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N. R.G. 2521/2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
QUARTA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. ANNA MARIA DRUDI Presidente Relatore
dott. GIOVANNI SALINA Giudice
dott. MANUELA VELOTTI Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 2521/2012 R.G.
promossa da:
FALL. PAF INTERPACK S.R.L. (C.F. 01651230683), con il patrocinio dell’avv.
LENZI NICOLA , elettivamente domiciliato in VIA BARBERIA N. 30 40123
BOLOGNA presso il difensore avv. LENZI NICOLA
ATTORE
contro
ALBERTO POLIZIO (C.F. PLZLRT57T09D548N), con il patrocinio dell’avv.
BRICOLA NICOLA , elettivamente domiciliato in VIA BARBERIA 9 40123
BOLOGNA presso il difensore avv. BRICOLA NICOLA
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GOST S.R.L. (C.F. 01359990296), con il patrocinio dell’avv. DE VIDO
ALESSANDRA, elettivamente domiciliato in VIA D’AZEGLIO 15 40123
BOLOGNA presso il difensore avv. DE VIDO ALESSANDRA
CONVENUTI
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da verbale d’udienza di precisazione delle
conclusioni in data 1.10.2015
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Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Premesso in fatto che:
- con citazione 13.2.2012 il FALLIMENTO PAF INTERPACK S.R.L., dichiarato
con sentenza dell’intestato Tribunale in data 21-24.10.2008, conveniva in
giudizio POLIZIO ALBERTO e GOST S.R.L. svolgendo: A) nei confronti del
primo, quale già Amministratore Unico della società fallita fino al 30.7.2008,
azione di responsabilità ex artt. 146 L.F. e 2476 c.c. per i danni conseguenti ai
comportamenti di mala gestio posti in essere nella predetta qualità; B) nei
confronti di entrambi i convenuti: (i) azione di inefficacia ex art. 2645 bis, 3°
comma, c.c. del contratto preliminare 16.7.2008 per scrittura privata autenticata
con il quale il Polizio prometteva di vendere a Gost S.r.l. tutti i beni immobili di
cui lo stesso era titolare (un appartamento, due garage e due posti auto) in
Ferrara; (ii) azione revocatoria ex art. 2901 c.c. avverso l’ulteriore contratto
preliminare 28.12.2009, stipulato inter partes sempre per scrittura preliminare
autenticata ed anch’esso regolarmente trascritto, avente il medesimo oggetto ad
eccezione della data di stipula del contratto definitivo fissata entro il 31.12.2012;
- quanto a sub A) – premesso che PAF INTERPACK S.R.L. era stata costituita il
18.2.2005 con inizio attività il successivo 21.4.2005 e con oggetto sociale “…la
progettazione, la costruzione, il montaggio, la rappresentanza ed il commercio
di macchine automatiche nonché di loro accessori e parti di ricambio” nonché
descritta la cronistoria della compagine sociale (dalla quale emergeva che il
Polizio era contemporaneamente A.U. della società fallita e del socio di controllo
P.A.F. & Partners S.r.l., cui in data 28.11.2007 era succeduta W.T.S. World
Technology Solutions S.r.l., di cui il Polizio era egualmente AU e socio e, dal
maggio 2008, amministratore delegato); dato altresì atto dell’esistenza di
amministratori di fatto – il Fallimento, previa analisi tecnica dei bilanci,
addebitava a Polizio Alberto, le seguenti responsabilità: a) omessa o
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insufficiente vigilanza sull’andamento della gestione e, quindi, sulla
conservazione del capitale sociale con inosservanza dell’obbligo di diligenza
imposto agli amministratori di società; b) fraudolenta capitalizzazione di costi
per ricerca e sviluppo; c) esposizione di crediti inesistenti; d) omesso
versamento dei contributi INPS e trattenute fiscali ed omessa contabilizzazione
dei conseguenti interessi e sanzioni; e) fraudolento utilizzo di castelletto
bancario per anticipazioni al s.b.f.; f) abnormi emolumenti in favore dell’A.U. e
degli amministratori di fatto, inizialmente inquadrati come collaboratori a
progetto; g) artificiosità del valore delle rimanenze; h) illegittima restituzione del
finanziamento in precedenza concesso alla società dal socio di controllo PAF &
Partners S.r.l.; i) violazione dei principi di fedele e diligente redazione del
bilancio e degli obblighi di cui all’art. 2476 c.c. anche in relazione all’art. 2482 ter
e segg. c.c.;
- deducendo che l’insieme di dette condotte aveva portato all’insolvenza della
società, il Fallimento chiedeva, quindi, la condanna del Polizio al risarcimento
del relativo danno (“da insolvenza”), quantificato in € 3.414.162,00 pari alla
differenza fra l’attivo ed il passivo fallimentare;
- quanto a sub B) esponeva che, incontestabile la scadenza di termini previsti
dall’art. 2645 bis, 3° comma, c.c. relativamente al preliminare 18.7.2008 – tanto
più che con quello successivo le parti ponevano in essere un contratto novativo,
con cui precisavano: “trascrizione [di quello precedente] a ritenersi inefficace in
forza del presente” – erano sussistenti anche tutti i presupposti per l’azione
revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. in ordine al successivo contratto (e, in
subordine, anche al primo) e, dunque: la propria qualità di creditore (sia pure
titolare di “credito litigioso”) in relazione ad atti dispositivi posti in essere
successivamente all’insorgere dell’obbligazione; la diminuzione della dovuta
garanzia patrimoniale che detti atti dispositivi avevano determinato (eventus
damni); quanto al Polizio la sicura conoscenza del pregiudizio arrecato alle
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ragioni creditorie della società e, quanto alla Gost, l’analoga presuntiva
conoscenza offerta dalla consecuzione degli atti e dalle stesse vicende che la
riguardavano (consilium fraudis), come in citazione distintamente esaminate;
- si costituiva POLIZIO ALBERTO chiedendo il rigetto e/o l’inammissibilità di
tutte le domande di parte attrice;
