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Costitutio temporis

stitutio · articolo 34, Costituzione Italiana ... La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita

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Costitutio

temporis

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2 Costitutio temporis 3Costitutio temporis

«La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Re-pubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.»

articolo 34, Costituzione Italiana

©Liceo Scientifico Statale “Filippo Lussana”via Angelo Maj 1, 24121 BERGAMO

marzo 2018

Le finalità del presente lavoro sono di tipo esclusivamente didattico.

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5Costitutio temporisGIORNALINO REALIZZATO DA TUTTI GLI STUDENTI DELLA CLASSE 3aA DEL LICEO SCIENTIFICO STATALE “FILIPPO LUSSANA”.

EditorialeFrancesca Della Casa

L’articolo 34: il pilota della scuola italianaLorenzo Fumagalli, Giulia Trapletti

Mereo, meres, merui, meritum, merēreSara Carminati, Francesca Poggi, Ana Iulia Pop

Intervista doppia: Enzo Cheli e Pasquale Costanzo Alessandra Colpani, Francesca Della Casa, Anna Dinardo, Lorenzo Fumagalli

Il diritto allo studio: conquista recente? Jean Michel Falgari, Simone Milesi

Universal Declaration of human rights: article 26 Lorenzo Bracci, Marco Bresciani, Luca Cattaneo, Leonardo Marzetti, Marco Vailati

Can this dream come true? Giovanni Boffetti, Caterina Mager, Eleonora Foglieni, Ferruccio Piziali

Die Schule in Deutschland: ein ganz anderes SystemSara Balbo, Laura Crotti, Giorgio Panza, Matteo Rigamonti

Quando si deve combattere per poter studiare: Il caso di Malala Elena Daldossi, Aurora Melchionne

La scuola: un privilegio per tutti?Francesco Ghilardi, Martina Savoldelli

GRAFICA ED IMPAGINAZIONEPaolo Montvecchio

COPERTINAChiara Pagliaroli

DOCENTI REFERENTIProf.ssa Laura Lavore, storia e filosofiaProf.ssa Gabriella La Placa, italiano e latino

EDITORIALE6

L’ARTICOLO 34: IL PILOTA DELLA SCUOLA ITALIANA8

MEREO, MERES, MERUI, MERITUM, MERĒRE14

INTERVISTA DOPPIA: ENZO CHELI E PASQUALE COSTANZO17

IL DIRITTO ALLO STUDIO: CONQUISTA RECENTE O ANTICA?22

UNIVERSAL DECLARATION OF HUMAN RIGHTS: ARTICLE 2624

CAN THIS DREAM COME TRUE?27

DIE SCHULE IN DEUTSCHLAND: EIN GANZ ANDERES SYSTEM30

QUANDO SI DEVE COMBATTERE PER POTER STUDIARE: IL CASO DI MALALA33

Le immagini riportate sono tratte dal sito gratuito©Pixabay.com.

LA SCUOLA:UN PRIVILEGIO PER TUTTI?36

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In uno stato sono innu-merevoli gli elementi che gli conferiscono una certa identità, e ne

permettono la sopravvivenza e lo sviluppo: le forze dell’ordine, af-finché la popolazione possa vivere in sicurezza, e di conseguenza la giustizia, la quale, per essere cor-rettamente esercitata, necessita di governanti competenti, e allo stes-so tempo di elettori consapevoli. Tuttavia nessuno di questi fattori, solo alcuni di una lunga serie, è realizzabile senza una popolazio-ne in grado di portarli a termine, e quindi senza una formazione, del-le competenze e una certa cultura alla base dell’individuo. Il futuro di uno Stato si gioca quindi sull’istru-zione dei suoi cittadini e su come essa viene impartita. Questo è ben evidente nella situazione politica di molti Paesi in via di sviluppo, dove la mancanza di una scuola forte e valida ha determinato piaghe eco-nomiche e sociali.

La scuola in Italia è un’istituzione perennemente oggetto di discus-sione: dapprima odiata, criticata,

talvolta apprezzata e amata. Que-sta importanza data dagli italiani all’istruzione è senz’altro un bene: evidenzia il fatto che è stata com-presa appieno la sua rilevanza nel nostro paese, dell’oggi ma soprat-tutto del domani. Per questo mo-tivo è fondamentale che non resti immutata, ma che al contrario sia in continua evoluzione. È necessa-rio che segua l’andamento socio-e-conomico della società, adattan-

dosi e modellandosi in base alle esigenze del futuro e delle prossi-me generazioni. È necessario che valorizzi le tradizioni del nostro paese, i suoi principi e la sua cul-tura, ma che allo stesso tempo sia internazionale, ispirandosi ad altri paesi, sia europei che oltreoceano, imparando dai loro punti di forza per farli propri e dai loro errori per evitarli. È necessario che for-nisca all’individuo una formazione a 360 gradi, dall’arte alle scienze, dalla letteratura alla matematica, istruendo uomini e donne in grado di vivere attivamente nel mondo, come cittadini e cittadine. È neces-sario che renda i giovani italiani consapevoli che la scuola non è un dovere, ma un diritto, parola non così popolare in molti altri paesi dell’emisfero australe. È necessa-

rio che la condizione economica non ostacoli in alcun modo il de-siderio di raggiungere anche il più ambizioso degli obiettivi, bensì che l’unico freno sia la mancanza di im-pegno. Tutte condizioni non bana-li, se si considera che l’obiettivo fi-nale è quello di formare i prossimi medici, idraulici, avvocati, cuochi o bibliotecari, coloro che in una decina d’anni e anche meno si ri-troveranno catapultati nel mondo degli adulti, armati solo di ciò che la scuola ha fornito loro. Per riusci-re a raggiungere al meglio questo scopo tutti i cambiamenti devo-no tener conto delle fondamenta della scuola italiana, irremovibili e immortali, riassunte 70 anni fa nell’articolo 34 della nostra carta costituzionale:

EDITORIALE

La scuola è aperta a tutti.L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

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L’articolo 34 suggerisce come la scuola italiana debba essere: priva di discriminazioni, obbli-

gatoria, gratuita, meritocratica. Sono principi validi e giusti, pre-senti anche in altre istituzioni della Repubblica, ma quanto ci si attiene ad essi nella scuola di oggi?

Comma 1Il comma 1 recita: “La scuola è

aperta a tutti”. Questo significa che la scuola deve essere priva di di-scriminazioni, in modo che tutti la possono frequentare, poiché l’ave-re una popolazione istruita è condi-zione necessaria per realizzare una vera democrazia. La scuola è infat-ti strumento importante, oltre che per l’autorealizzazione dell’indivi-duo, come l’articolo 3 delle Carta ci suggerisce, per la “civilizzazione” dell’individuo, cioè per imparare ad essere civili, a vivere in comu-nità. Cosa è una classe se non una comunità eterogenea? È tra i ban-chi di scuola che si entra in con-tatto con persone che altrimenti sarebbero rimaste ignote, perché

appartenenti a realtà sociali diffe-renti; è tra i banchi di scuola che si impara a convivere, a vivere insie-me; è tra i banchi di scuola che si impara ad ascoltare l’altro. Quindi la scuola, per essere efficace, deve svilupparsi come un laboratorio sociale, e perché ciò avvenga deve rappresentare un campione della società. Questo comma è pertan-to non solo bello nei principi, ma necessario per il funzionamento della scuola stessa: è per questo motivo che è incessantemente e ri-gorosamente, seppur con qualche eccezione, applicato. Sicuramente, l’istituzione della scuola media uni-ca è stata importante, perché ha permesso che questa “sperimenta-zione” avvenisse, oltre che durante l’infanzia, anche nel periodo più formativo della nostra vita, “l’arte dello sperare”, o adolescenza. Al-tro passo importante è stato l’in-serimento di alunni disabili nelle classi “normali”, eliminando così la barriera rinominata scuola “diffe-renziata” che non permetteva loro di vivere la realtà.

