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Comment la lumière peut-elle faire créer de la valeur ? Comment la lumière peut-elle faire augmenter vos ventes? Comment la lumière peut-elle créer une expérience marketing ?
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INCONTRO CON PIETRO PALLADINO
“La luce che maggiormente necessita di un
progetto è quella che vuole scomparire, che
si integra morbidamente all’architettura, che
sfuma il passaggio tra sorgente naturale e
quella artificiale : una luce ergonomia.”
Pietro Palladino
Quale è il suo percorso professionale?
Dopo la laurea in ingegneria elettrotecnica ho maturato un’intensa esperienza come light
project manager per la Philips illuminazione di Milano. Sul finire degli anni ’80 le aziende di
quelle dimensioni investivano moltissimo e in modo capillare nella ricerca tecnologica e
Philips rappresentava un modello in tal direzione.
Presso di loro svolgevo attività di progettazione d’impianti e formazione tecnica per gli
agenti sul territorio. L’azienda in quegli anni faceva largo uso di consulenti esterni ed io ho
avuto modo di conoscere e confrontarmi con professionisti del calibro di De Boer
considerati ad oggi i pionieri dell’illuminotecnica moderna.
Successivamente ho approfondito l’ambito tecnico-scientifico della materia svolgendo
attività di normalizzazione nell’ambito dell’UNI, dell’ANIE, del CEI e della commissione
d’illuminazione del CNR e attività d’insegnamento presso il Politecnico di Milano. Devo dire
che è stato proprio l’insegnamento trasversale tra architettura e ingegneria ad affinare la
sensibilità per l’aspetto estetico della luce.
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Lei è tra i fondatori dell’APIL (Associazione Professionisti dell’Illuminazione) ci può
descrivere la figura del light-designer e lo scenario in cui si trova ad operare?
Architetti, ingegneri e perfino il cliente finale sono persuasi della necessità di integrare un
light designer nel gruppo di progetto. D’altro canto basta dare uno sguardo alle recenti
proposte dell’architettura contemporanea, sin dai primi momenti di concezione e
visualizzazione l’elemento spesso dominante è la luce, naturale ed artificiale. Non parlo
solo dei mediabuilding o dei giochi di luce colorata dei grattacieli di Honk Kong; la luce
che maggiormente necessita di un progetto è quella che vuole scomparire, che si integra
morbidamente all’architettura, che sfuma il passaggio tra sorgente naturale e quella
artificiale: una luce ergonomica. La crescita del mercato professionale dell’illuminazione,
ovvero di quel segmento che trova il suo fulcro nella prescrizione, ha contribuito in questi
ultimi anni a promuovere la figura del progettista della luce in molti ambiti applicativi.
Sussistono comunque situazioni di contorno che non ne consentono ancora la piena
riconoscibilità, che oggettivamente inibiscono la crescita del light designer e rallentano il
processo di evoluzione qualitativa del mercato. In generale, quando un’azienda
costruttrice offre la progettazione a corredo della fornitura, c’è molta inerzia nel proporre
innovazione: è così che si realizzano impianti di concezione vecchia, con le stesse
prestazioni di trent’anni fa. Comunque non bisogna scoraggiarsi, gli ambiti d’intervento
sono tantissimi, dai negozi ai musei, dagli uffici alle piazze, pensi che ultimamente
abbiamo progettato l’illuminazione per navi portaerei.
Data la vastità della materia, che va dal design di prodotto allo studio dell’effetto
luminoso, scegliamo un punto di partenza. Cosa determina un impianto di qualità?
In realtà il tema degli apparecchi e quello degli impianti non si possono slegare.
L’apparecchio è l’elemento che
maggiormente caratterizza un impianto e i
criteri di scelta dovrebbero andare ben oltre
le logiche del prezzo; eppure i nostri spazi
pubblici continuano ad essere devastati da
oggetti di basso valore estetico e
prestazionale. La situazione attuale è il frutto
di politiche commerciali che per troppo
tempo hanno soddisfatto la maggior parte
degli operatori. Il canale della distribuzione ha
imposto le sue logiche e non sono in pochi
quelli che, piegando lamiera, hanno
accumulato una fortuna. Nessuno si è
preoccupato di tutelare un patrimonio
comune, di far evolvere la qualità della
domanda, di stabilire delle regole, di favorire
la prescrizione, di creare insomma i
presupposti per arrivare a una “luce” migliore.
