi i partiti. L’andamento della raccolta di firme è
oggetto di stretto monitoraggio nelle riunioni periodiche della comunità
interessata. L’altro aspetto riguarda la mobilitazione dei gruppi alleati. Spesso
lo staff di un’associazione, che assume la leadership perché particolarmente
interessata e qualificata in ragione della materia, organizza incontri nella sede
del Congresso o altrove rivolti alla “comunità”, nel corso dei quali i
presentatori della proposta, la illustrano. Lo scopo non è tanto quello di
convincere un uditorio in genere già favorevolmente disposto, quanto di
attivarlo in una mobilitazione effettiva intorno alla legge. Infine in questa fase
iniziale attenzione è posta alla redazione del testo in rapporto della
giurisdizione della Commissione competente ad esaminarlo: un’accorta
redazione di leggi che potrebbero ricadere, a seconda della formulazione, sotto
il dominio di una o dell’altra Commissione può consentire di “pilotarle” verso
17
quella più favorevole. A questo fine, l’associazione può chiedere al
proponente di consultare il Parlamentarian, l’altro funzionario del Congresso
che decide del riferimento delle leggi alle Commissioni di pertinenza.
Così prospettata, l’attività legislativa delle lobbies non rende per altro conto, o
sottovaluta le linee di continuità che ne caratterizzano l’azione.
Frequentemente, l’adesione a una legge si inserisce e riflette una linea politica
tenacemente perseguita nel tempo. L’attività dei gruppi precede di norma la
legge e si prolunga dopo la sua approvazione, nella delicata fase della messa in
opera.
Questo stile di manifestazione sembra essere pratica diffusa nel mondo
anglosassone, Gran Bretagna e Stati Uniti in cui nel primo, il sistema politico
è incentrato sull’Esecutivo, e quindi l’azione sarà più diretta a Whitehall
(Governo) che a Westminster (Parlamento); mentre nel secondo,
l’Administrative Procedure Act del 1946 prevede procedure formali al
riguardo.
Nell’ambito dell’Unione Europea, differentemente, i gruppi di interesse
svolgono un ruolo fondamentale di discussione, coordinamento e consulenza
in merito alla produzione legislativa della Commissione, riempiendo in parte il
vuoto politico dell’organizzazione comunitaria.
La Commissione, cui i trattati riconoscono il potere esclusivo di presentare
proposte, rappresenta il punto di partenza per influenzare il processo
decisionale. Nell’ordinamento giuridico comunitario, infatti, la Commissione
esercita il diritto d’iniziativa legislativa in via esclusiva; il Consiglio e il
Parlamento Europeo possono sollecitare determinate azioni ma non possono
essi stessi proporre o redigere progetti di legge, né possono emendare la
proposta della Commissione senza il consenso di quest’ultima.
Il meccanismo di adozione di una proposta è alquanto complesso e richiede da
parte dei gruppi di pressione un’attività continua. Per questo i contatti tra i
gruppi d’interesse e i funzionari della Commissione che operano nei settori di
loro interesse sono regolari, cioè avvengono mediamente almeno una volta al
mese.
18
Generalmente prima di elaborare una proposta formale, la Commissione
redige dei “Libri Verdi”, cioè dei documenti che prospettano le diverse
iniziative che possono essere intraprese in un determinato settore. Vengono
così poste le basi per un dialogo approfondito e ampio con le parti socio-
economiche, invitate a presentare pareri e osservazioni prima che vengano
adottate specifiche misure. Altri strumenti per informare i gruppi d’interesse
sulle proposte della Commissione sono le Notifiche pubblicate sulla Gazzetta
Ufficiale delle Comunità Europee o il Programma di Lavoro Annuale della
Commissione.
È sulla base delle informazioni e dei pareri forniti dagli esperti che la
Commissione elabora un progetto di proposta ed è proprio in questa fase che i
gruppi d’interesse portano avanti il dialogo iniziato al momento delle
consultazioni informali, possibilmente presentando position papers e
suggerimenti costruttivi che potranno facilitare il lavoro dei funzionari. Il
momento migliore per esercitare un influenza efficace si ha proprio nelle
primissime fasi del processo decisionale, ancora prima della pubblicazione
della proposta. Il gruppo d’interesse deve entrare in contatto con il funzionario
incaricato della redazione della proposta il più presto possibile per fornirgli
informazioni specifiche e dettagliate e per sostenere la propria causa. In questa
fase la preparazione del testo non ha ancora carattere pubblico e la discussione
con le parti interessate si svolge serenamente, al riparo da ogni interferenza
politica. Per poter intervenire a questo stadio, ovviamente, è necessario esser
tempestivamente informati e sapere che alla Commissione è in via di
elaborazione un testo che rientra nella sfera di attività del gruppo. Una
componente essenziale del lobbying consiste quindi nell’identificare il più
presto possibile le intenzioni della Commissione intrattenendo rapporti con
“informatori” affidabili. È importante avere “la persona giusta al posto
giusto”, per individuare senza ritardi la DG che si occupa del progetto in
questione e, al suo interno, il funzionario incaricato dell’elaborazione del testo.
