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Università per Stranieri “Dante Alighieri” REGGIO CALABRIA
Reggio Calabria
Anno Accademico 2015-2016
____________________________
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SOCIETA’ E DELLA FORMAZIONE
D’AREA MEDITERRANEA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
“Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali d’area mediterranea”
___________________________________________________________
TITOLO TESI
RISVOLTI SOCIALI ED IMPLICAZIONI PSICOLOGICHE DEL DISTURBO DA DISMORFISMO
CORPOREO. QUANDO LO SPECCHIO DIVENTA UN’OSSESSIONE.
Tesi di Laurea di: Relatore:
Mordà Marin Francesco Chiar.mo
Prof. Vincenzo Maria Romeo
___________________________________________________________
1
INDICE
INTRODUZIONE………………………………………………………Pag. 3
Capitolo 1: IL DISMORFISMO CORPOREO……………….………...Pag. 4
1.1 L’origine del disturbo……………………………………………… Pag. 4
1.2 Cosa si intende per “dismorfismo corporeo” ………..…………….. Pag. 16
1.3 Come riconoscere il disturbo: diagnosi e sue caratteristiche.…….....Pag. 25
1.4 La chirurgia estetica………………...…………………………….... Pag. 33
1.5 Il dismorfismo corporeo legato allo sport……...…………………... Pag. 38
Capitolo 2: I DATI STATISTICI …………………...………………….Pag. 48
2.1 L’eziopatogenesi del disturbo da dismorfismo corporeo…………....Pag. 48
2.2 Fenomenologia e demografia del disturbo....………………………..Pag. 54
2.3 Le teorie cognitive-comportamentali………………………………. Pag. 56
2.4 Fattori predisponenti, scatenanti e di mantenimento nel DDC……...Pag. 63
2.4.1 Le possibili conseguenze del disturbo………………………..Pag. 72
Capitolo 3: PREVENZIONE, CURA E
TRATTAMENTO DEL DDC…………………………………………. Pag. 87
3.1 Prevenzione e trattamento del DDC………………..……………… Pag. 87
3.2 Gli strumenti di valutazione del disturbo……………………….…. Pag. 94
2
3.2.1 Un nuovo strumento digitale: il Body Image Revealer………Pag. 107
3.3 La terapia cognitivo-comportamentale……………………………...Pag. 111
3.4 La terapia psicofarmacologica del DDC……………………………Pag. 122
CONCLUSIONI………………………………………………………...Pag. 128
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………..Pag. 129
SITOGRAFIA…………………………………………………………..Pag. 137
3
INTRODUZIONE
La motivazione che mi ha spinto ad affrontare il tema del disturbo da dismorfismo
corporeo consiste nel fatto che esso lo ritengo un “problema comune”, nel senso che a
parer mio è un disturbo abbastanza “subdolo” ed allo stesso tempo molto diffuso tra la
popolazione specialmente tra i giovani, infatti come sappiamo è proprio tra questi ultimi
che si manifestano i sintomi di tale disturbo.
Nel primo capitolo parlo dell’immagine corporea citando alcuni autori tra cui uno dei più
importanti, ovvero Slade che nel 1935 descrive l’immagine corporea come la percezione
che ognuno di noi ha di sé stessi nella propria mente; successivamente parlerò del disturbo
da dismorfismo corporeo dal punto di vista storico e cioè i vari studi che sono stai effettuati
su quest’ultimo. Fatto ciò ho voluto parlare delle caratteristiche del disturbo e soprattutto
come diagnosticarlo; in seguito trattato l’argomento del disturbo da dismorfismo corporeo
legato sia alla chirurgia estetica che allo sport.
Il secondo capitolo l’ho voluto dedicare interamente ai dati statistici (come si può dedurre
dal nome del capitolo stesso) descrivendo in linee generali l’evoluzione e allo stesso tempo
la diffusione di questo disturbo tra la popolazione evidenziando come alcuni soggetti siano
predisposti ad avere tale disturbo rispetto ad altri. Per concludere il capitolo ho dedicato un
sotto paragrafo su quella che può essere potenzialmente una conseguenza a cui può portare
questo disturbo, ovvero il suicidio; è un particolare molto forte e molto difficile da trattare
anche perché secondo dati statistici ciò avviene, purtroppo, maggiormente nella fase
dell’adolescenza: come sappiamo è una fase della vita molto delicata e molto complicata e
questo disturbo se non trattato precocemente può spingere il soggetto a questa terribile
conseguenza.
Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, parlo dei vari strumenti di valutazione, ovvero quegli
strumenti attraverso i quali è possibile individuare il disturbo in un soggetto e soprattutto
(cosa più importante) attraverso i quali è possibile stabilire la gravità del disturbo;
successivamente parlo sugli eventuali trattamenti previsti per “curare” il disturbo da
dismorfismo corporeo o perlomeno per tentare di ridurne la sintomatologia.
4
CAPITOLO 1: IL DISMORFISMO CORPOREO.
1.1 L’ORIGINE DEL DISTURBO.
L’immagine corporea è un costrutto multidimensionale caratterizzato dalle percezioni e
valutazioni dell’individuo in merito al proprio aspetto fisico (Cash e Pruzinsky, 2002).
Essa non è una struttura innata e preformata, fissa e statica, ma “è una struttura del nostro
essere altamente dinamica, dipendente dalla maturazione del sistema nervoso, dai vissuti
psico-emotivi, dal livello di percezione senso-motoria, dai processi resi possibili
dall’esperienza e dal continuo apprendimento motorio e posturale; essa opera sia a livello
della coscienza sia al di fuori della nostra consapevolezza, nel privato e nello spazio
sociale”. Quindi è qualcosa che va al di là della bellezza esteriore, il fascino dell’aspetto
fisico, la forma estetica o semplicemente l’apparenza: è proprio Slade uno dei principali
studiosi del dismorfismo corporeo che nel 1935 nella sua opera “L’immagine del corpo
umano” definisce l’immagine corporea come l’immagine del proprio corpo nella propria
mente ovvero il modo in cui il corpo appare a sé stessi. Negli anni seguenti ci sono stati
altri psicologi che hanno definito l’immagine corpora come ad esempio Piaget, il quale nel
1945 decide di affrontare il problema dal punto di vista psicogenetico: secondo l’autore il
bambino possiede sin dalla nascita dei meccanismi riflessi ed automatici dovuti ad alcuni
stimoli che ne determinano un comportamento istintivo ed innato. Un altro autore che si
occupa di definire l’IC (l’immagine corporea) è De Ajuiriguerra che nel 1973 definisce,
appunto, l’immagine corporea come la rappresentazione che l’uomo ha del proprio corpo
in posizione statica o dinamica; per egli, quindi, l’immagine corporea si costruisce
attraverso un processo cognitivo-affettivo-esperienziale che deriva dall’integrazione dei
dati sensoriali ed affettivi e dalla localizzazione delle posture e dei movimenti nello spazio.
Un altro studioso importante che si è occupato dell’immagine corporea è Le Boulch il
quale nel 1975 descrive l’immagine corporea come una conoscenza immediata del nostro
corpo allo stato statico oppure in movimento, nel rapporto delle sue diverse parti tra di loro
e nei suoi rapporti con lo spazio che lo circonda. In seguito, nel 1994, Slade tende a
spiegare l’immagine corporea più dettagliatamente definendola come “l’immagine che
abbiamo nella nostra mente della forma, dimensione, taglia del nostro corpo e i sentimenti
che proviamo rispetto a queste caratteristiche e rispetto alle singole parti del nostro corpo”.
Ciò significa che egli definisce l’immagine corporea come la rappresentazione soggettiva
5
che ogni persona ha del proprio corpo1. La maggior parte delle ricerche sull’immagine
corporea si sono occupate delle distorsioni percettive e dell’insoddisfazione corporea
considerando che è ampliamente dimostrato come un’immagine di sé positiva sia associata
a diversi indicatori importanti di equilibrio emotivo, somatico e di adattamento sociale ed è
strettamente correlata ad una buona autostima e sicurezza personale, mentre un’’immagine
corporea vista negativamente sarà correlata a fattori quali ansia e depressione. Potremmo
quindi dire che se un’immagine corporea è positiva allora essa esprime un rapporto
positivo col il proprio corpo e costituisce un indicatore del benessere psicofisico, mentre se
è negativa essa esprime un rapporto negativo causando disagio e costituendo un fattore
predisponente lo sviluppo di patologie.
Ad oggi l’immagine corporea viene definita prendendo in considerazione due dimensioni
fondamentali: quella topografica e quella emotiva. Alla dimensione topografica appartiene
il concetto di “schema del corpo”, una sorta di mappa che ciascuno di noi si crea durante lo
sviluppo delle singole aree del corpo. Questa mappa, ovviamente, può non essere
completamente accurata, in quanto spesso è influenzata (a volte in maniera persistente e
negativamente) dalla seconda componente ovvero quella emotiva. La dimensione emotiva,
infatti, comprende l’insieme di valutazioni e di sentimenti relativi a parti del corpo e al
corpo in generale. Queste due dimensioni appena descritte sono interdipendenti in quanto i
sentimenti sulle forme corporee influenzano la percezione di quest’ultime e viceversa,
quindi possiamo dedurre che queste due dimensioni vanno di pari passo tra loro. Da tale
reciproca influenza deriva l’immagine corporea: nelle persone che soffrono di disturbi
alimentari, ad esempio, si osserva la presenza concomitante di percezioni delle proprie
forme fisiche e del giudizio negativo su di esse.
Ma come avviene la costruzione dell’immagine corporea e quando? La costruzione
dell’immagine corporea è un processo che inizia già nei primi mesi e che continua a
svilupparsi, per tappe, durante tutto l’arco della vita. La prima grande “conquista” avviene
entro il terzo anno di età, periodo in cui il bambino inizia a stabilire la “coscienza di sé”
che rende possibile, tra l’altro, il riconoscimento della propria immagine allo specchio. In
seguito, fra il terzo ed il quarto anno di età il bambino prende coscienza del fatto che il
corpo degli altri è formato dalle sue stesse parti e successivamente, generalmente dopo i sei
anni, si precisa l’orientamento spazio-temporale e di conseguenza prende consapevolezza
del fatto che il proprio corpo occupa un certo spazio e che in diversi momenti può occupare
spazi assumendo forme differenti. Anche se raramente, a questa età si iniziano ad avere i
1 http://www.istitutomiller.it/psicoterapia-adulti/psicoterapia-disturbi-immagine-corporea.html
6
primi disturbi alimentari che generalmente sono quelli che hanno un decorso peggiore con
una elevatissima probabilità di cronicizzarsi; ne deriva pertanto che l’età d’insorgenza è un
importantissimo fattore di prognosi. Con l’inizio dell’età adolescenziale, infine, il corpo
subisce tutta una serie di trasformazioni rilevanti: nei maschi per esempio la voce diventa
più profonda, la pelle del viso si irruvidisce e compare la barba, compaiono peli anche
sotto le ascelle, sul petto e sulle gambe. Nelle femmine i fianchi tendono ad allargarsi e
possono comparire cellulite e accumulo di adipe; aumenta, inoltre, la peluria nella zona
dell’inguine, delle ascelle e delle gambe. Proprio per via di tali trasformazioni è normale
che in questo periodo della vita avvenga una sorta di stravolgimento dell’immagine
corporea; non è un caso, in effetti, che la maggior parte di coloro che soffrono di un
disturbo alimentare lo sviluppino proprio in adolescenza. Il Disturbo di Dismorfismo
Corporeo (DDC) è entrato a far parte dei disturbi psicologi solo in epoca recente, infatti la
sua inclusione nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) risale al
1987. In realtà è un problema già conosciuto da più di un secolo, tanto che già agli inizi del
Novecento veniva descritto da studiosi come Emil Kraepelin (psichiatra e psicologo
tedesco) come una nevrosi compulsiva.
Il disturbo da dismorfismo corporeo è il “nuovo nome” di una “vecchia sindrome” la quale
è stata a lungo descritta nella letteratura europea, russa e giapponese sotto una varietà di
nomi tant’è vero che era più comunemente chiamato “dismorfofobia”, un termine coniato
da uno dei primi psichiatri che si occupò del DDC Enrico Morselli circa cento anni fa2.
Sebbene il termine “dismorfofobia” è stato usato in vari modi3, è stato generalmente
definito come un sentimento del tutto soggettivo di bruttezza o difetto fisico che il paziente
pensa sia evidente agli altri, a dispetto di una normale apparenza. Secondo Philippopoulos4
(noto psichiatra greco) questo termine viene da “dysmorfia”, una parola greca che significa
“bruttezza”, specificamente della faccia ed è apparso per la prima volta nell’opera
“Histories of Herodotus” riferendosi al mito della ragazza più brutta di Sparta la quale
veniva portata al santuario ogni giorno dalla sua infermiera in modo tale da essere
“liberata” dalla sua bruttezza. Emil Kraepelin5 e Pierre Marie Félix Janet 6(psicologo e
filosofo francese che operò tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo) sono tra gli
psicologi europei di fine secolo che hanno descritto la sindrome dismorfofobica. Kraepelin
2 Morselli E.: “Sulla dismorfofobia e sulla tafofobia”. Bollettino della R accademia di Genova 1891; 6:110-
119. 3 Munro A., Stewart M.: “Body dysmorphic disorder and the DSM-IV: the demise of dysmorphophobia.”
Can J Psychiatry 1991; 36:91-96. 4 Philippopoulos G. S.: “The analysis of a case of dysmorphophobia.” Can J Psychiatry 1979; 24:397-401. 5 Kraepelin E.: “Psychiatrie”, 8th ed. Leipzig, J. A. Barth, 1909-1915. 6 Janet P.: “Les obsessions et la psychiatrie.” Paris, Felix Alcan, 1903.
7
credeva che la natura persistente ego distonica dei sintomi dismorfofobici garantiva la sua
classificazione come una nevrosi compulsiva; similarmente Janet classificò l’ossessione
con la vergogna del corpo entro una larga scala di sindromi simili al disturbo ossessivo-
compulsivo. Quest’ultimo credeva che tale preoccupazione era relativamente comune ed
egli enfatizzò l’estrema vergogna sperimentata da questi individui i quali temevano di
essere “brutti e ridicoli”. Un classico caso di dismorfofobia riguarda un paziente che ha
avuto precedentemente una nevrosi compulsiva analizzata da Freud; il soggetto “ha
trascurato la sua vita giornaliera ed il lavoro perché era troppo preoccupato per lo stato del
suo naso.”; in poche parole “La sua vita era centrata sul piccolo specchio che teneva
sempre con sé nella sua tasca, e il suo destino dipendeva da cosa esso rivelava o stava per
rivelare7. La psicoanalisi suggerì che il suo naso rappresentava il suo pene e che egli
desiderò di essere castrato e trasformato in una donna; un suo sintomo era anche
l’identificazione con sua madre attraverso il riflesso, in parte perché il suo esordio si è
verificato subito dopo aver visto una verruca sul naso di lei”.
“La bellezza dell’ipocondria” e “un soggetto preoccupato di essere brutto” sono due
concetti simili, usati da Jahrreiss nel 1930 e discussi da Ladee nel 19668, il quale catturò
alcune delle qualità centrali del disturbo da dismorfismo corporeo nella sua descrizione
della bellezza dell’ipocondria affermando che:” la preoccupazione è talmente centrata su
un aspetto dell’apparenza corporea, la quale è sperimentata come deformata, repulsiva,
inaccettabile o ridicola, che l’intera esistenza di un individuo è dominata da questa
preoccupazione e nient’altro ha più nessun significato; le caratteristiche di questa
preoccupazione erano il naso, i denti, la pelle e i capelli.”. Inoltre “l’ipocondria
dermatologica”9 è un altro termine usato per descrivere un disturbo dimorfico del corpo
come la sindrome che si focalizza su “difetti” della pelle e dei capelli. Nel 1949, Stekel10
(noto medico, psicologo e psicoanalista austriaco) scrisse sul “peculiare gruppo delle idee
compulsive che interessano il corpo.”. Secondo lo studioso ci sono persone che si
occupano di loro stesse continuamente con una specifica parte del corpo: in un caso è il
naso; in un altro caso è la testa pelata; in un terzo caso l’orecchio, gli occhi, oppure (nelle
donne) il seno, i genitali, ecc. Questi pensieri ossessivi sono molto tormentosi.
Sebbene nella letteratura europea la dismorfofobia e i suoi equivalenti erano generalmente
7 Brunswick R. M.: “A supplement to Freud’s “History of an Infantile Neurosis.” Int J Psichoanal 1928;
9:439-476. 8 Ladee G. A.: “Hypochondriacal Syndromes.” Amsterdam, Elsevier, 1966. 9 Zaidens S. H.: “Dermatologic hypochondriasis: a form of schizophrenia.” Psychosom Med 1950; 12:250-
253. 10 Stekel W.: “Compulsion and Doubt.”. Translated by Gutheil E. A. New York, Liveright, 1949.
8
riferiti ad una preoccupazione non delirante, il termine era anche usato per descrivere una
preoccupazione di intensità delirante; in quanto tale, esso fu anche classificato come una
delle psicosi ipocondriache monosintomatiche. Questi disturbi psicotici consistono in una
singola credenza delirante di natura somatica, di solito in assenza di altri sintomi psicotici
prominenti e sono così simili al disturbo delirante, di tipo somatico, descritto nel DSM-III-
R nel 1987; gli altri due sintomi ipocondriaci monosintomatici comuni sono i deliri di
parassitosi (la credenza di un individuo di essere infettato da parassiti o altri insetti nocivi)
e la sindrome di riferimento olfattivo, o deliri di bromidrosi (la credenza che una persona
ha di emettere un fastidioso odore corporeo). Questa versione psicotica di dismorfofobia è
stata anche chiamata “deliri da dismorfofobia”11; il primo concetto di dismorfofobia entrò
nella nosologia psichiatrica del DSM-III-R ma come un esempio di un disturbo
somatoforme atipico e senza criteri diagnostici. Le sue versioni deliranti e non deliranti
non furono differenziate, la versione delirante inoltre non sembra avere un posto specifico
all’interno del DSM-III; esso, inoltre, potrebbe essere stato diagnosticato come un disturbo
somatoforme atipico o forse come una psicosi atipica12 oppure ancora come un disturbo
paranoide atipico13, le ultime similitudini tra l’ipocondria monosintomatica e il concetto di
paranoia di Kraepelin14. La dismorfofobia fu concordata per distinguere lo stato
diagnostico nel DSM-III il quale lo chiama disturbo dismorfobico del corpo e annota che il
termine “dismorfofobia” non è un termine appropriato perché il disturbo non implica
l’evitamento fobico15. Dietrich16 (noto psichiatra tedesco) nel 1962 attraverso l’opera
“Über dysmorphophobie”, tuttavia, giustificò l’uso del termine “dismorfofobia” sulla base
della paura dei pazienti del ridicolo e che turbano gli altri con la loro bruttezza. A
differenza del DSM-III, il DSM-III-R distingue il disturbo dismorfobico del corpo non
delirante dal disturbo delirante di tipo somatico (un nuovo tipo di disturbo delirante nel
DSM-III-R) il quale è classificato come un disturbo psicotico. Sebbene distinguere un
pensiero delirante da un pensiero non delirante di un disturbo dismorfobico corporeo può
11 Bishop E. R.: “Monosymptomatic hypochondriasis.” Psychosomatics 1980; 21:731-747. 12 Ross C. A., Siddiqui A. R., Matas M.: “DSM-III: problems in diagnosis of paranoia and obsessive-
compulsive disorder.” Can J Psychiatry 1987; 32:146-148. 13 Sondheimer A.: “Clomipramine treatment of delusional disorder-somatic type.” J Am Acad Child Adolesc
Psychiatry 1988; 27:188-192. 14 Munro A.: “Delusional (paranoid) disorders.” Can J Psychiatry 1988; 33:399-404. 15 Schachter M: Nevroses dysmorphiques (complexes de laideur) et délire ou conviction délirante de
dysmorphie.” Ann Med Psychiatry 1987; 32:146-148. 16 Dietrich H.:” Über dysmorphophobie (missgestaltfurcht).” Arch Psychiatr Zeit Neurol 1962; 203:511-518.
9
essere estremamente difficile, alcuni autori17 18 hanno affermato che questa distinzione è
importante in quanto potrebbe comportare implicazioni nel corso del trattamento del
disturbo. Da una prospettiva psicologica, alcuni autori hanno suggerito che il disturbo da
dismorfismo corporeo insorge da uno spostamento inconscio di un conflitto sessuale o
emotivo oppure da un sentimento di inferiorità, colpevolezza, oppure una scarsa immagine
di sé su una parte del corpo; allo stesso modo, i sintomi corporali possono difendersi contro
una scarsa identità19 o riflettendo un deficit sottostante e un disturbo nella comunicazione
interpersonale20. Parecchi autori hanno suggerito che la parte del corpo prescelta può
essere simbolica di un’altra parte del corpo- per esempio il naso può simbolizzare
impotenza21-; alcuni pazienti possono identificare la parte del corpo prescelta con quella di
un’altra persona22, spesso un genitore. Philippopoulos nel 1979 suggerì che la paura di una
donna di essere brutta e repulsiva potrebbe verificarsi con il cedere alle tentazioni sessuali;
altri autori hanno suggerito che i desideri incestuosi e l’angoscia di castrazione sono motivi
inconsci nello sviluppo dei sintomi.
Sfondi familiari disarmonici ed esperienze infantili sfavorevoli spesso e volentieri
producono sentimenti come ad esempio non essere amato, essere insicuro e rifiutato così
come essere preso in giro per l’aspetto fisico sono stati considerati aspetti che incidono
notevolmente. Sempre nel 1966 Ladee postulò l’importanza di una dipendenza estrema e
altamente ambivalente da uno dei genitori, solitamente la madre, da parte di chi la bellezza
fisica è stata importante e che poi applicato questo criterio di valutazione per il bambino.
Alcuni individui invidiano segretamente e paragonano sé stessi con i loro fratelli più
attraenti e/o la sorella più attraente con cui i loro genitori possono anche confrontarli.
Parecchi studiosi come Philippopoulos (1979), Cotterill (nel 1981 attraverso l’opera
“Dermatological non-disease: a common and potentially fatal disturbance of cutaneous
body image.”), Kasahara (psicologo giapponese)23, Bloch e Glue24 hanno postulato che un
17 Riding J., Munro A.: “Pimozide in the treatment of monosymptomatic hypochondriacal psychosis.” Acta
Psychiatr Scand 1975; 25:23-30. 18 Thomas C. S.: “Dysmorphophobia and monosymptomatic hypochondriasis (letter).” Am J Psychiatry
1985; 142:1121. 19 Filkestein B. A.: “Dysmorphophobia.” Dis Nerv Syst 1962; 24:365-370. 20 Strian V. F.: “Dysmorphophobie- Selbstbild und Selbistidentität.” Z Klin Psychol Psychopathol Psychoter
1984; 32:117-122. 21 Liberman R.: “A propos des dysmorphophob Ies de l’adolescent.” Rev Neuropsychiatr Infant 1974;
22:695-699. 22 Shilder P.: “The image and appereance of the human body.” New York, International Universities Press,
1950. 23 Kasahara Y.: “Social phobia in Japan and Korea: proceedings of the first cultural psychiatry symposium
between Japan and Korea.” Seoul, Korea, East Asian Academy of cultural Psychiatry, 1987. 24 Bloch S., Glue P.: “Psychotherapy and dysmorphophobia: a case report.” Br J Psychiatry 1988; 152:271-
274.
10
determinato fattore può provocare l'insorgenza dei sintomi, ad esempio un’osservazione
casuale sulla parte del corpo di cui l’individuo si preoccupa- per esempio quando al
soggetto viene detto:” Tu senza dubbio somigli a tuo padre”, “Sembri molto carino ma hai
una bocca piccola”, oppure ancora quando gli si chiede:” Perché hai la faccia metà rossa e
metà bianca?”. Hay25 ha riferito che una tale osservazione era almeno in parte responsabile
dell’insorgenza dei sintomi a 9 dei 17 pazienti; diversi casi clinici hanno notato
un’improvvisa insorgenza dei sintomi dopo un evento angosciante, come ad esempio la
relazione del coniuge oppure l’abbandono da parte di un fidanzato26.
I drammatici cambiamenti psicologi e fisici possono anche giocare un ruolo fondamentale
nello sviluppo del disturbo da dismorfismo corporeo27. Zaidens, scrivendo da una
prospettiva prettamente psicoanalitica nel 1950 nell’opera “Dermatologic
hypochondriasis: a form of schizophrenia”, credeva che i minori cambiamenti della pelle
nell’adolescenza, come ad esempio lo sviluppo dell’acne, potessero provocare i sintomi;
Zaidens teorizzò che un tale cambiamento possa portare ad un danneggiamento all’ego
vulnerabile di un individuo con una schizofrenia latente, causando un crollo dell’autostima.
La risultante “ipocondria” funge da protezione per alleviare l’ansia.
Il disturbo da dismorfismo corporeo raramente è associato a delle sindromi organiche
mentali28, sebbene alcuni autori per definizione hanno escluso i disturbi di immagine
corporea di una eziologia organica dalla loro definizione di disturbo da dismorfismo
corporeo. Come già notato, alcuni autori hanno dichiarato che il disturbo da dismorfismo
corporeo è radicato in alcuni tipi di personalità premorbose29. Altri autori come ad esempio
Andreasen suppone che può essere una variante di altri disturbi psichiatrici come ad
esempio i disturbi dell’umore, la schizofrenia, la fobia sociale oppure il disturbo ossessivo-
compulsivo. L’eziologia del disturbo da dismorfismo corporeo è più verosimilmente
complesso e difficile; come suggerì lo psichiatra Olley30: “le motivazioni sono diverse e
una spiegazione unitaria è del tutto improbabile”.
Il disturbo da dismorfismo corporeo è stato descritto per più di un secolo e sembra
identificare un gruppo di persone particolarmente angosciate la cui preoccupazione di un
25 Hay G. G.: “Dysmorphophobia.” Br J Psychiatry 1970; 116:399-406. 26 Vallat J. N., Leger J. M., Destruhout J., Garoux R.: “Dysmorphophobie: syndrome ou symptom?” Ann
Med Psychol (Paris) 1971; 2:45-65. 27 Andreasen N. C. Bardach J.: “Dysmorphophobia: symptom or disease?” Am J Psychiatry 1977; 134:673-
676. 28 Barsky A J.: “Somatoform disorders, in comprehensive textbook of psychiatry.” 5th ed., vol. 1. Edited by
Kaplan H. I., Sandock B J., Williams & Wilkins, 1989. 29 Andreasen N. C.: “Reply to K. Nakdimen: a neglected reference (letter).” Am J Psychiatry 1977;
134:1313-1314. 30 Olley P. C: “Psychiatric aspects of referral.” Br Med J 1974; 3:248-249.
11
“difetto” nel loro aspetto può portare ad una disfunzione sociale ed occupazionale così
come inutili interventi chirurgici, tuttavia è assolutamente notevole quanto poco si sappia
di questo disturbo. Malgrado la sua tradizione storica, il lavoro empirico è stato largamente
limitato a determinati rapporti e a piccoli casi; la ragione di questa negligenza, però, non è
del tutto chiara. Un fattore contribuente può essere l’omissione del disturbo da
dismorfismo corporeo, fino a poco tempo fa, dai sistemi diagnostici ufficiali. A quanto
pare ancora più importante è il fatto che il disturbo da dismorfismo corporeo sia
considerato come un disturbo “misterioso”: molti individui con il disturbo da dismorfismo
corporeo mantengono le loro preoccupazioni su loro stessi perché si sentono essere
profondamente umilianti e imbarazzanti. Molto utile sarebbe anche l’applicazione dei
criteri diagnostici operazionalizzati per selezionare i pazienti e strumenti standardizzati per
valutare la comorbidità, valutazione sistematica della storia di famiglia e di risposta al
trattamento, attenta identificazione dell’intensità di opinione ed il livello di malformazione
attuale e la valutazione prospettica. Sebbene sia generalmente sottinteso che il disturbo da
dismorfismo corporeo è un disturbo psichiatrico a sé stante, pochi autori hanno suggerito
che esso è invece un sintomo non specifico che può verificarsi in una varietà di sindromi
psichiatrici o può essere di entrambi. Thomas31 32 ha messo in evidenza questa distinzione
distinguendo la dismorfofobia primaria da quella secondaria: la dismorfofobia primaria è
equivalente alla sindrome stratta del disturbo da dismorfismo corporeo mentre la
dismorfofobia secondaria è una sindrome non specifica di una varietà di disturbi
psichiatrici sottostanti come ad esempio la schizofrenia, la depressione, ipocondria
monosintomatica, l’anoressia nervosa e le gravi nevrosi. Tuttavia, Hollander et al.33 nel
1990 affermarono che non vi è alcuna prova a supporto della dicotomia e notarono che i
loro pazienti hanno risposto ai farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina
(SSRI) a prescindere dalla natura primaria o secondaria dei loro sintomi del disturbo da
dismorfismo corporeo, mettendo in dubbio la validità di questa distinzione. Tuttavia
un’evidenza empirica per un’associazione con i disturbi somatoformi è carente come fanno
notare gli autori Ross, Siddiqui e Matas nella loro opera "DSM-III: problems in diagnosis
of paranoia and obsessive-compulsive disorder.” pubblicata nel 1987; per esempio altri
disturbi somatoformi, come il disturbo da conversione e l’ipocondria, non sono stati
descritti in comorbidità con il disturbo da dismorfismo corporeo o presente tra i membri
31 Thomas C. S.: “Dysmorphophobia: a question of definition.” Br J Psychiatry 1984; 144: 513-516. 32 Thomas C. S.: “Body-dysmorphic disorder (letter).” Am J Psychiatry 1990; 147:816-817. 33 Hollander E., Decaria C., Liebowitz M. R., Klein D. F.: “Reply to C. S. Thomas: body-dysmorphic
disorder (letter).” Am J Psychiatry 1990; 147:817.
12
all’interno del nucleo familiare dei pazienti che presentano un disturbo dismorfico, infatti,
molti autori hanno sostenuto che il disturbo da dismorfismo corporeo è correlato oppure è
una variante di uno dei disturbi non somatoformi tra cui la psicosi, i disturbi dell’umore, la
fobia sociale, ed il disturbo ossessivo-compulsivo. Alcuni hanno sottinteso che è
semplicemente un sintomo di uno di questi disturbi e quindi non un’entità diagnostica
distinta di per sé, ma molti suggeriscono che è un’entità diagnostica separata. c
ciononostante condivide caratteristiche e forse origini eziologiche con uno di questi
disturbi.
Il più forte supporto per un collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo e la
psicosi viene dalla remota letteratura europea, in cui il disturbo da dismorfismo corporeo
veniva infatti spesso classificato come una malattia psicotica (l’ipocondria
monosintomatica); in particolare, molti dei primi autori hanno considerato il disturbo da
dismorfismo corporeo un prodromo o meglio come una variante della schizofrenia, il quale
è stato riportato per coesistere con il disturbo da dismorfismo corporeo e per verificarsi nei
familiari senza schizofrenia. Tuttavia, sebbene il disturbo da dismorfismo corporeo può
spesso sembrare di intensità delirante, i sintomi schizofrenici sono spesso assenti. In
aggiunta, il concetto che il disturbo da dismorfismo corporeo è una variante della
schizofrenia si è indebolito da usi non definiti e probabilmente eccessivamente ampi del
termine “schizofrenia”. Il disturbo da dismorfismo corporeo sembra che coesista con il
disturbo dell’umore, e spesso esso risponde alla cura antidepressiva anche in assenza di
una depressione attuale; in aggiunta, una storia familiare del disturbo dell’umore esiste per
quei soggetti con disturbo da dismorfismo corporeo i quali non hanno alcun passato o
nessun disturbo dell’umore attuale. Questo suggerisce che il disturbo da dismorfismo
corporeo piuttosto che il disturbo dell’umore nei probandi può spiegare la presenza del
disturbo dell’umore in alcuni membri familiari rafforzando l’evidenza per un collegamento
tra il dismorfismo corporeo e l’umore; dall’altra parte la scarsa risposta del disturbo da
dismorfismo corporeo all’ECT (“electroconvulsive therapy”, ovvero la terapia
elettroconvulsiva) piuttosto indebolisce l’evidenza per la sua relazione al disturbo
dell’umore.
Nella letteratura giapponese e coreana il disturbo da dismorfismo corporeo è considerato
un sottotipo di uno dei più grandi gruppi di disturbi che ricorda da vicino la fobia sociale
del DSM-III-R oppure, similarmente, il disturbo evitante di personalità riflettendo una
focalizzazione degli aspetti interpersonali del disturbo da dismorfismo corporeo. Infatti
alcune delle caratteristiche associate e complicate del disturbo da dismorfismo corporeo
già notate precedentemente assomigliano agli aspetti di questi due disturbi. Tuttavia la
13
letteratura giapponese e coreana classifica alcuni pazienti con disturbo da dismorfismo
corporeo come se avessero una “grave” fobia sociale, un tipo di fobia sociale con
caratteristiche non solo ossessive e fobiche ma anche alcune caratteristiche deliranti che
non si adatta perfettamente all’interno di nessuna categoria del DSM-III-R. Sebbene il
disturbo da dismorfismo corporeo sembra condividere la tenera età di esordio e spesso il
decorso cronico con la fobia sociale34 e il disturbo evitante di personalità, una ulteriore
ricerca è servita a determinare se questi disturbi condividono tra loro altre caratteristiche
come ad esempio la comorbidità, la storia familiare oppure la storia del trattamento. Alcuni
primi autori, tra cui Morselli, Kraepelin e Janet (che abbiamo citato precedentemente)
hanno suggerito che il disturbo da dismorfismo corporeo è strettamente collegato alla
nevrosi ossessivo-compulsiva; più recentemente Tynes et al.35 nel 1990 hanno proposto
tale collegamento, e Rapoport36 nel 1989 ha descritto “la somatica ossessione-
compulsione” come un tipo di disturbo ossessivo-compulsivo che coinvolge “una
preoccupazione per una parte del corpo” come ad esempio le orecchie larghe, il che suona
molto similarmente al disturbo da dismorfismo corporeo. Una debole evidenza empirica
viene dal lavoro psicometrico precedentemente descritto da Hay nel 1970 e Hardy e
Cotterill37 nel 1982. Un supporto più forte, sebbene fosse preliminare, viene da più rapporti
di casi di coesistenza del disturbo ossessivo-compulsivo nei probandi, una storia familiare
del disturbo ossessivo-compulsivo nei pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo ma
senza disturbo ossessivo-compulsivo, stessa età dell’insorgenza e decorso simile ed una
possibile risposta degli inibitori bloccanti della serotonina, della clomipramina e della
fluoxetina. In aggiunta, i sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo sembrano
fenomenologicamente simili a quelli del pensiero ossessivo in quanto essi sono persistenti,
pensieri angosciosi che sono invadenti e difficili da ignorare o reprimere; alcuni pazienti
con il disturbo da dismorfismo corporeo hanno comportamenti compulsivi ritualistici-come
un controllo frequente allo specchio-che hanno lo scopo di diminuire il grado di ansia,
senza però riuscirci38. In un filone più speculativo, il disturbo da dismorfismo corporeo può
essere più come un disturbo ossessivo-compulsivo rispetto ai disturbi somatoformi in quel
disturbo da dismorfismo corporeo che di solito comporta un tormento interiore piuttosto
34 Mannuzza S., Fyer A. J., Liebowitz M. R., Klein D. F.: “Delineating the boundaries of social phobia: its
relationship to panic disorder and agoraphobia.” J Anxiety Disorders 1990; 4:41-59. 35 Tynes L. L., White K., Steketee G. S.: “Toward a new nosology of obsessive-compulsive disorder.” Compr
Psychiatry 1990; 31:465-480. 36 Rapoport J. L.: “The boy who couldn’t stop washing: the experience and treatment of obsessive-
compulsive disorder.” New York, E. P. Dutton, 1989. 37 Hardy G. E., Cotterill J. A.: “A study of depression and obsessionality in dysmorphophobic and psoriatic
patients.” Br J Psychiatry 1982; 140:19-22. 38 Braddock L. E.: “Dysmorphophobia in adolescence: a case report.” Br J Psychiatry 1982; 140:199-201.
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che una sofferenza pubblica di pazienti, per esempio, con ipocondria oppure disturbo da
dolore somatoforme, il quale di solito mira attivamente a coinvolgerne altri individui;
come Kenyon39 affermò nel 1976:” questi pazienti (quelli con dismorfofobia) desiderano di
apparire normali ma avvertono che gli altri notano che essi non lo sono mentre gli
ipocondriaci vogliono avvicinarsi a sé stessi dicendo si essere normali”. A questo punto,
l’evidenza per una relazione con il disturbo ossessivo-compulsivo sembra molto più
convincente- almeno per alcuni casi di disturbo da dismorfismo corporeo” - ma è
preliminare. La relazione del disturbo da dismorfismo corporeo al disturbo delirante, di
tipo somatico, e, similarmente all’ipocondria monosintomatica merita una particolare
attenzione; sebbene potrebbe essere clinicamente importante provare a distinguere questi
due disturbi, questo può essere talvolta difficile ma non impossibile. Invece, il DSM-III-R
afferma che non è chiaro che il disturbo da dismorfismo corporeo e il disturbo delirante di
tipo somatico possono essere distinti o invece sono delle varianti dello stesso disturbo.