- in particolare, in punto ad azione di responsabilità, pur non contestando alcuno
degli addebiti oggettivi evidenziati dal Fallimento, ne attribuiva l’esclusiva
responsabilità agli amministratori di fatto Carbonchi Gian Carlo e Caroli Antonia,
ai quali (ex amministratori della fallita Montpack S.r.l., di cui volevano riacquisire
l’azienda) aveva prestato la propria “attività di consulenza per la finanza
aziendale” (svolta mediante le società di consulenza PAF & Partners S.r.l. e AP
Finance S.r.l.); in tale ambito e con detta finalità, venuto meno un precedente
progetto, era stata costituita la società PAF INTERPACK S.R.L., di cui aveva
eccezionalmente accettato di diventare il legale rappresentante, attesa
l’impossibilità di Carbonchi e Caroli (“in quanto già amministratori di società
fallita…ed inseguiti dagli istituti di credito”) di assumere la carica, sicchè “si
facevano rappresentare da terzi prestanome sia nella detenzione delle
proprietà, sia nell’amministrazione di attività imprenditoriali”; in sostanza
l’accordo inter partes era che il Polizio, pur formalmente A.U. della nuova
società, avrebbe continuato a fornire (oltre a capitale sociale) mera attività di
“consulenza per l’ottenimento di linee di credito e finanziamenti per la fase di
start up dell’impresa, che, invece era condotta, sotto tutti gli altri aspetti
amministrativi e gestionali dai coniugi Carbonchi-Caroli; le perplessità che il
Polizio già aveva avuto nel corso del 2006 sulla concreta gestione dell’impresa,
“certamente in modo incauto” non erano state approfondite, ma erano poi
sfociate in aperto dissidio nel corso del 2007 allorchè si accorgeva di “palesi
incongruità contabili” e, nel contempo, i Carbonchi-Caroli procrastinavano la
nomina di nuovo amministratore e l’uscita di Paf & Partners S.r.l. dalla
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compagine sociale mediante vendita delle quote a diverso prestanome che gli
stessi avrebbero dovuto ricercare; per concludere, solo all’esito del mandato
conferito ad esperto revisore contabile il Polizio aveva avuto consapevolezza
della reale situazione della società e della falsificazione della contabilità
societaria da parte dei Carbonchi-Caroli; alle contestazioni seguenti i medesimi
comunicavano “in poche parole che tutti i problemi e le irregolarità contabili ed
amministrative sarebbero ricadute sull’ingenuo amministratore”; il Polizio,
dunque, si era impegnato per una soluzione di carattere concordatario, che
tuttavia non andava a buon fine;
- in punto alle altre domande, la difesa del Polizio sollevava questione di
carenza di legittimazione attiva (il Fallimento non vantando alcun credito nei
confronti del Polizio) e di interesse ad agire in capo al Fallimento (per essere
l’immobile già gravato da ipoteche) nonché protestando l’assenza di dolosa
preordinazione di pregiudizio, atteso che la società Gost “nulla aveva a che fare”
con Polizio;
- si costituiva anche GOST S.R.L. svolgendo, in ordine alle medesime
domande, analoghe difese;
- con la seconda memoria ex art. 183, 6° comma, c.p.c. il Fallimento attore
osservava che nel frattempo, ovverossia dopo il decorso dei termini per il
deposito della prima memoria, era scaduto, anche in relazione al contratto
preliminare del 28.12.2009, il termine di cui all’art. 2645 bis, 3° comma, c.c. con
conseguente modifica in parte qua della relativa domanda, previa eventuale
rimessione in termine ai sensi dell’art. 153, 2° comma, c.p.c.
- disattese le istanze di prova orale, la causa è stata istruita mediante
espletamento di CTU tecnica, prima della quale, all’udienza in data 20.2.2014 il
difensore di Gost S.r.l. dichiarava di rinunciare al mandato con successivo
disinteresse di detta parte al processo;
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- la causa è, quindi, passata alla presente fase decisoria sulle conclusioni
rassegnate all’udienza in data 1.10.2015. Nessuno dei convenuti ha rassegnato
le memorie conclusive ex art. 190 c.p.c.
osserva:
SULL’AZIONE DI RESPONSABILITA’
La tesi del convenuto Polizio Alberto, che si sostanzia nel sostenere che
l’amministratore legale di società di capitali andrebbe esente da ogni tipo di
responsabilità nel caso in cui i comportamenti di mala gestio siano posti in
essere da soggetti terzi cui lo stesso aveva consentito convenzionalmente
l’amministrazione “di fatto” della società, è, all’evidenza, da disattendere,
essendo sul punto sufficiente il semplice richiamo all’art. 2476 c.c. in forza del
quale “gli amministratori sono…responsabili verso la società dei danni derivanti
dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, per
l’amministrazione della società”.
E non vi è certo dubbio che, fra detti doveri, vi sia l’obbligo di vigilanza sulla
gestione della società e, dunque, di conoscenza di tutti gli atti di gestione ed
amministrazione e l’obbligo di intervento per impedire comportamenti
pregiudizievoli al fine della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
Tutti precetti di diligenza nell’espletamento dell’incarico sono, dunque,
certamente violati nel caso di specie ove – per riconoscimento dello stesso
convenuto Polizio – è stato demandato ad altri il compito gestorio proprio
dell’amministratore, senza alcun tipo di cautela e senza controllo (effettuato, in
tesi, solo quando ormai la società era già da tempo in stato di decozione).
Indipendentemente dalla corresponsabilità solidale attribuibile agli
amministratori di fatto, anche nell’ottica minimale sottesa alla prospettazione del
convenuto, è, dunque, indubbio che lo stesso è tenuto a rispondere in proprio di
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tutti i comportamenti di mala gestio posti in essere da coloro cui aveva
consentito l’espletamento concreto di attività rientranti nei poteri gestori che, in
quanto legale rappresentante, rientravano nei doveri inerenti la sua carica.
