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1. Passai la notte precedente al mio primo giorno di inse- gnamento in una eccitata sequenza di silenziosa mastur- bazione, sul mio lato del materasso, incapace di prendere sonno. Per andare a letto avevo indossato, in segreto, una sottoveste di seta e delle mutandine sottili, ovviamente sot- to la vestaglia, in modo che mio marito Ford non potesse aggredirmi. Ford vuole sempre rovinare lo scenario. Trovo divertente che la gente pensi che siamo la coppia perfetta solo basandosi su come appariamo. Durante il discorso da testimone al ricevimento del nostro matrimonio, il fratel- lo di Ford disse: «Voi due siete il perfetto lui e la perfetta lei della lotteria genetica». La voce impastata da palpabile invidia, aggiunse che i nostri volti sembravano ritoccati con Photoshop. Invece che concludere con un brindisi, si limitò ad appoggiare il microfono sul tavolo dopo quest’ul- tima frase, e ritornò a sedere. La sua compagna aveva uno sguardo accidioso che tutti facemmo finta di ignorare, per buona educazione. Inutile dire che dovrei trovare Ford attraente; tutti lo trovano attraente. «È troppo bello, – mormorò una delle mie compagne di confraternita la sera dopo il nostro primo appuntamento, ai tempi del college. – Non riesco nemmeno a guardarlo senza sentirmi strizzare in mezzo alle gambe». A dire il vero, il mio problema con Ford è l’età. Come la maggior parte dei

1. filesentirmi strizzare in mezzo alle gambe». A dire il vero, il mio problema con Ford è l’età. Come la maggior parte dei . 4 alissa nutting mariti delle donne che si sposano

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Passai la notte precedente al mio primo giorno di inse-gnamento in una eccitata sequenza di silenziosa mastur-bazione, sul mio lato del materasso, incapace di prendere sonno. Per andare a letto avevo indossato, in segreto, una sottoveste di seta e delle mutandine sottili, ovviamente sot-to la vestaglia, in modo che mio marito Ford non potesse aggredirmi. Ford vuole sempre rovinare lo scenario. Trovo divertente che la gente pensi che siamo la coppia perfetta solo basandosi su come appariamo. Durante il discorso da testimone al ricevimento del nostro matrimonio, il fratel-lo di Ford disse: «Voi due siete il perfetto lui e la perfetta lei della lotteria genetica». La voce impastata da palpabile invidia, aggiunse che i nostri volti sembravano ritoccati con Photoshop. Invece che concludere con un brindisi, si limitò ad appoggiare il microfono sul tavolo dopo quest’ul-tima frase, e ritornò a sedere. La sua compagna aveva uno sguardo accidioso che tutti facemmo finta di ignorare, per buona educazione.

Inutile dire che dovrei trovare Ford attraente; tutti lo trovano attraente.

«È troppo bello, – mormorò una delle mie compagne di confraternita la sera dopo il nostro primo appuntamento, ai tempi del college. – Non riesco nemmeno a guardarlo senza sentirmi strizzare in mezzo alle gambe». A dire il vero, il mio problema con Ford è l’età. Come la maggior parte dei

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mariti delle donne che si sposano per denaro, anche il mio è troppo vecchio. Dal momento che io ho ventisei anni è vero che siamo quasi coetanei. Ma con i suoi trentuno an-ni, lui ha grosso modo diciassette anni in piú rispetto alla fascia di età che mi interessa dal punto di vista sessuale.

Immagino che il matrimonio con Ford mi sia servito anche solo per l’anello, che ha dato una calmata alla fre-netica andatura con la quale i maschi idioti mi urtavano nella vita di tutti i giorni. E ovviamente è un anello mol-to bello. Ford è un poliziotto, anche se la sua famiglia ha un mucchio di soldi. Avevo sperato che la sua ricchezza fosse una fonte di distrazione, ma ha avuto l’effetto op-posto – mi ha lasciato senza desideri tranne quelli ses-suali. Già poche settimane dopo il nostro matrimonio, sentivo la mia ringhiosa libido graffiare i muri ricoper-ti da graziosa carta da parati del nostro villino recintato di periferia. A cena cominciai a sedere con le gambe do-lorosamente serrate per paura che aprendole anche solo di poco ne uscisse un gemito cosí acuto da frantumare i bicchieri di cristallo. E questa idea non mi sconvolgeva per la sua irrazionalità. Lo strepitio del desiderio faceva un tale baccano dentro di me – una corrente elettrica mi passava costantemente tra le tempie, i seni e i fianchi – che il momento in cui la lussuria sarebbe stata in grado di usare le mie grandi labbra come un ventriloquo pazzo mi pareva ormai inevitabile.

L’unica cosa cui riuscivo a pensare erano i ragazzi ai quali avrei insegnato di lí a poco. Che sia la causa o me-no di tutto ciò, io attribuisco la colpa alla mia prima volta – a quattordici anni, nel seminterrato di Evan Keller: ha fissato in me un certo schema di eccitamento sessuale al punto che il ricordo di quell’evento scorre ancora nella mia mente come un film in Technicolor. Ero leggermente piú

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alta di Evan, cosí da sentirmi una semidea rispetto a lui, comune mortale: ogni volta che ci avvinghiavamo dovevo piegarmi per raggiungere le sue labbra. Poiché era piú pic-colo, si era messo sopra e si era dato da fare con la deter-minazione atletica di uno sportivo di livello fino a quando il suo corpo non fu coperto di sudore. Dopo di che andai in bagno e lo chiamai. Come incollato a un acquario, fissò i resti del mio imene galleggiare nell’acqua blu della tazza con un’espressione di malinconica curiosità; neanche fosse l’ultimo esemplare sopravvissuto di una specie un tempo numerosa. Io sentii solo una crescente vitalità, come se avessi partorito il primo giorno della mia vera vita.