Molti autori hanno discusso affermando che la dismorfofobia comprende sia le condizioni
psicotiche che quelle non psicotiche oppure che esso possa essere variamente espresso
come una preoccupazione, una ossessione, un’idea oppure una delusione. In supporto a
questa prospettiva i sintomi non deliranti del disturbo da dismorfismo corporeo a volte
diventano deliranti e, quando sono deliranti, possono ancora reagire alla cura degli
antidepressivi; similarmente, nonostante il suggerimento che il disturbo delirante di tipo
somatico e l’ipocondria monosintomatica può meglio rispondere al pimozide40 (un farmaco
antipsicotico), molti rapporti di casi hanno descritto la risoluzione di questi disturbi con
una cura antidepressiva, con un’ulteriore distinzione tra disturbi deliranti e quelli non
deliranti. Queste scoperte sono in armonia con la convinzione di Hollander et al. del 1990
secondo i quali i criteri del disturbo da dismorfismo corporeo dovrebbero essere in qualche
maniera allargati per includere i sintomi di entrambi i disturbi, sia di natura delirante che
non delirante. Sebbene la sovrapposizione del disturbo da dismorfismo corporeo con il
pensiero delirante sembrerebbe implicare un collegamento con la psicosi, inoltre esso è
compatibile con un collegamento con il disturbo ossessivo-compulsivo in quanto uno
spettro simile è stato proposto per questo disturbo, con gravi ossessioni essendo di
proporzioni deliranti. Tuttavia il limite del disturbo da dismorfismo corporeo con la
normalità può essere particolarmente confuso in quanto la preoccupazione con l’apparenza
fisica è quasi universale e potrebbe anche essere considerato una caratteristica di una
39 Kenyon F. E.: “Hypochondriacal states.” Br J Psychiatry 1976; 129:1-14. 40 Munro A., Chmara J.: “Monosymptomatic hypochondriacal psychosis: a diagnostic checklist based on 50
cases of the disorder.” Can J Psychiatry 1982; 27:374-376.
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normale adolescenza, infatti lo studio effettuato da Fitts et al.41 hanno scoperto che il 70%
di un campione di un college era almeno un po' insoddisfatto di alcuni aspetti della loro
apparenza, e molti soggetti in altri campioni non clinici è stato dimostrato di avere almeno
moderatamente un’immagine del corpo distorta42 43; in aggiunta i fattori culturali
influenzano come il corpo è considerato e come le sue imperfezioni ricevono così tanta
attenzione e preoccupazione. Nonostante la quasi certa esistenza di una zona di
sovrapposizione confusa tra la preoccupazione normale e quella non normale, tuttavia, c’è
chiaramente un gruppo di persone che sono eccessivamente preoccupate, gravemente
angosciate e spesso sostanzialmente indebolite dalla loro preoccupazione su una deformità
minima o addirittura non esistente, suggerendo che la preoccupazione per il corpo in questa
forma estrema può e dovrebbe essere distinta alla normale preoccupazione. Rimangono
però molti misteri e molti dubbi e molte domande a cui si tenta di dare una risposta, ad
esempio: dove questa linea di confine tra la preoccupazione normale e la preoccupazione
anormale dovrebbe essere disegnata? Il disturbo da dismorfismo corporeo è un’entità
separata? Che rapporti ha il disturbo da dismorfismo corporeo con gli altri disturbi? Alcuni
altri disturbi apparentemente simili, o delle varianti di essi, sono collegati al disturbo da
dismorfismo corporeo- come ad esempio la sindrome di riferimenti olfattivo e l’eritrofobia
(la paura di arrossire)? A questo punto possiamo dire che queste domande non hanno delle
risposte conclusive. Tuttavia, fino a quando non emerge un’evidenza, sembra che il
disturbo da dismorfismo corporeo dovrebbe restare in una categoria diagnostica separata:
sebbene abbia qualche somiglianza con il disturbo ossessivo-compulsivo, le sue
caratteristiche cliniche sono uniche e non facilmente incluse da nessun’altra categoria
psichiatrica. Il disturbo da dismorfismo corporeo e il disturbo delirante di tipo somatico
sembrano sovrapporsi in diversi importanti modi non solo per quanto riguarda i loro
sintomi il decorso e, possibilmente, l’esito del trattamento; in aggiunta è estremamente
difficile, ma non impossibile, determinare in quali di queste categorie delle preoccupazioni
cadono. Sulla base di queste somiglianze ed enigmi diagnostici sembrerebbe, come hanno
suggerito Hollander, Liebowitz, Winchel, Klumker e Klein nel 1985 attraverso l’opera
“Treatment of body dismorphic disorder with serotonin reuptake blockers”, che i criteri per
il disturbo da dismorfismo corporeo dovrebbe essere allargato per includere entrambi i
disturbi- ovvero per includere non solo i disturbi deliranti ma anche quelli non deliranti.
41 Fitts S. N., Gibson P., Redding C. A., Deiter P. J.: “Body dysmorphic disorder: implications for its validity
as a DSM-III-R clinical syndrome.” Psychol Rep 1989; 64:655-658. 42 Dolan B. M., Birtchnell S.A., Lacey J. H.: “Body image distortion in non-eating-disordered women and
men.” J Psychosomatic Res 1987; 31:513-520. 43 Thompson J. K.: “Body image disturbance: assessment and treatment.” New York, Pergamen Press, 1990.
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Questi dilemmi diagnostici diventeranno districati solo grazie ad altrettante ricerche come
quelle attualmente in corso44; una valutazione sistematica in diverse popolazioni della
fenomenologia, comorbidità, età di insorgenza, decorso, storia familiare, i segnali biologici
e l’esito del trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo può fornire indizi utili di
come questo disturbo dovrebbe essere classificato- se come somatico, psicotico,
dell’umore, oppure un disturbo d’ansia; ancora più importante, sono necessari tali dati per
guidare i medici nel riconoscere e nel trattare questo disturbo potenzialmente disabilitante
e, eventualmente, mettere luce sulla sua eziologia.
1.2 COSA SI INTENDE PER DISMORFISMO CORPOREO.
In una società in cui l’immagine è un elemento chiave del successo personale, sociale e
professionale, preoccuparsi del proprio aspetto è diventato fondamentale ed allo stesso
tempo difficile da ignorare. Senza ombra di dubbio il desiderio di piacere ed essere
apprezzati non può essere biasimato né tantomeno considerato patologico, così come non
lo è ricorrere a piccole o grandi correzioni estetiche per migliorare ulteriormente oppure
per compensare difetti oggettivi del viso o del corpo in generale. Come in tutte le cose,
però, anche nell’attenzione alla bellezza servono equilibrio e misura: due elementi a dir
poco fondamentali per discriminare tra una positiva cura di sé e l’espressione di un disagio
psicologico profondo che si esprime nella persistente insoddisfazione di come si appare. Di
fronte ad una esagerata attenzione a dettagli trascurabili del proprio aspetto ed al ripetuto
ricorso a trattamenti estetici o interventi chirurgici più o meno invasivi (dipende dai casi),
la probabilità che sia presente un disturbo di dismorfismo corporeo (in precedenza indicato
anche come una dismorfofobia o disturbo dismorfofobico) è molto elevata45. Il disturbo da
dismorfismo corporeo è una condizione cronica la quale deriva da un significativo
handicap sociale e psicologico.
L’età media di insorgenza del disturbo da dismorfismo corporeo solitamente è di 18 anni
confrontato con una gamma di 15-20 anni in altri studi e coincide con il momento in cui gli
individui sono più sensibili alla loro apparenza. La comorbidità ha incluso il disturbo
44 Phillips K.: “Body dysmorphic disorder: a report of 20 cases, in New Research Program and Abstracts,
144th annual meeting of the American Psychiatric Association.” Washington, APA 1991. 45 http://www.harmoniamentis.it/cont/enciclopedia/contenuti/3385/disturbo-dismorfismo-corporeo.html
17
dell’umore, la fobia sociale e il disturbo ossessivo compulsivo: tutti disturbi che sono stati
riportati anche da Phillips et al.46 nel 1993 e Gomez-Perez et al.47 nel 1994 sebbene questi
studi abbiano registrato una elevata prevalenza. Il disturbo da dismorfismo corporeo, che
consiste in una preoccupazione di un difetto immaginato nell’apparenza fisica, ha una ricca
tradizione nella psichiatria europea ma è in gran parte sconosciuta negli Stati Uniti
(Andreasen et al., 1977), esso è infatti nuovo al DSM-III-R. Questo disturbo poco
conosciuto, tuttavia, può essere più comune di quanto si pensi in quanto può causare grave
angoscia e menomazione ma nonostante ciò può essere trattabile. La caratteristica
essenziale del disturbo, come viene definita nel DSM-III-R, è una preoccupazione di alcuni
difetti immaginati nell’apparenza in una persona apparentemente normale, oppure, se è
presente una lieve anomalia fisica la preoccupazione è enormemente eccessiva. I pazienti
possono lamentare, per esempio, di sopracciglia dall’aspetto subdolo, un naso
eccessivamente largo oppure la testa48, piccoli genitali, oppure una bocca allungata- tutte
deformità ipotizzate dai soggetti stessi e tutte caratteristiche attraverso le quali i pazienti
sentono di essere insopportabilmente brutti. Questa preoccupazione può essere persistente
e pervasiva, portando ad un ritiro sociale così come le visite ripetute dai dermatologi e
chirurghi plastici nel tentativo di correggere il difetto immaginato.
Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando possiamo esporre un caso prendendolo
come esempio di un soggetto che soffre di questo disturbo:
Caso 1: un uomo single di 28 anni ha iniziato a preoccuparsi all’età di 18 anni per la
sottigliezza dei suoi capelli. A dispetto della rassicurazione degli altri che gli dicevano che
la sua perdita di capelli non era evidente, lui si è preoccupato di ciò per ore al giorno
diventando profondamente depresso, socialmente ritirato e incapace di frequentare le
lezioni o fare i compiti. Sebbene potrebbe riconoscere l’eccessività della sua
preoccupazione egli non era capace di fermarsi; ha visto quattro dermatologi ma non era
convinto delle loro rassicurazioni sul fatto che la sua perdita di capelli fosse minore ed il
trattamento del tutto inutile. La preoccupazione del paziente e la successiva depressione
hanno persistito per dieci anni e hanno continuato ad interferire con la sua vita sociale ed il
lavoro al punto che evita la maggior parte degli eventi sociali ad ha potuto lavorare solo
come part-time come panettiere. Solo di recente ha cercato un rinvio psichiatrico, per
46 Phillips, K. A., McElroy, S. L., Keck, P.E. et al (1993) “Body dysmorphic disorder: 30 cases of imagined
ugliness.” American Journal of psychiatry, 150, 302-308. 47 Gomez-Perez, J. C., Marks, I. M. & Gutierrez-Fisac, J- L. (1994) “Dysmorphophobia: clinical features and
outcome with behaviour therapy.” European Psychiatry, 9, 229-235. 48 Solyom L., Di Nicola V. F., Phil M., Sookman D., Luchins D.: “Is there an obsessive psychosis?
Aetiological and prognostic factors of an atypical form of obsessive-compulsive neurosis.” Can J Psychiatry
1985; 30:372-380.
18
insistenza della sua fidanzata la quale ha detto che i sui sintomi stavano rovinando la loro
relazione. Come già abbiamo accennato all’inizio del §1.1, il disturbo da dismorfismo
corporeo viene definito da Slade nel 199449 come “un’immagine che abbiamo nella nostra
testa della taglia, la forma e l’espressione del nostro corpo; e ai nostri sentimenti riguardo a
queste caratteristiche e alle nostre parti del corpo costituenti”. Secondo Slade l’immagine
corporea è quindi vista come se avesse due componenti fondamentali: una componente
percettiva (che consiste in come la persona visualizza la taglia e la forma del proprio
corpo); una componente attitudinale (ovvero quello che la persona pensa di sapere del
proprio corpo); una componente affettiva (che consiste nei sentimenti che la persona nutre
verso il proprio corpo) ed una componente comportamentale (che riguarda, ad esempio,
l’alimentazione e l’attività fisica). Slande, sempre nel 1994, ha affermato che i pazienti con
il disturbo alimentare hanno una rappresentazione mentale non ben definita della loro
immagine corporea tale che quando viene confrontata con quella dei ricercatori e medici
tendono a sovrastimare la misura del loro corpo. Egli afferma che la prova che la sovra
stimazione della misura corporea nei disturbi alimentari non è principalmente un fenomeno
in forte crescita percentuale ma allo stesso tempo è molto influenzato dall’aspetto
cognitivo e affettivo, quindi possiamo dire che il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC)
è un altro disturbo dell’immagine corporea che consiste in una preoccupazione di un
difetto immaginato nell’apparenza (Associazione Psichiatrica Americana, 1994)50 ed è
similarmente influenzato dalle variabili biologiche, cognitive, affettive, comportamentali e
culturali. Il termine “dismorfofobia” è più comunemente usato in Europa ed è tutt’ora
incluso nell’ICD-10 (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi
Sanitari Correlati) sotto le diagnosi del disturbo ipocondriaco (OMS, 1992)51.
Non ci sono modelli biologici per lo sviluppo ed il mantenimento del DDC; noi crediamo
che nessun modello di DDC necessita di essere integrato con altri disturbi dell’immagine
corporea per spiegare il motivo per cui un individuo può essere emotivamente ben adattato
per gravi ustioni oppure una grande macchia color vinaccia sul loro volto, mentre un altro
paziente ha un piccolo dosso sul naso è emotivamente disturbato e può psicologicamente
beneficiare della chirurgia estetica. Eravamo interessati quindi a costruire un modello
cognitivo-comportamentale dell’immagine corporea con un’enfasi particolare sul DDC il
che avrebbe guidato una prova pilota del trattamento. Teorie precedenti e i trattamenti
49 Slade P. D. (1994) “What is body image?” Behaviour research and therapy, 32, 497-502. 50 American Psychiatric Association (1994). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (4th ed.).
Washington: American Psychiatric Association. 51 World Health Organization (1992). The ICD-10. Classification of Mental and Behavioural Disorders.
Ginevra: World Health Organization.
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manuali dell’immagine corporea hanno sempre teso a focalizzarsi sui pazienti con i
disturbi alimentari oppure su quelle persone che sono preoccupate per il loro peso e la loro
forma. I particolari gruppi dei disturbi dell’immagine corporea che sembrano essere
rilevanti al nostro dibattito sono:
1. Pazienti con disturbi deliranti di tipo somatico (DDST) in aggiunta al DDC
indirizzato da alcuni autori52 come un “sottotipo” psicotico di DDC.
2. Pazienti con “reali” deformazioni i quali non cercano di ricorrere alla chirurgia
estetica o per i quali la chirurgia estetica non offre alcun aiuto e sono emotivamente
angosciate con la probabilità di tratte beneficio dalla chirurgia estetica.
3. I soggetti con “reali” deformazioni i quali non cercano di ricorrere alla chirurgia
estetica o per i quali la chirurgia estetica non offre alcun aiuto e sono emotivamente
ben adeguati.
4. Controlli che affermano che i soggetti non hanno alcuna deformazione.
Tornando al disturbo da dismorfismo corporeo, esso rientra attualmente nella categoria
diagnostica dei disturbi ossessivo-compulsivi; nello specifico la caratteristica fondamentale
del dismorfismo corporeo in una preoccupazione eccessiva per un difetto (reale oppure
immaginario) nell’aspetto fisico o comunque una risposta ansiosa eccessiva e protratta nel
tempo rispetto all’eventuale presenza del difetto. La persona affetta da dismorfismo
corporeo tende a focalizzare l’attenzione sul “difetto” il quale tende, di conseguenza, a
diventare il pensiero dominante nella vita quotidiana fino a coinvolgere inevitabilmente
tutti gli ambiti del soggetto tra cui ad esempio vita sociale, le relazioni interpersonali, il
lavoro ecc.; poco dopo la persona inizierà a pensare che la propria vita non sia
soddisfacente e che tutto sia a causa esclusivamente del proprio problema di natura fisica.
L’importanza di una buona immagine corporea di sé ed il rilievo culturale che viene dato
all’aspetto fisico possono in qualche maniera influenzare o addirittura accrescere le
preoccupazioni già esistenti circa un supposto difetto fisico ma non sono nelle condizioni
necessarie per la comprensione dell’eziopatogenetica del disturbo; solitamente questo
disturbo, infatti, viene riscontrato in egual modo sia nel sesso maschile che in quello
femminile ed è inoltre importante sottolineare che l’età di insorgenza di tale disturbo è da
ricondurre nell’adolescenza anche se spesso il problema emerge dopo anni. Il disturbo da
dismorfismo corporeo, come abbiamo già accennato precedentemente, consiste in una
preoccupazione con un difetto immaginato nell’apparenza; se è presente anche una lieve
52 McElroy S. L., Phillips K. A., Keck P. E. Jr., Hudson J. I. & Pope H. G. (1993). “Body dysmorphic
disorder: does it have a psychotic subtype?” Journal of clinical psychiatry, 54, 389-395.
20
anomalia, la preoccupazione della persona diventa notevolmente eccessivo. Questo studio
ha due scopi fondamentali: il primo che consiste nel condurre uno studio sui pazienti che
soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo nel Regno Unito usando un’intervista clinica
strutturata per il DSM-III-R, con uno sguardo specifico ai dati demografici, al decorso
della malattia, al ricorso ad un aiuto precedente e alle convinzioni riguardo i deficit; il
secondo consiste nel confrontare i risultati ottenuti sull’esame del disturbo da dismorfismo
corporeo53 con una versione modificata della scala ossessivo-compulsivo Yale-Brown in
questo gruppo di persone affette da disturbo da dismorfismo corporeo.
Per soddisfare i criteri diagnostici per il DSM-IV, la preoccupazione deve causare un
disagio clinicamente significativo oppure una menomazione nelle funzioni sociali,
occupazionali oppure altri ambiti di funzionamento. Il disturbo da dismorfismo corporeo
era precedentemente conosciuto con il termine di “dismorfofobia” e fu originariamente
coniato da Morselli nel 1886 per descrivere una sensazione soggettiva di deformità o di
difetto fisico, per la quale il paziente ritiene di essere notato dagli altri, nonostante il suo
aspetto rientri nella norma; nel DSM-IV se la convinzione è di intensità delirante il
paziente riceverebbe una diagnosi aggiuntiva di “disturbo delirante di tipo somatico” ma
c’è di più: nell’ICD-10 (OMS,1992) la dismorfofobia non delirante è inclusa nella diagnosi
del disturbo ipocondriaco, mentre, se la convinzione è di intensità delirante viene fornita la
diagnosi di “altri disturbi deliranti persistenti”. C’è stata una breve ricerca nel disturbo da
dismorfismo corporeo difficile da interpretare tant’è vero che il vecchio termine
“dismorfofobia” viene usato tantissimi modi differenti; l’unico studio trasversale ad oggi
che ha utilizzato un colloquio diagnostico strutturato è stato effettuato negli Stati Uniti da
Phillips e nel Regno Unito da Thomas, essi hanno condotto studi del disturbo da
dismorfismo corporeo i quali hanno soddisfatto i criteri diagnostici del DSM-IV. I soggetti
erano, tuttavia differenti da quelli descritti negli altri studi poiché prima di tutto essi erano
tutte femmine e secondariamente si comportavano più similarmente al gruppo di soggetti
con disturbi alimentari.
Dopo aver parlando del disturbo da dismorfismo corporeo in generale descrivendolo nelle
sua varie forme andiamo ora ad evidenziare quali sono i principali fattori che portano
all’insorgenza di questo disturbo; i principali ordini di fattori che influenzano, appunto,
l’insorgere di un’immagine corporea negativa e quindi del disturbo sono 354 e sono:
53 Rosen J. C., Reiter J. & Orosan P. (1995). “Cognitive behavioural body image therapy for body
dysmorphic disorder.” Journal of consulting and clinical psychology, 63, 263-269. 54 http://www.psicologo-parma-reggioemilia.com/percezione_immagine_corporea_negativa.html
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1) I fattori sociali: tra questi il più importante è rappresentato dall’insieme di norme
culturali sul fisico e sulla bellezza. Nella nostra epoca, per svariate ragioni, viene
promossa l’immagine di un corpo (soprattutto l’immagine femminile) asciutto,
magro e quindi quasi privo di forme; ciò può essere molto difficile per un
adolescente riuscire ad accettare i naturali processi evolutivi, quei processi di
maturazione corporea che portano l’individuo col passare del tempo ad
assomigliare ad un adulto. Il secondo fattore sociale rilevante è la perdita dello
status di “bambino”: per alcuni adolescenti può essere difficile accettare la nuova
immagine corporea se quest’ultima è associata alla perdita di attenzioni e di cure
che da piccoli erano loro destinate soprattutto da parte dei genitori.
2) I fattori cognitivi: tra questi il più rilevante è la tendenza a distorcere la percezione
delle proprie forme; abbiamo visto in precedenza come l’immagine corporea si
basi, prima di tutto, su un processo di tipo percettivo ovvero come il soggetto
percepisce il proprio corpo. Se esso non è accurato è possibile che si arrivi a
giudicare il proprio corpo come difettoso; la percezione delle forme inoltre è, a sua
volta, influenzata dalle convinzioni riguardo a proporzioni ideali, più esse sono
rigide, maggiore sarà la possibilità di sviluppare un’immagine corporea del tutto
negativa. Ciò è ancor più probabile in presenza del cosiddetto “perfezionismo”,
infatti più si cerca di andare verso il perfezionismo, più si crederà di dover fare
qualcosa per migliorare un corpo altrimenti inadeguato.
3) I fattori emotivi: tra questi vi sono l’autostima ed il senso di adeguatezza. Come
sappiamo questi due fattori fondamentali cominciano a svilupparsi già nel periodo
dell’infanzia e dipendono chiaramente da tanti fattori che vanno da quello biologico
(esempio tipico è il temperamento di un individuo) a quello psicologico oppure
addirittura a quello familiare; chiaramente qui ci occupiamo dell’influenza che
l’autostima e il senso di adeguatezza possono avere sullo sviluppo di un’immagine
corporea. Implicando un giudizio del tutto negativo su di sé, infatti, entrambi i
fattori possono portare il ragazzo (oppure la ragazza) a generalizzare questo
giudizio del proprio corpo tentando di modificare l’aspetto adottando ad esempio
delle diete drastiche e restrittive (quasi sempre implicate nell’insorgenza di disturbi
alimentari) accompagnate dallo svolgimento di attività fisica (spesso in maniera
troppo eccessiva).
In comune con altre teorie cognitive comportamentali, si propone che gli schemi di base
dei pazienti che soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo si sviluppa attraverso un
22
miscuglio di predisposizioni biologiche, le esperienze della prima infanzia e i fattori
culturali; le esperienze della prima infanzia potrebbero includere fattori generali che
predispongono l’individuo verso una scarsa stima di sé stesso. Abbiamo già discusso
l’importante fattore di attrazione fisica nel trovare un partner: avere la paura di un rifiuto
(specialmente durante l’adolescenza) è probabilmente biologicamente istintivo55; un
incremento del desiderio biologico dell’estetica in termini di un bisogno per la simmetria
oppure per la misura delle caratteristiche sessuali nell’apparenza di un soggetto
predisporrebbe inoltre un individuo verso il disturbo da dismorfismo corporeo. Il modello
suggerisce che una volta sviluppato il disturbo, un soggetto si occupa selettivamente del
difetto percepito e sviluppa un’intensa e più accurata immagine corporea con tutte le sue
imperfezioni; i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo inoltre diventano
eccessivamente vigilanti per qualsiasi altro cambiamento che possa ricorrere nella loro
apparenza. Si ipotizza che i pazienti con il disturbo da dismorfismo corporeo paragonano
la loro immagine corporea percepita con un impossibile ideale di perfezione che essi
pretendono; la larga discrepanza tra l’immagine corporea percepita ed il traguardo illusorio
è associato all’angoscia emotiva, inoltre il significato di questa discrepanza diventa distorta
a causa della proporzione della sua importanza e consolidato dalle ipotesi riguardo
l’importanza dell’apparenza. In comune con altri disturbi emotivi, i pazienti affetti da
disturbo da dismorfismo corporeo tendono ad ignorare oppure a distorcere l’informazione
che ha poco a che vedere con le loro convinzioni56. L’elaborazione delle informazioni è
anche più probabile che sia distorto quando ci sono elevati livelli di eccitazione come ad
esempio nelle situazioni sociali oppure quando esaminano loro stessi di fronte ad uno
specchio.
Si è ipotizzato che la discrepanza tra l’immagine corporea percepita e l’immagine corporea
ideale dovrebbe essere:
1. Maggiore nei pazienti con un disturbo delirante di tipo somatico rispetto a quelli affetti
da disturbo da dismorfismo corporeo;
2. Minore per i pazienti con deformazioni e che ricorrono alla chirurgia estetica rispetto ai
soggetti che soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo;
3. Minore anche per quei soggetti che sono deformati ma sono emotivamente ben adattati
e nonostante ciò non ricorrono alla chirurgia estetica.
55 Marks I. M. (1987). “Fears, phobias and rituals” New York: Oxford University Press. 56 Padesky C. A. (1993). “Schema as self-prejudice.” Internationa cognitive therapy newsletter, 516, 16-17.
23
L’eccessiva attenzione focalizzata su sé stessi e di conseguenza sull’immagine corporea
negativa porta la persona a presumere che le altre persone hanno esattamente la stessa
identica opinione su di loro ed inoltre porta la persona ad evitare le situazioni sociali
oppure utilizzare un mimetismo eccessivo. Poco è conosciuto sul decorso o sulla
conseguenza del disturbo da dismorfismo corporeo; sembra che la parte del corpo
interessata possa variare nel tempo e che la preoccupazione possa progredire al pensiero
delirante. Alcuni autori hanno riportato una risoluzione del disturbo (sebbene non abbiano
specificato la relazione tra il decorso ed il trattamento); tuttavia, molti casi riportati
suggeriscono che, senza trattamento, il disturbo da dismorfismo corporeo solitamente
persiste per almeno diversi anni, se non per decenni, e che i sintomi tendono ad essere
ininterrotti spesso peggiorando nel tempo.
Si può, dunque, concludere notando come il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC)
possa essere considerato un unico disturbo nel quale il pensiero di estende in un continuum
da non delirante a delirante o, similarmente, da pensieri ossessivi (con un buon insight)
attraverso l’ideazione sopravvalutata, al pensiero delirante considerando anche il fatto che
il DDC nella forma delirante risponde, come agli SSRI (“inibitori della ricaptazione della
serotonina”, una classe di farmaci che rientrano nella categoria dei cosiddetti antidepressivi
non triciclici) al pari di quello non delirante e che le due manifestazioni di disturbo da
dismorfismo corporeo sono molto simili per caratteristiche demografiche (con l’unica
differenza di minori conseguimenti scolastici nei deliranti), la tipologia della
sintomatologia (proprio perché il disturbo da dismorfismo corporeo si presenta con
maggiore gravità), il danneggiamento funzionale e qualitativo della vita dell’individuo
(anche se con numerosi tentativi di suicidio nei deliranti), la comorbidità, la storia
familiare e le elevate probabilità di remissione.
MENOMAZIONE E COMPLICAZIONI.
La letteratura enfatizza costantemente la sofferenza e la menomazione che può essere
causata dal disturbo da dismorfismo corporeo; le difficoltà nelle funzioni sociali, materiali
ed occupazionali possono incidere notevolmente nella vita del paziente tanto che essa può
essere “profondamente disturbata”. Una donna, ad esempio, con un “gonfiore facciale” ha
smesso di andare a scuola per evitare di essere vista dagli altri, oppure ancora un’altra
donna andava pericolosamente veloce con il suo motorino che ha attraversato il semaforo
rosso in modo tale che gli altri non potessero vedere i suoi eccessivi peli sul viso; un
giovane uomo usciva regolarmente solo con donne piccole e minute, pensando che il suo
24
piccolo pene non sarebbe così rilevante per una donna di bassa statura: come suggeriscono
questi casi, tale comportamento è spesso dovuto a imbarazzo riguardo il difetto
immaginato, il quale può portare all’evitamento di siti di incontri oppure contatti sessuali,
lavoro, frequentare la scuola, fare shopping, nuotare e svolgere tante altre attività.
La menomazione funzionale può anche risultare dalla quantità sregolata di tempo che
alcuni pazienti trascorrono con la loro preoccupazione, il quale li porta di conseguenza a
trascurare tanti altri aspetti della loro vita; ciò è illustrato da una donna la quale ha
trascorso fino a ben 8 ore al giorno tagliando i suoi capelli in modo che siano perfettamente
simmetrici e da un’altra la quale ha trascorso molto tempo del giorno esaminando la sua
faccia con una lente d’ingrandimento per l’eccessivo pelo sul viso57. Una specifica
complicazione del disturbo da dismorfismo corporeo consiste in una richiesta di una inutile
chirurgia plastica; infatti, questo disturbo può stimare una percentuale pari al 2% di
pazienti che ricorrono alla chirurgia estetica. Dopo la chirurgia, essi possono diventare
anche più preoccupati per lo stesso difetto spesso portandoli a più operazioni oppure
possono focalizzarsi su un nuovo difetto come ad esempio un paziente che, dopo ben
quattro rinoplastiche, si è preoccupato molto riguardo i suoi fianchi e le spalle inclinate.
Hollander et al.58 nel 1989 hanno valutato cinque pazienti con il disturbo da dismorfismo
corporeo diagnosticato nel DSM-III-R e hanno trovato una storia familiare del disturbo
dell’umore in due di essi (entrambi i quali hanno avuto storie personali legate al disturbo
dell’umore) ed il disturbo ossessivo-compulsivo in due (uno dei quali ha avuto una storia
personale legata al disturbo ossessivo-compulsivo). Altri rapporti di casi sparsi
documentano storie familiari di disturbo dell’umore oppure di schizofrenia, con
approssimativamente metà dei pazienti che hanno un disturbo con sé stessi. Zaidens nel
1950 ha osservato “una preponderanza di un marcato comportamento nevrotico più che un
comportamento psicotico nei membri familiari; tuttavia, alcuni pazienti con disturbo da
dismorfismo corporeo non hanno alcuna storia familiare con il disturbo psichiatrico.
Sebbene questi dati della storia familiare non stabiliscono un modello familiare oppure un
chiaro collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo con qualsiasi altro disturbo
psichiatrico, essi suscitano la questione di un’associazione con il disturbo dell’umore, con
il disturbo ossessivo-compulsivo e schizofrenia già descritta. La valutazione sistematica
della storia familiare nella maggior parte dei casi è necessaria così come lo è una
57 Cotterill J. A.: “Dermatological non-disease: a common and potentially fatal disturbance of cutaneous body
image.” Br J Dermatol 1981; 104:611-619. 58 Hollander E., Liebowitz M. R., Winchel R., Klumker A., Klein D. F.: “Treatment of body-dysmorphic
disorder with serotonin reuptake blockers.” Am J Psychiatry 1989; 146:768-770.
25
documentazione di diagnosi coesistenti nei probandi in quanto queste diagnosi non sono
spesso riportate e potrebbero essere rilevanti per la presenza di altri disturbi piuttosto che
del disturbo da dismorfismo corporeo nei membri familiari.
1.3 COME RICONOSCERE IL DISTURBO: DIAGNOSI E SUE
CARATTERISTICHE.
Il disturbo da dismorfismo corporeo si caratterizza per la presenza di una preoccupazione
notevole o, comunque, francamente eccessiva nei confronti di un difetto fisico inesistente o
considerato trascurabile dalla maggior parte delle persone; chi ne soffre tende a pensare
ripetutamente all’imperfezione reale oppure immaginata nell’arco della giornata dedicando
molte ore al giorno (forse troppe ore) ad escogitare dei sistemi per eliminarla o, quanto
meno, per nasconderla agli altri. Spesso, tutto ciò porta a sviluppare azioni denominate
“rituali” sovrapponibili per natura ed effetti a quelli tipici del disturbo ossessivo-
compulsivo (DOC): alcuni tendono a trascorrere ore ed ore davanti allo specchio ad
analizzare la pelle del viso, o la forma del naso o la piega di un labbro oppure ancora il
tono di una palpebra ecc.; altri possono addirittura accanirsi contro una peluria ritenuta
intollerabile anche quando essa è pressoché invisibile oppure si accaniscono contro un neo
insignificante il quale viene percepito come uno sfregio inaccettabile e capace di ledere
l’immagine della persona. Altri ancora possono non essere in grado di sostenere la vista
della propria immagine riflessa ed evitare accuratamente di soffermare lo sguardo su
specchi e vetrine.
Le parti più frequentemente oggetto di preoccupazione in entrambi i sessi (con qualche
prevalenza nel sesso femminile) sono la pelle, il naso, la bocca, gli occhi oppure il viso in
generale nel suo insieme ovvero sopracciglia e i capelli ma in realtà qualunque zona del
corpo e qualsiasi tipo di imperfezione possono diventare oggetto di ossessione da parte del
soggetto. Le donne spesso focalizzano l’attenzione sul seno (se magari per loro è troppo
grande, troppo piccolo, troppo poco tonico ecc.), sulle cosce e sui glutei; gli uomini,
invece, tendono spesso a soffrire di un sottotipo di disturbo dismorfofobico noto come
“dismorfofobia muscolare” caratterizzato dalla preoccupazione che la propria massa
muscolare sia troppo scarsa o comunque inadeguata (come vedremo nel paragrafo §1.4),
questa variante interessa principalmente ragazzi e giovani uomini sportivi e, in particolare,
chi pratica bodybuilding o attività analoghe. Quando, invece, la preoccupazione si
26
focalizza sul rapporto tra massa muscolare e massa grassa ovvero sulla quantità di grasso
corporeo o sul peso, la malattia presente non è quasi mai un disturbo da dismorfismo
corporeo ma un disturbo del comportamento alimentare, di norma associato anche a
specifici e determinati comportamenti patologici nei confronti del cibo e delle sue modalità
di assunzione. La persona affetta da disturbo da dismorfismo corporeo è perseguitata dalla
propria imperfezione e ricerca costante rassicurazione tra gli amici e all’interno del nucleo
familiare riguardo la gravità e l’evidenza del difetto che la tormenta.
Il pensiero pervasivo del difetto fisico, il timore del giudizio altrui e le pratiche ripetute in
maniera ossessiva per cercare di eliminarlo si traducono in una seria compromissione della
qualità della vita, delle relazioni interpersonali, delle prestazioni, nello studio e/o nel
lavoro; il tono dell’umore e l’autostima, generalmente già bassi, ne risentono ulteriormente
portando i soggetti ad una vera e propria depressione, mentre gli eventuali tentativi di
eliminare il difetto il cui esito non viene mai ritenuto sufficientemente buono e quindi poco
soddisfacente, generano sentimenti di frustrazione ed ansia59. I soggetti con disturbo da
dismorfismo corporeo organizzano l’intera vita intorno all’idea del difetto, spesso lo fanno
passando gran parte della loro giornata a controllare l’aspetto fisico direttamente o su
qualunque superficie riflettente a loro disposizione; il più delle volte tendono a mette in
atto comportamenti esagerati di pulizia del proprio aspetto il che richiederebbe al soggetto
molto tempo (come ad esempio applicazioni ritualizzate di trucchi e cosmetici, eccessivi
nel pettinarsi o togliersi i peli, manipolazione della pelle ecc.). Alcune persone alternano
periodi durante i quali mettono in atto un eccessivo controllo a periodi di completo
evitamento; inoltre ci sono persone che riescono a trovare addirittura alcune strategie
specifiche per evitare qualsiasi superficie possa riflettere la loro immagine. Sebbene il
controllo dell’eventuale difetto fisico, e i rituali di cura e attenzione ad esso connessi,
abbiano il preciso scopo di fare diminuire l’ansia legata al difetto in realtà non producono
l’effetto sperato; saranno poi proprio questi atteggiamenti che in realtà manterranno e
porteranno ad un aggravamento del disturbo stesso. Spesso i pazienti con dismorfismo
corporeo pensano di essere oggetto di derisione da parte degli altri a causa del loro aspetto
fisico o per il singolo difetto, motivo per il quale tendono spesso e volentieri a nascondere
il difetto; per esempio portando un cappello per nascondere una supposta calvizie, occhiali
da sole, si fanno crescere la barba per nascondere eventuali cicatrici ritenute deturpanti, nei
o altri presunti difetti oppure tendono ad evitare attività quotidiane fino all’isolamento
sociale estremo, altre persone escono addirittura solo di notte quando ritengono di non
59 http://www.harmoniamentis.it/cont/enciclopedia/contenuti/3389/disturbo_dismorfismo_corporeo.html
27
essere visti oppure (peggio ancora) restano chiuse in casa per anni. Il comportamento
evitante messo in atto da tali soggetti non va però confuso con il disturbo evitante di
personalità o la cosiddetta fobia sociale; l’evitamento e la tendenza al ritiro sociale non
solo non risolvono il problema ma a lungo andare possono peggiorare notevolmente
generando sintomi depressivi secondari oppure ansiosi-depressivi. Il disagio derivante
dalla percezione del “difetto” può portare la persona con diagnosi di disturbo di
dismorfismo corporeo a ricorrere continuamente a trattamenti medici generali come ad
esempio trattamenti medico odontoiatrici oppure ricorrere alla chirurgia estetica al fine di
migliorare il proprio aspetto e ridurre o addirittura eliminare il difetto; il ricorso alla
chirurgia estetica spesso comporta lo spostamento dell’attenzione su un’altra parte del
corpo sulla quale si vorrà nuovamente intervenire innescando in tal modo un circolo
vizioso, in sostanza tutti i tentativi messi in atto dai soggetti con dismorfismo (come
l’evitamento sociale, il controllo eccessivo del difetto, i rituali di cura dell’aspetto fisico)
per tentare di risolvere il problema ed evitare quindi la sofferenza ad esso connessa,
semplicemente non funzionano ma al contrario sono patogenetici.
