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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 14-20 giugno 2015
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www.bloglobal.net
N°17, 14-20 GIUGNO 2015
ISSN: 2284-1024
I
Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 21 giugno 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Paolo Balmas Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°17/2015 (14-20 giugno 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net
Photo credits: Grigory Dukor/Reuters; Reuters/Stringer; Reuters/T. Sin; Reuters; Getty Images; PA/ISPR; Associated Press; Ria Novosti/Alexander Vilf.
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FOCUS
ARABIA SAUDITA/RUSSIA ↴
Il Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF), il principale
appuntamento economico che si tiene annualmente dal 1997 nell’antica capitale degli
Zar, ha visto tra il 18 e il 20 giugno scorsi la partecipazione di rappresentanti di 114
Paesi, 192 dei quali dirigenti di compagnie estere, con lo scopo di delineare nuove
strategie di collaborazione nel quadro delle attuali tensioni geopolitiche globali.
A margine dell’evento il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha tenuto
una serie di incontri bilaterali, tra cui quello con il Ministro della Difesa saudita, non-
ché figlio di Salman ed erede al trono, il Principe Mohamemd bin Salman. Si tratta
della prima visita di una delegazione governativa saudita dal 2011, da quando
le relazioni tra Russia e Arabia Saudita sono divenute estremamente tese a causa
delle opposte posizioni nel conflitto siriano, in cui Mosca e Riyadh hanno rispettiva-
mente sostenuto e contrastato il regime di Bashar al-Assad. È inoltre la prima occa-
sione ufficiale in cui un alto funzionario del Regno si è recato in Russia dall’ascesa al
trono di Re Salman bin Abdelaziz al-Saud.
Il quotidiano russo Kommersant ha sottolineato il prevalente carattere politico della
visita saudita, mirante soprattutto a migliorare i difficili rapporti bilaterali, e ha
sostenuto che la missione di Mohammed bin Salman potrebbe costituire uno dei mo-
menti centrali dello SPIEF in virtù degli stretti legami tra Riyadh e Washington. Il
giornale ha anche ipotizzato che il viaggio del Ministro della Difesa potrebbe essere
il preludio a una visita in Russia di Re Salman, invitato personalmente da Putin
in una conversazione telefonica il 20 aprile scorso. Secondo quanto riportato dal ser-
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vizio stampa del Cremlino, in quell’occasione i due leader avrebbero espresso la pro-
pria volontà di «migliorare il coordinamento tra Russia e Arabia Saudita nell’agenda
regionale e internazionale».
Nell’ambito dello SPIEF si è tenuto un business forum russo-saudita per trattare
principalmente i temi della cooperazione nel settore della difesa, della costruzione di
infrastrutture, dell’energia e del turismo.
L’Arabia Saudita è il primo produttore di petrolio tra i Paesi dell’OPEC (Organization
of the Petroleum Exporting Countries) e il primo esportatore mondiale, mentre la
Russia è il secondo fornitore di greggio sul mercato globale. Data la centralità di
questa tematica, in occasione del Forum i due Ministri del Petrolio, il saudita Ali al-
Naimi e il russo Alexander Novak, hanno programmato la discussione per un ac-
cordo di cooperazione petrolifera. L’incontro è stato confermato da un portavoce
del Dicastero russo dell’Energia, che tuttavia non è entrato nel merito dei temi dell’ac-
cordo, il quale probabilmente non prevedrà una produzione o una strategia di espor-
tazione congiunte.
Alcuni analisti hanno notato che, nonostante le persistenti divergenze politiche e geo-
politiche, i due Paesi sembrerebbero verosimilmente muoversi verso una piena ri-
presa della cooperazione economico-commerciale. Una delegazione di militari sauditi
ha visitato il forum Army-2015 dedicato al settore della Difesa; l’agenzia di stampa
Itar-Tass ha riferito che si è discusso inoltre della possibilità da parte saudita di
acquistare missili russi Iskander-E, fornendo così un nuovo motivo di tensione
con l’ex alleato storico statunitense.
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CINA ↴
Il 18 giugno il Parlamento di Hong Kong ha discusso e respinto un controverso
pacchetto di riforme politiche proposte dal governo di Pechino, il quale pre-
vede la possibilità per i residenti della regione autonoma di votare per la prima volta
a favore di un loro leader, dopo che quest’ultimo sarà stato approvato dalle autorità
centrali. 28 dei 70 deputati di Hong Kong hanno rifiutato la proposta, mentre un
gruppo filo-governativo ha rinunciato al diritto di voto uscendo dalla Camera.
I risultati possono essere considerati come una recessione della politica cinese
che ha cercato di riavvicinare quanto più possibile Hong Kong sin dalla sua “indipen-
denza” dal dominio britannico nel 1997. I sostenitori della democrazia si sono rifiutati
di accettare la proposta, ritenendo che l’elezione di candidati approvati e controllati
da Pechino renderebbe il suffragio universale ancor più fittizio. Il parlamentare filo-
democratico Albert Chan ha definito l’evento come una vittoria, aggiungendo in un’in-
tervista alla CNN la volontà di Hong Kong di continuare a battersi per una vera
democrazia respingendo qualsiasi tentativo di imposizione di un sistema democra-
tico di facciata.
