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FAD 2018
LA FORMULAZIONE DEL PIANO TERAPEUTICO
IN UN CASO COMPLESSO CON PARTICOLARE
RIFERIMENTO ALLA GESTIONE DEI MATERIALI
ACCADEMIA ITALIANA di ODONTOIATRIA PROTESICA
(AIOP)
Dario Riccardo Andreoni, Giancarlo Cozzolino, Carlo Monaco, Gaetano
Noè, Johannes Schmitz
INDICE
1. INTRODUZIONE
2. CASO CLINICO
2.1 Anamnesi generale
2.2 Anamnesi stomatologica
2.3 Esame clinico extraorale
2.4 Esame clinico intraorale
2.5 Esame dentale
2.6 Esame parodontale
2.8 Diagnosi
2.9 Piano di Terapia non protesico
2.10 Piano di Terapia Ortodontico Preprotesico
2
3. DISCUSSIONE DEI PIANI DI TERAPIA PROTESICI
ALTERNATIVI
3.1 OVERDENTURE
3.2 PROTESI PARZIALE RIMOVIBILE
3.3 PROTESI FISSA
3.4 PROTESI FISSA su IMPIANTI
3.5 OCCLUSIONE
3.6 CONTROLLI a distanza
4. SOLUZIONE DEL CASO CLINICO
5. VALUTAZIONE SULL’USO DI DIFFERENTI MATERIALI
PROTESICI IN PROTESI FISSA APPLICATA AL CASO CLINICO
5.1 Protesi fissa su denti naturali arcata superiore con fissazione di 14-
13-12-11-21-22-23-24
5.1.a METALLO CERAMICA
5.1.b ZIRCONIA CERAMICA
5.2 Protesi fissa su denti naturali arcata inferiore con restauri singoli di
34-44-45
5.2.a METALLO CERAMICA
5.2.b ZIRCONIA CERAMICA
5.2.c Zirconia Monolitica o Parzialmente Rivestita
5.2.d Disilicato di Litio
3
5.3 Protesi fissa su impianti 16-15, 25-26, 35-36, 46-47
5.3.a Protesi Avvitata
5.3.b Protesi cementata
5.3.c METALLO CERAMICA
5.3.d METALLO Resina
5.3.e ZIRCONIA CERAMICA
5.3.f Zirconia Monolitica
5.3.g Disilicato di Litio Monolitico
6. BIBLIOGRAFIA
4
1. INTRODUZIONE
La formulazione di una corretta diagnosi rimane il fattore determinante per ottenere il
successo in ogni terapia medica. Ad una diagnosi puntuale, soprattutto in ambito
odonto-protesico, può seguire a volte un unico piano di trattamento ideale ma, più
frequentemente e soprattutto nei casi complessi, diversi piani di trattamento
alternativi.
Spesso questi si differenziano sostanzialmente dovendo noi cercare di soddisfare al
contempo la soggettività del paziente e gli standard professionali relativi alle cure
cliniche, tenendo anche presente di come la motivazione del paziente sia un
importante prerequisito per l’efficacia del trattamento.
In particolare, al giorno d’oggi, ha grande influenza la soggettività economica del
paziente nella scelta del piano di trattamento.
Oggi, molto più che in passato, il protesista ha a disposizione diversi materiali
protesici con indicazioni spesso sovrapponibili a cui si aggiungono tecniche
costruttive differenti (es disilicato di litio pressofuso vs fresato).
In tale prospettiva il protesista ha il delicato compito di individuare il trattamento, le
procedure ed i materiali idonei a garantire al paziente il trattamento più duraturo ed
economico, nel rispetto della biologia, della fisiologia e delle esigenze del paziente.
La terapia protesica dei casi complessi porta frequentemente a dover riabilitare tutta
la bocca, coinvolgendo specialisti in altre branche odontoiatriche e mediche
(igienista, parodontologo, endodontista, conservatore, chirurgo-implantologo) oltre
alla importantissima figura chiave dell’odontotecnico.
In odontoiatria protesica la gestione dell’albero decisionale e del coordinamento
interdisciplinare spetta al protesista, negli aspetti clinici e tecnici, ricadendo sotto la
5
sua responsabilità la sinergia tra i vari specialisti, il laboratorio odontotecnico ed il
paziente, ai fini del successo finale del trattamento protesico e delle aspettative
prognostiche.
Prendendo come spunto un caso clinico risolto cercheremo di approfondire per ogni
settore della bocca, il razionale della scelta effettuata in particolare riguardo al tipo di
riabilitazione protesica e al materiale utilizzato per la costruzione del manufatto,
cercando di valutare quelle che sarebbero potute essere le soluzioni terapeutiche
alternative.
2. CASO CLINICO
La paziente (Fig. 1 e 2), di anni 47, si presenta all’osservazione del clinico con la
richiesta di migliorare la situazione estetica del gruppo frontale superiore e la
funzione masticatoria, lamentando la mancanza di alcuni elementi molari inferiori da
diversi anni. Superiormente è portatrice di una protesi parziale rimovibile, ancorata
con ganci agli ultimi elementi naturali distali (14 e 24).
6
Fig. 1: immagini iniziali
Fig. 2: immagini iniziali intraorali
2.1 Anamnesi generale:
Paziente in apparente stato di buona salute, in pre-menopausa, negativa all’anamnesi
per patologie organiche, assume farmaci ansiolitici in basso dosaggio, vitamina D,
fuma 2/3 sigarette al giorno.
2.2 Anamnesi stomatologica:
La paziente riferisce di aver estratto da anni diversi elementi dentari nei settori
posteriori per patologie cariose destruenti, mai per problemi parodontali. Sono
sempre stati fatti solo interventi di tipo endodontico, conservativo ed exodontico ad
7
eccezione della protesi parziale rimovibile superiore. Si sottoponeva ad igiene orale
professionale solo saltuariamente.
2.3 Esame clinico extraorale:
La paziente presenta una buona simmetria facciale. Alla palpazione e auscultazione
delle articolazioni temporomandibolari non appaiono dolori, esiste la presenza di
click articolare in prossimità della massima apertura prima all’articolazione destra e
poi sinistra con leggera deviazione verso sinistra della mandibola, fenomeno che si
ripete in relazione inversa durante la chiusura. Non dolenzia dei muscoli masseteri e
temporali. Non presenza di linfonodi dolenti o ingrossati sottomandibolari e
laterocervicali.
2.4 Esame clinico intraorale:
Le paziente riferisce una modesta dolenzia alla palpazione dei muscoli pterigidei
esterni. Non dolenzie sublinguali o al pavimento della bocca. Tutte le mucose
intraorali appaiono nella norma.
2.5 Esame dentale (Ash & Ramfiord 1995, Dawson 1996):
Pur riferendo la paziente la presenza da sempre di un distema tra i due incisivi
centrali superiori, gli elementi dentali ancora presenti nell’arcata superiore si
presentano diastemati e vestiboloversi, con un aumento del valore di overbite. Tale
alterazione della posizione è da riferirsi sostanzialmente alla perdita degli elementi
posteriori con riduzione della dimensione verticale (DVO). Riduzione parzialmente
contrastata dalla presenza di alcuni premolari superiori ed inferiori e degli ottavi
inferiori in antagonismo con la protesi parziale rimovibile superiore.
Gli ottavi inferiori risultano inclinati mesialmente ed estrusi.
La funzione masticatoria è gravemente compromessa, non esiste una posizione di
massima intercuspidazione stabile. I movimenti di laterotrusiva e protrusiva sono
guidati dai denti anteriori.