Comma 2Così i padri costituenti scrisse-

ro questo comma, il più rilevante dell’articolo: “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Seduti a quel tavolo, volevano dire agli ita-liani che la scuola dovesse essere un obbligo, perché necessaria alla formazione dell’individuo; che do-vesse essere gratuita, perché tutti potessero frequentarla; volevano stabilire una durata minima, 8 anni, ora alzata a 10. La parola “obbligo”, solitamente spiacevole da sentire, risulta in questo comma piacevolis-sima: lo Stato non solo ci permette di istruirci gratuitamente, regalan-doci così un bene enorme come

l’istruzione, ma lo rende anche un obbligo. L’istruzione è un piacere obbligatorio. Ma perché il nostro Stato lo vuole regalare? Per due motivi: per avere cittadini più istru-iti, cioè uno stato più democratico, quindi più coerente con i propri principi e più protetto da eventuali derive autoritarie o populiste e per garantire un futuro ai propri cit-tadini, sempre al centro della Sua politica. Gli sforzi dei ministri dell’i-struzione di 70 anni di Repubblica sono sempre andati in questo sen-so: garantire frequenza e gratuità. La frequenza è sempre stata in Ita-lia un grande problema: il fenome-no degli early school leavers (ESL), ossia i giovani dai 18 ai 24 anni

L..’ articolo 34il pilota della scuola italiana

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d’età in possesso della sola licenza media e fuori dal sistema naziona-le di istruzione e da quello regiona-le di istruzione e formazione pro-fessionale, è molto grave, poiché potrebbe causare conseguenze nello sviluppo del sistema Paese, determinando un impoverimento del capitale umano. Oggi il Molise è l’unica Regione ad aver raggiun-to il target europeo, fissato al 10%, ma il fenomeno continua a interes-sare maggiormente il Mezzogior-no, con punte del 25,8% in Sarde-gna, del 25% in Sicilia e del 21,8% in Campania. Anche in confronto all’Europa il nostro Paese è indie-tro: si colloca nella quart’ultima posizione (Grafico 1). Contro que-

sto fenomeno sono stati presi nu-merosi provvedimenti: è stato cre-ato l’obbligo formativo, l’Anagrafe degli studenti, sono stati integrati i sistemi anagrafici di enti, Miur e regioni. Nonostante ciò, rimane un problema ancora da risolvere, poi-ché le ultime statistiche disponibili, del 2016, lo valutano al 13.8%. Fon-damentali, se applicate, saranno le strategie studiate da un gruppo di lavoro del MIUR nel 2017: modali-tà specifiche di composizione delle classi, rafforzamento della didatti-ca laboratoriale con una gestione più flessibile delle classi stesse, ricostruzione del patto fra scuola e famiglie, estensione del tempo pieno, promozione di attività che

vadano oltre l’orario scolastico, sostegno all’innovazione digitale. Il principio di gratuità della scuola pubblica è stato pienamente appli-cato: oggi, non esistono tasse di iscrizione alle scuole statali, siano esse elementari, medie o superio-ri (fino al terzo anno). Tuttavia, le famiglie italiane devono compra-re i libri di testo per i propri figli. Per fare in modo che tutti possa-no averli, lo Stato Italiano stabili-sce ogni anno un tetto massimo di spesa per i libri accertandosi, mediante indagini economiche, che tutte le famiglie possano per-metterselo. Per le scuole elemen-tari, la spesa è di 147 € in cinque anni, per la scuola media di circa 181 € per anno, mentre per le su-periori dipendono sensibilmente dalla tipologia di scuola frequenta-ta. Discorso a parte è da fare per le scuole dell’infanzia, la cui retta è proporzionale al reddito ISEE. La scuola italiana è pertanto accessi-bile a tutti. Tutti possono accedere ad un istruzione, ma è ultimamen-te sempre più diffusa, al contrario di qualche decennio fa, l’idea che la scuola statale non sia di quali-tà. Per questo, molti genitori scel-gono di iscrivere i propri figli alle scuole private e paritarie, ritenute sinonimo di buona istruzione. Lo Stato Italiano reagisce a questa scelta di molte famiglie tentando di creare la parità scolastica: ha in-

vestito nelle scuole paritarie e pri-vate, finanziandole direttamente (con la legge di bilancio 2017 il fon-do per la disabilità e per le scuole materne sono raddoppiati, rispet-tivamente a 24 e 50 milioni; anche le scuole paritarie usufruiranno della ripartizione dei fondi -100 mi-lioni- per l’alternanza scuola lavo-ro) e indirettamente, aumentando le detrazioni fiscali per le famiglie che pagano le rette (564 euro a fi-glio nel 2016, 717 nel 2017, 786 nel 2018, 800 euro nel 2019). È comun-que sempre poca cosa: l’obiettivo sarebbe una detrazione totale. In realtà questa politica, essendo im-possibile per l’Italia sostenere una detrazione totale, crea un terreno adatto allo sviluppo di un sistema di scuole private simile a quel-lo statunitense, ed indebolisce la scuola pubblica, perché diminui-scono i suoi iscritti, e quindi le sue entrate.

Comma 3 Il comma 3 recita: “I capaci e

meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gra-di più alti degli studi”. Introduce nella Costituzione un principio fon-damentale in qualsiasi Stato mo-derno: il merito. Merito è secondo Dante (IF IV 49) “ciò che uno me-rita”, ciò per cui ci si rende degni di premio: è pertanto il più efficace antidoto contro le più sterili forme

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di egualitarismo, sviluppatesi in molte Costituzioni novecentesche. Il merito è un potente fertilizzan-te per la società, perché la rende forte e competitiva: spinge l’uomo a distinguersi, ad impegnarsi, per-ché sa che verrà ricompensato. È solo nel fertile terreno di una de-mocrazia in cui si riconosce il me-rito e quindi la differenza tra le persone che si può sviluppare il successo economico. Da migliaia di anni si riconosce il merito come base di uno Stato forte: già Peri-cle, nel 430 a.C., evidenziava come la povertà non dovesse essere di impedimento per la realizzazione dell’individuo. Ne viene riconosciu-ta l’indispensabilità in un qualsiasi Stato anche nell’articolo 6 della Di-chiarazione dei diritti scritta dai ri-

voluzionari francesi nel 1789: “Tutti i cittadini essendo uguali [davanti alla legge] sono egualmente am-missibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione da quella delle loro virtù e dei loro talenti”. Ed è in questa direzione che questo capoverso dell’artico-lo ci spinge ad agire: a creare uno stato giusto, in cui conta l’individuo in sé, e non le sue origini. Questo comma trova evidentemente la sua migliore applicazione nel criterio di progressività utilizzato per il pa-gamento delle rette universitarie.