A fronte di quanto in premessa sono, dunque, del tutto irrilevanti le difese di
mera “ingenuità” protestata dal Polizio ovvero di “incauto” affidamento e/o di
attività truffaldina ai suoi danni – elementi tutti che non ne diminuiscono
certamente la colpa e, quindi, la responsabilità – così come le ulteriori difese del
Fallimento volte a dimostrarne la perfetta consapevolezza sulla base dell’attività
professionale svolta e di analoghi comportamenti assunti nell’ambito di vicende
societarie diverse, tutte sfociate in procedure fallimentari.
Ciò posto, deve registrarsi l’assoluta assenza, da parte del Polizio, di ogni
contestazione in ordine a tutti gli ulteriori e concreti addebiti formulati, in termini
di responsabilità, da parte della Curatela fallimentare, così come in premessa
sintetizzati. Addebiti, che, dunque, al di là della totale conferma ricevuta
dall’espletata CTU, devono considerarsi pacifici in causa anche ai fini e per gli
effetti di cui all’art. 115 c.p.c. e non bisognevoli di ulteriore istruttoria.
E, tuttavia, ciò non significa l’assenza di problematiche in ordine alla
quantificazione del relativo danno, che parte attrice ha ricondotto (anche in sede
di precisazione delle conclusioni) tout court all’importo differenziale fra attivo e
passivo fallimentare sul presupposto che l’insieme delle violazioni ascritte
all’amministratore fossero causa efficiente del dissesto e del successivo
fallimento della società.
Senonchè l’esame non può prescindere dal principio civilistico, che impone di
accertare l’esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima e danno,
così come definitivamente affrontato e risolto, dopo ricapitolazione degli sviluppi
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della giurisprudenza sul punto, dall’ormai nota Sentenza della Suprema Corte a
Sezioni Unite n. 9100/15:
“La sommaria ricapitolazione degli sviluppi della giurisprudenza di questa corte
negli ultimi decenni, riguardo al tema in esame, induce subito ad osservare che
la questione non può essere affrontata in termini generici, quasi che gli illeciti
eventualmente ascrivibili all'amministratore di società, idonei a generare
l'obbligo di risarcire il danno, si traducano sempre in un'unica e ben determinata
tipologia di comportamenti, rispetto alla quale si possa affermare o negare
l'utilizzabilità del criterio d'individuazione e liquidazione del danno consistente
nella differenza tra il passivo e l'attivo accertati in sede fallimentare. I doveri
imposti dalla legge, dall'atto costitutivo e dello statuto agli amministratori di
società sono assai variegati. In parte risultano puntualmente specificati e
s'identificano in ben determinati comportamenti: quali, ad esempio, la tenuta
delle scritture contabili, la predisposizione dei bilanci e i prescritti adempimenti
fiscali e previdenziali, il divieto di concorrenza, e via elencando. Ma, per il resto,
si tratta di doveri il cui preciso contenuto non è sempre facile da specificare a
priori, in quanto essi derivano dall'essere l'amministratore preposto all'impresa
societaria e dal suo conseguente obbligo di compiere con la necessaria
diligenza tutto ciò che occorre per la corretta gestione di essa. Ne discende che
anche le conseguenze dannose - per la società e per i suoi creditori - che
possano eventualmente scaturire dalla violazione dei suddetti doveri, dovendo
essere in rapporto di causalità con quelle violazioni, non sono suscettibili di una
considerazione unitaria, ma appaiono destinate a variare a seconda di quale sia
stato l'obbligo di volta in volta violato
dall'amministratore.
In tanto, allora, ha senso parlare dell'individuazione del danno, del nesso di
causalità che deve sussistere tra il danno medesimo e la condotta illegittima
ascritta all'amministratore, della liquidazione del quantum debeatur e degli oneri
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di prova che gravano in proposito sulle parti del processo, in quanto si sia prima
ben chiarito quale è il comportamento che si imputa all'amministratore di aver
tenuto e quale violazione, tra i molteplici doveri gravanti sul medesimo
amministratore, quel comportamento ha integrato.
Questa premessa - forse ovvia, ma indispensabile - pone le basi per rispondere
al quesito rivolto alle sezioni unite, che concerne sì una questione di onere della
prova del danno e del nesso di causalità, ma prima ancora richiede sia messo
bene a fuoco il profilo dell'allegazione, che della prova costituisce l'antecedente
logico.
Giova allora partire dal fondamentale insegnamento di Sez. un. n. 13533 del
2001, a mente del quale il creditore che agisce in giudizio, sia per
l'adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno,
deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad
allegare l'inadempimento della controparte, su cui incombe l'onere della
dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'adempimento. Ne viene
confermata, per il profilo che qui interessa, la necessità che l'inadempimento del
convenuto, pur non dovendo esser provato dall'attore, sia nondimeno da costui
allegato.
Questo principio è stato successivamente confermato da Sez. un. n. 15781 del
2005 non solo in presenza di un'obbligazione di risultato ma anche qualora
venga dedotto l'inadempimento di un'obbligazione di mezzi, onde non sembra si
possa seriamente dubitare della sua applicabilità all'azione sociale di
responsabilità di cui qui si sta parlando; a proposito della quale - tenuto conto di
quanto prima osservato in ordine alla varietà dei doveri gravanti
sull'amministratore - si rivela particolarmente calzante quanto (sia pure in
relazione ad altra tipologia contrattuale) affermato da Sez. un. n. 577 del 2008:
cioè che "l'inadempimento rilevante nell'ambito delle azioni di responsabilità da
risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette di comportamento non è
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qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa (o concausa)
efficiente del danno", sicché "l'allegazione del creditore non può attenere ad un
inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento per così dire
qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno".
Naturalmente sull'attore grava l'onere di allegare, e poi di provare, gli altri
elementi indispensabili per aversi responsabilità civile, che sono perciò al tempo
stesso elementi costitutivi della domanda risarcitoria: danno e nesso di
causalità.