8
Quasi tutti gli elementi dentari che presentano pregresse cure di conservativa
mostrano delle recidive cariose.
2.6 Esame parodontale (Armitage 1995):
Anche se non inserita in un protocollo di igiene professionale la paziente non mostra,
dai sondaggi e da una prima analisi radiografica mediante ortopantomografia, una
particolare predisposizione alla malattia parodontale. Ciò nonostante possiamo
rilevare, come registrato nella cartella parodontale (Fig. 3), la presenza di alcuni
sondaggi (PD) patologici (mai oltre i 5mm) in alcune zone palatali dell’arcata
superiore, con perdita di attacco clinico (CAL). Tale perdita di attacco concentrata in
queste aree è probabilmente riconducibile, oltre che a processi flogistici a carico del
parodonto, al rapporto occlusale (tendente al deep-bite per sventagliamento e perdita
Fig. 3: cartella parodontale
della dimensione verticale) e alla funzione masticatoria da anni concentrata solo al
settore anteriore. E’ noto che una diminuzione della dimensione verticale (deep-bite)
può essere causa di problemi parodontali soprattutto a carico degli incisivi superiori e
9
inferiori (Millet et al. 2006). I sondaggi nell’arcata inferiore sono nella norma, si
registra solo lieve una perdita di attacco clinico (CAL) con recessione dei tessuti
marginali vestibolare al 34.
2.7 Esame radiografico (US DHHS 1988):
Dall’ortopantomografia (Fig. 4) eseguita come esame radiografico preliminare si
rileva l’assenza di particolari alterazioni delle strutture anatomiche prese in esame. Si
può confermare la situazione clinica, con mancanza degli elementi dentali 18-17-16-
15-25-26-27-28-37-36-35-46-47.
Fig. 4: ortopantomografia iniziale
Gli elementi dentali presenti mostrano una discreta conservazione delle strutture
ossee periodontali. Gli elementi sottoposti a precedenti terapie di conservativa ed
endodonzia sono stati sottoposti a una rivalutazione con radiografie endorali
(Cardinali 2013) mirate a valutare la presenza di lesioni periapicali. Si è riscontrata
una lesione radiotrasparente all’apice del 22 e una terapia canalare incongrua sul 14.
2.8 Diagnosi:
10
Paziente con grave riduzione della funzione masticatoria e alterata DVO.
Presenza di periodontite cronica dell’adulto (Armitage GC 1999, Lang NP & Lindhe
J 2016) di lieve entità.
Presenza di diverse infiltrazioni cariose a carico di numerosi elementi dentali residui
già in precedenza trattati con terapia conservativa.
Presenza di una lesione periapicale dell’elemento 22 già sottoposto a terapia canalare.
2.9 Piano di Terapia non protesico:
Risoluzione di eventuali urgenze.
Igiene orale e motivazione del paziente (Chambrone et al 2010, Genco Rj et al. 2013,
Lang NP et al. 2005).
Terapia causale parodontale (Drisko C.H. 2001, Eberhard J et al 2015).
Rivalutazione parodontale.(Beltrán-Aguilar E.D et al. 2012).
Terapie endodontiche (JOE Editorial Board 2008, Ruddle 2004).
Terapie conservative (Benn et al.1999)
2.10 Piano di Terapia Ortodontico Preprotesico:
Dignosticata l’alterazione dei parametri funzionali occlusali della paziente ed
effettuata un’analisi dei modelli studio montati in articolatore (Dawson 2007, Lytle
11
1990), un approccio multidisciplinare con una terapia ortodontica preprotesica risulta
essere un prerequisito essenziale per ritrovare l’equilibrio occlusale perduto.
Le condizioni cliniche (assenza quasi completa degli elementi dentari posteriori con
conseguente assenza di una massima intercuspidazione stabile da riprodurre) rendono
necessario, per il raggiungimento degli obiettivi della terapia, una modifica dei
rapporti occlusali sia statici che dinamici riorganizzando completamente l’occlusione
(Wassell et al. 1998, Celenza 1984a, Celenza 1984b, McNeill 1997, Dawson 2007).
Nel soggetto adulto è spesso richiesto un approccio multidisciplinare con interventi
differentemente programmati che concorrono al perseguimento degli obiettivi stabiliti
(es. ortodonzia, parodontologia, protesi, implantologia, etc) (Turpin 2007, Vaden &
Riolo 2009).
Il perseguimento di un buon equilibrio funzionale dovrebbe inoltre garantire il
mantenimento nel tempo dei risultati ottenuti (Kuhlberg & Glynn1997). Per cui, dato
che la dentatura residua non può essere utilizzata come riferimento per lo sviluppo
degli aspetti statici e dinamici della riabilitazione protesica, si rende necessario
impostare un nuovo schema occlusale (McNeill 1997) partendo proprio dalla terapia
ortodontica.
L’obiettivo della terapia ortodontica sarà quello di riallinere i denti dell’arcata
inferiore e poi retroinclinare i denti frontali dell’arcata superiore riducendo i diastemi,
aumentando la DVO e migliorando il rapporto di overbite (Fig 5).
12
Fig 5: immagine extraorale e intraorale alla fine del trattamento ortodontico
3. DISCUSSIONE DEI PIANI DI TERAPIA PROTESICI
ALTERNATIVI
ARCATA SUPERIORE
Formula dentaria: 14-13-12-11-21-22-23-24
Edentulia di 1a classe secondo la classificazione di Kennedy-Applegate (Applegate
1965).
ARCATA INFERIORE
Formula dentaria: 48-45-44-43-42-41-31-32-33-34-38
Edentulia di 3a classe mod. 1 secondo la classificazione di Kennedy-Applegate
(Applegate 1965).
Dal punto di vista funzionale la riabilitazione protesica deve mirare a ristabilire la
dimensione verticale (DVO) e restaurare le aree di contatto occlusali perdute nelle
regioni premolari e molari.
13
Dal punto di vista estetico tutti i denti residui dell’arcata superiore richiedono un
intervento riabilitativo.
3.1 OVERDENTURE
Le Overdenture sono particolarmente indicate nei pazienti con perdita severa di
supporto parodontale, con prognosi parodontale incerta e con condizioni funzionali o
estetiche complesse.
3.2 PROTESI PARZIALE RIMOVIBILE
Nei pazienti parzialmente edentuli che necessitano di riabilitazione
funzionale/estetica è possibile l’utilizzo di dispositivi protesici a supporto dento-
mucoso, facilmente rimovibili dal paziente stesso (protesi parziale rimovibile)
(Kratochvil 1988, Preti & Pera 1991)
Le protesi parziali rimovibili trovano particolare indicazione nelle 1e Classi di
Kennedy quando è necessaria una soluzione semplice ed economica.
I criteri di selezione dei denti pilastro per una protesi parziale rimovibile includono il
supporto alveolare, il rapporto corona-radice, il numero, la forma e la curvatura delle
radici, la prognosi parodontale, la valutazione dei carichi occlusali, la previsione della
risposta ai carichi, la possibilità di restaurare il dente, i rapporti occlusali, il contorno
della corona, le esigenze estetiche (Applegate 1960, Applegate 1965).
I dispositivi protesici parziali rimovibili, che utilizzano ganci come elemento di
ritenzione ai denti pilastro, molto frequentemente creano problemi di accettazione da
parte dei pazienti per l’inestetismo dovuto alla presenza dei ganci stessi. Gli elementi
di ritenzione a gancio dovrebbero essere costruiti in modo da trasmettere le forze
occlusali al dente pilastro il più possibile parallelamente al suo asse lungo. Appoggi
occlusali multipli ed altri elementi di supporto possono fornire un trasferimento ed
una distribuzione delle forze più vantaggiosi per i denti naturali esistenti (Kalk et al.