Il modo più efficace per prospettare le proprie argomentazioni consiste nel
presentare un’elaborazione scritta ben documentata. Un’attività dei gruppi
molto importante è proprio quella di elaborare documenti ufficiali per fare
19
conoscere alla Commissione l’opinione dei futuri destinatari di una
determinata iniziativa comunitaria ancora prima che questa venga adottata o
per proporre persino emendamenti e altre formulazioni.
Molto spesso gli stessi funzionari cercano questo tipo dei contatti prima della
pubblicazione di progetti e proposte, anche perché l’azione legislativa
comunitaria disciplina sempre più elementi specifici e di dettaglio che i
funzionari da soli non sarebbero in grado di elaborare senza l’assistenza degli
specialisti del settore. Nelle prime fasi dell’elaborazione di una politica la
Commissione offre così ai gruppi un accesso preferenziale in cambio di
informazioni particolareggiate. Per questo, l’attività di lobbying in questa fase
offre le più grandi opportunità per delineare una politica e permette di
esercitare una proficua influenza. Quando le misure indicate dai gruppi sono
inserite nella proposta della Commissione, con molta probabilità saranno poi
approvate dal Consiglio, mentre è più difficile che un’attività di lobbying
abbia successo se comincia quando la proposta è già stata elaborata; quindi, un
gruppo che si interesse “in ritardo” ad una questione oggetto d’esame della
Commissione, dovrà impiegare maggiori risorse (più tempo e danaro) per un
risultato incerto.
7. La professione del lobbista
Nel corso degli ultimi venti anni si è assistito ad una modificazione sostanziale
della figura del lobbista nel nostro Paese. Se ancora oggi i media trattano
lʼargomento utilizzando spesso stereotipi consolidati che distorcono la
funzione e lʼattività di relazione con le Istituzioni, al contrario le
organizzazioni complesse (di qualsiasi natura: dalle aziende alle ONG alle
associazioni imprenditoriali) hanno sviluppato la consapevolezza che il
lobbying rappresenta una leva strategica necessaria per raggiungere i propri
obiettivi.
Da qui la nascita di un vero e proprio mercato competitivo e la definizione di
figure professionali in grado di svolgere diverse funzioni. Una professione che
è ancora in profonda evoluzione.
20
Esistono ancora molti falsi “miti”, luoghi comuni legati alla figura del
lobbista. Questa infatti, viene descritta come una persona che passa la sua
intera esistenza tra pranzi e cene con clienti e deputati intervallate da
chiacchiere nei corridoi dei ministeri e dei palazzi del governo. Ma colui che
esercita il lobbying oramai, assume un altro comportamento e le attività che lo
occupano sono ben altre.
Il professionista della attività di lobbying non è un “piazzista”. Lʼattività di
contatto esiste, ma rappresenta solo una percentuale minima dell’ intero
impegno lavorativo. Ed a ristoranti e corridoi sono di gran lunga preferiti
uffici e sale riunioni. La maggior parte delle energie e del tempo il lobbista lo
utilizza per raccogliere documentazione, per analizzare i dati, per stendere
documenti informativi e strategici.
Quella del lobbista è una attività di studio e pianificazione. Lʼincontro con il
decisore è un passaggio conseguente di presentazione ed utilizzo del lavoro
fatto, poiché ciò che conta non è il “rapporto personale”, ma la qualità del
contenuto messo sul tavolo durante il confronto. Sono le ricerche, le
informazioni accurate, le ipotesi perseguibili, le dimostrazioni di fattibilità, la
chiarezza e la logica con cui tutto questo è esposto che può formare una
opinione sostenibile nel decisore. Il quale, in una logica di assoluta
trasparenza, non concede favori, ma coglie opportunità reali per una decisione
qualitativamente migliore.
Una buona rete di relazioni è certamente utile ma non più sufficiente per
raggiungere il risultati. Il lobbista utilizza innanzitutto, per raggiungere i
risultati predefiniti, una serie di strumenti specifici, tra i quali la rete della
relazioni non è il più importante, ma solo un modo per rendere più veloce il
progredire del progetto.
Il lobbista non è solo un professionista delle relazioni pubbliche, ma
innanzitutto un analista strategico e politico che si avvale del momento di
contatto e di esposizione come uno - ma non il principale - degli strumenti
della sua professione.
In sintesi il lobbista porta avanti un lavoro di ricerca, di definizione delle
istanze, di approfondimento tecnico, di informazione e di azione strategica.