È appena il caso di aggiungere che i suaccennati principi sono stati elaborati e
si sono ormai ben consolidati in particolare con riguardo alla figura della
responsabilità contrattuale. La loro applicazione non desta quindi problemi
quando si discuta dell'azione sociale di responsabilità proposta nei confronti
degli amministratori di società, giacché ne è pacifica la natura contrattuale. Per i
profili che qui interessano, tuttavia, le considerazioni che si andranno a fare, e
che da quei principi si dipanano, possono agevolmente applicarsi anche
all'azione di responsabilità spettante ai creditori sociali (la quale, come già s'è
detto, in caso di fallimento della società è di regola esercitata dal curatore
cumulativamente all'altra), sia che si voglia assegnare anche ad essa natura
contrattuale sia che, come per lo più si è propensi a ritenere, la si voglia invece
qualificare come aquiliana. Con riferimento ai temi di cui si sta parlando, infatti,
la differenza tra le due tipologie di responsabilità si coglie soprattutto in ciò: che
solo il creditore di una prestazione contrattualmente dovuta non è tenuto a
provare l'imputabilità dell'inadempimento ai debitore, sul quale grava l'onere
della prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che l'inadempimento è
dipeso da una causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). Ma - come s'è visto -
compete pur sempre al creditore l'onere di allegare l'altrui comportamento non
conforme al contratto o alla legge, oltre che di allegare e provare il danno ed il
nesso di causalità. Ed a maggior ragione tali oneri gravano su chi agisce per far
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valere un'altrui responsabilità extracontrattuale, dovendo egli in aggiunta farsi
carico (non solo di allegare, ma altresì) di provare il comportamento del
convenuto in violazione del dovere del neminem laedere.
Ci si deve allora anzitutto chiedere se e quale tra gli inadempimenti ("qualificati")
in cui può incorrere l'amministratore di società, e che l'attore deve aver allegato
quale ragione della sua domanda risarcitoria, sia astrattamente efficiente a
produrre un danno che si assuma corrispondente all'intero deficit patrimoniale
accumulato dalla società fallita ed accertato nell'ambito della procedura
concorsuale. È evidente che lo potrebbero essere, in ipotesi, soltanto quelle
violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell'impresa così generalizzate
da far pensare che proprio a cagione di esse l'intero patrimonio sia stato eroso e
si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque quei
comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto
sfociato nell'insolvenza (ma, se avessero soltanto aggravato il dissesto,
unicamente tale aggravamento potrebbe essere ricollegato a quelle violazioni).
Qualora, viceversa, una tale ampiezza di effetti dell'inadempimento allegato non
sia neppure teoricamente concepibile, la pretesa d'individuare il danno
risarcibile nella differenza tra passivo ed attivo patrimoniale, accertati in sede
fallimentare, risulta fatalmente priva di ogni base logica: non fosse altro perché
l'attività d'impresa è intrinsecamente connotata dal rischio di possibili perdite, il
cui verificarsi non può quindi mai esser considerato per sè solo un sintomo
significativo della violazione dei doveri gravanti sull'amministratore, neppure
quando a costui venga addebitato di esser venuto meno al suo dovere di
diligenza nella gestione, appunto in quanto non basta la gestione diligente
dell'impresa a garantirne i risultati positivi. Nè potrebbe ragionevolmente
sostenersi che il deficit patrimoniale accertato nella procedura fallimentare - in
quanto tale e nella sua interezza - sia di regola la naturale conseguenza
dell'essersi protratta la gestione dell'impresa in assenza delle condizioni
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economiche e giuridiche che giustificano la continuità aziendale: per l'ovvia
considerazione che anche in questo caso non sarebbe logicamente corretto ne'
imputare all'amministratore quella quota delle perdite patrimoniali che ben
potrebbero già essersi verificate in un momento anteriore al manifestarsi della
situazione di crisi in tutta la sua portata, ne', soprattutto, far gravare su di lui, a
titolo di responsabilità, anche le ulteriori passività che quasi sempre
inevitabilmente un'impresa in crisi comunque accumula pur nella fase di
liquidazione, giacché questa ovviamente non comporta l'immediata ed
automatica cessazione di ogni genere di costo legato all'esistenza stessa della
società in liquidazione e può ben darsi che ulteriori perdite di valore aziendale
vengano generate proprio dalla cessazione dell'attività d'impresa.
Se dunque, per le ragioni appena esposte, non pare predicabile che, in difetto di
specifiche ragioni che lo giustifichino, il deficit patrimoniale fatto registrare dalla
società in fallimento venga automaticamente posto a carico dell'amministratore
come conseguenza della violazione da parte sua del generale obbligo di
diligenza nella gestione dell'impresa sociale, tanto meno una simile conclusione
sarebbe giustificabile quando l'inadempimento addebitato al medesimo
amministratore si riferisca alla violazione di doveri specifici, cui corrispondono
comportamenti potenzialmente idonei a determinare, a carico del patrimonio
sociale, soltanto effetti altrettanto specifici e ben delimitati.”.
Va annotato che tali conclusioni sono state assunte con riferimento all’ipotesi di
totale o grave insufficienza delle scritture contabili, tuttavia affermando, anche in
tal caso, che “l'eventuale impossibilità di stabilire ciò di cui gli organi della
società fallita potrebbero essersi resi responsabili non giustificherebbe
comunque la proposizione alla cieca di un'azione di responsabilità, e tanto meno
il conseguente addebito agli amministratori di un deficit patrimoniale che nulla in
tal caso consentirebbe di porre in rapporto di causa ad effetto con
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comportamenti dell'amministratore impossibili persino da individuare. Postulare
che l'amministratore debba rispondere dello sbilancio patrimoniale della società
sol perché non ha correttamente adempiuto l'obbligo di conservazione delle
scritture contabili ed ha reso perciò più arduo il compito ricostruttivo del curatore
fallimentare equivale, in tale situazione, ad attribuire al risarcimento del danno
così identificato una funzione palesemente sanzionatoria” che l’ordinamento non
ammette, restando naturalmente fermo che “se la mancanza delle scritture
contabili rende difficile per il curatore una quantificazione ed una prova precisa
del danno che sia di volta in volta riconducibile ad un ben determinato
inadempimento imputabile all'amministratore della società fallita, lo stesso
curatore potrà invocare a proprio vantaggio la disposizione dell'art. 1226 c.c., e
perciò chiedere al giudice di provvedere alla liquidazione del danno in via
equitativa. Nè può escludersi che, proprio avvalendosi di tale facoltà di
liquidazione equitativa, il giudice tenga conto in tutto o in parte dello sbilancio
patrimoniale della società, quale registrato nell'ambito della procedura
concorsuale. Ma, come condivisibilmente già osservato da Cass. 2538/05 e
3032/05, citt., per evitare che ciò si traduca nell'applicazione di un criterio affatto
arbitrario, sarà pur sempre necessario indicare le ragioni che non hanno
permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente
riconducigli alla condotta del convenuto, nonché la plausibilità logica del ricorso
a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto”.