2009, Applegate 1960, Applegate 1965).
14
Lo splintaggio fisso dei denti che devono essere usati come pilastri per dispositivi
protesici parziali rimovibili può essere indicato quando il supporto osseo dei pilastri è
svantaggioso o quando sono previsti dei ritentori rigidi.
Avendo la necessità clinica di dover intervenire con corone protesiche sugli elementi
dell’arcata superiore per motivi estetici, funzionali e di contenzione post-ortodontica,
è possibile prevedere, in alternativa ai ganci, l’utilizzo di attacchi di precisione,
ancorati alle corone, come elementi di ritenzione tra la protesi parziale rimovibile e
gli elementi pilastro.
Gli eventuali restauri fissi fabbricati per i pilastri di protesi parziali rimovibili
dovrebbero incorporare, se verranno utilizzati dei ganci come ancoraggio, le
superfici di guida, le sedi di appoggio ed un sottosquadro adeguato per il
posizionamento della parte lavorante dei ganci stessi (Applegate 1960, Applegate
1965, Kalk et al. 2009).
3.3 PROTESI FISSA
Come nel caso clinico descritto le protesi fisse con una estensione distale potrebbero
trovare indicazione per la stabilizzazione di abutment naturali indeboliti
parodontalmente, accettando però di riabilitare il paziente con un’occlusione
accorciata al secondo premolare. Molti studi dimostrano che gli archi dentali
abbreviati comprendenti le regioni anteriori e premolari possono soddisfare le
esigenze di una dentatura funzionale. Il concetto dell'arco dentale abbreviato si basa
su prove circostanziali: non contraddice le attuali teorie dell'occlusione e si inserisce
bene con un approccio problem solving (Witter DJ et al. 1999).
Anche in una revisione della letteratura non è stato trovato alcun studio clinico
sistematico con risultati conflittuali. Il concetto di arco dentale abbreviato è stato
accettato da una grande maggioranza dei dentisti, ma non ampiamente praticato. Gli
studi esaminati hanno dimostrato che gli archi dentali ridotti composti da denti
anteriori e premolari in generale soddisfano i requisiti di una dentizione funzionale.
Le esigenze terapeutiche e le esigenze dei pazienti variano molto e devono essere
valutate individualmente, ma il concetto di arco dentale abbreviato merita di essere
15
incluso in tutte le pianificazioni del trattamento per i pazienti parzialmente edentuli
(Kanno & Carlsson 2006).
La sopravvivenza di protesi parziali fisse con cantilever hanno, se ben gestite, degli
indici di sopravvivenza che si avvicinano alle protesi parziali fisse convenzionali
(Rehmann P et al. 2015). Molta influenza hanno, sugli indici di sopravvivenza, la
vitalità o meno dei denti pilastro, il numero dei denti pilastro, la posizione
dell’elemento in estensione, il tipo di dentatura antagonista (protesi rimovibili, protesi
parziali fisse su denti naturali o su impianti, dentizione naturale), la funzionalità
dell’occlusione, la presenza di parafunzioni e la partecipazione alle visite di follow-
up.
Brevi ponti unilaterali o bilaterali possono essere una soluzione nei pazienti che
rifiutano gli apparecchi rimovibili e che non possono permettersi riabilitazioni più
estese con protesi fisse. In un recente studio pilota randomizzato e controllato è stata
valutata la prestazione clinica di protesi dentarie fisse in zirconia-ceramica
(ZC)(zirconia policristallina tetragonale stabilizzata con ittrio) e metallo-ceramica
(MC) fissata su due elementi pilastro naturali con un elemento in estensione dopo 3
anni di servizio. La sopravvivenza complessiva delle protesi parziali fisse con
estensioni (CFDP) era del 100% in entrambi i gruppi. Durante lo studio di tre anni, 6
complicanze clinicamente rilevanti che richiedevano l'assistenza post-operatoria sono
state osservate tra 5 partecipanti (4 nel gruppo ZC e 2 nel gruppo MC) (Zenthöfer A
et al. 2015).
Nel caso di riabilitazioni con piccoli ponti con estensioni, come descritto sopra nelle
protesi parziali fisse con cantilever, hanno ancora più importanza la vitalità e il
numero dei denti pilastro, la posizione dell’elemento in estensione, il tipo di dentatura
antagonista, l’occlusione, la presenza di parafunzioni e la partecipazione alle visite di
follow-up.
Per riabilitare con protesi fisse su denti naturali l’arcata inferiore si può solo
intervenire con fissazioni comprendenti elementi a ponte multipli (due nel 4°
quadrante e tre nel 3° quadrante). Questo comporterebbe l’inserimento di fattori di
rischio biomeccanici dovuti alla costruzione di travate molto lunghe (Motta AB 2008,
16
Özcan M 2003, Lüthy H et al. 2005) come frattura del rivestimento ceramico,
decementazione, frattura della travata, frattura degli elementi dentali di sostegno.
Inoltre, la posizione spaziale degli elementi 38 e 48 che sono mesioinclinati e
parzialmente estrusi, pur in previsione dell’aumento della dimensione verticale,
potrebbe creare delle interferenze occlusali se non ben compensata protesicamente.
3.4 PROTESI FISSA su IMPIANTI
La riabilitazione con una protesi parziale fissa supportata da impianti osseointegrati è
la soluzione ottimale nei casi di 1a e di 2a Classe di Kennedy a condizione che i
volumi ossei siano appropriati o vengano resi tali.
Il trattamento protesico deve essere pianificato sempre prima di procedere alla
chirurgia implantare, seguendo quindi il concetto di implantologia protesicamente
guidata. Questo permetterà di programmare correttamente la posizione, il numero,
l’inclinazione e la tipologia degli impianti da inserire. Molti pazienti rimangono
parzialmente edentuli per un lungo periodo di tempo. La combinazione della perdita
ossea continua e modificazioni della dentatura residua causate dai denti mancanti
aumenta notevolmente i fattori che devono essere considerati per una riabilitazione
orale con protesi su impianti. Modelli in gesso diagnostici o modelli di studio sono
essenziali come guida sia nelle fasi preimplantari sia nelle fasi di trattamento
implantoprotesico (Misch CE 2014). I modelli diagnostici consentono di valutare vari
fattori preventivamente, ad esempio le relazioni maxillo-mandibolari, l’occlusione
esistente e i possibili schemi occlusali futuri in collaborazione con l’odontotecnico.
Si cercherà anche di prevedere il tipo di abutment da utilizzare, con la riserva di
rivalutare la reale situazione al momento delle fasi protesiche.
Già in fase di progettazione tramite una ceratura d’analisi va programmata la corretta
posizione dei denti. Si cercherà così di ottenere, oltre a un rapporto occlusale
funzionalmente corretto, una favorevole distribuzione delle forze agli impianti e una
anatomia dentale che agevoli le manovre di igiene orale domiciliare.
Una volta posizionati gli impianti secondo il progetto riabilitativo e sulla base delle
tempistiche di carico programmate si può procedere all'inserimento di protesi
17
provvisorie congrue, finalizzate al ripristino dell'occlusione, della funzione, dell’
estetica e, ove indicato, al condizionamento dei tessuti molli (Parel & Sullivan 1989,
Tarnow et al. 1997, Schneider et al. 2002).
