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Università della Calabria, Facoltà di Lettere e Filosofia- Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria Modulo di Didattica delle Scienze Naturali, Indirizzo Elementare- IV anno Prof.ssa Silvia Mazzuca 1 1.1 QUALI TEORIE PEDAGOGICHE NELLINSEGNAMENTO DELLE SCIENZE Le conoscenze psicopedagogiche degli ultimi decenni considerano il bambino o il ragazzo non più un “vaso vuoto”, ma un soggetto attivo che possiede delle pre-conoscenze della realtà, in questo caso della realtà naturale, in quanto viene a contatto con essa quotidianamente. Lavorare con questo presupposto significa venire a conoscenza delle qualità e quantità delle pre-conoscenze sull’oggetto del nuovo apprendimento, che nell’intervento didattico richiede arricchimenti o correzioni. Sono numerose le testimonianze e le teorie sui “modelli” di impostazione didattica, che puntano tutte ad ottenere un “apprendimento efficace”. Il metodo sperimentale, applicato alla progettazione didattica offre un valido “modello” non solo per il trasferimento di nozioni disciplinari, ma anche, soprattutto, per la creazione di quadri di sviluppo sempre più operativi e sistematici. Nella scuola di base l’area logico- matematica e scientifica supporta la costruzione di capacità di indagine e astrazione dei bambini e dei ragazzi, essenziali per il raggiungimento degli obiettivi formativi di base. L’ “intrusione” della scienza nella vita di tutti i giorni attribuisce oggi ad essa un valore sociale ben più significativo che nel passato. Sapersi orientare nella complessa dimensione sociale, dove quotidianamente il cittadino è posto di fronte a fenomeni e problemi in cui il coinvolgimento di conoscenze scientifiche e tecnologiche intrecciate a processi economici e sociali diviene sempre più ricorrente, rappresenta ormai un fondamentale diritto di cittadinanza. Si rivela, soprattutto nei giovani, un sempre più diffuso “analfabetismo scientifico”, peggiorato da una profonda demotivazione alla conoscenza e all’approfondimento. Si tratta, in fondo, di un’incapacità di orientamento culturale di base in ambito scientifico che spesso degrada in atteggiamenti superficiali e dannosi per gli altri e per l’ambiente. La scuola ha un ruolo decisivo nella formazione dell’individuo, dove la “cultura scientifica” significa capacità di orientamento, interpretazione e partecipazione ai processi portanti del proprio tempo e saper utilizzare le informazioni che si possiedono cercandone di nuove. La costruzione di queste capacità rappresenta l’obiettivo formativo della scuola di base.

1.1 QUALI TEORIE PEDAGOGICHE NELL INSEGNAMENTO DELLE SCIENZEsfp.unical.it/Modulistica/Dispensa Didattica delle Scienze Naturali... · Modulo di Didattica delle Scienze Naturali, Indirizzo

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Modulo di Didattica delle Scienze Naturali, Indirizzo Elementare- IV anno Prof.ssa Silvia Mazzuca

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1.1 QUALI TEORIE PEDAGOGICHE

NELL’INSEGNAMENTO DELLE SCIENZE Le conoscenze psicopedagogiche degli

ultimi decenni considerano il bambino o

il ragazzo non più un “vaso vuoto”, ma

un soggetto attivo che possiede delle

pre-conoscenze della realtà, in questo

caso della realtà naturale, in quanto

viene a contatto con essa

quotidianamente. Lavorare con questo

presupposto significa venire a

conoscenza delle qualità e quantità delle

pre-conoscenze sull’oggetto del nuovo

apprendimento, che nell’intervento

didattico richiede arricchimenti o

correzioni.

Sono numerose le testimonianze e le

teorie sui “modelli” di impostazione

didattica, che puntano tutte ad ottenere

un “apprendimento efficace”. Il metodo

sperimentale, applicato alla

progettazione didattica offre un valido

“modello” non solo per il trasferimento

di nozioni disciplinari, ma anche,

soprattutto, per la creazione di quadri di

sviluppo sempre più operativi e

sistematici.

Nella scuola di base l’area logico-

matematica e scientifica supporta la

costruzione di capacità di indagine e

astrazione dei bambini e dei ragazzi, essenziali per

il raggiungimento degli obiettivi formativi di base.

L’ “intrusione” della scienza nella vita di tutti i

giorni attribuisce oggi ad essa un valore sociale ben

più significativo che nel passato. Sapersi orientare

nella complessa dimensione sociale, dove

quotidianamente il cittadino è posto di fronte a

fenomeni e problemi in cui il coinvolgimento di

conoscenze scientifiche e tecnologiche intrecciate a

processi economici e sociali diviene sempre più

ricorrente, rappresenta ormai un fondamentale

diritto di cittadinanza.

Si rivela, soprattutto nei giovani, un sempre più

diffuso “analfabetismo scientifico”, peggiorato da

una profonda demotivazione alla conoscenza e

all’approfondimento. Si tratta, in fondo, di

un’incapacità di orientamento culturale di base in

ambito scientifico che spesso degrada in

atteggiamenti superficiali e dannosi per gli altri e

per l’ambiente.

La scuola ha un ruolo decisivo nella formazione

dell’individuo, dove la “cultura scientifica”

significa capacità di orientamento, interpretazione e

partecipazione ai processi portanti del proprio

tempo e saper utilizzare le informazioni che si

possiedono cercandone di nuove. La costruzione di

queste capacità rappresenta l’obiettivo formativo

della scuola di base.

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Il contributo dell’insegnamento

scientifico è quello di costruire percorsi

didattici il cui successo formativo

dipende dalla modalità di lavoro a

scuola. L’educazione scientifica nella

scuola di base deve avvalersi di mezzi e

metodi che costituiscano la naturale

prosecuzione delle attività manipolative

e cognitive sviluppate nella scuola

dell’infanzia. Le prime esperienze

scientifiche, poste come campo di

esplorazione scoperta e iniziale

sistematizzazione delle conoscenze

della realtà naturale e artificiale, devono

divenire nella scuola di base attività

concrete che permettono ai bambini di

sviluppare la capacità di relazionarsi ad

esse, parlarne, spiegarle, rappresentarle.