Sia Hong Kong sia Pechino hanno affermato che non ci saranno più proposte di
riforma, ribadendo la possibilità di eventuali conseguenze per gli oppositori. Carrie
Lam, Segretario Generale del governo della città, ha accusato i deputati pro-demo-
cratici di tenere sotto scacco la città e di essere i responsabili principali del fallimento
della democrazia.
Sin da lunedì 15 giugno si è percepita una forte tensione, culminata con l’arresto di
nove persone accusate di aver pianificato un attacco terroristico. La polizia,
nel consigliare alla popolazione di stare il più lontano possibile dai “manifestanti vio-
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lenti”, ha affermato che uno dei detenuti appartiene ad un “gruppo radicale”. Succes-
sive indagini hanno portato alla scoperta di materiali esplosivi e mappe delle aree
circostanti Wan Chai e Admiralty, al centro delle proteste dello scorso anno. I funzio-
nari dei gruppi locali hanno preso le distanze dagli arrestati condannando le violenze.
Le forze di polizia sono state schierate dinnanzi al palazzo del Consiglio no-
nostante gli sia vietato per legge entrare nella sede dell’organo legislativo. Jasper
Tsang, Presidente del Consiglio, ha ritenuto opportuno effettuare questa manovra di
sicurezza onde evitare un assalto da parte dei gruppi radicali. Dal canto loro, le au-
torità locali hanno costantemente svolto una propaganda negativa nei confronti dei
gruppi filo-democratici, descrivendoli come soggetti violenti che, aiutati dalle potenze
straniere, hanno l’obbiettivo di far cadere Hong Kong nel caos.
Non è ancora chiaro se la Cina accetterà un altro mandato dell’attuale Capo
di governo C. Y. Leung, il quale negli anni ha creato divisioni politiche ad Hong
Kong e del quale sono state richieste le dimissioni. Alcuni attivisti democratici sosten-
gono che Pechino proverà in qualche modo a cambiare le cose entro il 2017 e non
appoggerà più Leung, accusato da molti per la mala gestione delle manifestazioni del
2014 che diedero vita al Movimento degli Ombrelli, causando forte tensione nella
popolazione di Hong Kong.
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ITALIA/FRANCIA ↴
Non conoscono sosta le polemiche sorte tra Italia e Francia per i fatti di Venti-
miglia e per la tensione che si registra ormai da giorni al confine tra i due Paesi (una
situazione analoga si sta verificando anche ai valichi con Austria e Svizzera) in merito
alla reintroduzione unilaterale dei controlli alle frontiere da parte di Parigi.
L’occasione dalla quale è nato il fraintendimento sulla questione della chiusura
delle frontiere è partita dalla Germania che, in occasione del G7 tenutosi il 7 e l’8
giugno in Baviera, ha sospeso gli accordi di Schengen nel periodo compreso tra il 26
maggio e il 15 giugno in maniera del tutto legittima, in quanto il trattato comunitario
contiene una clausola di salvaguardia che prevede la sospensione dello stesso per un
limitato periodo di tempo e per specifici motivi. Proprio i grandi Vertici internazionali
sono uno dei casi più frequenti di sospensione temporanea e legittima, se effettuata
a certe condizioni, della libera circolazione (l’Italia si è avvalsa di questa facoltà in
occasione del G8 di Genova nel 2001 e di quello dell’Aquila nel 2009; la Francia invece
aveva sospeso Schengen nel 2005 in seguito agli attentanti di Londra). La sospen-
sione richiede, infatti, anche l’espletamento di una specifica procedura volta ad infor-
mare le Istituzioni europee dei motivi e dei tempi in cui si agirà in deroga al trattato.
A differenza però della decisione presa da Berlino, la posizione assunta da Parigi
tesa a rafforzare i controlli alle frontiere non sembra rientrare nella generale
possibilità di deroga prevista dal trattato; né tantomeno la Francia ha provve-
duto a comunicare preventivamente la propria decisione all’UE, la quale non a caso,
così come emerge dalle parole del portavoce della Commissione, Natasha Bertaud,
sta procedendo ad una verifica della situazione.
Se l’Italia accusa il vicino d’Oltralpe di violare gli accordi di Schengen ripristinando i
controlli alla frontiere, la Francia lamenta a sua volta un mancato rispetto delle
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regole di Dublino da parte di Roma, chiedendo inoltre una maggiore responsabi-
lità da parte dei Paesi di primo sbarco nell’identificazione della tipologia dei migranti.
Il governo francese reclama misure più incisive nell’identificazione e nel conseguente
rimpatrio dei migranti per motivi economici per i quali la comunità internazionale non
ha alcuno specifico obbligo, se non quello generale di non respingimento salvo previa
valutazione dei titoli atti eventualmente al godimento dello status di rifugiato. L’idea
a cui la Francia sembra fare riferimento è la creazione, in Italia e in Grecia, di
hotspot gestiti dall’UE a cui sia affidato a monte il compito di distinguere i migranti
economici dai richiedenti asilo. Mentre i primi verrebbero immediatamente espulsi
verso i loro Paesi d’origine, i secondi rientrerebbero invece nel meccanismo di redi-
stribuzione tra i Paesi europei. La questione dei rimpatri, sulla quale anche Bruxelles
sembra voler accelerare, solleva a sua volta almeno due ulteriori preoccupazioni: la
necessità di negoziare prima e mettere in atto poi gli accordi di riammissione con i
Paesi d’origine dei migranti e i costi, certamente non irrilevanti, di questi rimpatri.