21
Il lobbista ha una visione più ampia dello scenario rispetto al committente,
che, limitato dal proprio orizzonte imprenditoriale o associativo tende, di
conseguenza, ad ignorare cosa avviene al di fuori di esso. Il ruolo del lobbista
emerge in tutto il suo valore aggiunto per la capacità di inquadrare lʼobiettivo
in un contesto più ampio - politico ed istituzionale – al fine di disegnare una
strategia plausibile ed efficace per lʼottenimento del miglior risultato.
Il lobbista, quindi, sa anche quando fermarsi, qualora la situazione politica
generale o relativa al determinato settore oggetto dell’intervento non
permettano lʼottenimento di un risultato valido. In tale frangente sa valutare i
rischi e le opportunità ed infine proporre ai propri committenti le alternative
per raggiungere il miglior compromesso possibile.
Qualora il gruppo di interesse decida di andare avanti senza accettare
compromessi, il buon professionista è in grado rendere chiaro cosa si può
realisticamente ottenere e cosa sia impossibile.
Le caratteristiche professionali fondamentali per un lobbista sono:
conoscere i processi decisionali in maniera profonda e completa a tutti i
livelli (europeo, nazionale, locale);
avere una buona padronanza delle tecniche di comunicazione in
generale, della psicologia relazionale, delle tecniche di persuasione;
possedere un metodo, più che unʼagenda: la rete di relazioni si
costruisce con il metodo;
essere costantemente aggiornato sull’evoluzione degli aspetti
macroeconomici che possono influenzare il progetto a livello nazionale
e sovranazionale;
amare la politica: il lobbista deve essere fuori dall’agone politico ma
deve saperne comprendere i meccanismi, e capire il momento politico,
in modo che le richieste del gruppo di interesse che rappresenta arrivino
al momento giusto al decisore pubblico;
avere un forte rispetto per le istituzioni: il lobbista non può essere un
“rivoluzionario”, ma deve agire all’interno del sistema politico del suo
Paese, rispettandone le fondamenta e gli attori principali.
8. I public affairs e il pre-mercato
22
Un’organizzazione, o meglio, un’azienda deve sempre più che in passato
riuscire ad integrare non solo il proprio mercato con i suoi concorrenti, ma
anche gli altri attori che definiscono le regole ed influenzano il “contesto”;
questo è il motivo per cui l’attività di “public affairs” in un’azienda riveste un
ruolo sempre più importante per far fronte alle innumerevoli difficoltà
ambientali.
I “public affairs” rappresentano l’insieme delle attività di comunicazione che
un’organizzazione pone in essere più o meno direttamente nei confronti delle
istituzioni pubbliche e/o verso altri soggetti che comunque possono
influenzare l’attività dei pubblici poteri, al fine di ottenere il riconoscimento
dei propri interessi.
La conoscenza delle varie normative, la valutazione degli effetti che queste
possono avere sull’attività dell’impresa, la possibilità di manifestare interessi
legittimi nel processo di formazione delle decisioni dei pubblici poteri sono
ormai diventati per le imprese una necessità imprescindibile al fine di
apportare i processi di sviluppo nel lungo periodo.
La crescente importanza dei public affairs è dovuta al fatto che i consumatori
apprezzano in modo particolare proprio le aziende che “dichiarino” la proprio
posizione su temi particolarmente sentiti e che vanno ad allineare i propri
interessi a quelli della comunità in cui operano e alla quale si rivolgono.
Comunicare con le istituzioni, inoltre, è oggi particolarmente importante per le
imprese, in quanto:
tutti i settori sono ormai disciplinati da regolamentazioni specifiche e le
imprese devono costantemente monitorare l’evoluzione del contesto
legislativo per capire, per esempio, se sono al varo progetti di legge che
possono avere un effetto, positivo o negativo, sulla loro attività;
può dischiudere nuove opportunità di crescita nel momento in cui si ha
la possibilità di manifestare chiaramente i propri interessi; tale attività
di comunicazione può anche portare alla realizzazione di partnership tra
pubblico e privato per realizzare progetti comuni.
23
Con riferimento alle finalità dei public affairs, appare opportuno distinguere
tra la comunicazione obbligatoria, alla quale sono tenute le imprese che
operano in determinati settori, come per esempio l’alimentare, e la
comunicazione che volontariamente tali organizzazioni pongono in essere nei
confronti dei pubblici poteri.
Nel primo caso, infatti, la finalità dell’attività di comunicazione verso le
istituzioni viene ricondotta esclusivamente all’esigenza di conformarsi a
prescrizioni di legge.
