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1 Piacenza Piacenza Piacenza Piacenza Nascita dei cognomi L’origine del cognome come identificativo di una famiglia risale all’epoca romana. I romani distinguevano le persone libere con tre nomi (tria nomina); il praenomen, paragonabile al nostro nome, il nomen, più importante perché distingueva la famiglia (gens) di appartenenza, e successivamente negli ultimi secoli della repubblica, anche con il cognomen, una specie di soprannome, al fine di distinguere le famiglie che si riferivano ad uno stesso ceppo. In qualche caso si aggiungeva anche un quarto nome o nuovo cognome (agnomen) per identificare ancora meglio una persona dall’altra mentre alcuni nobili aggiungevano altri nomi e cognomi creando talvolta liste lunghissime. Il nome completo di Giulio Cesare, ad esempio, era Gaio Giulio Cesare; Gaio era il praenomen, Giulio il nomen (l’appartenenza alla gens “Giulia”) mentre Cesare era il cognomen. A partire dal V° secolo, con l’avvento del Cristianesimo, le invasioni barbariche e la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, l’uso del praenomen scompare mentre nomen e cognomen si uniscono confluendo nel supernomen o signum, un nome unico, non ereditato, dal significato chiaro e comprensibile con il quale ogni persona viene individuata dal solo nome personale di battesimo, un vezzeggiativo nell’ambito familiare riferito a volte alle caratteristiche fisiche, oppure al lavoro che svolgeva, al luogo di provenienza o alla paternità. Tra il X ed il XI secolo, a causa dell’aumento della popolazione, risulta sempre più difficile distinguere un individuo da un altro con semplice signum e si crea quindi la necessità di distinguere le persone tra loro individuandoli con l’appartenenza della propria famiglia o discendenza. Nasce così il moderno cognome (o meglio il suo embrione) che poteva essere originato dal nome paterno o materno, da un soprannome, dalla località di provenienza, dal mestiere o dalla professione. All’inizio il cognome è una prerogativa delle famiglie ricche ma attorno al 1200 (prima a Venezia e poi nel resto del territorio) l’uso si fa più esteso sino ad investire anche gli strati meno abbienti della popolazione. Bisogna però aspettare il Concilio di Trento del 1564 perché, almeno per la Chiesa Cattolica, il cognome diventi ”ufficiale” con l’obbligatorietà per tutti i parroci di tenere un registro dei battesimi con tanto di nome e cognome. Anche dopo questa data, però, molte sono le

Piacenza · caso si aggiungeva anche un quarto nome o nuovo cognome (agnomen ... singolari ed eclatanti avvenimenti, come quello descritto da Luciano Tas nella sua “Storia degli

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PiacenzaPiacenzaPiacenzaPiacenza

Nascita dei cognomi L’origine del cognome come identificativo di una famiglia risale all’epoca romana. I romani

distinguevano le persone libere con tre nomi (tria nomina); il praenomen, paragonabile al nostro

nome, il nomen, più importante perché distingueva la famiglia (gens) di appartenenza, e

successivamente negli ultimi secoli della repubblica, anche con il cognomen, una specie di

soprannome, al fine di distinguere le famiglie che si riferivano ad uno stesso ceppo. In qualche

caso si aggiungeva anche un quarto nome o nuovo cognome

(agnomen) per identificare ancora meglio una persona dall’altra

mentre alcuni nobili aggiungevano altri nomi e cognomi creando

talvolta liste lunghissime. Il nome completo di Giulio Cesare, ad

esempio, era Gaio Giulio Cesare; Gaio era il praenomen, Giulio il

nomen (l’appartenenza alla gens “Giulia”) mentre Cesare era il

cognomen.

A partire dal V° secolo, con l’avvento del Cristianesimo, le invasioni

barbariche e la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, l’uso del

praenomen scompare mentre nomen e cognomen si uniscono

confluendo nel supernomen o signum, un nome unico, non ereditato,

dal significato chiaro e comprensibile con il quale ogni persona viene

individuata dal solo nome personale di battesimo, un vezzeggiativo

nell’ambito familiare riferito a volte alle caratteristiche fisiche,

oppure al lavoro che svolgeva, al luogo di provenienza o alla

paternità.

Tra il X ed il XI secolo, a causa dell’aumento della popolazione, risulta sempre più difficile

distinguere un individuo da un altro con semplice signum e si crea quindi la necessità di

distinguere le persone tra loro individuandoli con l’appartenenza della propria famiglia o

discendenza. Nasce così il moderno cognome (o meglio il suo embrione) che poteva essere

originato dal nome paterno o materno, da un soprannome, dalla località di provenienza, dal

mestiere o dalla professione.

All’inizio il cognome è una prerogativa delle famiglie ricche ma attorno al 1200 (prima a Venezia e

poi nel resto del territorio) l’uso si fa più esteso sino ad investire anche gli strati meno abbienti

della popolazione. Bisogna però aspettare il Concilio di Trento del 1564 perché, almeno per la

Chiesa Cattolica, il cognome diventi ”ufficiale” con l’obbligatorietà per tutti i parroci di tenere un

registro dei battesimi con tanto di nome e cognome. Anche dopo questa data, però, molte sono le

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modifiche e le errate trascrizioni dei cognomi, almeno sino all’Unità d’Italia e la nascita dello Stato

Civile, ordinato con il Regio Decreto del 15 novembre 1865, n. 2602 ed entrato in vigore dal 1°

gennaio 1866 con il quale si prescrive “….la tenuta di quattro registri annuali per la trascrizione

degli atti di cittadinanza, nascita, matrimonio e morte”.

Nella ricerca delle proprie origini, determinare la fonte, la provenienza del cognome di famiglia è

un passo essenziale per un positivo e coerente tragitto verso una investigazione che potrebbe

portare a scoperte e a curiosità a volte assolutamente inaspettate.

Per lo studioso Emidio De Felice, già Ordinario di Glottologia

all’Università di Genova e autore di numerosi volumi che trattano

questa tematica, “la fissazione dei cognomi in Italia è…… databile

tra l’ultimo Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna….. da allora non

variano e non aumentano numericamente, anzi regrediscono per

l’estinzione di gruppi familiari…”. Vi è dunque un lungo periodo di

tempo in cui i cognomi si formano traendo spunto da diverse

sorgenti sociali, culturali e politiche, traendo spesso origine dal

nome dei genitori (cognomi Matronimici o Patronimici) come ad

esempio “Della Giovanna”, “De Maria” (figlio di Giovanna o figlio di

Maria), “Martini”, “De Giovanni” (figlio di Martino o figlio di

Giovanni). Abbastanza comune era l’affermarsi dei cognomi che si

riferivano alle attività dei propri genitori o comunque degli avi,

come “Fabbri”, “Medici”, “Speziale”, “Massaro”, “Vaccaro” e così via, mentre altri nascono

dall’aspetto fisico come “Bassi”, “Grossi”, “Biondo”, e così di questo passo. Altri cognomi traggono

origine invece da nomi di animali come “Cervi”, “Capra” e altri ancora, mentre altri sono

puramente allusivi, soprannomi dati a persone o famiglie per il loro comportamento, per fatti e

situazioni occasionali, vere o allegoriche, come “Magnavacca”, “Squarcialupi”, “Tagliatatela” e

moltissimi altri che col tempo si trasformano in veri e propri cognomi giunti sino a noi.

Il cognome “Piacenza” Alla luce di quanto sopra, quale potrebbe essere quindi l’origine del cognome “Piacenza”?

Anche se probabilmente alquanto facile da individuare, l’origine del cognome Piacenza offre

invece più di una possibilità di scelta con una prima ipotesi per la quale ci affidiamo nuovamente al

De Felice che nel suo “Dizionario dei Cognomi Italiani” (Mondatori, 1978) a pag. 194 fa risalire la

sua nascita nei “toponimi o etnici”, cioè in quei cognomi che “specificano l’appartenenza a un

popolo, a una regione, a una città…”.

Il cognome come il toponimo deriva dal latino “Placentia”, derivato dal verbo “placere” (piacere),

attestato già in età classica. “Piacenza”, quindi, come altri “etnici e toponimi” (es; “Greco”,

“Todesco”, “Longobardo”, “Fiorentino”………), è cognome che sancisce “l’appartenenza” alla città

omonima dell’Emilia Romagna, lasciando però almeno due vie da seguire per aiutarci a scoprire la

vera natura della sua “nascita”, avvenuta certamente in quella città ma con motivazioni, situazioni

ed interessi ancora tutte da accertare.

Sulle origine del cognome Piacenza, si legge su “Origine dei cognomi italiani” (Ettore Rossini, 2000)

“Diffuso sia al nord che nella Puglia, deriva dal toponimo Piacenza, in molti casi è di origini

israelitiche”. La prima delle due ipotesi prese in considerazione, quindi, pone l’attenzione sulla

possibile origine ebraica del cognome avendo come presupposto accertato la consuetudine, o

meglio la necessità, di alcune famiglie ebraiche italiane, di cambiare il proprio cognome per

assumere quello del luogo di residenza, questo a causa di conversioni al cattolicesimo (quasi

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sempre forzate) oppure per cancellare una “traccia ebraica” che, in diversi momenti sociali e

politici del nostro Paese, rappresentava un pericolo per la loro stessa sopravvivenza. Causa

principale della nascita di questi nuovi cognomi legati al luogo di residenza era quindi il razzismo e

l’antisemitismo che colpivano duramente gli israeliti con false accuse di ogni genere, espulsioni ed

uccisioni.