3.5 OCCLUSIONE
Nella riabilitazione del caso clinico sia tramite protesi fisse su impianti nei settori
posteriori, come anche nelle altre possibili soluzioni (protesi fissa su pilastri naturali
con arco abbreviato, protesi parziale rimovibile) si renderà necessario, per il
raggiungimento degli obiettivi della terapia, una modifica dei rapporti occlusali sia
statici che dinamici (approccio riorganizzativo) (Wassell 1998, Celenza 1984a,
Celenza 1984b, McNeill 1997, Dawson 2007).
In presenza di impianti il controllo neuromuscolare della funzione masticatoria
avviene secondo modalità differenti rispetto a quanto avviene su denti naturali
(Klineberg 1999, Van Steenberghe 2006).
Sebbene vi siano evidenze di differenti livelli di sensibilità e differenti meccanismi di
controllo del contatto occlusale, non esistono attualmente evidenze riguardo
all’utilizzo di specifiche strategie occlusali rispetto a quanto avviene nei trattamenti
protesici su denti naturali (Gross 2008, Carlsson 2009).
L’obiettivo sarà quello di realizzare uno schema di occlusione che segua quattro
criteri specifici: (1) contatti di massima intercuspidazione in occlusione centrica,
utilizzando quindi per la riabilitazione un rapporto intermascellare con i condili in
relazione centrica (Keshvad & Winstanley 2000a, b, 2001, Dawson 2007, Celenza
1984b, Becker et al. 2000); (2) disclusione con movimenti laterotrusivi e protrusivi
guidati esclusivamente dalla determinante anteriore (Schweikert 1987, Manns et
al.1987); (3) costruzione di un overbite poco profondo e un angolo di disclusione
anteriore non troppo ripido (Williamson & Lundquist 1983, Starr 2005); (4) aumento
della dimensione verticale dell'occlusione con forma e orientamento dei denti
accettabile sia funzionalmente che esteticamente (Peck 2016).
Il successo di una riabilitazione orale si basa sul rispetto di corretti criteri occlusali
(Spear 1997). L'opportuna interazione tra il tecnico di laboratorio e il clinico
18
odontoiatra, un'attenta elaborazione della riabilitazione provvisoria con tutti i dettagli
desiderati da riprodurre poi nel restauro protesico finale e un adeguato tempo di
follow-up delle protesi provvisorie prima di mettere a punto il restauro finale sono
requisiti sostanziali.
In particolare in implantoprotesi, ma comunque in generale, l’occlusione deve essere
realizzata in modo da non determinare traumi, deformazioni e stress eccessivi a
livello del supporto osseo, degli impianti, dei denti residui, dei muscoli e delle
articolazioni temporo-mandibolari. Il sovraccarico occlusale può, infatti, essere
associato a gravi problemi di natura sia meccanica che biologica (Isidor 1997, Isidor
2006, Weinberg 1993, Kozlovsky et al. 2007).
3.6 CONTROLLI a distanza
Per qualsiasi trattamento protesico, si dovrebbe stabilire un sistema di richiamo
definitivo a seconda del grado di cooperazione del paziente, della suscettibilità della
carie, dello stato parodontale e del tasso di riassorbimento della cresta residua. Ciò è
essenziale per ottenere una prognosi soddisfacente. In un paziente con una scarsa
igiene orale, la soluzione migliore per quanto riguarda la prognosi dei rimanenti denti
è quella di astenersi da qualsiasi trattamento protesico (Budtz-Jörgensen 1996).
Nel periodo successivo alla consegna dei manufatti protesici definitivi è opportuno
effettuare controlli per intercettare eventuali problemi e valutare dolori o disturbi
postoperatori che potrebbero insorgere nelle prime settimane dalla cementazione
(Nevins 1996, Nevins 1993, Ainamo & Gjermo 1994, Axelsson et al. 1991, Axelsson
& Lindhe 1981, Valderhaugh & Birkeland, 1976)
Sarà opportuno valutare con particolare attenzione l’adattamento marginale, i contatti
e i rapporti tra gli altri elementi dentari, l’adattamento dei tessuti parodontali, la
funzione occlusale (Axelsson et al. 1991, Axelsson & Lindhe 1981, Axelsson 1994,
Levine & Shanaman 1995, Westfelt 1996).
Una particolare cura va, inoltre, riservata all’esame della risposta tissutale iniziale e
all’efficacia dell’igiene orale mantenuta dal paziente in relazione alla protesi
qualunque essa sia, su impianti, su denti o rimovibile.
19
Ove indicato, è opportuno procedere alle necessarie correzioni ed alla rifinitura e
lucidatura delle superfici e fornire ulteriori consigli e istruzioni sulle norme di igiene
orale da adottare.
I controlli periodici post-installazione devono essere una parte essenziale della terapia
in protesi; infatti solo una diagnosi precoce di eventuali problemi potrà impedire il
rischio di fallimento dei restauri sia da un punto di vista biologico che meccanico
(Libby Greg et al. 1997, Nevins 1993, Scurria Mark et al. 1998, Westfelt 1996) .
4. SOLUZIONE DEL CASO CLINICO
Fig 6: immagini intraorali finali
L’analisi del tipo di riabilitazione indicata al caso clinico si semplifica valutando il
settore anteriore superiore: dovendolo ripristinare sia dal punto di vista estetico che
funzionale, l’indicazione alla ricopertura con corone complete non trova alternative
se non intervenendo con ricostruzioni adesive sia palatali che vestibolari (Vailati &
20
Belser 2008a, b, Paul 1994, Magne & Belser 2002). Ma la necessità di creare una
contenzione post-ortodontica fa decisamente propendere verso l’utilizzo di una
fissazione unica con otto corone complete da 14 a 24. Le alternative riguardano
eventualmente il tipo di materiale protesico da utilizzare, se una fissazione in metallo-
ceramica o una in zirconio-ceramica. La paziente accetta la soluzione che prevede la
riabilitazione dei settori posteriori con protesi fisse su impianti (Fig 6, 7 e 8).
21
Fig 7: Controllo dell’occlusione e della guida anteriore
Fig 8: status radiografico finale
5. VALUTAZIONE SULL’USO DI DIFFERENTI MATERIALI
PROTESICI IN PROTESI FISSA APPLICATA AL CASO
CLINICO
5.1 Protesi fissa su denti naturali arcata superiore con fissazione di 14-13-
12-11-21-22-23-24
Come in precedenza accennato, con lo scopo di ottenere non solo una completa
riabilitazione da un punto di vista funzionale ed estetico del settore, ma anche una
contenzione degli elementi dentari dopo i movimenti ortodontici preprotesici, si è
optato per una ricopertura con corone complete unite in un unica fissazione.
22
Allo stato attuale le alternative, per quanto riguarda i materiali protesici da utilizzare,
comprendono la metallo-ceramica o la zirconio-ceramica.
La metallo ceramica rappresenta ancora oggi il gold standard delle riabilitazioni
protesiche fisse.
5.1.a METALLO CERAMICA
La realizzazione di questi manufatti prevede l’utilizzo di una struttura di supporto in
lega che può essere nobile o non nobile e l’utilizzo di una ceramica di rivestimento
feldspatica per sostituire colore e forma del dente naturale. Questo tipo di manufatti è
utilizzato in protesi sia per le corone singole che per la sostituzione di più elementi
mancanti con restauri a ponte.
I vantaggi nell’utilizzare in protesi fissa le leghe metalliche sono la resistenza, gli
ottimi risultati a lungo termine supportati dalla letteratura scientifica e le procedure
operative standardizzate da decenni.
Tra gli svantaggi ricordiamo la possibile presenza di allergie soprattutto nelle leghe
non nobili e le difficoltà nel mascherare il metallo sia durante le procedure
odontotecniche di cottura del rivestimento estetico, che nelle fasi cliniche dovendo
approfondire nel solco gengivale la preparazione protesica.