In questo delicato contesto di rapporti bilaterali ha avuto luogo il 15 e il 16 giugno la
prevista riunione del Consiglio Giustizia e Affari Interni relativa anche alle que-
stioni migratorie e al pacchetto attuativo dell’agenda europea sulla migrazione. Non
sembra che vi siano state decisioni rilevanti in merito alla questione della
ricollocazione dei richiedenti asilo. La Francia si oppone duramente al piano di
ricollocazione dei 40.000 richiedenti asilo e al sistema della quote così come dise-
gnato durante la riunione della Commissione europea del 27 maggio. L’attenzione è
ora al prossimo Consiglio europeo del 25 e 26 giugno il quale avrà un ruolo cruciale
nel definire i prossimi movimenti in materia di immigrazione soprattutto considerando
l’ormai evidente stallo del Piano Junker.
Mentre immobilità e disaccordo caratterizzano il livello decisionale politico, sul piano
militare la situazione sembra invece giunta ad un punto di svolta: fonti ufficiali
riferiscono che si sia ormai giunti ad un’approvazione unanime del piano operativo
della missione militare EUNavfor Med contro i trafficanti di esseri umani. Il via ufficiale
della missione, nella sua prima fase la quale non necessita di una risoluzione del CdS,
sarà dato, secondo le stesse fonti, lunedì 22 giugno dal Consiglio esteri.
Tra minacce di muri fisici e evidenti difese dei singoli interessi nazionali, ricorrenze,
polemiche e rigurgiti populisti continuano a dominare il dibattito sull’immigrazione.
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BREVI
CIAD, 15-19 GIUGNO ↴
Il 15 giugno, N’Djamena, la capitale del Ciad, è stata
teatro di una serie di attentati suicidi. Diverse
esplosioni hanno colpito il settore della Direzione della
Sicurezza Pubblica e del Commissariato centrale,
nonché la Scuola di polizia, causando la morte di 27
persone e un centinaio di feriti. Nonostante gli attentati
non siano stati rivendicati, le accuse del governo e dei rappresentanti della sicurezza
sono andati tutti in direzione di Boko Haram, l’organizzazione terroristica di matrice
islamica con base in Nigeria. La possibilità di un attentato di Boko Haram in Ciad è
presente da tempo nel dibattito pubblico ciadiano, in considerazione dell’impegno
militare che da alcuni mesi il Presidente Idriss Deby Itno ha assicurato alla Nigeria
per combattere la minaccia islamica nel nord-est del Paese. A gennaio, infatti, il capo
di Boko Haram, Abubakar Shekau, aveva rilasciato un video online in cui amoniva i
Presidenti di Camerun, Niger e Ciad, i quali avevano osato sfidarlo fornendo il loro
apporto, in termini di truppe e armamenti, alla Nigeria. N’Djamena, inoltre, accoglie
il quartier generale della forza multinazionale mista, circa 8.700 uomini, incaricata
dall’Unione Africana e dalle organizzazioni regionali di combattere contro Boko
Haram, diventata da minaccia locale a problema regionale. Due giorni dopo gli
attentati kamikaze, le indagini delle autorità ciadiane hanno permesso di arrestare
alcuni sospetti, mentre sono state implementate le misure si sicurezza, tra cui anche
il divieto di portare il burqa e i turbanti. Ma oltre all’aumento delle misure di sicurezza
interne, due giorni dopo gli attentati, l’esercito ciadiano ha condotto una serie di raid
aerei in Nigeria, nello stato di Borno. Gli elicotteri da combattimento ciadiani hanno
distrutto sei basi dei militanti islamici e inflitto numerose perdite di uomini e materiali
ai danni delle posizioni di Boko Haram nelle città di Baga, Gamboru Ngala e Dikwa.
EGITTO, 16 GIUGNO ↴
Dopo settimane di notizie contrastanti, la Corte
Criminale del Cairo ha confermato i due verdetti
emessi in primo grado contro l’ex Presidente
Mohammed Mursi: ergastolo per l’accusa di spionaggio
in favore di Qatar, Hamas, Hezbollah e Iran, ma,
soprattutto, condanna a morte per l’evasione del 2011
dal carcere di Wadi al-Natroun, nel governatorato di al-Buhayrah, circa 90 chilometri
a nord-ovest del Cairo, accaduto il 29 gennaio 2011, durante le proteste della prima
Rivoluzione egiziana, che portarono alcune settimane più tardi alla destituzione
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dell’allora Capo di Stato Hosni Mubarak. La notizia di condanna a morte per Mursi e
un’altra ventina di leader della Fratellanza Musulmana (tra cui la ex guida suprema
Mohammed Badie) hanno immediatamente scosso la comunità internazionale. Gli
Stati Uniti e l’Unione Europea si sono detti profondamente preoccupati per le
sentenze, sperando tuttavia che le stesse «vengano riviste e che il sistema giudiziario
egiziano operi in maniera imparziale, esclusivamente in base alla legge». Il Presidente
turco Recep Tayyip Erdoğan, grande sponsor insieme al Qatar delle forze islamiste
nella regione mediorientale, ha chiesto alla comunità internazionale di agire «per
chiedere con forza il ritiro delle condanne a morte» e ha parlato di «massacro della
legge e dei diritti basilari». Il governo guidato Ibrahim Mahlab, per voce del Ministro
degli Esteri Sameh Shoukry, ha espresso irritazione e risentimento per le reazioni di
alcuni Paesi e organizzazioni internazionali per le loro interferenze e i commenti
“inappropriati” negli affari interni del Paese e nei confronti della magistratura
egiziana.