Dato quanto in premessa, che si condivide integralmente, il richiamo rigoroso
alle allegazioni ed alla prova degli specifici effetti pregiudizievoli conseguiti alle
condotte addebitate all’amministratore va osservato a maggior ragione in una
ipotesi quale quella della fattispecie in oggetto, in cui, proprio sulla base delle
scritture contabili e degli accertamenti ulteriori della curatela è stato possibile
determinare esattamente tutti gli eventi rilevanti in termini di condotte ed era
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senz’altro possibile e doveroso allegare e collegare ad esse le concrete
conseguenze dannose alle stesse imputabili.
Appare così palese che né l’omesso controllo sulla gestione societaria affidata
a terzi, né la falsificazione della contabilità e dei conseguenti bilanci, ma
neppure la continuazione dell’attività d’impresa in presenza di una causa di
scioglimento possono essere in sé ipotesi di automatico danno per la società
né, in assenza di concrete allegazioni, sono tali da poter automaticamente
trasferirne la quantificazione nella differenza fra attivo e passivo fallimentare
ovvero, secondo l’ulteriore criterio proposto dal CTU (ovviamente dovendosi
escludere quello del mero incremento dell’indebitamento), nella variazione dei
patrimoni netti, che egualmente dovrebbe tener conto – ma ancora una volta
sulla scorta di un preciso supporto allegativo – degli elementi di armonizzazione
precisati nella richiamata pronuncia della Suprema Corte.
In altri termini – pur incontestata dal Polizio l’allegazione della curatela
fallimentare in forza della quale, all’esito della riclassificazione dei bilanci, il
capitale sociale era già completamente eroso al 31.12.2005 e confermata detta
circostanza dall’espletata CTU, con ciò integrandosi la causa di scioglimento di
cui all’art. 2484, 1° comma, n. 4 in relazione all’ipotesi di cui all’art. 2482 ter, con
ogni conseguente effetto in ordine agli obblighi previsti a carico
dell’amministratore da detta disposizione (convocazione senza indugio
dell’assemblea per i provvedimenti alternativi alla liquidazione) e dall’art. 2486
c.c. (in punto alla limitazione dei poteri di gestione ai soli fini della conservazione
dell’integrità e del valore del patrimonio sociale) – la curatela aveva l’onere di
allegare e provare non solo in quale momento l’organo amministrativo avrebbe
potuto/dovuto evincere detta conclusione, ma anche quale fosse a quel
momento la complessiva situazione dell’impresa e quali gli effetti della
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tempestiva messa in liquidazione della società, onde valutare quali fra gli atti
gestori ulteriori, fossero estranei alla preservazione dei valori sociali (tenendo
conto, come emerge dalla casistica giurisprudenziale, che l’immediata
cessazione totale delle attività ed anche il licenziamento in blocco dei lavoratori
potrebbe avere effetti più deleteri della continuazione dell’attività sociale
nell’eventuale prospettiva possibile di cessione dell’azienda).
Ciò comporta, ma solo come esempio parziale, che, in assenza di allegazione,
gli obblighi sopra indicati a carico dell’amministratore in caso di completa
erosione del capitale sociale, non possono farsi risalire automaticamente al
31.12.2005, ma semmai alla data di approvazione del relativo bilancio in data
30.4.2006, sicchè a quella data – senza considerare la tempistica intrinseca
nella procedura di liquidazione – significativa parte della perdita registrata nel
2006 si era comunque già consolidata, di talchè non dovrebbe essere tenuta in
conto nell’ambito del pur proposto criterio della differenza fra patrimoni netti.
Ed ancora, sotto diverso profilo, l’omessa contabilizzazione di interessi e
sanzioni INPS, pur incidente sulla veridicità dei bilanci, non rappresenta di per
sé un danno, tale essendo semmai il loro collegamento ed in uno con il relativo
esborso capitale per la totale inconferenza della prosecuzione dei contratti di
lavoro dipendente in una situazione di scioglimento della società. Ma di ciò non
vi è in atti neppure allegazione.
Ed egualmente è a dirsi quanto all’esposizione a bilancio di crediti inesistenti,
che nuovamente incide sulla veridicità dei medesimi, integra altresì una aperta
violazione dei doveri amministrativi, ma non è di per sé causa automatica di
danno alla società o ai creditori.
Analogamente è a dirsi per la artificiosa/falsa indicazione delle rimanenze.
Ciò posto, vi sono, tuttavia, allegazioni e prova di specifici comportamenti di cui
è certa sia l’antidoverosità sia la conseguente componente di danno in rapporto
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di diretta causalità, anche indipendentemente dalla situazione sopra
considerata.