Il gruppo di Walton analizza in maniera retrospettiva il rischio di fallimenti
biomeccanici e chipping della ceramica di rivestimento in 654 ponti in metallo-
ceramica di 3 e 4 elementi. I risultati sono molto simili. Solo 28 manufatti hanno
mostrato problematiche di chipping e ciò di solito avviene soprattutto nel primo anno
dopo la cementazione. Al contrario le complicanze biologiche, quali carie,problemi
endodontici e problemi parodontali aumentano con gli anni di servizio dei manufatti
(Walton TR 2002, Walton TR 2003).
Molto interessanti sono i risultati di un clinical trial multicentrico pubblicato nel 2013
da Reitemeier dell’Università di Dresda. Dieci professionisti non specialisti ma tutti
con oltre 10 anni di esperienza e formatisi tutti presso la medesima università a
Dresda hanno trattato tra il 1996 e il 1997 190 corone singole e 276 elementi di ponte
solo in settori posteriori. Tutti i restauri sono stati realizzati con 4 tipi di leghe dentali
23
nobili. I restauri sono stati rivalutati dopo 2 settimane dall’inserzione e annualmente
fino a oltre i 10 anni di servizio dei manufatti. A 10 anni i restauri ancora valutabili e
inclusi nello studio erano 147 per i restauri singoli e 208 per i ponti. I risultati per
quello che riguarda le problematiche biologiche sono state per la maggior parte in
entrambi i gruppi legati a problemi endodontici. Le complicanze biomeccaniche che
hanno causato la perdita del dente sono avvenute in un solo caso per le corone singole
e in 2 casi per i ponti. Più frequenti le problematiche biomeccaniche che non hanno
provocato la perdita del dente quali chipping o fratture della ceramica di rivestimento.
Nel gruppo dei ponti su 35 corone con problemi biomeccanici che non hanno
provocato l’estrazione del dente solo 3 sono state sostituite; negli altri casi è stata
fatta una lucidatura o riparazione. Nessuna differenza significativa nella
sopravvivenza è stata trovata tra le 4 leghe utilizzate o i differenti laboratori utilizzati
nella produzione dei manufatti. Gli autori non riportano alcun dato sulla perdita di
ritenzione delle corone. Anche in questo lavoro le problematiche biomeccaniche sono
decisamente meno importanti di quanto si possa pensare a favore delle problematiche
biologiche e soprattutto endodontiche (Reitemeier B et al. 2013).
In considerazione della situazione economica che stiamo vivendo una alternativa
all’utilizzo delle leghe nobili è l’utilizzo di leghe in acciaio Cromo Cobalto rivestite
in ceramica. Il gruppo di Ortorp e Svanborg a Goteborg nel 2012 e 2013 ha
analizzato le performance di corone singole e ponti realizzati in lega non nobile e
ceramica con risultati incoraggianti. Su 72 corone singole prese in esame in 5 anni
solo 3 hanno avuto problemi meccanici di frattura della ceramica. Per quanto riguarda
i ponti, su 201 manufatti e 743 monconi, gli autori riportano solo il 3,1% di
decementazioni e 7 ponti con frattura della ceramica (Ortorp A et al. 2012, Svanborg
P et al. 2013). Risultati diversi quelli presentati nel 2007 da Eliasson in uno studio
retrospettivo su 52 ponti e 12 corone singole inseriti su pazienti con monconi dalla
prognosi incerta o con estensioni. 21 ponti su 52 hanno avuto problematiche
meccaniche soprattutto nei gruppi di bruxisti e con cantilever (Eliasson A et al.
2007).
24
Appare chiaro come i fattori di rischio del paziente come il bruxismo o della
progettazione come le estensioni influenzano le performance dei manufatti in metallo
ceramica.
5.1.b ZIRCONIA CERAMICA
Uno dei materiali privi di metallo attualmente più utilizzati in campo odontoiatrico è
l’ossido di zirconio, o Zirconia, un ossido ceramico che si presenta come polvere
bianca. La Zirconia utilizzata in odontoiatria è stabilizzata con ittrio che ne conferisce
una elevatissima stabilità chimica, ha un grado di durezza molto elevata, è
estremamente rigida, ed ha una notevole resistenza agli stress fisici (oltre 1000 Mpa).
Le tecnologie adottate per la produzione della Zirconia a livello industriale possono
dare luogo a differenze sostanziali delle caratteristiche chimico- fisiche ed estetiche
del prodotto finale.
La Zirconia viene impiegata per la produzione di protesi fisse sia su impianti che su
pilastri naturali. Può essere utilizzata sia per elementi singoli sia per fabbricare ponti,
per la realizzazione di sottostrutture protesiche o per la realizzazione di restauri
interamente in Zirconia detti monolitici. In questo caso la Zirconia viene sottoposta
ad alcuni trattamenti che migliorano la translucenza abbassando leggermente la
resistenza (700-800 Mpa) consigliandone l’utilizzo prevalentemente nei settori
posteriori.
Ove indicata, sostituisce completamente l’utilizzo di leghe metalliche, anche se finora
vi sono relativamente pochi dati a lungo termine che dimostrino che i ponti in
ceramica funzionano altrettanto bene dei ponti tradizionali con struttura metallica.
Come tutti i materiali ceramici la Zirconia è un materiale biocompatibile. La prima
applicazione in medicina fu per la costruzione di protesi femorali in quanto rispetto ai
materiali metallici offriva una maggiore resistenza meccanica. L’ossido di zirconio é
una delle ceramiche integrali dalle maggiori prestazioni per uso odontoiatrico.
L’ossido di zirconio si distingue per l’ottima biocompatibilità e la minima
conduttività termica.
25
Larsson e Wennelberg in una review del 2014 hanno selezionato 42 articoli su 3216,
di questi 42 solo 3 studi clinici randomizzati e controllati. Sia le complicanze
meccaniche che biologiche sono assolutamente comparabili ai risultati ottenuti con le
metallo ceramiche.
In una systematic review (Sailer I et al. 2007) condotta da diversi autori
dell’università di Berna e Zurigo sono stati valutati i tassi di sopravvivenza a 5 anni e
l'incidenza di complicanze di protesi dentarie fisse all-ceramic e confrontati con
quelli di protesi dentarie fisse in metallo-ceramica.
Sono stati analizzati 580 studi identificati tra dicembre 2006 e dicembre 2013, 30
sono stati inclusi ai quali se ne sommano 10 di una precedente revisione degli stessi
autori (Pjetursson BE et al. 2007). Criteri di inclusione:
• Studi controllati randomizzati, studi controllati clinici prospettici, retrospettivi e
serie di casi;
• Follow up minimo di 3 anni;
• I pazienti inclusi devono essere visitati clinicamente;
• Descrizione delle protesi, dei materiali e metodi e dei risultati;
Dai dati descritti dagli autori l’indice di sopravvivenza stimata a 5 anni della metallo-
ceramica è del 94.4%, quello della zirconia 90,4%. Gli autori concludono che se dei
settori posteriori devono essere riabilitati con protesi fisse in ceramica integrale, la
zirconia dovrebbe essere usata come materiale costituente la travata rivestita poi in
ceramica. Tuttavia, il rivestimento ceramico per queste travate ad alta resistenza in
zirconio mostra una più alta percentuale di complicanze tecniche, tipo frattura del
rivestimento ceramico stesso, rispetto alla metallo-ceramica. Per il successo clinico a
lungo termine il materiale ceramico da rivestimento deve essere migliorato.