GRECIA, 18-19 GIUGNO ↴
Il mancato raggiungimento nella riunione
dell’Eurogruppo di un accordo per l’esborso di nuovi
aiuti al governo ellenico rappresenta un passo in avanti
verso il temuto scenario del default finanziario del
Paese. Le riforme presentate dal Ministro delle Finanze
Yanis Varoufakis non sono state giudicate
soddisfacenti dai creditori, mentre si avvicina la scadenza del 30 giugno entro la quale
il Fondo Monetario Internazionale (FMI) pretende il rimborso della tranche del prestito
di 1,6 miliardi di euro erogato ad Atene. Il Direttore Generale dell’FMI Christine
Lagarde ha infatti precisato che se la Grecia non salderà il debito il prossimo 30
giugno «si troverà in default nei confronti del Fondo». Il Presidente del Consiglio
europeo, Donald Tusk, ha perciò convocato per lunedì 22 giugno un vertice
straordinario dei leader dell’Eurozona, che sarà anticipato da una nuova riunione
dell’Eurogruppo. Il Primo Ministro greco Alexis Tsipras ha accolto con favore la
discussione della questione greca al più alto livello politico europeo, laddove i
negoziati con il governo di Atene sono stati sinora condotti dai funzionari della
“troika”. Mentre la Banca Centrale Europea ha decretato l’aumento della liquidità di
emergenza per le banche greche, negli ultimi giorni circa il 2,2% dei depositi bancari
(equivalente a 3 miliardi di euro) è stato ritirato dai risparmiatori greci, a ulteriore
conferma della precipitazione verso l’ipotesi di bancarotta. Intanto, il vice Primo
Ministro russo Arkadi Dvorkovich ha aperto alla possibilità di un sostegno finanziario
da parte di Mosca. Una possibilità, questa, sempre più probabile e che ha già trovato
un primo punto di convergenza in occasione del Forum economico di San Pietroburgo
SPIES, dove in un bilaterale tra Tsipras e Putin (19 giugno) i due leader hanno firmato
un pre-accordo per il passaggio della gas pipeline Turkish Stream sul suolo greco.
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IRAQ/SIRIA, 17 GIUGNO ↴
Lo Stato Islamico (IS) incede in un prolungato sforzo
bellico nello scenario siro-iracheno. Tra il 13 e il 15
giugno decine di autobombe sono esplose a Falluja,
Baiji, Baghdad e Tikrit. Tuttavia, l’utilizzo del
lanciarazzi anticarro AT4, infine forniti dall’alleato
americano, e di missili Kornet ha permesso alle forze
di sicurezza irachene di intercettare e respingere parte
degli attacchi tra Ramadi e Falluja. Inoltre, il Ministero degli Interni ha comunicato
che tra il 16 e il 17 giugno i bombardamenti dell’aviazione irachena hanno inferto
perdite considerevoli ai miliziani islamisti presenti nell’area di Hit, colpendo un campo
di addestramento ed eliminando più di cinquanta guerriglieri. La tensione resta però
altissima in gran parte del Paese. Mentre continuano gli scontri nell’Anbar sunnita,
dove gli uomini del Califfato tengono chiusa la diga di Warrar a Ramadi, i jihadisti
hanno rilanciato l’azione a Baiji, colpita il 13 giugno da tre autobombe e da numerosi
colpi di mortaio. Malgrado la resistenza delle milizie popolari e dell’esercito regolare,
il 17 giugno i combattenti dell’IS hanno infine ripreso il vicino villaggio di Tel Abu
Jarad. Negli stessi giorni, anche i giacimenti petroliferi di Ajil e Alas, presso Tikrit,
sono stati oggetto di nuovi attacchi, seppur ribattuti dalle forze di sicurezza irachene.
Mentre il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha riaffermato la vicinanza a Baghdad
nella lotta contro il terrorismo in un incontro al vertice con il Primo Ministro iracheno
Haider al-Abadi (17 giugno), il Segretario della Difesa statunitense Ashton Carter ha
lamentato l’inadempienza del governo iracheno relativamente al programma di
addestramento condotto dai militari americani in Iraq. Dinanzi alla Commissione dei
Servizi Armati del Senato, Carter ha precisato che solo 9mila reclute delle 24mila
previste inizialmente sono state inserite nel programma. In positivo, il numero uno
del Pentagono ha riferito che gli Stati Uniti hanno iniziato ad armare direttamente,
pur in accordo con le autorità centrali di Baghdad, i Peshmerga curdi nel nord del
Paese, così come le tribù sunnite che hanno sposato la causa dell’integrità irachena.