Ben diverse, invece, sono le finalità della comunicazione volontaria, che
consente all’impresa di promuovere il proprio ruolo nella collettività in cui
opera (attraverso l’esplicitazione della mission aziendale e il miglioramento
della visibilità presso le istituzioni), di condividere i valori ai quali è ispirata la
gestione, di diffondere le conoscenze nei propri ambiti di ricerca, di creare
partnership con il settore pubblico per sfruttare particolari opportunità.
Per contestualizzare in maniera più appropriata il perché dell’importanza di
questa attività, è sufficiente analizzare l’attuale situazione ambientale; in
questi ultimi anni l’economia mondiale attraversa un periodo di forti difficoltà.
Il rallentamento della crescita economica ha provocato in molti Paesi momenti
di riflessione sul ruolo dello Stato e sugli strumenti che esso deve o dovrebbe
adottare per frenare la crisi e ridare impulso alla crescita; oppure la piena
maturazione dei processi di globalizzazione che, iniziati negli anni Ottanta,
trovano oggi la loro massima espressione con l’affermazione di due nuove
superpotenze economiche come la Cina e l’India che stanno ridisegnando la
natura del commercio mondiale. Tutto questo mette le aziende dell’Occidente
davanti al fatto che la globalizzazione dello scambio delle merci e di servizi
può rappresentare non solo un’opportunità di nuovi sbocchi commerciali o di
nuove location produttive a basso costo come nel passato, ma anche una
minaccia al sistema economico, e quindi sociale, finora conosciuto.
Alla luce di questi macrofattori cresce per l’impresa la necessità di rapportarsi
in modo “nuovo” al contesto, o meglio ai contesti, in cui si trova a competere.
La struttura dell’ambiente socioeconomico che in qualche modo è di supporto
all’industria risulta allora essere il fattore cruciale che permette all’azienda di
24
essere o non essere competitiva; ecco perché, come già detto, l’azienda deve
più che in passato riuscire ad integrare mercato, concorrenti e istituzioni
pubbliche, infatti quest’ultimi attori interagiscono in quello che viene
chiamato “pre-mercato”. L’ambiente di pre-mercato è composto da tutti quei
fattori sociali, politici e legali che interagiscono e influenzano dall’esterno i
mercati e gli accordi privati. Esso comprende quindi tutte quelle interazioni
economiche che hanno come intermediario un soggetto pubblico e in cui, a
causa di questa presenza, la natura degli accordi non risponde a logiche
prettamente economiche politiche. Il concetto di pre-mercato non è alternativo
a quello di mercato : i due mondi si intersecano e sono tra di loro permeabili.
Sia il mercato che il pre-mercato sono percorsi da forze competitive loro
specifiche. Nel mercato il successo è il risultato della capacità dell’azienda di
produrre in modo efficiente, inventare nuovi prodotti, creare il giusto rapporto
con i consumatori. Nell’ambiente del pre-mercato legislazione, regolamenti,
decisioni amministrative a pressioni politiche sono il risultato delle strategie di
influenza di aziende, associazioni e gruppi di interesse. Tali strategie vengono
mediate dalla presenza di istituzioni pubbliche, regolatori nazionali e
sovranazionali, opinione pubblica, ecc.
La crescente importanza del pre-mercato e degli attori che lo animano impone
ai settori industriali una “nuova strategia integrata” mercato e pre-mercato per
mantenere elevata la competitività e tenere sotto controllo la capacità di creare
valore ( innovazione, efficienza produttiva, posizionamento sul mercato). Non
più, quindi, solo concorrenti, partner e cliente, ma anche legislatori, mass
media, consumatori e organismi internazionali sono i nuovi attori con cui
l’impresa deve fare i conti. E questi attori non sono più privati ma pubblici,
non rispondono più alla logica prettamente economica del profitto ma ad
obiettivi ora economici, ora sociali, ora interesse generale.
I “nuovi vantaggi competitivi” dell’impresa passano quindi non solo dalla sua
capacità di essere innovativa o più performante, ma sempre di più da quella di
adattarsi il più velocemente possibile ai contesti in cui opera o sulla sua abilità
di influenzarli. Questi vantaggi possono essere raggiunti adattandosi prima
degli altri ai mutamenti e conformando i cambiamenti del contesto pre-
25
mercato a difesa dei propri interessi. Per raggiungere questi obiettivi, l’azienda
dovrà pensare in termini strategici: agire verso i pubblici che agiscono nel pre-
mercato (public affairs) diventa strategia.