Va ricordato inoltre che ogni tentativo di convincere la persona dicendole che il difetto non
esiste o che ci sia una esagerata attenzione sul problema, oppure fornire rassicurazione o
magari cercare di spiegare e far capire che i propri comportamenti siano alquanto eccessivi
o semplicemente dire alla persona frasi del tipo:” a me piaci così come sei” ecc. ecc.
tendono a produrre nel paziente una sensazione di frustrazione, ansia e angoscia derivante
da un incremento tensivo psicofisiologico. L’obiettivo quindi dell’intervento psicologico è
quello di bloccare li loop disfunzionale attraverso specifiche tecniche psicoeducative e
portare il disturbo verso una sua spontanea remissione, magari nei tempi più brevi possibili
e soprattutto senza uso di psicofarmaci e senza psicoterapia.
Spesso chi è convinto di avere qualche difetto fisico mette in atto “check della forma
corporea” ovvero azioni che consistono in un esame visivo, tattile o di altra natura della
parte interessata; solitamente chi le compie lo fa con due intenti apparentemente
contradditori: da un lato per accertarsi che il difetto sia sotto controllo o addirittura in
remissione; dall’altro lato per convalidare la presenza del supposto difetto: coerentemente
con l’immagine corporea negativa si intraprende il check aspettandosi la conferma delle
proprie convinzioni.
Per capire meglio il concetto presentiamo di seguito un breve elenco di check corporei:
a) Toccare oppure pizzicarsi ripetutamente l’addome, le cosce, le braccia, il collo per
controllare se si sentono le ossa o la carne.
28
b) Usare il metro da sarta oppure nastri o spaghi per misurare la circonferenza di cosce,
braccia, vita o altre parti del corpo giudicate abbondanti.
c) Controllare quanto spazio rimane fra le gambe stando in piedi e tenendo le ginocchia
unite; in genere lo scopo è valutare l’ingombro delle cosce.
d) Controllare quanto stringono i cinturini degli orologi, gli anelli, le cinture per verificare
se il polso, le dita o la vita sono aumentati di volume.
e) Controllare da seduti o da sdraiati quanto le cosce si allargano oppure quanto sporge
l’addome rispetto ad altre parti.
f) Guardarsi allo specchio tenendo fissa l’attenzione sulla parte ritenuta difettosa.
g) Chiedere a qualcuno (solitamente a persone conosciute o intime) di dare un giudizio
del tutto “obiettivo”.
h) Guardare le forme degli altri per paragonarle alle proprie. In genere, questo tipo di
check viene fatto sui coetanei oppure guardando personaggi dello spettacolo in tv, sulle
riviste oppure sul web.
Studi recenti affermano che i check che abbiamo descritto influenzano negativamente
l’immagine corporea di un individuo, ma perché? Sotto tutti i punti di vista i check
possono essere considerati delle compulsioni e proprio come le compulsioni, infatti, i
check sono delle azioni ripetitive mirate a tenere sotto controllo un’emozione (in questo
caso emozioni come ansia, tristezza o rabbia) dovuta ad un pensiero negativo che consiste
nell’avere un difetto fisico come ad esempio l’essere grassi, avere i fianchi troppo larghi, il
naso troppo lungo o le orecchie “a sventola”. Che il difetto fisico sia presunto o reale, i
check in sé non hanno il potere di modificarlo e sono, oltre tutto, fra i maggiori
responsabili del fatto che non si riesce a smettere di pensarci in alcuni casi fino a sentirsi
costretti addirittura a rivolgersi al chirurgo estetico per cercare di eliminarlo. È proprio
questo, in effetti, che succede a chi soffre di dismorfismo corporeo; nel caso in cui si sia
sviluppata l’anoressia nervosa, invece, quasi certamente il modo attraverso cui si è cercato
di porre rimedio al “difetto” è stata una dieta rigida e prolungata.
Detto questo possiamo riassumere brevemente i motivi per cui i check sono
controproducenti:
1. Essendo azioni ripetitive e mirate, i check tendono a confermare la presenza del difetto;
chi passa il tempo a compierli su una parte del proprio corpo tenderà a pensare a sé
29
stesso in termini di quella parte ignorando oppure minimizzando ciò che di sé non gli
appare difettoso.
2. I check tendono a peggiorare le distorsioni della percezione delle reali forme del corpo;
questo fenomeno, come il precedente, è legato all’attenzione ovvero più si guarda
qualcosa e meno si è lucidi nel valutarla. Probabilmente è anche in virtù di ciò che,
molto spesso, chi soffre di anoressia nervosa continua a percepirsi in sovrappeso
nonostante sia evidente il contrario.
3. La terza ragione si ricollega alla già discussa somiglianza fra check e compulsioni; ad
esempio coloro che si lavano le mani ripetutamente per contrastare il timore di essere
sporchi o contaminati sono, invariabilmente, anche quelli che più hanno paura dello
sporco e della contaminazione in generale. Come le compulsioni, infatti, anche i check
corporei tendono a tenere sotto controllo le emozioni negative solo all’inizio
dopodiché, quasi paradossalmente, ne producono di ancora peggiori60.
Un controllo frequente allo specchio, il che può far perdere delle ore e può essere
estremamente disturbante e difficile da resistere, è una caratteristica comune associata al
disturbo da dismorfismo corporeo; tuttavia alcuni pazienti evitano gli specchi in un
continuo tentativo senza successo di diminuire la loro angoscia e la loro preoccupazione,
mentre altri comportamenti associati includono una eccessiva pettinatura di capelli e la
rimozione dei peli. Gli individui con disturbo da dismorfismo corporeo sono spesso
preoccupati che gli altri possono guardare, parlare oppure deridere i loro difetti e di
conseguenza essi possono provare a nasconderli con il trucco, con le mani, con i capelli
oppure con un semplice cappello oppure possono costantemente alzare il sopracciglio
dall’aspetto subdolo oppure sporgere in avanti una mascella sfuggente.
Hay nel 1970 ha scoperto che solo un soggetto su ben diciassette con dismorfofobia era
depresso e inoltre ha scoperto che undici soggetti hanno avuto un grave disturbo di
personalità e cinque erano schizofrenici (sebbene quattro di questi hanno avuto una
preoccupazione corporea di proporzioni deliranti). Connolly e Gipson61 nel 1978 hanno
studiato ben 187 pazienti quindici anni dopo che essi si erano sottoposti alla rinoplastica,
hanno scoperto che circa il 50% dei pazienti che sono andati alla ricerca della chirurgia per
ragioni estetiche (molti dei quali erano considerati dismorfofobici) hanno avuto la
schizofrenia (6 pazienti su 86) ed inoltre chi ha corretto la reale deformità dovuta ad una
60 http://www.psicologo-parma-reggioemilia.com/percezione_disagio_forma_corpo.html 61 Connolly F. H., Gipson M.: “Dysmorphophobia –- a long-term study.” Br J Psychiatry 1978; 132:568-570.
30
malattia oppure ad una ferita (1 su 101); altri soggetti hanno anche riportato una
coesistenza del disturbo da dismorfismo corporeo con la schizofrenia o la psicosi62. Il
disturbo ossessivo-compulsivo è anche associato al disturbo da dismorfismo corporeo; in
un gruppo di otto pazienti con grave disturbo ossessivo-compulsivo, tre di loro hanno
avuto il disturbo da dismorfismo corporeo. Hay, come già notato, ha trovato dei soggetti
con dismorfofobia ossessionati, mentre Hardy e Cotterill nel 1982 hanno scoperto che i
soggetti con dismorfofobia ed i soggetti controllati con psoriasi hanno tenuto il punteggio
più alto sul Leyton Obsessional Inventory (un questionario per la valutazione dei sintomi e
tratti ossessivi) rispetto ai soggetti sani controllati. L’evitamento sociale e l’isolamento,
l’introversione63, il disturbo evitante di personalità64, le relazioni con il malcontento65, la
vergogna e la scarsissima stima di sé stessi possono solo coesistere con un disturbo da
dismorfismo corporeo, così come può anche coesistere l’ansia, la sindrome da relazione
olfattiva, il “mangiare compulsivo” e l’anoressia nervosa; in un caso66 l’anoressia nervosa
era secondaria al disturbo da dismorfismo corporeo poiché il paziente ha preferito morire
di fame onde evitare che le sue guance fossero “troppo rosse e troppo tonde”. Le
caratteristiche cliniche descritte si sono basate non solo sull’insufficiente letteratura sul
disturbo da dismorfismo corporeo ma anche sulla più ampia letteratura sulle condizioni che
generalmente si conformano alla definizione del disturbo- originariamente dismorfofobia.
Questa analisi si focalizza su questi studi e casi i quali sembrano rispettare i criteri
diagnostici del DSM-III-R riguardo al disturbo da dismorfismo corporeo.
Quello condotto da Hardy e Cotterill è il primo studio per identificare formalmente alcune
delle assunzioni e delle convinzioni riguardo al significato del difetto percepito; questo ha
una particolare rilevanza per la terapia cognitiva la quale non mette in dubbio il parere
estetico fatto dal paziente ma le implicazioni delle loro convinzioni, questo studio inoltre
mette in evidenza i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo sono difficili da fare
contattare e quindi valutare.. Quando i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo
consultano i professionisti di salute mentale, essi possono presentare sintomi di
depressione, fobia sociale oppure disturbo ossessivo-compulsivo e non mostrano sintomi di
disturbo da dismorfismo corporeo. Qualche volta abbiamo avuto difficoltà nell’interpretare
62 Corbella T., Rossi L.: “La dysmorphophobie: ses aspects clinique et nosographiques.” Acta Neural Belg
1967; 67:691-700. 63 Fukuda O.: “Statistical analysis of dysmorphophobia in out-patient clinic.” Jpn J plastic and reconstructive
surgery 1977; 20:569-570. 64 De Leon J., Bott A., Simpson G. M.: “ Dysmorphophobia: body dysmorphic disorder or delusional
disorder, somatic subtype?” Compr Psychiatry 1989; 30:457-472. 65 Hardy G. E.:” Body image disturbance in dysmorphophobia.” Br J Psychiatry 1982; 141:181-185. 66 Von Zaumer J.: “Das krankheitsbild der dismorphophobie.” Méd et Hyg 1979; 37:329-330.
31
i primi criteri diagnostici per il disturbo da dismorfismo corporeo all’interno del DS-IV
come una valutazione di “una lieve anomalia fisica”. Potrebbe essere d’aiuto aggiungere
un ulteriore criterio ovvero l’opinione di uno specialista come ad esempio un chirurgo
estetico oppure di un dermatologo; l’opinione è richiesta per accertare il disturbo del
paziente ed una connessione desiderata. Se lo specialista può concordare con la descrizione
del paziente del difetto percepito e la correzione desiderata, allora ciò potrebbe escludere
una diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo per prevenirlo dall’essere inclusivo.
Sarebbe consigliabile che il termine “difetto immaginato” sia rimosso dalla definizione di
disturbo da dismorfismo corporeo nel DSM-IV e ricollocato nei “difetti percepiti”; i
sintomi come ad esempio le allucinazioni o il dolore nel contesto dei fattori psicologici non
sono definiti come “immaginati” in quanto appaiono molto reali agli individui. Inoltre
pensiamo che la stessa terminologia dovrebbe essere usata particolarmente nei pazienti con
disturbo da dismorfismo corporeo perché possono avere una intensa consapevolezza del
loro aspetto.
Per la diagnosi clinica del disturbo di dismorfismo corporeo si ricorda che è sempre
necessario rivolgersi ad un professionista della salute esperto in materia in quanto, dal
punto di vista clinico, è necessaria sia la verifica dei criteri diagnostici sia la valutazione
dei criteri di esclusione quindi un’attenta valutazione di tipo diagnostico differenziale.
Nelle edizioni DSM-IV (1994) e DSM-IV-TR (2000) il disturbo da dismorfismo corporeo
rientrava tra i disturbi somatoformi; tale categoria diagnostica è stata soppressa nel DSM-V
(2014) e quindi il disturbo da dismorfismo corporeo è stato inserito, a mio avviso
correttamente, all’interno della categoria del disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi
correlati. Infatti è sempre apparso molto chiaro che la maggior parte dei disturbi clinici,
compreso il dismorfismo, siano in realtà disturbi di natura fobico-ossessiva. Per la
valutazione diagnostica secondo il DSM-V è necessario che il medico tenga in
considerazione la presenza contemporanea dei seguenti quattro criteri diagnostici:
1. Preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico, che
non sono osservabili oppure che appaiono ad altri in maniera lieve.
2. Durante il decorso del disturbo l’individuo abbia messo in atto tutta una serie di
comportamenti ripetitivi (per esempio guardarsi allo specchio, curarsi eccessivamente
nel proprio aspetto, ricercare continuamente rassicurazioni) oppure azioni mentali
(come ad esempio confrontare il proprio aspetto con quello degli altri).
3. La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo e in altre aree importanti.
32
4. La preoccupazione legata all’aspetto non è meglio giustificata da preoccupazioni legate
al grasso corporeo oppure al peso di un individuo i cui sintomi soddisfano i criteri
diagnostici per riconoscere un eventuale disturbo alimentare.
Precedentemente nel DSM-III il DDC compariva sotto il nome di dismorfofobia tra i
disturbi somatoformi atipici ma senza alcuna specificità dei criteri diagnostici.
Successivamente nel DSM-IV-TR (American Psychiatric Association, 2000) esso
compativa in base a tre determinati criteri:
• Il criterio A stabilisce che la persona deve essere preoccupata per difetto immaginario
nell’aspetto fisico oppure, se presente una piccola anomalia fisica, provare una
preoccupazione di gran lunga eccessiva
• Il criterio B indica che questa preoccupazione deve causare disagio significativo o
menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo oppure in altre aree.
• Il criterio C, infine, definisce che la preoccupazione non è meglio attribuibile ad un altro
disturbo mentale.
Per la diagnosi di questo disturbo, il paziente deve dimostrare una persistente convinzione
di bruttezza personale o relativa ad uno specifico difetto fisico ed essere assolutamente
certo che tali sue presunte mancanze estetiche siano evidenti ed ovvie anche per gli altri;
inoltre la preoccupazione relativa al difetto dovrebbe essere eccessiva e non facilmente
trasferibile ad un’altra parte del corpo considerata difettosa.
Solitamente le persone che soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo vivono un
rilevante disagio per la propria ipotizzata deformità descrivendo spesso tali preoccupazioni
come intensamente dolorante, tormentose o addirittura devastanti; in genere tali pazienti
hanno difficoltà a controllare le proprie preoccupazioni e non tentano di resistervi e così
finiscono col passare molte ore al giorno pensando al loro difetto tanto che tali pensieri
divengono talora il punto focale della loro esistenza. Molte persone con questo disturbo
non riescono ad ammettere le difficoltà che i propri sintomi causano loro ma anzi tendono
a sottolineare costantemente l’utilità e la legittimità dei loro continui sforzi mirati a
correggere i difetti percepiti; inoltre molti sviluppano una relazione per così dire “speciale”
con gli specchi: si controllano continuamente ed alcuni restano come bloccati davanti a tali
superfici riflettenti per ore e ore ogni giorno intrappolati tra il desiderio di fuggire
dall’immagine poco attraente che vedono e l’impulso irresistibile di aggiustarla proprio
perché guardarsi allo specchio il più delle volte può generare ansia, mentre le persone che
hanno trovato in qualche modo di evitarli sostengono di sentirsi decisamente meglio.
33
In base alla più recente revisione del Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie
Mentali (DSM-V) il disturbo da dismorfismo corporeo fa parte dello spettro del “disturbo
ossessivo-compulsivo e dei disturbi correlati” e per emettere una diagnosi differenziale
specifica è necessario riscontrare:
Preoccupazione nei confronti di uno o più difetti fisici non oggettivamente rilevabili o
trascurabili da parte di altre persone;
Adozione di comportamenti ripetitivi o rituali oppure atteggiamenti mentali in risposta
alla preoccupazione per il difetto fisico;
Forte stress, ansia e calo del tono dell’umore causati dalla persistente preoccupazione
per il difetto fisico;
Difetto fisico oggetto della preoccupazione diverso dal peso corporeo/massa grassa in
cui è probabile la presenza di un disturbo alimentare;
La consapevolezza che il difetto lamentato sia in realtà minimo o inesistente può essere
nulla, parziale o elevata ma ciò non incide sul grado di penetrazione dei nostri pensieri
nella vita quotidiana.
1.4 LA CHIRURGIA ESTETICA.
Generalmente si presuppone che la chirurgia estetica oppure il trattamento dermatologico è
una assoluta controindicazione per i pazienti che soffrono di disturbo da dismorfismo
corporeo ma nonostante ciò alcuni pazienti con una minima malformazione potrebbero
avere dei buoni risultati psicologici se hanno delle reali aspettative riguardanti l’esito67. Un
chirurgo plastico, Harris68 (1989) sostiene che la chirurgia estetica è probabile che abbia
successo con un paziente se, in particolare, riesce a descrivere chiaramente il difetto
percepito e la correzione desiderata e quindi il chirurgo può essere d’accordo con esso;
pertanto questo può essere il fattore più importante nella determinazione dell’esito. Un
altro chirurgo, Reich69 (1969) afferma che la chirurgia è controindicata nel momento in cui
è previsto che il paziente non è in grado di affrontare un risultato imperfetto e che quindi
67 Hay G. G. & Heather B. B. (1973) “Changes in psychometric test results following cosmetic nasal
operations.” British Journal of Psychiatry, 122, 89-90. 68 Harris D. (1989) “The benefits and hazards of cosmetic surgery.” British Journal of hospital medicine, 41,
540-545. 69 Reich J. (1969) “The surgery of appereance: psychological and related aspects.” Medical journal of
Australia, 2, 5-13.
34
non lo soddisfa. Questi punti di vista si adatterebbero con il nostro modello proposto che
nel disturbo da dismorfismo corporeo c’è una larga discrepanza tra un aumento del difetto
percepito e l’ideale del paziente e che quando i pazienti con disturbo da dismorfismo
corporeo ricorrono alla chirurgia estetica essi generalmente hanno delle aspettative
sull’esito finale. Jerome70 ha anche ipotizzato che un buon risultato psicologico è più
probabile quando c’è una aspettativa positiva da un supporto dagli altri specialmente nel
periodo post-operazione quando un paziente non può avere più l’opportunità di intervenire
in modo selettivo al loro difetto percepito se è avvolte dalle bende. Tuttavia è improbabile
che ci sarà sempre uno studio controllato randomizzato dei pazienti con disturbo da
dismorfismo corporeo che hanno una minima malformazione che confronta la chirurgia
estetica con la terapia cognitiva comportamentale oppure un trattamento farmacologico.
Attualmente non esiste una categoria univocamente riconosciuta come “dipendenza da
chirurgia plastica” tant’è vero che essa viene generalmente considerata come un sintomo
del disturbo da dismorfismo corporeo. Come osserva il dott. Mark Griffiths:” La
dipendenza da chirurgia plastica piò suonare come una barzelletta ma in realtà è un
problema serio di cui sempre più persone soffrono al giorno d’oggi”, inoltre strutture di
importanza a livello mondiale come la OCD-BDD Clinic della California del Nord oppure
il Westwood Institute for Anxiety Disorders sono attive nella ricerca e nel trattamento di
questo specifico disturbo in quanto la specificità del disturbo consiste in un continuo
ricorso ad interventi di chirurgia plastica non giustificati da condizioni mediche
disfiguranti. La soddisfazione per il proprio aspetto estetico e l’incremento dell’autostima
successive all’intervento sono temporanee o assenti e la preoccupazione e
l’insoddisfazione per il proprio aspetto esteriore possono ritornare ad investire la parte già
operata oppure spostarsi per concentrarsi in un’altra parte del corpo tant’è vero che al
riemergere di queste emozioni negative, la persona ricorre nuovamente alla chirurgia e il
ciclo continua fino alle conseguenze più estreme. Nel caso in cui la persona dipendente sia
impossibilitata a ricevere una appropriata assistenza da parte del personale medico-
chirurgo qualificato essa può ricorrere ad auto-rimedi a dir poco disastrosi rivolgendosi ad
esempio a criminali bendisposti ad operarli in cambio di denaro senza avere le competenze
e/o le apparecchiature adeguate.
Per le persone affette da dipendenza da chirurgia estetica, questa si presenta come una
speranza, una possibile via di fuga dalla sofferenza costante causata dal disturbo ma, di
fatto, essa finisce per aggravare la sintomatologia; in poche parole l’ossessione del malato
70 Jerome L. (1980). “A study of the perception of body-image in patients requesting cosmetic rhinoplasty.”
(pp. 1-112).
35
nei confronti della propria apparenza fisica non può risolversi con un intervento sul corpo,
trattandosi di un problema mentale. Successivamente all’operazione, la persona si sentirà
nuovamente insoddisfatta del proprio aspetto oppure tenderà a spostare la propria
insoddisfazione dalla parte del corpo operata ad un’altra: in entrambi i casi c’è un alto
rischio che egli ritorni a sottoporsi ad un altro intervento chirurgico, innescando così una
vera e propria dipendenza; inoltre uno studio condotto da Phillips riporta come l’82,6% di
un campione di persone affette da dipendenza da chirurgia plastica che si sono sottoposte a
vari interventi chirurgici mostrava costanza o addirittura un peggioramento del disturbo71.
Ma effettivamente cosa spinge le donne e gli uomini a rivolgersi, sempre con maggiore
frequenza, ad un chirurgo estetico e alla chirurgia estetica in generale? Esistono svariate
motivazioni: prima di tutto ci si rivolge al chirurgo plastico perché vi possono essere delle
motivazioni dettate da esigenze fisiologiche, ovvero nel caso in cui il difetto fisico
impedisce una vita corretta, oppure esigenze di tipo prettamente estetico oppure entrambe;
molto spesso la richiesta di un intervento chirurgico trova motivazioni psicologiche palesi
e/o inconsce, infatti il nesso tra chirurgia estetica e psicologia può essere facilmente
spiegato dalla proiezione che la mente ha sull’Io corporeo. Al parziale cambiamento del
nostro aspetto esteriore ottenuto dopo un intervento chirurgico, si assiste molto spesso ad
una rielaborazione della propria immagine interiorizzata ma allo stesso tempo proiettata
all’esterno, il che incide a livello psicologico talvolta in maniera sostanziale; da ciò deriva
quindi la valenza di questa tipologia di chirurgia sia per l’individuo che ne beneficia ma
anche per il soggetto inteso come componente di una comunità sia essa familiare,
produttiva oppure affettiva. In realtà tutti desiderano di essere più belli perché la bellezza è
spesso sinonimo di successo e gratificazione e un aspetto piacevole e bello aiuta noi stessi
ad avere maggiore fiducia in noi stessi e nel rapporto con gli altri, con il mondo esterno e
per questo siamo disposti a ricorrere alla chirurgia estetica.
Ma cosa avviene esattamente dopo l’intervento di chirurgia estetica? Si assiste molto
spesso ad una modifica positiva del paziente sia nei rapporti interpersonali che nei vari
ambiti della sua vita come ad esempio scuola e lavoro; la correzione dei difetti della forma
va ben oltre la correzione “esterna” per agire più profondamente sulla percezione dell’Io
corporeo e trasmettere all’esterno questa nuova elaborazione sotto forma di maggiore
autostima e maggiore disponibilità ad interagire con il mondo circostante, infatti il
giovamento che il paziente piò trarre dall’intervento di chirurgia estetica spesso non si
ferma al mero aspetto fisico, per quanto sia molto importante, ma si espande anche
71 http://www.siipac.it/dipendenza-da-chirurgia-plastica.html
36
all’aspetto psicologico donando maggior sicurezza di sé stessi e nei confronti del mondo
esterno e nei rapporti con gli altri, regalando, in parole povere, maggiore felicità alla
propria esistenza proprio perché sentirsi più belli corrisponde con l’esserlo realmente,
ovvero se ci sentiamo più belli sicuramente appariremo più belli anche agli occhi degli
altri72. Un classico esempio che possiamo fare consiste nel fatto che il paziente che, dopo
un intervento di chirurgia estetica e risolto il difetto, inizi a ritenere altri parti del corpo
come “difettose”73: questa è un primo segnale della presenza di un disturbo, soprattutto
quando gli altri non considerano così importante ed eccessivo il difetto.
Anche nei soggetti che praticano attività fisica in maniera ossessiva, in particolare nei
body-builders, è spesso presente questo fenomeno soprattutto in coloro che decidono, già
dall’inizio o poco dopo l’inizio dell’attività sportiva, di ricorrere ad integratori e farmaci
(quali ad esempio gli steroidi) per incrementare più rapidamente la loro massa muscolare;
il problema è stato definito “reverse anorexia” ovvero anoressia inversa in quanto
l’attenzione è posta non tanto sulla magrezza ma sul sentirsi esile o comunque con poca
massa muscolare rispetto a quelli che sono i suoi ideali74 e perciò l’ansia di raggiungere
questo stato ideale da parte del soggetto viene scaricata attraverso l’utilizzo di quelle che
potremmo definire “scorciatoie”, inoltre è difficile che una persona affetta da disturbo da
dismorfismo corporeo si renda pienamente conto del problema di cui soffre senza neppure
prenderlo in considerazione minimamente. Il chirurgo plastico entra spesso in contatto con
questi pazienti ed ha il compito di valutare la presenza e l’entità dei difetti corporei che
vengono riferiti al paziente, di capire se l’entità del difetto è proporzionata all’importanza
che gli viene data dal soggetto, di dare quindi l’indicazione più o meno al trattamento e
infine di capire quelle che sono le aspettative del paziente informandolo sui risultati
realmente ottenibili. Lo scopo di questo studio è quello di valutare, tra i pazienti
appartenenti alla casistica personale, se:
a) Le richieste di chirurgia plastica a fini estetici da parte di soggetti che praticavano
attività fisica intensa fossero condivisibili e proporzionate al difetto indicato.
b) Quanto il trattamento prescelto sia stato in grado di risolvere il difetto e soddisfare il
paziente.
72 http://www.chirurgiestetici.net/psicologia.html 73 Pertschuk M. J., Sarwer D. B., Wadden T. A., Whitaker L. A.: “Body image dissatisfaction in male
cosmetic surgery patients.” Aesth Plast Surg 1998; 22:4-20. 74 Kanayama G., Barry S., Hudson J. I., Pope H. G. Jr.: “Body image and attitudes toward male roles in
anabolic-androgenic steroid users.” Am J Psychiatry 2006; 163:697-703.
37
c) Individuare in seguito ad un consulto psichiatrico in quanti dei pazienti che
presentavano “incongruenza” tra il difetto lamentato e quello esistente sussistevano i
criteri diagnostici in modo da diagnosticare loro, appunto, il disturbo da dismorfismo
corporeo.
Sono stati inclusi in uno studio prospettico dal luglio 2004 al luglio 2006 i pazienti che
riferivano una particolare attenzione per le forme corporee, che praticavano attività
sportiva intensa sia a livello agonistico che amatoriale e che quindi consideravano i difetti
corporei come conseguenti dell’attività fisica troppo intensa. Tali difetti corporei sono stati
suddivisi in:
Alterazione delle proporzioni e dei contorni corporei da aumento del volume
distrettuale della massa muscolare nell’uomo, ipertrofia distrettuale di un settore
muscolare rispetto a quelli circostanti;
Alterazione delle proporzioni e dei contorni corporeo da aumento del volume
distrettuale del tessuto adiposo (chiamato “lipodistrofia distrettuale”);
Sviluppo di mammelle dall’aspetto femminile nell’uomo;
Ipertrofia e/o ptosi mammaria nella donna;
Svuotamento dei seni con sviluppo di ipomastia nella donna;
Aumento della peluria corporea fino all’ipertricosi;
Comparsa di rughe e depressioni marcate tra una unità anatomica e un’altra del
viso.
Su questi pazienti è stato valutato, tramite una attenta anamnesi ed un accurato esame
obiettivo, se le deformità lamentate dai pazienti fossero reali e proporzionate oppure
oggettivamente inesistenti o a dir poco sproporzionate alle loro reali entità, in più è stata
indagata l’eventuale assunzione di integratori e/o di farmaci finalizzata a raggiungere la
forma desiderata.
I pazienti che invece lamentavano difetti inesistenti o sproporzionati alla loro reale entità
sono stati indirizzati al consulto psichiatrico per la valutazione della sussistenza dei criteri
diagnostici di disturbo da dismorfismo corporeo, i pazienti infatti sono stati intervistati da
uno specialista psichiatra e hanno compilato i seguenti questionari:
Il Mini International Neuropsychiatric Interview (MINI) per l’eventuale diagnosi
psichiatrica;
Il Body Dysmorphic Disorder Examination (BDDE), per l’indagine degli aspetti
relativi al disturbo da dismorfismo corporeo.
38
In chirurgia plastica è piuttosto frequente il riscontro di pazienti, prevalentemente di sesso
femminile, che manifestano un notevole disagio psichico anche per quadri clinici di lieve
entità. Le sindromi psichiatriche rilevate con maggiore frequenza sono i disturbi di
personalità ed il disturbo da dismorfismo corporeo il quale presenta una frequenza dal 6 al
15% tra i pazienti che si rivolgono al chirurgo plastico.
1.5 IL DISMORFISMO CORPOREO LEGATO ALLO SPORT.
Nel 1997 Harrison Pope e altri suoi collaboratori75 descrissero un disturbo chiamato
“dismorfismo muscolare”, una sottocategoria del più ampio disturbo da dismorfismo
corporeo, indicandolo come un’eccessiva preoccupazione ed insoddisfazione per la propria
grandezza corporea e muscolosità in cui il soggetto tende a vedere sé stesso come piccolo e
fragile anche quando la realtà tutto all’opposto, associata alla tendenza ossessiva ad
accrescere sempre di più la propria massa corporea; per indicare tale disturbo viene
utilizzato anche il termine “vigoressia” che indica una “fame di grossezza” ovvero il
desiderio da parte del soggetto di possedere un corpo più muscoloso e più “asciutto”. La
distorsione dell’immagine corporea che vi è alla base è sostanzialmente analoga a quella
dell’anoressia, da qui infatti anche l’utilizzo del termine inglese “reverse anorexia” ovvero
anoressia inversa76 appunto per la sua correlazione, anche se al contrario, con l’anoressia
nervosa; quando le persone che soffrono di anoressia nervosa si percepiscono grasse anche
se in realtà sono molto magre, i soggetti che soffrono di dismorfismo corporeo si vedono
insopportabilmente magri anche se in realtà possiedono una muscolatura regolare se non
addirittura abbastanza consistente infatti il punto centrale non consiste in una costante
paura di ingrassare ma il timore di non essere abbastanza grossi e quindi ciò che affligge il
soggetto non è tanto un eventuale sovrappeso quanto la percentuale di grasso corporeo che
chiaramente va sempre tenuta sotto controllo e quindi di conseguenza l’allenamento
diventa continuo senza nessuna interruzione e in più il soggetto tende a non preoccuparsi
dei dolori e i traumi che possono essere causati dall’eccessiva attività sportiva a cui il
fisico è sottoposto. Come ben possiamo immaginare il soggetto fa anche e soprattutto
attenzione all’alimentazione, infatti le diete sono rigorosissime e studiate nei minimi
75 Pope H. G. Jr., Gruber A. J., Choi P., Olivardia R., Phillips K. A. (1997). “Muscle dysmorphia. An
underrecognized form of body dysmorphic disorder.” Psychosomatics, 38, 548-557. 76 Pope H. G. Jr., Phllips K., Katz D. L. & Hudson J. I. (1993). “Anorexia nervosa and “reverse anorexia”
among 108 male bodybuilders.” Compr Psychiatry, 34, 406-409.
39
dettagli. Ovviamente anche quando avviene l’aumento di massa e tonicità muscolare il
soggetto non rimane mai soddisfatto dei risultati ottenuti infatti tende a vedersi sempre
gracile e magro e continua ad avere una distorta visione di sé e del proprio corpo pensando
di essere sottopeso e sottotono; per il vigoressico il confronto con gli altri è solo uno
svantaggio, infatti non è un caso che, rispetto ai classici culturisti, non vi è uno sfoggio al
pubblico dei propri muscoli anzi ogni visibilità del fisico viene evitata anche utilizzando
abiti e vestiti ampi. Spesso, questa strenua rincorsa verso un fisico perfetto attraverso
l’esercizio fisico è accompagnata dall’assunzione di integratori alimentari che come ben
sappiamo favoriscono la crescita muscolare ed il suo mantenimento come ad esempio gli
steroidi anabolizzanti, GH e quant’altro; inoltre è davvero indescrivibile la quantità di volte
in cui un vigoressico si rivolge agli specchi tant’è vero che questa patologia, proprio per
questa sua peculiarità, sia stata ribattezzata come “complesso di Adone” in merito al
personaggio della mitologia greca in quanto rappresenta proprio l’idea della bellezza
maschile come perfezione fisica nella forma estetica. La patologia viene individuata o
perlomeno si può avere un primo sospetto della presenza di essa laddove queste pratiche
così totalizzanti in modo da interferire con tutti gli altri aspetti della vita dell’individuo
(studio, lavoro, relazioni e rapporti), momenti che spesso vengono in qualche maniera
evitati pur di non saltare una sola seduta in palestra con un obiettivo per preciso ovvero
quello di costruire un corpo perfetto anche se col tempo tutto questo porta il soggetto a
quello che viene definito “autolesionismo sociale”.
Tre sono i fattori determinanti del disturbo: in primis vi è una componente biologica
predisponente nel senso che rende alcuni soggetti più predisposti di altri a sviluppare
sintomi del tipo ossessivo-compulsivo; poi vi è una componente prettamente psicologica la
quale è legata ad una scarsissima autostima e al modo in cui gli individui tendono a
giudicare sé stessi; infine vi è il fattore di tipo sociale e culturale, è davvero necessario e
importante soffermarsi su quest’ultimo punto in quanto vivendo in una società strettamente
concentrata sull’immagine fisica, l’apparenza alla cultura incidentale determina appunto
l’adozione, spesso inconsapevole, di precisi ideali estetici proposti attraverso una
diffusione di simboli di bellezza e perfezione associati a dei richiami irresistibili per
l’uomo come il potere, la felicità, il benessere e quant’altro77. Un ruolo fondamentale è
dato dalla comunicazione di massa la quale influisce notevolmente in questo processo
poiché rappresenta la prima agenzia fornitrice di modelli, infatti i messaggi che
provengono dai mass media richiamano costantemente alla perfezione dei corpi il che
77 Wiseman C. V., Gray J. J., Mosimann J. E. & Ahrens A. H. (1992). “Cultural expectations of thinness on
women: an update.” International Journal of eating disorder, 11, 85-89.
40
potrebbe avere anche delle gravi conseguenze tant’è vero che sembra molto preoccupante
che per tante persone diventa un imperativo categorico il cercare a tutti i costi di
avvicinarsi il più possibile ai canoni di bellezza dettati dagli schemi e dalle riviste78 79, ma
ancora più preoccupante è lo sguardo svilente che si può avere verso il proprio corpo nel
momento in cui lo si confronta con quello considerato perfetto dagli altri. Diffondere la
cultura del corpo perfetto non fa altro che favorire il rischio di sviluppo di disturbi
dell’immagine corporea; per quanto sia vero è necessario sottolineare che non si deve
assolutamente pensare che il body building sia di per sé una patologia80, infatti alcuni studi
hanno rilevato che solo circa il 10% dei culturisti uomini soffre di questo disturbo mentre
molti atri studi hanno comunque evidenziato nei body builder elevatissime percentuali di
insoddisfazione corporea legata a delle disfunzioni alimentari.
Tutto ciò serve a riflettere per quanto riguarda l’ambito sportivo, lo sport infatti può
assumere un grande valore educativo, psicologico e sociale perché è attraverso di esso ed il
confronto con i compagni che si inizia a chiarire o perlomeno farsi un’idea di quello che si
vuole essere e quello che effettivamente non si è; si acquisiscono e migliorano le abilità e
le competenze sportive nonché anche la competitività anche se un ambiente carico di
competizione, di aspettative, di ambizioni, di modelli ideali da perseguire può anche
diventare terreno fertile per lo sviluppo dell’insoddisfazione corporea. Veramente efficace
è inoltre il ruolo degli allenatori, dei nutrizionisti e di chi lavora comunque nell’ambito
sportivo in generale in quanto tendono a promuovere nell’atleta un miglioramento
dell’immagine corporea lavorando per esempio sull’autostima81 come un fattore protettivo
rispetto all’insorgenza di disturbi del comportamento alimentare: si tratta di interventi di
promozione della salute che mirano ad identificare e potenziare aspetti positivi del Sé con
l’unico scopo di produrre dei cambiamenti a livello di auto-percezione giungendo così alla
modifica dei comportamenti alimentari e ad una maggiore soddisfazione verso il proprio
aspetto fisico.
Ma quali sono i sintomi della vigoressia? I sintomi sono i seguenti:
1. Dispercezione corporea ovvero preoccupazione patologica di un corpo ritenuto non
sufficientemente asciutto e muscoloso.
78 Field A. E., Camargo C., Taylor B., Berkley C., Colditz G. A. (1999). “Relation of peer and media
influences to the development of purging behaviours among preadolescents and adolescents girls.” Archives
of pediatrics & adolescent medicine, 153, 11841189. 79 Cuzzolaro M. (2004). “Anoressie e Bulimie.” Bologna: Il Mulino. 80 Stevani J. (2006). “Muscoli e lacrime.” Psicologia contemporanea, 199, 18-25. 81Stice E. (2002). “Risk and maintenance factors for eating pathology: a meta analytic review.” Psychological
bulletin, 128, 825-848.