In Siria, l’avanzata dell’IS verso Aleppo è invece rafforzata dall’interruzione degli
approvvigionamenti petroliferi verso il nord del Paese. Il controllo dei principali siti
produttivi nel corridoio centrale offre al Califfato un’arma economica di grande
impatto contro le formazioni ribelli arroccate nella città. Non a caso, i raid aerei della
coalizione internazionale hanno concentrato i bombardamenti contro le raffinerie e
non sui pozzi in virtù della dipendenza di tutte le parti in conflitto dalla disponibilità
di carburante. Contro gli avamposti del Califfato muovono invece i guerriglieri curdi,
che hanno conquistato la cittadina di Tal Abyad, sulla frontiera turca tra Kobane e al-
Hasaka. Intanto, le provincie di Aleppo, Idlib e Hama sono ancora terreno di scontro
tra i gruppi ribelli e le forze governative.
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PAKISTAN, 17 GIUGNO ↴
Gli attacchi da parte dell’esercito pachistano nell’area
di Datta Khel, nel nord Waziristan non lontano dal
confine con l’Afghanistan, hanno causato la morte di 20
terroristi. Gli attacchi aerei fanno parte dell’Operazione
Zarb-e-Azb, iniziata a giugno dello scorso anno contro
il gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP) e altre
fazioni presenti nell’area. Le operazioni hanno coinvolto migliaia di soldati in quanto
la zona del Waziristan è considerata dallo scorso anno il quartier generale dei talebani
pachistani. Kamal Hyder, giornalista di al-Jazeera presente a Taxila, ha constatato
che l’obiettivo principale del governo di Islamabad consistesse nel far retrocedere
quanto più possibile il TTP, ma tale processo ha richiesto quasi un anno di duri scontri
e l’attuazione di ingegnose tattiche da parte dell’esercito. In un tweet a nome di un
generale pachistano si evince che dall’inizio dell’operazione Zarb-e-Azb sono stati
uccisi circa 3.000 terroristi e distrutti un migliaio di nascondigli. Dopo le operazioni
condotte nel 2001 in Afghanistan dagli USA, il Pakistan ha assistito ad un incremento
notevole della rivolta interna. Da allora le autorità hanno intensificato le operazioni
militari e hanno usufruito anche dell’aviazione per mantenere il controllo su alcune
regioni del Paese.
RUSSIA, 14-18 GIUGNO ↴
Le tensioni tra la Russia e i Paesi Baltici, spalleggiati da
NATO e Stati Uniti stanno rasentando pericolosamente
il livello di sicurezza, come non succedeva dalla fine
della Guerra Fredda. L’annessione della Crimea da
parte della Russia, la ribellione nell’est Ucraina di
separatisti filorussi e la rinnovata forza militare
espressa dalla presidenza di Vladimir Putin, hanno
risvegliato le paure di tutti quei Paesi che un tempo appartenevano all’Unione
Sovietica. In particolare, la Polonia ed le Repubbliche baltiche stanno spingendo, da
tempo, sulla NATO per ottenere una presenza più decisiva, offrendosi anche di
ospitare basi dell’organizzazione del Patto Atlantico. La proposta di una presenza
permanente di truppe dell’Alleanza nell’est Europa è di difficile realizzazione e
bloccata da alcuni membri della NATO che, in alternativa, sta intensificando le
esercitazioni e creando un comando di reazione rapida nella Polonia nord-occidentale.
È in questo contesto che si inscrive l’esercitazione navale BALTOPS, condotta per due
settimane dalle forze alleate, insieme a quelle di Svezia, Finlandia e Georgia, e
conclusasi con una simulazione di sbarco nei pressi di Ustka, in Polonia, a cui hanno
partecipato 49 navi e oltre 6.000 soldati. Il Pentagono, inoltre, ha rivelato di essere
pronto a mobilitare gli armamenti necessari per sostenere la presenza di 5.000 soldati
11
in diversi Paesi Baltici e dell’Europa Orientale, con lo scopo di scoraggiare qualsiasi
volontà russa e di rassicurare i Paesi membri della NATO al confine. La risposta russa
non si è fatta attendere: il Generale russo Yuri Yakubov ha affermato che lo
schieramento di truppe statunitensi sarebbe «la mossa più aggressiva di Pentagono
e NATO dai tempi della Guerra Fredda» con l’unica opzione per i russi «di
incrementare», a sua volta, «la presenza di truppe sul fianco occidentale». In effetti,
durante l’esercitazione BALTOPS, un aereo militare russo, appartenente alle pattuglie
di controllo marittimo, ha sfiorato alcune navi della NATO, tra cui il cacciatorpediniere
USS Jason Dunham, da cui sarebbe stato effettuato una ripresa video, non ancora
resa pubblica.