Comma 4Il comma 4 contiene l’indicazio-

ne più pratica di tutto l’articolo: “La Repubblica rende effettivo questo

diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provviden-ze, che devono essere attribuite per concorso.”. Per applicare que-sto comma è stato istituito il FIS, fondo integrativo statale, che nel 2017 vale 217 milioni di €, grazie ad un aumento di 50 milioni. Ma non è il solo che contribuisce: an-che le regioni e le università sono costrette, a causa della mancanza di fondi dello Stato (-130mln€), a pagare le borse di studio a miglia-ia di studenti idonei, rinunciando così ad investirli in ricerca e didat-tica. Inoltre, con le nuove norme, che hanno allargato il bacino di aventi diritto creando una no-tax area per gli studenti i cui nuclei famigliari hanno reddito ISEE mi-nore di 14000 €, o 23000 nel caso in cui si raggiungano particolari requisiti di merito, lo Stato non è

stato in grado di erogare le borse di studio a tutti gli idonei. Quindi i beneficiari sono meno degli ido-nei: è un unicum in tutta Europa. Il nostro Paese è anche tra quelli con la minor percentuale di univer-sitari con borsa di studio d’Europa: in Francia sono il 39%, in Spagna il 30%, in Germania il 25%, in Fin-landia addirittura il 75%. Il basso numero di borse di studio dispo-nibili, unito alle tasse universita-rie tra le più care in Europa, incide negativamente anche sul numero di laureati, tanto che l’Italia ha la percentuale di laureati più bassa d’Europa: 18%. Questo comma ri-mane quindi, dopo 70 anni, inap-plicato, causando seri problemi al futuro del sistema-Paese. Quando ci decideremo ad ascoltare la cara, vecchia Costituzione?

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“Le leggi assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute personali, ma

noi non ignoriamo i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora

esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, non come un atto di privi-legio, ma come una ricompensa al merito.”

Questo è scritto nell’Elogio di Atene democratica, orazione pronunciata in onore dei funerali di Pe-

ricle intorno al 430 a.C. Il concetto di meritocrazia, dunque, esisteva già nella Grecia del V secolo a.C., benché il sostantivo per designar-lo sia stato coniato solamente nel 1958 dal sociologo inglese Michael Young, autore dell’opera distopica The Rise of Meritocracy, ambientata in un Regno Unito governato da una élite di meritevoli che ha per-so ogni contatto con la popolazio-ne e si dimostra quindi incapace di adempiere al proprio compito in maniera adeguata.

Ma qual è il significato di MERITO-CRAZIA? Questo neologismo indica un sistema nel quale le persone

vengono valorizzate e ricevono ri-conoscimenti ed incarichi in base ai propri meriti individuali, dun-que in base ai risultati ottenuti ed all’impegno profuso nel campo di cui si occupano. Il sostantivo me-ritocrazia nasce con un’accezione negativa ma in molti paesi, primo fra tutti l’Italia, esso ha una conno-tazione positiva ed è considerato un’importante arma per combat-tere, ad esempio, il nepotismo. Na-turalmente l’avere legami di san-gue o affettivi con una personalità di spicco in qualsiasi campo non esclude che un individuo possa es-sere davvero meritevole, ma è al-trettanto vero che non si può né si deve penalizzare un’altra persona, altrettanto “in gamba”, che non ne ha ma è ugualmente capace. Cia-scuno infatti preferirebbe che a cu-rarlo fosse un medico competente e non un medico imparentato con un altro luminare della sanità, o ancora tutti noi preferiamo avere alla guida del nostro paese una persona adeguata piuttosto che un parente di qualche altro politico.Il concetto di meritocrazia, però,

non deve coincidere con quello di discriminazione, ognuno, infatti, può e deve avere un ruolo nella società, intuizione peraltro ben espressa in una poesia attribuita a Martin Luther King, nella quale si legge:

“Se non puoi essere un pino sul monte,sii una saggina nella valle,

ma sii la migliore piccola sagginasulla sponda del ruscello.

Se non puoi essere un albero,sii un cespuglio.

Se non puoi essere una via maestrasii un sentiero.

Se non puoi essere il sole,sii una stella.

Sii sempre il megliodi ciò che sei.

Cerca di scoprire il disegnoche sei chiamato ad essere,

poi mettiti a realizzarlo nella vita.“

Lo Stato, come si legge anche nell’articolo 34 della Costituzione, dovrebbe finanziare gli studi dei meritevoli fino ai gradi d’istruzione più elevati, anche perché lo stesso coglierebbe i frutti di questo investi-mento, avendo alimentato e soste-nuto menti che gioveranno al pro-gresso ed al futuro della nazione.

Individuare le persone da soste-nere è senza dubbio un compi-to arduo e non ci si può basare esclusivamente su meri voti, si-

curamente però è importante offrire a tutti le stesse opportu-nità per poter permettere a colo-ro che si trovano in situazioni di criticità economica di dimostra-re ugualmente il proprio valore.

Pericolosa e assolutamente da di-sincentivare è la tanto discussa “fuga di cervelli”: spesso infatti i giovani italiani cercano lavoro all’e-stero, dove possono ottenere con-tratti lavorativi dalle condizioni più vantaggiose o maggiori fondi per le proprie ricerche; si stabiliscono in paesi dove l’ascensore sociale, ov-vero il “meccanismo” che permette

Mereo, meres, merui, meritum, merēre

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di cambiare il proprio stato sociale, “funziona” e lo fa più velocemente.Le istituzioni, in concreto, stanno già finanziando il merito con la con-segna di borse di studio e ci sono alcune scuole come il mio liceo, in cui agli alunni che, pur essendosi distinti per i loro impegni in campo sociale e sportivo, hanno comun-que un rendimento alto, vengono distribuiti assegni e, ai due alunni migliori di ciascuna classe terza, viene offerta la possibilità di parte-cipare gratuitamente ad un corso di vela oppure ad un archeo-stage, ovvero una settimana nella qua-le si lavora a fianco di archeologi, partecipando in prima persona agli scavi. L’investimento va inteso non solo dal punto di vista econo-mico ma anche umano: offrendo ad una mente già brillante la pos-sibilità di arricchire il proprio ba-

gaglio culturale con esperienze al di fuori dall’ambito scolastico per-mette di ampliare ulteriormente le potenzialità del singolo che, in fu-turo, sarà un cittadino e quindi una risorsa dello Stato italiano.

La scuola è quindi il punto di par-tenza per riuscire a formare una società non solo democratica (l’i-struzione è infatti un pilastro della democrazia), ma anche meritocra-tica dove è indispensabile che in nessun modo venga penalizzato chi vive in una situazione economi-camente fragile ma ha capacità e valore. Investire sul nostro capitale umano può solo farci progredire, perseguire invece finalità indivi-dualistiche e volte a salvaguardare l’interesse del singolo ci portereb-be ad un unico lungo viaggio pur-troppo senza ritorno.

La Costituzione è un te-sto sintetico ed espli-cativo, ma allo stesso tempo denso ed estre-

mamente complesso. Per com-prenderne meglio alcuni aspetti, in particolare riguardanti l’artico-lo 34 e di conseguenza la scuola in Italia, ci siamo affidati ai pareri di alcuni esperti in materia: Enzo Cheli, giudice costituzionale e Vice Presidente della stessa Corte fino al 1996, Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunica-zioni fino al 2005 e Presidente del Consiglio Superiore delle Comuni-cazioni, e Pasquale Costanzo, pro-fessore ordinario di Diritto costitu-zionale nell’Università di Genova e già straordinario nell’Università di Camerino, componente dell’As-sociazione Italiana dei Costituzio-nalisti e dell’Associazione Italiana di Diritto Comparato, Presidente del Consiglio scientifico dell’ITTIG, Istituto di teoria e tecniche dell’in-formazione giuridica, nel biennio 2003-2005.

Avendo insegnato nelle università

di tutta Italia, è stato testimone di enormi cambiamenti sul piano so-ciale, politico ed economico. Come e quanto le sembra che queste tra-sformazioni abbiano influenzato il modo di insegnare e di vivere la scuola?