Si tratta di passare dalla dimensione

“informativa”, cioè dalla mera

trasmissione di nozioni, a quella

formativa attraverso un percorso di

esperienze più coerenti ed organizzate.

Il presupposto di un apprendimento

efficace delle scienze è il contatto

diretto con gli oggetti di osservazione e

di studio, il “saper fare” su cui costruire

esperienza nella sua dimensione

concettuale e sperimentale.

L’esperienze didattiche proposte

durante il corso B1 rappresentano un

tentativo di costruzione di un curricolo a

dimensione monodisciplinare, la biologia vegetale,

lavorando intorno a modi di vedere, agire, pensare,

interni alla singola disciplina, con l’obiettivo di

acquisire progressiva padronanza di conoscenze

scientificamente impostate.

Non possiamo ignorare che ormai da tempo sulla

Terra sono in corso drammatiche trasformazioni, la

biodiversità e la nostra stessa specie sono in serio

pericolo. Il futuro del nostro pianeta dipende da

come noi saremo in grado di riparare ai danni fatti;

soprattutto dipenderà dai “giovanissimi” che

erediteranno questa gravosa situazione. Tra i tanti

provvedimenti che bisogna intraprendere, la nostra

generazione ha il dovere di formare una nuova

coscienza ecologica già a partire dalla scuola

dell’infanzia. L’attività educativa deve però seguire

un percorso che si adegui alle potenzialità cognitive

ed affettive dell’alunno. Spesso a scuola si

preferisce trattare argomenti che riguardano il

degrado ambientale, informando i bambini circa i

danni ecologici provocati dall’uomo. È sicuramente

negativo proiettare sui bambini fenomeni negativi

che gli adulti cercano disperatamente di risolvere,

poiché tutto ciò non rientra nel loro campo di

interesse. La scuola di base ha il compito di creare

le basi affinché si instauri un corretto rapporto tra i

bambini e l’ambiente, sollecitandoli a scoprire e a

coltivare quell’amore e interesse per la natura, che

spesso è presente in ognuno di noi sin da piccoli,

evitando cosi che tale sentimento scompaia del tutto

o si trasformi in qualcosa di negativo. A tale scopo

l’insegnamento di scienze deve superare la

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descrittività; non basta, infatti,

soffermarsi sull’informazione

diffondendo nei bambini conoscenze e

aspettando i lontani frutti dell’età

adulta, poiché una lezione cosi

strutturata può giungere solo a chi è già

sensibilizzato. Nella tradizione

dell’insegnamento si è portati a

rispondere alle domande poste dal

bambino appagando le sue curiosità, ma

così facendo, cioè fornendo delle verità

confezionate, si spegne un interesse

nascente. Si dovrebbe prendere spunto

da quelle domande per farne nascere

altre, trasformandole in un problema in

modo tale che ciò che poteva essere la

curiosità di un bambino diventa

interesse di tutti. Sulla base del vecchio

detto “se faccio capisco” emerge la

necessità di modificare l’insegnamento

delle scienze: esso deve essere vivo ed

operativo, avvalendosi di una

metodologia adeguata che supera ed

integra il metodo informativo.

L’introduzione del “Metodo

Scientifico” come strumento di indagine

della realtà incoraggia i bambini e i

ragazzi all’esplorazione, alla

formulazione di idee, alla

sperimentazione e crea un’atmosfera di

curiosità, coinvolgendoli e stimolandoli

in pieno a partecipare attivamente alle

attività pratiche, facendo appello non solo alla

dimensione cognitiva, ma anche a quella emotiva e

pragmatica. Nonostante negli ultimi dieci anni,

nella scuola primaria ci sono state molte riforme

che hanno rinnovato nei metodi e nei contenuti

l’insegnamento scientifico, oggi l’apporto

disciplinare e metodologico delle scienze risulta

essere ancora a un livello assai modesto.

L’iniziativa di praticare un laboratorio didattico ha

spesso difficoltà ad essere realizzata, forse per

carenza di materiale e di strutture o perché si è

portati a pensare, erroneamente, che il bambino sia

incapace di seguire attività scientifiche che si

concretizzano nella capacità concettuale ed

operativa, ossia porsi problemi, prospettare

soluzioni, indagare e verificare se c’è

corrispondenza tra ipotesi formulate e risultati

sperimentali. Nel programmare una lezione

sperimentale si è portati a pensare ad uno spazio, il

laboratorio, attrezzato ed organizzato con

apparecchiatura speciale (microscopio, bilance,

provette ecc.). Ciò costituisce sicuramente un

ostacolo culturale ed oggettivo non di poco conto. É

necessario ricordare che si sta trattando con

bambini, quindi bisogna costruire un’abilità

tecnico-operativa e concettuale, utilizzando

materiale adatto e di facile portata. Inoltre bisogna

partire dal presupposto che i bambini hanno la

capacità di cogliere fatti nuovi, al contrario degli

adulti che hanno un atteggiamento apatico o

disincantato nei confronti di ciò che accade intorno

a loro, tanto che più niente desta meraviglia.

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Partendo da questo presupposto è

compito della scuola cogliere le

occasioni o presentarle ai bambini, per

invogliare all’osservazione, far scaturire

direttamente da esse le problematiche,

esprimere idee, costruire esperienze

sperimentali, collegare e confrontare

risultati ottenuti con le esperienze della

vita quotidiana per scoprire le diversità

e le analogie. Il bambino, quindi con la

sua voglia di manipolare e di ricercare

attraverso un gioco serio che è “

l’esperimento” può assumere il ruolo di

“piccolo scienziato”. La procedura

sperimentale, però non è sufficiente, è

importante anche il momento di

riflessione, quindi assume un ruolo

fondamentale la figura dell’insegnante,

riconosciuta anche dal pedagogista J.