41
2. Comportamento di addiction (ovvero di dipendenza) nei confronti dell’esercizio
fisico e dell’attività fisica in generale in quanto il vigorettico è schiavo
dell’allenamento al punto di trascorrere in palestra tutto il proprio tempo libero
tralasciando aspetti fondamentali della propria vita come il lavoro, gli amici e la
famiglia.
3. Possibile abuso di sostanze anabolizzanti per incrementare la massa muscolare e
migliorare le proprie prestazioni fisiche;
4. Comportamento alimentare disturbato fino ad arrivare all’ortoressia ovvero
all’applicazione di diete ferree e rigide. Si tratta di un piano alimentare, appunto,
molto rigido e sbilanciato, ricco di proteine e povero di grassi e con un preciso
calcolo delle calorie assunte e da assumere.
Dopo aver elencato i vari sintomi è necessario descrivere quali sono i criteri preposti per la
diagnosi della dismorfia muscolare e quindi come riconoscere questo disturbo in un
soggetto, ovvero:
• L’individuo è ossessionato dalla convinzione che il suo corpo dovrebbe essere più
magro e muscoloso; il soggetto dedica molto tempo al sollevamento dei pesi e le
ossessioni sulla propria dieta sono comuni.
• Almeno due dei seguenti quattro criteri dovrebbero essere presenti:
L’attenzione incontrollabile a perseguire il proprio allenamento e comportamento
alimentare fa sì che la persona si isoli completamente dal mondo che lo circonda;
Circostanze che comportano l’esposizione del corpo vengono preferibilmente
evitate e se ciò non è possibile si prova un senso di disagio e preoccupazione molto
significativo ed influente sulla propria autostima;
Le prestazioni nelle aree lavorative e sociali sono influenzate dal presunto deficit
corporeo;
Gli effetti potenzialmente negativi del regime di allenamento non riescono a
scoraggiare l’individuo a perseguire le pericolose pratiche.
A differenza dell’anoressia nervosa in cui la persona è preoccupata di essere in
sovrappeso o comunque di altri disturbi dismorfici del corpo in cui la
preoccupazione è rivolta verso altri aspetti fisici, l’individuo con dismorfismo
muscolare è convinto che il suo corpo non sia sufficientemente magro e/o
muscoloso.
42
L’insoddisfazione, l’ansia e la perdita dell’autostima che derivano dalla convinzione di
essere poco muscolosi e poco tonici spingono questi soggetti ad allenarsi sempre di più
tant’è vero che le varie attività ricreative, sociali e lavorative vengono messe da parte per
fare spazio agli allenamenti o per evitare di trasgredire le regole alimentari; questa
condizione, se protratta nel tempo, implica una compromissione di tutta la vita del soggetto
sotto ogni punto di vista. Le principali complicazioni mediche si possono ricondurre ad
una serie di fattori, primo fra tutti gli allenamenti estenuanti che possono portare ad uno
stato di sovrallenamento senza adeguati tempi di recupero per cui si arriva ad uno stato
abbastanza critico di astenia, affaticabilità e alterazioni del ritmo cardiaco, inoltre il
soggetto può andare incontro a tendiniti, problemi alle articolazioni, calo del peso corporeo
e indebolimento del sistema immunitario; si possono avere anche delle alterazioni a carico
di prolattina, cortisolo e ACTH (ormone adrenocorticotropo) e complicanze al regime
alimentare in quanto troppo poco equilibrato. L’assunzione di ormoni androgeni e di
farmaci anabolizzanti può portare a gravi complicanze renali, epatiche e a carico del
sistema endocrinologico e riproduttivo; spesso la vigoressia si associa a fattori come la
depressione, tentativi di suicidio, abuso di sostanze, disturbi di personalità (specialmente il
disturbo narcisistico di personalità e quello ossessivo-compulsivo).
Molto tempo fa il valore attribuito al corpo risiedeva essenzialmente nella sua funzione
strumentale visto che la maggior parte delle attività era di tipo fisico, mentre oggi il corpo
ha assunto vari significati completamente diversi legati all’espressività soggettiva e alle
emozioni narcisistiche individuali; la società moderna gioca un ruolo fondamentale nella
ricerca del corpo ideale e quindi l’immagine corporea è ampiamente influenzata da quello
che la cultura considera esteticamente bello82 83: il mito del corpo possente per i ragazzi e
quello magro per le ragazze tende a condizionare non solo la visione di sé stessi ma anche
come ci si rapporta con gli altri.
Per molti avere un corpo perfetto significa avere controllo che a sua volta è sinonimo di
duro lavoro e ambizione; due assunti fondamentali sottendono questa aspirazione:
a. Avere un corpo perfetto rende la vita molto più facile anche se in realtà molte
ricerche hanno evidenziato come essere fisicamente attraenti porta vantaggi in
alcune aree ma anche svantaggi in altre;
82 Cattarin J. A., Thompson J. K., Thomas C. & Williams R. (2000). “Body image, mood, and televised
image of actractiveness: the role of social comparison.” Journal of social and clinical psychology, 19, 220-
239. 83 Dohnt H. K. & Tiggerman M. (2005). “Body image concerns in young girls: the role of peers and media
prior to adolescence.” Journal of youth and adolescence, 10, 1020-1038.
43
b. Essendo il corpo malleabile, con la corretta combinazione di alimentazione ed
esercizio ciascuno può diventare fisicamente perfetto. Anche se le variabili
biologiche/genetiche influenzano la regolazione del peso e delle forme corporee e
impongono dei limiti naturali vi è la forte fiducia nelle possibilità che grazie ad
alcuni mezzi si può arrivare, o possa perlomeno avvicinarsi, al modello di
bellezza che la società considera tale.
Se da un lato è indubbio che lo svolgimento di una regolare attività fisica conferisca un
gran numero di effetti fisiologici e psicologici positivi come ad esempio la riduzione di
malattie cardiovascolari, di osteoporosi, di ipertensione84; dall’altro lato non si possono
tralasciare i rischi legati al concepire e al vivere lo sport in determinati modi, alcuni dei
quali spesso e volentieri risultano essere del tutto estremi e assolutamente contro
produttivi.
Nel tempo sono stati coniati termini nuovi come “negative addiction”, “compulsive
exercise” oppure “exercise dependance” per descrivere un tipo di attività fisica estrema sia
in termini di frequenza che in termini di durata, accompagnata da una irresistibile coazione
della prestazione e da possibili crisi di astinenza85. Sebbene il concetto di sovra-esercizio
sia di difficile classificazione e misurazione, esiste una quantità di dati sufficienti per
affermare con certezza che, in determinate circostanze, esso è strettamente legato
fortemente ad una insoddisfazione corporea e può causare disturbi alimentari86. Secondo
queste premesse è sempre bene sottolineare la distinzione che separa un tipo di esercizio
fisico sano ed equilibrato rivolto ad un’adeguata cura di sé, al mantenimento di un aspetto
desiderabile, ad un miglioramento della propria immagine e al potenziamento della propria
vitalità, da un altro modo di vivere lo sport in modo patologico laddove le pratiche legate
all’allenamento diventano così totalizzanti da interferire con la vita dell’individuo sotto
tutti i punti di vista; quello che certamente possiamo evidenziare è che gli sportivi, a causa
della loro professione e del loro stile di vita, appartengono ad una categoria particolare di
persone e appaiono oggi esposti a rischi maggiori di sviluppare dei disturbi legati
all’immagine corporea rispetto alla popolazione. Per un atleta il fisico riveste una
grandissima importanza in quanto è attraverso di esso che si può esprimere il proprio Sé e
le proprie potenzialità e spesso, in determinati sport e a determinati livelli, ciò si traduce in
uno stile di vita prettamente incentrato sul corpo; la magrezza e la tonicità sono fattori
84 Bouchard C., Shepard R. J. & Stephens T. (1993). “Physical activity, fitness and health consensus
statement.” Champaign, Illinois: Human Kinetics. 85 Morgan W. P. (1979). “Negative addiction in runners.” Psysician Sportmedicine, 7, 57-70. 86 Fox K. R., Page A & Armstrong N. (1994). “Dietary restraints and self-perceptions in early adolescence.”
Personality and individual differences, 17, 87-96.
44
fondamentali per sviluppare certe abilità tecniche e determinare il costante miglioramento
della prestazione, da questo deriva la maggiore attenzione per il controllo del peso e per la
forma del corpo, la paura di ingrassare e spesso un’ostinata iperattività giornaliera
associata a veri e propri sintomi di astinenza in caso di impossibilità a svolgere i propri
esercizi quotidianamente. La partecipazione ad uno sport è, infatti, sempre collegata ad
un’alta prevalenza di disturbi dell’immagine corporea ed in particolar modo la lodo
diffusione è maggiore in certi tipi di sport o attività fisica come ad esempio il wrestling, il
diving oppure il body building87 88; in alcuni sport come la danza e la ginnastica artistica
dove la magrezza è ricercata al pari della flessibilità e della scioltezza nei movimenti, ed
altri come ad esempio il pugilato, il judo o il body building dove si gareggia in diverse
categorie in base al peso, le probabilità che insorgano disturbi legati al comportamento
alimentare è maggiore che in altre attività sportive dove il peso non è poi così rilevante
(come ad esempio il tiro con l’arco) anche se non è del tutto scontato che gli atleti di altre
discipline non affrontino problemi del genere.
A partire dagli anni ’80 sono iniziate le ricerche sulle relazioni esistenti tra insoddisfazione
corporea ed esercizio fisico innanzitutto con lo studio di alcune caratteristiche di
personalità associate entrambe ai disturbi dell’immagine corporea ed alla partecipazione ad
una determinata disciplina: la competitività, l’ansia da prestazione ed il perfezionismo sono
dei fattori fondamentali che, come confermano alcuni studi, sono strettamente correlati tra
loro89. Per un atleta è importante sì il raggiungimento di un determinato obiettivo oppure
un certo tipo di prestazione, ma anche di come si appare, di avere cioè un peso e una forma
ottimali: questo può determinare comportamenti e abitudini alimentari alquanto
disfunzionali. Oltre a motivazioni tecniche anche per gli sportivi esistono, infatti,
determinati modelli ed immagini ideali a cui riferirsi, ma ciò vale per tutti gli sport ma in
particolar modo per quegli sport ad alta componente estetica come ad esempio, appunto, il
body building. Non occorre guardare tanto lontano per capire come il body building abbia
influenzato la cultura contemporanea per quanto riguarda quello che viene definito per
eccellenza un fisico maschile possente e “scolpito”, anche se c’è da sottolineare che piano
piano sembra essere sempre più coinvolto anche il genere femminile. In realtà fino agli
inizi del XX secolo, il body building non era popolare ma lo divenne solo a partire dagli
87 Pope H. G. Jr., Philips K. A., Olivardia R. (2000). “The Adonis complex: the secret crisis of male body
obsession.” New York: Free Press. 88 Pickett T. C., Lewis R. J. & Cash T. F. (2005). “Men, muscle and body image: comparisons of competitive
bodybuilders, weight trainers and athletically active controls.” British journal of sports medicine, 39, 217-
222. 89 Smolak L., Murnen S. K. & Ruble A. E. (2000). “Female athletes and eating problems: a meta-analysis.”
International journal of eating disorder, 27, 371-380.
45
anni ’40 quando Joe Weider imprenditore canadese) iniziò la pubblicazione di “Your
Physique”, una rivista con fini educativi per il sollevamento pesi; successivamente il nome
della rivista cambiò in “Muscle Builder” (1965), fu creata la famosissima gara Mr.
Olympia e vi fu il riconoscimento, da parte del Comitato Olimpico Internazionale (CIO),
dell’International Federation of Bodybuilders (IFBB) portando il body building ad essere
una parte integrante dello stile di vita delle masse90. Fin dall’inizio il body building è stato
presentato come un qualcosa che andava ben oltre il semplice sport configurandosi, per
praticanti e appassionati, come un vero e proprio stile di vita; il tutto si traduce in un
messaggio e in un modello preciso: il body builder, sia dilettante che professionista, deve
avere forza, capacità tecniche, flessibilità, equilibrio, un certo volume muscolare, la
massima definizione ed uno sviluppo simmetrico91. Occorre molta dedizione ed estrema
attenzione non solo riguardo ai programmi di allenamento ma anche e soprattutto la
preparazione dei pasti, ogni body builder, infatti, sa che per esserlo occorre rispettare
determinate regole alimentari, un rigoroso regime dietetico ed un costante controllo del
peso. Se è vero che oltre alla prestazione è importante anche come appare l’atleta lo è più
che mai nel body building dove il confronto con certi modelli ideali è continuo e motivante
per l’allenamento, modelli che gli atleti trovano spesso o nelle riviste oppure all’interno
della palestra in cui si allenano; alla luce di questi confronti è comunque frequente una
profonda insoddisfazione verso il proprio corpo, per tanto tempo l’attenzione è stata
sempre incentrata sui disturbi dell’immagine corporea negli sportivi concentrandosi a sua
volta sulle atlete femminili, in realtà la loro incidenza fra il sesso maschile ha avuto un
forte incremento negli ultimi anni92.
Pensare che l’anoressia riguardi prettamente il genere femminile è un grosso errore,
Stefano Erzegovesi, psichiatra, nutrizionista e responsabile del centro Disturbi del
Comportamento Alimentare Irccs presso l’Ospedale San Raffaele di Milano offre la sua
spiegazione dicendo che:” Se l’anoressia preferisce generalmente le ragazze è soprattutto
per una questione biologica perché le ragazze sono genericamente più forti nel sopportare
il digiuno. Quando un ragazzo inizia una dieta è molto più facile che ad un certo punto si
stanchi e la interrompa tornando a mangiare come prima, mentre una ragazza riesce ad
avere più costanza e anche più autocontrollo ed ottenere così un dimagrimento tale da farle
sentire gli effetti euforizzanti del digiuno. Questo è uno dei motivi biologici per cui le
90 Rhea A. L. (2004). “Costruire la bestia perfetta.” Firenze: Sandro Ciccarelli editore. 91 Hofmelker O. (2002). “The warrior diet.” (pp. 15-29). Firenze: Sandro Ciccarelli editore. 92 Nelson W. L., Hughes H. M., Katz B. & Searight H. R. (1999). “Anorexic eating attitudes and behaviours
of male and female college students.” Adolescence. 34, 621-633.
46
donne sono più suscettibili al disturbo anoressico, perché sono geneticamente più resistenti
e riescono a mangiare di meno più a lungo rispetto ad un uomo; ma è un fenomeno
prettamente femminile anche per tutta una serie di aspetti sociali per cui l’immagine della
magrezza è più spinta verso il genere femminile.”.
I tempi però stanno cambiando e sempre più rapidamente e sempre più ci si imbatte in
fotografie di uomini dal fisico perfetto e invidiabile con inevitabili conseguenze anche per
gli uomini, così i casi di anoressia maschile sono in aumento sia per via di questo
fenomeno sia perché ora i medici sono più attendi ed è più facile diagnosticarla. “Se un
tempo nel nostro reparto l’anoressia maschile era una rarità, adesso mediamente su 20
persone abbiamo sempre un ragazzo” - continua Stefano Erzegovesi - “E’ un fenomeno più
raro ma allo stesso tempo più grave rispetto all’anoressia femminile: prima di tutto perché,
al contrario di quella femminile, è associata anche ad altri disturbi psichiatrici (come i
disturbi ossessivi-compulsivi o quelli di personalità) mentre nelle ragazze la versione più
comune è quella del disturbo anoressico puro; in secondo luogo perché nel momento in cui
c’è da seguire un programma di terapia il ragazzo fa più fatica a fidarsi perché avere un
disturbo concomitante rende il paziente più diffidente. L’anoressia maschile è rara ma
esiste: di fronte ad un dimagrimento eccessivo, a un ragazzo che inizia a diventare
silenzioso quando sta a tavola che sta attento a cosa mangia, che ha delle fissazioni
riguardanti il suo corpo e che rifiuta cibi che ha sempre mangiato senza problemi bisogna
soffermarsi un attimo.”.
In generale i sintomi sono simili in entrambi i sessi; si può parlare di forma restrittiva, la
classica anoressia nervosa, in cui il ragazzo o la ragazza mangia poco, o delle forme di
bulimia o disturbo da alimentazione incontrollata in cui si alternano fasi di “abbuffate” ad
altre di “eliminazione” del cibo assumendo lassativi, facendo attività fisica oppure
provocandosi il vomito con l’intento di eliminare subito tutto ciò che ha ingerito. Mentre
una forma tipicamente maschile è quella dell’anoressia inversa o vigoressia, in cui i ragazzi
non hanno la fissa della magrezza ma del corpo muscoloso.
“E’ una forma atipica” - sottolinea Erzegovesi – “perché manca la magrezza, ma siamo
comunque di fronte a ragazzi la cui vita è condizionata da un’ossessione, in questo caso per
il corpo e per i muscoli. La vigoressia arriva al medico ancora più raramente, si è riusciti
ad individuarla perché spesso queste persone fanno un uso notevole di anabolizzanti e altre
sostanze per arrivare ad ottenere un corpo perfetto. Arrivano dal medico solo quando
stanno male, ad esempio per un attacco di fegato o per altri danni causati da queste
sostanze, perciò i medici hanno collegato che chi abusava di questi farmaci aveva anche
questo tipo di fissazione a livello mentale.”. Va subito sottolineato però che fare attività
47
fisica e andare in palestra fa bene, ma diventa anormale quando un hobby o una passione
diventa una vera e propria fissazione fino a sfociare nel patologico, ed è proprio ciò di cui
stiamo parlando cioè parliamo di ragazzi che non hanno una semplice passione della
palestra ma che hanno trasformato un passatempo in una vera e propria ossessione fino a
diventare la loro unica ragione di vita alienandosi dal contesto sociale e familiare.
“Sono prigionieri di una fissazione e non più del bisogno di essere in forma fisica” -
precisa Erzegovesi – “E’ difficile stimare una percentuale di persone colpite da vigoressia
perché raramente arrivano all’osservazione degli specialisti, ma i casi sono in notevole
aumento anche perché con internet è più facile procurarsi queste sostanze.”.
Quasi sempre i disturbi dell’anoressia sono legati a problemi di autostima e difficoltà a
relazionarsi con gli altri e spesso la terapia prevede diversi livelli di intervento, dallo
psicologo il quale va a lavorare proprio su questo aspetto per arrivare poi alla terapia
farmacologica. Il % dei ragazzi colpiti da disturbi del comportamento alimentare guarisce e
non ha ulteriori problemi in seguito, mentre circa un quarto guarisce e sta meglio,
riuscendo a riprendere una vita del tutto normale anche se ogni tanto convive con qualche
sintomo residuo non scomparso del tutto come per esempio fa fatica ad andare al ristorante
o mangiare con altre persone; e infine un altro 25% cronicizza e non guarisce, può avere
fasi di sollievo ma il cumulo della malattia rimane. “Il dato allarmante” - conclude
Erzegovesi – “è che di questo 25% circa il 10% muore. La mortalità nell’anoressia è un
fenomeno da segnalare assolutamente e da tenere sotto controllo, tra gli adolescenti è una
delle prima cause di morte e nei maschi poi ha anche una prognosi peggiore.”93.
93 http://www.linkiesta.it/it/article/2015/07/11/vigoressia-quando-lossessione-per-i-muscoli-diventa-una-
malattia.html
48
CAPITOLO 2: I DATI STATISTICI.
2.1 L’EZIOPATOGENESI DEL DISTURBO DA DISMORFISMO
COPOREO.
Nel capitolo precedente abbiamo descritto il disturbo da dismorfismo corporeo nei suoi
vari aspetti ovvero in cosa consiste, le caratteristiche e soprattutto come diagnosticare il
disturbo in un soggetto. Ora però è necessario rispondere o perlomeno tentare di trovare
delle risposte alle seguenti domande: cos’è che può portare al disturbo da dismorfismo
corporeo? Quali sono le cause scatenanti? Come oramai sappiamo, il disturbo da
dismorfismo corporeo è una malattia complessa con una eziologia multifattoriale, esso
infatti sembra proprio essere il risultato di molteplici fattori di rischio, compresi gli agenti
eziologici di tipo biologico, psicologico e sociale che provocano lo sviluppo di questo
disturbo. Le esatte cause del disturbo da dismorfismo corporeo non sono note; tra i
meccanismi coinvolti è stata ipotizzata l’esistenza di un’alterazione nella
trasduzione/elaborazione degli stimoli visivi che porterebbe a valutare in modo scorretto il
proprio aspetto a prescindere dall’interferenza di fattori prettamente psicologici. Questa
relazione resta, tuttavia, da verificare; infatti studi di imaging cerebrale hanno evidenziato
inoltre delle anomalie di attivazione nelle aree cerebrali preposte all’elaborazione della
memoria verbale e non verbale e difetti di trasmissione degli stimoli nervosi tra queste
zone e la corteccia cerebrale prefrontale, analoghe a quelle riscontrate nel disturbo
ossessivo-compulsivo.
Che il disturbo abbia una base biologica e che sia correlato al disturbo ossessivo-
compulsivo, sia da questo punto di vista che da quello clinico, è dimostrato dal fatto che il
disturbo da dismorfismo corporeo tende a ripresentarsi in più membri della stessa famiglia
e in famiglie dove siano presenti una o più persone affette da disturbo ossessivo-
compulsivo; inoltre posta l’efficacia dei farmaci antidepressivi della classe degli SSRI
nel trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo, si ritiene pressoché certo un ruolo
chiave del sistema serotoninergico nell’insorgenza e nella convinzione della malattia. Sul
piano neuropsicologico, invece, si ritiene che lo sviluppo del disturbo da dismorfismo
corporeo sia causato da sollecitazioni esterne, che porta ad enfatizzare l’importanza
dell’aspetto fisico nella vita di tutti i giorni.
Un fattore predisponente lo sviluppo di disturbo di dismorfismo corporeo in giovane età è
49
rappresentato dall'aver subito abusi o forti traumi psicologici nell'infanzia o essere stati
allevati in un contesto caratterizzato da un perfezionismo esasperato che non ha permesso
di sviluppare un adeguato livello di autostima. Una seconda fase della vita
particolarmente critica è quella che vede la comparsa delle prime rughe, la perdita di
luminosità della pelle, la caduta di qualche capello, il venir meno del tono di muscoli e
tessuti: tutti eventi inevitabili per ogni essere umano, che a qualcuno possono apparire
inaccettabili e da contrastare con ogni mezzo a disposizione, spesso, ottenendo risultati
peggiori dell'inestetismo che si voleva eliminare e, comunque, soltanto transitori.
Il Disturbo da Dismorfismo Corporeo, come tutti gli altri disturbi psicologici, ha diverse
cause che possono spiegarne l'eziopatogenesi cioè l'insieme dei fattori psicologici e
biologici e delle condizioni socio-ambientali che possono spiegare l'insorgenza di un dato
disturbo; tuttavia riteniamo che, ai fini del trattamento del DDC come di altri disturbi, sia
di prioritaria importanza conoscere, piuttosto che i motivi per cui il disturbo è insorto, le
cause per le quali esso persiste. È noto, infatti, che l'insorgenza di un dato disturbo
psicologico non sia, di per sé, in grado di produrne il proprio mantenimento. Per accadere,
devono subentrare fattori e condizioni particolari, la cui insorgenza è facilitata dalla
presenza del disturbo stesso.
Sono sempre maggiori gli studi che si concentrano proprio sulle cause di mantenimento
del dismorfismo corporeo come ad esempio quello di due ricercatori, Neziroglu e Veale,
che risulta essere molto più esaustivo rispetto ad altri studi nel rendere conto di tali
meccanismi. Con l'aiuto di un esempio pratico, di seguito spiegheremo come questo
disturbo possa mantenersi a causa di fattori di tipo emotivo, cognitivo e comportamentale
studiati dai due ricercatori e per farlo utilizzeremo uno schema, sperando possa facilitare
la comprensione di quanto esposto.
Utilizziamo l'esempio di una ragazza che vede la forma delle proprie orecchie come
difettosa, e consideri tale difetto come grave ed evidente: potremmo, in questo caso,
trovarci al cospetto di un disturbo di dismorfismo corporeo. Se il disturbo è grave, il
tempo speso a pensare al proprio difetto sarà molto ampio, ma difficilmente arriverà ad
estendersi ad ogni ora del giorno, tutti i giorni. Più tipicamente, invece, le preoccupazioni
e le emozioni collegate con il difetto immaginato vengono innescate da un evento; un
possibile innesco, nel nostro esempio, è guardarsi allo specchio. Questo evento, per una
persona con dismorfismo, non è neutrale, poiché innesca a sua volta tutta una serie di
immagini e pensieri relativi al sé come “oggetto estetico" (Figura 1).
50
Figura 1.
In altre parole, le persone con dismorfismo hanno determinate convinzioni relative alla
propria immagine corporea dal punto di vista di un osservatore esterno e cioè come se
fossero nei panni di un’altra persona che li osserva. Non è detto che tale immagine sia più
precisa di quella che hanno le persone non dismorfiche, ma è certo che le persone
dismorfiche attribuiscono a tale immagine molta più importanza di quanto non facciano le
persone che non soffrono di tale disturbo. Tali convinzioni sulla propria immagine vista
dall'esterno favoriscono l'emissione di una valutazione negativa della parte del corpo
percepita come difettosa (in questo caso le orecchie) (Figura 2).
51
Figura 2.
Tale valutazione negativa comporterà automaticamente l'aumento dell'attenzione che la
persona pone sul proprio difetto immaginato e sui pensieri ed emozioni collegati al fatto di
avere parti del corpo giudicate dagli altri e soprattutto da sé stesso come difettose (Figura
3).
52
Figura 3.
L'aumento di tale attenzione provocherà, a sua volta, l'accrescimento, da un lato delle
emozioni negative (rabbia, vergogna, depressione ecc., Figura, freccia blu) e dall'altro del
giudizio negativo su di sé (Figura 4, freccia gialla).
53
Figura 4.
Per contrastare le emozioni e i pensieri collegati alla convinzione di avere un difetto fisico,
in genere vengono messi in atto tutta una serie di comportamenti, fra cui l'evitamento
(ovvero non mostrare le proprie orecchie, coprirle con i capelli, ecc.), la ricerca di
rassicurazioni (ovvero chiedere conferma agli altri di quanto le proprie orecchie sono o non
sono difettose) e i cosiddetti check (come ad esempio: toccarsi le orecchie quando non si è
allo specchio, per giudicarne la forma; guardarsi le orecchie allo specchio molte volte al
giorno, ecc.…). Tali comportamenti producono un aumento dell'attenzione sulla
caratteristica giudicata difettosa (Figura 5, freccia verde) e dei giudizi negativi sulla
propria immagine corporea (Figura 5, freccia rossa).
54
Figura 5.
Attraverso questo circolo vizioso, che può innescarsi e ripresentarsi anche decine di volte
al giorno, il dismorfismo corporeo si mantiene e può aggravarsi nel tempo.
2.2 FENOMENOLOGIA E DEMOGRAFIA DEL DISTURBO.
I pazienti con il disturbo da dismorfismo corporeo sono intensamente preoccupati per un
difetto immaginato o in modo del tutto eccessivo in alcuni aspetti della loro apparenza,
guardandolo con “odio, ripugnanza e vergogna”, delle volte al punto di essere “torturato”
dalla loro preoccupazione e incapaci di pensare ad altro. Più comunemente, i lamenti di
55
questi soggetti coinvolgono i difetti del viso come ad esempio le rughe, chiazze, cicatrici,
marcatura vascolare, acne, pallore o rossore della carnagione, eccessivi peli sul viso, o
anormalità dei capelli come l’assottigliamento accompagnato da una paura nell’impedire la
calvizie.
Qualsiasi altra parte del corpo può essere il focus della preoccupazione, includendo i
genitali, il seno, le natiche, l’addome94, le braccia, le mani, i piedi, le gambe, i fianchi, le
spalle, la colonna vertebrale o la pelle; a differenza dei pazienti con anoressia che soffrono
di transessualismo, essi non hanno un disturbo del corpo nel complesso.
Sebbene la prevalenza del disturbo da dismorfismo corporeo sia sconosciuta,
probabilmente non è rara, contrariamente a quanto affermava Morselli secondo il quale il
DDC era un disturbo non comune. Fitts et al. nel 1989 hanno provato ad estimare la sua
prevalenza all’interno di una popolazione non clinica e hanno scoperto che il 70% dei 258
studenti di college hanno riportato alcune insoddisfazioni ed il 46% hanno riportato alcune
preoccupazioni con un aspetto della loro apparenza; il 28% sembra che abbia riscontrato
tutti i criteri di questo disturbo. Tuttavia, questa scoperta sembra probabilmente
sopravvalutare la prevalenza del disturbo da dismorfismo corporeo perché l’anoressia
nervosa e la preoccupazione legata al solo peso non era esclusa e la diagnosi veniva fatta
tramite un questionario.
Nei campioni psichiatrici clinici, sembrerebbe che il disturbo da dismorfismo corporeo è
probabile che sia sottorappresentato e sotto diagnosticato a causa della segretezza dei
pazienti sui loro sintomi e la loro riluttanza ad andare a cercare un trattamento
psichiatrico95; infatti, gli psichiatri probabilmente vedono una piccola frazione dei pazienti
con questo disturbo, molti dei quali consultano dermatologi o chirurghi plastici.
Il rapporto delle donne con gli uomini nei casi riportati è approssimativamente 1.3:1,
sebbene il 62% di 274 individui dismorfofobici i quali hanno ricorso alla chirurgia estetica
erano maschi; più individui con il disturbo da dismorfismo corporeo non sono sposati;
l’85% dei soggetti in casi clinici di individui di 19 anni o più grandi erano single. L’età di
esordio è solitamente dalla prima adolescenza fino ai 20 anni; 19 anni è l’età media nei casi
riportati, ma i pazienti aspettano una media di più di 6 anni prima di ricorrere al
trattamento psichiatrico.
94 Bezoari M., Falcinelli D.: “Immagine del corpo e relazioni oggettuali: note sulla dismorfofobia.” Rass
Studi Psychiat 1977; 66:489-510. 95 Korkina M. B., “The syndrome of dysmorphomania (dysmorphophobia) and the development of
psychopatic personality.” Zh Neuropatol Psikiatr 1965; 65:1212-1217.
56
2.3 LE TEORIE COGNITIVE-COMPORTAMENTALI.
Le teorie comportamentali cognitive utilizzano un’analisi a tre sistemi come un modo di
concettualizzare i fenomeni clinici96. Le seguenti analisi perciò prendono in considerazione
le componenti comportamentali, cognitive e affettive del disturbo da dismorfismo
corporeo.
LA COMPONENTE COGNITIVA.
Percezione dell’immagine corporea. Un chirurgo plastico, Harris (1981)97, ha
proposto il termine “esteticità” per descrivere la sensibilità della percezione
estetica; egli discute sul fatto che questa variazione di sensibilità delle proporzioni
estetiche determina il perché un individuo può essere gravemente disturbato da un
piccolo difetto e di conseguenza va alla ricerca di un chirurgo plastico.
L’attenzione selettiva è un importantissimo fattore nel mantenimento di disturbi
emotivi gravi98; per esempio l’attenzione auto-focalizzata incrementerà la
consapevolezza del soggetto delle sensazioni corporee interne99. Un esempio è il
DAP ovvero il disturbo di attacchi di panico nel quale i pazienti sono più accurati
nell’estimare il loro ritmo cardiaco rispetto ai normali controlli100; una
consapevolezza intensificata delle sensazioni corporee non incrementa
necessariamente l'accuratezza delle valutazioni sulla causa delle sensazioni e un
paziente con attacchi di panico il quale ha una intensificata percezione del suo
cuore è probabile che fraintenda le sensazioni come una evidenza di una malattia
cardiaca101.
Un’ipotesi centrale da testare è quindi che i pazienti con disturbo da dismorfismo
corporeo prestano selettivamente attenzione al loro difetto percepito e che questo è
96 Lang P. J. (1970). “Stimulus control, response control and the desensitization of fear.” Learning
approaches to therapeutic behaviour, Chicago: Aldine Press. 97 Harris D. (1981). “The symptomatology of abnormal appearance: an anecdotal survey.” British journal of
plastic surgery, 35, 312-323. 98 Wells A., Matthews G. (1994). “Attention and emotion.” Hillsdale: Lawrence Erlbaum Associates. 99 Scheier M. F., Carver C. S. & Matthews K. A. (1983). “Attentional factors in the perception of bodily
states.” In J. T. Cacioppo & R. E. Petty (Eds.), Social psychopathology. New York, Pergamon Press. 100 Ehlers A. & Breuer P. (1992). “Increased cardiac awareness in panic disorder.” Journal of abnormal
psychology, 101, 371-382. 101 Gibbons F. X. & Gaeddert W. D. (1984). “Self-focus and placebo utility.” Journal of experimental social
psychology, 20, 159-176.
57
un fattore di mantenimento nel loro disturbo. L’ipotesi predice che i pazienti con
disturbo da dismorfismo corporeo dovrebbero essere estremamente perspicaci e più
attenti sul loro aspetto rispetto ai controlli sani. L’unica evidenza indiretta per
questo finora viene da Jerome nel 1980 il quale ha studiato un gruppo di 19 pazienti
su una lista d’attesa per la rinoplastica e 15 per i controlli di salute; tutti i pazienti
hanno avuto un controllo iniziale fatto da un chirurgo estetico, ma non sono stati
considerati tali da richiedere un’attenzione urgente e così furono messi in una lista
d’attesa. Jerome scoprì che i pazienti erano più attenti, rispetto ai controlli di salute,
nell’estimare la misura del loro naso e inoltre scoprì che essi hanno trascorso più
tempo guardando la loro caratteristica tra gli specchi. I pazienti erano classificati da
un medico su una scala di deformazione che va da 1 (“caratteristica perfetta”) e 9
(“imperfezione molto marcata”); la gamma dei giudizi degli osservatori erano da 2
(“caratteristica quasi perfetta”) a 8 (“imperfezione marcata”) con una notevole
variazione all’interno e tra i valutatori. Non fu registrata nessuna diagnosi di forma
psichiatrica perciò non si sa quale proporzione del soggetto dovrebbe aver ricevuto
una diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo; se le scoperte sono generalizzate
ai pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo, allora i pazienti con tale disturbo
dovrebbero avere una più elevata e una più accurata rappresentazione di queste
parti del loro corpo considerate come “difettose”; questa elevata percezione può
avere una influenza negativa oltre che a qualsiasi giudizio estetico o convinzioni
sulla loro immagine corporea nello stesso modo in cui una elevata percezione del
ritmo cardiaco ha una influenza negativa sul suo significato nel disturbo di panico.
Si ipotizza che i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo hanno una
attenzione selettiva più elevata sul loro difetto percepito rispetto ai pazienti che si
sottopongono alla chirurgia estetica a causa della loro preoccupazione legata
all’immagine corporea; inoltre è stato ipotizzato che i pazienti con DDST (ovvero il
“Digit symbol substitution test”) prestano selettivamente attenzione al loro difetto
corporeo percepito più dei pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo mentre le
loro convinzioni riguardo la loro immagine corporea sono anche più gravi. Al
contrario, alcuni pazienti con disturbi alimentari probabilmente tendono ad evitare
di osservare i loro corpi (per esempio fissandosi continuamente allo specchio):
questo può essere un ulteriore fattore che contribuisce la libera rappresentazione
mentale dell’immagine corporea e la sovra stimazione della misura corporea che
non è discussa nel modello di alterazione dell’immagine corporea di Slade (1994).
Il fatto di fissarsi allo specchio ha anche dimostrato che riduce la considerazione
58
della misura corporea nei pazienti con disturbi alimentari102. Alcuni possono evitare
selettivamente le loro deformazioni in modo da non ricordare a sé stessi il proprio
difetto, altri tuttavia possono essere “selettivamente neutrali”.
Convinzioni e attitudini verso l’immagine corporea. Le attitudini verso l’immagine
corporea possono includere un’esigenza di perfezionismo o di simmetria nell’aspetto di
un individuo. In una ricerca di 50 pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo, il
69% hanno affermato fortemente la convinzione “Io devo avere la perfezione nel mio
aspetto”103; simili convinzioni avranno bisogno di essere paragonati ai soggetti di altri
disturbi dell'immagine corporea per determinare la loro specificità. Negli esseri umani,
le donne con dei seni alla pari furono scoperte essere più feconde rispetto ad un gruppo
di donne dotate di un seno meno uniforme; in un altro studio condotto da Thornhill &
Gangestad104 nel 1994, gli uomini hanno preferito fotografie di donne con
caratteristiche facciali simmetriche e viceversa. Le mascelle allargate, i menti e gli
zigomi sono esempi di caratteristiche sessuali facciali secondarie che sono considerate
dalle donne sessualmente attraenti. L'evidenza emergente dalla letteratura suggerisce
un certo numero di possibili ipotesi sull’eziologia del disturbo da dismorfismo
corporeo che devono essere esclusi:
1. I pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo sono meno simmetrici nella loro
apparenza e hanno meno attrazione verso le caratteristiche facciali sessuali
secondarie rispetto ai controlli sani oppure rispetto i pazienti con altri disturbi
psichiatrici;
2. i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo nei pazienti con deformazioni che
vanno alla ricerca della chirurgia plastica sono più sensibili nella loro percezione
estetica alla mancanza di simmetria e misura di caratteristiche sessuali secondarie
confrontate con i controlli sani.