8.1 L’analisi dello scenario
Il primo passo del processo di analisi consiste quindi nell’esame di quello che
accade all’interno del pre-mercato e nella identificazione di quei fenomeni che
possono rappresentare per l’impresa una minaccia o un’opportunità. L’analisi
delle minacce o opportunità non è concettualmente nuova per il mondo
dell’impresa: è anzi tradizionalmente il pilastro da cui prende avvio il processo
classico dell’analisi strategica. Lo scopo di tale processo è quello di
comprendere quali sono le variabili mutevoli del contesto competitivo e che
tipo di impatto possono avere sul business dell’impresa alla luce dei suoi punti
di forza o di debolezza. Il processo strategico dei public affairs parte quindi
dallo stesso punto del processo di pianificazione strategica classico e risulta
essere una sua integrazione. Se infatti quest’ultimo guarda all’analisi di
scenario come a un momento propedeutico alla comprensione del mercato e
delle minacce e opportunità competitive rispetto ai concorrenti, la prospettiva
dei public affairs mira a sviscerare quali sono le minacce/opportunità/punti di
forza/di debolezza dell’azienda nel pre-mercato; perché la competizione può
esistere anche nel pre-mercato e bisogna essere pronti ad affrontarla.
Poche aziende riescono a far fronte a un ambiente esterno sempre più fluido e
turbolento. La loro capacità di prevedere gli scenari, legislativi e di contesto, è
26
Analisi dello scenario
Il settore La mappadelle influenze
L’ambiente esterno
andata diminuendo anche a causa dell’aumentare della complessità
dell’ambiente che le circonda: le imprese si trovano spesso a competere in
ambienti tra loro lontani per differenze culturali, sociali, tecnologiche e
legislative sempre più marcate.
Il processo di analisi strategica del pre-mercato riguarda quindi il
monitoraggio delle variabili ( tendenze macroeconomiche/macrosociali e issue
specifiche all’interno di queste tendenze) e del ruolo dei singoli stakeholder
rispetto alle variabili rilevate. I livelli di indagini sono sostanzialmente tre:
ambiente esterno;
settore in cui l’impresa opera;
catena del valore specifica dell’impresa.
9. Il public affairs mix affianca il marketing mix
Per una efficace strategia di business è fondamentale integrare azioni
specifiche per il pre-mercato con le attività proprie del mercato. Come ricorda
anche il più importante studioso di strategia aziendale, M. Porter, “in grande
sintesi la formulazione di una strategia competitiva è diretta a collegare un
impresa con il proprio ambiente… e l’ambiente significativo per l’impresa è
molto più ampio e comprende sia forze economiche e sia sociali, intese in
senso ampio”.
Le attività strategiche di un’impresa per il pre-mercato costituiscono public
affairs, ovvero gli “affari” verso i pubblici esterni (stakeholders) all’azienda
che in qualche modo, direttamente o indirettamente, interferiscono con la vita
economica e competitiva dell’impresa stessa.
I principali stakeholders di un’impresa sono: le istituzioni politiche, la
comunità finanziaria, i mass media, i sindacati, i gruppi di opinioni, il grande
pubblico, la comunità internazionale e il potere giudiziario. A questi attori,
corrispondono specifiche attività di public affairs: lobbying e relazioni
istituzionali verso gli enti regolatori nazionali e sovranazionali, political
inteligence, media relations, relazioni sindacali, marketing relazionale,
comunicazione istituzionale, business diplomacy, affari legali e regolatori.
27
Queste attività di public affairs sono incluse, nella gran parte dei casi, nelle
funzioni aziendali tipiche dell’impresa moderna. Ma ciò che è nuovo e
dirompente per gli assetti organizzativi di un’azienda è quanto i public affairs
siano oggi centrali nella vita dell’impresa. Il lobbying senza la capacità di
gestire in modo corretto le relazioni con i media, o le relazioni sindacali senza
un efficace comunicazione istituzionale sono infatti degli strumenti inefficaci
che, difficilmente, sono in grado di ottenere i risultati sperati. È come se le
quattro leve tradizionali del marketing (prodotto, prezzo, distribuzione e
promozione) venissero implementate le une indipendentemente dalle altre.
Così come esiste un marketing mix che amalgama e rende coerenti ed efficaci
le leve di marketing, allo stesso modo, l’azienda deve entrare nell’ottica di
ragionare in termini di public affairs mix.
“I lobbisti mi fanno comprendere un problema in dieci minuti e mi lasciano
sulla scrivania cinque fogli, mentre i miei collaboratori ci impiegano tre
giorni”. Questa frase, attribuita all’ex presidente degli Stati Uniti John F.
Kennedy, sintetizza in una battuta l’essenza dei public affairs: comunicare con
i giusto target di decisori, avere una posizione chiara, convincente e, infine,
riuscire a sostenerla con efficacia. Il piano di public affairs mix parte dunque
da tre semplici mossi:
1. comprendere in modo profondo chi sono gli interlocutori, i loro
influenzatori, i loro interessi e la loro capacità di portarli avanti;
2. definire la propria posizione, gli obiettivi e il grado di impegno
necessario per raggiungerli;
3. costruire una serie di argomentazioni che supporti il proprio
posizionamento e risponda in modo adeguato agli interessi degli
interlocutori.