Molti sono ancora i cognomi ebraici (almeno in larga parte) derivati da nomi di città quali Ascoli,

Milano, Voghera, Soncino e così via, e molte furono le situazioni che convinsero o obbligarono gli

Ebrei a cambiare il proprio cognome, situazioni il più delle volte tragiche, anche se non mancano

singolari ed eclatanti avvenimenti, come quello descritto da Luciano Tas nella sua “Storia degli

Ebrei Italiani” (Newton Compton Editori, 1987) il quale, a proposito del banchiere Baruch così

racconta; “….(Baruch)…riuscì, dopo che il suo nome si era tramutato da “Pietro figlio di Leone” in

“Pierleoni”, a diventare Papa nel 1130. Si trattava di Anacleto II°, rovesciato poi da una congiura di

palazzo e considerato quindi Antipapa….”.

Un altro fatto curioso è invece descritto da Lorenzo Caratti di

Valfrei (“Scopri le origini della tua famiglia” – Oscar Mondadori,

1991-pag.165) che cita una situazione avvenuta nel 1757, epoca

lontana dalla precedente e dunque con situazioni sociali,

amministrative e politiche assai differenti. “Una certa Maria

Prospera, ebrea, madre di quattro figli, nel 1757 decide di

convertirsi con tutta la sua famiglia …. alla religione cattolica.

Pertanto in data 26 maggio, vengono redatti cinque atti di

battesimo…… Fin qui nulla di particolare; ma il bello è che gli atti

di battesimo di queste cinque persone facenti parte di un unico

nucleo famigliare, risultato annotati con cinque diversi cognomi;

quelli dei rispettivi padrini di battesimo………”.

Non bastano certo questi avvenimenti a convalidare “l’ipotesi

ebraica” dei Piacenza pur considerando che nella città di

Piacenza, scrive Donatella Vignola (“Ebrei a Piacenza e nel

territorio piacentino”), “c’erano ….. gli ebrei; non nei ghetti, ma

un po’ sparsi nella città, mescolati ai benpensanti di una Comunità che non li voleva…….. gli ebrei a

Piacenza vivevano, tenevano banco, litigavano per il monopolio della “condotta”, rogitavano,

prestavano ad interesse, pattuivano con l’autorità civica l’ammontare dell’interesse, prestavano

grosse somme di denaro all’autorità ducale, pagavano la tassa annua per dimorare in città,

trafficavano, pregavano, studiavano nella sinagoga, istruivano i figli, copiavano testi sacri, si

rallegravano nella taverna di Moisè, seppellivano i loro morti in spazi ortivi condivisi con piccoli

coltivatori affittuari. Se ne conoscono i nomi.

Presenze definitivamente rimosse dalla memoria collettiva eppure parte integrante di

quell’universo storico di cui facevano parte, influenti sulla vita economica del libero Comune già

aperto ai grossi traffici con la Francia, indispensabili allo Stato di Milano quando i Visconti e gli

Sforza li tassavano e riscuotevano col loro tributo i soldi necessari in tempi di continue belligeranze.

Usurai vittime a loro volta dello strozzinaggio ducale, ma accettato in cambio di protezione,

paravano quelle richieste di denaro che altrimenti sarebbero state rivolte in forme vessatorie al

resto della popolazione.

E intanto l’autorità religiosa, in bilico tra tolleranza e rifiuto secondo il pendolo della politica dei

papi, ora promuoveva prediche in ebraico per favorire le conversioni e i battesimi (quasi sempre

ottenuti con elargizioni di denaro decretate dall’autorità laica), ora obbligava gli ebrei al distintivo

del berretto giallo, ora favoriva la delazione quando impediva la corrispondenza con i cristiani, ora

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s’avvaleva del braccio forte dell’Inquisizione per censurare libri ebraici e controllare la condotta dei

convertiti. Ancora nel Settecento il governatore borbonico vigilava sul transito degli ebrei in città e

stabiliva norme di comportamento perché non soggiornassero oltre il permesso. Si avvertì infine la

necessità di un censimento delle presenze e di nuove mappe catastali per proprietà, ghetti e

giudecche. Poi venne con Napoleone l’emancipazione……..Secondo alcune ipotesi le prime

comparse di ebrei in territorio piacentino si sarebbero verificate nel VII-VIII secolo dell’era volgare.

Non si escludono però neppure sporadiche apparizioni in precedenza, vista la collocazione di

Piacenza su vie di grande traffico e considerato il connubio tra gli Ebrei e il commercio con le corti

favorito già da Teodorico con concessioni speciali……”.

Di più non abbiamo avuto modo di sapere sulla cognomizzazione toponomastico-ebraica dei

Piacenza anche se si hanno notizie certe di personaggi che aggiunsero al loro nome quel “da

Piacenza” che di per se non convalida l’estrazione ebraica ma che ci offre qualche indizio

necessario a continuare nella nostra ricerca.

Uno di questi personaggi che potrebbero fare luce su questa tesi, è sicuramente Domenico da

Piacenza (Piacenza, 1390 – Ferrara, 1470 ca.), maestro di buone maniere ed esperto danzatore alla

corte della famiglia d'Este di Ferrara. L’artista piacentino viene citato nell'autobiografia artistica

del suo allievo Guglielmo Ebreo da Pesaro col quale il maestro danza a Milano nel 1455 in

occasione dei festeggiamenti indetti per celebrare il fidanzamento di Ippolita, secondogenita di

Francesco I Sforza e Bianca Maria Visconti, con Alfonso duca di Calabria figlio di Ferdinando

d'Aragona. Non sappiamo se Domenico fosse ebreo, cristiano oppure convertito, sappiamo invece

che ebreo era sicuramente l’amico Guglielmo che si fece convincere dall’amico mecenate

Alessandro Sforza della possibilità di accedere alla dignità di cavaliere, per la cui nomina Guglielmo

accettò nel 1469 di convertirsi al cristianesimo, venendo battezzato col nome di Giovanni

Ambrosio.

Un'altra figura che ci può (forse) aiutare nel dipanare l’origine del cognome, è quella del medico

ebreo Lazzaro da Piacenza, presente nella città emiliano nello stesso, periodo ed inviato a Careggi

(Firenze), nel 1492, al capezzale di Lorenzo de’ Medici gravemente ammalato.

Comunque sia, per dovere di cronaca, gli ebrei a Piacenza non ebbero vita facile e, dopo una

infinità di vicissitudini con vessazioni, conversioni

forzate e quant’altro, rimasero in numero sempre più

ridotto, sino al 1570, anno che vide l’espulsione

definitiva; una comunità che, a differenza di altre, non

farà più ritorno nella loro città.

In realtà i documenti dell’epoca testimoniano la

presenza degli ebrei nel piacentino anche nel 1562

quando il duca Ottavio Farnese concesse agli ebrei di

aprire dei banchi di prestito in 16 località dei ''Ducati di

Parma e Piacenza'', tra le quali risulta Monticelli

d'Ongina.

A Monticelli abitavano in maggioranza nella cosiddetta ''Contrada degli Ebrei'' o ''Contrada

Granda'' (attuale via Garibaldi) e in via Cavour, l'antica via del Pozzo. La sinagoga, rimasta attiva

fino al 1930 e di cui oggi restano solo i muri esterni, era posta all'ultimo piano di un edificio che si

affacciava da una parte sull'attuale via Garibaldi e dall'altra sull'attuale via Cavour.

Nonostante questi “indizi”, la nostra ricerca, non ci ha consentito di rintracciare alcun “Piacenza”

iscritto presso le Comunità Ebraiche italiane e neppure la “Grande Enciclopedia Judaica” fa

menzione della possibile ebraicità del cognome. Questo, naturalmente, non significa che questa

ipotesi sia da scartare ma semplicemente che non abbiamo elementi sufficienti a determinarne

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l’esatta origine, come è anche credibile prendere in esame (abbiamo visto alcuni esempi) la

possibilità di mutamenti del cognome o addirittura di una possibile “conversione” che pure va

considerata nell’ambito delle nostre ipotesi di cognomizzazione.

Continuiamo la nostra ricerca all’interno dei cognomi “etnici e toponimi”, passando ad

approfondire il cognome rispetto alla città di provenienza e al suo legame con essa. Questa

ulteriore possibilità di ricerca trova la sua giustificazione con una radicata consuetudine dell’età

medievale soprattutto nei ceti più nobili e nella cavalleria, di aggiungere al proprio nome anche il

luogo di provenienza o di origine. Ad avvalorare questa tesi vi sono numerosi esempi che ci

indicano come questa usanza non era affatto sporadica o inusuale ma anzi molto diffusa in vari

strati sociali, politici, militari e culturali come, tra i moltissimi, Leonardo da Vinci, Fanfulla da Lodi,

Alberto da Giussano, indicazioni necessarie a definire la loro provenienza oppure la località ove

erano situate le loro terre o i loro possedimenti, se questi erano dei nobili.

Anche per la nascita del cognome “Piacenza”, quindi, possiamo avvalerci di questa tesi, tra l’altro

già in precedenza descritta citando Domenico da Piacenza e Lazzaro da Piacenza, per ritrovare

un’origine verosimile e razionale, considerando uomini e famiglie con ruoli socio-politici che,

allontanandosi dalla propria città d’origine intendessero mantenere inalterate e ben riconoscibili,

assieme al proprio rango, anche le proprie radici.

Una ricerca avviata in questa direzione, lascia ampi margini di conoscenza ed approfondimento,

immergendoci tra i documenti e le segnalazioni genealogiche di cui siamo venuti a conoscenza e

che riguardano la città dopo la conquista dei Franchi (774 d.C.), un particolare periodo storico dal

quale giungono lontane ma importanti segnalazioni come quella dello Studio Araldico Genealogico

italiano che, nelle ricerche della Famiglia Piacenza, nel volume “Origini e storie della Casata, (pag.

30), sottolinea che attorno all’anno 1000 “si hanno le prime notizie della casata Piacenza, famiglia

originaria dell’omonima città in cui i suoi uomini si distinsero come soldati e cavalieri”.

I Piacenza e la città delle loro origini

Abbiamo quindi appurato (Istituto Genealogico Italiano di

Firenze) che i Piacenza “….traggono lo loro origini dalla città

omonima…”, dove, conferma nuovamente lo Studio

Genealogico, “….si distinsero particolarmente nelle armi….”.