EC: Posso rispondere con riferi-mento alla mia esperienza diretta che riguarda l’Università. Nel corso degli ultimi 50 anni l’Università di élite è divenuta Università di mas-sa e questa è stata una trasforma-zione profonda che ha cambiato i caratteri della vita universitaria. Ma questa trasformazione – nono-stante le diversità che si possono oggi rilevare con riferimento alla realtà dei vari atenei – non ha de-terminato, a mio avviso, un abbas-samento della qualità dell’insegna-mento universitario. Al contrario, quello che ho potuto rilevare con riferimento alle generazioni più recenti è stato, per il corpo do-cente, un aumento di competenza e di responsabilità nell’esercizio delle funzioni e, per il corpo degli studenti, un maggiore impegno nell’apprendimento, nella fre-

I ntervista doppiaEnzo Cheli e Pasquale Costanzo

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quenza e nella preparazione degli esami. A questo hanno molto con-tribuito, di recente, sia l’apertura delle Università italiane ai circuiti internazionali (specie attraverso Erasmus) sia un uso intelligente dei nuovi strumenti della comuni-cazione. Resta, invece, a mio avvi-so negativo il giudizio sulle riforme recenti che, anziché migliorare, hanno aggravato i problemi relati-vi sia alla selezione del personale che all’organizzazione amministra-tiva delle nostre Università.

PC: Non sono uno specialista del settore, ma potrei comunque os-servare come l’Italia del Secondo Dopoguerra avesse ereditato nella sostanza il modello gentiliano di istruzione superiore rigoroso, clas-sicista ed elitario. Se da un lato, questo tipo di formazione, forse unico al mondo, è stato ugualmen-te capace di produrre una schiera notevole anche di laureati nelle discipline “dure” con punte di ec-cellenza internazionale, dall’altro, però, ha mostrato presto la corda

di fronte all’esigenze poste dalle nuove sfide della tec-nica, della finanza e dalla stessa circolazione inter-nazionale della conoscen-za. Quel che però si deve ammettere è che il divario tra formazione e realtà ef-fettuale non va imputato a quel tipo di studi, ma a chi non ha saputo riformarlo organicamente conser-vandone magari le pecu-liarità più pregevoli. In questo quadro, è impos-sibile non riconoscere che la scuola è cambiata con la creazione di nuovi corsi e cicli, ma non sarei sicuro che sia cambiata in manie-ra adeguata. L’attenzione spesso portata ai profili organizzativi e meno ai programmi e alla qualità

e all’aggiornamento razionale de-gli insegnanti, nonché ad una loro maggior motivazione economica, costituisce forse la cartina di tor-nasole dell’insoddisfacente stato della scuola italiana

A differenza di molti sistemi scola-stici stranieri, come quello inglese e statunitense, è lo Stato, e non la famiglia, che garantisce l’istruzio-ne a tutti. L’istruzione del singolo dipende quindi, più che dalla fami-glia, dalla collettività. Quali sono, sul piano giuridico-etico, gli svan-taggi e i vantaggi di tale sistema?

EC: Nella visione dei costituen-ti la scuola pubblica rappresenta uno dei pilastri del nostro impian-to democratico. Soltanto la scuola organizzata e finanziata dallo Sta-to può, infatti, garantire a tutti, in condizioni di parità, “senza distin-zione di condizioni personali e so-ciali” (art. 3, 1° comma) l’istruzione e la formazione che consente alla persona di realizzarsi nella vita so-ciale e nel mondo del lavoro secon-do le sue capacità ed i suoi meriti.

PC: Mi sembra di poter osser-vare che, sul piano economico, benché quello dell’istruzione non sia certo il campo più coltivato e le difficoltà finanziarie siano spes-so fatte scontare ad esso (un noto ministro dell’economia ci ha del resto fatto sapere che con la cul-tura non si mangia …), il sistema

nel suo complesso tiene e alle fa-miglie compete sostanzialmente il mantenimento delle ragazze e dei ragazzi (anche la questione del co-siddetto caro-libri non mi sembra completamente dirimente). Sul piano della responsabilità (se bene intendo), per lo Stato occorre fare più concretamente riferimento alle scuole, a cui si tende a riconosce-re ampia autonomia (sempre che vogliano responsabilmente avva-lersene). Ma a scuola si va alcune ore al giorno, non tutti i giorni del-la settimana, con ampi periodi di vacanza: è impensabile delegare alla scuola tutta l’istruzione, spe-cie quella non fatta di nozioni e compiti. L’art. 30 della Costituzione dice infatti che: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. È veramente quello che accade?

Rispetto ad altre Carte Costituzio-nali contemporanee, questo artico-lo è da considerarsi rivoluzionario?

EC: Con riferimento al momen-to storico in cui fu formulato ed alla tradizione liberale dello statu-to albertino l’art. 34 fu indubbia-mente “rivoluzionario”. Ma oggi la maggioranza delle costituzioni in vigore riconosce sia il diritto dei cittadini all’istruzione sia il dove-re dello Stato di offrire ai cittadini un sistema scolastico pubblico. Di recente anche la carta dei diritti Prof. Pasquale Costanzo

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fondamentali dell’Unione europea (recepita nel Trattato di Lisbona del 2007) ha stabilito all’art. 14 che “ogni persona ha diritto all’istru-zione e all’accesso alla formazione professionale e continua” e che “questo diritto comporta la facol-tà di accedere gratuitamente all’i-struzione obbligatoria”.

PC: Come dicevo, di per sé, l’arti-colo è una vera chicca rispetto alle esperienza pregresse. Rispetto in-vece ad altre carte costituzionali dell’epoca, non può dirsi che abbia rappresentato un unicum. Si pensi, ad esempio, alla Costituzione fran-cese del 1946, in cui era scritto che “La Nazione garantisce al fanciullo e all’adulto parità di accesso all’i-struzione, alla formazione profes-sionale e alla cultura. L’organizza-zione dell’insegnamento pubblico, gratuito e laico in tutti i gradi, è un dovere dello Stato”. In questo sen-so, occorre, però, anche guardare al collegato art. 33, dove, tra l’altro, si dice che: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istitu-ti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i di-ritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento sco-

lastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”, dove l’e-lemento veramente rivoluzionario dell’assenza di oneri per lo Stato specie per le scuole d’impronta confessionale è stato sistemati-camente emarginato e aggirato. Analogamente è stata persa l’occa-sione di laicizzare completamente l’educazione scolastica in Italia (si pensi che solo con revisione con-cordataria del 1984 è stato – fati-cosamente – previsto il “non avva-limento”).

Nell’ Articolo 34 si evidenzia l’im-portanza della meritocrazia nel sistema scolastico (“I capaci e i meritevoli...”). Quanto conta la meritocrazia in una democrazia? Questa tendenza meritocratica del sistema scolastico è sempre stata applicata nello stesso modo?