Una buona conoscenza del territorio e una buona organizzazione dell’esercito
è di solito sufficiente per vincere una battaglia. Una buona mappa delle
influenze e un’organizzazione capace di guardare ai public affairs come ad
uno strumento strategico per il successo dovrebbero essere sufficienti per
affrontare l’operatività di qualsiasi piano.
28
Il public affairs mix è formato dalle seguenti attività di influenza: lobbying e
relazioni istituzionali, political intelligence, media relations, relazioni
sindacali, marketing relazionale, comunicazione istituzionale, business
diplomacy e infine affari legali.
Ponendo l’attenzione nel political intelligence, molto di frequente gli operatori
di public affairs si trovano davanti a elementi che possono avere una
consistente rilevanza di mercato. Si tratta di analisi sulle probabili decisioni
del legislatore, del Governo o di altri regolatori pubblici, in merito a qualche
provvedimento che può avere impatti rilevanti sul business di una singola
società o di un intero comparto industriale. Si tratta di political intelligence,
un’indagine accurata sulle intenzioni dei decisori istituzionali e sulle
opportunità – ma più spesso sulle minacce- che possono riguardare determinati
investimenti. Gli investitori istituzionali, siano essi banche d’affari, fondi di
investimento, hedge fund o altri, sono sempre più attenti a questo versante.
Un esempio clamoroso è costituito dalla presentazione della Legge Finanziaria
del 2006 da parte del Governo. A fine settembre 2005 il documento è stato
approvato dal consiglio dei ministri, dopo le indiscrezioni dei giorni
precedenti. Nel provvedimento era compresa quella che divenne nota come la
“tassa sul tubo”, una tassa sulle infrastrutture di distribuzione di energia,
teoricamente proposta per ragioni ambientali. L’imposta avrebbe dovuto
raccogliere 800 milioni di euro, secondo modalità di imposizione da definire
con un provvedimento successivo. Gli analisti più attenti si sono subito messi
a lavoro per capire in che modo le società del settore energetico avrebbero
potuto essere colpite dalla nuova tassa. Risultava che Eni ed Enel avrebbero
sofferto in patti secondari, ma che Snam Rete Gas e Terna avrebbero visto
azzerarsi i loro utili del 2005. Per la precisione secondo alcune stime Snam
RG avrebbe lasciato sul campo circa 550milioni di euro, mentre Terna
250milioni. Non appena il mercato capì il danno potenziale, i titoli delle due
società ebbero un tracollo, così come i titoli del settore energetico in generale,
nel timore che il Governo potesse decidere di spalmare la tassa su più soggetti.
Nacque una polemica politica e finanziaria, dibattuta tanto in Parlamento
quanto sulle pagine dei giornali. Poche settimane dopo, il ministro
29
dell’economia annunciava il ritiro della tassa dalla Finanziaria per il 2006. Ma
l’intero settore energia è rimasto sottovalutato fino alla fine del 2005, nel
timore che nuovi colpi di mano del legislatore potessero danneggiare tali
aziende. Chi invece ha previsto l’impatto della “tassa sul tubo” sin dalle sue
origini, nelle riunioni di definizione della Finanziaria tra Governo e parti
sociali nel corso del mese di settembre sapeva bene che cosa aspettarsi e come
avvantaggiarsi sul mercato. L’attività di political intelligence si basa sulla
previsione di un risultato a partire da elementi d’analisi, non sull’influenza
diretta. È svolta in massima parte per conto degli investitori, non per conto
della società che può essere oggetto della decisione, che avrà piuttosto
interesse ad influenzarla attraverso le attività di relazioni istituzionali e
lobbying. Sono gli azionisti attuali o potenziali a trarre vantaggio da
un’informazione in anticipo rispetto alle conseguenze concrete.
10. eBAY
Sul New York Times del 29 Settembre del 2007 è stato scritto un interessante
articolo sul rapporto tra lobbying e business dal titolo “How eBay Makes
Regulations Disappear”. Il passaggio più importante dell’articolo relative alle
attività lobbistiche di E-Bay è il seguente:
“eBay combina un approccio politico di tipo classico ad uno più creativo che
vede coinvolte le masse di iscritti. EBay provvede a mantenere continuamente
informati gli iscritti ai suoi servizi su questioni di tipo regolamentare o
legislative che potrebbero impattare non appena queste vengono rese note,
attraverso l’uso di e-mail di massa e per il tramite di una campagna web
denominata “eBay Main Street”, che invia dei “legislative alerts” e fornisce
dei format di lettera che gli utenti possono spedire a politici e funzionari
pubblici. L’approccio più tradizionale finalizzato alla conquista del voto del
politico è invece quello che vede eBay spedire i rivenditori che usano il suo
servizio ad incontrare personalmente i rappresentanti nei vari parlamenti
locali”.