STATI UNITI, 18 GIUGNO ↴
Con le candidature di Jeb Bush e Donald Trump va
aprendosi il ventaglio delle primarie repubblicane in
vista delle elezioni presidenziali del 2016. Sale dunque
a 12 il numero dei concorrenti nel campo repubblicano
che presumibilmente affronteranno Hillary Clinton
nella corsa alla Casa Bianca. Secondo i primi sondaggi
d’opinione, quella di Jeb Bush sembra essere la candidatura più autorevole, ma
altrettanto forti sono le posizioni dei più giovani Marco Rubio, senatore della Florida
sostenuto dalle comunità ispaniche, e Rand Paul, senatore del Kentucky vicino al Tea
Party. Bush, già governatore della Florida, ha mostrato la chiara volontà di affrancarsi
dall’eredità “dinastica” di una famiglia che ha retto l’esecutivo degli Stati Uniti per tre
mandati dal 1989, come dimostrato dall’assenza del cognome dallo slogan ufficiale
(“Jeb!”) della campagna elettorale, e punta a intercettare il voto moderato e degli
ispano-americani. Al contrario, Trump, forte di un immenso patrimonio immobiliare
e finanziario, ha presentato la proposta di una leadership determinata a ricostruire il
sogno e il primato americano nel mondo. Intanto, dopo la storica normalizzazione dei
rapporti con Cuba, l’amministrazione Obama apre pure all’allentamento delle
relazioni bilaterali con il Venezuela. Nonostante l’importante partnership commerciale
in ambito energetico, i rapporti tra Washington e i governi Chavez e Maduro sono
stati contrassegnati da frequenti alterchi a livello diplomatico. Il 14 giugno le
delegazioni dei due Paesi si sono incontrate a Haiti con la mediazione del Presidente
haitiano Michel Martelly, offrendo una prima occasione di riavvicinamento. Sul fronte
interno, la strage in una chiesa metodista di Charleston, nella Carolina del Sud, è
l’ultimo drammatico atto di intolleranza razziale commesso contro la comunità afro-
americana. Il 18 giugno il 21enne Dylann Roof ha aperto il fuoco contro i fedeli nella
Emmanuel African Methodist Episcopal Church al termine di una lezione sulla Bibbia,
uccidendo nove persone tra cui il pastore e senatore democratico Clementa Pinckney.
L’attentatore è stato arrestato dopo una fuga di 12 ore.
12
UCRAINA, 18 GIUGNO ↴
Le forze ucraine hanno respinto un pesante attacco dei
separatisti filo-russi alle porte della città di Marinka,
città strategica lungo la linea difensiva ucraina a ovest
di Donetsk e che protegge l’autostrada di collegamento
al centro portuale di Mariupol. Come in una precedente
occasione, l’offensiva ha seguito un incontro –
nuovamente fallimentare – del Gruppo di Contatto a Minsk, il che confermerebbe che
i gruppi ribelli stiano sfruttando la forza militare per ottenere concessioni da parte del
governo di Kiev. Sul piano internazionale, la proposta americana – appoggiata da
Polonia e Lituania – di inviare armi pesanti e soldati nell’Est Europa in uno sforzo di
assicurazione degli alleati regionali, ha indotto il Presidente russo Vladimir Putin ad
annunciare nel corso del Forum Tecnico-Militare Internazionale Army-2015 (16
giugno) la creazione di un nuovo sistema radar rivolto verso l’Europa occidentale e il
rafforzamento dell’arsenale nucleare con 40 nuovi missili ICBM (Intercontinental
Ballistic Missile), sebbene ciò non rappresenti una novità (un annuncio del genere era
stato già rilasciato dal Cremlino lo scorso anno). Gli stessi – ha avvertito Mosca per
mezzo dell’Ambasciatore russo a Stoccolma, Viktor Tatarinstev – potrebbero essere
puntati contro la Svezia qualora decida di aderire alla NATO. Mentre in Senato USA
ha approvato una legge (15 giugno) che autorizza il Pentagono a stanziare nei
confronti del governo ucraino fino a 300 milioni di dollari in formazione e
addestramento militare, la stessa Alleanza Atlantica dal 18 giugno ha avviato le
esercitazioni militari “Allied Shield” che mirano ad esaminare le capacità di comando
congiunto delle forze alleate testandone le capacità di completo combattimento; dal
canto suo la Russia ha mobilitato i propri soldati con finalità di addestramento
nell’enclave di
Kaliningrad. Nel
frattempo gli
Ambasciatori dei 28
Paesi UE hanno
trovato un pre-
accordo per la
proroga delle
sanzioni contro la
Russia fino al
prossimo 31 gennaio
(l’intesa sarà ora
sottoposta al
Consiglio Affari Esteri
del 22 giugno a
Lussemburgo.
13
YEMEN, 15-19 GIUGNO ↴
I colloqui di pace tra le forze in campo nel conflitto
yemenita, che sono iniziati lunedì 15 giugno a Ginevra,
si sono conclusi con un nulla di fatto, nonostante
l’estensione delle contrattazioni fino alla mattinata del
19 giugno. Il Ministro degli Esteri del governo
yemenita, Riad Yassin, ha lamentato il fatto che i ribelli
Houthi hanno rifiutato di incontrare la loro delegazione e che, al momento, non è
stata decisa una data per un secondo incontro. Considerato il fallimento dei colloqui,
l’Inviato Speciale dell’ONU Ismail Ould Chekh Ahmed ha prontamente affermato che
prima di iniziare un nuovo round di negoziati sarà necessario decretare un cessate il
fuoco senza incertezze. Le notizie negative giungono proprio mentre le Nazioni Unite
hanno chiesto uno stanziamento di 1,6 miliardi di dollari per aiutare la popolazione
dello Yemen e cercare di alleviare quella che, a breve, potrebbe diventare una
catastrofe umanitaria. Mentre si svolgeva il Vertice di Ginevra, una serie di esplosioni
coordinate è avvenuta ai danni del quartier generale di Ansarullah e di alcune
moschee della capitale Sana’a, provocando la morte di decine di persone. La branca
yemenita dello Stato Islamico ha rivendicato la paternità dell’attacco «in segno di
vendetta contro gli apostati sciiti», ha rivelato il gruppo in un comunicato ufficiale.