EC: La meritocrazia riferita ai “capaci e meritevoli anche se pri-vi dei mezzi” è connaturata alla stessa natura della democrazia rappresentativa che si fonda sulla sovranità popolare (cioè di tutti i cittadini), ma anche sulla presenza di una classe politica destinata a rappresentare il popolo e formata, per quanto reso possibile dai mec-canismi di selezione elettorale, dai cittadini più capaci e più merite-voli. Ma la meritocrazia nel nostro sistema scolastico non ha trovato sempre la stessa applicazione per-

ché è stata di volta in volta forte-mente condizionata dalle risorse che il potere pubblico ha voluto (o potuto) destinare a questo scopo. Il problema di fondo in ogni demo-crazia e nella nostra in particolare resta quello di come conciliare il principio di eguaglianza secondo cui – ai sensi dell’art. 3, 1° comma, della nostra costituzione – “tutti i cittadini hanno pari dignità socia-le e sono eguali davanti alla legge “ con la promozione della merito-crazia. Nel nostro impianto costitu-zionale la conciliazione tra questi due opposti principi si può, peral-tro, trovare riferendo il principio di eguaglianza alle condizioni di partenza dei cittadini che devono essere messi dallo Stato in grado di sviluppare in pieno la propria personalità “sen-za ostacoli di ordine econo-mico e sociale” (v. art. 3, 2° comma), e riferendo la me-ritocrazia alle condizioni di arrivo del percorso umano e professionale di ciascun cittadino, condizioni neces-sariamente (e giustamente) collegate alle capacità ed ai meriti delle diverse persone.

PC: Sarebbe preferibile parlare di merito e non di meritocrazia. Tutte le “cra-zie” fanno a pugni con la de-mocrazia (almeno per i suoi

sinceri fautori): infatti la democra-zia non tollera concorrenti di sor-ta, pena la sua stessa negazione. Venendo però al merito, risponde-rei, sottoscrivendolo interamente, con quanto ebbero a scrivere i ri-voluzionari del 1789 nella Dichia-razione dei diritti (art. 6): “Tutti i cittadini, essendo uguali [davanti alla legge], sono ugualmente am-missibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzio-ne che quella delle loro virtù e dei loro talenti”. Ciò che depone per non considerare la democrazia la culla di ogni piatto e demagogico egualitarismo.

Dott. Enzo Cheli

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22 Costitutio temporis 23Costitutio temporis

L’articolo 34 della Costi-tuzione garantisce nel nostro Paese l’obbligo scolastico per una du-

rata di otto anni. È interessante a questo punto esaminare il percor-so che ha portato l’Italia nel corso della sua storia all’attuale ordina-mento scolastico; torniamo alle origini del nostro Stato, e ancora prima diamo uno sguardo al Re-gno di Sardegna, di cui l’Italia unita del 1861 ha senza dubbio raccolto l’eredità politica. In seguito ai moti del 1848 lo Stato Sabaudo, sotto la crescente pressione del popo-lo, necessitava di una costituzione che garantisse i diritti fondamen-tali dei sudditi dell’allora re Carlo Alberto. Nacque così lo Statuto Albertino, destinato a svolgere la funzione di carta costituente per un secolo, anche nel futuro Regno d’Italia. Sebbene grandi fossero stati i passi avanti rispetto all’epo-ca precedente, grazie ad articoli che garantivano libertà personale, di stampa, di riunione e inviolabili-tà del domicilio, ai nostri occhi può sembrare strano come venisse del

tutto ignorato il tema dell’istruzio-ne. Possiamo supporre che per la società dell’epoca l’accesso alla scuola fosse considerato univer-salmente un’esclusiva delle classi più ricche ed agiate; inoltre vi era una forte influenza della Chiesa Cattolica, la quale tradizionalmen-te aveva a cura l’insegnamento rendendo probabilmente meno urgente la necessità di una scuola statale precisamente regolamen-tata. Resta però che a livello euro-peo il tasso di analfabetismo nella nostra penisola era fra i più alti e che a questo corrispondeva più o meno in maniera indiretta una de-cisa arretratezza nella nostra eco-nomia di fine Ottocento, mancan-do nel Paese quella solida classe borghese che altrove era alla base del sistema economico. Per ultimo si potrebbe addirittura ipotizzare che convenisse alle persone a capo di quella società mantenere una struttura sociale che rimanesse stabile e invariata nel tempo, e una mancata istruzione pubblica anda-va senza dubbio in questo senso. Tuttavia era evidente, in particolar

I.l diritto allo studioconquista recente?

modo dal confronto schiacciante con le altre nazioni europee, che una regolamentazione del sistema scolastico era assolutamente ne-cessaria. Fu così che nel 1859, con la Legge Casati, il futuro Stato Ita-liano ebbe per la prima volta una scuola pubblica obbligatoria ga-rantita per legge. Eravamo tuttavia ben lontani dagli attuali oltre otto anni di scuola dell’obbligo: questi, senz’altro proporzionati alla si-tuazione dell’epoca, che vedeva il tasso di analfabetismo all’esorbi-tante valore del 77%, si limitavano infatti al primo biennio di un ciclo quadriennale di studi elementa-ri. Destinata a lasciare una traccia ben più importante è tuttavia la Legge Coppino, promulgata diciot-to anni dopo. Gli anni obbligatori vennero aumentati a tre: siamo all’inizio di un lento e lungo per-corso di costante miglioramento del sistema scolastico. All’inizio del secolo scorso l’accesso alle scuole era garantito per legge fino ai dodici anni di età, soglia poi in-nalzata ulteriormente a quat-tordici per la prima volta con la Riforma Gentile in epoca fascista. A quest’ultima risale peraltro l’attuale suddivisione del percorso scolastico, sep-pure le differenze rispetto a novantacinque anni fa sono tutt’altro che trascurabili. All’e-poca infatti la scuola media,

che nel frattempo aveva fatto la sua comparsa sulla scena italia-na, presentava le stesse diversi-ficazioni che oggi si trovano nella scuola secondaria di secondo gra-do: esistevano infatti il ginnasio, l’istituto tecnico inferiore, l’istituto magistrale inferiore e la scuola di avviamento professionale che fin dall’età di soli undici anni indirizza-vano pressoché definitivamente i ragazzi verso un genere di carriera lavorativa ben definito. Soltanto in seguito, in parte nel 1940 e defini-tivamente ventidue anni più tardi, la scuola media sarà unificata. I meriti delle leggi che si sono suc-cedute prima della stesura della nostra Costituzione sono ben mes-si in risalto dalla lettura dei dati sull’analfabetismo: dal 77% del pri-mo censimento del 1861 si passò piuttosto rapidamente al 14% del 1941, mentre una riduzione ben più lenta e graduale del tasso ha portato all’ottimo valore dell’1,0% registrato nel 2011.

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24 Costitutio temporis 25Costitutio temporis

Il 10 dicembre 1948, l’As-semblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiara-

zione Universale dei Diritti Umani, composta da un preambolo e da 30 articoli. Pur non essendo for-malmente vincolante per gli Stati membri, in quanto dichiarazione di principi, questo documento ri-veste un’importanza storica fon-damentale: rappresenta la prima testimonianza della volontà della comunità internazionale di ricono-scere universalmente i diritti che spettano a ciascun essere umano. Inoltre le norme che compongono la Dichiarazione sono ormai consi-derate, dal punto di vista sostan-ziale, come principi generali del diritto internazionale e come tali vincolanti per tutti. Dopo questa solenne deliberazione, prodotta dagli Alleati in seguito alle gravi violazioni dei diritti umani subite durante la Seconda guerra mon-diale, l’Assemblea diede istruzioni al Segretario Generale di provve-dere a diffondere ampiamente questa Dichiarazione pubblican-

do e distribuendo il testo non sol-tanto nelle cinque lingue ufficiali dell’ONU, ma anche in quante altre lingue fosse possibile. Per quan-to riguarda il diritto all’istruzione, particolarmente rilevante è l’artico-lo 26, che riassume molti dei prin-cipi espressi nelle costituzioni mo-derne in merito a questa tematica.