Brumner.

Bisogna, purtroppo, riconoscere che

l’insegnante spesso si sente impreparato

ad affrontare programmi sperimentali,

perché il più delle volte non possiede le

metodologie necessarie, senza le quali

non è possibile guidare i bambini a

cogliere gli elementi fondanti della

disciplina insegnata. Nel programma

sperimentale il compito dell’insegnante

è quello di guidare i bambini a

ragionare, ad osservare la realtà con

occhio attento, a cogliere contraddizioni

e a confrontarle con le precedenti convinzioni,

ponendole sempre di fronte a nuovi problemi e

incertezze: l’indagine è sempre aperta dal momento

che nessuna verità è certa. Bisogna essere anche

abbastanza preparati a capire che non sempre al

termine dell’esperimento l’ipotesi provata risulta a

volte corretta, invitando così il bambino ad

accettarla e a proporre nuove esperienze di verifica

e correzione. Molte idee del senso comune, come

asserisce Piaget, sono persistenti nel tempo e le

correzioni avvengono in seguito a molti

ragionamenti e con il passare del tempo.

L’obiettivo di questo corso, si propone di

confrontare l’efficacia dell’apprendimento

attraverso metodologie opposte, quali lezioni

frontali e lezioni veicolate da indagini sperimentali

e non ultimo fornire consigli utili per stimolare i

bambini suscitando il loro interesse e curiosità, ma

anche emozioni e desiderio verso la pratica delle

attività sperimentali.

1.1 COME CONCEPIRE IL LAVORO DI

LABORATORIO

L’educazione scientifica dovrebbe porre le basi per

costruire capacità di indagine e di astrazione negli

allievi e, in vista anche del conseguimento di una

visione e lettura critica del mondo e dei suoi

fenomeni naturali ed artificiali. Le pratiche

didattiche dell'insegnamento scientifico dovrebbero

essere impostate su strategie di mediazione tra

concezioni spontanee degli allievi e concezioni

scientifiche. Ne consegue l'esigenza di organizzare

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attività sperimentali che permettano agli

allievi di esaminare realtà concrete, di

parlarne, di spiegarne i fenomeni e

rappresentarli in modi diversi; queste

attività debbono quindi fornire tecniche

per esplorare, scoprire ed interpretare e

metodi per ordinare le conoscenze. In

questa ottica, il lavoro di laboratorio

può allora essere concepito con diverse

e più ampie prospettive e non solo o

prevalentemente come "modello" o

"dimostrazione" delle attività degli

scienziati e del loro modo di procedere

e ragionare. Il "laboratorio" può essere

il contesto in cui organizzare situazioni

ed esperienze che facciano sorgere

curiosità, domande e problemi, o che

possono rispondere a curiosità,

domande e problemi già sorti. Inoltre

aiutino gli allievi ad assumere

consapevolezza delle loro idee e del

loro modo di guardare la realtà e ne

favoriscano l'esplicitazione, mettano a

confronto le idee dei bambini sugli

oggetti ed i fenomeni, con gli oggetti ed

i fenomeni stessi, con le idee degli altri,

coetanei e/o adulti e/o scienziati, per

verificarne somiglianze, differenze e

coerenza. Devono fornire le basi per il

ragionamento e la riflessione sul ciò che

si osserva o si sta facendo, inducendo

alla ricerca di elementi fondanti e

relazioni, permettendo di sperimentare diversi modi

di analizzare e descrivere la realtà, per poterla

interpretare e per trovare spiegazioni coerenti; e

infine, stimolino atteggiamenti di ricerca verso

ulteriori direzioni di indagine o altre esperienze.

1.2 QUALI ATTIVITÀ DI LABORATORIO

DOVREBBERO ESSERE PRIVILEGIATE

Le attività laboratoriali da privilegiare sono

esperienze di conoscenza di oggetti naturali,

osservazione di animali e piante, indagini su reperti

raccolti nell'ambiente, piccoli esperimenti di

biologia elementare, di fisica e chimica, integrati da

attività di modellizzazione, descrizione e

riproduzione degli oggetti e fenomeni osservati.

Molte "esperienze" o molti "esperimenti" possono

essere validi, purché facciano nascere domande

significative, esigenze o occasioni di interpretare,

discutere, rielaborare, ed aiutino a costruire

ragionamenti astratti e conoscenze.

Sono da privilegiare:

attività che permettono l'osservazione approfondita, la ricerca di somiglianze e differenze;

attività che inducano a provare e modificare;

attività che conducano a stabilire relazioni;

attività che permettano esercizi di misurazione;

attività di raccolta, catalogazione e verifica di dati;

attività che permettano di formulare ipotesi e che facciano intuire quali procedure d'azione e di pensiero costituiscono la base del sapere scientifico;

attività che mettono gli allievi in una posizione di "ricerca", presentate quindi come "problemi da risolvere"

attività che pongono problemi la cui soluzione può essere cercata attraverso varie modellizzazioni;

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attività che prevedono l'uso di molteplicità di tecniche e mezzi.

Le indicazioni che provengono dalla

ricerca in didattica delle Scienze

suggeriscono di privilegiare temi che

prendono in considerazione la realtà

vicina agli allievi e i fatti conosciuti, o

in ogni caso, temi che nascono da

esigenze di conoscenza degli allievi

stessi. Gli argomenti proposti debbono

avere un significato anche fuori scuola,

debbono avere le qualità di stimolare le

discussioni con i compagni e gli adulti,

debbono coinvolgere gli allievi (il

coinvolgimento affettivo è essenziale:

senza motivazione infatti, non c'è

interesse e non scaturiscono curiosità).