Se le prime ipotesi sono state dimostrate la definizione corrente diventerebbe
fondamentalmente scorretta. C'è un supporto limitato per le ipotesi in uno studio fatto da
102 Norris D. L. (1984). “The effects of mirror confrontation on self-estimation in anorexia nervosa, bulimia
and two control groups.” Psychological medicine, 32, 573-577. 103 Veale D., Boocock A., Gournay K., Dryden W., Shah F., Willson R. & Walburn J. (1996). “Body
dysmorphic disorder- a survey of 50 cases.” British journal of psychiatry, 169, 196-201. 104 Thotnhill R. & Gangestad S. W. (1994). “Human fluctuating asymmetry and sexual behaviour.”
Psychological science, 5, 297-302.
59
Thomas e Goldberg105 nel 1995 i quali hanno condotto la morfo-analisi su tre gruppi; essi
non hanno specificamente esaminato per asimmetria o misura delle caratteristiche sessuali
secondarie ma hanno misurato un certo numero di dimensioni tra i punti di riferimento
anatomici come ad esempio la distanza tra gli occhi ed un’immagine frontale e laterale. Se
la prima ipotesi è corretta rispetto alla seconda ipotesi è che i pazienti disturbo di
dismorfismo corporeo possono essere migliori nell'individuare tali differenze; potrebbe
essere che la maggior parte dei professionisti della salute e il pubblico in generale non sono
a conoscenza delle sottili differenze nell’asimmetria facciale o la misura delle
caratteristiche facciali sessuali secondarie: questo è collegato al concetto di estetica come
proposto da Harris nel 1981. L'ipotesi alternativa è che i pazienti con disturbo da
dismorfismo corporeo sono altrettanto simmetrici e hanno la stessa misura delle
caratteristiche sessuali secondarie e non sono migliori nell'individuare l'attrazione in altri
ma sono diventati più consapevoli di queste caratteristiche presenti in sé stessi a causa
della loro attenzione selettiva ed una maggiore richiesta per simmetria e perfezione nelle
loro attitudini. Il bisogno di simmetria e precisione negli oggetti o attività è un sintomo ben
riconosciuto del disturbo ossessivo compulsivo il quale è solitamente associato con la
ripetizione del conteggio delle compulsioni106; i sintomi del disturbo da dismorfismo
corporeo sono molto simili alla descrizione di Janet dei pazienti con disturbo-ossessivo
compulsivo i quali sono tormentati da un senso interno di imperfezione e sentire che le
loro azioni non sono mai stati raggiunte dalla loro soddisfazione107, infatti l'associazione ad
una richiesta di simmetria rafforza l'ipotesi che il disturbo da dismorfismo corporeo è uno
spettro del disturbo ossessivo compulsivo collegato ad altri disturbi.
Altre attitudini sul difetto percepito furono studiati in un questionario somministrato a 50
pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo; i pazienti hanno fortemente appoggiato
frasi del tipo:“ Se non sono attraente allora resterò da solo isolato per tutta la mia vita”
oppure “Se non sono attraente allora non sono amabile”, convinzioni abbastanza negative
sul non essere attraente sono connessi a dei fattori culturali e biologici potenti che si
riferiscono all'abilità di una persona di attrarre o meno un partner. Walster, Aronson,
Abrahams e Rottman108 nel 1966 hanno dimostrato in uno studio che per alcuni studenti
105 Thomas C. S. & Goldberg D. P. (1995). “Appearance, body image and distress in facial
dysmorphophobia.” Acta psychiatrica scandinavica, 92, 231-236. 106 Baer L. (1994). “Factor analysis of symptom subtypes of obsessive-compulsive disorder and their relation
to personality and tic disorders.” Journal of clinical psychiatry, 55, 18-23. 107 Pitman R. K. (1987). “Pierre Janet on obsessive-compulsive disorder (1903) review and commentary.”
Archives of general psychiatry, 44, 226-232. 108Walster E. A., Aronson V., Abrahams D. & Rottman L. (1966). “Importance of physical attractiveness in
dating behaviour.” Journal of personality and social psychology, 4, 508-516.
60
destinati ad un appuntamento al buio solo un fattore ha previsto una soddisfazione e questo
fattore è l'attrazione fisica. Psicologi esperti hanno ripetutamente dimostrato che
l'attrazione è veramente importante in qualsiasi contesto sociale in quanto gli individui
rispondono più positivamente alle persone fisicamente attraenti.
Tuttavia si è ipotizzato che:
1. I pazienti con reali difetti che si sottopongono alla chirurgia estetica dovrebbero
tenere tali attitudini sulla apparenza meno fortemente rispetto ai soggetti con
disturbo da dismorfismo corporeo e renderli più condizionali sopra ogni
circostanza.
2. i pazienti con reali deformazioni i quali non sono emotivamente bene adattati
approveranno queste attitudini anche meno fortemente rispetto a quelli che sono
emotivamente angosciati e che vanno alla ricerca della chirurgia estetica ma verrà
fatta loro una valutazione più forte rispetto ai controlli esami senza alcun difetto.
I SISTEMI AFFETTIVI E PSICOLOGICI.
Abbiamo scoperto che i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo tendono a
sperimentare un mix di emozioni i quali possono trovare difficoltà da articolare e
districare. Crediamo che essi provano disgusto verso il proprio corpo il quale aumenta
sempre più ogni qualvolta che essi sono esposti agli stimoli che sono associati con il loro
difetto percepito; essi tendono anche a provare un senso di ansia ed eccitazione psicologica
la quale tende ad aumentare in determinate situazioni sociali. C'è un'alta frequenza dei
sintomi depressivi in quali se abbastanza gravi possono essere parte di un disturbo di
comorbidità; i sintomi depressivi possono essere parzialmente secondari all'isolamento
sociale e alla frustrazione di non essere capace di convincere gli altri sul loro difetto
percepito e le convinzioni di inutilità e di disperazione nel futuro. I pazienti che ricorrono
alla chirurgia estetica in teoria dovrebbero avere meno angoscia emotiva sul loro corpo
rispetto al disturbo da dismorfismo corporeo perché la loro attenzione è meno focalizzata
sulla loro apparenza, le loro attitudini sono meno rigide ed inoltre essi hanno la speranza di
cambiare grazie, appunto, alla chirurgia estetica.
LA COMPONENTE COMPORTAMENTALE.
I comportamenti nel disturbo da dismorfismo corporeo sono entrambi eccessivi, in termini
di ore di auto ispezione e controllo negli specchi o altre superfici riflettenti come ad
esempio le vetrine nei negozi oppure possono consistere in una miriade di comportamenti
di evitamento in situazioni sociali i quali perpetuano il disturbo. Abbiamo identificato un
61
numero di verifiche diverse e rituali ripetuti i quali hanno delle funzioni differenti per
pazienti differenti:
1. Il controllo sul camuffamento. Il controllo ripetuto del difetto percepito tramite uno
specchio può essere diretto a garantire qualsiasi altro camuffamento (come ad
esempio il trucco, gli occhiali da sole oppure la posizione dei capelli) il che sarebbe
adeguato nascondere il difetto percepito in pubblico. Questo tipo di controllo
includerebbe anche la ricerca di rassicurazione da altri sentendosi dire che il difetto
è ben nascosto. È ipotizzato che i controlli di camuffamento dovrebbero essere
molto evidenti nei soggetti più interessati alla valutazione sociale, a prescindere dal
fatto che essi soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo o meno. Il controllo sul
camuffamento dovrebbe verificarsi meno frequentemente nei pazienti con reali
deformazioni i quali sono emotivamente ben adattati.
2. Il controllo sul comfort. Il controllo ripetuto di un difetto in maniera ritualistica può
essere diretto al raggiungimento di un senso di soddisfazione interna fino a che il
paziente si sentirà “adeguato”. Un esempio è fornito da una paziente la quale
ripetutamente pettinava e curava i suoi capelli per ore fino a quando non si sentiva
bene e fino a quando essa era convinta di avere un caschetto perfetto; un'altra
paziente si spellava ripetutamente la pelle del viso fino a quando anch’essa non
sentiva la sua pelle “liscia e morbida.”. I criteri usati per fermare un rituale
sembrano avere una somiglianza impressionante con i pazienti che soffrono di
disturbo ossessivo-compulsivo che abbiamo appena descritto. Richards109 nel 1995
scoprì che i pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo erano più probabili usare i
criteri che erano focalizzati su una qualità soggettiva di esperienza (per esempio il
sentimento di adeguatezza oppure le cose che fanno stare bene) oppure l'utilizzo di
una regola idiosincratica per terminare un rituale. L'ipotesi è che questo tipo di
controllo basato sui criteri interni dovrebbe essere evidente nel disturbo da
dismorfismo corporeo ma non dovrebbe verificarsi nei pazienti con reali
deformazioni i quali ricorrono alla chirurgia estetica oppure sono emotivamente
ben adattati.
3. I controlli oltre i dubbi. Il controllo del difetto percepito può anche verificarsi a
causa di alcuni dubbi sulla sua gravità. È ipotizzato che questo tipo di controllo
dovrebbe essere guidato da una percezione intensificata dell'immagine corporea
109 Richards C. H. (1995). “The cognitive phenomenology of OCD repeated rituals.” Post presented at World
Congress of behavioural and cognitive therapies, Copenhagen.
62
portando così i pazienti a controllare ripetutamente la natura di questo difetto e
raccogliere più informazioni possibili su di esso. A tal proposito i pazienti possono
anche mentalmente paragonare la loro anomalia percepita con altri oppure andando
a cercare rassicurazione da altri sulla gravità del difetto. È ipotizzato che:
I pazienti con reali difetti i quali ricorrono alla chirurgia estetica dovrebbero
controllare di meno e discuterne con il chirurgo in modo tale che poi essi
possano concordare sulla anomalia e sul fatto che non vi è alcun dubbio sulla
gravità del difetto.
I pazienti con reali difetti i quali sono emotivamente ben adattati dovrebbero
controllare di meno rispetto ai pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo in
quanto non vi è alcun dubbio nella loro testa riguardo la gravità del loro difetto.
I pazienti con DDST (ovvero con il disturbo delirante di tipo somatico)
dovrebbero verificare di meno rispetto ai pazienti con disturbo da dismorfismo
corporeo in quanto essi sono fermamente convinti sul loro difetto e non hanno
dubbi sulla gravità di esso.
Nel nostro studio di 50 soggetti con disturbo da dismorfismo corporeo (Veale at al., 1996),
abbiamo scoperto che l’80% di essi venne classificato come dei “controllori” (se essi
stavano controllando il loro difetto percepito in almeno metà dei giorni del mese
precedente) e il 18% fu classificato come “evitatori” (se essi stavano evitando di guardare
alle loro difetto percepito con la stessa frequenza); il 10% è risultato essere entrambi
ovvero sia “controllori” che “evitatori” con la stessa frequenza, forse dipendendo dal loro
stato d'animo o dalla loro situazione. Si è ipotizzato che l'evitamento di un difetto percepito
dovrebbe essere evidente ogni volta che il sentimento di disgusto verso il difetto percepito
sia elevato. Ogni volta che l'individuo controlla o evita il suo difetto percepito, c'è un
evitamento frequente delle situazioni sociali e pubbliche; alcuni pazienti possono sentirsi
costretti a stare a casa ed evitare così di mostrare il loro difetto percepito in pubblico.
Crediamo che una più dettagliata analisi funzionale sui rituali di controllo e il
comportamento di evitamento necessitano di essere portati a termine dai pazienti con
disturbo da dismorfismo corporeo e che collega questi comportamenti con le loro
specifiche convenzioni.
63
2.4 FATTORI PREDISPONENTI, SCATENANTI E DI
MANTENIMENTO NEL DDC.
Come sappiamo il disturbo da dismorfismo corporeo fa parte dei disturbi somatoformi i
quali sono inseriti all’interno del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi
mentali); tra i disturbi somatoformi troviamo sette disturbi che hanno una caratteristica che
li accomuna tutti, ovvero una lamentela fisica o una preoccupazione somatica che non è
meglio attribuibile ad una condizione medica generale o ad un altro disturbo mentale. I
sette disturbi somatoformi sono i seguenti:
Disturbo di conversione;
Disturbo di somatizzazione;
Disturbo somatoforme indifferenziato;
Disturbo algico;
Ipocondria;
Disturbo di dismorfismo corporeo;
Disturbo somatoforme non altrimenti specificato (NAS).
Sono disturbi al limite tra le condizioni mediche generali e i disturbi mentali, e i soggetti
che presentano questi quadri tendono a fare la spola tra ambienti medici e psichiatrici;
questo può portare a diagnosi errate da entrambe le parti (per es., un soggetto con disturbo
di somatizzazione può subire molti interventi chirurgici non necessari, e ad un paziente con
sclerosi multipla può essere diagnosticato un disturbo di conversione).
Importante è la diagnosi differenziale con:
1. Sintomi fisici attribuibili ad una condizione medica generale che non si è ancora
manifestata;
2. Sintomi fisici meglio attribuibili ad un altro disturbo psichico (per es., Disturbo di
Panico, Disturbo Depressivo Maggiore, Astinenza da Cocaina);
3. Sintomi fisici prodotti intenzionalmente dal soggetto (Disturbo fittizio,
Simulazione).
Come abbiamo accennato precedentemente il disturbo da dismorfismo corporeo è
strettamente correlato a questi disturbi somatoformi appena elencati in quanto hanno,
appunto, una caratteristica in comune che consiste nel fatto che il soggetto percepisce dei
difetti sul suo corpo anche se magari non ne ha ma è convinto di averne tanto da far
scaturire tutta una serie di conseguenze psicologiche che in qualche maniera vanno ad
intaccare e quindi ad incidere negativamente sul suo corpo e sul suo organismo talvolta con
effetti davvero terribili.
64
Il confine fra questo disturbo e le normali preoccupazioni ed insoddisfazioni per il proprio
aspetto fisico è difficile da definire, e la diagnosi dovrebbe limitarsi a quelle persone che
sono dominate e tormentate dalla preoccupazione, fino a passare molte ore allo specchio
oppure dedicare molto tempo a cercare di nascondere il presunto difetto con la convinzione
che tutti lo notino. La diagnosi viene fatta di solito dai chirurghi plastici, ai quali questi
pazienti si rivolgono nella speranza, spesso vana, di trovare sollievo alla loro angoscia.
Oltre a questi disturbi il DDC è collegato anzi, per meglio dire, potrebbe collegarsi ad altri
due disturbi fondamentali che possiamo in qualche maniera considerarli come una sorta di
conseguenza al DDC: parliamo della fobia sociale e dei disturbi del comportamento
alimentare.
La fobia sociale.
Il disturbo d’ansia sociale (DAS) noto anche come fobia sociale è un disturbo
d’ansia caratterizzato da un’intensa paura che provoca notevole disagio. La
diagnosi del disturbo d’ansia sociale può essere di disturbo specifico (quando sono
temute solo alcune situazioni particolari) o un disturbo generalizzato. Il disturbo
d’Ansia generalizzato sociale solitamente comporta una persistente, intensa, paura
cronica di essere giudicati dagli altri e di essere imbarazzati o umiliati dalle proprie
azioni; questi timori possono essere attivati da un controllo apparente o reale dagli
altri. Quando i soggetti con fobia sociale pensano di essere in pericolo di
valutazione dagli altri, essi spostano l’attenzione al monitoraggio dettagliato e
all’osservazione di sé stessi, in poche parole sembrano usare l’informazione per
costruire una opinione per una convinzione oppure un’immagine che poi assumono
altre persone e che tengono su di loro; invece di essere coinvolti nel mondo esterno
e magari frequentare altre persone i soggetti con fobia sociale si girano verso
l’interno per avere informazioni su sé stesso e ritengono che gli altri li stanno in
qualche modo valutando. Questo è stato descritto da fattori che sono stati nominati
“ragionamenti emotivi” (“perché mi sento inadeguato, è il fatto che sono
inadeguato”) e “la lettura della mente” (ritenendo che gli altri pensano allo stesso
modo senza nessuna dimostrazione).
I disturbi da comportamento alimentare.
Per i disturbi del comportamento alimentare (DCA) la letteratura segnala
costantemente l’importanza di integrare i tradizionali metodi ed approcci di
65
trattamento con specifici interventi sugli aspetti nucleari del disturbo con il solo
scopo di migliorarne l’efficacia e allo stesso tempo l’efficienza. Sebbene i disturbi
da comportamento alimentare non possano essere considerati dei veri e propri
disturbi dell’immagine corporea, negli ultimi cinquant’anni un vasto numero di
indagini ha confermato il ruolo importante che una sua alterazione ha sia nello
sviluppo che nel loro mantenimento,
Perciò, a tal proposito, la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) offre degli
ottimi strumenti di trattamento, appunto, che comportano una perfetta sintonia tra le
strategie sia per i disturbi da comportamento alimentare che per quelli da
dismorfismo corporeo.
La presenza dei criteri diagnostici esposti nel §1.3 dovrebbe far pensare alla
presenza di un problema di dismorfismo, tenendo in dovuta considerazione il fatto
che essi possono presentarsi ad un diverso grado di gravità da persona a persona e
in periodi diversi, e produrre quindi dismorfismo corporeo di diversa gravità.
Come abbiamo detto nel §1.2 il disturbo da dismorfismo corporeo è caratterizzato
principalmente per la continua preoccupazione del soggetto relativa ad eventuali e
forse improbabili difetti del proprio corpo; la costante presenza di questa
preoccupazione relativa ad ipotizzati difetti corporei è riscontrata anche in altri
disturbi, primo tra tutti i disturbi alimentari. Nell’anoressia nervosa, ad esempio, la
persona è costantemente preoccupata per la propria forma corporea e nello
specifico è preoccupata per il proprio peso ed è convinta di avere qualche forma in
più; per questo motivo è molto importante, nella formulazione della diagnosi del
dismorfismo corporeo, escludere la presenza di preoccupazioni che possano essere
riferibili ad un disturbo alimentare, per fare ciò occorre indagare sulla natura di
questa preoccupazione del paziente. Nel dismorfismo, infatti, essa non è collegata
alla forma del corpo ed al peso; sebbene anche nell’anoressia si riscontrino spesso
delle preoccupazioni importanti relative a delle parti specifiche del corpo, nel
dismorfismo corporeo tali preoccupazioni vengono solitamente considerate le
principali. In poche parole la persona con anoressia nervosa riferisce, in maniera
particolare, una preoccupazione specifica relativa al peso e alle proprie forme,
mentre la persona con dismorfismo corporeo riferisce di avere delle preoccupazioni
per la forma del proprio naso, del proprio viso, per la sottigliezza o lo spessore dei
propri capelli, per la forma delle mani, del proprio seno ecc. Se ad essere presenti
sono principalmente preoccupazioni relative a peso e forma corporea non sarebbe
corretto diagnosticare un disturbo da dismorfismo corporeo ma sarebbe più
66
opportuno rivolgere la propria attenzione ad una diagnosi della sfera dei disturbi
alimentari.
Abbiamo identificato cinque studi i quali hanno esaminato gli effetti del DDC e del DOC
sulla suicidalità ma solo due di questi studi si sono focalizzati sulla comorbidità del
disturbo da dismorfismo corporeo con il disturbo ossessivo-compulsivo110 111; questi due
studi hanno dimostrato che gli individui con comorbidità di disturbo da dismorfismo
corporeo con il disturbo ossessivo-compulsivo hanno avuto un rischio incrementato di
suicidalità al di là del disturbo ossessivo-compulsivo. Gli studi di confronto tra i livelli di
suicidalità tra due gruppi distinti di pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo
da dismorfismo corporeo hanno dimostrato che l’ideazione suicidaria era
significativamente più elevato nei gruppi con disturbo da dismorfismo corporeo rispetto ai
gruppi con disturbo ossessivo-compulsivo ma nessuna differenza era osservata nelle scale
di tentativi di suicidio.
In aggiunta al disturbo ossessivo-compulsivo, Phillips et al.112 (2005) hanno dimostrato che
una gamma di diagnosi psichiatriche con comorbidità erano probabilmente implicate nei
percorsi sottostanti di suicidalità nei soggetti con DDC, come disturbi depressivi, disturbi
alimentari, disturbo post-traumatico da stress e disturbi di personalità.
Tra questi, il disturbo con comorbidità maggiore fu scoperto essere il più forte predittore
dell’ideazione suicidaria nel disturbo da dismorfismo corporeo, laddove il disturbo post-
traumatico da stress con comorbidità, i disturbi da uso di sostanze erano i più forti
predittori dei tentativi di suicidio nel DDC. Due studi supplementari hanno riportato
sostanzialmente un rischio incrementato di tentativi di suicidio nel disturbo da dismorfismo
corporeo dovuto alla presenza dell’anoressia nervosa con comorbidità113 e i disturbi da
utilizzo di sostanze114.
Il disturbo da dismorfismo corporeo ha una prevalenza stimata che varia da 0.7 a 2.4%
110 Coincecao Costa D. L., Chagas Assuncao M., Arzeno Ferrao Y., Archetti Conrado L., Hajaj Gonzalez C.,
Franklin Fontenelle L. et al. (2012). “Body dysmorphic disorder in patients with obsessive-compulsive
disorder: prevalence and clinical correlates.” Depression and anxiety, 29, 966-975. 111 Frare F., Perugi G., Ruffolo G. & Toni C. (2004). “Obsessive-compulsive disorder and body dysmorphic
disorder: a comparison of clinical features.” European psychiatry, 19, 292-298. 112 Phillips K. A., Coles M. E., Menard W., Yen S., Fay C. & Weisberg R. B. (2005). “Suicidal ideation and
suicidal attempts in body dysmorphic disorder.” Journal of clinical psychiatry, 66, 717-725. 113 Grant J. E., Kim S. W. & Eckert E. D. (2002). “Body dysmorphic disorder in patients with anorexia
nervosa: prevalence, clinical features and delusionality of body image.” International journal of eating
disorders, 32, 291-300. 114 Grant J. E., Menard W., Pagano M. E., Fay C. & Phillips K. A. (2005). “Substance use disorders in
individuals with body dysmorphic disorder.” Journal of clinical psychiatry, 66, 309-405.
67
anche se ancora l’attuale prevalenza del DDC può essere sotto riportato115 116;
approssimativamente il 9-14% dei pazienti in cliniche generali di dermatologia hanno una
diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo, e nell’ambito della chirurgia estetica si
pensa che la prevalenza sia addirittura più elevata. Anche come conseguenza delle
pressioni sociali e commerciali, il disturbo da dismorfismo corporeo è divenuto un
problema abbastanza comune negli ultimi decenni arrivando ad interessare circa il 2,5%
della popolazione generale ed addirittura il 7-15% delle persone che si sottopongono a cure
dermatologiche e/o interventi di chirurgia estetica.
Tuttavia, secondo gli esperti, le prevalenze stimate sulla base degli studi epidemiologici
rappresenterebbero soltanto la punta dell’iceberg; i casi reali, infatti, sarebbero molto più
numerosi ma ampiamente sotto-diagnosticati a causa di una generalizzata tendenza a
sottovalutare i sintomi del disturbo e soprattutto della mancata ricerca di aiuto specialistico
da parte dei diretti interessati. Il disturbo da dismorfismo corporeo tende ad interessare
donne e uomini con frequenza paragonabile (anche se poco più maggiore tra le donne) e
può insorgere in qualunque momento della vita di un individuo; tuttavia, esistono due età a
maggiore rischio: l’adolescenza, ovvero quando le intese e le repentine trasformazioni del
corpo possono essere particolarmente difficili da “metabolizzare”; e i 45-50 anni, ovvero
quando i primi segni dell’invecchiamento si scontrano con il desiderio di piacere a
prescindere dal tempo che passa e con i dettami di una società che vorrebbe tutti sempre
giovani, toni e smaglianti.
Nonostante le cause restino in gran parte da definire (come abbiamo detto nel §2.1), sia sul
piano biologico che su quello neuropsicologico, il disturbo da dismorfismo corporeo può
essere efficacemente curato attraverso terapie farmacologiche mirate e basate
principalmente su antidepressivi della classe degli SSRI (“Selective Serotonin Reuptake
Inhibitors” ovvero gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) ed interventi
psicoterapici (tra cui ad esempio la terapia psico-comportamentale). Intervenire
precocemente è importante non solo per migliorare il benessere e la qualità di vita di chi
soffre ma anche prevenire il ricorso a trattamenti estetici medici e/o chirurgici non
necessari; ma per quanto riguarda la prevenzione ed il trattamento del disturbo da
dismorfismo corporeo ne parleremo più dettagliatamente nel prossimo capitolo.
Una lettera fu mandata a 220 consulenti psichiatrici, 160 dermatologi, e 151 chirurghi
115 Mufaddel A., Osman O., Almugaddam F., Jafferany M. (2013). “A review of body dysmorphic disorder
and its presentation in different clinical settings.” Prim Care Companion CNS Disorder; 15. 116 Koran L., Abujaoude E., Large M., Serpe R. (2008). “The prevalence of body dysmorphic disorder in the
United States adult population.” CNS Spectrum; 13:316-322.
68
plastici nel centro e al nord di Londra, in Hertfordshire e in Essex richiedendo rinvii per i
pazienti con dismorfofobia. Altri pazienti sottoposero sé stessi allo studio in seguito alla
comparsa di un articolo di giornale non richiesto sul disturbo da dismorfismo corporeo in
due giornali nazionali (“The Times” e “The Daily Mail”) ed una rivista per donne (il
famoso “Cosmopolitan”). Abbiamo scritto a tutti i pazienti potenzialmente identificati
come aventi il disturbo da dismorfismo corporeo, invitandoli a partecipare a questo
sondaggio: i pazienti che hanno aderito hanno partecipato ad una serie di interviste al
Grovelands Priory Hospital durando approssimativamente due ore per paziente. Le
interviste diagnostiche furono condotte da alcuni esperti e i pazienti erano inclusi se essi
riscontravano i criteri del DSM-III-R per quanto riguarda il disturbo da dismorfismo
corporeo; i criteri di esclusione erano la schizofrenia, il disturbo delirante, il danno
cerebrale organico, la dipendenza da droga oppure quelli in cui i soggetti erano preoccupati
primariamente per il loro peso o la loro forma corporea. Queste interviste erano strutturate
nel modo che segue:
a) Intervista clinica strutturata per il DSM-III-R117 e per i disturbi di personalità di
Asse II;
b) L’esame del disturbo da dismorfismo corporeo: questa è un’intervista clinica semi
strutturata che è ideata per accelerare le diagnosi di disturbo da dismorfismo
corporeo. Esso misura l’insoddisfazione e la preoccupazione per l’aspetto fisico,
l’evitamento di situazioni sociali e attività psicologiche, comportamento di
controllo corporeo, camuffamento corporeo e ricerca di rassicurazione.
c) Modifica del Yale-Brown Obsessive-Compulsive Scale per il disturbo da
dismorfismo corporeo;
d) Scala di valutazione di depressione di Montgomery & Ȧsberg118.
Ma come valuta il paziente questo esame? L’intervistato/il paziente valuta l’esame
precedentemente descritto pensando che:
Un questionario è stato creato dagli autori per suscitare le convinzioni ipotizzate dei
pazienti e le loro attitudini riguardanti il loro difetto percepito. Ai pazienti era stato
chiesto di valutare il grado in cui erano d’accordo con dichiarazioni del tipo “se la
117 Spitzer R. L., Williams J. B. W., Gibbon M. et al. (1990). “Structured clinical interview for DSM-III-R.”
Washington, DC: American Psychiatric Press. 118 Mongomery S. A. & Ȧsberg M. (1979). “A new depression rating scale designed to be sensitive to
change.” British journal of psychiatry, 134, 382-389.
69
mia apparenza è imperfetta allora sono indegno” su una scala che va da 1 (“non del
tutto”) a 6 (“crederlo fortemente”).
La gravità del difetto percepito era valutato dallo stesso intervistatore e da ogni
paziente su una scala da 1 a 6, dove 1 rappresenta nessuna anomalia mentre 6 una
maggiore deformazione.
L’informazione era anche ottenuta su un precedente trattamento ricevuto.
89 persone furono invitate a partecipare all’intervista e 61 di questi furono valutati per un
periodo di oltre nove mesi. Un uomo con un’apparente disturbo da dismorfismo corporeo
si è addirittura suicidato prima di essere valutato; 27 hanno preferito non prenderne parte.
Dei 61 valutati, 50 (ovvero l’82%) hanno soddisfatto i criteri diagnostici per il disturbo da
dismorfismo corporeo come loro prima diagnosi; due hanno avuto una prima diagnosi di
schizofrenia paranoide, uno ha avuto la diagnosi di disturbo delirante di tipo somatico, due
con episodi depressivi, due con disturbo ossessivo-compulsivo (OCD), uno con disturbo
d’ansia generalizzato, uno con disturbo da dolore psicogeno, uno di ipocondria e uno altro
faceva un cattivo uso di alcool. 36 soggetti dei 50 con disturbo da dismorfismo corporeo
come diagnosi principale erano auto-rinvii, mentre 14 furono rinviati da un altro specialista
o da un’altra agenzia (cinque pazienti da chirurgi plastici o dermatologi, cinque da
psichiatri e due dal loro medico di medicina generale). C’era solo una differenza
statisticamente significativa sulle variabili demografiche e le scale di valutazione tra questi
pazienti che furono auto-rinviati e quelli rinviati da un’altra agenzia; questo era un
punteggio composto per il grado di evitamento sull’esame del disturbo da dismorfismo
corporeo. I risultati dei due gruppi sono stati di conseguenza analizzati insieme; i dati
demografici ed i risultati ottenuti dalla comorbidità e le scale di valutazione psichiatriche
sono dimostrate nella tabella 1.
.
70
I pazienti hanno avuto una elevata prevalenza di tentativi di suicidio (il 24%) ed episodi
depressivi (il 36%). C’era anche un’elevata frequenza di disturbi di personalità nel nostro
studio: al 72% dei pazienti è stato diagnosticato uno o più disturbi di personalità, il 48%
hanno avuto uno o più disturbi, il 26% hanno avuto tre o più disturbi ed il 4% quattro o più
disturbi. I più comuni e frequenti disturbi di personalità erano il disturbo evitante (con il
38%), disturbo paranoide (anch’esso con il 38%), ed il disturbo ossessivo-compulsivo (con
il 28%); altri disturbi di personalità trovati furono il disturbo passivo aggressivo (il16%), il
disturbo dipendente (il 12%), disturbo istrionico (l’8%), disturbo narcisistico (il 6%) e
quello borderline (anch’esso il 6%).
I punteggi sulla BDDE per le donne sono molto simili allo studio condotto da Rosen &
Reiter nel 1996 sugli 82 soggetti con disturbo da dismorfismo corporeo il cui punteggio
medio per le donne era 90.7; il 28% dei pazienti hanno segnato un punteggio oltre il 20 sul
71
MADRS, indicando una depressione clinica significativa. Il punteggio medio Derriford era
notevolmente più alto rispetto a quello osservato in uno studio di pazienti di chirurgia
estetica; il punteggio Derriford era anche correlato con il YBOCS.
La tabella 2 elenca i risultati del nostro questionario riguardante le convinzioni del difetto
percepito. C’era solo una differenza statisticamente rilevante tra i soggetti che erano
clinicamente depressi e quelli che non lo erano, ovvero la convinzione seguente:” Sarei
ancora poco attraente se non avessi il mio difetto”, pazienti che erano clinicamente
depressi erano più propensi ad affermare questa convinzione. Per la valutazione del difetto
percepito, il 77% (ovvero 36/47) dei pazienti ha avuto una normale apparenza (punteggio 1
ed il restante 23% ha avuto un minore difetto che era all’interno dei limiti cosiddetti
normali (punteggio 2); nessuna differenza di nessuna delle misure fu trovata tra i soggetti
dei punteggi 1 e 2. Tuttavia, il 71% (ovvero 34/48) dei pazienti, quando valutano sé stessi,
segnano un punteggio tra 4 e 6.
Il 38% (ovvero 18/48 soggetti) del nostro campione non ha detto al loro medico delle loro
preoccupazioni in quanto provavano un sentimento di imbarazzo credendo allo stesso
tempo che il loro medico non avrebbe capito, non avrebbe preso il problema seriamente.
Del 62% che ha detto al medico delle loro preoccupazioni, l’83% era insoddisfatto oppure
molto insoddisfatto per la loro risposta. Dei 26 che hanno ricevuto entrambi i trattamenti,
sia psicologico che psichiatrico per il loro disturbo da dismorfismo corporeo, il 92%
(ovvero 24/26) erano insoddisfatti o molto insoddisfatti di entrami i trattamenti ricevuti. Il
48% avevano visto o un chirurgo estetico o un dermatologo almeno una volta ed il 26%
aveva subito uno o più operazioni sul loro difetto percepito. L’81% (ovvero 17/21) hanno
valutato sé stessi come insoddisfatti o molto insoddisfatti per l’esito della consultazione o
dell’operazione. Il 28% aveva visto uno psichiatra ad un certo punto nel passato ed il 12%
ha avuto spesso per molti mesi un trattamento psichiatrico degente. Al momento della
valutazione, il 12% stava prendendo clomipramina, al 4% era stato prescritto un
antidepressivo SSRI, ad un altro 4% era stato prescritto un altro antidepressivo ed il 10%
prendeva benzodiazepine.
72
2.4.1 LE POSSIBILI CONSEGUENZE DEL DISTURBO.
Il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC) è una grave ed una invalidante condizione di
salute mentale caratterizzata da tutta una serie di sintomi legati alle preoccupazioni
dell’immagine corporea, come ad esempio pensieri intrusivi ricorrenti sulle deformazioni
percepite oppure difetti nell’aspetto fisico. La prevalenza del disturbo da dismorfismo
corporeo è stimata su circa il 2% della popolazione generale119 anche se tra le persone che
ricorrono alla chirurgia estetica è stata riportata una percentuale del 15.6% (Buhlmann et
al., 2010). Sebbene più comuni rispetto ad altre gravi condizioni di salute mentale, come ad
esempio la schizofrenia e l’anoressia nervosa che variano in prevalenza da 0.5 a 1% nella
119 Buhlmann U., Glaesmer H., Mewes R., Fama J. M., Wilhelm S., Brähler E. & Rief W. (2010). “Updates
on the prevalence of body dysmorphic disorder: a population-based survey.” Psychiatry research, 178, 171-
175.
73
popolazione generale120, il DDC rimane spesso non riconosciuto nella pratica clinica e la
sua associazione con altre gravi avversità di salute mentale, inclusa l’ideazione suicidaria
ed i tentativi di suicidio, ha ricevuto scarsa attenzione dalla ricerca121. In questo studio il
termine “suicidalità” era usato come riferimento all’ideazione suicidaria, piani e tentativi e
morti suicide; dovrebbe essere noto che presso le strutture ospedaliere psichiatriche, il
disturbo da dismorfismo corporeo è raramente identificato a meno che non venga utilizzata
una intervista diagnostica strutturata.
Il DDC è classificato sotto la categoria del disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi
correlati nel DSM-V, laddove nelle versioni precedenti del DSM esso era incluso nella
categoria dei disturbi somatoformi. Questo cambiamento nella concettualizzazione del
disturbo da dismorfismo corporeo è conforme con la letteratura scientifica mostrando che il
DDC ed il DOC sono distinti ma allo stesso tempo strettamente collegati, e spesso sono
malattie mentali con delle comorbidità. Una recente analisi sistematica ed una meta analisi
hanno confermato che c’è una forte relazione tra il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e
la suicidalità, considerando, perciò, le caratteristiche che hanno in comune il DDC ed il
DOC, che sono accompagnati da livelli simili di danneggiamento funzionale, abbiamo
scoperto che la suicidalità si manifesta anche nelle persone che soffrono di disturbo da
dismorfismo corporeo. Concorde con questa opinione, un numero di studi ha dimostrato
che i pazienti con DDC sono a rischio particolarmente elevato di sperimentare il suicidio,
per esempio, le stime di prevalenza dei tentativi di suicidio nelle persone con disturbo da
dismorfismo corporeo sono state riportate come il 7.2%. La prevalenza di tali tentativi
nella popolazione generale è stata documentata come il 2.7% in tutto il mondo e nei
soggetti con disturbi d’ansia e la schizofrenia come rispettivamente il 3.4% ed il 10.9%.
Come sappiamo il DDC è accompagnato da gradi molto elevati di angoscia psicologica,
disperazione e sentimenti di imbarazzo, vergogna o sconforto collegato all’apparenza e
all’immagine corporea; di conseguenza, le persone con disturbo da dismorfismo corporeo
spesso si sentono socialmente ansiose e tendono ad allontanarsi dalle interazioni sociali o
addirittura evitarle completamente. Modelli contemporanei di suicidalità indicano che tali
sentimenti negativi, esperienze e percezioni, specialmente quando sono connessi
all’isolamento sociale, sono fattori di rischio per l’innesco ed il mantenimento di pensieri,
comportamenti e atti di suicidio. I sintomi depressivi con comorbidità sono anche delle
120 Hoek H. W. & Hoeken D. (2003). “Review of the prevalence and incidence of eating disorders.”
International journal of eating disorders, 34, 383-396. 121 Veale D. & Bewley A. (2015). “Body dysmorphic disorder.” Bmj, 350, h2278.