“Ogni individuo ha diritto all’istru-zione. L’istruzione deve essere gra-tuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamen-tali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve es-sere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve esse-re egualmente accessibile a tutti sulla base del merito”. È così che si apre l’articolo 26 della dichiara-zione universale dei diritti umani, e come diritto dell’uomo è estrema-mente importante. In un passato anche non troppo lontano i bambi-ni non andavano a scuola, poiché costretti dai genitori ad aiutarli nei vari compiti che svolgevano. Alcuni genitori si rifiutavano di mandare i

Universal Declaration of human rights: article 26

propri figli a scuola perché gli veni-va a mancare quella manodopera essenziale per le faccende quoti-diane e anche per il proprio impie-go. Altri invece non avevano i mez-zi necessari per permettergli di frequentare le lezioni, in quanto i costi per i trasporti e per il materia-le scolastico erano troppo alti. Con questo diritto e dovere tuttavia si riesce a permettere a ogni bambi-no di frequentare almeno la scuo-la elementare, garantendo così a tutti un livello minimo di istruzio-ne. Inoltre in questo comma viene espresso il dovere da parte dello stato di garantire economicamen-te agli studenti meritevoli un gra-

do di istruzione superiore. Ciò non è assolutamente scontato: prima dell’esistenza delle borse di studio soltanto i più ricchi potevano per-mettersi di accedere ai college e alle università. Ora invece, coloro che pur non avendo disponibilità economiche hanno capacità rie-scono a frequentare ulteriori studi.

Il comma 2 dell’articolo recita “L’i-struzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personali-tà umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle li-bertà fondamentali. Essa deve pro-muovere la comprensione, la tolle-ranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni,

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26 Costitutio temporis 27Costitutio temporis

i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.” In questo comma emerge il ruolo primario del sistema educativo: ha il compito di fornire un’education. Infatti nella versione originale del-la Dichiarazione si usa il termine education, che non è sinonimo di istruzione: essa è Il processo attra-verso il quale vengono trasmessi ai bambini, o a persone suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti cul-turali di un gruppo della società, cioè il processo di trasmissione dei valori. Quelli che la Dichiarazione elenca sono quindi le finalità del sistema educativo: insegnare ai bambini l’importanza delle libertà fondamentali, a promuovere i di-ritti dell’uomo, il rispetto, la com-prensione, la tolleranza e l’amici-zia. La scuola ha quindi, secondo questa dichiarazione, il compito gravoso di formare “a tutto tondo” il futuro cittadino, di renderlo un essere “umano”, di educarlo come abitante responsabile e consape-vole del mondo e membro parteci-pe della società.

“I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli.” È invece il contenuto del terzo comma. Esso prende in considerazione una par-te fondamentale della vita scolasti-

ca e lavorativa dei ragazzi: e scelte della loro famiglia. Questo comma può essere considerato in modi di-versi, positivi e negativi. Ovviamen-te i genitori conoscono molto bene i propri figli e grazie alla loro espe-rienza possono aiutare i ragazzi nelle loro scelte più importanti; questo tuttavia non vuole dire un totale distacco dei figli dalle pro-prie decisioni perché poi saranno proprio loro ad affrontarle. È quin-di corretto solo se interpretato nel modo giusto, perché in caso con-trario può risultare dannoso per i figli che diventano dipendenti dai genitori, che un giorno non saran-no più lì a scegliere per loro. È quin-di giusto un aiuto della famiglia, ma l’autonomia dei ragazzi deve rimanere integra. Questo articolo e l’intera Dichiarazione furono alla base di molte delle conquiste civili della seconda metà del XX secolo perché, quando non obbligavano i governi a mettere in pratica i suoi principi, spingevano i cittadini a renderli effettivi. Conquiste come l’abolizione dell’apartheid, la parità tra i sessi, il suffragio universale, la protezione delle minoranze, non sarebbero state possibili senza di essa. Ancora oggi, anche nei Paesi più avanzati e più “occidentali”, ri-veste un ruolo importantissimo: è il fondamento di tutte le democra-zie moderne.

In HSBC’s 2017 report, The Value of Education the US again emerged as the top choice for pa-

rents considering university abro-ad for their child, but also one of the most expensive: at the very top-tier US universities (the majo-rity of which are private non-pro-fits), parents contribute an avera-ge of $60,000 per year, (including tuition fees, transport, books and accommodation).

Those seeking a more affordable option will find lower tuition fees at US universities within the pu-blic sector. These are typically run as state university systems – col-lections of colleges within a state, which share some administrative aspects while operating as sepa-rate institutions. Public universi-ties in the US have two tuition fee rates: one for state residents and one for everyone else. The second (more expensive) category applies equally to applicants from other US states and from other coun-tries. According to College Board, published tuition fees for 2017/18

at state colleges are an average of US$9,970 for state residents and $25,620 for everyone else. This compares to an average of $34,740 at private non-profit colleges. The cheapest options of all, however, are public-sector two-year colle-ges – also known as community, technical or city colleges – where average fees for 2017/18 are just $3,570.

When transport and other living expenses are factored in, College Board estimates the following an-nual budgets for undergraduate students in 2017/18:$17,580 (community college)$25,290 (in-state students at a four-year public college)$40,940 (out-of-state students at a four-year public college)$50,900 (private non-profit four-ye-ar college)

A concrete example is the Uni-versity of Michigan (one of the highest-ranked public US univer-sities in the QS World University Rankings) estimates fees for new out-of-state students in fall/winter

Can this dream come true?

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28 Costitutio temporis 29Costitutio temporis

2018/19 at $47,476, on top of ad-ditional costs of $11,198 for room and board, $1,048 for books and study supplies and $2,454 for per-sonal and miscellaneous items. This adds up to a total annual cost of $62,176 or $68,144 for graduate students. Costs like these certainly are not encouraging but we also have to consider that exist different types of financial aids for the families in fact, unlike in other countries, it’s rare for US students to pay the full tuition amount. For example at the MIT, one of the highest-ranked uni-versity in the US, 91% of undergra-duates receive financial aid. Simi-lar figures are cited by most other leading US universities, with forms of support including assistantships and work-study schemes. Accor-ding to data collected by US News, Harvard University allocated aid to 600 international undergraduates in 2016/17, with the average grant standing at $60,687, while Yale University awarded an average of $58,864 to a total of 336 interna-tional undergraduates.

Another way to get financial help to sustain college’s costs are scho-larships, which are very popular. There are many resources avai-lable to students to search for scholarships, if you have the time

and available resources, most of the scholarship searches can be found online for free.

There is also another option that is a study loan. Study loans are very popular with US students studying in the US and for international stu-dents exist specific loans that are now a very realistic way to finance your education in the United Sta-tes. Loans are very flexible and can offer loan amounts high enough to pay for your entire education, but with extended repayment ter-ms and reasonable interest rates, so you can afford the repayment after you graduate.

Andrea Salvadore, Italian film di-rector living in New York, speaks about his experience in a college: “The great division between public and private universities,from the economic point of view, only wi-thstands if you are resident in the state where the university you are applying to is located.Then you pay about half the price who comes from outside pays. In Mitchig-Ann Arbor state university the residen-ts pay $23.000 per year (including room and board), and $56.000 the abroad students. Multiply the fi-gure by four, the years of the de-gree courses. Harvard is about ten thousand dollars more per year, and so almost all the private uni-

versities. They should be no-profit but all the college presidents earn a million-dollar salary”.

However, while the resources avai-lable to the country’s top private institutions can mean that they do-minate the upper echelons of uni-versity and college rankings, that does not mean you should over-look the best public universities in the US. Most public universities in the US are state universities, ope-rated by the state government, and are often grouped together into “systems”.