In realtà il Crollalanza li indica come “originari della

Lombardia” (Vol. 2 pag. 277) ma, le ricerche hanno

convalidato l’ipotesi che, con uno o più rami, i Piacenza

siano presenti nella città emiliana già nel periodo dei

Valvassori (I Vassalli dei baroni) come condottieri e Capitani

d’Arme, probabilmente con uomini al loro servizio e con

piccoli possedimenti per i quali il casato comincia a

reclamare lo stesso diritto di ereditarietà che i grandi

feudatari avevano conquistato già nel IX° secolo.

La casata Piacenza, secondo quanto ci è dato a sapere, sembra assumere una maggiore

importanza dopo l’emanazione della “Constitutio de Feudis”, con il quale l’Imperatore Corrado II°,

nel 1037, accoglie pienamente tutte le richieste dei piccoli feudatari, anche se, in realtà, il “peso”

dei Piacenza nella società cittadina sembra essere legato principalmente più ai gradi militari che

non alle cariche politiche, dalle quali il Casato sembra essere escluso.

Quando nel 1095 si svolge il Concilio di Piacenza e Papa Urbano II° accoglie le richieste fatte dagli

ambasciatori dell’Impero d’Oriente di un aiuto militare per la difesa della Cristianità contro i

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Turchi, alcuni uomini del casato Piacenza sono presenti nelle schiere dell’Esercito come

comandanti di centinaia di armigeri, contribuendo alla sicurezza e alla difesa della città divenuta

Comune nel XI° secolo, quando lo sviluppo sociale porta all’organizzazione delle Corporazioni di

Arti e Mestieri, la fine del potere del Vescovo e la creazione, nel 1126, della nuova figura del

Console.

Della casata Piacenza in questo particolare periodo storico, non abbiamo documentazione

sufficiente per decretarne lo “status” e le responsabilità sociali, politiche e militari se non alcuni

“documenti familiari” che citano di due personaggi, il primo, Michele da Piacenza, dedito ad un

commercio non meglio specificato ed un secondo, che ritroveremo più avanti nel nostro

“racconto”, un certo Ottaviano da Piacenza, Comandante di una compagnia di soldati e cavalieri

per la difesa della città.

In questo periodo ed in questo territorio opera un certo “Piacentino”, giurista e glossatore

medievale italiano, appartenente alla scuola dei glossatori civilisti, fondatore della scuola di diritto

di Montpellier. Il Piacentino, chiamato anche “De Piacenza” nasce proprio a Piacenza nel 1130,

discepolo dei primi glossatori bolognesi, insegnò a Mantova dove scrisse il De varietate actionum

(Summa Mantuana) e poi allo Studio bolognese, dove tenne la cattedra di diritto civile dal 1166.

Nel 1170 abbandonò Bologna, probabilmente per dissidi di natura politica con i colleghi bolognesi

in quanto le sue idee politiche erano contrarie all'imperatore Federico Barbarossa, e passò a

Montpellier, dove portò i nuovi insegnamenti del rinato diritto romano. Tornato in Italia nel 1183,

ritornò nuovamente nel 1189 a Montpellier, dove rimase fino alla morte, avvenuta probabilmente

nel 1192.

Federico Barbarossa, incoronato Re a Pavia (1154), sceglie proprio la città di Piacenza (Dieta di

Roncaglia, 5 dicembre 1154) per emanare precise ed impopolari norme che frenano bruscamente

le aspirazioni di autonomia dei neonati Comuni del Nord. Dopo avere ricevuto l’investitura dal

Papa a Roma nel 1555 e aver distrutto Tortona, nella sua seconda calata, nel 1558, sconfigge

Milano e, nella seconda “Dieta di Roncaglia” dell’11 novembre 1558, costringe i Comuni a

riconoscere la sua autorità, imponendo dei propri Podestà

Imperiali.

Il confronto sempre più aperto con il nuovo Papa

Alessandro III°, la distruzione di Milano e le minacce a tutti

i Liberi Comuni Italiani, portano, il 7 aprile 1167, al

Giuramento di Pontida, in cui molti Comuni del Nord si

riuniscono nella “Lega Lombarda” per contrastare

l’egemonia dell’Imperatore. Tra i Comuni firmatari

dell’accordo fanno parte Bergamo, Brescia, Cremona,

Mentova, Milano, Lodi, Parma, Ferrara, Modena, Bologna,

Novara, Vercelli, Tortona, Varese, Como, Asti, Alessandria,

Reggio Emilia, Pavia, Verona, Vicenza, Padova e,

naturalmente, Piacenza. Il Comune invia 200 combattenti

e cavalieri (“A lancia e spada” – Giorgio D’Ilario – 1994) e

tra loro diversi “Piacenza” tra i quali ritroviamo Ottaviano

da Piacenza, già Comandante di truppe nella difesa della

sua città. Anche lo Studio Araldico Genealogico per le

Origini e la Storia del casato, sottolinea che alcuni valorosi della famiglia Piacenza “(….fiorente fin

dai primi anni del 1000)…..combatterono a Legnano a fianco della Lega Lombarda….. travolgendo

le forze del Barbarossa il 29 maggio 1176”.

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La ritrovata autonomia del Comune di Piacenza è l’inizio di una nuova ed importante fase del

casato che vede riaffermate le virtù combattenti dei suoi uomini, ricevendone in cambio

innumerevoli benefici e favori. “….dalle lotte dalle fazioni di quei tempi, ne trassero profitto gli

antenati della Casata Piacenza, facendosi Signori nelle loro terre d’origine con plausi e domini

alternati sotto il titolo di Conti e di Baroni e con la conquista di immensi possedimenti feudali….”

(Origini e Storie – Studio Genealogico “Del Verme”).

In realtà, dalle ricerche effettuate non è stato possibile accertare quali fossero stati gli “immensi

possedimenti feudali” dei Piacenza ne rintracciare documenti che possano segnalare le terre

governate dal casato piacentino; sappiamo solo che i possedimenti ci furono ed erano posizionati

fuori dalle mura della città emiliana. Sappiamo inoltre con sicurezza che, dopo la vittoria sul

Barbarossa, il casato fu insignito di maggiore autorità come confermano i titoli di Conti e Baroni di

cui furono insigniti.

Il “Conte” sembra infatti rispecchiare le caratteristiche assunte dalla famiglia nel campo militare;

“Coll’inizio dell’organizzazione medievale…. (i Conti)….furono inviati a reggere la città nel militare,

con armati propri, sia per tenerle in soggezione, sia per le leve di soldati da scegliersi solo tra i

possidenti, essendo esclusi dal servizio militare i nullatenenti. A queste mansioni militari si

aggiunsero quelle di far pagare i tributi a tutti coloro che lo dovevano ed anche l’amministrazione

della giustizia…..Dapprima la carica era personale, poi cominciò a passare nei figli divenendo così

ereditaria……..” (“Dizionario Araldico” – Guelfi Camajani - Pag. 159-160-161).

Anche la concessione del titolo di Barone è confermata da una consuetudine che lo vedeva

concesso anche a chi non ne aveva le prerogative ma che aveva dimostrato coraggio ed ardimento

con gesta talmente importanti da assurgere alla nuova nobiltà, come fu per gli uomini del Casato

Piacenza. “….Vi furono Signori di provincia i quali non avendo prerogative feudali, ottennero di

essere infeudati sotto questo titolo delle terre che avevano in beneficio, ed anche di quelle che

avevano in proprietà……Nell’Alta Italia e Toscana….(questo titolo)….fu sempre titolo di nobiltà….”

(Dizionario Araldico – pag. 76).

Ad incrementare importanza e nobiltà della casata, verso la fine del XI° secolo, è la nascita di un

istituto che avrà grandissima importanza lungo tutto il Medioevo;la Cavalleria, una corporazione di

“guerrieri professionali”, formata in genere dai “cadetti” (figli non primogeniti) esclusi dalla

successione feudale e quindi spinti a procacciarsi al di fuori del feudo famigliare, gloria e denaro.

Questa corporazione che aveva anche la facoltà di

creare nuovi cavalieri che avessero i requisiti della

nobiltà e della destrezza d’armi, diventa per molti

Piacenza un ideale di vita che li porta ad eccellere e

a distinguersi nelle battaglie e nei tornei

cavallereschi attraverso i quali ottengono vittorie

ed onore. Una delle occasioni in cui i Piacenza non

mancano di eccellere è la disfida che avviene nel

1158 tra i cavalieri cremonesi e quelli piacentini, periodo in cui i Piacenza vengono elevati nella

propria nobiltà con l’affermarsi della propria arma (lo stemma) che iniziò a distinguerli tra i

numerosi uomini d’arme.

Da questi ed altri avvenimenti “……emerge l’importanza storico-nobiliare che ebbe (la Casata)….nel

passato per le distinzioni ed i privilegi araldici conseguiti dai suoi appartenenti……” (Studio

Camajani – Genova).

La nobiltà e l’importanza dei Piacenza è confermata anche dal fatto che “…..ebbero Stemma

gentilizio e goderono di Nobiltà……” (Archivio Uff. Roma – Vol. 1038 , pag. 277A), un’importanza

riconosciuta anche dal libero Comune piacentino che volle alcuni del casato (probabilmente tra

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loro un certo Ottavio Piacenza) nella preparazione e stesura dei documenti per i preliminari di

pace con l’Imperatore che, ancora una volta, si svolsero nella città di Piacenza. (AAV – Storia

Medievale – 1969) per poi essere ratificati a Costanza il 25 giugno 1183.

Ma, come per tutti, anche per i Piacenza giunsero momenti più difficili e travagliati, soprattutto

quando i rapporti tra il Comune ed il Papato ebbero i primi allarmanti scossoni ed anche all’interno

dello stesso Comune, iniziarono le faide e le lotte tra le fazioni avverse dei Guelfi e dei Ghibellini. I

primi sostenevano il Papa, i secondi invece appoggiavano l’Imperatore, o meglio, avversavano ogni

ingerenza dei Pontefici negli affari dell’Impero in un periodo storico assai travagliato ed incerto.