Le attività quindi possono ruotare

attorno a varie esperienze reali ed eventi

della vita di ogni giorno, attorno ai temi

che riguardano se stessi, il proprio

corpo ed il proprio benessere, gli altri

viventi con cui si ha contatto, problemi di attualità.

1.3 COME RENDERE EFFICACI E

SIGNIFICATIVE LE ESPERIENZE IN

LABORATORIO

Sono importanti alcuni atteggiamenti, alcune

procedure e regole pratiche. Ad esempio:

evitare esperimenti già predisposti e condotti dall'insegnante, in quanto non sostituiscono il contatto diretto con la realtà e di solito sono "dimostrazioni" di fatti e fenomeni particolari, spesso estranei agli allievi e non connessi con la loro esperienza quotidiana,

lasciare agli allievi libertà di sperimentazione,

affidare loro compiti e responsabilità,

renderli protagonisti nelle esperienze e nella programmazione,

incoraggiarli a interrogarsi ed a sperimentare,

promuovere le capacità osservative, stimolandoli a non fermarsi agli aspetti immediati e descrittivi e ad usare diverse tecniche per potenziare l'osservazione,

discutere con loro ciò che avviene,

lasciare spazio alle loro interpretazioni,

lasciare loro tempo sufficiente per fare e riflettere,

organizzare una molteplicità di situazioni, mezzi e tecniche, affinché tutti possano esprimersi al meglio ed abbiano la possibilità di effettuare più prove sperimentali,

non tralasciare mai la rielaborazione e la discussione delle esperienze,

richiedere sempre di rappresentare e descrivere gli oggetti ed i fenomeni osservati, con tecniche e modelli personali, prima di proporre quelli scientifici,

programmare esperienze vicine alla vita quotidiana degli allievi, alle loro capacità di percepire ed alle loro conoscenze,

predisporre le esperienze all'interno di problemi o percorsi cognitivi e non fini a se stesse

chiedere elaborazioni e prodotti finali.

Le esperienze di laboratorio sono significative se la

programmazione è accurata e consapevole del

lavoro, dei suoi obiettivi e delle tecniche/situazioni

da proporre agli allievi e infine se il materiale

richiesto nel laboratorio scientifico per esperienze

pratiche attuabili, è semplice e di facile portata. Più

il materiale è semplice e maggiormente sviluppa

l’immaginazione degli alunni, la facoltà di fare

previsioni e di inventare prove.

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L’utilità del laboratorio per

l’insegnamento delle scienze è ben nota.

Di seguito sono riportati alcuni punti

importanti:

possibilità di venire a contatto con la realtà

Si tratta di una realtà molto limitata

rispetto a quella della casa, della strada,

della natura, ma è pur sempre tutt’ altra

cosa rispetto ai libri stampati, allo

schermo della televisione o del

computer, perché si tratta di una realtà

tridimensionale che possiamo

abbracciare con tutti i nostri sensi

possibilità di vedere, toccare, agire

In laboratorio non solo si vede e si

tocca, ma anche si agisce. Occhio, mano

e mente collaborano potenziandosi a

vicenda. È probabile che l’evoluzione

della mente umana sia largamente

dovuta ad un simile processo di

retroazione. L’acutezza della vista in tre

dimensioni e l’abilità manuale si

ripercuotano positivamente sulle facoltà

mentali, le quali a loro volta permettono

movimenti più precisi e mirati. Si

genera così una benefica spirale di

retroazione positiva che si innesca solo

se gli allievi possono utilizzare

direttamente le mani. (Schema 1)

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Schema 1: Sviluppo facoltà mentali

1.4 LA DIDATTICA

IMPRONTATA SUL METODO

SCIENTIFICO

Il metodo sperimentale o metodo

scientifico va ad arricchire la proposta

formativa scolastica con nuove

strategie, che soddisfano la necessità di

acquisire conoscenze e competenze e di

sviluppare processi cognitivi,

tradizionalmente trascurati. Tali

strategie didattiche favoriscono lo

sviluppo di capacità legate al saper

essere, ossia all’acquisizione di

atteggiamenti, di comportamenti e di

capacità più che a quella di acquisire

semplici informazioni. Il metodo

adottato consente di creare condizioni

ottimali affinché l’allievo acquisisca le conoscenze

in modo significativo, ossia nel momento in cui

viene a contatto con nuove conoscenze deve saperle

integrare con quelle già possedute.

Programmare un'attività laboratoriale

L’attività programmatoria comporta

l’organizzazione dell’attività laboratoriale, ciò

richiede che l’intero processo sia pensato in anticipo

rispetto alla sua realizzazione, che si individuino o

si producano per tempo i materiali che saranno

utilizzati, che tutte le risorse disponibili (umane,

tecniche, strumentali) siano a disposizione in modo

efficiente per raggiungere gli obiettivi prefissati.

La programmazione, dunque, è esattamente il

contrario dell’improvvisazione, che determina

scelte estemporanee e conformi alla situazione del

momento.

Sviluppo facoltà mentali (evoluzione della mente umana)

CONDIZIONE NECESSARIA: VEDERE TOCCARE AGIRE

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L’attività laboratoriale di

insegnamento/appren-dimento, quindi,

viene usualmente divisa in parti

all’interno delle quali si sviluppa un

certo intervento formativo strutturato

intorno a determinati contenuti svolti

per il conseguimento di obiettivi

didattici.

La progettazione di un’attività

laboratoriale comprende i seguenti

momenti:

Definizione degli obiettivi didattici

Definizione dei prerequisiti

Selezione dei contenuti

Scelta dei metodi, strategie didattiche, strumenti, luogo di realizzazione

Definizione dei tempi di realizzazione

Costruzione delle prove di verifica e di schede operative

Esiste un’ampia letteratura pedagogica

rispetto agli obiettivi e,

conseguentemente, capita di

denominarli e di sentirli denominare in

modo differente a seconda dell’autore

cui, inconsciamente o deliberatamente,

si fa riferimento. Non esistono

denominazioni corrette in assoluto ed

altre sbagliate, ma si suppone che

ognuna colga un aspetto, una sfumatura

ritenuta significativa da chi ne da una

definizione. Soprattutto, è importante

fare riferimento agli ambiti cui si

riferisce la denominazione.