Every US state is required to have at least one public university. Some of the largest states may have many public universities; such institutions will often offer discounted tuition for in-state stu-dents. The best public universities can be found across the US, but

there are clusters of high-ranking institutions in California and New York: just over 20 of the best public universities are present in the top 100 of the overall US College Ran-kings.

Based on data collected by The Wall Street Journal/Times, a list of the top 5 public universities in the US.1. University of California, Los Angeles2. University of Michigan-Ann Arbor3. University of North Carolina at Chapel Hill4. University of California, Berkeley5. Purdue University

So, although US scholar system seems to be “unfair and almost impossible to attend”, it also has some sort of democracy for the less fortunate who can’t af-ford to attend super prestigious universities.

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30 Costitutio temporis 31Costitutio temporis

Die Schule ist eine Insti-tution, die alle Länder eine glänzende Zukun-ft garantieren kann, da

Sie Bildungs- und Ausbildungsein-richtung für junge Köpfe ist, welche die nächsten Bürger und Gouver-neure werden. Aus diesem Grund, hat die italienische Verfassung, wie die anderen europäischen Länd-er, mehrere Artikel zum Regulie-ren des Bildungssystems verfasst. Untersucht man das “Grundgesetz der Bundesrepublik Deutschland”, so ist der einzige Artikel, der das Schulwesen beeinflusst, der Artikel 7. Es entspricht nicht direkt dem Recht auf Bildung, aber es ist eine Reihe von Vorschriften, welche, be-treffend religiöser Erziehung und der Rechte und Pflichten von Privat-schulen, getroffen wurden. Um Ge-setze für unentgeltlichen und obli-gatorischen Zugang zur Schule zu finden, müssen sie auf die Verfas-sungen der einzelnen Bundesländ-er zurückgreifen, da Deutschland eine Bundesrepublik ist und jedes Bundesland die Möglichkeit hat, die öffentliche Bildung selbst zu verwalten und zu verändern. Zum

Beispiel erhält man in Frankfurt am Main die Hochschulreife nach 13 Jahren Schule und in Berlin bereits nach 12 Jahren. Dieser Aspekt ist sehr speziell, weil das Recht, auf ko-stenlose und gute Ausbildung, eine grundlegende Wertvorstellung ist, obwohl das Grundgesetz, wie berei-ts erwähnt, nur Religionsunterricht und Sonderregelungen für Privat-schulen enthält. In der Bayerischen Verfassung gibt es 6 Artikel (von 128 bis 133) zur schulischen Ausbil-dung. Um festzulegen, ob die Schu-le und der Unterricht sich nicht nur auf das Erlernen theoretischer oder praktischer Fächer bezieht, sondern auch Werte, wie Respekt für das Gesetz, ein Gefühl der Verantwor-tung, Achtung der Menschenwürde und all jene Werte, die das Leben in einem Rechtsstaat ermöglichen, vermittelt werden, besagt das Ge-setz, dass alle Kinder und Jugendli-chen bis zum sechzehnten Leben-sjahr eine schulische Einrichtung besuchen müssen. Das Besuchen solcher Schulen ist kostenlos und muss vom Staat garantiert werden und, wenn nötig, sogar auf Kosten der Gemeinschaft. Es darf dabei

Die Schule in Deutschlandein ganz anderes System

nicht auf die wirtschaftliche Situa-tion der Familie des Kindes geachtet werden, dem Kind steht in jedem Fall das Recht zu, eine Bildungsin-stitution zu besuchen. Diese kann, basierend auf dem Charakter, der eigenen Fähigkeiten, der persönlic-hen Berufung und Erfahrungen, frei gewählt werden. Gleichzeitig ist darauf hinzuweisen, dass die Jun-gen und Mädchen später einmal ve-rantwortlich für die Erziehung der nächsten Generation sind und sie für eine gute Verfassung ihrer Fa-milie im Erwachsenenalter sorgen können sollten. Sie sind die Zukun-ft des Landes und von ihnen hängt die wirtschaftliche Situation des Landes ab. Für Deutsche ist die Bil-dung ein Grundpfeiler der Nation.

Generell dauert in Deutschland die obligatorische Schulpflicht neun oder zehn Jahre und wird von ei-nem starren System charakteri-siert. Nach dem Kindergarten, der nicht obligatorisch ist, kommt die Grundschule. Sie dauert von vier bis sechs Jahren. Hier werden die Grundfächer gelernt und auch eine Fremdsprache ab der dritten Klasse. Am Ende dieser Schule ha-ben die Schüler die notwendigen Fähigkeiten, um das nächste Nive-au zu besuchen, und es gibt keine Prüfung. Ein rechtes Studium wird der Familie des Schüler geraten. In Deutschland wählt der Schüler sein kommendes Studium schon wenn er neun Jahre alt ist: In Italien ge-

schieht es erst fünf Jahren später. Die Wahl wird auch von den Eltern und den Lehrern getroffen. Wenn der Schüler eine höhere Schule wählt, als die Lehrer ihm geraten haben, muss er eine Zulassung-sprüfung machen. Die höheren Schulen sind die Hauptschule, die Realschule und das Gymnasium. Die ersten zwei Jahre dieser Schu-len sind fast gleich und heißen Orientierungsstufe, in dem die Un-terschiede zwischen den verschie-denen Schulen gering sind und in dem die Schüler ihre richtige Schule finden können. Die Hauptschule bil-det für eine kommende Arbeit aus und dauert fünf oder sechs Jahre. Es gibt viele verschiedene Adressen. Am Ende des neuntes Jahres wird das Hauptschulabschluss erreicht. Die Realschule ist der italienischen technischen Hochschule. Sie dau-ert von vier von sechs Jahren und hat eine veränderliche Struktur. Die Bildung ist weiter als in der Haup-tschule und der Abschluss lässt Zugang an den gelernten Berufen haben. Am Ende der Realschule können die besten ans Gymnasium zu gehen. Das Gymnasium ist die höchste Schule und dauert neun Jahre. Heute gibt diese Schule nicht nur eine literarische Ausbildung, sondern auch Fähigkeit für die Ar-beitswelt. Am Ende, mit dem Abitur (in Italien “Esame di Maturità„), wird die Allgemeine Hochschulreife er-reicht, um die Universität besuchen zu können.

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32 Costitutio temporis 33Costitutio temporis

Nel mondo occidentale è diffusa l’idea che in Pa-kistan le famiglie non desiderino mandare le

figlie a scuola. In realtà oggi, quan-do gli ideali talebani non vengono più seguiti, la maggioranza delle famiglie pakistane, a patto che la scuola sia sufficientemente sicura e vicina e che le insegnanti siano donne, comprende l’importanza dell’istruzione sia per i figli che per le figlie; sanno bene che l’istruzio-ne è l’unica vera strada per uscire dalla povertà. Eppure il Pakistan vive una crisi del sistema educativo che impedisce a milioni di famiglie di mandare i propri figli a scuola e a milioni di bambini di ricevere un’i-struzione. Sono le donne pakista-ne, in particolar modo, i soggetti che hanno meno accesso alle scuo-le: il 56% della popolazione femmi-nile in Pakistan sopra i 10 anni è analfabeta, contro il 31% della po-polazione maschile. Esemplare è la figura di Malala Yousafzai, attivista e blogger pakistana, che si è bat-

tuta a lungo per il riconoscimento del diritto allo studio delle don-ne nel suo paese. All’età di soli 11 anni è diventata famosa grazie al suo blog per la BBC, nel quale do-cumenta il regime dei talebani pa-kistani, che governavano secondo la legge islamica, chiamata Sharia. Questa legge si richiamava esplici-tamente al precetto di «comandare il bene e punire il male», perciò si tornò a far ricorso all’amputazione di una o anche di entrambe le mani per il reato di furto e alla lapida-zione per gli adulteri conclamati. I talebani bandirono inoltre tutte le forme di spettacolo televisivo, im-magini, musica e danza. Per quan-to riguarda la donna, essa non po-teva lavorare, doveva indossare il burqua, non poteva guidare, non poteva andare a scuola. Malala è nota proprio per il suo impegno nell’affermazione dei diritti civili e del diritto all’istruzione delle don-ne della città di Mingora, nella valle dello Swat. Ecco alcuni stralci del suo diario, quando, pochi giorni

Quando si deve combattere per poter studiare

il caso di Malala

dopo aver saputo dell’editto dei ta-lebani che vietava alle donne di an-dare a scuola, aveva paura di non poterla più frequentare.