74
caratteristiche comuni del disturbo da dismorfismo corporeo122 e può amplificare le
relazioni tra le percezioni negative associate al fatto di avere il disturbo da dismorfismo
corporeo e la suicidalità. Fino ad oggi, solo uno studio ha tentato di indagare sui percorsi
che portano alla suicidalità nelle persone con DDC seguendo una struttura teorica come
postulata dalla teoria psicologica-interpersonale del suicidio; in assenza di un’analisi
sistematica, tuttavia, è difficile accertarne i livelli ed i meccanismi sottostanti la suicidalità
a coloro che soffrono di disturbo da dismorfismo corporeo, perciò abbiamo deciso di
intraprendere un’analisi sistematica ed una meta analisi con i seguenti tre obiettivi centrali:
a. Sintetizzare sistematicamente e quantificare qualsiasi legame tra il disturbo da
dismorfismo corporeo e la suicidalità.
b. Esaminare i meccanismi sottostanti di suicidalità nel DDC, che probabilmente
includono caratteristiche specifiche del DDC (ad es. gravità, sintomi specifici e
sottotipi), comorbidità psichiatriche (ad es. la depressione, il DOC) ed altri fattori
clinici, psicologici o demografici.
c. Esaminare se la co-presentazione del DOC e del DDC aumenta ulteriormente il
rischio di suicidalità oltre agli effetti di tali disturbi presi singolarmente.
Questa analisi sistematica e meta analisi fu eseguita e presentata con l’affermazione del
Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta Analyses (PRISMA) (Moher,
Liberati, Tetzlaff & Altman, 2009).
Gli studi identificati hanno dovuto soddisfare tre criteri per essere inclusi nell’analisi:
a) applicato un progetto di ricerca quantitativa;
b) indagato sulla relazione tra la suicidalità e la diagnosi di disturbo da dismorfismo
corporeo, oppure esplorato qualunque fattore che abbia contribuito a questa
relazione;
c) scritto in inglese e pubblicato in una rivista specializzata.
Dal momento che questa è la prima analisi nel campo, abbiamo deciso di adottare un
approccio inclusivo e di non aggiungere alcun limite d’età per il partecipante anche se
abbiamo scoperto che la vasta maggioranza degli studi idonei assumerebbe adulti.
Sono stati presi in considerazione cinque database tra i quali Medline, PsychInfo, Embase,
122 Phillips K. A., Didie E. R. & Menard W. (2007). “Clinical features and correlates of major depressive
disorder in individuals with body dysmorphic disorder.” Journal of affective disorder, 97, 129-135.
75
Web of Science and CINAHL; le ricerche erano condotte dall’inizio di giugno 2015. La
nostra strategia di ricerca includeva entrambe le parole di testo e i termini MeSH (Medical
Subjective Headings) e due termini chiave: suicidio (suicidio oppure autolesionismo) e
DDC (disturbo da dismorfismo corporeo).
La valutazione della qualità metodologica degli studi era eseguita su alcuni criteri adottati
dal Centro per Analisi e la guida di Diffusione per intraprendere le analisi nell’assistenza
sanitaria (CAD) e lo Strumento di Valutazione di Qualità per gli studi quantitativi123.
Questi criteri erano i seguenti:
i. progetto di ricerca;
ii. linea base del tasso di risposta dei partecipanti;
iii. ulteriore tasso di risposta dei partecipanti;
iv. misura del disturbo da dismorfismo corporeo;
v. misura di suicidalità:
Il risultato degli studi individuali misurando la relazione tra la suicidalità ed il DDC erano
stati raggruppati usando le tecniche di analisi meta-analitica; le probabilità di rapporti e la
confidenza di intervalli associata per l’esito delle misure di questi studi erano calcolati
usando STATA 12.1 (Stata, 2011). Le probabilità di rapporti erano raggruppati nella
dimensione dell’effetto perché la vasta maggioranza degli studi ha riportato gli esiti
categorici, come ad esempio le proporzioni dei partecipanti con o senza DDC i quali hanno
evidenziato una ideazione e dei tentativi di suicidio; solo uno studio ha riportato un esito
continuo (numero medio di tentativi di suicidio nei partecipanti con e senza disturbo da
dismorfismo corporeo), il quale era convertito ad una probabilità di rapporto basato su una
formula solitamente usata suggerita da Borenstein, Hedges, Higgins & Rothstein (2005)124.
Abbiamo effettuato una analisi di sottogruppo per esaminare se i risultati del legame tra il
DDC e la suicidalità sono variati attraverso i diversi tipi di studi; tutte le analisi sono state
condotte usando un modello di effetti casuali a causa della anticipata eterogeneità:
l’eterogeneità era valutata usando la statistica l2 (Higgins, Thompson, Deeks, Altman,
2003)125.
123 Thomas B. H., Ciliska D., Dobbins M. & Micucci S. (2004). “A process for systematically reviewing the
literature: providing the research evidence for public health nursing interventions.” World views on evidence-
based nursing, 1, 176-184. 124 Borestein M., Hedges L., Higgins J. & Rothstein H. (2005). Comprehensive meta-analysis, Englewoodn
NJ: Biostat. 125 Higgins J. P. T., Thompson S. G., Deeks J. J. & Altman D. G. (2003). “Measuring inconsistency in meta-
analysis.” British medical journal, 327, 557-560.
76
La strategia di ricerca ha fruttato 325 articoli: di questi 325 articoli, 51 erano rilevanti per il
controllo del testo completo. Come dimostrato nel diagramma (Figura 1), 37 studi erano
idonei per essere inclusi nell’esame, ma 18 erano basati sullo stesso campione di
partecipanti. Tra questi 18 studi solo uno (il quale ha fornito i dati più completi) fu inserito
nella meta analisi, quindi questo esame ha compreso 20 studi.
La tabella 1 rappresenta le caratteristiche dei 20 studi che erano inclusi nell’analisi. Di
questi studi, dieci erano condotti negli USA (il 50%), otto in Europa (il 40%) e due in
Brasile (il 10%). Tutti gli studi includevano i partecipanti di entrambi i sessi, ma allo stesso
tempo la maggior parte degli studi includevano un’elevata proporzione di donne; l’età
media dei partecipanti era 38 anni con una oscillazione che andava da 26.6 a 51 anni.
Due studi erano condotti con bambini ed adolescenti con un’età media di 14.85 anni.
Come dimostrato nella tabella 1, a eccezione dei due studi (che non erano basati né sul
DSM-III-R né sul DSM-V), una diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo e
l’accertamento della gravità dei sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo erano basati
sui criteri del DSM-IV. Una vasta gamma di strumenti diagnostici per il DDC era
impiegata da studi diversi; quindici studi hanno impiegato interviste cliniche per assegnare
77
una diagnosi del DDC, mentre cinque studi utilizzati hanno convalidato dei questionari; le
più comuni misure di valutazione erano l’intervista clinica strutturata per il DSM-IV126 ed
il questionario sul disturbo da dismorfismo corporeo127. Sette studenti hanno fornito dati
inerenti all’ideazione suicidaria ed ai tentativi di suicidio, quattro studi hanno misurato
solo l’ideazione suicidaria e due studi si sono focalizzati solo sui tentativi di suicidio. Uno
studio ha riportato un punteggio complessivo di suicidalità la quale veniva determinata
usando domande dentro il contesto delle interviste cliniche (n=7) e questionari auto-
rapporto (n=7). Tuttavia, solo tre studi usati hanno convalidato questionari
specificatamente progettati per misurare la suicidalità; per di più, sei studi hanno fallito
nello specificare la misura utilizzata per accedere alla suicidalità e solo uno studio ha
esaminato il collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo con le morti suicide.
126 First M. B., Spitzer R. L., Gibbon M & Williams J. B. W. (2002). “Structured clinical interview for DMS-
IV-TR axis I disorders, research version, patient edition. (SCID-1/P).” New York: Biometrics research: New
York state psychiatric institute. 127 Phillips K. (1998). “The broken mirror: understanding and treating body dysmorphic disorder.” Oxford:
Oxford University Press.
78
79
Le stime dell’ideazione suicidaria negli individui con disturbo da dismorfismo corporeo
sono state collocate tra il 17% ed il 77.2%, mentre le stime dei tentativi di suicidio sono
state collocate tra il 2.6% ed il 62.5% (vedi tabella 1). Sei studi hanno anche esaminato le
stime di ideazione suicidaria ed i tentativi di suicidio attribuiti esclusivamente al DDC: il
disturbo da dismorfismo corporeo che ha indotto l’ideazione suicidaria si è collocato tra il
19.1% ed il 697%, mentre il disturbo da dismorfismo corporeo che ha indotto i tentativi di
suicidio si è collocato tra l’1.5% ed il 22.2%.
Alla fine, l’informazione sulle morti suicide era scarsa; solo uno studio ha riportato che
due partecipanti sono morti di suicidio su un campione di 185 partecipanti con disturbo da
dismorfismo corporeo128.
Quattordici studi hanno fornito dei dati riguardanti il collegamento tra il disturbo da
dismorfismo corporeo e la suicidalità che era anche disponibile per la meta-analisi. I
rimanenti sei studi si sono focalizzati sull’esaminare i potenziali meccanismi che stanno
alla base della suicidalità nel disturbo da dismorfismo corporeo, oppure non hanno fornito
informazioni sufficienti per consentire il calcolo di una dimensione dell'effetto riguardo il
collegamento tra il DDC e la suicidalità. Nessuno degli studi ha incluso dati disponibili con
128 Phillips K. A. & Menard W. (2006). “Suicidality in body dysmorphic disorder: a prospective study.”
American journal of psychiatry, 163, 1280-1282.
80
rispetto al collegamento tra il DDC e le morti suicide; solo i dati dei tentativi di suicidio
erano stati inseriti nell’analisi per gli studi riportando dati sia per l’ideazione suicidaria sia
per i tentativi di suicidio in quanto l’ultimo è più prossimale alle morti suicide.
La dimensione dell'effetto aggregati con altri 14 confronti rilevanti era statisticamente
importante e positiva, ma l’elevata eterogeneità era presente (OR= 3.35,95% CL= 2.23 a
4,47, l2 = 69.5%, p <0.001, vedi figura 2).
Questi risultati indicano che gli individui con DDC erano quattro volte più probabili che
esponessero stime elevate di suicidalità confrontate con gli individui senza DDC (compresi
gli individui diagnosticati con disturbi alimentari, disturbo ossessivo-compulsivo e
qualsiasi altro disturbo d’ansia). Tra questi 14 confronti, solo uno ha riportato una
probabilità di rapporti inferiore a 1 indicando che i livelli di suicidalità erano inferiori negli
individui con disturbo da dismorfismo corporeo rispetto al gruppo di controllo, ma questo
effetto non era statisticamente importante.
Nell’esaminare l’ideazione suicidaria ed i tentativi di suicidio in questi soggetti con e senza
81
DDC, quelli con DDC erano quattro volte più probabili aver sperimentato l’ideazione
suicidaria e 2.6 volte più probabili aver messo in atto tentativi di suicidio. Tuttavia,
l’eterogeneità era elevata negli studi esaminando entrambi le analisi sull’ideazione
suicidaria e sui tentativi di suicidio (vedi Figura 3).
Questa analisi focalizzata sul collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo e la
suicidalità attraverso gli studi si è basata sulla popolazione clinica ed una larga comunità di
ricerche e sondaggi basati sulle popolazioni non cliniche. Attraverso gli studi basati sulle
popolazioni cliniche, i soggetti con DDC erano oltre due volte più probabili aver
sperimentato la suicidalità confrontati con quelli senza DDC (tipicamente pazienti
psichiatrici diagnosticati con una gamma di altre diagnosi in aggiunta al DDC come i
disturbi alimentari, il disturbo ossessivo-compulsivo o altri disturbi d’ansia) (vedi Figura
4).
82
Attraverso indagini comunitarie, quei soggetti con DDC erano pressoché sei volte più
probabili aver sperimentato la suicidalità rispetto a quelli senza DDC.
La qualità metodologica degli studi era medio-alta (come si può notare dalla tabella 2).
83
Dei 14 studi analizzati, sette hanno riscontrato tre dei quattro criteri di qualità; la
dimensione dell’effetto di questi sette studi era simile alla dimensione effetto dell’analisi
principale di tutti e 14 gli studi indicando che questi risultati non erano influenzati dalle
valutazioni della qualità metodologica. Conforme con questo, il test di Egger (2001) non
era rilevante per gli studi i quali esaminavano il collegamento tra il disturbo da
dismorfismo corporeo e la suicidalità (vedi Figura 5).
Nella sezione noi tendiamo a delineare i fattori, i quali sono propensi a fungere da
meccanismi che sono alla base della suicidalità nel disturbo da dismorfismo corporeo.
C’era qualche evidenza che specifici fattori del disturbo da dismorfismo corporeo hanno
contribuito alla suicidalità dei pazienti con tale disturbo; lo studio condotto da Phillips et
al. (2005) ha dimostrato che il disturbo da dismorfismo corporeo era la ragione principale
per l’ideazione suicidaria e per i tentativi di suicidio tant’è vero che sono stati individuati
oltre il 70% dei soggetti diagnosticati con DDC che hanno riportato un’ideazione suicidaria
ed oltre il 50% che hanno precedentemente messo in atto tentativi di suicidio. La cosa più
rilevante è che gli individui con il DDC erano altamente propensi a sperimentare
l’ideazione suicidaria ed i tentativi di suicidio attribuiti esclusivamente ai sintomi del
disturbo da dismorfismo corporeo come ad esempio le preoccupazioni legate all’immagine
corporea.
Caratteristiche certe del disturbo da dismorfismo corporeo, comprese le preoccupazioni sul
84
peso e le preoccupazioni sulla dismorfofobia muscolare, erano a rischio incrementato di
tentativi di suicidio. Per concludere questo concetto possiamo fare un breve riassunto dei
principali risultati elencandoli di seguito:
1. il primo scopo di questa analisi sistematica e meta-analisi era di indagare sul
collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo (DDC) ed i pensieri, i
tentativi suicidari e le morti suicide. Le nostre scoperte hanno confermato che la
suicidalità nel disturbo da dismorfismo corporeo è una preoccupazione
sostanziale che non ha ricevuto sufficiente attenzione nella ricerca infatti gli
individui diagnosticati con DDC erano quattro volte più propensi a sperimentare
l’ideazione suicidaria e 2.6 volte più propensi ad assumere tentativi di suicidio
paragonati agli individui senza disturbo da dismorfismo corporeo. Queste stime
sono elevate come quelle individuate nei disturbi d’ansia (OR=2.89 95%
CL=2.09 a 4.00 per l’ideazione suicidaria e OR=2.47 95% CL=1.96 a 3.15 per i
tentativi di suicidio)129 e paragonabili con gravi stati psicologici psichiatrici
come ad esempio il disturbo post-traumatico da stress e depressione maggiore.
Con riguardo alle morti suicide, i centri di controllo e prevenzione della malattia
hanno riportato una scala di morte suicida del 12.6% per 100,000 cittadini negli
USA; in questa analisi abbiamo scoperto solo uno studio longitudinale il quale
ha riportato che 2/185 individui con disturbo da dismorfismo corporeo sono
morti di suicidi nel giro di un anno. Tuttavia, questo studio ha utilizzato un
numero davvero piccolo di partecipanti e ha avuto un breve periodo. Una scala
di morte suicida del 2.2% è stata riportata per i pazienti con schizofrenia in un
anno130 e l’1% per i pazienti con depressione maggiore in un periodo di 18
mesi131.
Al fine di indagare sulla suicidalità nelle persone che provano il disturbo da
dismorfismo corporeo è, forse, necessario un misto di metodi e l’approccio
fornito potrebbe non essere quello adeguato; per esempio, potrebbe essere preso
un approccio diagnostico inclusivo al disturbo da dismorfismo corporeo, con
tecniche qualitative e quantitative per esaminare i fattori di rischio prossimali e
129 Kanwar A., Malik S., Prokop L. J., Sim L. A., Feldstein D., Wang Z. & Murad M. H. (2013). “The
association between anxiety disorders and suicidal behaviours: a systematic review and meta-analysis.”
Depression and anxiety, 30, 917-929. 130 Limosin F., Loze J. V., Phillipe A., Casadebaig F & Rouillon F. (2007). “Ten-year prospective follow-up
study of the mortality by suicide in schizophrenic patients.” Schizofrenia research, 94, 23-28. 131 Sokero T. P., Melartin T. K., Rytsala H. J., Leskela U. S., Lestela-Mielonen P. S. & Isometsa E. T. (2005).
“Prospective study of risk factors for attempted suicide among patients with DSM-IV major depressive
disorder.” British journal of psychiatry, 186, 314-318.
85
distali per quanto riguarda i pensieri ed i tentativi di suicidio. Un nuovo modo di
procedere in questo sforzo potrebbe essere quello di esaminare non solo i fattori
di rischio per la suicidalità, ma anche tutti quei fattori che hanno permesso le
persone con DDC di diventare resilienti ai pensieri ed ai comportamenti di
suicidio.
2. Il secondo scopo di questa meta-analisi era quello di indagare sui meccanismi
sottostanti la relazione tra il disturbo da dismorfismo corporeo e la suicidalità
con una particolare attenzione sulle caratteristiche specifiche del disturbo
collegato all’immagine corporea e all’apparenza, le malattie mentali e altri
fattori cilici, psicologici o demografici compreso l’isolamento o il ritiro sociale.
Nessuna evidenza era disponibile nella letteratura riguardante i meccanismi
sottostanti la suicidalità nel disturbo da dismorfismo corporeo, con l’eccezione
di un solo studio che ha esaminato la relazione tra il disturbo stesso e la capacità
acquisita del suicidio dalla seguente teoria interpersonale-psicologica del
suicidio132; questo studio ha suggerito che il disturbo post-traumatico da stress,
il disturbo di depressione maggiore e la vita con disturbo da dismorfismo
corporeo legata e l’aspirazione ad una vita alimentare restrittiva erano tra le
variabili chiave essendo responsabili della suicidalità nei pazienti con disturbo
da dismorfismo corporeo.
3. Il terzo scopo di questa meta-analisi era quello di determinare la vastità con cui
la comorbidità tra il disturbo ossessivo-compulsivo ed il disturbo da
dismorfismo corporeo ha incrementato le probabilità di suicidalità in entrambi i
disturbi (DOC e DDC); inoltre è stato scoperto che il disturbo da dismorfismo
corporeo ha incrementato la suicidalità oltre gli effetti del disturbo ossessivo-
compulsivo.
Queste scoperte indicano che la suicidalità potrebbe essere una maggiore
preoccupazione tra le persone che presentano i sintomi del disturbo da dismorfismo
corporeo nell’ambito clinico.
Fino ad ora, non è stato fatto nessuno sforzo sulla suicidalità a scopo terapeutico nei
soggetti con DDC; per esempio, protocolli o terapie psicologiche, con lo scopo di
trattare il disturbo da dismorfismo corporeo, che escludono i pazienti dall’essere
132 Witte T. K., Didie E. R., Menrad W. & Phillips K. A. (2012). “The relationship between body dysmorphic
disorder behaviours and the acquired capability for suicide.” Suicide % Life-threatening behaviour, 42, 318-
331.
86
potenziali suicidi133. Tuttavia, è incomprensibile che persone con disturbo da
dismorfismo corporeo, che sperimentano anche la suicidalità, sono una popolazione
particolarmente impegnativa ed è molto importante non escludere i pazienti da
eventuali interventi: questa è la prima analisi sistematica e meta-analisi del
collegamento tra il disturbo da dismorfismo corporeo e la suicidalità.
Sebbene i modelli all’interno del collegamento sono abbastanza complessi, il disturbo
da dismorfismo corporeo è notevolmente associato alla suicidalità.
133 Wilhelm S., Phillips K. A., Fama J., Greenberg J. L. & Steketee G. (2011). “Modular cognitive-
behavioural therapy of body dysmorphic disorder.” Behaviour therapy, 42, 624-633.
87
CAPITOLO 3: PREVENZIONE, CURA E
TRATTAMENTO DEL DDC.
3.1 PREVENZIONE E TRATTAMENTO DEL DDC.
Il termine prevenzione nel campo psicologico fa riferimento a politiche e programmi
che hanno l’obiettivo di eludere o perlomeno di prevenire il possibile sviluppo di
disturbi psicologici proteggendo così non solo la persona in sé ma anche e soprattutto la
popolazione in generale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito tre
livelli differenti di prevenzione:
Prevenzione di tipo primaria: è una tipologia di prevenzione che ha come
obiettivo quello di adottare interventi specifici e programmi in grado di evitare o
ridurre la possibilità di insorgenza e lo sviluppo di una malattia e si attua
riducendo i fattori di rischio dai quali potrebbe derivare un aumento
dell’incidenza di quella determinata patologia.
Prevenzione di tipo secondaria: è una tipologia di prevenzione che si riferisce
alla diagnosi precoce di una patologia, permettendo in questo modo un
intervento tempestivo senza riuscire ad evitarne o ridurne però la comparsa.
L’intervento precoce aumenta le opportunità terapeutiche migliorando la
progressione ed allo stesso tempo riducendo gli effetti negativi e prevenendo,
inoltre, il peggioramento del problema.
Prevenzione di tipo terziaria: questa tipologia di prevenzione è rivolta alle
complicazioni, alla possibilità di recidiva e addirittura di morte.
Oltre alle tipologie di prevenzione, sono stati identificati da Gordon nel 1983 tre livelli
di prevenzione che si distinguono l’uno dall’altro in base ai target di riferimento:
1) La prevenzione universale è rivolta a tutta la popolazione e non è ritagliata sui
fattori di rischio individuali; in sostanza questa tipologia di prevenzione
promuove la modifica ed il cambiamento di leggi, regolamentazioni attraverso
politiche pubbliche ed interventi a livello istituzionale.
2) La prevenzione selettiva consiste nell’identificazione dei sottogruppi target a
rischio all’interno della popolazione e, come la prevenzione universale, questa
88
selettiva non è disegnata su fattori di rischio individuali. In sostanza questa
prevenzione si rivolge a persone che non hanno ancora sviluppato il disagio ma
che comunque presentano fattori di rischio importanti.
3) Infine abbiamo la prevenzione individuale, è una tipologia di prevenzione
ritagliata sulle caratteristiche individuali, appunto, e sui fattori di rischio.
Nell’ambito dei disturbi legati all’immagine corporea, la prevenzione è un fattore del
tutto nuovo si può dire nel quale non si ha ancora chiarezza rispetto all’efficacia dei vari
programmi di intervento che si basano su vari approcci teorici diversi tra loro. Negli
ultimi anni si è evidenziato il passaggio da una concezione della prevenzione in cui essa
è prevalentemente incentrata sull’individuo ad una più ampia concezione in cui la
prevenzione considera il contesto e l’ambiente e quindi non solo l’individuo ma anche e
soprattutto ciò che lo circonda.
La cosiddetta prevenzione ecologica identifica e si rivolge a diversi aspetti del contesto
culturale e sociale con l’obiettivo di ridurre drasticamente il livello di rischio e
migliorare i fattori di protezione per prevenire, appunto, eventuali problemi legati
all’immagine corporea; è un approccio che in parole povere considera la natura
multidimensionale del contesto e, dunque, dei livelli di intervento.
L’ambiente può essere scomposto in tre principali livelli: il microsistema, che consiste
nell’ambiente interpersonale diretto come ad esempio la famiglia; le comunità o
organizzazioni di appartenenza come ad esempio la scuola e le organizzazioni sportive
ed infine il macrosistema che comprende le leggi, i ruoli all’interno della società, i
regolamenti e le strutture sociali. Ognuno di questi livelli può rappresentare il target di
interventi di prevenzione che si basano sull’approccio ecologico.
Come abbiamo già accennato precedentemente le strategie di intervento nella
prevenzione dei disturbi dell’immagine corporea si stanno piano piano orientando verso
un approccio che considera le relazioni tra le varie dimensioni del contesto all’interno
del quale l’intervento di prevenzione si manifesta. Esempi di intervento focalizzati sul
macrosistema sono le politiche pubbliche nell’ambito della salute che mirano ad
incidere su fattori di rischio generali e su fattori protettivi come ad esempio:
Influenza dell’ambiente socioculturale attraverso la diffusione di standard di
bellezza fisica irrealistica;
Promozione di strategie di mantenimento di un peso corporeo sano che non
inducano pressioni verso l’adesione a standard di bellezza inesistenti;
Tendenza a confrontare sé stessi con gli altri;
89
Scarsissima autostima di sé stessi e depressione;
Credenze radicate sull’indispensabilità degli standard di bellezza fisica per
l’accettabilità, l’avvenenza ed il successo personale.
Lavorare sul piano del macrosistema vuol dire agire sul sistema legislativo per regolare
alcuni comportamenti ritenuti seriamente rischiosi per possibili sviluppi di disturbi
dell’immagine corporea. La mobilitazione a livello legislativo non è, però, ancora
diffusa in quanto si ritiene che sia l’ultima opzione su cui intervenire quando ci si rende
conto che le persone, i gruppi e le comunità non sono capaci di autoregolarsi; tuttavia le
varie istituzioni governative sono in grado di promuovere codici di condotta non
vincolanti che regolano in qualche modo i comportamenti di aziende ed istituzioni, un
esempio che possiamo fare è quello inerente alla stipula di codici di condotta sia per le
aziende di moda che per i media, elaborati da alcuni paesi tra cui anche l’Italia, con lo
scopo principale di influenzare la diffusione di immagini maschili e femminili in modo
protettivo rispetto all’emergere di disturbi legati all’immagine corporea e del
comportamento alimentare. Infine, nell’ambito del social marketing vi sono delle
iniziative che hanno l’obiettivo di produrre cambiamenti negli atteggiamenti e
comportamenti individuali sul tema di interesse. Tuttavia queste iniziative non sono
ancora molto utilizzate in quanto sarebbero necessarie moltissime e ripetute esposizioni
ai vari messaggi per produrre azioni di cambiamento nei singoli soggetti. Nell’ambito
delle comunità e delle organizzazioni vengono sviluppati alcuni interventi di
prevenzione che incidono notevolmente su alcuni fattori di rischio come ad esempio:
Ambienti scolastici che non accettano la diversità;
Essere inseriti all’interno di ambienti i quali tendono a discriminare in modo
diretto o indiretto particolari forme corporee del soggetto;
Far parte di ambienti in cui è presente il comportamento di ridicolizzazione e
presa in giro rispetto all’immagine corporea;
Avere spesso delle conversazioni riguardo all’aspetto corporeo.
I programmi che si riferiscono al microsistema prevedono interventi psico-educativi e
alcuni interventi di sviluppo dell’autostima che si rivolgono sia alla singola persona sia
alla famiglia. Due approcci teorici guidano la strutturazione e l’implementazione di
questi programmi di intervento:
La teoria social-cognitiva di Bandura;
90
La teoria cognitivo-comportamentale.
Per quanto riguarda la teoria social-cognitiva, Bandura nel 1997 sostiene che i fattori
socio-culturali tendono a creare e quindi a dare forma e mantenere credenze, emozioni,
motivazioni e comportamenti che costituiscono i principali fattori predisponenti per lo
sviluppo dei disturbi dell’immagine corporea; in parole povere i programmi di
prevenzione hanno come obiettivo fondamentale quello di ridurre i fattori di rischio e,
allo stesso tempo, quello di migliorare le attitudini a comportamenti sani relativi
all’immagine corporea.
Le tipologie di intervento variano da esercizi per comprendere e diventare consapevoli
della propria immagine corporea ad esercizi di analisi e modifica delle credenze
irrealistiche o addirittura negative sul peso e alla forma del proprio corpo; da
informazioni ed istruzioni relative alla nutrizione e all’alimentazione ad informazioni
riguardo il conflitto tra fattori di sviluppo e messaggi culturali che tendono ad esaltare
la magrezza includendo il terrore di un soggetto di essere grasso.
I programmi di prevenzione basati sulla teoria cognitivo-comportamentale prevedono
interventi psico-educativi inerenti alla natura e alle dimensioni costitutive
dell’immagine corporea, formazione sulla capacità di automonitoraggio per
consapevolizzare tutti quei fattori che tendono ad influenzare pensieri, emozioni e
comportamenti connessi all’immagine corporea ed esercizi mirati allo sviluppo di
pensieri e credenze più positive riguardo alla propria immagine corporea ed infine lo
sviluppo di abilità di coping per gestire in maniera del tutto efficace situazioni che
hanno generato nel passato ansia legata al corpo.
Il trattamento psicologico del disturbo da dismorfismo corporeo oggi risulta essere
molto efficace e non prevede inoltre né l’utilizzo di farmaci né la psicoterapia. Il
disturbo è spesso complicato da sintomi di natura “psicosomatica” secondari e dalla
convinzione del soggetto di avere un difetto fisico, infatti ogni tentativo da parte di altri
soggetti di rassicurarlo (familiari, amici, ecc.), di fargli capire che il proprio difetto è in
realtà molto meno esagerato di quello che egli pensa (o addirittura inesistente) oppure
fargli capire che la sua reazione difronte ad un eventuale difetto fisico sia del tutto
esagerata e che non produce alcun effetto anzi porta il soggetto a soffrire di
dismorfismo corporeo e a percepire coloro che tentano di rassicurarlo come dei veri e
propri “persecutori”. Il paziente si sente in questo modo incompreso e considerato
malato o pazzo; il risultato delle rassicurazioni dirette da parte di altri viene vista spesso
come un comportamento aggressivo, infatti il paziente pensa anzi è convinto che una
91
volta eliminato il difetto egli sarebbe felice e starebbe molto meglio sia con sé stesso
che con gli altri. Va però sottolineato che il dismorfismo corporeo è un disturbo e si
manifesta indipendentemente dal trattamento estetico nella maggior parte dei casi,
infatti di solito il paziente con dismorfismo quando “risolve” un difetto (o presunto tale)
tende ad individuarne subito uno nuovo e così via; molti di coloro che frequentano
centri estetici, palestre oppure centri di chirurgia estetica in maniera del tutto ossessiva
potrebbero presentare una diagnosi di disturbo di dismorfismo corporeo.
Il trattamento psicologico adottando l’approccio della psicologia emo-cognitiva non va
a rassicurare il paziente e quindi non cerca di convincerlo o di fargli capire l’assurdità e
la gravità della sua condotta ma piuttosto interviene sui processi sistemici e
psicofisiologici che stanno alla base della sintomatologia; l’applicazione tecnica del
colloquio psicologico nella psicologia emo-cognitiva mira a modificare
psicofisiologicamente lo schema circolare, definito “loop disfunzionale” (Baranello,
2006) che sostiene il disturbo a livello longitudinale nel tempo.
La terapia psicologica riabilitativa nella psicologia emo-cognitiva per il dismorfismo
corporeo prevede oggi due possibilità d’intervento:
Il trattamento individuale diretto sul paziente. Applicato nei casi per i quali sia
il paziente stesso a richiedere aiuto in quanto si rende conto dell’eccessività del
problema o del fatto che il problema stia causando un notevole disagio a livello
personale, relazionale, sociale e lavorativo (oppure scolastico).
Il trattamento indiretto su un familiare. Questo tipo di intervento psicologico
(e allo stesso tempo educativo) prevede l’assenza del soggetto probabilmente
affetto da disturbo di dismorfismo corporeo, infatti lo psicologo mira ad
intervenire su almeno un familiare stretto o un partner ovvero su una persona
che abbia maggiori contatti con il paziente. In questo modo si interviene a
livello sistematico modificando i processi di comunicazione e comportamento di
chi vorrebbe aiutare il paziente. Lo psicologo suggerirà, dopo una valutazione
adeguata, specifiche strategie di comunicazione finalizzate allo sblocco del loop
disfunzionale ed al ripristino di un normale processo di funzionamento. Questo
trattamento è quello che viene adottato con maggiore frequenza nei casi di
dismorfismo corporeo.
A differenza dei vecchi modelli, la psicologia emo-cognitiva tende ad incentrare
l’attenzione clinica non tanto su ipotetiche cause simboliche o sul passato della persona
attraverso l’anamnesi, ma su quelle che vengono considerate le vere cause del disturbo
92
e che agiscono sempre ed esclusivamente nel momento della manifestazione del
problema. Per la teoria emo-cognitiva la vera causa del disturbo sta nell’organizzazione
del sistema in relazione alle proprie convinzioni, convinzioni errate che chiaramente
possono portare a delle modalità organizzative non funzionali. Inoltre ciò che la teoria
emo-cognitiva ha sempre cercato in qualche maniera di risolvere è cercare di
individuare quali siano gli strumenti adatti, quali possono essere i reali processi di
funzionamento sistemico: in poche parole possiamo dire che ciò che cambia nella teoria
emo-cognitiva è il contenuto della comunicazione. Attualmente il trattamento in
psicologia emo-cognitiva è di breve-media durata; in genere uno sblocco iniziale della
situazione si inizia ad avere entro le 4/6 sedute. Le prime 4-5 sedute si svolgono a
cadenza fissa (una volta a settimana oppure una volta ogni due settimane) per poi essere
sempre più in aumento nel tempo.
Il trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo non implica le procedure estetiche,
infatti, dopo un intervento chirurgico, circa il 90% non riporterà nessun cambiamento o
peggio riporterà i sintomi del DDC134 135.
Le incertezze sull’eziologia del disturbo da dismorfismo corporeo sono rispecchiati
nella diversità dei suoi trattamenti i quali includono cura, psicoterapia, terapia
comportamentale e chirurgia estetica; inoltre le relazioni di un certo numero di casi
hanno riportato la soluzione al disturbo da dismorfismo corporeo con gli antidepressivi.
La maggior parte degli esiti hanno avuto successo per i bloccanti della ricaptazione
della serotonina-clomipramina (quattro casi) e la fluoxetina (due casi) anche se la
clomipramina era inefficace in un caso136. È necessario sottolineare che la
clomipramina e la fluoxetina hanno trattato con successo i sintomi che a volte
sembravano deliranti e la clomipramina ha efficacemente trattato i sintomi deliranti così
come i sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo, l’ipocondria monosintomatica137
ed il disturbo delirante di tipo somatico138. Le scoperte mediche negative sono difficili
da valutare perché possono essere dovuti ad una dose inadeguata oppure ad una durata
inadeguata del trattamento il quale nella maggior parte dei casi non potrebbe essere
134 Phillips K. A., Grant J., Siniscalchi J., Albertini R. S. (2001). “Surgical and non-psychiatric medical
treatment of patients with body dysmorphic disorder.” Psychosomatics, 42, 504-510. 135 Crerand C. E., Phillips K. A., Menard W., Fay C. (2005). “Non-psychiatric medical treatment of body
dysmorphic disorder.” Psychosomatics, 46, 549-555. 136 Vitiello B., de Leon J. (1990). “Dysmorphophobia misdiagnosed as obsessive-compulsive disorder.”
Psychosomatics, 31, 220-222. 137 Fernando N. (1988). “Monosymptomatic hypochondriasis treated with a tricyclic antidepressant.” Br J
psychiatry, 152, 851-852. 138 Sondheimer A. (1988). “Clomipramine treatment of delusional disorder-somatic type.” J Am Acad Child
Adolescent Psychiatry, 27, 188-192.
93
valutato ed accertato in base all’informazione fornita. Per questi pazienti i quali hanno
risposto alla cura antidepressiva, la depressione simultanea era riportata in meno
rispetto alla metà; sia il disturbo da dismorfismo corporeo che la depressione maggiore
sono stati risolti in tre casi e il disturbo da dismorfismo corporeo è stato risolto in uno
solo.
Gli esiti di successo erano mantenuti con un trattamento continuato per la durata dei
seguiti segnalati che andavano dai 4 mesi ai 3 anni; tuttavia, i sintomi si ripresentavano
nei pazienti nei quali la cura fosse in diminuzione oppure interrotta. Gli antipsicotici
sono stati largamente inefficaci; risultati negativi sono stati riportati per loxitane139,
trifluoperazina, tioridazina, flupentixolo140, pimozide141 e agenti non specificati;
tuttavia, un paziente ha avuto una reazione al pimozide e un altro paziente ha reagito
alla combinazione di un farmaco non specificato tra neurolettico e antidepressivo142.
Alcuni autori hanno consigliato la terapia comportamentale oppure la psicoterapia
supportiva ma non hanno fornito alcuna evidenza per quanto riguarda la loro efficacia;
esiti documentati con questi approcci sono stati mescolati. La psicoanalisi, la
psicoterapia psicoanalitica e la psicoterapia supportiva sono stati anch’essi sia inefficaci
che efficaci; sfortunatamente, molti dei trattamenti inefficaci non erano descritti
dettagliatamente, rendendo difficile la valutazione della loro adeguatezza.
Alcuni autori hanno suggerito che pazienti con minime deformità possono avere un
buon esito ma enfatizzano l’importanza del controllo psichiatrico prima della
chirurgia143. Tuttavia, Fukuda nel 1977 afferma che molti pazienti rifiutano il consulto
psichiatrico e che è rischioso operare su di essi perché le loro aspettative per la
chirurgia sono spesso irrealistiche e spesso insoddisfatti per i risultati e quindi allo
stesso tempo tendono ad intensificare i loro lamenti e portando rancore. Andreasen e
Bardach (1977) hanno anch’essi affermato ciò perché il reale difetto dei soggetti è
emotivo piuttosto che psicologico nel senso che gli individui con il disturbo da
dismorfismo corporeo raramente sono pienamente soddisfatti per i risultati chirurgici e
spesso trovano un nuovo difetto che necessita di correzione. Ladee (1966) ha avvisato
che la chirurgia estetica - specialmente la rinoplastica negli uomini – può avere un esito
139 Jenike M. A. (1984). “A case report of successful treatment of dysmorphophobia.” Am J psychiatry, 141,
1463-1464. 140 Thomas C. S. (1985). “Dysmorphophobia or monosymptomatic hypochondriasis?” Br J psychiatry, 146,
672. 141 Cotterill J. A. (1981). “Dermatological non-disease: a common and potentially fatal disturbance of
cutaneous body image.” Br J Dermatology, 201, 611-619. 142 Campanella F. N., Zuccoli E. (1968). “In tema di dismorfofobia.” Neuropsichiatria, 24, 475-486. 143 Crisp A. H. (1981). “Dysmorphophobia and the search for cosmetic surgery.” Br Med J, 282, 1099-1100.