Quando Evan cominciò ad avere il primo accenno di sviluppo, qualche mese piú tardi, le nostre dinamiche sessuali cambiarono, ruppi con lui e mi imbarcai in una se-rie di repellenti incontri con ragazzi piú grandi per tutta la durata delle superiori, finché non capii che il mio ve-ro interesse si collocava in una fascia d’età ben anterio-re. All’università mi buttai inizialmente nello studio dei classici, trovando un momentaneo sollievo alle mie fru-strazioni sessuali nei testi che rappresentavano antiche battaglie e ferventi massacri. Ma dopo il primo anno e l’incontro con Ford, mi indirizzai verso la didattica, e co-sí mi ritrovai destinata a un lavoro che mi permetteva di tornare per sempre a scuola.

No, non avrei permesso che Ford rovinasse tutto quella sera di veglia in cui aspettavo che i miei anni da studen-tessa e da insegnante precaria dessero il loro frutto. Quella sera dedicai tutti i miei sforzi a sistemarmi alla perfezio-ne, dentro e fuori, come la casa ideale pronta per essere messa in mostra. Le mie gambe, le mie ascelle e il mio pu-be erano stati rasati e incremati, con una lozione al profu-mo di fragole. Volevo che il mio corpo sembrasse fatto di

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frutta pronta per essere mangiata. Anziché avere il gusto di un qualcosa ormai prossimo alle tre decadi, gli scivo-losi organi del mio sesso dovevano profumare come il gel quasi trasparente usato per la depilazione, mentre i miei capezzoli rosso mattone dovevano avere il gusto alla pesca della crema scrub che vi avevo applicato. Sperando che la fragranza venisse assorbita, mi coprii i seni con uno stra-to di maschera cremosa e la lasciai in posa per una decina di minuti, mentre mi depilavo. S’indurí come la glassa di un confetto e rivestí la mia eccitazione come una sottile e friabile conchiglia. Dopo aver rasato tutta la peluria di ogni centimetro del mio corpo, guardai con meraviglia il lago gorgogliante di schiuma e di peletti finito nel lavan-dino. Mi fece pensare agli affogati al liquore serviti ai bal-li della scuola.

Immaginai il divertimento che avrei potuto provare, di lí a poco, a supervisionare una di queste feste. Forse avrei perfino potuto ballare con uno o due degli studenti ma-schi piú estroversi, con la scusa dello scherzo e della fri-volezza; i ragazzi mi avrebbero preso confidenzialmente per mano e portato al centro della stanza, senza render-si conto fino a quando i nostri corpi non fossero pressati l’uno contro l’altro che potevano sentirmi pulsare bagna-ta sotto lo strato di stoffa del vestito. Mi sarei addossa-ta a loro con accortezza, li avrei mandati in tilt con l’al-legria delle risate e delle piccole frasi sussurrate dalle mie labbra umide. Ovviamente, prima di dire alcunché avrei lanciato un vuoto sguardo laterale per rassicurarli che nul-la stava succedendo, e che non mi ero accorta che il mio bacino stava prendendo fuoco a contatto con il calore dell’erezione dentro lo smoking affittato per l’occasione. Bisognava che il ragazzo in questione fosse un tipo tutto d’un pezzo, uno che non avrebbe mai ceduto alla tenta-

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zione di riferire quel discorso alla madre o al padre, e che avrebbe capito come stavano le cose solo in seguito, e si sarebbe ricordato di quell’episodio unicamente nel buio della propria solitudine alcolica notturna di adulto. Dopo una cena di lavoro e un viaggio verso qualche alberghetto del Midwest, dopo aver chiamato la moglie e parlato con i bambini al telefono, scartocciato il rivestimento di pla-stica di tre o quattro mignonnette di bourbon, puntato la sveglia ed essersi messo a sedere sul letto con una mano a stringere l’erezione crescente, allora sarebbe stato perse-guitato dal ricordo: avevo detto davvero ciò che credeva di avere sentito? E proprio tra le mura della scuola, fra le note elettriche della sua canzone preferita di quell’anno, quella che ascoltava durante il primo lavoretto al centro commerciale, quando piegava le camicie in mostra e acco-glieva madri e bambini che entravano in negozio, avevo veramente sospirato quelle parole al suo orecchio? «Ma io l’ho sentito», si sarebbe detto, sentito le mie parole for-mare nell’aria calda una frase la cui sagoma evanescente si sarebbe dissipata in qualche secondo, prima dell’arrivo della comprensione o del ricordo. Per il resto della vita, una parte di lui sarebbe rimasta su quella pista da ballo, insicura e affamata di chiarimenti. Al punto tale che da adulto, in quella camera di hotel, sarebbe stato disposto a rinunciare a molte cose in cambio del senso di sicurez-za che gli avevo rubato, o perché qualcuno gli dicesse: «È accaduto per davvero». E io avrei sempre saputo, e lui sa-rebbe sempre stato consapevole, ma non sicuro, che avevo spinto il bacino contro la punta del suo pene, aderendovi come una fotografia contro il velo di plastica di una pagi-na di album, mentre sussurravo la frase: «Voglio sentire l’odore di quando vieni nei pantaloni».