Mercoledì 14 gennaio: “Potrebbe essere l’ultima volta che vado a scuola”

“Ero di cattivo umore sulla strada della scuola, perché le vacanze invernali comincia-no domani. Il preside ha annunciato quando iniziano le vacanze, ma non ha detto quan-do la scuola riaprirà. E’ la prima volta che succede. In passato, la data di riapertura veniva sempre annunciata chiaramente. Il preside non ci ha detto perché non l’abbia fatto, stavolta, ma io credo che i talebani ab-biano annunciato che l’editto contro l’istru-zione femminile entrerà in vigore ufficialmente a partire dal 15 gennaio.Stavolta le ragazze non sono così entusia-ste di andare in vacanza, perché sanno che, se i talebani applicano l’editto, non potremo mai più andare a scuola. Alcune compagne erano ottimiste e dicevano che certamente la scuola riaprirà a febbraio, ma altre mi hanno confidato che i genitori hanno deciso di la-sciare Swat e di trasferirsi in altre città per il bene della loro istruzione.Visto che oggi era l’ultimo giorno di scuo-la, abbiamo deciso di giocare nel cortile un po’ più a lungo. Io credo che la scuola un giorno riaprirà, ma mentre tornavo a casa ho guardato l’edificio pensando che potrei non tornarci mai più.”

Malala non si arrese e sfidò il re-gime, andando a scuola. Il suo

coraggio e il suo impegno però le costarono quasi la vita, quando il 9 ottobre 2012 alcuni uomini armati la raggiunsero a bordo del pullman su cui tornava da scuola e le spara-rono ferendola alla testa e al collo. Malala però sopravvisse miracolo-samente, grazie ad un’operazione d’urgenza presso l’ospedale di Bir-mingham. La sua storia ha fatto il giro del mondo, tanto da portarla il 12 luglio 2013, in occasione del suo sedicesimo compleanno, a parlare al palazzo di Vetro delle Nazioni Unite di New York. Durante il suo discorso Malala indossava lo scialle appartenuto a Benazir Bhutto, una leader politica pakistana degli anni ’90 assassinata per i suoi ideali, e lanciò un appello per l’istruzione dei bambini di tutto il mondo: “La-sciateci prendere in mano i libri e le penne. Sono le armi più potenti. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mon-do”. Successivamente ha scritto an-che un libro intitolato “I’m Malala”, è tornata a scuola ed ha continua-to a sostenere con impegno il suo progetto a favore dell’istruzione femminile. Malala inoltre ha istitui-to un Fondo a suo nome destinato a sostenere l’istruzione femminile in Pakistan e, in seguito a molte donazioni illustri, ha annunciato la costruzione di una nuova scuola.

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34 Costitutio temporis 35Costitutio temporis

Ci sono paesi dove an-dare a scuola non è un peso, ma un sogno. Nel Mondo 58 milioni

di bambini non vanno a scuola. La guerra è la peggiore nemica dell’i-struzione: nei paesi dove è in corso un conflitto civile, i bambini sono le vittime principali. Viene loro negato il diritto fondamentale di impara-re, di andare a scuola e di giocare. Non solo non possono studiare, ma 300000 di loro devono anche com-battere. Uccidere e farsi uccidere: questo è il loro triste compito. Tutto senza una convinzione, un ideale, un perché. In tutto il mondo, il 9% dei bambini tra i 6 e gli 11 anni, 58 milioni di bambine e bambini, non va a scuola. A questi si aggiungono 63 milioni di adolescenti, tra i 12 e i 15 anni, che non frequentano il primo ciclo delle scuole secondarie (17% della popolazione mondiale di questa fascia d’età). La mancan-za di istruzione facilita anche il re-clutamento di bambini-soldato da parte di gruppi estremisti: molti sono i minori che, come i kamikaze, si sono fatti esplodere, morendo e facendo morire in nome di una

guerra religiosa che non esiste. La situazione è particolarmente grave nell’Africa subsahariana dove vivono 30 dei 58 milioni di bambini non scolarizzati. Le re-gioni più toccate sono quelle dell’A-frica occidentale e centrale con 18,8 milioni; ciò significa che il 31% delle bambine e il 23% dei bambini non va a scuola: una media di cir-ca il 25%, contro il 4% dell’Europa occidentale. La mancata scolarizza-zione, causata da disuguaglianze e povertà, è diversamente distribuita sul territorio. Così in ambiente ur-bano, un bambino in età scolare, che non ha ancora iniziato ad anda-re a scuola, ha buone probabilità di farlo un giorno o l’altro mentre chi nasce in una famiglia povera e in una zona rurale quasi sicuramente non vedrà mai un’aula di scuola. In Nigeria ad esempio i 2/3 dei bam-bini poveri non va a scuola, ed il 90% di loro non ci andranno mai. Oltre alla povertà, altri cinque sono i maggiori ostacoli da superare: i conflitti e la violenza, le discrimina-zioni di genere, il lavoro minorile, l’uso delle lingue non materne che rendono difficoltoso l’apprendi-

L.a scuolaun privilegio per tutti?

mento, le disabilità di diversa natu-ra. Tuttavia questi ostacoli sono il più delle volte correlati tra di loro e pertanto sono necessarie politi-che coordinate e di lungo periodo. Spesso noi “occidentali” non ci ren-diamo conto di ciò che significa non vedere mai un banco, un’aula, una lavagna, una maestra appassiona-ta, la delusione per un brutto voto, la gioia per un ottimo risultato, l’a-micizia tra compagni. Sono emo-zioni che in questo momento più di 30 milioni di bambini non sta pro-vando, né proverà mai. Non vivran-no mai la scuola, palestra di vita. La scuola protegge i bambini dalle guerre, fisicamente e psicologica-mente: per i paesi sconvolti da con-flitti armati, fornisce ai bambini gli

strumenti necessari per ricostruire le loro comunità a guerra finita, at-traverso competenze e conoscen-za. Nonostante questo, l’istruzione è uno dei settori meno finanziati dalle organizzazioni umanitarie. Un importante spunto di riflessione è offerto dalla visione del film “Vado a scuola” che testimonia le sfide quotidiane vissute da quattro bam-bini (Zahira in Marocco, Jackson in Kenya, Carlito in Argentina in una città Patagonia e Samuel in India) per raggiungere le loro scuole. Essi affrontano le avversità dell’ambien-te che li circonda perché sono spinti da un forte desiderio di conoscenza e sperano in un futuro migliore per sé stessi e per le loro famiglie. Vive-re, in fondo, non è sperare?

Page 19: stitutio · articolo 34, Costituzione Italiana ... La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita

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