30
Dalla lettura dell’articolo si comprende come eBay sia in grado di mobilizzare
un altissimo numero di persone e di soggetti “influenti”. Tra l’altro eBay ha a
disposizione una base di influenza enorme, con database capace di rivaleggiare
con quelli dei due maggiori partiti (che pare abbiano un database complessivo
relativo a 170 milioni di persone).
Secondo il Times, in ogni momento c’è una media di 89 milioni di oggetti in
vendita su eBay, e il sito ha qualcosa come 193 milioni di utenti registrati! Per
dare un termine di paragone, sono 122 milioni le persone che hanno votato alle
ultime presidenziali americane, che sono state ad alta affluenza. Tra l’altro,
quando un a persona, fisica o giuridica, si registra su eBay viene richiesto
indirizzo, numero telefonico e indirizzo email. Tutte queste informazioni
consentono a eBay di poter profilare demograficamente ogni utente: ne
conoscono lo Stato di residenza, dove vota, eccetera. In aggiunta, eBay ha
accesso allo storico del singolo account, sa quanti oggetti il singolo utente ha
acquistato o venduto, e quanti soldi ha speso su eBay. eBay sa dove l’utente
vive e come usa i suoi servizi. E tutto ciò per 193 milioni di soggetti.
Si può quindi comprendere come ogni volta che una proposta di tipo
regolatore possa impattare negativamente su eBay questa non debba fare altro
che mobilizzare la sua enorme base.
Infatti eBay, andando a guardare il 2006 disclosure form redatto dall’azienda
sulla base del Lobbying Disclosure Act del 1995 e successive modifiche, negli
ultimi 8 anni ha messo in piedi un team stabile di lobbisti in 25 stati. Questi
lobbisti (pagati anche $10,000 al mese, secondo i vari lobbying registration
documents statali) provvedono anche a finanziare legalmente i politici
determinati ad appoggiare normative favorevoli ad eBay. Per esempio, il
political action committee messo in piedi dal lobbista di eBay Duane Cowart
in Louisiana ha contribuito con $2,000 alla campagna di del deputato statale
Ellington nel 2005. E alcuni lobbisti dell’Illinois hanno invece dato migliaia di
dollari per I politici che hanno supportato la norma sul bagarinaggio online.
Al di là di questo quadro su come eBay operi dal punto di vista lobbistico, è
curioso notare come dal report sui primi 6 mesi del 2007 si possa verificare
31
che l’azienda ha fatto attività di lobbying sulla CIA su altre agenzie in
relazione a normative per la sicurezza nelle comunicazioni via internet.
Hani Durzy, un portavoce di eBay, ha dichiarato che l’inserimento della CIA
nel report è stato dovuto ad un errore. Ma ha anche ammesso che la
compagnia ha più volte incontrato la CIA nella seconda metà del 2006 nel
quadro di un lavoro finalizzato ad emendare una norma del 1994 — la
Communications Assistance for Law Enforcement Act — che obbliga le
società telefoniche ad assicurare la possibilità di intercettare le chiamate che
passano per le proprie linee, e EBay, avendo acquisito Skype, vi è
direttamente interessata. La CIA non ha invece commentato la notizia.
Solo 8 società hanno fatto lobbying sulla CIA, mentre sono state oltre 1,100 le
società e le organizzazioni di rappresentanza che sono intervenute per
influenzare il Pentagono nello stesso periodo, e oltre 300 il Dipartimento del
Commercio.
Secondo il rapporto inserito online il 14 agosto 2006, eBay ha effettuato
attività di lobbying sul Congresso e su molte agenzie federali nei primi 6 mesi
dell’anno, incluse Casa Bianca, lo U.S. Trade Representative, FBI, Federal
Communications Commission, Internal Revenue Service (il fisco), i
dipartimenti del Commercio, della Giustizia, della Difesa, quello di Stato e il
Tesoro.
Il lobbying si è realizzato su una vasta serie di questioni tra cui la legislazione
sui brevetti, il diritto d’autore, la sicurezza dei dati, furto d’identità, la
sicurezza dei minori online, immigrazione, fiscalità, eccetera. Il tutto per una
spesa totale di $985,000 nella prima metà del 2007 e di $890,000 negli ultimi
6 mesi del 2006.
Tutti questi dati sono noti al pubblico perché il Lobbying Dislosure Act del
1995 obbliga i lobbisti a rendere pubbliche le proprie attività mirate ad
influenzare membri del parlamento o del Governo e a registrarsi presso il
Congresso entro 45 giorni dall’incarico.
In Italia però vista l’assenza di normative sulla trasparenza dell’attività di
lobbying, non è possibile sapere nulla dei rapporti fra imprese e politica. Per
eBay come per qualunque altra impresa ovviamente.