In uno studio coorte retrospettivo più recente (Monaco C et al. 2015) mostrano un
tasso di sopravvivenza a 5 anni delle protesi in zirconia-ceramica su elementi naturali
del 94,7%, a testimonianza del miglioramento della qualità delle ceramiche da
rivestimento e delle tecniche produttive. Nonostante ciò la complicanza più frequente
resta la frattura del rivestimento ceramico. Da questo studio emerge come ci sia una
correlazione tra le problematiche meccaniche quali chipping o frattura delle struttura
26
per i ponti e pazienti con parafunzioni.
Uno studio coorte retrospettivo (Monaco C et al. 2013) su 398 pazienti con 343
corone singole anteriori e 789 corone singole posteriori ha mostrato un tasso di
sopravvivenza cumulativo stimato a 5 anni del 98.1%, e un tasso di successo
cumulativo stimato a 5 anni dell’94.3%. La complicanza più frequente è stata la
frattura della ceramica di rivestimento (nessuna differenza tra anteriori e posteriori).
5.2 Protesi fissa su denti naturali arcata inferiore con restauri singoli di 34-
44-45
Per le riabilitazione con corone singole nei settori posteriori abbiamo le possibilità di
intervenire con diversi materiali: metallo-ceramica, zirconia-ceramica, zirconia
monolitica o parzialmente stratificata, disilicato di litio monolitico o stratificato. Pur
rimanendo la metallo-ceramica il gold-standard, abbiamo la possibilità di utilizzare
materiali alternativi con un’alta predicibilità di successo. Sarà l’odontoiatra, con il
supporto dell’odontotecnico, che, in base alle necessità riabilitative estetiche e
funzionali del singolo caso clinico, dovrà scegliere il materiale più indicato.
5.2.a METALLO CERAMICA
Per quello che riguarda i restauri singoli in metallo ceramica, Walton ha analizzato le
performance di 2340 corone singole realizzate tra il 1984 e il 2008 in oro-ceramica
(Walton TR 2013). Di 133 fallimenti 101 avevano motivazioni biologiche mentre
solo 8 corone hanno avuto problemi di tipo meccanico, di cui 4 sono state rifatte per
frattura della ceramica di rivestimento. Nessuna differenza statisticamente
significativa è stata trovata tra posizione della corona, sesso del paziente o tipo di
dente sostituito (mascellare, mandibolare, anteriore o posteriore).
Anche Behr e collaboratori nel 2014 in uno studio retrospettivo su 997 corone singole
arrivano alle stesse conclusioni: le problematiche biomeccaniche legate al chipping
della ceramica di rivestimento sono eventi rari, 17 casi sulle 997 corone analizzate,
27
mentre più frequenti sono le problematiche biologiche quali carie del moncone e
problematiche parodontali. La perdita di ritenzione delle corone riscontrata in questo
lavoro è del 7,8% per le corone anteriori e 2,9 % per i manufatti realizzati nel settore
posteriore entrambi i valori a 10 anni (Behr M et al. 2014).
5.2.b ZIRCONIA CERAMICA
Il gruppo della Sailer in una review del 2015 su tutti i tipi di corone integrali afferma
che le corone realizzate in Zirconia pur avendo una sopravvivenza simile ai manufatti
in metal ceramica hanno complicanze meccaniche quali frattura della ceramica di
rivestimento e perdita di ritenzione superiori alle corone in metallo ceramica. Queste
problematiche sono frequenti per i primi manufatti realizzati in quanto; oggi i
trattamenti interni e le ceramiche di rivestimento utilizzate sulle cappette in Zirconia
hanno ridotto moltissimo queste complicanze (Sailer I et al. 2015).
5.2.c Zirconia Monolitica o Parzialmente Rivestita
Negli ultimi anni le tecniche CAD-CAM hanno implementato l’utilizzo della
Zirconia in forma monolitica o parzialmente rivestita in ceramica feldspatica solo
nell’aspetto vestibolare. Questo tipo di soluzione tecnica tende a ridurre o eliminare il
problema del chipping soprattutto nei restauri posteriori. Seppur non ci sia ancora un
adeguato supporto della letteratura a questa metodica, le caratteristiche del materiale
e i dati nel breve termine sembrano incoraggianti. In uno studio prospettico (Bömicke
W et al. 2017) durante un tempo di osservazione di tre anni, sia le corone in zirconio
monolitiche che parzialmente rivestite hanno mostrato una bassa percentuale di
complicazioni tecniche: sono stati osservati solo un piccolo chipping e tre perdite di
ritenzione. Inoltre l'estetica è sempre risultata eccellente. Sulla base di questi risultati
l'utilizzo clinico di questo tipo di restauro è molto promettente anche se sono
necessari ulteriori studi.
5.2.d Disilicato di Litio
28
Il Disilicato di Litio è una vetroceramica ottenuta industrialmente tramite
pressofusione. Viene fornito sotto forma di cilindretti e blocchetti con diversi gradi di
traslucenza ed opacità, utilizzabili rispettivamente per la tecnica di pressofusione, o
per fresatura mediante tecnologia CAD-CAM.
Le corone in Disilicato di Litio, caratterizzate da una translucentezza che le rende
simili ai denti naturali, hanno un’elevata resa estetica e per questo sono
particolarmente indicate nelle riabilitazioni dei settori anteriori. Queste corone, grazie
alle qualità fisiche del materiale, vengono attraversate dalla luce rendendo al
complesso dente-corona una trasparenza dall’aspetto naturale. La buona resistenza
alla flessione (circa 400Mpa) consente di utilizzare questo materiale anche per piccoli
ponti di nel gruppo anteriore.
Il Disilicato di Litio può essere utilizzato per la fabbricazione di corone a ricopertura
totale o parziale, e piccoli ponti. Anche il Disilicato di Litio come l’ossido di zirconio
può essere utilizzato in forma monolitica o come sotto-struttura stratificata poi da una
ceramica feldspatica.
Il Disilicato non è di per se un materiale completamente inerte, ma ha un livello di
biocompatibilità simile o superiore ad altri materiali privi di metallo, come il
composito o la ceramica feldspatica.
Il Disilicato presenta alcuni vantaggi, in particolare può essere cementato
adesivamente (grazie alla caratteristica delle vetroceramiche di essere mordenzato)
alle strutture dentali residue e permette il passaggio della luce, ottimizzando in questo
modo la sua resa estetica. Pur essendo un materiale relativamente tenace, non risulta
indicato per la fabbricazione di ponti estesi, e ponti nei settori posteriori.
Per l’utilizzo nei restauri singoli la letteratura ci dà informazioni confortanti. Ghert ed
Edelhoff analizzano i risultati di 94 corone singole realizzate sia nella zona anteriore
e posteriore. La sopravvivenza cumulativa a 5 e 8 anni è stata rispettivamente del
97,4 % e 94,8 %, senza alcuna differenza significativa tra zona posteriore e anteriore
(Ghert et al. 2013).
Anche Valenti analizzando le performance del Disilicato di Litio usato in 261 corone
singole 101 anteriori e 160 posteriori trova una percentuale di successo del 95,5%
29
(Valenti M & Valenti A 2009). Sei corone sono state sostituite: 4 per chipping e 2 per
frattura della corona. Anche in questo caso non c’è stata una differenza significativa
tra restauri anteriori e posteriori.