Con riferimento al diverso ruolo e al diverso modo

con cui vengono definiti, gli obiettivi si possono

distinguere, per esempio, in:

obiettivi educativi

obiettivi didattici

OBIETTIVI EDUCATIVI

Gli obiettivi educativi sono “linee guida,

orientamenti di fondo, principi d’azione, che

devono informare l’azione didattica. Sono

l’orizzonte educativo entro il quale ci si muove o, se

si vuole, il quadro dei valori da interpretare e

concretizzare nel contesto dei vari insegnamenti.

Essi si riferiscono alla crescita della persona

considerata nella sua totalità. Alcuni esempi:

saper valutare criticamente la realtà

saper ascoltare gli altri

saper organizzare il lavoro di gruppo

Sono definiti in modo astratto, non operativo e

possono apparire retorici nella loro indefinitezza.

Ma tali obiettivi, per loro natura, non possono

essere percepiti ed osservati in modo immediato,

bensì in modo mediato attraverso le varie discipline:

essi devono essere resi operativi nei singoli contesti

disciplinari.

OBIETTIVI DIDATTIVI COGNITIVI O

DISCIPLINARI

Gli obiettivi didattici cognitivi o disciplinari,

invece, sono i risultati che gli alunni devono

conseguire nelle diverse discipline, ossia la

prestazione dello studente, non l’attività del docente

o il contenuto del corso.

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Un obiettivo didattico deve presentare le

seguenti caratteristiche:

Pertinente: la sua definizione non sarà ridondante, ma comprenderà tutti gli aspetti relativi allo scopo da raggiungere

Preciso: la definizione della prestazione non deve essere ambigua

Realizzabile: ciò che si richiede agli

studenti può essere effettivamente fatto

Misurabile: la descrizione dell’obiettivo

deve esplicitare il grado di prestazione

accettabile dello studente

Le attività laboratoriali si prefiggono di

raggiungere i seguenti obiettivi:

CONOSCENZA: è intesa come la

capacità dello studente di richiamare

alla memoria dati, fatti particolari o

generali, metodi e processi, modelli,

strutture, classificazioni. Ciò che

l’individuo sa, ossia il “sapere” che si

apprende dai contenuti. Alcuni esempi:

conoscere le parti del fiore, identificare

i tessuti del pericarpo in una drupa,

acquisire che le foglie sono verdi per la

presenza del pigmento clorofilla,

conoscere le unità di misura della

capacità.

ABILITÀ: è intesa come la capacità di

applicare conoscenze di base per portare

a termine compiti e risolvere problemi.

Ciò che l’individuo sa effettivamente

fare, ossia il “saper fare”. Alcuni

esempi: saper distinguere le parti del

fiore, saper rappresentare graficamente un fiore

identificando ogni sua parte, saper misurare la

capacità, saper descrivere i risultati

dell’esperimento “ Le parti del fiore”, saper

compilare la scheda operativa del fiore, saper

osservare le parti del fiore.

COMPETENZA: indica la comprovata capacità di

usare conoscenze, capacità (attitudini),

atteggiamenti (ciò che l’individuo sa essere, il

saper essere) e abilità acquisite in situazioni nuove

di studio e di lavoro. Le competenze sono descritte

in termini di responsabilità e autonomia.

Alcuni esempi: saper identificare il problema da

risolvere, saper effettuare un esperimento, saper

lavorare in gruppo, saper elaborare una conclusione,

saper effettuare misure, saper esprimere un’ipotesi,

acquisire un pensiero critico, saper partecipare alle

discussioni, saper organizzare il proprio lavoro,

saper osservare la realtà circostante con razionalità.

I termini conoscenza, capacità abilità, attitudini e

competenze non possono essere definiti in maniera

indipendente l’uno dall’altro, in quanto sono

elementi che si “spiegano” a vicenda.

La capacità è una potenzialità innata della persona

ossia si riferisce a ciò che l’individuo è in grado di

imparare a fare (il poter saper fare) e matura

attraverso l’acquisizione di competenze, diventando

così una potenzialità potenziata. Di conseguenza la

competenza è una capacità realizzata attraverso

conoscenze, attitudini ed abilità acquisite ed

adoperate all’interno di un contesto.

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PREREQUISITI

I prerequisiti sono le conoscenze che gli

allievi devono possedere per svolgere

l’attività che si intende intraprendere.

È fondamentale prima di iniziare lo

svolgimento dell’attività verificare con

una prova diagnostica, meglio se

strutturata in forma di test oggettivo, se

gli alunni possiedono i prerequisiti

richiesti.

Se l’accertamento risulta negativo

occorrerà dedicare tempo al recupero

delle conoscenze ed abilità non

possedute per evitare di dover

interrompere la trattazione

dell’argomento nuovo quando ci si

accorge che gli alunni non sono in

grado di seguire quanto si va spiegando.

I CONTENUTI

L’insegnamento si realizza attraverso la

proposizione dei contenuti che

rappresentano le conoscenze, le

capacità, gli atteggiamenti, i valori che

gli allievi devono apprendere. Si pone,

quindi il problema di selezionare i

contenuti rispetto ai quali realizzare

l’apprendimento.

METODOLOGIA

Come si svolge un’indagine scientifica?

Intesa come il procedimento per

comprendere il mondo della natura la

scienza si può definire come un metodo

che implicala verifica di ipotesi mediante

osservazioni e esperimenti.

Questo modo di procedere della scienza prende il

nome di METODO SCIENTIFICO.

Il punto di partenza di un’indagine scientifica è

sempre l’osservazione: si osserva che una data parte

del mondo della natura si comporta in un certo

modo.