Gli attacchi sono avvenuti mentre i musulmani di tutto il mondo si apprestano ad
iniziare il sacro mese del Ramadan. Nonostante il conflitto in corso, gli Stati Uniti
hanno condotto uno strike con droni che ha portato all’uccisione di Abu Basir Nasser
al-Wuhayshi, leader di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), insieme ad altri due
combattenti dell’organizzazione terroristica creata da Osama Bin Laden. In un video
postato online martedì mattina, il portavoce di AQAP ha rivelato che l’organizzazione
ha scelto come nuovo leader Qaasim al-Raym, precedentemente comandante militare
del gruppo.
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ALTRE DAL MONDO
AFGHANISTAN, 13 GIUGNO ↴
È di 25 poliziotti morti il bilancio finale dell’attacco sferrato da un gruppo di militanti
talebani nella provincia meridionale di Helmand. Il raid, durato diverse ore, è iniziato
poco dopo la mezzanotte, e secondo quanto riferito dal capo della polizia dell’Hel-
mand, Nabi Jan Mullakhil, decine di talebani hanno attaccato il checkpoint della polizia
nel distretto di Musa Qala, portandosi via munizioni ed armi. Nonostante i ripetuti
tentativi del governo afghano di ricercare una conciliazione con i talebani, questi ul-
timi non sembrano intenzionati a fermare la promessa offensiva d’estate.
COLOMBIA, 15-18 GIUGNO ↴
Il Presidente colombiano Juan Manuel Santos ha annunciano l’uccisione di uno dei
leader militari dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), Jose Amin Hernandez
Manrique, noto come Marquitos. A soli tre giorni dall’episodio, i guerriglieri delle
FARC, il principale gruppo della guerriglia armata colombiana, hanno fatto saltare in
aria il secondo oleodotto del Paese situato nella provincia di Catatumbo. La conse-
guente fuoriuscita di petrolio ha provocato seri danni ambientali costringendo il go-
verno a bloccare le forniture idriche nella zona. Sebbene non sembra esservi una
correlazione tra i due episodi, si registra quantomeno una nuova escalation delle
tensioni della guerra civile colombiana soprattutto a seguito della sospensione unila-
terale da parte delle FARC del cessate il fuoco del 22 maggio.
DANIMARCA, 18 GIUGNO ↴
Il blocco di centro-destra, guidato dall’ex Premier Lars Løkke Rasmussen e formato
da Venstre, dal Partito Popolare danese, da Alleanza Liberale e dai conservatori, ha
ottenuto 90 dei 179 seggi del Folketing (il Parlamento unicamerale danese), assicu-
randosi così la maggioranza per governare il Paese. Il blocco di centro-sinistra guidato
dai social-democratici della Premier uscente, Helle Thorning-Schmidt, ormai ufficial-
mente dimissionaria anche come leader del partito, si è fermato a quota 85 seggi
sebbene il Partito social-democratico rimanga la prima forza del Paese con il 26,3%
dei voti. Vera novità di queste elezioni è rappresentata dal 21,1% raggiunto dal Par-
tito Popolare danese, famoso per le proprie posizioni xenofobe e anti-europeiste, il
quale di fatto si è affermato come primo partito del blocco di destra e seconda forza
politica del Paese.
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LIBIA, 13-14 GIUGNO ↴
Il governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk ha annunciato la morte di Mok-
tar Belmokhtar, uno dei leader storici di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) e del
gruppo salafita al-Mourabitoun. Il terrorista algerino sarebbe rimasto ucciso durante
un raid aereo statunitense, sostenuto dallo stesso esecutivo libico, nella notte tra il
13 e il 14 giugno a sud di Agedabia, circa 160 km a est di Bengasi. Gli Stati Uniti non
hanno ancora confermato l’effettiva morte di Belmokhtar, che in passato era già stata
annunciata e successivamente smentita.
MOLDAVIA, 18 GIUGNO ↴
Il Parlamento moldavo ha ufficialmente approvato le dimissioni (annunciate lo scorso
12 giugno) del Primo Ministro liberal-democratico Chiril Gaburici e del suo governo –
in carica da febbraio, quando cioè la formazione di un esecutivo filo-europeista con il
fondamentale appoggio esterno del partito comunista aveva sbloccato l’impasse po-
litica nata dalle elezioni del novembre 2014. La decisione di Gaburici, ufficialmente
dovuta allo scandalo circa la falsificazione del suo titolo di studio, potrebbe essere
peraltro riconducibile alle polemiche relative alla sparizione di 930 milioni da tre ban-
che (Banca de Economii, Banca Sociala e Unibank avrebbero erogato prestiti a enti
attualmente irrintracciabili) e alle possibili conseguenze sull’economia nazionale. Le
dimissioni di Gaburici rischiavano di sfavorire i partiti filo-europeisti nel primo turno
delle elezioni amministrative del 14 giugno.