32
Conclusioni
Quando si parla di lobby, il collegamento con la corruzione viene quasi
spontaneo. È uno degli stereotipi più duri a morire. La catena delle equazioni è
semplicistica: le lobby esistono per imporre interessi, lavorano nell’ombra e
senza trasparenza, ottengono il loro risultato corrompendo decisori.
Di questa visione negativa della lobby è piena anche la storia della lobby negli
Stati Uniti.
L’identificazione tra lobby e corruzione è legata allo slogan delle “tre B”,
coniato dal cronista parlamentare Edward Winslow Martin. Lobbismo
significherebbe broads, booze and bribes, cioè bambole, bottiglie e bustarelle.
Questa definizione risale al 1882 quando la legislazione e la regolamentazione
di questa attività ancora non erano alle viste.
Ma liberiamo il campo da ogni semplificazione che identifica le lobby con il
male e la corruzione, così da poter affermare che il moderno lobbismo,
correttamente inteso, non ha nulla a che vedere con lo stereotipo ma con
qualcosa di più complesso che potremmo così sintetizzare: “comunicazione,
convinzione, cogestione delle decisioni” , le tre C.
Il moderno lobbying consiste nel:
saper comunicare gli interessi;
saper convincere con adeguata informazione e appropriate e trasparenti
tecniche di persuasione;
saper partecipare con le istituzioni al processo di elaborazione delle
decisioni con spirito collaborativo e senza voler sopraffare l’autonomia
istituzionale con una forma di pressione, che tende a ridurre la sovranità
dell’istituzione e non al tentativo di sostituirsi ad essa.
Si tratta di una triade di comportamenti e di pratiche molto complesse e che
non si possono improvvisare.
Esse richiedono un’elevata professionalità, una conoscenza accurata dei
decisori, dei processi decisionali, dei problemi, delle normative esistenti anche
in chiave comparativa, delle tecniche di comunicazione e delle pratiche di
33
convinzione, della psicologia degli interlocutori, del grado di possibilità di
intervento nelle decisioni in un’ottica che non può ridursi solo al calcolo
dell’interesse privato ma che esige un’attenzione verso gli interessi collettivi
dai quali un tempo si poteva tentare di prescindere.
Questa complessità del lavoro lobbistico deriva proprio dalla moltiplicazione
della lobby e del nascere di lobby di cittadini che vogliono difendersi dallo
strapotere delle istituzioni e delle lobby degli affari.
Come detto in precedenza, il corretto funzionamento delle lobby è
incompatibile con lo stravolgimento delle regole del mercato e del corretto
funzionamento delle istituzioni.
Quando le lobby riescono a forzare le regole del gioco, il gioco salta e prima o
poi le rovine travolgono tutti.
Nessuna lobby deve mai poter alterare le regole della libera concorrenza e
della trasparenza dei mercati, perché questo comporterebbe inquinamento
della competizione e avvelenamento della vita economica.
Il lobbismo non è l’alterazione del mercato, né è l’antipolitica: è uno
strumento per rendere più flessibili e sensibili agli interessi la politica e le
forze che regolano i mercati, ma senza provocare stravolgimenti delle regole.
Quando una lobby eccede, va oltre i limiti di una corretta azione di
sensibilizzazione e di comunicazione di interessi, essa colpisce al cuore
democrazia e mercato e innesca un meccanismo dannoso. Il mercato libero e la
democrazia, insieme coniugati, non tollerano gli eccessi che ne menano la
stabilità e la credibilità.
“Le colonne d’Ercole non si devono oltrepassare”; significa che la
regolamentazione delle attività delle lobby deve essere tale da rafforzare i
controlli delle istituzioni sul loro funzionamento e la loro trasparenza, in modo
da creare pesi e contrappesi, un circuito virtuoso dove il maggior interesse
delle lobby provochi il maggior benessere della democrazia e del mercato.
Non si tratta di cedere ad una visione eccessivamente ottimistica, ma si tratta
di guardare con sereno spirito costruttivo, al problema di come rendere
l’attività di lobbying funzionale al miglioramento del mercato e della
democrazia.
34
Bibliografia
G. Graziano, Le lobbies, Roma-Bari, Editori Laterza, 2002
L. Graziano, Lobbying Pluralismo Democrazia, Roma, La Nuova Italia
Scientifica, 1995
35
G. Mazzei, Lobby della trasparenza – Manuale di relazioni istituzionali,
Roma, Centro di Documentazione Giornalistica, 2003
S. Panebianco, Il lobbying europe, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 2000
P. Di Lorenzo – M. Fuccillo, Lezioni di Lobby, Roma, Union Printing S.p.A.,
2002
A. Cattaneo – P. Zanetto, Fare lobby – Manuale di public affairs, Milano,
EtasLab, 2007
www.lobbyingitalia.com
36
Recommended