Vengono, in primo luogo in considerazione le voci di danno, che il Fallimento
ha allegato e il CTU stesso (p. 39) ha considerato quale conseguenza
dell’inosservanza dei principi di corretta amministrazione ex artt. 1176, 2°
comma, e 2476 c.c., in collegamento con operazioni specifiche:
1) Compensi e rimborsi spese corrisposti a Polizio Alberto in assenza di
delibera assembleare e agli amministratori di fatto in assenza di contratto. Per
vero la questione dei compensi e dei rimborsi spesa era stata allegata dalla
Curatela in atto di citazione con riferimento al loro importo eccessivo rispetto
alla situazione della società, che ben avrebbero dovuto essere presenti al
Polizio, ma dagli atti prodotti già emergeva, altresì, che per tutti le delibere
assembleari e/o i documenti contrattuali sorreggevano unicamente le erogazioni
per gli anni 2005 e 2006. In particolare: quanto al Carbonchi ed alla Caroli,
mentre per dette annualità i compensi erano previsti dai formali contratti di
lavoro a progetto siglati inter partes, nessun ulteriore contratto risulta sottoscritto
per gli anni 2007 e 2008, tanto è vero che, proprio in ragione di tale assenza, il
Polizio intimava, infine, agli stessi l’allontanamento dal luogo di lavoro (doc. 11 –
sub allegati alla relazione ex art. 33 L.F. del Curatore); analogamente per il
Polizio, in quanto nessuna delibera sorregge i compensi in suo favore per i
precisati anni 2007 e 2008. Trattasi, dunque, di importi indebitamente
erogati/percepiti, di cui è certo l’obbligo restitutorio per € 363.127,84 (come da
prospetti non contestati p. 33 citazione e p. 35 CTU), essendo poi ovvio che il
Polizio deve farsi carico anche degli obblighi restitutori degli amministratori di
fatto, per avere consentito – in violazione dei suoi doveri, quale amministratore
di diritto – dette indebite elargizioni in loro favore.
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2) Restituzione del prestito in precedenza concesso dalla società controllante
P.A.F. & Partners S.r.l.: come già anticipato, Paf & Partners S.r.l. (di cui il Polizio
era socio ed A.U.) è stata socia di controllo (inizialmente nella misura del 51% e,
quindi, del 75%) della società fallita fino al 28.12.2007. Nel corso del 2007, in
detta qualità, erogava a PAF INTERPACK S.R.L. finanziamenti, che in data
16.7.2008 – alla vigilia dell’assemblea 31.7.2008 alla quale il Polizio presentava
una relazione sullo stato della società, la cui criticità vedeva, come alternativa
possibile, unicamente l’apertura di una procedura concorsuale concordataria ed
a pochi mesi dalla dichiarazione di fallimento – quest’ultima provvedeva a
restituire per 100 mila euro. Tali le incontestate allegazioni di parte attrice, non
può esservi dubbio sulla sussistenza dei presupposti normativi per
l’applicazione dell’art. 2467 c.c., la cui violazione si converte necessariamente in
responsabilità del legale rappresentante della società. Ed, invero, che si tratti di
finanziamenti rilevanti ai sensi del 2° comma della citata disposizione (ovvero
“concessi in un momento in cui…risulta un eccessivo squilibrio
dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione
finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”)
è dimostrato chiaramente dagli esiti della riclassificazione dei bilanci (su cui V.
lo specchietto riassuntivo a p. 27 CTU) che, oltre alla totale erosione del capitale
sociale già al 31.12.2005, registravano al 31.12.2006 una ulteriore perdita di
oltre 600 mila euro. Il rimborso dei finanziamenti effettuati nel 2007 doveva,
dunque, essere “postergato” – ai sensi del 1° comma dell’art. 2467 c.c. –
“rispetto alla soddisfazione degli altri creditori”, cui invece è stata sottratta la
somma di che trattasi con determinazione del conseguente danno per €
100.000,00.
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Oltre alle voci in premessa, peraltro, possono essere rinvenute le seguenti
ulteriori voci di danno specifico, anch’essi conseguenti a comportamenti
debitamente allegati:
3) fraudolento utilizzo di castelletto bancario per anticipazione al s.b.f. per
fatture emesse nel 2008 per operazioni inesistenti e nemmeno registrate nei
registri contabili, sulla base delle quali la società ha ottenuto indebiti
finanziamenti, che si traducono immediatamente in un palesemente illegittimo
aumento dell’indebitamento bancario per analogo importo pari ad incontestati €
308.880,00 (come da specchietto riassuntivo a p. 34 CTU).
4) costi per ricerca e sviluppo effettuati nel 2007 in relazione alla costruzione di
due prototipi di macchine (che, peraltro, non avrebbero apportato alcun ricavo):
l’addebito, pur effettuato da parte attrice in ragione dell’indebita capitalizzazione
di tali costi nel bilancio 2007 (con esposizione di un cespite attivo di fatto
inesistente), con miglioramento solo fittizio del relativo risultato d’esercizio, ben
può essere riqualificato quale danno specifico, in ragione della condotta
meramente conservativa del patrimonio sociale che l’organo amministrativo
avrebbe dovuto assumere fin dalla chiusura dell’esercizio 2005 e, comunque,
dall’approvazione del relativo bilancio (V. supra): ed, invero, appare pacifica
l’incompatibilità di detti rilevantissimi esborsi – per loro natura del tutto scollegati
dall’attività già in essere ed, al contrario, finalizzati ad una espansione futura
dell’impresa – con la precisata finalità conservativa. In parte qua il danno è pari
ad € 406.827,00 (V. CTU p. 32).
Conclusivamente il Polizio va comunque complessivamente condannato, per le
responsabilità specifiche di cui in premessa, al risarcimento del danno per €
1.178.834,84, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma
annualmente rivalutata (Cass. 1712/1995) dalla data della dichiarazione di
fallimento (24.10.2008) al saldo.
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SULLE DOMANDE DI INEFFICACIA EX ART. 2645 BIS, 3° COMMA, C.C. E/O
SULL’AZIONE REVOCATORIA EX ART. 2901 C.C.
Per entrambe le domande ambedue i convenuti hanno pregiudizialmente
eccepito sia la carenza di legittimazione attiva del Fallimento sia l’assenza di
interesse ad agire in relazione ai gravami anteriori e comunque opponibili
insistenti sugli immobili.
Tali eccezioni vanno necessariamente disattese alla luce della sopra accertata
responsabilità del Polizio e del correlativo credito disposto in favore del
Fallimento, che integrano entrambi i presupposti di che trattasi essendo
indiscutibile anche l’interesse ad agire per entrambe le azioni proposte,
ovviamente finalizzate alla realizzazione, anche in via esecutiva, del credito
accertato.