I rimedi? Un marchio di qualità internazionale
favorirebbe certamente la tutela di prodotti
dalle alte prestazioni. L’obbligatorietà del
progetto, inoltre, per tutte quelle applicazioni
che richiedono specifiche prestazioni,
abiliterebbe indirettamente il professionista a
controllare tutti i requisiti delle
apparecchiature prescritte e lo porrebbe
nelle giuste condizioni per garantire la qualità
globale delle installazioni.
Snodo e dispersore dell’apparecchio d’illuminazione IPOTESI. Per Palladino la componente formale è imprescindibile dall’alto contenuto tecnico del prodotto.
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Quali sono quindi i consigli per le aziende che intendono allinearsi alla sua logica della
qualità?
Fino a qualche anno fa le aziende produttrici di apparecchi di illuminazione erano
facilmente connotabili in quanto operavano in aree di mercato ben delimitate. Ricerca e
produzione venivano concentrate in specifici ambiti applicativi e una lunga e costante
presenza nel settore conferiva credibilità. Per un costruttore il catalogo era un manifesto
programmatico, un “codice genetico” che lo caratterizzava e lo rendeva identificabile
nel panorama nazionale ed internazionale.
La maggior parte dei cataloghi che arrivano oggi sui nostri tavoli sono tutt’altra cosa:
grossi volumi che raccolgono una moltitudine di articoli nella speranza che l’acquirente
possa in qualche modo trovare quello che sta cercando. Con il preciso intento di offrire un
sempre più elevato numero di prodotti, le aziende sono alla costante ricerca della
completezza di gamma: è così che ai prodotti di pertinenza ne vengono aggiunti tanti
altri, spesso di livello non comparabile. Ci si trova di fronte ad una realtà in cui tutti
cercano di vendere tutto.
E’ singolare che in un’epoca di specializzazione scientifica e tecnologica - pensiamo ai
mille rami della medicina - il mercato porti invece ad un’ allargamento orizzontale
indiscriminato della gamma di prodotto. Io credo che solo chi investe in cultura
illuminotecnica e si dota di strumenti d’approfondimento seri possa ambire ad allargare il
proprio mercato in un settore ad alto contenuto tecnologico come quello della luce. I
consulenti validi ci sono, possono accompagnare l’azienda in nuovi ambiti lungo tutto il
percorso che dallo studio matematico di un riflettore porta all’accensione di un impianto.
2006 - Tavola rotonda incentrata sui temi e sui rapporti fra risparmio energetico, sviluppo sostenibile e futuro dell’illuminazione. Tra i partecipanti: Ing. Roberto Barbieri – Direttore Generale OSRAM Italia, Monica Cesati – Philips Lighting, Arch. Mario Cucinella, Ing.Giuliano Dall’O – Professore di Fisica Ambientale Politecnico di Milano, Ing. Peter Dehoff – Zumtobel Gmbh, Ing. Pekka Hakkarainen – Lutron Electronics, Ing. Isao Hosoe, Arch. Enzo Mari, Ing. Pietro Palladino, Arch. Paolo Rizzato.
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Parlando di città, quali sono gli strumenti per ottenere una buona luce urbana?
Uno dei temi maggiormente dibattuti è quello della “quantità” di luce presente nelle
nostre città. Si discute sempre più sull’opportunità di illuminare a giorno strade e piazze o
se piuttosto non sia più giusto lasciare che la penombra reciti il suo tradizionale ruolo nei
contesti urbani. Dobbiamo innanzi tutto prendere atto del fatto che esiste una crescente
domanda di luce: molte attività sociali si svolgono esclusivamente nelle ore serali e la luce
svolge a tal riguardo un ruolo decisivo. Ma quello dell’illuminazione è un problema
intimamente legato all’evoluzione e alla cultura del genere umano e non può essere
affrontato in maniera semplicistica. E’ tempo dunque di abbandonare le vecchie logiche
del “fare luce” e cominciare ad “illuminare” le nostre città con logiche più articolate.