94
contrario perché esso può “soddisfare l’esigenza per auto-punizioni, masochismo e
desideri passivi” e “può scatenare tali aggressioni sfrenati in risposta che sia il paziente
stesso o delle volte anche il dottore diventa la vittima da ciò”; per evitare tali esiti
avversi, la collaborazione di psichiatri con dermatologi e chirurghi plastici è consigliata
per la valutazione ed il trattamento di pazienti in cerca di chirurgia estetica. Sebbene
non esiste un trattamento definitivo in questo momento, l’evidenza preliminare
suggerisce che molte cure antidepressive- tra cui forse inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina- possono essere utili per almeno alcuni pazienti. In
aggiunta l’antipsicotico pimozide è stato consigliato grazie al suo successo nel trattare
l’ipocondria monosintomatica ed il disturbo delirante di tipo somatico144, il quale può
essere difficile da distinguere dal punto di vista clinico dal disturbo da dismorfismo
corporeo; tuttavia, è stato anche suggerito che questa cura non è utile nei pazienti
chiaramente non-deliranti.
3.2 GLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE DEL DDC.
Alcuni pazienti sono stati reclutati dai primi 19 idonei in un sondaggio di pazienti con
disturbo da dismorfismo corporeo (Veale et al., 1996) ed erano, inoltre, un misto di auto-
rinvii e rinvii da altre agenzie; il 90% del campione era composto da persone di genere
femminile del quale il 40% erano sposate. Tutti i pazienti hanno soddisfatto tutti i criteri
diagnostici per il disturbo da dismorfismo corporeo nel DSM-IV (American Psychiatric
Association, 1994). Lo studio ha escluso sia i pazienti con DDC dei quali la
preoccupazione principale era il loro peso o la loro forma, sia i pazienti con una demenza
simultanea oppure un disturbo cerebrale organico come ad esempio la schizofrenia,
disturbo delirante e abuso di alcool o sostanze oppure chi ha avuto intenti suicidi. I
pazienti con altre diagnosi comorbide (ad esempio il disturbo ossessivo-compulsivo, la
fobia sociale, il disturbo depressivo) erano inclusi nella prova finché la preoccupazione
principale del paziente era il difetto nella sua apparenza.
Le misure seguenti furono usate a valutazione iniziale:
144 Munro A. (1982). “Delusional (paranoid) disorders.” Can J Psychiatry, 33, 399-404.
95
1. L’Esame del Disturbo da Dismorfismo Corporeo (EDDC) (Rosen & Reiter,
1996)145;
2. La Scala modificata Yale Brown del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (SYBDOC)
per il disturbo da dismorfismo corporeo (Hollander & Phillips);
3. Scala di valutazione della depressione (Montgomery & Asberg, 1979)146;
I pazienti erano assegnati casualmente ad uno dei due gruppi e rivisti dopo 12 settimane;
i gruppi consistevano entrambi di una terapia cognitivo-comportamentale oppure il
controllo della lista d’attesa. La randomizzazione era composta da:
a) Il grado di evitamento sull’esame del disturbo da dismorfismo corporeo (Rosen
& Reiter, 1996);
b) la gravità di depressione sulla scala di depressione di Montgomery e Asberg
(Montgomery & Asberg, 1979).
Queste variabili furono scelte in quanto il grado di evitamento e la gravità dei sintomi
depressivi possono in qualche modo predire la prognosi di disturbi come il disturbo
ossessivo-compulsivo147 148. La terapia venne fatta da terapisti cognitivi-comportamentali
esperti; i dati venivano analizzati da prove non parametriche di significatività, vale a dire
il Wilcoxon (uno dei più potenti test utilizzati per verificare se due campioni statistici
provengono dalla stessa popolazione) con SPSS (un software di statistica) per Windows
su un personal computer.
Non c’erano significanti differenze trai due gruppi di pretrattamento in termini di età, età
di insorgenza, durata media e la distribuzione del sesso (vedi tabella 1).
145 Rosen J. C. & Reiter J. (1996). “Development of the Body Dysmorphic Disorder Examination.”
Behaviour research and therapy, 34, 755-766. 146 Montgomery S. A. & Asberg M. (1979). “A new depression rating scale designed to be sensitive to
change.” British Journal of psychiatry, 134, 382-389. 147 Foa E. B. & Emmelkamp P. M. G. (1983). “Failures in behaviour therapy.” New York: Wiley. 148 Cottraux J., Messy P., Marks I. M., Mollard E. & Bouvard M. (1993). “Predictive factors in the treatment
of obsessive-compulsive disorders with fluvoxamine and/or behaviour therapy.” Behavioural psychotherapy,
21, 45-50.
96
Non c’erano differenze tra le misure del pretrattamento psicopatologico (vedi tabella 2).
Non c’erano significanti differenze all’interno del gruppo della lista d’attesa il quale è
rimasto stabile per oltre 12 settimane; differenze significative sono state individuate
all’interno dei gruppi per la terapia cognitivo-comportamentale sull’esame del disturbo
97
da dismorfismo corporeo, la Scala modificata Yale Brown del Disturbo Ossessivo-
Compulsivo, il punteggio dell’ansia da ospedale, la scala di valutazione della depressione
di Montgomery e Asberg ed il punteggio totale della scala Derriford. C’erano differenze
significative tra i gruppi ma non all’interno dei gruppi per quanto riguarda il punteggio
della fobia sociale: sette dei nove pazienti trattati sono stati valutati come se avessero un
disturbo da dismorfismo corporeo assente oppure subclinico alla fine della prova, mentre
tutti i pazienti nella lista d’attesa sono stati valutati come se avessero un disturbo
nell’ambito clinico anch’essi alla fine della prova.
Abbiamo delineato un modello cognitivo-comportamentale del disturbo da dismorfismo
corporeo e abbiamo dimostrato in uno studio che è possibile trattare con successo i
pazienti affetti da disturbo da dismorfismo corporeo. L’approccio è basato su un modello
di psicopatologia che può essere testato empiricamente negli studi futuri. Abbiamo
dimostrato che i sintomi del disturbo da dismorfismo corporeo sono estremamente stabili
in una lista d’attesa di 12 settimane e quindi siamo in grado di ottenere una riduzione del
50% dei sintomi nella nostra misura di risultato principale, la scala del disturbo ossessivo-
compulsivo Yale Brown (modificata per il DDC).
Questo è lo stesso sistema ottenuto nel disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) sia per la
farmacoterapia che per la terapia cognitivo-comportamentale negli studi che hanno usato
la stessa scala; il punteggio medio alla fine della prova (pari a 10.75) è leggermente più
alto di quello ottenuto nello studio del SYBDOC in una popolazione non clinica di
studenti (8.75). Il nostro approccio avrebbe richiesto più sessioni per ottenere degli
ulteriori profitti in alcuni pazienti in quanto queste sessioni possono essere molto utili
all’inizio della terapia quando è fondamentale coinvolgere il paziente e ridurre
l’attenzione ed eventuali rituali. Molti dei nostri pazienti hanno avuto tuttora sintomi
residuali alla fine della nostra prova e sospettiamo che essi possano richiedere almeno 15
o 20 sessioni per ridurre il rischio di una eventuale ricaduta. Questa è stata anche
l’esperienza di Neziroglu e Yaryura Tobias149 150 (1993) i quali descrivono un programma
di una terapia giornaliera all’insorgenza del disturbo.
Lo studio ci ha incoraggiato a valutare inoltre il ruolo della terapia cognitivo-
comportamentale nel disturbo da dismorfismo corporeo in confronto con altri approcci;
sarebbe teoricamente importante smantellare il trattamento in modo da determinare
149 Neziroglu F. & Yaryura Tobias J. A. (1993a). “Body dysmorphic disorder: phenomenology and case
descriptions.” Behavioural psychotherapy, 21, 27-36. 150 Neziroglu F. & Yaryura Tobias J. A. (1993b). “Exposure, response prevention and cognitive therapy in
the treatment of body dysmorphic disorder.” Behaviour therapy, 24, 431-438.
98
l’impatto relativo all’esposizione ed il responso solamente della prevenzione oppure in
combinazione con la terapia cognitiva. Crediamo che la priorità della ricerca sia una
prova controllata che mette a confronto la terapia cognitivo-comportamentale con un altro
trattamento psicologico come ad esempio la terapia interpersonale che ha avuto molto
successo nella depressione e nei disturbi legati all’immagine corporea come ad esempio
la bulimia151. Tuttavia non ci aspettiamo che sia efficace come la terapia cognitivo-
comportamentale in quanto quest’ultima si rivolge specificamente all'elusione e al
controllo di comportamento. La ricerca nei bisogni della farmacoterapia per determinare
se il trattamento ottimale è un ISRS (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina),
un IMAO (ovvero inibitore della mono-amino ossidasi) oppure un neurolettico (un
farmaco che abbassa le funzioni nervose). La priorità sarà allora quella di confrontare il
trattamento psicologico più efficace con il trattamento farmacologico più efficace ed una
combinazione dei trattamenti che può fornire un approccio sinergico migliorando lo stato
d’animo della depressione e la motivazione ad un trattamento psicologico. Gli
antidepressivi ISRS possono anche avere un ruolo diretto nella riduzione dei sintomi
dismorfici; tuttavia, l’esperienza degli antidepressivi ISRS nel disturbo ossessivo-
compulsivo suggerirebbe che ci sarà un alto tasso di ricaduta sull’interruzione del
farmaco152 e che il trattamento psicologico sarà essenziale per ridurre il rischio di
ricaduta.
Al giorno d’oggi esistono numerosi strumenti di valutazione come ad esempio quelli
citati finora, ma ve ne sono altri due molto importanti che andiamo immediatamente a
spiegare: sono stati reclutati 54 pazienti collocati presso l’ambulatorio di chirurgia
plastica dell’Università degli studi di L’Aquila nel periodo che va da Novembre 2006 ad
Aprile 2007. A questi pazienti sono stati somministrati un questionario in maniera del
tutto anonima per la semplice raccolta dei dati socio-demografici; i questionari sono la
Symptom Check List 90 (SCL-90) per la valutazione della psicopatologia generale ed il
Body Uneasiness Test (BUT) per la valutazione della percezione della propria immagine
corporea.
La Symptom Check List 90 (SCL-90), come abbiamo detto precedentemente, è una scala
di valutazione generale della psicopatologia basata sull’autovalutazione del paziente;
codesto questionario è composto da 90 item (infatti proprio per questo motivo si chiama
151 Weissman M. M. & Markowitz J. C. (1994). “Interpersonal psychotherapy – current status.” Archived of
general psychiatry, 51, 599-606. 152 Gournay K. (1995). “The treatment of obsessive-compulsive disorder: approaches using behavioural
psychotherapy alone or in combination with other treatments.” European psychiatry, 9, 229-235.
99
SCL-90) che indagano su una eventuale presenza di sintomi nella settimana che precede
la compilazione del questionario. I 90 item fanno capo a ben dieci fattori fondamentali:
1) somatizzazione;
2) ossessività-compulsività;
3) sensibilità interpersonale;
4) depressione;
5) ansia;
6) rabbia/ostilità;
7) fobia;
8) psicoticismo;
9) paranoia;
10) disturbi del sonno.
Il punteggio va da 0 a 4 ed un valore inferiore ad 1 indica che la patologia è presente in
un soggetto.
Il Body Uneasiness Test (BUT) è una scala di autovalutazione indicata per lo studio
dell’immagine corporea e delle sue patologie. Il BUT è composto da ben 71 item con
risposta a scelta multipla ed è diviso in due parti:
BUT a, composta da 34 item clinici;
BUT b, composto da 37 item che elencano parti e funzioni del corpo.
Gli item sono valutati su una scala da 0 (che corrisponde a “mai”) a 5 (che corrisponde a
“sempre”); i punteggi più alti indicano una maggiore compromissione. Oltre al punteggio
totale, si calcola il Global Severity Index (GSI) o punteggio medio complessivo che si
ottiene sommando i punteggi della prima parte del BUT (il BUT a) e dividendo per il
numero degli item appartenenti al BUT a ovvero 34: il numero degli item con punteggio
≥1 corrisponde al Positive Symptom Total (PST); la somma dei punteggi degli item con
punteggio ≥1 diviso per il PST fornisce il Positive Symptom Distress Index (PSDI).
Nella valutazione della scala BUT, la presenza di un disagio corporeo molto importante
è improbabile se il punteggio GSI è <1,2 mentre è probabile se il punteggio GSI è >1,2.
Gli altri punteggi e le risposte ai singoli item possono essere d’aiuto per individuare aree
problematiche sulle quali soffermarsi nel lavoro terapeutico ed inoltre per seguire
l’andamento dei fenomeni nel corso del tempo. Nel nostro studio abbiamo considerato
positivo per un’alterazione della percezione dell’immagine corporea un punteggio GSI
100
≥1,2; il campione è stato suddiviso e valutato distinguendo le più frequenti procedure
“ricostruttive” (A) da quelle “estetiche” (B) come possiamo notare nella tabella I.
In base alla positività al BUT il campione è stato ulteriormente suddiviso in un gruppo
BUT positivo, ovvero composto da pazienti che mostravano un’alterazione
dell’immagine corporea, ed in gruppo BUT negativo. Nei gruppi appena citati sono state
trovare alcune differenze nelle caratteristiche psicopatologiche grazie all’utilizzo della
SCL-90. Le caratteristiche socio-demografiche e cliniche del campione le possiamo
notare nella tabella II.
101
Il 37% del campione complessivo è risultato positivo alla scala BUT (GSI≥1,2: punteggio
medio=2,1, ds=0,7), mentre il 62,3% non presentava nessuna alterazione importante della
propria immagine corporea (GSI<1,2; punteggio medio=0,4; ds=0,3).
I punteggi medi delle varie dimensioni ed il punteggio totale della scala SCL-90 sono
rappresentati nella figura 1.
102
Nel campione totale, la valutazione psicopatologica con la scala SCL-90 ha segnalato che
le dimensioni sintomatologiche più rappresentate erano:
Depressione (punteggio medio=9,70; ds=10,1);
Somatizzazione (punteggio medio=9,41; ds=8,1);
Ossessività-compulsività (punteggio medio=8,25; ds=7,4);
Ansia (punteggio medio=8,02; ds=7,5).
Del campione totale formato da 54 soggetti, il 42,6% erano candidati ad intervento di
chirurgia ricostruttiva ed il 57,4% ad intervento di chirurgia estetica. Le caratteristiche
socio-demografiche e cliniche dei due gruppi suddivisi in base al tipo di intervento a cui
erano candidati i 54 individui sono riassunti nella tabella III.
Non sono state evidenziate differenze statisticamente importanti trai due gruppi nelle
variabili socio-demografiche e cliniche; la percentuale di individui positivi (GSI≥1,2) e
negativi (GSI<1,2) alla scala BUT sono rappresentate nella figura 2.
103
Non sono riscontrate differenze statisticamente rilevanti tra i due gruppi nella percentuale
di soggetti rispettivamente positivi e negativi al BUT; i punteggi medi delle dimensioni
e del punteggio totale della scala SCL-90 sono rappresentati nella figura 3.
Sono state riscontrate differenze statisticamente importanti (p<0,05) tra i due gruppi nei
punteggi medi delle dimensioni “somatizzazione” e “ossessività/compulsività” più
elevati nel gruppo dei soggetti candidati ad interventi di chirurgia estetica rispetto al
gruppo di soggetti candidati ad una chirurgia ricostruttiva. Il campione totale è stato
suddiviso anche in base alla positività al BUT, considerando positivo una alterazione
della percezione dell’immagine corporea in quanto è stato riscontrato un punteggio
GS≥1,2. Il 33,92% dei soggetti sono risultati positivi al BUT riscontrando un punteggio
GSI>1,2 con un punteggio medio pari a 2,11, mentre il 66,02 dei soggetti non
104
presentavano una alterazione importante della propria immagine corporea.
Le caratteristiche sociodemografiche dei due campioni sono riportate nella tabella IV.
I due gruppi di pazienti non presentavano differenze statisticamente rilevanti per quanto
riguarda la tipologia di intervento richiesta anche se un maggior numero di soggetti con
BUT positivo avevano effettuato un intervento di chirurgia estetica. La valutazione
psicopatologica nei due campioni mette in evidenza delle differenze statisticamente
molto importanti in tutte le dimensioni della SCL-90 nei due gruppi nel senso di punteggi
significativamente più elevati nei soggetti positivi al BUT (vedi figura 4).
La valutazione psicopatologica nei gruppi con BUT positivo e negativo ha evidenziato
che i soggetti con alterazione dell’immagine corporea presentavano caratteristiche
psicopatologiche molto marcate. Nel gruppo che ha presentato il BUT positivo si
osservano, in contrasto al gruppo che ha presentato il BUT negativo, punteggi molto più
elevati in tutte le dimensioni psicopatologiche della scala SCL-90; tali risultati
105
sottolineano ancora la necessità di valutazione psichiatrica più dettagliata nei soggetti
che presentano un’alterazione della propria immagine corporea anche quando questa
alterazione non rientra in un quadro conducibile al disturbo da dismorfismo corporeo.
L’obiettivo di questo studio era quello di indagare per una eventuale presenza di
sintomi psicopatologici nel campione preso in considerazione. Se si osservano, però,
questi risultati nell’ambito di una diagnosi dimensionale e non in base ai criteri
diagnostici del DSM-IV, si evidenzia che i sintomi per lo più comuni e presenti sono la
depressione, la somatizzazione, l’ossessività/compulsività e l’ansia; tali sintomi sono
perfettamente riconducibili sia ad un disturbo depressivo che ad un disturbo d’ansia,
così come sono riconducibili ad un disturbo da dismorfismo corporeo.
In letteratura è stato ampiamente riportato che i soggetti che si sottopongono ad
interventi di chirurgia estetica presentano un disturbo tra depressione, ansia e disturbo
da dismorfismo corporeo; su questa linea si possono anche comprendere i risultati avuti
in seguito alla valutazione delle differenze psicopatologiche nei campioni che si
sottopongono ad interventi di chirurgia estetica e chirurgia ricostruttiva. Dai dati
riportati emerge che i soggetti candidati alla chirurgia estetica mostrano, rispetto ai
soggetti candidati ad una chirurgia ricostruttiva, punteggi molto più alti nelle
dimensioni “somatizzazione” e “ossessività/compulsività” dalla scala SCL-90
perfettamente riconducibile ad un disturbo da dismorfismo corporeo. Da quanto
riportato finora possiamo capire benissimo come le alterazioni dell’immagine corporea
sono assolutamente fondamentali e giocano un ruolo chiave nel motivare i pazienti a
ricorrere alla chirurgia estetica e questo è il motivo per cui quest’ultima è stata definita
come la “psicoterapia dello scalpello”.
I nostri risultati sembrano confermare la presenza di alterazioni dell’immagine corporea
tra i pazienti che richiedono un intervento di chirurgia plastica e la loro comorbidità con
altri disturbi psichiatrici; tale prevalenza sembra, inoltre, non avere nulla a che vedere
con il tipo di intervento richiesto. I dati riportati sottolineano l’importanza di una
collaborazione attiva tra i servizi di chirurgia plastica e i servizi di psichiatria di
consultazione con lo scopo di fare una diagnosi precoce, selezionare una popolazione
candidabile all’intervento chirurgico, migliorare la prognosi e l’esito dell’intervento ed
evitare, infine, l’instaurarsi di una compromissione del funzionamento globale del
soggetto e migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Fino ad ora abbiamo visto numerosissimi strumenti di intervento tutti con l’obiettivo di
studiare la possibile insorgenza del disturbo da dismorfismo corporeo e la sua
diffusione. Tra questi strumenti di valutazione ve n’è uno da non dimenticare
106
assolutamente in quanto è considerato lo strumento di valutazione per eccellenza;
stiamo parlando dell’EDDC ovvero l’Esame del Disturbo da Dismorfismo Corporeo
(Rosen e Reiter, 1990); questo strumento consiste in un’intervista semi strutturata
messa a punto per la diagnosi, per la valutazione della gravità dell’immagine negativa
del corpo e per il monitoraggio della risposta al trattamento. La scala esplora sei aree:
Preoccupazione e valutazione negativa per l’aspetto fisico;
Coscienza di sé, imbarazzo, sentirsi osservato in pubblico;
Eccessiva importanza data all’aspetto fisico nella valutazione di sé;
Evitamento delle situazioni sociali o delle attività in pubblico ed evitamento del
contatto fisico con gli altri;
Mascheramento del corpo;
Comportamento di controllo del corpo.
Oltre ai questionari menzionati, vengono spesso utilizzati, nella fase di assessment e di
presa in carico (ambulatoriale, in day hospital oppure in ospedalizzazione) delle interviste
al fine di rilevare dati principalmente qualitativi e relativi all’immagine corporea e alle sue
correlazioni con alcuni comportamenti riguardanti l’alimentazione. Inoltre, per una
diagnosi completa, solitamente i questionari appena illustrati consentono di individuare
casi sospetti ma non di formulare diagnosi di un disturbo dell’immagine corporea: per
questo ultimo aspetto è necessaria un’intervista che dia conferma ad eventuali dubbi
riguardante il soggetto.
Le interviste possono essere:
Non strutturate: consistono nel fatto che lo sperimentatore chiede di esprimersi
liberamente sull’argomento;
Semi-strutturate: hanno inferiore grado di direttività rispetto a quelle
strutturate. Consistono nel fatto che lo sperimentatore pone una serie di
domande agli intervistati lasciando però libertà di rispondere con
argomentazioni più ampie.
Strutturate: consistono in una serie di domande precise poste dallo
sperimentatore al soggetto intervistato. Il numero di dati raccolti è inferiore
rispetto al metodo precedente ma molto più mirato.
Lo svantaggio di questi strumenti, siano essi non strutturati, strutturati o semi-strutturati è
che per la loro somministrazione è necessario un adeguato investimento di tempo
(mediamente dai 15 minuti sino anche alle 2 ore) oltre alla presenza di uno
107
psicologo/psicoterapeuta adeguatamente esperto nella raccolta e nell’interpretazione dei
dati. Ai fini della ricerca scientifica, infine, i dati raccolti possono non essere scevri di un
bias causato dai fattori legati ad età, sesso ed eventuali caratteristiche fisico-psichiche del
professionista incaricato della somministrazione e siglatura.
Alcuni esempi di interviste sono:
L’ Eating Disorder Examination chiamata anche EDE (Cooper, Cooper, &
Fairburn, 1989): intervista strutturata per lo studio dei disturbi del comportamento
alimentare, che consente di formulare diagnosi secondo le categorie del DSM-IV e
fornisce punteggi relativi a restrizione, preoccupazione per il cibo, preoccupazione
per il peso e preoccupazione per la forma del corpo. L'applicazione dell'intervista
richiede 20-30 minuti per ciascun paziente, essa è un prezioso strumento di
approfondimento diagnostico nei pazienti che sono risultati oltre la soglia di
attenzione per il disturbo da alimentazione incontrollata e non.
La SIAB-EX ovvero la “Structured Interview for Anorexic and Bulimic disorders
for DSM-IV and ICD-10 (Fichter & Quadflieg, 2001)” è una intervista strutturata
per l’anoressia e la bulimia nervosa con 85 item che spaziano su diversi argomenti,
compresa l’immagine corporea negli ultimi tre mesi.
3.2.1 UN NUOVO STRUMENTO DIGITALE: IL “BODY IMAGE
REVEALER”.
Nel primo capitolo (più precisamente nel §1.1) abbiamo parlato dell’immagine corporea
descrivendola praticamente come un costrutto multidimensionale che si riferisce ad aspetti
cognitivi, percettivi, attitudinali e comportamentali nei confronti del proprio corpo (Cash &
Pruzinsky, 2004; J. K. Thompson et al., 1999; Trautmann, Lokken Worthy & Lokken,
2007); in poche parole l’IC rappresenta il modo in cui un individuo percepisce il proprio
corpo e ad essere eccessivamente preoccupate per quanto riguarda il proprio aspetto sono
le donne in quanto il desiderio di magrezza è molto presente in Occidente. Una persona
con un’immagine corporea negativa risulta essere ansiosa ed eccessivamente preoccupata
per l’aspetto fisico sentendosi perciò a disagio soprattutto nel periodo dell’adolescenza;
inoltre un’immagine corporea negativa è una caratteristica che sta alla base dell’insorgenza
di un disturbo alimentare oltre che di un disturbo da dismorfismo corporeo (APA, 1994).
Dal punto di vista metodologico vi è una forte esigenza di metodi in grado di valutare
l’immagine corporea nella sua interezza. Per valutare l’IC è stata sviluppata una nuova
tecnica di simulazione computerizzata denominata Body Image Revealer (BIR). Il BIR è
108
una tecnica di simulazione al computer che risulta molto facile da usare grazie
all’interfaccia grafica-utente (la cosiddetta GUI, ovvero Graphical User Interface) che,
dopo alcune direttive da parte dello specialista, può essere gestita dall’individuo sottoposto
al test. Questa tecnica, estremamente realistica, è preferita a tanti altre tecniche già esistenti
come ad esempio la video-distorsione mediante lenti anamorfiche, il morphing basato sulla
divisione in fotogrammi delle immagini o gli altri software che prendono in considerazione
l’intera immagine senza prendere in considerazione la figura corporea come invece fa il
BIR.
La metodologia mediante il BIR oggi rappresenta una più mirata elaborazione
dell’immagine corporea ottenuta mediante fotocamera digitale oppure tramite video con la
possibilità di selezionare la zona o più zone di intervento oltre che alla qualità di
simulazione da applicare all’immagine del soggetto da trattare; questo strumento di
valutazione del tutto tecnologico è caratterizzato da un software che utilizza le foto dei
soggetti con l’obiettivo di misurare la discrepanza tra le dimensioni dell’immagine reale
quelle che invece attribuisce si attribuisce; le foto digitalizzate dei soggetti vengono
caricate nel programma che a sua volte le modifica di dimensione simulando così il
sovrappeso oppure il sottopeso dell’individuo. Il compito del soggetto in esame è quello di
ridimensionare la propria immagine fino alla dimensione da lui ritenuta corretta basandosi
solo sulle informazioni che possiede a memoria della propria immagine corporea.
Ma come funzione esattamente il Body Image Revealer? Lo sperimentatore chiede al
soggetto in esame di ripristinare la propria immagine corporea in quattro diverse idee:
1) Come pensi di essere.
2) Come senti di essere.
3) Come pensi che gli altri ti vedano.
4) Come vorresti essere.
Ipotizzando che vari soggetti eseguano in maniera diversa i quattro compiti lo scopo
principale è quello di discriminare gli aspetti più percettivi dell’IC con la prima domanda,
gli aspetti affettivi con la seconda domanda, esaminare la componente meta-cognitiva nella
terza domanda e, infine, misurare l’immagine del sé ideale con la quarta ed ultima
domanda. Questo perché l’immagine corporea dovrebbe necessariamente avere gli
strumenti giusti per poter valutare ogni elemento che compone il costrutto. La procedura
del metodo, sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista di una ricerca, con il BIR
viene eseguita mediamente in 10-12 minuti e prevede i seguenti passaggi:
109
Step 1: al soggetto viene scattata una foto mediante una fotocamera digitale connessa al
computer.
Step 2: durante la videoproiezione a grandezza naturale l’immagine del soggetto viene
presentata con una simulazione sia di sovrappeso che di sottopeso con l’obiettivo di
valutare le distorsioni dell’immagine corporea e soprattutto valutare la gravità
dell’insoddisfazione corporea (vedi Figura 15).
Step 3: L’operatore pone alcuni quesiti al soggetto che deve rispondere correggendo
l’immagine simulata premendo semplicemente due pulsanti (+ e -) situati su un comando a
distanza.
Al termine della seduta del test si discute sui risultati valutando quindi una eventuale
110
esistenza di un problema legato all’immagine corporea; in alcuni casi il test viene ripetuto
più volte durante il percorso di supporto psicologico. Per quanto riguarda i dettagli tecnici
e di interesse esclusivo dell’operatore che esegue il test, va precisato che l’immagine del
soggetto viene acquisita da un sensore CCD (praticamente uno di quei sensori che si
trovano all’interno di una qualsiasi fotocamera digitale) ed interfacciata con il calcolatore
che possiede all’interno il software di diagnosi. Il sensore CCD ha il compito di consentire
la miglior risoluzione possibile con l’obiettivo di permettere di settare la soglia in almeno 5
megapixel per una gestione ottimale dell’immagine (il pixel è un diminutivo di picture
element; in poche parole è la più piccola unità di un’immagine, corrispondente ad un
puntino sullo schermo: maggiore è il numero di queste unità migliore è la risoluzione a
video dell’immagine ottenuta). (vedi Figura 16)
Dopo aver acquisito l’immagine del soggetto il software spesso richiede i punti da cui far
partire la simulazione ovvero la zone oppure le zone interessate all’algoritmo dello
strumento. Per semplificare le cose, la zona sarà racchiusa in un quadrato/rettangolo che
potrà essere definito a proprio piacimento all’interno dell’immagine acquisita; la zona
verrà quindi estrapolata per permettere l’individuazione e, dopo aver settato i parametri che
stabiliscono le percentuali di simulazione dell’immagine da presentare al paziente ed aver
invertito i suoi dati, inizia il test vero e proprio.
Il range del BIR va da +75% (rispetto all’immagine di partenza e che simula il sovrappeso)
111
a -75% (rispetto all’immagine di partenza e che simula il sottopeso). (vedi Figura 17)
3.3 LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE.
Se non affrontato precocemente con terapie specifiche il disturbo da dismorfismo
corporeo può determinare un notevole calo della qualità della vita con conseguenze
molto rilevanti sul piano sociale, familiare e lavorativo nonché ciò implicherebbe
l’insorgenza di ulteriori disturbi come la depressione maggiore, il disturbo ossessivo-
compulsivo, la fobia sociale e talvolta anche i disturbi del comportamento alimentare o
abuso di sostanze e/o farmaci. Dal punto di vista fisico questa ossessione dei confronti
del difetto o dei difetti da eliminare può mettere in serio rischio la salute del soggetto
(per esempio può ricorrere alla chirurgia estetica invasiva) oppure ciò potrebbe
determinare esiti non accettabili o parzialmente accettabili dal soggetto che in fin dei
conti non fanno altro che peggiorare la situazione. Riconoscere l’esistenza del problema
fin dai primissimi sintomi permette di iniziare una serie di trattamenti farmacologici o
psicoterapici molto efficaci che permettono di equilibrare il rapporto con il proprio
corpo e di focalizzare l’attenzione sul disagio psicologico di base che ha portato a
sviluppare un atteggiamento di tipo ossessivo nei confronti di una parte del corpo (come
ad esempio il naso, la bocca o il mento) privo di particolari pecche.
La psicoterapia può essere molto utile per superare il disturbo da dismorfismo corporeo
ma va sempre utilizzata insieme al trattamento farmacologico e quindi non come unico
intervento. La strategia che si è dimostrata più efficace è la terapia psico-
comportamentale con l’obiettivo di “desensibilizzare” il paziente nei confronti dello
stimolo negativo grazie all’esposizione graduale allo stimolo stesso: in poche parole in
112
questo caso che parliamo di disturbo da dismorfismo corporeo ciò consiste nel chiedere
al soggetto di prendere parte ad un’attività che prima evitava per via del suo difetto o
dei suoi difetti per poi esaminare gli esiti e le implicazioni dell’esperienza per elaborare
chiaramente il disagio.
Le situazioni da elaborare possono essere reali (terapia comportamentale) oppure
soltanto immaginarie (terapia cognitiva); vediamoli singolarmente:
Il termine "cognitivo" fa riferimento a tutto ciò che accade internamente alla
mente, ovvero tutti i processi mentali come pensiero, ragionamento, attenzione,
memoria etc.
Il termine "comportamentale" fa riferimento invece ai comportamenti manifesti
da parte del soggetto e, dunque, non solo azioni e condotte ma tutte le attività
osservabili dell'organismo in rapporto con l'ambiente.
Tra i trattamenti psicoterapeutici che vengono utilizzati nel trattamento del disturbo da
dismorfismo corporeo vi è la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) all’interno del
quale i pazienti lavorano per cambiare i propri pensieri e comportamenti negativi
inerenti al DDC. Tra le varie terapie questa sembra la più promettente in termini di
risultati ottenuti.
I pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo sono generalmente considerati come
difficili da trattare o da coinvolgere nelle terapie psicologiche tant’è vero che non è del
tutto sorprendente come ci sia un elevato grado di comorbidità con la depressione, i
disturbi di personalità ed il comportamento evitante tutti comunque fattori che sono
conosciuti per predire un eventuale insuccesso nel trattamento del disturbo ossessivo-
compulsivo (Foa & Emmelkamp, 1983; Cottraux et al. 1993).
Prima di descrivere la TCC nel suo complesso è necessario fare un piccolo passo
indietro sottolineando, ad esempio, che questa tipologia di terapia è suddivisa in “tre
generazioni”:
1. LA PRIMA GENERAZIONE è rappresentata dalla terapia comportamentale, un
tipo di psicoterapia che si occupa esclusivamente del comportamento
dell’individuo, appreso all'interno del proprio ambiente o nel corso di particolari
esperienze di vita. L’obiettivo è quello di aiutare il paziente a modificare i suoi
comportamenti/sintomi problematici. La terapia comportamentale origina dagli
studi di psicologia sperimentale sul condizionamento classico di Ivan Pavlov
(1849-1936) e sul condizionamento operante di Burrhus Skinner (1904); ad essi si
aggiunsero i contributi di Joseph Wolpe (1915) sulla desensibilizzazione e di Hans
113
Eysenck (1916) sulla "Teoria dei Tratti". Dagli anni '70, si parla appunto di
neocomportamentismo per definire la rielaborazione operativa degli originari
contributi teorici di Pavlov e Skinner in un'ottica specificatamente clinica; dopo una
prima fase di sviluppo avvenuta prevalentemente negli Stati Uniti (tra gli anni '60
ed i primi anni '80), si è poi diffusa progressivamente anche in Europa e nel resto
del mondo. Le principali tecniche d'intervento comportamentali sono: il
condizionamento/decondizionamento (finalizzato all'estinzione o rimodulazione di
risposte comportamentali e psicofisiologiche), la desensibilizzazione sistematica,
l'uso di tecniche di rilassamento (come il rilassamento muscolare progressivo di
Jacobson, le tecniche di controllo delle respirazioni), ed il Biofeedback (BFB).
2. LA SECONDA GENERAZIONE è rappresentata dalla psicoterapia
cognitivo-comportamentale a partire dagli studi empirici di fine anni ’60 su
come i pensieri avevano un impatto diretto sulle emozioni e sul comportamento
dell’individuo. In particolare fu Aron Beck, verso la fine degli anni’70, che
elaborò un modello d’intervento clinico basato sulla riflessione cosciente sulle
proprie emozioni e sui pensieri ad esse associati e la messa in discussione dei
pensieri che interferivano con l'equilibrio emotivo della persona. Il termine
“Psicoterapia Cognitiva” deriva proprio dal sostenere che il pensiero costituisce
sia il problema psicologico primario che la sua cura, in seguito altri autori hanno
dato un contributo importante alla terapia cognitiva, come ad esempio la terapia
razionale-emotiva di Albert Ellis, il costruttivismo di George Kelly, la terapia
multimodale di Arnold Lazarus, il modello teorico di Michael Mahoney, il
cognitivismo post-razionalista di Vittorio Guidano (noto psichiatra italiano
1944-1999). La rivoluzione cognitiva in psicoterapia è stata inoltre facilitata
dallo sviluppo delle scienze cognitive ed in particolare il contributo della
psicologia sociale con la teoria dell’attribuzione e lo sviluppo della scienza e
programmazione informatica che hanno permesso l’analogia tra il software del
computer e la mente per comprendere le regole di programmazione del cervello
umano e del comportamento.
3. LA TERZA GENERAZIONE è rappresentata dalle più recenti psicoterapie
cognitivo-comportamentale: Acceptance and Commitment Therapy (ACT),
Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) e Mindfulness-Based Cognitive
Therapy (MBCT), Functional Analytic Psychotherapy (FAP), Dialectical
Behavior Therapy (DBT) e Integrative Behavioral Couple Therapy (IBCT); vi
sono alcuni elementi che accomunano i modelli basati più o meno direttamente
114
sull’acceptance (ACT, DBT, FAP, IBCT) e quelli basati prevalentemente sulla
mindfulness (MBSR, MBCT). Nelle terapie di terza generazione, l’obiettivo non
è più quello di trasformare direttamente i pensieri e le convinzioni disfunzionali
in pensieri alternativi più razionali e funzionali (come prescrivono le tecniche di
ristrutturazione cognitiva), ma individuare delle strategie di cambiamento
contestuali ed esperienziali che modificano la funzione degli eventi psicologici
senza intervenire sulla loro forma. Gli interventi proposti da queste terapie di
terza generazione, invece che focalizzarsi sul cambiamento diretto degli eventi
psicologici, si propongono di cambiare la loro funzione e relazione degli
individui con gli stessi, mediante strategie quali la mindfulness, l’accettazione o
de-fusione cognitiva (Teasdale, 2003).