In particolare sussiste:
(i) la legittimazione attiva di parte attrice alla dichiarazione accertativa di
inefficacia, se non – come richiesto – del contratto preliminare, “degli effetti della
trascrizione” del primo contratto preliminare inter partes 16.7. 2008, atteso
l’accertamento del credito e la conseguente condanna provvisoriamente
esecutiva al pagamento dello stesso nonchè l’ovvio interesse ad agire, anche ai
successivi fini esecutivi e trattandosi di trascrizione pregiudizievole, in
accertamento dichiarativo della precisata inefficacia trascrittiva in relazione ai
fini c.d. “prenotativi” (V. infra) che dalla stessa discendono. Né, d’altra parte, il
Fallimento può, in parte qua, avvalersi giuridicamente e direttamente del
riconoscimento operato dalle stesse parti contraenti in ordine all’inefficacia di
detta trascrizione nell’ambito del secondo contratto preliminare 28.12.2009:
circostanza dalla quale discenderebbe, peraltro, ed in primo luogo, proprio
l’assenza di interesse all’eccezione; (ii) la legittimazione ad agire all’azione
revocatoria poiché è evidente che il Curatore, esercitando l’azione ex art. 146
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L.F., è succeduto ex lege in quelle già spettanti alla società ed ai creditori sociali
ed essendo poi consolidato, a decorrere dalla pronuncia a Sezioni Unite della
Corte di Cassazione n. 9440/2004 il principio in forza del quale anche “il credito
litigioso…è idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore abilitato
all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto dispositivo
compiuto dal debitore, sicché il relativo giudizio non è [neppure] soggetto a
sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. in rapporto alla pendenza della
controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione è stata proposta
domanda revocatoria, poiché l'accertamento del credito non costituisce
l'indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda
revocatoria, né può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a
tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la
sentenza negativa sull'esistenza del credito.” (così, solo da ultimo, Cass.
2673/2016); (iii) l’interesse ad agire in revocatoria nonostante la presenza di
precedenti pregiudizievoli opponibili, poiché – allegata l’incapienza dei beni – è
altresì onere dell’eccipiente fornirne precisa dimostrazione, che, peraltro, può
essere data unicamente e concretamente solo all’esito delle relative procedure
di vendita.
Quanto da ultimo osservato in punto ad azione revocatoria potrebbe, peraltro,
risultare irrilevante alla luce della modifica della domanda effettuata da parte
attrice con la seconda memoria ex art. 183, 6° comma, c.p.c. nell’ambito della
quale ha chiesto in principalità declaratoria di inefficacia ex art. 2645 bis, 3°
comma, c.p.c. anche con riferimento al secondo contratto preliminare
28.12.2009.
Di tale domanda, prima di passare al merito rilevante, va, dunque, previamente
esaminata l’ammissibilità, che, tuttavia, il Collegio ritiene di dover negare sulla
considerazione che l’ovvia novità e tardività della stessa non rientra certamente
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fra le ipotesi di rimessione in termini riassumibili nella disposizione generale di
cui all’art. 153 c.p.c., che certamente non si estende a considerare la
proponibilità di domande “nuove” nel processo.
Tutto ciò posto, innanzitutto sussistono senz’altro gli estremi ex art. 2645 bis,
3° comma, c.c. della declaratoria accertativa dell’inefficacia ivi prevista della
trascrizione del preliminare di vendita 16.7.2008, pacifica anche fra gli stipulanti
(come dai medesimi dichiarata in sede di secondo preliminare – V. supra) e
documentale essendo che, in relazione ad esso, entro l’anno successivo alla
data stabilita fra le parti per la stipulazione del contratto definitivo (31.12.2008)
non è stata eseguita la trascrizione di detto contratto (incontestabilmente mai
stipulato) né di altro atto costituente esecuzione dello stesso né della domanda
giudiziale di cui all’art. 2652, primo comma, n. 2 c.c. ovvero della domanda ex
art. 2932 c.c., diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a
contrarre.
Dovendosi, poi, affrontare la domanda revocatoria ex art. 2901 c.c. del
secondo preliminare stipulato fra le parti il successivo 28.12.2009, anche in tal
caso deve affermarsi la sussistenza di tutti i presupposti dell’azione.
In particolare non vi è dubbio che nel caso sussista, come già esposto, la
legittimazione attiva del Fallimento e che il credito fosse potenzialmente già in
capo alla società in bonis per i singoli atti di mala gestio ascritti al Polizio, ben
antecedenti al/ai contratto/i di cui si discute.
E’, altresì, indiscutibile l’effetto pregiudizievole (in ragione degli effetti
prenotativi correlati alla trascrizione del contratto preliminare) che detto contratto
ha arrecato alle precisate ragioni creditorie della società (eventus damni),
avendo con lo stesso il Polizio vincolato, in favore di Gost S.r.l., tutti i propri beni
immobili, con ovvia diminuzione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.,
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né, peraltro, avendo il Polizio neppure esposto di essere titolare di ulteriori beni
idonei al soddisfacimento delle ragioni creditorie facenti capo alla società.
Non può poi dubitarsi della conoscenza di tale pregiudizio in capo al Polizio,
laddove è lo stesso che espone come uno degli elementi di dissidio con gli
amministratori di fatto fosse, per l’appunto, l’ostracismo dei medesimi alla sua
fuoriuscita dalla società, anche sulla base del rilievo che tutte le condotte di
mala gestio dal medesimo “scoperte” sarebbero state a suo carico (V. supra),
quale legale rappresentante di diritto.