All’osservazione segue una domanda (proposta del

problema) che, a grandi linee può vertere sul “che

cosa”, sul “perché” o sul “come”. Ecco per esempio

alcune domande che ci possiamo porre “ Perché le

foglie e sono verdi”. A che cosa servono i frutti?

Com’è fatto un fiore?

Alla domanda che lo scienziato si pone segue la

formulazione di una o più ipotesi, cioè di una o più

possibili spiegazioni di quanto si è osservato in

precedenza.

Successivamente devono essere eseguiti

esperimenti o raccolte nuove informazioni che

possano suffragare o no l’ipotesi di partenza;

Se l’ipotesi viene confermata sarà possibile

determinare un risultato o legge o teoria che regola

i fenomeni osservati, altrimenti si provvederà a

formularne una nuova.

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Schema 2: Descrizioni delle fasi del metodo scientifico

1.5 VALUTAZIONE E VERIFICHE

L’ottica programmatoria invita il

gruppo docente e le discipline a

muoversi come “unità funzionale” che

pur nella salvaguardia della loro

diversità soggettiva e della specificità

disciplinare, concorra sinergicamente

alla formazione del soggetto. In tale

ottica la valutazione, assume il

significato di continua verifica del

processo di insegnamento-

apprendimento, perché fornisce sia al

docente che all’allievo informazioni

sull’andamento del processo. Tali

informazioni permettono agli insegnanti

di una determinata classe di conoscere

tempestivamente le debolezze del suo e del loro

operato e quindi di correggerlo prontamente e

regolarlo in base agli obiettivi da raggiungere. La

valutazione non è più selettiva ma formativa, perché

diventa la procedura che permette la regolazione del

processo e consente al soggetto che apprende di

conoscere in termini concreti ciò che sa e sa fare e

di stabilire in itinere il proprio livello di

aspirazione, in termini di realtà, guadagnandone in

sicurezza e fiducia in sé, cioè in autostima.

Nello specifico: fare verifica significa effettuare

una misurazione attribuendo un voto, utilizzando

una griglia stabilita dai dipartimenti e poi approvata

dal Collegio docenti.

ESPERIMENTO

CONFERMA IPOTESI?

LEGGE

SI

OSSERVAZIONE

NO

IPOTESIPROBLEMA

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Si misurano le prestazioni degli allievi:

conoscenze (ciò che l’allievo sa ed ha

appreso dai contenuti), capacità (ciò

che l’allievo è in grado di imparare),

abilità (ciò che l’allievo sa

effettivamente fare), competenze (ciò

che in un determinato contesto l’allievo,

sulle basi delle proprie attitudini

(capacità), conoscenze e del proprio

essere (atteggiamenti), sa effettivamente

fare (abilità) per raggiungere l’obiettivo

prefissato e produrre conoscenze).

Fare valutazione sommativa significa

tener conto di tutti i comportamenti

degli allievi e quindi del loro impegno e

della crescita culturale.

Attraverso la valutazione la scuola si

connota rilasciando un titolo e rendendo

pubblica la sua funzione.

Per valutare l’efficacia dell’azione

didattica delle attività laboratoriali

proposte nel corso sono state elaborate

esempi di prove oggettive di profitto

strutturate e semi-strutturate (test di

completamento, test con domande a

risposta multipla, vero falso, esercizi di

collegamento, cruciverba) sotto forma

di pre-test e post-test.

Le domande nel pre-test sono

finalizzate a saggiare le conoscenze

pregresse degli allievi sull’argomento da trattare.

Nel post-test, invece, le domande proposte sugli

argomenti trattati, riguardano concetti,

denominazioni, conoscenze, abilità competenze che

gli allievi dovranno acquisire.

1.6 LUOGO E TEMPO DI REALIZZAZIONE

Le attività di laboratorio sia che sono svolte in

un’aula attrezzata o all’aperto (parco naturale, orto

botanico, giardino della scuola) devono comunque

sempre offrire situazioni di conoscenza diretta, che

tuttavia debbono essere utilizzate non solo come

occasione per "fare/osservare", ma anche come

occasione per riflettere su ciò che si "fa/osserva". In

quest'ottica, il lavoro in laboratorio costituisce non

solo un momento di osservazione diretta, ma anche

di analisi, di problematizzazione, di confronto e

verifica, di formulazione, di interpretazione e

previsione, di "invenzione" di attività.

Un momento fondamentale è quello dedicato

all’individuazione del tempo necessario per lo

svolgimento della lezione. Per farlo nel modo più

preciso possibile è opportuno fare esperienza,

comunque è importante valutare diversi momenti

che caratterizzano l’attività sperimentale:

l’osservazione, la proposta del problema, le ipotesi,

l’esperimento, eventuali osservazioni, compilazione

di schede operative, raccolta dati, risultati e

conclusioni, eventuali verifiche (pre-test e post-

test.)

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2. ATTIVITÀ SPERIMENTALI SVOLTE

2.1 LA BIODIVERSITÀ

Le attività proposte partono dalla

percezione della variabilità delle forme

esistenti in natura. Il termine con cui si

indica tale variabilità è biodiversità;

essa, infatti, indica una misura della

varietà di specie animali e vegetali nella

biosfera ed è il risultato di lunghi

processi evolutivi. L'evoluzione è il

meccanismo che da oltre tre miliardi di

anni permette alla vita di adattarsi al

variare delle condizioni sulla terra e che

deve continuare a operare perché questa

possa ancora ospitare forme di vita in

futuro. La diversità della vita sulla terra

è costituita dall'insieme degli esseri

viventi che popolano il pianeta. Questa

diversità prende il nome di

BIODIVERSITÀ, dall'inglese bio-

diversity, tale termine può essere

tradotto "varietà della vita".

La biodiversità è intesa non solo come il

risultato dei processi evolutivi, ma

anche come il serbatoio da cui attinge

l'evoluzione per attuare tutte le

modificazioni genetiche e morfologiche

che originano nuove specie viventi. La

biodiversità si può considerare almeno

in tre livelli diversi:

a livello di geni in una specie (o popolazione)

a livello di specie

a livello di ecosistemi.