Tra queste il piano della luce urbano è sicuramente lo strumento di pianificazione più
efficace. Il punto non è elevare o diminuire la quantità di luce nelle città, ma è distribuirla
strategicamente e organizzare gli interventi nei modi e nei tempi più opportuni. La città è il
prodotto di una moltitudine di operatori che per motivi specifici ne mutano
costantemente la struttura, i suoi grandi lineamenti sono abbastanza stabili ma i dettagli
mutano continuamente. Un buon piano della luce necessita quindi sia di una visione
luminosa unitaria sia di un esame di ogni singola realtà e mal si presta ad un approccio
seriale.
2000, Duomo di Milano. La valorizzazione del patrimonio culturale in ambito notturno negli utili anni rientra nelle strategie di marketing urbano. In basso simulazione illuminotecnica 3D del Duomo di Milano. Il modello è composto 90.000.000 Poligoni ed è stato elaborato in 2800 ore lavorative. Per la restituzione dei calcoli illuminotecnici invece si parla di 600 ore di tempo macchina.
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1999 – Necropoli vaticane. Città del vaticano. Pietro Palladino effettua le verifiche illuminotecniche negli ambienti ipogei situati sotto la basilica di San Pietro a Roma.
Quando si pensa all’illuminazione il richiamo al consumo energetico è immediato.
Leggiamo nel suo curriculum un’intensa attività di consulente alla redazione di normative
tecniche, può farci un quadro del rapporto luce-energia in termini ambientali?
La realtà è che siamo divoratori d’energia: se
solo India e Cina seguissero i nostri ritmi di
consumo l’atmosfera terreste diverrebbe una
camera a gas nel giro di pochi anni. L’energia
va dunque utilizzata al meglio e per farlo
esistono ampi spazi di manovra. Per ciò che
riguarda l’illuminazione, nelle sue disparate
forme applicative, si può fare molto.
Raddoppiando l’efficienza delle sole sorgenti
luminose costituenti il parco dell’illuminazione
pubblica europea si potrebbe ottenere una
riduzione del 50% del consumo totale di
energia elettrica con conseguente
abbattimento di 4/5 milioni di tonnellate di
anidride carbonica immessi annualmente in
atmosfera. Per quanto attiene l’illuminazione
domestica si parla di un potenziale risparmio
del 70% se decidessimo di abbandonare le
tradizionali lampade a filamento in favore
delle “lampadine a risparmio energetico”.
Per una serie di motivi oggettivi la domanda
di luce non può diminuire e dunque l’obiettivo
è fare illuminazione con soluzioni e tecnologie
sempre più efficienti. Attualmente ci si muove
sia in termini di marketing che in termini
concreti, ma la strada è ancora lunga. Si
potrebbe, ad esempio, cominciare con il rendere operative le procedure di certificazione
energetica previste dalle direttive europee in materia. Molte tecnologie innovative sono
già disponibili ma devono confrontarsi con l’impermeabilità delle Amministrazioni
Pubbliche e con la scarsa ricettività del privato.
E per un light designer che non intendesse occuparsi d’illuminazione pubblica quali sono
gli scenari d’intervento?
L’illuminazione per ambienti esterni è il banco di prova del light designer, sia dal punto di
vista tecnico che di autonomia progettuale, comunque anche gli spazi interni necessitano
una luce studiata con cura. Le faccio due esempi in cui l’intenzione luminosa è opposta
quasi diametralmente.
Attualemente il mio studio si sta occupando dell’illuminazione di una serie di stazioni,
alcune piccole altre veri e propri poli urbani. In questo ambito la luce ha un grande ruolo
nella riqualificazione di aree esteticamente e socialmente degradate. L’impianto deve
assicurare da un lato alti livelli d’illuminamento e dall’altro un’immagine di forte
personalità, una luce che evidenzi la volontà di riqualificazione e serva da deterrente a
comportamenti antisociali.
L’altro esempio è il museo. I musei oggi rappresentano il punto massimo di ricerca in
architettura. L’involucro che contiene le opere d’arte diviene opera d’arte in sé. Il sistema
d’illuminazione naturale ed artificiale deve saper dialogare con questi ambienti; non è più
sufficiente dichiarare l’intento tecnico dell’intervento. D’altro canto la componente
tecnica deve esserci e fare il suo lavoro al meglio. Una luce che illumina le opere per il
pubblico senza riflessioni o abbagliamenti, che tutela l’opera d’arte (non scordiamo che
la luce può essere dannosa), che fa tutto questo con discrezione.