In realtà l’unico elemento di astratta criticità è rappresentato dall’analoga
rappresentazione del precisato pregiudizio in capo alla promittente l’acquisto
GOST S.r.l. (consilium fraudis), la cui presuntiva prova è, tuttavia, insita nella
unitaria considerazione dei seguenti elementi di giudizio:
1) la tesi della totale reciproca estraneità delle parti stipulanti ed odierne
convenute è smentita dal rilievo per cui GOST S.r.l. è stata costituita in data
18.6.2008, poco meno di un mese prima della stipulazione del primo
contratto preliminare, con liberazione del relativo capitale sociale di €
30.000,00 mediante conferimento, da parte del socio unico, di un immobile,
in relazione al quale la relazione di stima è effettuata dal commercialista
(dott. Gianfranco Gadda di Ferrara) di fiducia del Polizio e presso il cui
studio la società fallita aveva posto la propria originaria sede ed hanno sede
le società (Paf & Partners S.r.l., socia di controllo di PAF INTERPACK
S.R.L., e AP Finance S.r.l.) facenti capo al Polizio stesso;
2) il primo atto posto in essere dalla società, con apparente esborso di una
somma (€ 20 mila) a titolo di caparra confirmatoria pari ai due terzi del
capitale sociale, è riferibile al solo oggetto secondario (genericamente
immobiliare) dell’attività sociale, quello prevalente essendo invece
individuato nell’acquisizione, detenzione e gestione “dei diritti…sul capitale
di altre imprese e la concessione di finanziamenti” in loro favore (ovverossia
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proprio l’attività svolta in fatto nel caso di specie da Paf & Partners S.r.l.
facente capo al Polizio);
3) i dubbi espressi dalla Curatela in atto di citazione in punto all’effettivo
pagamento della caparra confirmatoria da parte di GOST non sono stati
sciolti da alcuno dei convenuti in revocatoria: il Polizio non ne ha fatto alcun
cenno, mentre Gost si è limitata a richiamare le dichiarazioni – irrilevanti nei
confronti dei terzi – rese sul punto nella scrittura privata inter partes;
nessuno ha prodotto copia dell’assegno circolare ivi specificatamente
indicato a detto fine;
4) anche Gost, del resto, non ha contestato quanto allegato in citazione dal
Fallimento in punto alla successiva propria sostanziale “inattività”, quale
emergente dai bilanci 2008 e 2009, peraltro approvati e depositati
unicamente nel 2011 e dai quali (doc. 23 attore) nulla è dato evincere,
neppure in nota integrativa, né sull’effettivo esborso di cui in premessa né
sulla sua valorizzazione futura, né tantomeno sulle modalità di pagamento
della futura acquisizione, attesa l’assoluta incapienza del patrimonio sociale
rispetto al valore economico del contratto di complessivi 450 mila euro;
5) certamente indicativa è poi la circostanza per cui, nelle more fra il primo e il
secondo preliminare, sugli immobili veniva iscritta ipoteca da parte di
Equitalia e che, con la stipulazione del secondo, Gost abbia in sostanza
rinunciato agli effetti prenotativi della trascrizione del primo;
6) ed ancora: è impossibile non attribuire valenza indiziaria anche al
comportamento quanto meno extraprocessuale di Gost (che nel processo si
è sì costituita, rimanendo poi estranea ai suoi sviluppi), la quale non risulta
abbia – né prima nè dopo l’introduzione della presente causa – mai
sollecitato il Polizio alla stipulazione del contratto definitivo di vendita,
perdendo, infine, gli effetti prenotativi anche della trascrizione del secondo
preliminare, senza richiedere al promittente venditore neppure la
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restituzione della caparra confirmatoria asseritamente corrisposta.
A fronte di quanto in premessa e considerate unitariamente tutte le circostanze
sopra evidenziate, costituenti indizi gravi, precisi e concordanti ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 2729 c.c., può, dunque, giungersi alla conclusione che Gost
S.r.l. e, per essa, il suo legale rappresentante, si sia consapevolmente
prestato, attraverso gli atti negoziali di che trattasi, all’attuazione del disegno
distrattivo dei beni immobili del Polizio alla garanzia patrimoniale dei creditori
dello stesso ed, in particolare, della società Paf Interpack S.r.l.
Le spese di lite si liquidano come in dispositivo secondo il principio di
soccombenza e, quanto a Gost, in proporzione al valore della domanda
revocatoria e, quindi, nella misura di 1/4 di quanto complessivamente liquidato.
Le spese di CTU vanno definitivamente poste a carico del solo Polizio Alberto.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e
deduzione disattesa, così provvede:
- Dichiara tenuto e condanna POLIZIO ALBERTO, al pagamento, in favore del
FALLIMENTO PAF INTERPACK S.R.L., per il titolo risarcitorio per cui è causa,
della somma di € 1.178.834,84 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali
sulla somma annualmente rivalutata dal 24.10.2008 al saldo;
- Dichiara l’inefficacia, ex art. 2645 bis, 3° comma, c.c., della trascrizione –
eseguita presso l’Agenzia del Territorio di Ferrara in data 24.7.2008 al n. 16870
Reg. Generale e al n. 10256 Reg. Particolare – del contratto preliminare
stipulato da POLIZIO ALBERTO e GOST S.R.L. con scrittura privata autenticata
nelle sottoscrizioni da Notaio Accarino in Ferrara in data 16.7.2008, rep. 3774 –
racc. 1439;
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- Dichiara l’inefficacia, ex art. 2901 c.c., nei confronti di parte attrice, del
contratto preliminare stipulato POLIZIO ALBERTO e GOST S.R.L. con scrittura
privata autenticata nelle sottoscrizioni da Notaio Bignozzi in Comacchio in data
28.12.2009, rep. 13910 – racc. 8279, trascritta presso l’Agenzia del Territorio di
Ferrara in data 30.12.2009 al n. 24645 Reg. Generale e al n. 14644 Reg.
Particolare.
Condanna POLIZIO ALBERTO e GOST S.R.L. in solido – quest’ultima
limitatamente a ¼ di quanto infra liquidato – alla rifusione, in favore del
FALLIMENTO PAF INTERPACK S.R.L., delle spese di lite, che liquida
complessivamente in € 920,10 per spese ed € 20.000,00 per compensi
professionali, oltre 15% spese generali, IVA e CPA come per legge.
Condanna POLIZIO ANTONIO alla rifusione, in favore del FALLIMENTO PAF
INTERPACK S.R.L., delle ulteriori spese di CTU pari a € 9.726,08
Così deciso nella Camera di Consiglio del Tribunale di Bologna il 24.6.2016
Bologna, 28 giugno 2016
Il Presidente est.
dott. Anna Maria Drudi
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