Anche per i Piacenza, nel conflitto cittadino, giunse dunque il momento di schierarsi apertamente

per l’una o l’altra fazione e le indagini storiche ci dicono che il Casato parteggio per i Guelfi,

seguaci del Papato. Non conosciamo i particolari degli avvenimenti che seguirono ne i

coinvolgimenti socio politici che il casato ebbe ad eseguire o subire in virtù della sua scelta, ma

sappiamo con certezza che, un anno prima della firma della Pace di Costanza, i cui documenti

furono approntati anche dai Piacenza, un ramo della casata piacentina lasciò il Comune emiliano,

come conferma G.B di Crollalanza (Dizionario Storico-Blasonico – Vol. 3 pag. 277) affermando che

“….un ramo della casata Piacenza…..si trapiantò in Genova nel 1182….”.

Le ricerche effettuate non ci hanno indicato le motivazioni di questa partenza, la quale può essere

avvenuta a causa di avvenimenti politici, nelle lotte tra Guelfi o Ghibellini, oppure, con maggiore

probabilità, su invito della Repubblica Genovese che offrì ai Piacenza importanti incarichi politici e

militari come potrebbe confermare anche la ricerca dello Studio Araldico-Genealogico Italiano

(Pag, 1 – 1992) che afferma; “……..Attraverso i secoli la prosapia (“stirpe” , “casata”) dei Piacenza

si diramò in diverse località italiane, dove i suoi uomini occuparono cariche di primissimo piano,

consolidando sempre più le loro prerogative feudali e nobiliari……”.

I Piacenza a Genova Nel 1182 Genova assume, con la Pace di Costanza (che

sarà ratificata l’anno seguente), le prerogative feudali

e comunali, come quelle garantite alla Lega, con la

cessione delle regalie, il riconoscimento delle libere

elezioni dei Consoli, la libertà di costruire fortificazioni,

di stringere alleanze, di armare un proprio esercito e

dirimere tutte le cause civili e penali.

L’arrivo del ramo dei Piacenza, proveniente dalla città omonima, coincide anche con grandi frizioni

tra la città ligure e Pisa, entrambe impegnate nel tentativo di penetrazione nelle isole di Corsica e

Sardegna. La grande esperienza militare e diplomatica dei Piacenza viene quindi subito messo alla

prova dal governo genovese che assegna a Pietro Piacenza l’importantissimo incarico diplomatico

di ristabilire accordi pacifici con Pisa, iniziativa che il neo diplomatico porta a termine con il

Trattato di Pace le due potenze marinare nel 1188, approfittando “….delle favorevoli occasioni, per

le discordie civili dei Guelfi e dei Ghibellini che gettarono la Città di Pisa nei lutti e nelle infamie…..”

(Origini e Storia – S.A.G.I. – pag. 1 – 1992).

L’inserimento e l’efficiente integrazione della famiglia Piacenza nella struttura socio-politica

genovese è comprovata dai numerosi altri incarichi militari e diplomatici che il casato ebbe per

conto del governo con la partecipazione di uomini, mezzi ed iniziative finanziarie alle spedizioni

economico-militari della 3° e 4° Crociata (1188 – 1204) che convalidarono la loro reputazione e la

loro nobiltà in un momento nel quale la potenza navale genovese pone basi ed empori in territori

lontani con l’acquisto di numerose colonie.

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In questo periodo vanno segnalate altre “migrazioni” dei Piacenza che a volte determinano anche

un cambiamento di cognome, fatto ancora usuale nel medioevo e al quale la casata non è affatto

estranea. Un ramo dei Piacenza proveniente dall’omonima città, dove viene chiamata anche “dei

Paccagnoti” si porta in Veneto ed assume la denominazione di “Piacentini” ponendo la propria

dimora in Creola (ora frazione del Comune di Saccolongo) e Selvazzano, nei Territori del padovano.

“….Il primo di questa famiglia di cui si serba il ricordo è Jacopo, per due volte Podestà di Padova nel

1210 e 1217, il quale ricevette in feudo e vassallaggio dai Conti e dai Maltraversi di Padova, i beni, i

molini e castelli delle ville di Creola e Selvazzano, venendo ascritto tra i nobili cittadini padovani.

Bartolomeo, nel 1390 venne da Francesco I di Carrara costituito Pretore della carta Carrarese per

la sua probità e giustizia…..” (G.B. di Crollalanza (Vol. 2 pag. 326).

A Genova, i Piacenza, inseriti stabilmente nelle cariche sociali e militari, vivono, come tutti, le

numerose turbolenze politiche interne ed esterne con i movimenti popolari che dal 1250 iniziano

ad incrinare il potere dei nobili e portano nel 1257 ad un accordo tra i rappresentanti del Popolo e

le famiglie Ghibelline dei Doria e degli Spinola con l’elezione del Primo capitano del Popolo

Guglielmo Boccanegra, al quale viene affidato il governo della città per dieci anni. Ma la situazione

politica è sempre in grande fermento e non tutti i genovesi, naturalmente, sono d’accordo con il

Boccanegra, e tra questi anche la famiglia Piacenza, di fede Guelfa. I Fieschi, potente famiglia

genovese, in un primo momento di parte Ghibellina, riescono a fare eleggere al suolo pontificio

Fieschi Sinibaldo (Innocenzo IV°), passando dopo la sua elezione (11 luglio 1276) nelle schiere dei

Guelfi, dove anche i Piacenza sono coinvolti nei contrasti, nelle lotte e nelle congiure. Inizia un

periodo travagliato per Genova e per i Piacenza con situazioni che si alternano vorticosamente. Da

questo momento si perdono le tracce della famiglia Piacenza, probabilmente costretta all’esilio

dalla prima cacciata dei Guelfi dalla città nel 1284 e, successivamente, per l’avvento di Simon

Boccanegra che, impostosi ai disordini nel 1339, prende il potere come primo Doge di Genova,

cacciando le grandi famiglie dei Doria, Fieschi, Spinola e Grimaldi ed allontanando i Guelfi da tutti

gli incarichi.

Dopo soli cinque anni dai tragici avvenimenti, una congiura del patriziato genovese, alla quale

sembra non siano estranei i Piacenza, depone il Boccanegra dalla sua carica, ponendo a reggere le

sorti dell’amministrazione pubblica i “Dodici savi della Repubblica di Genova” tra i quali vi figura,

nel 1349, l’importante personalità politica di Francesco Piacenza (G.B. di Crollalanza – Vol. 3 pag.

277) con il quale la famiglia riacquista la nobiltà e gli incarichi di un tempo.

L’ultimo tentativo del Boccanegra di tornare al potere è del 1356,

riuscendo a mantenere la sua carica sino al 1363 quando i nobili lo fanno

avvelenare durante un banchetto.

In questo periodo si hanno notizie di altre trasmigrazioni dei Piacenza

che, dalla città emiliana e modificato il cognome in Piacentini, si

trapiantano in Castelfranco Veneto nel 1370; famiglia, scrive il Crollalanza

che “….diede Provveditori alla Patria, notari, uomini d’arme, cavalieri e

scienziati…..”.

A Genova, dopo il potere dei Dogi Domenico Fregoso (1370) e Antoniotto

I Adorno (1383), la repubblica ligure perde la sua indipendenza passando

sotto il controllo di Carlo V di Francia nel 1397. A questo dominio si

susseguono quello del Marchese del Monferrato (1409), Filippo Maria

Visconti (1421), Carlo VII di Francia (1458) e del Duca Francesco Sforza (1463) sotto i quali la

famiglia Piacenza accede nuovamente ai vertici amministrativi della città con Giacomo Piacenza,

eletto Anziano della repubblica Ligure nel 1432, 1435 e 1468 (G.B. di Crollalanza – Vol. 3 pag. 277).

Nel 1528, riconquistata Genova la propria indipendenza, la Famiglia Piacenza sarà ascritta nella

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Consorteria dei Doria, una “associazione di famiglie nobili” avente lo scopo di reciproca difesa, con

in comune case fortificate, amministratori e formazioni militari.

Nel 1536, un “…Francesco Piacenza, da Genova si porta in terra francese dove, sotto Carlo VIII° è

esimio Giureconsulto…..” (Istituto Genealogico Italiano – pag. 1 – 1992)

Due condottieri Tra i numerosi soldati e capitani d’arme che i (da) Piacenza offrirono al loro tempo, vale la pena

ricordarne almeno due. I documenti dell’epoca ci parlano di un Dondaccio da Piacenza, fuoriuscito

piacentino, Signore di Castel San Giovanni e del tratto del piacentino che va dalla Luretta e dal Po

al confine di Bobbio e del Mezzano. Nel 1331 è Podestà di Ravenna per conto della Santa Sede, Nel

1332 è Podestà di Rimini. Nel 1336, con i milanesi, assedia in Piacenza Francesco Scotti. Nel

febbraio 1339 , combatte la Compagnia di San Giorgio di Lodrisio Visconti ed è fatto prigioniero

nella battaglia di Nerviano, dove si fa notare per il suo valore. Con la vittoria diCanegrate è liberato

e viene armato cavaliere. Nel 1341 è Podestà di Firenze e nel 1344 Podestà di Bergamo. Sempre

nel 1334 è’ citato a giudizio con il fratello Giovanni dal podestà di Piacenza Giovanni da Bileggio,,

per avere imposto un nuovo dazio per le imbarcazioni che passano sul Po al ponte di Fodesta:

dopo un anno sono riconosciuti i suoi diritti che risalgono a vecchi privilegi concessi

dall’imperatore Enrico II ai suoi avi. Nel 1349 è Podestà a Ferrara e nel 1350 è ambasciatore di

Obizzo d’Este presso il Papa Clemente VI. Nel 1354 è a Mantova con Carlo di Boemia, che gli dà la

dignità di nobile dell’impero e gli concede in feudo Castel San Giovanni e la val Tidone. Nel 1355 gli

sono confermati dall’imperatore, da Siena, i propri privilegi. A Pisa è nominato suo consigliere e

famigliare. Ritorna a Ferrara ed è eletto dall’Este Capitano generale e combatte i viscontei agli

ordini del vicario imperiale Astorgio Markwald. Nel 1358, per le sue benemerenze, è inscritto dal

doge Giovanni Dolfin alla nobiltà veneziana. Nel 1360 l’imperatore emana da Norimberga un

proclama che lo esenta dal pagamento di qualsiasi gabella nei territori da lui controllati. Nel 1363 è

Podestà a Firenze. Nel 1365 Papa Urbano V gli concede una rendita di 150 fiorini l’anno. Si reca ad

Ancona ed il cardinale Egidio Albornoz lo infeuda di Pietracuta, dietro il censo annuo di 2 fiorini.