In uno studio retrospettivo su 860 restauri in Disilicato di Litio, di questi erano
presenti 428 corone singole 231 anteriori e 154 posteriori (Fabbri et al 2014), gli
autori danno indicazioni anche sulla tipologia di realizzazione con 274 manufatti
stratificati e 154 monolitici. Le percentuali di successo e sopravvivenza sia degli
anteriori che dei posteriori con corone stratificate e monolitiche sono molto simili
(anteriori stratificate 97,4%, monolitiche 95,4%; posteriori stratificate 95,4%,
monolitiche 96,2%). Le complicanze meccaniche segnalate per le corone singole
sono state perdita di ritenzione per 2 elementi, 2 fratture del core in Disilicato in un
incisivo centrale e un incisivo laterale e chipping della ceramica con 4 restauri
rimossi ed rieseguiti.
Possiamo concludere che i risultati nel medio e lungo termine per le corone singole in
Disilicato di Litio danno risultati paragonabili a quelli delle metallo ceramiche.
L’utilizzo del Disilicato di Litio per i ponti fino a 3 elementi è ormai da considerarsi
controindicato vista la possibilità di utilizzare l’ossido di Zirconia e i risultati presenti
in letteratura (Esquivel-Upshaw JF 2008).
5.3 Protesi fissa su impianti 16-15, 25-26, 35-36, 46-47
A prescindere dal tipo di connessione implantare scelta, con connessione esterna
(CE) o con connessione interna (CI), le protesi fisse possono essere cementate su
abutment fissati agli impianti tramite viti o avvitate direttamente a livello della
piattaforma delle fixture tramite un foro di accesso occlusale. Una possibile
alternativa è avvitare la protesi indirettamente tramite mesostrutture. In questo caso la
protesi sarà composta da due componenti: una mesostruttura che fornisce sostegno ad
una sovrastruttura, che rappresenta la parte visibile del restauro. Per fissare le due
30
componenti tra loro vengono utilizzate delle viti opportunamente posizionate sul
versante linguale o palatino.
Indipendentemente dal tipo di connessione implantare (Interna o Esterna), con
l’utilizzo di un torque adeguato (tra 25-35 Ncm, rispettando le indicazioni della casa
implantare) e componentistiche protesiche con maggiore grado di precisione, si sono
fortemente ridotti problemi di allentamento della vite del moncone nei restauri
definitivi. Tuttavia, quando il torque applicato non è adeguato e le componenti
antirotazionali sono meno precise, è più facile che si abbiano allentamenti delle viti
con impianti a connessione esterna (Gracis et al. 2012).
5.3.a Protesi Avvitata
Il vantaggio principale delle protesi avvitate è rappresentato dalla possibilità di
rimuovere agevolmente il restauro in caso di necessità. Poichè alcune review
sistematiche si è dimostrato che eventuali residui di cemento possono causare una
maggiore quantità di complicazioni biologiche, la possibilità di evitare questa
complicanza rende la protesi avvitata ulteriormente vantaggiosa.
La scelta dell’utilizzo di una protesi avvitata ad un impianto viene normalmente
determinata in fase di progettazione in base a variabili quali lo spazio interocclusale
disponibile (se risulta esageratamente ridotto vi è una minore ritenzione necessaria
alla cementazione), il grado di disparallelismo nel caso di impianti multipli, il
rapporto tra lunghezza dell’impianto utilizzato e corona clinica protesica, la
possibilità di inserire gli impianti in posizione protesicamente corretta: con
l’emergenza del foro per la vite di fissaggio in prossimità del centro del tavolato
occlusale degli elementi posteriori o sul versante linguale degli elementi anteriori. La
presenza di fori di accesso eccessivamente palatali o vestibolari, potrebbero
compromettere l’estetica e la funzione del restauro. Se la posizione degli impianti
dovesse richiedere una forte compensazione protesica viene normalmente preferito
l’utilizzo di protesi che prevedono mesostrutture o protesi cementate su abutments.
31
Recenti revisioni sistematiche della letteratura hanno evidenziato (Wittneben JG et al.
2014) che non vi sono differenze statisticamente significative confrontando varie
tipologie di protesi fisse avvitate direttamente o mediante mesostrutture (corone
singole, ponti, arcate complete) eseguite in diverse tipologie di materiali (metallo -
ceramica, zirconia - ceramica) (Abou-Ayash S et al 2017), né confrontando protesi
cementate vs avvitate. Non vi è evidenza di una maggiore entità di perdita ossea
confrontando le due forme di protesi (de Brandao et al. 2013). Viene evidenziato che
alcune forme di complicazioni tecniche (chipping) sono più frequenti nelle protesi
avvitate rispetto alle protesi cementate, mentre il numero totale di complicazioni
rimane inferiore.
Rispetto a restauri su denti singoli, i ponti e le riabilitazioni estese a supporto
implantare sono maggiormente suscettibili a fenomeni di chipping e fratture dei
framework (Pjetrusson et al, 2012), e meno a perdita di ritenzione legata allo
svitamento delle viti di fissaggio. Una complicanza relativamente frequente riportata
per le portesi direttamente avvitata su impianti multipli riguarda la perdita del
materiale di otturazione del foro di accesso occlusale. Sebbene questa sia una
complicanza minore e di facile soluzione, se si ripete nel tempo può essere un motivo
di fastidio per i pazienti.
Gli impianti a CI presentano in generale maggiori difficoltà rispetto ad
impianti a CE nella realizzazione di protesi avvitata quando più impianti che devono
essere solidarizzati non sono sufficientemente paralleli. In molte sistematiche
implantari a connessione interna (sia conica che flat-to-flat) esistono componenti
protesiche (sia per l’impronta che per la realizzazione del dispositivo protesico) che
consentono di superare disparallelismi relativamente importanti non sfruttando
l’ingaggio interno.
Quando si rende necessario solidarizzare più impianti, la passivazione della struttura
è fondamentale. La presenza di imprecisioni anche piccole implica infatti che una
parte del precarico della vite di fissaggio venga dissipato nella distorsione del
framework tentando di alloggiare completamente la struttura protesica. Questo
comporta inoltre che le sollecitazioni funzionali possano far allentare la vite con
32
maggior facilità rispetto ad una struttura perfettamente passiva in cui tutto il precarico
è impiegato per mantenere solidali vite ed impianto.
5.3.b Protesi cementata
La scelta dell’utilizzo di una protesi implantare cementata viene normalmente
determinata in base a variabili quali lo spazio interocclusale disponibile, il grado di
disparallelismo in caso di impianti multipli, il rapporto tra lunghezza dell’impianto
utilizzato e corona clinica protesica, l’inclinazione non adeguata dell’impianto.
Criteri clinici come la possibilità di rimuovere agevolmente il restauro in caso di
necessità, l’estetica, la gestione dell’occlusione, la facilità, la precisione ed i costi di
produzione, possono influenzare il processo decisionale.
Nel casi di impianti multipli, se la posizione degli impianti dovesse richiedere una
forte compensazione protesica viene normalmente preferito l’utilizzo di protesi
cementate o protesi che prevedono componenti intermedie quali mesostrutture
avvitate, con una sovrastruttura cementata o avvitata.
Il risultato estetico finale rappresenta uno dei principali vantaggi della protesi
cementata.
Una migliore gestione dell’occlusione delle corone definitive è un altro vantaggio, in
quanto il foro di accesso della vite, necessario per la soluzione avvitata, spesso cade
in una parte funzionale del restauro (Vigolo et al. 2012).
La diffusione delle tecnologie CAD/CAM ha permesso la realizzazione di abutment
custom - made, migliorando e standardizzando quindi il processo produttivo e la
precisione finale delle protesi cementate (Dondi L 2010). Alcuni studi (Agar JR &
Parker MH 1997; Linkevicius T 2011) hanno dimostrato la permanenza di residui di
cemento indipendentemente dalla posizione sottogengivale del margine protesico.