PALESTINA, 18 GIUGNO ↴
Il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Abu Mazen ha ufficialmente
sciolto il governo di unità nazionale palestinese in coabitazione con Hamas a Gaza,
stabilito nell’aprile 2014. Abu Mazen ha incaricato il Premier Rami Hamdallah di for-
mare un nuovo esecutivo di politici senza rappresentanti della dirigenza islamista, al
potere a Gaza dal 2005. Alla base della decisione del leader dell’ANP vi sarebbero
stati i colloqui segreti tenuti tra Hamas e il governo israeliano mirato a stabilire una
tregua di 5-10 anni tra i due rivali politici in cambio dell’accoglimento della richiesta
islamista, ossia la costruzione di un porto sotto controllo internazionale sull’isola di
Cipro necessario ad alleviare le difficoltà economiche e sociali alle quali è sottoposta
la Striscia di Gaza fin dall’embargo del 2007. La decisione di Abu Mazen sarebbe
dettata inoltre dal fatto che l’ANP, sebbene sia stato definito da molti attori medio-
rientali e soprattutto dall’Egitto di al-Sisi l’unico rappresentante legittimo del popolo
palestinese, è stata di fatto esclusa e isolata da questi colloqui (al quale hanno preso
parte anche i governo del Cairo e di Doha), relegando l’organizzazione al potere in
Cisgiordania ad un ruolo politico marginale.
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SUDAN, 15 GIUGNO ↴
Il Presidente del Sudan Omar al-Bashir dopo aver partecipato al summit dell’Unione
Africana a Johannesburg ha fatto rientro in patria. Nonostante il mandato di cattura
internazionale spiccato dalle autorità locali su mandato della Corte Penale Interna-
zionale, sul Presidente sudanese pende dal 2009 un’accusa di crimini di guerra e
contro l’umanità riferiti alla vicenda del Darfur, al-Bashir non ha atteso il verdetto
dell’alta corte sudafricana ed è partito con un volo di stato da Pretoria alla volta di
Khartoum.
TUNISIA, 15-16 GIUGNO ↴
Tre agenti della guardia nazionale ed un uomo sospettato di legami con il terrorismo
islamico sono morti in uno scontro a fuoco tra i militanti delle Brigate Okba Ibn Nafaa
– ufficiosamente legate allo Stato Islamico sebbene non vi sia stato da parte del
Califfo al-Baghdadi un riconoscimento formale – e le forze di polizia, nella località di
Sidi Bouzid. Lo scontro a fuoco è stato poi rivendicato, con un annuncio sul profilo
Twitter, dai miliziani del gruppo tunisino-algerino autore da diversi anni di numerosi
attentati lungo la frontiera comune con l’Algeria.
UNGHERIA, 17 GIUGNO ↴
Il Ministro degli Esteri Péter Szijjártó ha annunciato che il governo ungherese co-
struirà un muro – lungo 175 Km e alto 4 metri – al confine con la Serbia allo scopo
di limitare il numero degli immigrati e dei richiedenti asilo nel Paese e di bloccare il
flusso complessivo dei clandestini che, attraverso la rotta balcanica, giungono in Eu-
ropa occidentale. Secondo il Dipartimento ungherese per l’immigrazione, nei primi
mesi de 2015 sono circa 57mila le persone provenienti da Afghanistan, Siria e Paki-
stan ad aver attraversato illegalmente i confini nazionali. Nel 2014 Budapest ha ac-
colto più di 43mila migranti (solo nel 2012 erano appena 2mila). La proposta risale
già all’anno scorso, quando il sindaco di Ásotthalom – cittadina al confine serbo –,
Laszlo Toroskay, aveva lanciato l’idea della creazione di una barriera protettiva. Il 1°
luglio è previsto un incontro sul tema tra il Premier Viktor Orbán, che assicurato che
il progetto non violerà nessun regolamento o convenzione internazionale, e il suo
omologo serbo, Aleksandr Vučić.
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ANALISI E COMMENTI
CINA INTERNA
PAOLO BALMAS ↴
ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA
La Repubblica popolare cinese compirà 66 anni il prossimo 1° ottobre 2015. Essa è
un’espressione politica molto giovane rispetto ai seimila anni, e anche più, di storia
che vantano le genti che ancora oggi la popolano. La Rivoluzione maoista si è impe-
gnata sin dalle prime ore a diffondere e imporre un’ideologia e un sistema di governo
in modo tale da unire il più saldamente possibile le diverse realtà e culture con cui si
misurava man mano che espandeva il proprio potere. I tentativi di imporre un sistema
economico collettivista hanno introdotto cambiamenti radicali – considerati allora ir-
reversibili – soprattutto nelle campagne. Il primo atto della neonata Repubblica con-
sistette nel distribuire equamente, per la prima volta nella storia, alcune decine di
milioni di ettari coltivabili a circa trecento milioni di contadini eliminando la classe dei
grandi proprietari che da sempre avevano gestito le ricchezze della fertile terra ci-
nese. A volte tali politiche sono state fallimentari, altre volte hanno raggiunto obiettivi
sorprendenti. Sebbene sia difficile comprendere i reali parametri di un passato re-
cente così importante, ma privo di analisi approfondite e avvolto sempre in varie
forme di giudizio politico e a volte anche di pregiudizio razziale, di certo si ricorda
quanto sia stato caro il prezzo pagato per ottenere qualsiasi tipo di miglioramento.
Ad esempio, si pensi al periodo del “Grande balzo in avanti” e alla rottura con l’URSS
(1958-1962) professati da Mao Zedong. Nelle campagne, alle comuni agricole fu im-
posta la presenza degli altoforni per la produzione autonoma dei manufatti in metallo;
il complesso industriale del Paese, invece, si ampliò da una base di nove milioni di
operai a una di venticinque milioni nell’arco di un solo anno (fra il 1957 e il 1958).
(…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net
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