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2005_ Stazione di Porta Garibaldi, Milano. Consulenza di Pietro Palladino per la società 100 Stazioni che si occupa di riqualificare, valorizzare e gestire 103 stazioni in tutta Italia. Nella stazione di Porta Garibaldi la presenza del light designer sin dal primo concept ha portato ad un’integrazione fortissima tra apparecchi illuminanti e architettura.
2006 – Palazzo Grassi, Venezia. Il sistema d’illuminazione delle sale espositive rispetta, al pari degli altri interventi architettonici, le esigenze di leggerezza del progetto architettonico di Tadao Ando. Il progetto superato l’ambito illuminotecnico per spingersi fino all’ingegnerizzazione delle strutture, degli apparecchi e degli accessori intercambiabili. La Ferrara-Palladino si è occupata anche dell’illuminazione della mostra di opere scelte dalla Collezione Francois Pinault, mecenate d’arte contemporanea nonché presidente di Palazzo Grassi Spa.
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In che modo gestisce il rapporto con gli altri attori del progetto?
Senza prevaricazioni. E’ molto importante
stabilire gli ambiti di competenza e le
responsabilità che in ogni progetto possono
variare per peso ed estensione. Questo
processo d’integrazione è naturale quando
il light designer prende parte alla definizione
del concept di progetto, diventa un po’ più
complesso quando il professionista
interviene a percorso progettuale già
avviato, ad esempio quando viene
chiamato a correggere gli errori di qualche
“progettista illuminotecnico improvvisato”. Il
bello della luce è che dialoga con tutti ma,
al momento realizzabile da pochi. Il light
designer deve essere in grado di ascoltare e
interpretare le suggestioni dell’architetto e tradurle in un evento reale e riproducibile.
Abbiamo compreso che il light-designer ha una doppia anima: creativa e tecnica. Come
si forma il professionista dell’illuminazione?
Nel settore del light design si avverte la
mancanza di professionisti specializzati, di
quegli attori che potrebbero con il loro
impegno promuovere e sostenere un vero
processo di evoluzione qualitativa. La
formazione di tali figure dovrebbe essere
garantita delle università attraverso
l’istituzione di indirizzi specifici, ma ciò non
avviene. In ambito universitario la materia
“luce” viene solitamente inserita all’interno
di altri corsi e trattata in modo superficiale.
Sempre in ambito universitario, assistiamo al
proliferare di master, seminari, workshop di
ogni tipo e corsi di aggiornamento post-
laurea. Ora, io credo fortemente al ruolo
della formazione continua, ma per produrre
una didattica efficace queste nuove
architetture formative dovrebbero poter
contare su un parco docenti ampio e
qualificato: al contrario, esso non è
sufficientemente alimentato ne dal mondo
universitario ne dal mondo professionale.
Unica eccezione, l’indirizzo “lighting”
attivato dalla Facoltà di Disegno Industriale
del Politecnico di Milano. Il progetto non è
però riuscito a raggiungere gli obiettivi
prefissati e ha recentemente perso le figure
didattiche di riferimento. In un panorama
assai critico continuano a svolgere la loro
funzione formativa gli studi professionali
specializzati presenti sul territorio: anche se
in numero esiguo, da sempre offrono
un’opportunità concreta a chi vuole imparare.
1997 – Uffici Virgin records, Milano. La luce diviene una componente dell’immagine di marca.
2005 – Manuale d’illuminazione. 1654 pagine,
Tecniche Nuove, Milano. Pietro Palladino
dedica gran parte della sua attività alla
divulgazione della materia illuminotecnica, è
autore di numerose pubblicazioni
tecnico/scientifiche, partecipa in qualità di
relatore a convegni e congressi internazionali
e collabora con diversi atenei italiani. Dal
2003 è direttore della rivista “Luce e Design”.
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Octobre 2006, IAE de Toulouse. Pietro PALLADINO et Kamel BEN YOUSSEF pendant la
journée consacré au design italien.
Par Kamel BEN YOUSSEF, Professeur Certifié d’Economie et Gestion Commerciale à l’IUT de
Ville d’Avray (http://gea.u-paris10.fr). Il enseigne le marketing et la stratégie à l’Université
Paris-Ouest Nanterre La Défense. Il est également Faculty Visiting de Stratégie à l’Université
de Turin (Italie). Ses travaux portent sur le mangement du design, la responsabilité sociale
d’entreprise (RSE) et le comportement du consommateur.