Hanno dimostrato inoltre il fatto che questi residui siano la principale causa di
perimplantite, qualsiasi tipo di cemento venga utilizzato (Hebel KS & Gajjar RC
1997).
33
Una attenta progettazione del disegno e del margine di chiusura del moncone
implantare deve essere effettuata per facilitare la rimozione del cemento in eccesso
(Linkevicius et al. 2012) così come anche possono essere di aiuto il posizionamento
di un filo retrattore al di sotto del sottosquadro del moncone protesico e/o un
dosaggio extraorale del cemento utilizzando una replica del moncone (Wadhwani C
& Pineyro A. 2009).
Altra complicazione della protesi cementata è la perdita di ritenzione nel tempo della
corona, che dipende principalmente dal moncone protesico. Studi in vitro hanno
dimostrato come la convergenza e l’altezza dei pilastri protesici siano fondamentali
per mantenere la stabilità del restauro protesico nel tempo. In letteratura è stato
proposto l’ utilizzo di un cemento provvisorio come il Temp Bond, per favorire il re-
intervento nel tempo in caso di complicanze. Tuttavia, a causa della stretta aderenza
tra il moncone e la corona, è risultato molto difficile rimuovere la corona senza
danneggiarla o danneggiare la vite di ritenzione (Covey et al. 2000; Taylor et al.
2000).
La perdita di ritenzione della corona è uno svantaggio più comune per le corone
singole piuttosto che per arcate complete o parziali, le quali possono contare su un
maggior numero di impianti ed una decementazione di una di queste unità può non
essere percepita, con la conseguenza di una errata distribuzione delle forze occlusali
sui diversi impianti (Crespi et al., 2007). Uno dei vantaggi della protesi cementata è
la maggior facilità ad ottenere la passivazione delle componentistiche protesiche
rispetto alla protesi avvitata, grazie alla presenza del cemento che sembra agire come
shock – absorber (Sunyong et al., 2015).
Revisioni sistematiche della letteratura hanno evidenziato come non vi siano
differenze statisticamente significative confrontando varie tipologie di protesi fisse
avvitate vs cementate, è stato però evidenziato (de Brandão et al., 2013, Wittneben
JG et al. 2014) come siano più frequenti i chipping nelle protesi avvitate rispetto a
quelle cementate.
34
5.3.c METALLO CERAMICA
Test in vitro hanno mostrato che elementi singoli in metallo ceramica direttamente
avvitati evidenziano una minore resistenza meccanica rispetto a corone cementate
dello stesso materiale. Presumibilmente questo avviene a causa della presenza del
foro di accesso occlusale (Freitas et al., 2011; Torrado et al. 2004; Zarone et al.
2007). Le più frequenti complicazioni tecniche riportate in studi clinici riguardano la
perdita di ritenzione dovuta alla perdita di precarico nelle ricostruzioni di denti
singoli, chipping della ceramica di rivestimento, e più raramente frattura dei
framework di supporto.
5.3.d METALLO Resina
In epoca più recente questo tipo di restauro viene generalmente utilizzato per la
fabbricazione di riabilitazioni complete definitive di arcate, e per la fabbricazione di
provvisori. In entrambe i casi la struttura metallica viene interamente ricoperta da uno
strato di resina acrilica che rappresenta la componente estetica. Le complicazioni
tecniche più frequentemente riportate in letteratura riguardano il deterioramento del
materiale da rivestimento, che tende a pigmentarsi con le sostanze introdotte con
l’alimentazione e il fumo, l’usura e la frattura del rivestimento estetico, o il distacco
dei denti artificiali, la frattura dei framework di supporto, e l’allentamento delle viti
di fissaggio.
Non sono segnalate differenze significative al variare del tipo di lega metallica
utilizzata per le strutture, ovvero lega nobile vs. lega non nobile (Fischer & Stenberg
2013; Purcell et al. 2008; Teigen & Jokstad, 2012).
5.3.e ZIRCONIA CERAMICA
Come per la metallo ceramica, test in vitro hanno mostrato come corone stratificate
direttamente avvitate sembrano essere meno resistenti alla frattura rispetto a corone
cementate (Nogueira et al. 2016).
35
Dal punto di vista biomeccanico, la CI presenta minore resistenza intrinseca della
componentistica protesica. Qualora si usino pilastri in zirconia è consigliabile
scegliere quelli con ingaggio metallico (normalmente vengono utilizzati inserti in
titanio) per aumentarne la resistenza (Muhlemann et al. , 2014; Trununger et al.,
2012).
Inoltre, è stato ipotizzato un meccanismo di usura dell’ingaggio antirotazionale delle
fixture da parte delle strutture in zirconia. Questo fenomeno potrebbe potenzialmente
portare alla perdita di efficacia del dispositivo antirotazionale, con la conseguente
maggiore facilità di allentamento delle viti di fissaggio, ed una apertura di microgap
indesiderati (Cavusoglu et al. 2014; Stimmelmayr et al, 2012).
Sono presenti pochi dati in letteratura riguardo l’utilizzo di ponti direttamente avvitati
agli impianti. Le connessioni rotanti interamente in zirconia utilizzate per
solidarizzare più impianti tra loro sembrano essere in grado di sopportare le
sollecitazioni meccaniche. Le complicazioni più frequenti sono allentamento delle
viti di fissaggio, chipping, e frattura del framework (Kolgeci et al. 2014).
Le modifiche introdotte a livello del disegno delle strutture in zirconia al fine di
migliorare il supporto del materiale di rivestimento e dei protocolli di fabbricazione,
in particolare dei cicli termici dei manufatti, hanno portato a ridurre l’incidenza del
chipping analogamente a quanto è avvenuto per le protesi fisse a sostegno dentale.
(Al-Amleh et al. 2010)
5.3.f Zirconia Monolitica
Sono stati recentemente introdotti sul mercato manufatti monolitici in zirconia che
possono essere direttamente avvitati alla fixture o cementati in laboratorio su appositi
links di transizione in titanio. Data l’assenza di materiale di rivestimento viene in
questo modo superato il problema del chipping dello stesso ed i primi risultati
sembrano promettenti (Venezia et al.2015); rimangono tuttavia valide le
36
considerazioni che riguardano il comportamento meccanico delle strutture in
zirconia.
Per questo tipo di applicazione è stata inoltre sviluppata una forma di zirconia
traslucente con una resa estetica migliore (a discapito però della resistenza
meccanica del materiale) che può essere pigmentata al fine di migliorare
ulteriormente l’integrazione estetica.
A causa della scarsità di dati ancora disponibili in letteratura non è ancora possibile
trarre conclusioni in merito all’utilizzo clinico a lungo termine di questo tipo di
restauro.
5.3.g Disilicato di Litio Monolitico
Parallelamente alla introduzione della zirconia monolitica è stato introdotto anche il
disilicato monolitico, con proprietà meccaniche inferiori a quelle della zirconia,
adatto quindi esclusivamente alla fabbricazione di corone singole cementate in
laboratorio su link di transizione in titanio e avvitate alla piattaforma implantare. Il
disilicato è stato anche utilizzato per sostituire il materiale di rivestimento acrilico su
strutture in zirconia o titanio (Fabbri et al. 2014).
A causa della scarsità di dati ancora disponibili in letteratura non è ancora possibile
trarre conclusioni in merito all’utilizzo clinico a lungo termine di questo tipo di
restauro.
NOTA DEGLI AUTORI:
si ringrazia il Dott. Gaetano Noè per la concessione della parte iconografica
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