Le caratteristiche morfologiche, ovvero tutte le

caratteristiche visibili degli esseri viventi come ad

esempio il colore degli occhi e dei capelli

dell'uomo, il colore del pelo dei gatti, sono esempi

della varietà che esiste a livello di geni all'interno di

ogni singola specie. La varietà di specie di farfalle

che frequentano il nostro giardino, l'incredibile

numero di fiori diversi che possono essere trovati in

un campo sono esempi della biodiversità a livello di

specie. Infine, la varietà di ambienti in una

determinata area naturale è l'espressione della

biodiversità a livello di ecosistemi.

La terra è popolata da numerosi esseri viventi,

animali e vegetali che non conosciamo: oggi sono

state classificate appena un milione di specie,

mentre le stime elaborate dai biologi vanno dai 5 ai

10 milioni. Diventa, quindi, ancora più urgente e

importante occuparsi della conservazione di specie

e ambienti che rischiano di sparire per sempre a

causa dell'uomo, ancora prima di essere scoperti. È

noto che alcuni biomi risultano più importanti

rispetto ad altri in termini di ricchezza di specie: le

barriere coralline, gli estuari dei fiumi e le foreste

tropicali che accolgono oltre la metà degli esseri

viventi, pur ricoprendo il 6% della superficie

terrestre, sono i più importanti. Perché la diversità

nell'ambito di una comunità biologica possa essere

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considerata una risorsa deve essere

caratterizzata da un adeguato numero di

specie, da un'alta valenza ecologica e da

un legame con le condizioni ambientali.

Inoltre è necessaria un'uniforme e

approfondita conoscenza dei dati di

base e la disponibilità di dati recenti.

La biodiversità è l'assicurazione sulla

vita del nostro pianeta. Quindi la

conservazione della biodiversità deve

essere perseguita senza limiti poiché

essa costituisce un patrimonio

universale, che può offrire vantaggi

immediati per l'uomo:

* Mantenimento degli equilibri

climatici sia a scala locale che

planetaria; infatti, le specie vegetali

oltre ad essere l'unica fonte di ossigeno

sul nostro Pianeta, hanno anche un

ruolo fondamentale negli equilibri idrici

e in quelli gassosi.

* Fonte di materiale di studio: lo

studio della Biodiversità permette di

avere fondamentali conoscenze anche

per comprendere meccanismi biologici

analoghi nell'uomo.

* Uso sostenibile della flora per fini

alimentari e medicinali: per quanto

riguarda l'uso della flora per

l'alimentazione c'è da dire che oggi

viene sfruttata solo una minima parte

delle infinite possibilità alimentari

fornite dalle piante. Invece utilizzando meglio tali

risorse si potrebbero soddisfare i problemi di

nutrizione in molte parti del mondo, senza alterare

equilibri essenziali per l'ambiente.

Riguardo ai fini medicinali dell'uso della flora

invece c'è il rischio di perdere, prima ancora di

scoprirle, piante che forniscono sostanze necessarie

nella lotta contro patologie come il cancro e la

leucemia.

* Soddisfacimento della richiesta sempre

crescente di spazi naturali: l'istituzione di aree

protette per un turismo eco-compatibile, può

soddisfare la richiesta crescente di spazi per

effettuare attività come l'escursionismo.

L’approccio didattico allo studio della biodiversità è

stato quello di scegliere un oggetto di studio che

fosse familiare ai bambini e che potesse così farli

avvicinare in modo sereno ma curioso allo studio

“strutturato” di un organismo vivente. Esso,

l’organismo ci appare simile tra i simili, ma diverso

se confrontato con altri. L’osservazione attenta e lo

sviluppo di sistemi logici di raggruppamento,

anticipano con naturalezza i processi di

classificazione che caratterizzano gli studi

tassonomici. Ordinare un insieme di frutti

rappresenta quindi un atto “altamente significativo”

se condotto con metodologia rigorosa.

ATTIVITÀ 1- CLASSIFICHIAMO I FRUTTI

Azione: mettiamo in ordine un insieme di frutti

Luogo di realizzazione: Laboratorio scientifico o

aula

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Tempo di realizzazione: 2 ore

Destinatari: Classi I, II. III

PREREQUISITI

Saper distinguere i colori

Riconoscere le forme

Saper distinguere e usare i cinque sensi

Conoscere il concetto di insieme

Saper effettuare operazioni con gli insiemi

I CONTENUTI

La biodiversità

La classificazione artificiale

Le caratteristiche dei frutti: somiglianze e differenze

Saper osservare attentamente le caratteristiche degli oggetti

saper classificare gli oggetti secondo degli attributi

Saper identificare il problema e trovare la soluzione

saper condurre una discussione

LABORATORIO SCIENTIFICO “Classificare i

frutti”

Acquisire che i frutti hanno caratteristiche morfologiche diverse

Acquisire che attraverso un esame sensoriale si possono scoprire le caratteristiche dei frutti

Acquisire che esiste un’estrema biodiversità di frutti

Apprendere che gli oggetti possono essere classificati sulla base di somiglianze e differenze

ABILITÀ COMPETENZE

Saper distinguere le caratteristiche morfologiche dei frutti presi in esame (aspetto, colore,forma, odore, gusto, tatto)

Saper confrontare distinguendo le somiglianze e le differenze dei frutti presi in esame (esempio la mela e l’arancia hanno entrambe forma tonda, mentre il cetriolo ha forma allungata

CONOSCENZE

Obiettivi didattici

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MATERIALI E STRUMENTI

Per l’attività è necessario avere a disposizione

una grande varietà di frutti. Possiamo quindi

scegliere tutta la frutta disponibile, compresi

gli ortaggi quali pomodori, zucchine,

melanzane, cetrioli ecc; nonché frutta secca

(noci, nocciole ecc). Si veda la figura 1 per

valutare la tipologia di frutto utilizzato

Scatole colorate

Le scatole rappresentano le varie categorie di

classificazione, che riferiamo mentalmente

come dei contenitori atti a contenere soggetti

simili tra loro

Etichette

Stabiliscono le categorie e sottocategorie,

introducendo l’ordine gerarchico tassonomico

Lavagna e gesso

Sono sempre validi sussidi che consentono ai

bambini di cadenzare l’attività didattica

seguendo i tempi dati dall’insegnante

Gli insiemi: i diagramma di Eulero-Venn

Essi sono la rappresentazione astratta dei

contenitori e quindi evocano le categorie

tassonomiche come insiemi ordinati

Schede operative

Costituiscono uno strumento adatto alla

documentazione e anche alla valutazione

dell’attività.