Nel 1371 la Santa Sede gli riconosce altre terre in Romagna nei contadi di Cotignola e

Bagnacavallo. Nel 1390 Muore a Ferrara e viene sepolto a Piacenza nella chiesa di San Francesco,

davanti all’altare di una cappella da lui fatta edificare. La seconda figura che segnaliamo è

l’architetto militare Agostino (da) Piacenza che, soprattutto in Toscana, fu al soldo di diversi

Signori in molte vicende di guerra. Nel 1453, come architetto militare dei senesi, fermò i fiorentini

alla Porta Camollia a Siena gettando contro di essa dei giavellotti imbibiti in un liquido di sua

invenzione che non poteva essere spento con l’acqua. Diresse l’artiglieria senese all’assedio di

Sorano nel 1454 poi i suoi servigi furono richiesti da Federico di Montefeltro (1457) ed ebbe anche

l’incarico, nel 1458, di costruire una diga sull’Arbia presso Buonconvento. Nel 1461 stipulò un

contratto con la Camera Apostolica per la costruzione di pezzi d’artiglieria. Lo stesso anno affiancò

il Montefeltro all’assedio di Palombara ed fu poi, come Capitano d’Artiglieria, con i partigiani di

Giovanni d’Angiò. Morirà nel 1463. Per molti storici fu “ … uno degli artefici più rinomati del suo

tempo, come fonditore, bombardiere ed architetto”.

Altri rami dei Piacenza Altri rami dei Piacenza, originari della Lombardia ma stabilitisi nella città omonima in epoca

medievale, si portarono a fiorire in diverse località italiane. Da ricordare, tra le figure ecclesiastiche

del tempo un Cardinale Pietro Piacenza del quale abbiamo pochissime notizie e del quale

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sappiamo solamente la data di morte, mentre il luogo di sepoltura viene indicato genericamente

come S. Cecilia.

Nel XIV secolo, i primi Piacenza (i Piacenzi) a stabilirsi in Crema sono i fratelli Antoniotto e

Ludovico, “…figli di Pierotto di Cogno, piacentino, i quali furono Capitani di Bernabò Visconti, Duca

di Milano….. Antonio, nel 1512 ottenne una Compagnia di 200 fanti al servizio dei Veneziani

(durante la cruenta Guerra della Lega Santa). Francesco, detto il Capitano Colla, nel 1536 militò in

Francia. Nella Guerra di Cipro si segnalarono Giovanni, Antonio e Scipione, il primo dei quali cadde

prigioniero nella difesa di Famagosta, l’altro creato Governatore di questa piazza nel 1570 morì

gloriosamente all’assedio di quella città. Verso la metà del XV secolo fiorì un Francesco Piacenza,

esimio Giureconsulto, il quale fu Pubblico Lettore di legge in Siena….”

Della stessa origine piacentina sono i “Piacentini” di Verona, “….famiglia antica e fregiata del titolo

comitale palatino. Nel 1350 viveva un Antonio, celebre medico. Francesco e Gabriele ottennero

l’aggregazione al Nobile Consiglio, il primi nel 1438, l’altro nel 1494….”

(Crollalanza Vol. 2 pag. 326).

Di questo periodo è d’obbligo ricordare la figura di Giovanna (da) Piacenza (Parma 1479 – 1524),

figlia di Marco, patrizio parmigiano appartenente alla famiglia ghibellina delle Tre Parti, e di

Agnese Bergonzi appartenente invece alla famiglia guelfa del partito rossigno.

Vivace intellettuale, Giovanna Piacenza, (vedi stemma nobiliare a

fianco) eletta badessa del monastero di San Paolo in Parma a ventotto

anni (1507), si rivolse al Pontefice per chiedere la sua protezione

contro gli usurpatori dei beni, dei libri, delle ragioni e delle scritture

spettanti al suo monastero: il Santo Padre le diede ragione con un

Breve che minacciò di scomunica gli usurpatori. A lei si deve

l’esecuzione degli stupendi affreschi dipinti nel 1518 da Antonio Allegri

detto il Correggio, per una camera del monastero.

Presumibilmente dopo che il Ducato Aragonese venne riunito al regno

di Napoli, sotto la dominazione spagnola (1558), “….un ramo del ceppo

genovese si portò a fiorire nelle province meridionali d’Italia, dove fu

ascritto alla Nobiltà della Città di Bari. Quivi si fregiarono di arma differente da quella antica del

ramo genovese….” (Origini e storia – S.A.G.I. – Pag.1). Assai curioso è il fatto che lo stemma

nobiliare dei Piacenza di Bari, sia identico a quello dei Piasenza di Verona, probabilmente ad

indicare la stessa origine con un ramo che portatisi in terra veneta ne assunse anche la dizione

dialettale locale del proprio cognome.

Altre derivazioni del cognome con la probabilità che abbiamo la stessa origine si possono

riscontrare nelle famiglie Piacenti di Firenze e Piacentini di Bologna ma ormai siamo giunti al 1600

con una serie di trasformazioni, aggiunte, modifiche dei cognomi e con una serie di trasmigrazioni

delle famiglie originarie in più luoghi d’Italia, da rendere ormai impossibile ricucire un filo che

possa ricondurre ad una identica origine delle famiglie;“….le trasmigrazioni di questa stirpe dei

Piacenza, dovettero, attraverso i secoli, essere frequenti e spesso si accavallarono durante le

furiose tempeste di guerre e di conquiste…..” (Origine e Storia del Cognome . Pag. 1).

Di questo periodo si hanno notizie della stabilizzazione di diverse famiglie Piacenza in Lombardia

(nel bresciano e nel cremonese) e, successivamente in terra piemontese.

I Piacenza in Piemonte Con molta probabilità, già dai tempi del medioevo una famiglia Piacenza, migrata nel cremonese,

si trasferisce in Piemonte, nel biellese, una presenza confermata verso la metà del 1600, periodo

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nel quale la famiglia è radicata in un territorio che vede il susseguirsi del potere dei Duchi di

Savoia, dei Francesi e degli spagnoli, per poi giungere alla liberazione di Torino di Vittorio Amedeo

II° e del principe Eugenio (1706) e al definitivo ritorno dei Savoia, dopo i trattati di Utrecht (1713) e

di Rastadt (1716).

Come per i loro antenati, anche questi Piacenza mostrarono subito carattere ed inventiva e molti

di loro “…. Si segnalarono nella magistratura, nell’ingegneria, nell’industria e furono chiari

scrittori……” (Studio Araldico Camajani – Genova – Prot. 19891 / 89).

In questi anni si trovano le prime tracce della tradizione laniera della Famiglia Piacenza che

risalgono alla fine del 1600. Purtroppo un incendio del 1812 manda alle fiamme parte dell’Archivio

Storico della famiglia, cancellando importanti notizie ma lasciando intatti preziosi documenti

datati nei primi anni del 1700.

Nel 1733, a Pollone, borgo delle Prealpi Biellesi, con Pietro Francesco Piacenza ed il figlio

Francesco, nasce ufficialmente il Lanificio Piacenza “….fra i più antichi della storia conosciuta.

Certo il più antico a gestione di continuità così assolutamente familiare……” (Archivio Piacenza). Un

antico documento datato 1750 rivela la vendita in perpetuo dei diritti d’acqua del Torrente Oremo

del Comune di Pollone alla famiglia Piacenza.

Un incendio, nello stesso anno, distrusse gli archivi del comune di Pollone. I soli documenti salvati

risalgono ai primi del 1700 e da essi si può presumere che la manifattura tessile a Pollone avvenne

ad opera di Francesco Piacenza (1727-1796). Già nel 1783 l'azienda si avvaleva della

collaborazione di un centinaio di persone;

In un epoca in cui le varie operazioni di filatura, tessitura

e finissaggio della lana e dei tessuti vengono tutte

eseguite dagli abitanti della zona nelle rispettive

abitazioni, l’iniziativa imprenditoriale dei Piacenza è un

fatto veramente rivoluzionario per l’economia di un

vastissimo territorio piemontese e si può certo vedere

come una delle prime importanti avvisaglie della

Rivoluzione Industriale che tra poco travolgerà l’intera

Europa.

Da rimarcare anche le soluzioni adottate nel sociale

come la progettazione del "fabbricone", destinato ad ospitare al piano terra gli ambienti

produttivi ed al primo piano le abitazioni degli operai per consentire agli stessi un agevole modo di

raggiungere il posto di lavoro.