Ora ci sono diversi casi clinici che descrivono l’uso della terapia comportamentale varie
forme di esposizione: tra i casi clinici Munjack nel 1978153 ha descritto il trattamento di
successo di un paziente che lamentava di un eccessiva carnagione rossa dovuta alla
desensibilizzazione; Beary e Cobb nel 1981154 hanno trattato per l'esposizione e la
risposta di prevenzione tre pazienti con l'illusione che puzzavano di flatulenze o alito
cattivo; Braddock nel 1982155 ha descritto un adolescente il quale lamentava di una
fronte rugosa che era trattata da una formazione di assertività ed ignorando i lamenti del
paziente. Gomez-Perez, Mariks e Gutierrez-Fisac nel 1994156 dalla stessa unità hanno
rivisto il trattamento di 30 casi di terapia comportamentale ed un trattamento aggiuntivo
di antidepressivi in sei casi. Neziroglu e Yaryura Tobias descrivono nel 1993 l’uso
dell’esposizione e della prevenzione della risposta in cinque casi come indifferente alla
cura. In tutti gli esempi citati sopra, l’esposizione giornaliera potrebbe implicare
l’entrare a far parte di situazioni sociali senza l’uso di camuffamento e quindi senza
nascondere i loro difetti; le strategie della prevenzione della risposta includeva il fatto
di non interrogare gli altri sul difetto percepito ed far esercitare i parenti a non
rispondere alle richieste di rassicurazione, infatti se il paziente va alla ricerca del difetto
nelle superfici riflettenti allora sarebbero incoraggiati a resistere. Rosen, Reiter ed
153 Munjack D. (1978). “Behavioural treatment of dysmorphophobia.” Journal of behavioural therapy and
experimental psychiatry, 9, 53-56. 154 Beary M. & Cobb J. (1981). “Solitary psychosis – three cases of monosymptomatic delusion of alimentary
tract stench treated with behavioural psychotherapy.” British journal of psychiatry, 138, 64-66. 155 Braddock L. E. (1982). “Dysmorphophobia in adolescence: a case report.” British journal of psychiatry.
140, 199-201. 156 Gomez-Perez J. C., Marks I. M. & Gutierrez-Fisac J. L. (1994). “Dysmorphophobia: clinical features and
outcome with behaviour therapy.” European psychiatry, 9, 229-235.
115
Orosan nel 1995157 hanno condotto una prova casuale controllata di un gruppo di
terapia cognitivo-comportamentale per sedici ore; il trattamento prevedeva
l’allenamento nello stimare correttamente la misura o la forma delle parti del corpo;
l’auto-esposizione davanti ad uno specchio; la modifica delle convinzioni
sopravvalutate riguardo l’importanza dell’apparenza fisica, tecniche per sfidare i
pensieri intrusivi sull’apparenza; l’esposizione per provocare l’auto-coscienza riguardo
l’apparenza e la prevenzione della risposta di controllo, di ricerca di rassicurazione e
confrontando sé stessi con gli altri. Rosen et al. nel 1995 descrivono le strategie che
implicano l’allenamento della stima corretta della misura e della forma, questo può
essere utile per i pazienti i quali evitano in ogni modo di esaminare il loro difetto
percepito ma la maggior parte dei pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo
tendono sempre a controllare il loro aspetto e sono più accurati nella percezione rispetto
ai controlli sanitari (Jerome, 1980). Una strategia di auto-esposizione ad uno specchio
può quindi essere controproducente sebbene Rosen afferma che può essere ancora utile
se fatta con la ristrutturazione cognitiva.
Warwick e Salkovkis nel 1989158 tentano di coinvolgere pazienti ipocondriaci nella
terapia cognitivo-comportamentale come un esercizio di verifica di ipotesi per un
periodo limitato; essi suggeriscono al paziente che poiché egli ha cercato una evidenza
di una causa fisica ai loro sintomi (spesso per parecchi anni), allora egli sarebbe
disponibile a cercare una spiegazione alternativa dei loro sintomi per tre mesi e se
nessun progresso è fatto in terapia allora il terapista potrebbe chiedere al medico
generale del paziente di rinviarli ad un altro fisico; questa strategia potrebbe essere
usata per i pazienti con disturbo da dismorfismo corporeo e crediamo che ci dovrebbero
essere dei buoni collegamenti tra i medici che trattano il disturbo da dismorfismo
corporeo, i chirurghi plastici ed i dermatologi. I pazienti che non hanno avuto una
opinione da un chirurgo plastico o da un dermatologo potrebbero beneficiare da uno
all’inizio del trattamento in modo tale che siano chiaramente informati se le loro
aspettative per un cambiamento sono realistiche; crediamo che fornire un modello
psicologico alternativo di DDC (come abbiamo descritto poc’anzi) è cruciale ad una
fase iniziale per coinvolgere i pazienti.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è una forma di terapia psicologica che si
157 Rosen J. C., Reiter J & Orosan P. (1995). “Cognitive behavioural body image therapy for body
dysmorphic disorder.” Journal of consulting and clinical psychology, 63, 263-269. 158 Warwick H. M. & Salkovskis P. M. (1989). “Cognitive therapy of hypochondriasis.” In J. Scott, J. M. G.
Williams & A. T. Beck (Eds.), Cognitive therapy in clinical practice. London: Croom Helm.
116
basa sul presupposto che vi è una stretta relazione tra pensieri, emozioni e
comportamenti e che i problemi emotivi sono influenzati da ciò che pensiamo e
facciamo nel presente. La ricerca scientifica, infatti, ha dimostrato che le nostre reazioni
emotive e comportamentali sono determinate dal modo in cui interpretiamo le varie
situazioni e quindi dal significato che diamo agli eventi. Secondo la teoria cognitiva, le
persone cercano di dare un senso a ciò che le circonda e si organizzano l'esperienza per
non essere sopraffatte dalla grande quantità di stimoli a cui sono sottoposte ogni giorno.
Con il passare del tempo le varie interpretazioni portano ad alcuni convincimenti e
apprendimenti, che possono essere più o meno aderenti alla realtà e più o meno
funzionali al benessere della persona. Il modello cognitivo sostiene che ci sono tre
livelli di cognizioni:
• convinzioni profonde;
• convinzioni intermedie;
• pensieri automatici.
Le convinzioni profonde sono delle strutture interpretative di base con cui la persona
rappresenta sé stesso e gli altri e organizza il suo pensiero, in altre parole uno schema è
una tendenza stabile ad attribuire un certo significato agli eventi. Ad esempio, una
persona che ha uno schema di sé del tipo "Non sono amabile" penserà che nessuno mai
potrà amarlo e può interpretare la fine di una relazione non come un evento che può
capitare a tutti e che di solito è influenzato da più fattori, ma come la prova che nessuno
effettivamente lo può amare. I contenuti degli schemi cognitivi vengono considerati come
delle verità assolute. Questi pensieri sono, infatti, più globali, rigidi e ipergeneralizzati
rispetto alle altre forme di cognizione e possono riguardare noi stessi (schema di sé), gli
altri (schema dell'altro) e la relazione di sé con l'altro (schema interpersonale).
Le convinzioni intermedie sono delle idee o interpretazioni su noi stessi, sugli altri e sul
mondo che ci permettono di organizzare l'esperienza, prendere decisioni in tempi brevi e
orientarci nelle relazioni con le altre persone. Esse sono più malleabili rispetto alle
convinzioni di base. Le convinzioni intermedie sono costituite da opinioni (es. "È
umiliante andare all'esame impreparato!"), regole (es. "Devo sempre essere all'altezza
della situazione!") e assunzioni (es. "Se prendo trenta tutti mi stimeranno"!).
I pensieri automatici, infine, sono le cognizioni più vicine alla consapevolezza conscia e
sono delle parole, piccole frasi o immagini che attraversano la mente della persona ad un
117
livello più superficiale (ad esempio "Sarò sempre un fallito!"). Essi sono facilmente
modificabili e sono direttamente responsabili delle emozioni provate dalla persona stessa.
Secondo il modello cognitivo, le convinzioni profonde influenzano le convinzioni
intermedie e quelle intermedie influenzano i pensieri automatici; questi, infine,
interferiscono direttamente sullo stato emotivo della persona. Ad esempio, lo schema
"Sono un incapace!" può portare la persona ad avere la convinzione intermedia "Se non
riesco a studiare vuol dire che sono davvero un fallito!"; tale assunzione, infine può far
emergere il pensiero automatico "Sono proprio un fallito!".
Ma cosa serve la terapia cognitivo-comportamentale? Alcune volte le convinzioni che
abbiamo su noi stessi, sugli altri o sul mondo che ci circonda possono essere
disfunzionali, cioè possono distorcere la realtà delle cose, attivarsi in modo rigido
indipendentemente dai contesti, generare pensieri automatici negativi che producono
nient’altro che sofferenza. Il modello cognitivo ipotizza che il pensiero distorto e
disfunzionale sia comune a tutti i disturbi e che sia il responsabile del protrarsi delle
emozioni dolorose e della sintomatologia del paziente. In alcuni casi, infatti, il pensiero
distorto e disfunzionale può portare allo sviluppo di circoli viziosi che mantengono la
sofferenza nel tempo.
Le emozioni negative intense (ad esempio elevati livelli di tristezza, vergogna, colpa o
ansia), inoltre, possono essere così dolorose e invalidanti da interferire con le capacità
della persona di pensare chiaramente alla soluzione del problema; è possibile supporre
che senza tali meccanismi di mantenimento, la persona troverebbe da sola la soluzione
dei suoi problemi psicologici utilizzando la capacità di risoluzione dei problemi
(problem-solving) insita nell'essere umano. La psicoterapia cognitivo-comportamentale,
pertanto, interviene sui pensieri automatici negativi, sulle convinzioni intermedie e sugli
schemi cognitivi disfunzionali al fine di regolare le emozioni dolorose, interrompere i
circoli viziosi che mantengono la sofferenza nel tempo e creare le condizioni per la
soluzione del problema.
Come sappiamo la terapia cognitivo-comportamentale non è l’unica terapia esistente e
utilizzata ma ce ne sono tante altre che vedremo in seguito; a differenza delle altre
psicoterapie, la TCC si focalizza sul presente, è più breve ed è più orientata alla soluzione
dei problemi attuali. I clienti apprendono alcune specifiche abilità che possono utilizzare
per il resto della vita; queste abilità riguardano l’identificazione di modi distorti di
pensare, la modificazione di convinzioni irrazionali e il cambiamento di comportamenti
disadattivi. Inoltre, una differenza importante è che la TCC poggia su una base
118
sperimentale e un metodo scientifico, e la sua efficacia nel trattamento di numerosi
disturbi psicologici è stata convalidata empiricamente. Quali sono dunque le principali
differenze tra la terapia cognitivo-comportamentale e le altre terapie esistenti? Le
principali differenze sono le seguenti:
1) La psicoterapia cognitivo-comportamentale è fondata scientificamente. Studi
scientifici controllati hanno dimostrato l'efficacia della terapia cognitiva nel
trattamento della maggior parte dei disturbi psicologici, tra cui la depressione
maggiore, il disturbo di panico, la fobia sociale, il disturbo d'ansia generalizzato,
il disturbo ossessivo-compulsivo, i disturbi dell'alimentazione, le psicosi. Altre
ricerche condotte sia a livello nazionale (ad esempio quelle condotte dall’Istituto
Superiore della Sanità) che internazionale (come quelle condotte
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità) hanno dimostrato che la psicoterapia
cognitiva ha un'efficacia maggiore o pari agli psicofarmaci nella cura di molte
patologie psichiatriche. Se paragonata agli psicofarmaci, inoltre, la terapia
cognitiva risulta essere più utile nella prevenzione delle ricadute. In alcuni
disturbi (ad esempio il disturbo bipolare o la psicosi) il trattamento farmacologico
continua ad essere indispensabile. È stato anche provato che questo tipo di terapia
è efficace indipendentemente dal livello d’istruzione, stato sociale e reddito della
persona che richiede il trattamento.
2) La psicoterapia cognitivo-comportamentale è orientata allo scopo. Dopo la
prima fase di valutazione diagnostica, il terapeuta ed il paziente stabiliscono
insieme quali sono gli obiettivi della terapia ed il piano terapeutico da adottare.
Generalmente il terapeuta cognitivo-comportamentale interviene dapprima sui
sintomi che, al momento, generano maggiore sofferenza e successivamente sugli
altri aspetti del disturbo. Periodicamente si verificano i progressi fatti rispetto agli
scopi prefissati, anche mediante valutazioni logiche.
3) La psicoterapia cognitivo-comportamentale è centrata sul problema attuale. Lo
scopo della terapia è la risoluzione dei problemi attuali del paziente e l'attenzione
del terapeuta è rivolta soprattutto al qui ed ora. In modo particolare il terapeuta
pone la sua attenzione su ciò che nel presente contribuisce a mantenere la
sofferenza, pur considerando gli eventi passati e le esperienze infantili come utili
fonti d'informazione circa l'origine e l'evoluzione dei sintomi. Alcuni esempi di
problemi attuali sono la riduzione dei sintomi depressivi, la gestione dell'ansia che
porta agli attacchi di panico e la risoluzione dei comportamenti compulsivi.
119
4) La psicoterapia cognitivo-comportamentale è basata sulla collaborazione attiva
tra terapeuta e paziente. Terapeuta e paziente collaborano attivamente per capire
il problema e sviluppare delle strategie adeguate al padroneggiamento della
sofferenza generata dal disturbo. I due decidono l'argomento della seduta e
lavorano per identificare, mettere in discussione e sostituire i pensieri
disfunzionali che portano allo sviluppo dei problemi emotivi.
5) La psicoterapia cognitivo - comportamentale mira a far diventare il paziente
terapeuta di sé stesso. Il terapeuta istruisce il paziente sulla natura del suo
disturbo, sul processo della terapia e sulle tecniche cognitive e comportamentali.
Il paziente, quindi, viene allenato a prendere consapevolezza del proprio
funzionamento mentale e ad utilizzare le tecniche per gestire la propria
sofferenza. L'acquisizione delle abilità di gestione delle emozioni dolorose
permette al soggetto di beneficiare del trattamento anche dopo la conclusione
della terapia.
6) La psicoterapia cognitivo-comportamentale utilizza una molteplicità di tecniche.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale fa uso di una serie di tecniche che
servono a gestire gli stati emotivi dolorosi del paziente. Le tecniche che vengono
utilizzate variano in base al tipo di problema presentato e alla fase della terapia.
Nell’ultimo punto (il punto 6) abbiamo parlato delle tecniche che vengono utilizzate della
terapia cognitivo-comportamentale; le principali tecniche utilizzate sono le seguenti:
Il dialogo socratico è un metodo di conduzione del colloquio che consiste in una
serie mirata di domande ed osservazioni volte a guidare il paziente alla scoperta
delle sue convinzioni disfunzionali e a promuovere in lui un atteggiamento critico
nei confronti di queste.
La scoperta guidata o tecnica della freccia discendente è un metodo di
conduzione del colloquio che consiste nel chiedere progressivamente al paziente il
significato dei suoi pensieri, al fine di rilevare le convinzioni sottostati che egli ha
su sé stesso, sulle altre persone e sul mondo.
La tecnica dell'ABC è una tecnica con cui terapeuta e paziente possono
identificare il contenuto dei pensieri automatici. Tale tecnica è applicata nel modo
seguente: si chiede al paziente quali sono le emozioni principali coinvolte nella
sua esperienza problematica, in quali situazioni insorgono e quali pensieri o
immagini (pensieri automatici) le precedono, accompagnano e seguono. Poiché le
persone di solito hanno difficoltà ad identificare i propri pensieri automatici, il
120
paziente viene, dapprima, allenato a riconoscerli in seduta e, in un secondo
momento, viene invitato ad utilizzare questa tecnica di auto-osservazione durante
la settimana.
Il problem-solving. In aggiunta ai disturbi psicologici, a volte, i pazienti
presentano una specifica difficoltà nel risolvere i problemi della vita quotidiana; il
problem-solving è una tecnica che viene insegnata al paziente per trovare
soluzioni ai problemi della vita reale. Tale tecnica consiste nell'identificazione del
problema pratico presentato dal paziente e nella promozione di un atteggiamento
attivo rispetto alla soluzione di questo. Più in dettaglio si chiede al paziente di
escogitare diverse soluzioni del problema, di sceglierne una tra queste, di metterla
in atto e di valutarne l'efficacia. Inizialmente il terapeuta può assumere un
atteggiamento propositivo e suggerire al paziente possibili soluzioni alternative,
ma con il passare del tempo egli incoraggerà la persona ad utilizzare
autonomamente tale tecnica.
Gli esperimenti comportamentali sono dei veri e propri "esperimenti" che
terapeuta e paziente progettano insieme in seduta. Questi hanno lo scopo di
falsificare le convinzioni (es. aspettative) disfunzionali che sono alla base dei
disturbi emotivi del paziente. Una persona con disturbo di panico, ad esempio,
può avere la convinzione disfunzionale che le vertigini presenti durante le crisi di
ansia portino ad un imminente svenimento. In questo caso potrebbe essere
opportuno realizzare questo esperimento comportamentale: terapeuta e paziente
insieme fanno degli esercizi d’iperventilazione (cioè aumentano la frequenza e la
profondità del respiro) per auto-indursi un eccesso di ossigeno al cervello e,
dunque, un'innocua sensazione di sbandamento. La riproduzione di tale
esperimento nel corso del tempo farà costatare al paziente che le vertigini che
avverte in determinate circostanze sono causate dall'eccesso di ossigeno al
cervello dovuto al modo in cui respira durante lo stato di ansia.
Il promemoria (o “coping cards”) sono dei bigliettini su cui il paziente e il
terapeuta scrivono le strategie cognitive e comportamentali che il paziente
dovrebbe mettere in atto durante la situazione problematica. Il paziente viene
incoraggiato dal terapeuta a tenere i promemoria sempre con sé (es. in tasca, nel
portafogli) e ad utilizzarli regolarmente (es. due volte al giorno) o al bisogno.
L’esposizione graduale è una tecnica che consiste nel programmare la
modificazione di un comportamento disfunzionale facendo un piccolo passo alla
volta. Il terapeuta chiede al paziente di scomporre l'obiettivo (il comportamento
121
problematico) in sotto-obiettivi di difficoltà minore e di esporsi a questi, ossia di
affrontarli, in modo graduale, dal più facile al più difficile. Prendiamo come
esempio una persona con disturbo di panico che, apprese le tecniche di gestione
dell'ansia, ha come obiettivo terapeutico quello di riprendere la metropolitana per
andare al lavoro. Il terapeuta inviterà il paziente a scomporre quest’obiettivo in
piccoli passi più facilmente raggiungibili e a realizzarli gradatamente: il primo
giorno, ad esempio, il paziente andrà sulla banchina della metropolitana senza
prendere il mezzo, il secondo giorno prenderà la metropolitana per una fermata, il
terzo giorno per due fermate e così via.
I compiti a casa, infine, sono una parte importante della terapia. Attraverso di essi
il terapeuta cerca di estendere le opportunità di regolazione cognitiva, emotiva e
comportamentale a tutta la settimana. Esempi di compiti a casa sono
l'automonitoraggio dei pensieri automatici negativi attraverso la tecnica dell'ABC
e gli esperimenti comportamentali. Non tutti i pazienti, però, eseguono i compiti a
casa, alcuni studi scientifici, infatti, affermano che i pazienti che si adoperano nei
compiti a casa presentano maggiori progressi rispetto a quelli che non lo fanno.
Per quanto riguarda le sedute, le prime vengono dedicate alla conoscenza dei problemi
del cliente e alla costruzione della relazione terapeutica. La fase di anamnesi viene
condotta utilizzando, oltre al colloquio clinico, alcuni test psicodiagnostici ed è volta alla
valutazione dello stato emotivo del cliente, alla ricostruzione delle esperienze salienti
della sua vita e alla chiara definizione dei suoi problemi attuali e dei suoi obiettivi.
Quando il caso e la diagnosi clinica saranno abbastanza chiari, il terapeuta propone al
cliente un contratto terapeutico. Egli riassumerà le sue valutazioni, prospetterà al cliente
le sue ipotesi e formulerà delle interpretazioni degli eventi; delineerà un progetto
terapeutico, con strategie e obiettivi concreti, utili e raggiungibili, connessi con i
problemi esplicitati dal cliente e coerenti con le sue aspettative. Successivamente il
terapeuta spiegherà i principi teorici e le finalità della terapia ed illustrerà brevemente le
tecniche che verranno utilizzate, nonché i tempi, il costo e le probabilità di successo della
terapia, per quanto ciò sia possibile. Poi si passerà all’intervento terapeutico vero e
proprio, in un clima di fiducia e di orientamento positivo al cambiamento. Verso la fine
della terapia, quando il cliente si sentirà meglio, le sedute potranno essere diradate nel
tempo fino alla conclusione.
Potranno poi seguire delle sedute di richiamo (cosiddette di follow-up) a tre, sei e dodici
mesi dalla conclusione della terapia.
122
Di solito le sedute si svolgono all’interno di uno studio con delle poltrone e un tavolino o
una scrivania. Il terapeuta e il cliente sono seduti faccia a faccia, ma la loro posizione può
eventualmente variare nel caso in cui vengano utilizzate determinate le tecniche
(rilassamento, role-playing, modeling, ecc.). Le sedute durano circa un’ora, e la loro
frequenza è settimanale (più raramente, bisettimanale); il clima è disteso, empatico e
collaborativo. Oltre al colloquio, spesso si utilizzano in seduta alcuni materiali
terapeutici, vengono spesso somministrati dei test e dei questionari psicodiagnostici, diari
giornalieri per la registrazione e il monitoraggio delle attività del cliente, schede per
esercizi in studio e per i compiti a casa. Dopo un rapido controllo dell’umore del
paziente, si fissa un ordine del giorno, stabilendo gli argomenti di cui si tratterà nella
seduta. In maniera collaborativa, i problemi verranno trattati facendo ricorso alle tecniche
più appropriate. Poi si passerà all’assegnazione di alcuni compiti a casa, ovvero degli
esercizi che il cliente svolgerà durante la settimana e che verranno discussi insieme nella
seduta successiva.
La terapia cognitivo-comportamentale del disturbo da dismorfismo corporeo può
assomigliare a quello del disturbo ossessivo-compulsivo nel mettere in discussione non le
ossessioni che hanno di sé stessi ma il significato di essi159 160. In comune con altri
disturbi la ristrutturazione cognitiva è più probabile che sia efficace quando c’è qualche
eccitazione emotiva (ma non troppo elevata o il paziente è probabile che non sia in grado
di sviluppare un caso per una convinzione alternativa). I pazienti possono così necessitare
di pratica nello sviluppare convinzioni alternative quando confrontano sé stessi allo
specchio o essere osservati da vicino dal loro terapista.
3.4 LA TERAPIA PSICOFARMACOLOGICA DEL DDC.
Come sappiamo il disturbo da dismorfismo corporeo è stato collegato allo spettro dei
disturbi ossessivi-compulsivi e dovrebbe perciò rispondere agli inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina (Hollander, 1993)161. La maggior parte delle ricerche
biologiche sul disturbo ossessivo-compulsivo è focalizzata sugli anelli neuronali tra i
159 Slakovskis P. M. (1985). “Obsessive-compulsive problems: a cognitive behavioural analysis.” Behaviour
research and therapy, 23, 571-583. 160 Van Oppen P. & Arntz A. (1994). “Cognitive therapy for obsessive-compulsive disorder.” Behaviour
research and therapy, 32, 79-87. 161 Hollander E. (1993). “Obsessive-compulsive spectrum disorders: an overview.” Psychiatric annals,
23,355-358.
123
gangli basali e del lobo frontale e le anomalie strutturali del corpo striato (Wise &
Rapoport, 1988; Robinson, Wu, Munne, Ashtari, Alvir, Lerner, Koreen, Cole &
Bogerts, 1995); finora non ci sono stati studi neuropsicologici o di neuroimaging (il
processo di produzione di immagini della struttura o l'attività del cervello o altre parti
del sistema nervoso con tecniche come la risonanza magnetica o la tomografia
computerizzata) nel disturbo da dismorfismo corporeo per determinate le similitudini e
le differenza con il disturbo ossessivo-compulsivo o altri disturbi d’ansia. Craven e
Rodin nel 1987162 hanno riportato un caso di una donna la quale ha sviluppato il
disturbo da dismorfismo corporeo dopo l’abuso cronico di ciproeptadina che è
un’antagonista della serotonina in quanto porta alla deregolazione dei recettori della
serotonina; l’esaurimento acuto da triptofano è stato scoperto per accentuare i sintomi
del disturbo da dismorfismo corporeo in un singolo paziente di sesso femminile con
DDC e depressione. Hollander ha trovato un’accentuazione dei sintomi del disturbo da
dismorfismo corporeo in un singolo paziente con disturbo da dismorfismo corporeo con
un antagonista della serotonina molto efficace, l’m-CPP (1-[3-clorofene] -piperazina):
un risultato simile a quello trovato nel disturbo ossessivo-compulsivo163 164. Tale ricerca
è estremamente fondamentale e la deregolazione dei recettori della serotonina non è del
tutto specifica; non ci sono stati prove di controlli casuali degli inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina nel disturbo da dismorfismo corporeo. I pazienti
certamente sembra che rispondano preferenzialmente agli efficaci inibitori della
ricaptazione della serotonina negli studi dei casi ma non rispondono in tutti i casi; non è
conosciuta quale sia la proporzione di pazienti in qualsiasi studio che abbia avuto anche
un disturbo delirante oppure un episodio di depressione maggiore.
Proponiamo di seguito una rassegna dei dati presenti in letteratura in merito alla terapia
psicofarmacologica ed il BDD:
BDD e antidepressivi.
BDD e triciclici.
Dalla letteratura emerge che l’antidepressivo triciclico (TCA) più
studiato in relazione al BDD è la clomipramina come afferma
162 Craven J. L. & Rodin G. M. (1987). “Cyproheptadine dependence associated with an atypical somatoform
disorder.” Canadian journal of psychiatry, 32, 143-145. 163 Hollander E., Fay M. Cohen B. & Campeas R. (1988). “Serotonergic and noradrenergic sensitivity in
obsessive-compulsive disorder: behavioural findings.” 140th annual meeting of the American Psychiatric
Association, 1987, Chicago, American journal of psychiatry, 145, 1015-1017. 164 Zohar J., Mueller E. A. & Insel T. R. (1987). “Serotonergic responsivity in obsessive-compulsive
disorder.” Archived of general psychiatry, 44, 946-951.
124
Sondheimer nel 1988165. Da uno studio condotto da Hollander et al. nel
1999166 emerge che la clomipramina (un potente inibitore del reuptake
della serotonina) ha un’efficacia maggiore della desipramina, un
inibitore selettivo del reuptake della noradrenalina, testimoniato da un
punteggio più basso alla BDD-Y-BOCS. alla BDD-NIMMH (una
versione modificata del National Institute of Mental Health Global
Obsessive-Compulsive Scale) e alla BDD-CGI (Clinical Global
Impression Scale) alla fine delle 16 settimane di trattamento con le due
molecole. L’efficacia della terapia è indipendente dalla comorbidità di
DOC, depressione o fobia sociale. Inoltre, risulta efficace anche nei
pazienti deliranti con disturbo da dismorfismo corporeo. Questo è il
primo studio sistematico sul trattamento farmacologico della
dismorfofobia. Alcune volte la combinazione di clomipramina con un
SSRI può essere efficace quando i risultati di un trattamento con SSRI
sono discontinui o inefficaci. Questa combinazione è ben tollerata ma
deve essere usata con cautela, dato che gli SSRI determinano un
aumento dei livelli plasmatici della clomipramina.
BDD e gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI).
Diversi dati provenienti da studi retrospettivi e da casistiche cliniche
suggeriscono che gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI)
sono i più efficaci nel trattamento della dismorfofobia. In uno studio
retrospettivo si è riscontrato un miglioramento clinico significativo nel
42% dei 65 pazienti trattati con SSRI (fluoxetina, paroxetina, sertralina o
fluvoxamina); analogo miglioramento si ha nel 30% dei 23 pazienti
trattati con IMAO, nel 15% dei 48 pazienti trattati con triciclici, nel 3%
di quelli con neurolettici, nel 6% di quelli con altri medicamenti
(benzodiazepine o stabilizzatori dell’umore) e nello 0% di quelli trattati
con la terapia elettroconvulsiva. La risposta agli SSRI solitamente
corrisponde a una diminuzione della sofferenza, della preoccupazione e
dei “comportamenti rituali” così come a un miglioramento delle
funzioni. Alcuni SSRI determinano un miglioramento dell’insight e un
165 Sondheimer A.: “Clomipramine treatment of delusional disorder, somatic type.” Journal of the American
Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 1988, 27, 188-192. 166 Hollander E., Allen A., Know J.: “Clomipramine vs desipramine cross-over trial in body dysmorphic
disorder: selective efficacy of a serotonin-reuptake inhibitor in imagined ugliness.” Archives of General
Psychiatry, 1999, 56, 1033-1039.
125
decremento delle idee di riferimento. Tra gli inibitori della ricaptazione
della serotonina, la fluvoxamina risulta il più usato nel trattamento del
BDD (68-70). Con Phillips e McElroy S. L. nel 1995167 si ha il primo
lavoro sistematico con SSRI sulla dismorfofobia; in questo studio di 16
settimane, 20 pazienti con diagnosi di DCC secondo i criteri del DSM-
IV sono trattati con fluvoxamina, a un dosaggio medio di 240±81 mg al
giorno fino a un massimo di 300 mg. I soggetti sono valutati all’inizio e
a intervalli regolari con la BDDY-BOCS (31-33), con la Hamilton
Rating Scale for Depression (HAM-D) a 24 item, con la Brown
Assessment of Beliefs Scale (BABS, per valutare il grado del delirio),
con la CGI e altre scale. I risultati mostrano un miglioramento
significativo alla BDDY- BOCS (p<.001), alla CGI (p<.001) e alla
HAM-D (p<.001). I pazienti deliranti hanno la stessa risposta dei non-
delirante nella terapia con fluoxetina. La risposta al trattamento è
indipendente sia dalla durata e dalla gravità del BDD sia dalla presenza
di depressione maggiore, di DOC o disturbi di personalità. La fluoxetina
è in generale ben tollerata.
BDD e neurolettici.
I neurolettici non sono ritenuti farmaci di prima scelta nel trattamento del BDD.
In letteratura si rinvengono pochi case report in cui le forme deliranti vengano
trattate con neurolettici: la pimozide così come il risperidone e l’olanzapina
sono risultati farmaci efficaci per il DDC delirante (psicosi ipocondriaca
monosintomatica). In letteratura sono presenti pochi lavori sul trattamento della
dismorfofobia con utilizzo di soli antipsicotici, infatti in uno studio con sulpiride
si è dimostrato come questa molecola abbia una buona efficacia e tollerabilità.
L’utilità della sulpiride nel BDD è confermata anche da un altro lavoro del 1991
in cui si paragona l’effetto del L-sulpiride a quello dell’analogo racemico. Si
conosce soltanto un caso di non-delirante BDD trattato con successo mediante
un neurolettico atipico: il paziente, uomo di 46 anni, con diagnosi di dipendenza
da alcool, disturbo bipolare di tipo II e BDD, trattato con olanzapina, ha
presentato un significativo miglioramento clinico al termine delle 3 settimane di
terapia. Nel trattamento del DCC l’utilizzo di neurolettici si riscontra
167 Phillips K. A., McElroy S. L.: “An open-label study of Fluvoxamine in body dysmorphic disorder.” In:
Scientific Abstracts of 34th Annual Meeting of the American College of Neuropsychopharmacology;
December 11-15, 1995, San Juan, Puerto Rico.
126
principalmente in associazione con un SSRI quando quest’ultimo ha una
parziale o scarsa efficacia.
BDD e augmentation.
Nei pazienti refrattari al trattamento sono state tentate strategie di augmentation
come sottolineano Phillips et al.168 si è riscontrato un miglioramento di 6
pazienti (46%) dopo l’associazione del buspirone (parziale agonista
serotinergico) al trattamento di base. La dose media di buspirone era 48.3±14.7
mg/die. Per pazienti con DDC delirante che non rispondono completamente agli
SSRI, si può associare anche un antipsicotico quale la pimozide. In 9 (60%) di
15 casi, l’augmentation neurolettica risulta migliorare l’insight e diminuire le
idee di riferimento.
La terapia dei pazienti con DCC è quasi sempre infruttuosa169 se tentata con procedure
chirurgiche, dermatologiche, odontoiatriche o con altri interventi volti a correggere il
presunto difetto170. Diversi dati suggeriscono che il DCC risponde agli inibitori della
ricaptazione della serotonina (SSRI), mentre altri agenti psicotropi o terapia
elettroconvulsiva (TEC) appaiono generalmente inefficaci171, sebbene le informazioni
in nostro possesso siano ancora limitate. Studi sistematici sono stati condotti con
fluvoxamina, clomipramina e fluoxetina: unici studi controllati sono quello di
Hollander172 con la clomipramina e quello di Phillips173 con la fluoxetina. Quando gli
SSRI determinano un blando miglioramento, utile è lo studio di una strategia di
augmentation174. Tutti i trattamenti di augmentation presentano buoni risultati. La
terapia di augmentation con buspirone si è dimostrata in più casi efficace175.
168 Phillips K. A., Albertini R. S., Siniscalchi J. M., Khan A., Robinson M.: “Effectiveness of
pharmacotherapy for body dysmorphic disorder: a chart-review study.” Journal of Clinical Psychiatry, 2001,
62, 721-727. 169 Phillips K. A., McElroy S. L., Keck P. E. Jr., Prope H. G. Jr., Hudson J. I.: “Body dysmorphic disorder: 30
cases of imagined ugliness.” American Journal of Psychiatry, 1993, 150, 302-308. 170 Phillips K. A., McElroy S. L., Lion J. R.: “Plastic surgery and psychotherapy in the treatment of
psychologically disturbed patients.” Journal of Plastic and Reconstructive Surgery, 1992, 90, 333-335. 171 Phillips K.A.: “Body dysmorphic disorder: clinical features and drug treatment.” CNS Drugs, 1995, 3, 30-
40. 172 Hollander E., Allen A., Know J.:” Clomipramine vs desipramine cross-over trial in body dysmorphic
disorder: selective efficacy of a serotonin-reuptake inhibitor in imagined ugliness.” Archives of General
Psychiatry, 1999, 56, 1033-1039. 173 Phillips K. A., Albertini R. S., Steven M. D., Rasmussen M. D.: “A randomised placebo-controlled trial of
fluoxetine in body dysmorphic disorder.” Archives of General Psychiatry, 2002, 59, 381-388. 174 Phillips K. A., Albertini R. S., Siniscalchi J. M., Khan A., Robinson M.: “Effectiveness of
pharmacotherapy for body dysmorphic disorder: a chart-review study.” Journal of Clinical Psychiatry, 2001,
62, 721-727. 175 Phillips K.A.: “A preliminary open study of buspirone augmentation of SSRI in body dysmorphic
disorder.” Psychopharmacology Bulletin, 1996, 32, 175-180.
127
Studi preliminari evidenziano l’efficacia della terapia cognitivo comportamentale nel
trattamento del DCC, anche in pazienti con parziale risposta alla farmacoterapia. È
possibile, tuttavia, che valgano per il disturbo da dismorfismo corporeo le stesse
limitazioni che le terapie cognitivo comportamentali sembrano avere nel trattamento del
DOC176. Le tecniche psicoterapiche psicodinamiche e di supporto sembrano essere
efficaci in alcuni casi come approccio aggiuntivo, ma non è stata dimostratala loro
efficacia come unico presidio terapeutico.
176 Biondi M., Picardi A.: “Terapia integrata.” In: Smeraldi E (ed) Trattato
italiano di Psichiatria. “Il disturbo ossessivo-compulsivo e il suo spettro.” Masson, Milano, 2003.
128
CONCLUSIONI
In seguito al lavoro svolto possiamo affermare che il disturbo da dismorfismo corporeo
è un disturbo molto diffuso e al tempo stesso abbastanza problematico in quanto spesso
e volentieri si hanno delle ripercussioni psicologiche e sociali, talvolta con esiti,
purtroppo, drammatici.
A mio parere è impossibile prevenire questo disturbo non solo a causa della società che
ci circonda la quale ormai ha fatto del corpo e dell’immagine corporea in generale un
elemento fondamentale e senza la quale non può farne a meno, ma anche e soprattutto a
causa dei mass-media ovvero i mezzi di comunicazioni di massa (tra i quali ovviamente
la televisione) i quali tendono tutti i giorni 24h su 24 a riempirci le giornate di vari
programmi televisivi e pubblicità di ogni genere mostrando fisici “scolpiti” e
quant’altro.
Possiamo dire che siamo pervasi da questi canoni di bellezza che invadono la nostra
mente e soprattutto quella dei giovani i quali ne sono oramai ossessionati tant’è vero
che a quanto pare per molti di loro (la stragrande maggioranza) è diventato di vitale
importanza frequentare ogni giorno o quasi le palestre con il solo ed unico scopo di
ottenere degli ottimi risultati.
Io sono dell’idea che non è molto importante l’aspetto estetico: certo “anche l’occhio
vuole la sua parte” come si suol dire, ma secondo me la cosa più importante in una
persona (maschio o femmina che sia) è il carattere e soprattutto quello che essa riesce a
trasmettere agli altri; alla fine io penso che c’è sempre qualcuno che ti apprezza e ti
accetta per come sei indipendentemente dall’aspetto esteriore anche se oggi è diventato
più difficile trovare questo “qualcuno”.
129
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