Tra i Piacenza piemontesi, ricordiamo Giuseppe Battista (1735 – 1818) di Simone, Direttore dei

lavori nei Regi Palazzi, che studia architettura sotto il Conte Alfieri, uno dei migliori architetti

italiani del ‘700 piemontese. Nel 1773 Giuseppe Battista Piacenza è nominato Architetto di S. M. e

con l’architetto Carlo Randoni è l’autore dei progetti per la balaustra del trono di re Vittorio

Amedeo III°, realizzato nel 1778 e sito nella sala del Trono del re, nel Palazzo Reale di Torino. Nel

1790 viene nominato Capitano nel Reale castello di Chambery, feudo dei Savoia sin dal XII° secolo

e residenza reale dal 1560. Nel 1796 il Piacenza è nominato Primo Architetto Civile del re. Nel

1816, dopo il Congresso di Vienna, Giuseppe Battista è nominato Membro della Reale Accademia

di Torino, distinguendosi anche come scrittore di materie architettoniche.

Un Giovanni Battista Piacenza, di Giovanni Francesco, nato nel 1782, laureatosi in legge nel 1801,

si indirizza alla Magistratura e nel 1809 viene nominato Procuratore Imperiale a Pistoia, quindi a

Livorno. (Ricerca Genealogica S. A. Camajani – Genova – Vol. 1707, pag. 83). Giovanni Battista

divenne presidente della Corte di Appello di Torino e partecipò alla stesura dello Statuto Albertino.

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Del ceppo piemontese di Pollone va ricordato Carlo Antonio Piacenza che nel 1819 apre due nuovi

stabilimenti lanieri, ed il figlio Giovanni che amplia e rinnova le lavorazioni tessili degli stabilimenti

ormai conosciuti in tutta Europa. Cavour, che fu ospite dei Piacenza a Pollone, definì Giovanni un

imprenditore aperto e illuminato.

Momento di grande ripresa economica dell'azienda si ebbe con Giovanni Francesco (1811-1883),

figlio di Carlo Antonio. Fu impostata un'industria al passo coi tempi e con i nuovi indirizzi della

moda. Carlo Antonio si alternò con il fratello Gregorio alla guida dell'azienda, mentre l'altro

fratello Delfino aveva la responsabilità commerciale della vendita della sede torinese ed inoltre

curava i rapporti commerciali con inglesi, francesi e belgi.

Giovanni Francesco ebbe il grande merito di introdurre per primo in Italia i tessuti a disegno

colorato che riscossero un grande successo in un mercato dove dominava la tinta unita. Questa

grande intuizione fu premiata da una medaglia d'argento nel 1832 in occasione dell'esposizione di

Torino e due di oro, di cui una nel 1844 a Torino ed un'altra nel 1854 a Genova. Giovanni

Francesco fu anche, come suo padre, sindaco di Pollone nel 1842.

Il Risorgimento, i moti rivoluzionari e le guerre d’Indipendenza non fermano le iniziative industriali

dei Piacenza entusiasti delle nuove idee di libertà e di unificazione nazionale. Quando nel 1859 gli

eserciti francesi e piemontesi affrontano vittoriosamente le truppe austriache a Solferino e S.

Martino, la gioia dei Piacenza è immensa, un momento questo riportato anche su una tela che

mostra la famiglia Piacenza a Pollone brindare gioiosamente alla notizia della vittoria piemontese.

Appassionato di giardini, forse

ispirato da quelli inglesi, Giovanni

iniziò anche i piantamenti sul

colle della Burcina, la cui opera fu

poi proseguita e arricchita da

un’ampia raccolta di rododendri,

all’epoca sconosciuti in Italia, dal

figlio Felice, che ebbe contatti con

i principali botanici del momento.

Felice Piacenza, continuatore

della tradizione laniera, nel 1900,

fu tra le figure più singolari e

all’avanguardia del mondo

industriale biellese. Primo Presidente dell’Unione Industriali Biellese, dotò l’azienda di uno dei

primi impianti idroelettrici progettati da Galileo Ferraris, creò un secondo lanificio a Torino, fondò

nel 1911 il Lanificio-Scuola Felice Piacenza, erro poi ad Ente Morale, convinto della necessità di

istruire, e non solo in modo teorico, operai specializzati per fare fronte alla forte concorrenza

straniera.

Cavaliere del lavoro, dalla fondazione dell’Ordine, Ufficiale della Corona del regno d’Italia e

Commendatore di S. Maurizio, Felice Piacenza, due anni prima della morte, a 94 anni, fu anche

autore di un libro su Pollone. Fu interessato all’arte, alla botanica, alle innovazioni scientifiche e

seppe comunicare gli stessi entusiasmi anche ai suoi tre figli Guido, Mario ed Enzo.

La ditta Piacenza, entra nel nuovo secolo con grande prestigio ed inventiva, aggiungendo a quanto

sino allora coltivato con grande interesse, come le Armi, la Politica, l’Architettura, la Magistratura,

l’Industria e la Botanica, anche l’Esplorazione, il Volo, l’Archeologia e l’Alpinismo.

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Il figlio di Felice, Guido, sin da giovane interessato all’aerostatica e alla nascente aeronautica,

prese parte alle principali gare del tempo, come la Gordon Bennet che si disputava a Zurigo e nel

1910 conquistò il record italiano d’altezza (9.400 metri) con il suo pallone “Pegaso” mentre,

sempre nel 1910 è i promotore del primo campo d’aviazione biellese. Un brutto incidente lo

allontanò dal pallone, ma non si arrese: la forte passione per la natura, il desiderio di scoperta lo

spinsero nel 1912 a risalire il fiume Congo e a proseguire fino a Mombasa a piedi e in bicicletta.

Nel 1921, dopo la guerra, dedica la propria attenzione ai lavori di bonifica

dell’Isola di Giannutri, organizzando gli scavi archeologici ed il restauro

della Villa Romana di Domezio Enobardo.

La stessa passione e la stessa forza di carattere animarono anche di più

Mario, fratello minore di Guido. Nato a Pollone nel 1884, si laureò in

legge a Torino e, dopo aver frequentato le principali scuole tecniche del

Belgio e della Germania, entrò nella fabbrica paterna. Sin da giovane

amante della montagna svolse un’attività alpinistica importante sia sulle

Alpi (Monte Bianco, Monte Rosa…..) che sulle catene montuose

extraeuropee.

Nel 1907 ascende le cime del Lyskamm, la Punta Dofour e il Cervino,

sempre per vie sino ad allora inesplorate. Nel 1908 organizza la prima

ascensione invernale del Dente del Gigante. Nel 1910 altre due prime

ascensioni invernali, il Dente d'Herens e il Château des Dames e dirige la

spedizione nel Caucaso dove conquistò il Dich Tau (5.220 metri) per una nuova via. Nello stesso

viaggio salì il Monte Ararat (5.200 metri) in Armenia, il monte Damavand in Persia e nel Turchestan

Cinese il Kindshakai Kok. Nel 1911 compie una celebre scalata del Cervino (4478 metri) per la

Cresta Fürggen, oggi nota come “Via Piacenza”.

Nel 1913 diresse un’altra spedizione nel Kashmir, in Ladakh scalando le vette del Nun Kun di 7.147

metri (primo italiano a superare i 7000 metri)) e del Picco Z3 e, abbandonati i compagni di

spedizione, proseguì con le guide fino al Sikkim (8.500 metri) per una ricognizione nel

Kangchenjunga.

Le sue spedizioni, documentate da stampe e da negativi di qualità e dai due film «L’ascensione al

Cervino» e «Himalaya, Samarcanda e i pozzi petroliferi di Baku», importanti per l’esordio della

cinematografia, suscitarono curiosità tanto che fu chiamato a tenere parecchie conferenze; nel

1930 a Milano venne pubblicato il libro L’Himalaya cashmiriano. Spedizione Piacenza. Relazione

del dott. Calciati. Illustrazioni di Mario Piacenza.

Grazie alla sua esperienza divenne Direttore del Museo nazionale della Montagna di Torino,

incarico che ricoprì fino alla morte che avvenne a Biella nel 1957.

L’ultimogenito di Felice, Enzo Piacenza, porta l’azienda a traguardi straordinari, creando per la

prima industria italiana per i tessuti da donna d’alta moda, esportando alla Haute Couture di

Parigi, Dior, Fath, Belenciaga e quella di New York.

Durante la 2° Guerra Mondiale (1940 – 1945) per le necessità autarchiche del regime, la ditta

impiega peli animali vari in sostituzione della lana ormai introvabile e per questo Enzo Piacenza è

ricevuto personalmente da S. M. il re Vittorio Emanuele III° che si congratula con lui e lo insignisce

dell’Ordine di “Cavaliere del Lavoro”.

La “F.lli Piacenza” fa parte di quel “Gotha” internazionale “Les Hénokiens”, fondata in Francia nel

1981 che raggruppa industrie almeno bicentenarie e che godono di buona salute.

Della passione dei Piacenza per la natura rimangono invece a testimoniarne il valore e la bellezza,

la Villa di Pollone, la Villa Boccanegra ed il Parco Felice Piacenza alla Burcina.

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La Villa di Pollone Felice Piacenza, con il suo tipico giardino, è considerata "dimora storica".

Ampi tappeti erbosi, con percorsi a vialetti irregolari, diffuse specie arbustive acidofile con altre

rarità disegnano un ambiente di grande cultura botanica. Costruita intorno al 1791, la Villa Felice

Piacenza è un edificio imponente ed elegante. Nel 1892 la villa venne ristrutturata e arricchita di

decorazioni dall’architetto Cappello, che ridisegnò il giardino conferendogli le forme attuali e

piantandovi notevoli esemplari di diverse specie botaniche.

Villa Piacenza Boccanegra (Ventimiglia) è un'altra dimora che racconta quanto il rispetto per

l'ambiente sia sempre accompagnato dai valori dell'armonia. Infatti il giardino può considerarsi

uno straordinario "laboratorio botanico" dove vivono

piante di rara bellezza provenienti da tutto il mondo

che definiscono un "assieme" dai toni armonici .

Da un antico toponimo che indicava la terra tra la costa,

l’omonimo impluvio a ponente, la strada romana a nord

e Porta Canarda a est, deriva il nome di questa

proprietà che racchiude in se una storia unica di amore

per il verde e il territorio ligure.

Nel 1865 la proprietà Boccanegra acquistata dai

Biancheri di Ventimiglia passò a Giuseppe Bianchieri,

illustre uomo politico che, amico degli Hanbury e del

botanico Ludwig Winter, si dedicava con passione alla coltivazione delle rose. Rimane oggi a

testimonianza un muro della proprietà ricoperto da rose banksiane. Ai primi del Novecento

avvenne un ulteriore passaggio di proprietà, che stravolse l’aspetto del giardino.

Nel 1906 infatti il Biancheri, suo malgrado, vendette la proprietà a Ellen Willmott, ricca ereditiera

inglese, appassionata di botanica e già proprietaria in Inghilterra di giardini storici. Ellen Willmott si

dedicò personalmente, con competenza e passione, alla cura del giardino e a nuove piantumazioni

di specie esotiche ancora oggi visibili.

Ursula Piacenza dagli anni ’80 del Novecento

conserva in questi luoghi il fascino di uno spazio

verde, prezioso risultato dell’avvicendarsi nel

tempo di gusti, sensibilità, competenze diverse.

L’attuale Giardino della famiglia Piacenza si

estende oggi per 4 ettari e mezzo e si sviluppa a

terrazzamenti a picco sul mare.

Vi si possono distinguere tre aree principali: un

uliveto, una roccaglia di piante grasse e un giardino

d’acclimatazione. Ancora oggi si prosegue con la

sperimentazione botanica al suo interno,

arricchendolo con esemplari provenienti da climi aridi e con andamento stagionale simile a quello

mediterraneo.

Il parco rappresenta una perfetta commistione di piante spontanee e piante coltivate e, grazie alla

varietà delle specie e alla caratterizzazione mediterranea, conserva anche nel periodo invernale un

incredibile fascino. Tra le piante di maggior rilievo troviamo la Rosa “Senateur Lafollette”, coltivata

a Cannes dal giardiniere di Lord Brougham Busby intorno al 1910, l’Arbutus andrachnoides,

l’Aghatis robusta, proveniente dalla Tasmania e unico esemplare nei giardini della zona, il

Pneumus boldus e la Pistacia lentiscus.

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Il Parco Felice Piacenza alla Burcina è un ulteriore esempio del grande amore che la Famiglia

Piacenza ha avuto per la natura. Un parco tra i più ammirati per la rarità e vetustà delle sue piante

ad alto fusto e per la fioritura dei rododendri.

Lo stemma dei Piacenza Lo stemma (o Arma) nasce all’incirca nel 1100, all’epoca delle crociate, della Cavalleria e dei Tornei

cavallereschi allo scopo di identificare con “colori e figure”, anche fuori dalle proprie terre, quei

nobili le cui gesta ed il cui eroismo venivano sempre riconosciute grazie al solo accostamento di

quelle tinte che con tempo divengono il primo sigillo di una nobiltà e di un cavaliere per poi essere

emblema di una intera casata. In realtà anche prima del 1100 esisteva l’uso di avere un distintivo

personale, soprattutto in campo militare ove vi era la necessità di distinguere agevolmente un

gruppo dall'altro, ognuno legato ad un signore o capitano per cui l'individuazione del capo era

sufficiente per identificare tutto il gruppo. “Fin quando il Signore stette nelle proprie terre o là

intorno, necessità non ebbe di alcun distintivo, ma venuto in lontano suolo e confuso colla

moltitudine dei crociati, senti il bisogno di un segnale che lo discernesse dagli altri coperti come lui

dall’armatura……Ufficio dell’Araldo fu, prima di tutto, di riconoscere le armi dei cavalieri alle

barriere dei tornei e di gridare la forma e il contenuto dopo la invenzione delle armi gentilizie che

non data certamente molto tempo avanti la prima crociata. Dovevano quindi conoscere tutte le

regole e le leggi che governavano questa scienza, studiando i diritti della nobiltà, la storia, la

genealogia delle famiglie, i colori e le imprese che le distinguevano…….L’arte araldica ebbe quindi

per culla le crociate, per idea il capriccio dei cavalieri, per espressione la figura, per manifestazione

il simbolo…………..” (Dizionario Araldico – pag. 526)

Nacque dunque la scienza araldica con la necessità di avere regole

precise e la capacità di “blasonare” l’arma, cioè di spiegarne e

raccontarne i contenuti, i colori, gli smalti e le figure. “…il primo

trattato che si conosca del Blasone apparve in Francia verso il

1180 sotto il Regno di Filippo Augusto…..” (Dizionario Araldico –

Pag. 394) ma altri poi seguirono dando vita ad una serie di volumi

araldici capaci di racchiudere queste armi, i loro colori e la loro

nobiltà.

L’evoluzione della scienza araldica portò alla istituzione, da parte

di vari sovrani, di collegi araldici che assunsero il compito di

catalogare tutti gli stemmi esistenti nella struttura sociale cui

appartenevano, di regolarne l'uso, di concederne ed autorizzarne

di nuovi, adottando una serie di regole alquanto rigide ma diffuse

ed accettate praticamente su tutto il territorio continentale

europeo.

Le regole avevano come obiettivi principali:

1. le norme per il riconoscimento degli stemmi esistenti e la concessione dei nuovi (lettere

patenti, diplomi, bolle, ecc);

2. il linguaggio da impiegare per la descrizione degli stemmi e la loro comunicazione a

distanza;

3. i vincoli da porre nella fase di ideazione o modifica degli stemmi, evitando o

regolamentando l'uso di elementi araldici ormai collegati a particolari individui o entità.

Col tempo gli stemmi, prima impiegati esclusivamente come simboli distintivi di condottieri

militari o cavalieri, divennero elemento distintivo di tutti coloro che avessero, o ritenessero di

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avere, motivi per distinguersi dagli altri. Quando poi l'uso degli stemmi venne regolamentato dal

sovrano, questi divennero praticamente coincidenti con i titoli di nobiltà; solo molto più tardi iniziò

la pratica di concedere stemmi anche a enti, istituzioni ed individui non appartenenti alla nobiltà

locale.

Nella ricerca araldica degli stemmi nobiliari e famigliari, oltre alle notizie storiche, non sempre di

facile usufruibilità, dobbiamo rivolgerci proprio all’Araldica e ai numerosi volumi, alcuni antichi e

preziosissimi, nei quali è possibile ritrovare lo stemma famigliare anche se, è doveroso ricordarlo,

non sempre uno stemma legato ad un cognome, determina che quello sia effettivamente l’arma

dei propri antenati e della propria famiglia d’origine.

A questo proposito, ricordiamo come molte casate di antica nobiltà seppero mantenere col tempo

le loro prerogative ed il proprio blasone, mentre tantissime altre persero col passare dei secoli

anche il solo ricordo del proprio stemma.

Partendo quindi da questi presupposti, abbiamo iniziato la nostra ricerca araldica con la

consultazione di una serie infinita di volumi storico-araldico-blasonici, alcuni di non facile

reperibilità, altri, assai antichi ma fortunatamente ristampati e quindi finalmente accessibili.

Per queste ricerche, oltre all’impegno personale, ci siamo affidati ad Istituti Araldici di provata

fama e serietà, dai quali abbiamo ottenuto importanti notizie, a volte curiose ed inaspettate, ma

soprattutto, ed è questo che volevamo, assolutamente attendibili.

Le notizie in nostro possesso, ci confermano, senza ombra di dubbio, che il casato Piacenza che,

lasciata la città emiliana si portò in Genova nel 1182, ebbe un proprio stemma nobiliare.

Le informazioni dei volumi araldici e degli istituti blasonaci ci guidano anch’esse nella giusta

direzione, affermazioni che così estrapoliamo;

• “…..i Piacenza ebbero stemma gentilizio e goderono di nobiltà….” (Studio Araldico Camajani

– Genova – Vol. 1038, pag. 277A)

• “…..la casata fu insignita di Privilegio Nobiliare e alzò Stemma Gentilizio……” (Studio

Araldico Camajani – Genova – Vol. 1707, pag. 83)

• “…..la casata fece uso di stemma…..” Istituto Genealogico Italiano)

• “….dalle ricerche emerge l’importanza storico nobiliare che ebbe in passato per le

distinzioni e i privilegi araldici conseguiti dai suoi appartenenti……” (Consulenza Legale

Araldica)

• “….la casata Piacenza, a buon diritto, può andare superba

per l’antichità e la nobiltà che la fecero potente nei secoli

passati, così nella valentia dei suoi antenati come nelle

illustrazioni di fasti gentilizi…..” (Studio Araldico “Dal

Verme” – Bari)

Altre ulteriori ricerche hanno confermato l’iscrizione del casato

nei registri nobili del tempo ed appurato l’esatta descrizione dello

stemma che nel Volume 2, alla Pagina 326 del Dizionario Storico

Blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane (G. B. di

Crollalanza, 1886) viene così blasonato; “D’argento alla fascia

doppio addentellata di rosso; col capo cucito del primo, alla croce

del secondo”.

Dalla descrizione, o meglio, dalla blasonatura dell’Arma dei

Piacenza, non solo si può confermare la sua antica nobiltà ma ricavare interessanti notizie utili ad

approfondire la posizione e le peculiarità della famiglia. Il “campo d’argento”, ossia il “fondo” dello

scudo, simboleggia, in araldica, il colore e l’antica appartenenza alla fazione dei Guelfi, come

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conferma anche lo Studio Genealogico Cilentano (pos. 1992)”….l’argento fu il colore dei Guelfi e

dei Bianchi d’Italia”. Il Dizionario Araldico di P. Guelfi Camajani (pag. 50 – 51) approfondisce che,

nella simbologia araldica “….l’argento rappresenta Amicizia, Equità, Giustizia, Innocenza e

Purezza……”.

La “fascia doppio addentellata”, ci dice il Dizionario Araldico (pag. 421), “è pezza onorevole di

prim’ordine……simbolo del cingolo cavalleresco” e, secondo il Pietrasanta “la fascia era la cintura

che fasciando le reni, reggeva la spada dei cavalieri….”, confermano quindi la nobiltà della famiglia

e l’appartenenza alla cavalleria come ci indica lo Studio Del verme; “….la fascia vuole indicare la

sciarpa portata a tracolla dai cavalieri durante i tornei e nei campi di battaglia…..”.

L’importanza di questa particolare pezza araldica è sottolineata da Piero Guelfi Camajani; “….la

rappresentazione del ricevimento della Cavalleria, equivalente nei bassi secoli alla nobiltà, era ben

degna di essere tramandata ai discendenti……I cingolo (la fascia)nel basso impero era segno di

distinzione e di carica ed obbligatorio il portarlo chi lo poteva quando si presentava all’Imperatore;

lo sappiamo dal Codice Teodosiano (VII, 4 , 6 ; XII, 1 , 147). Quindi ancor più necessario per essere

distinti fra i gerarchi, ed innalzarlo negli stemmi “ (Dizionario Araldico , pag. 247).

Lo stemma dei Piacenza che vedeva la “fascia rossa doppio addentellata” dei cavalieri su “campo

d’argento”, colore dei Guelfi, si arricchì presumibilmente più tardi del “capo cucito del primo, alla

croce del secondo”, cioè di una croce rossa in campo d’argento messa in “capo”, cioè nella terza

parte superiore dello stemma. Il blasonatore sottolinea che il capo è “cucito”, ovvero “aggiunto”,

con molte probabilità posteriormente all’arma originale nata dalla cavalleria piacentina. Non

conosciamo il motivo di questa “aggiunta”, possiamo solo ipotizzare che questa modifica sia stata

fatta al ritorno di alcuni Piacenza dalla Crociate o forse dopo il trasferimento dei Piacenza a

Genova, comune il cui simbolo era una croce rossa su bianco, forse come era stata consuetudine

dei Guelfi fiorentini che posero un giglio rosso sul proprio campo bianco, divenuto poi d’argento.

Anche la croce, come la fascia, è “pezza onorevole di prim’ordine” che “occupa la terza parte

superiore dello scudo e simboleggia l’elmo dei cavalieri” (Dizionario Araldico, pag. 107). Uno

stemma semplice, quello dei Piacenza che, molte volte significa di antica origine, come

confermano gli araldisti; “…..Gli stemmi delle antiche famiglie di Venezia,, Verona, Padova,

Bologna, Firenze, Pisa, Siena e Genova (dove i Piacenza furono ascritti alla nobiltà), ci offrono i più

belli esempi di……semplicità ed eleganza araldica” (Felice Tribolati – Grammatica Araldica). Anche

l’Enciclopedia Araldico-Cavalleresca di Crollalanza conferma che “…..le armi più semplici e meno

caricate sono le più belle in virtù di un antico proverbio araldico – Chi ha più ha meno _”.

Concludiamo il discorso sullo “Stemma dei Piacenza”, dando uno sguardo anche agli altri rami che,

portandosi in altra località, avevano modificato il loro stemma, mantenendo inalterate le

prerogative di nobiltà di cui godettero nel luogo d’origine. I Piacenza che, attorno al 1600, si

portarono in Terra di Bari, ebbero la seguente arma; “D’argento, al capriolo d’azzurro,

accompagnato da tre teste di cinghiale 2 e 1, le prime due affrontate” (Blasonario di Terra di Bari).

Eguale arme ebbero anche i Piasenza di Verona (Crollalanza, Vol. 2 pag. 327) che con la loro

migrazione modificarono anche il proprio nome probabilmente a causa delle influenze dialettali.

I Piacentini di Creola e Selvazzano, nel padovano che si chiamavano Paccagnoti o Piacenza

avevano invece la seguente blasonatura;”Partito d’azzurro e di rosso”. (Crollalanza, Vol. 2 pag.

326). Di quel ramo della famiglia Piacenza di cui fecero parte i fratelli Antoniotto e Ludovico

Piacenza, capitani di Bernabò Visconti, non è stato possibile rintracciare alcuno stemma nobiliare,

tanto da far supporre che la modificazione del cognome in Piacenti (famiglia ora estinta), non

abbia di fatto dato vita ad una nuova blasonatura. Pertanto è da ritenersi che anch’essi debbano

fregiarsi dell’arma originale dei Piacenza sopra descritta.

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I Piacenza oggi Il cognome Piacenza oggi è presente in 228 comuni italiani con una maggiore diffusione al nord,

nelle province piemontesi di Torino, Cuneo e Alessandria, a Brescia, Verona e a Bari, nelle Puglie

dove vi è una importante concentrazione già dai tempi passati. Non solo; i Piacenza, dopo le

migrazioni, comuni a molte famiglie del nostro Paese, sono ormai in tutto il mondo, a volte con un

numero di presenze notevoli, come negli Stati Uniti ed in Sud America. Alcuni personaggi con il

nostro stesso cognome hanno fatto fortuna e noi leggeremo con curiosità ed orgoglio le loro gesta

e le loro opere. Altri Piacenza continueranno invece il loro lavoro lontano dai riflettori e dal

clamore. Avremo ancora modo di rileggere vecchie pagine di alcuni Piacenza, quelli della famiglia

laniera di Pollone, quella del Tenente di Artiglieria Guido Piacenza insignito “dell’Ordine della

Corona d’Italia” col grado di cavaliere, già Addetto Militare e Regio Ambasciatore in Russia, quella

di Pietro Piacenza (Racconigi – Cuneo 1879 – 1964), pittore e

compositore o quella dell’arcivescovo Mauro Piacenza

(Genova, 15 settembre 1944) e tante altre ancora.

Quella che un tempo era la casata Piacenza, oggi ha i suoi

uomini sparsi in mille località del nostro pianeta, Canada,

U.S.A., Messico, Venezuela, Argentina, Brasile e altre località

ancora, luoghi che, ancora, come mille e mille anni fa, li

vedono, vivere, sperare, gioire e prosperare. I Piacenza di oggi

non sono più i condottieri e i cavalieri piacentini di un tempo,

ne gli Anziani del Popolo della repubblica genovese; i Piacenza

di oggi vivono semplicemente il loro tempo, sono industriali e

contadini, ingegneri e muratori, ognuno di loro con gli

immancabili pregi e difetti, tutti con la loro storia alle spalle,

tutti con le loro speranze, i propri sogni, tutti diversi ma anche tutti uguali, tutti, magicamente,

sorprendentemente Piacenza.

Bibliografia, siti, enti, associazioni e documenti consultati

• I cognomi italiani - ( Andrea Malossini – Domino – Vallardi , 1997)

• Dizionario dei Cognomi italiani – (Emidio De Felice – Mondadori 1978

• Dizionario Storico Blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane (G. B. di Crollalanza,

1886)

• Dizionario Araldico – (Conte Piero Guelfi Camajani, 1940)

• Dizionario Araldico Wikipedia

• Vocabolario Araldico Ufficiale (Antonio Manno, 1907)

• Archivio storico-araldico italiano

• Codice Carpani

• Stemmario Trivulziano

• Stemmario Italiano

• Cognomi e Famiglie di Varese e Provincia (La Provincia di Varese, 2005)

• Archivio Storico del Territorio

• Armoriale delle Famiglie Italiane

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• Blasonario Subalpino

• Origine dei cognomi italiani

• Archivio araldico Masolino

• Stemmi di famiglie italiane (sito)

• Enciclopedia storico – nobiliare Vittorio Spreti

• L.Mensi, Dizionario biografico dei Piacentini, 1899, 212;

• G.Mariotti, La mia bella badessa, Roma, Editrice Mercurio, 1942;

• A.M.Aimi, La fastosa badessa Giovanna Piacenza, in Gazzetta di Parma 22 maggio 1950, 3;

• Archivio Piacenza – Pollone (Biella)

• Ricerche Genealogica S. A. Camajani – Genova – Vol. 1707, pag. 83.

• Piacenza – Ricerca - Origine e Storia del Cognome . Pag. 1.

• Studio Araldico – Consulenza Legale Nobiliare del Conte Adriano Guelfi Camajani

• Studio Araldico Genealogico Italiano “Dal Verme”

• Studio Genealogico Cimentano – Prignano Cilento (SA)

• Felice Tribolati – Grammatica Araldica

• Enciclopedia “Il modulo”

• Famiglie Nobili di Genova (A. M. Scorza)

• Blasonario generale di Terra di Bari (Edgardo Noya di Bitetto)

• Annuario degli Insigniti di Onoreficienze Cavalleresche del Regno d’Italia

• Storia degli Ebrei Italiani (Luciano Tas – Newton Compton – 1987)

• Albo d’Oro delle famiglie nobili e notabili italiane (L. Guelfi Camajani)

• Istituto Genealogico Italiano di Firenze

• Documenti Storici – Il medioevo (Rosario Romeo & Giuseppe Talamo – Loescher Ed. 1979)

• Enciclopedia N.E.U.

• Studio Araldico di Genova

• Origine e formazione della Nobiltà Genovese (Paolo Poggi Bonfanti)

• Emilia Romagna (Anna Maria Matteucci & Renzo Renzi)

• Storia Medievale (Rosario Villani – Laterza Ed. 1969)

• Emilia Romagna – Itinerari Ebraici (Marsilio Ed. 1992)

• Collegio Araldico di Roma

• Archivio Parrocchiale di S. Maria Assunta – Orzinuovi (BS)

CIRCOLO CULTURALE MASOLINO DA PANICALE - Via XXV Aprile, 4 – 21043 Castiglione Olona (VA)

Telefono 0331 857349 – 338 2448961- C.F. 95065100125 Sito Web www.circolomasolinopanicale.it E-mail [email protected]