COME PROCEDERE

Ogni frutto dovrà essere classificato in base ai

sensi. Utilizzando un senso per volta, i frutti

verranno sistemati nelle apposite scatole. Per

ciascun senso ogni frutto avrà una diversa

“qualità” che verrà annotata sulle schede

operative. In tal modo si confronteranno le

valutazioni dell’intera classe e si

correggeranno le “qualità” che la

maggioranza giudica errate.

Figura 1. L’insegnante chiede agli alunni di portare frutta di stagione e, ad integrazione, procurerà i frutti di categorie meno familiari

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Viene proposto di ricercare un metodo per “ordinare” i frutti. Gli alunni sono sollecitati ad interpretare e ad utilizzare i dati accumulati dalle loro osservazioni per ciascun frutto. Dalla discussione, emergono delle ipotesi. Qui di seguito è riportato un esempio: Il melone ha una forma allungata Il melone ha un aspetto lucido Il melone al tatto è liscio e duro Il melone ha odore gradevole

IPOTESI DELLA CLASSE:

I bambini sono invitati ad osservare attentamente i frutti e ad individuare delle somiglianze e delle differenze. Ciò inizialmente è fatto utilizzando solo la vista, mediante la quale vengono individuate delle categorie (es. forma, colore, aspetto, tatto).

PROPOSTA DEL PROBLEMA:

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Olfatto

Forma

Tondo Allungato

Aspetto

Opaco Lucido

Inodore Odore

Gradevole Sgradevole

Liscio

Duro

TATTO

RugosoPeloso

morbido morbido morbido

Duro Duro

La proposta che ai bambini può sembrare conseguenza logica è quella di verificare tali ipotesi utilizzando i sensi: vista, olfatto e tatto. Vengono quindi approntate scatole colorate sulle quali viene apposta un’etichetta. Ogni colore rappresenta una categoria (scatola) divisa in sottocategorie.

ESPERIMENTO

COLORE CATEGORIA SOTTOCATEGORIA VERDE FORMA TONDO / ALLUNGATO GIALLO ASPETTO OPACO / LUCIDO VIOLA OLFATTO ODORE / INODORE BLU TATTO LISCIO / PELOSO / RUGOSO (MORBIDO / DURO)

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RISULTATI

Ogni volta che il bambino esamina un

frutto deve individuare la categoria alla

quale questo appartiene, riponendolo

nella scatola corrispondente.

Questo ha come conseguenza la

conferma di alcune ipotesi e la

confutazione di altre.

Ad esempio le ipotesi: “Il melone ha

una forma allungata”, “Il melone è

liscio e duro”sono confermate; mentre

le ipotesi: “Il melone ha un aspetto

lucido ” e “Il melo ne ha odore

gradevole” sono confutate.

Il passo successivo è quello

dell’individuazione da parte dei bambini

di un ulteriore metodo per l’analisi del frutto. Se

l’ipotesi di lavoro, (ossia l’utilizzo dei sensi), è

recepita dal bambino, la sua risposta sarà quella di

individuare il senso mancante: “il gusto”. La

“Categoria gusto” è rappresentata dal colore

arancione, ed è suddivisa nelle seguenti

sottocategorie:

INSAPORE:

succosa / secca / compatta: cremosa o croccante.

SAPORE:

dolce (succosa /secca / compatta: cremosa o croccante);

amara (succosa /secca / compatta: cremosa o croccante);

aspra (succosa /secca / compatta: cremosa o croccante);

GUSTO

succoso secco

compatto

cremoso croccante

SAPORE: Amaro

croccante

dolce SAPORE: Dolce

croccante

GUSTO

succoso secco

compatto

cremoso

GUSTO

Aspro

succoso secco

compatto

cremoso croccante

SAPORE:

GUSTO

Insapore

succoso secco

compatto

cremoso croccante

SAPORE:

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Gli alunni sono stati invitati ad assaggiare i frutti presi in

considerazione ed affermare quanto segue:

E’ vero che la mela è dolce, ma non èsuccosa, piuttosto compatta e

croccante.

E’ vero che la noce è secca, ma non è dolce piuttosto amara

Alcune proposizioni sono state quindi confutate, mentre altre sono

state confermate.

ESPERIMENTO

EOSSERVAZIONI

IPOTESIDELLA CLASSE:

Il risultato d tali indagini ha portato a ipotizzare le seguenti supposizioni:

- La mela è dolce e succosa - Il limone è aspro e succoso - La noce è dolce e secca

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RISULTATI:

Si giunge alla conclusione, che mediante l’impiego dei sensi, èpossibile operare una classificazione dei frutti.

Ne è scaturito quindi uno schema di classificazione strutturato come segue:

Il Frutto: classificazione artificiale attraverso i sensi

FORMA

ASPETTO

OLFATTO

allungata

tonda

lucido

opaco

odore

inodore

sgradevole

profumato

duro

pelosoTATTOliscio

rugoso morbidoduromorbido

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Il Frutto: classificazione artificiale attraverso i sensi

FORMA

ASPETTO

OLFATTO

allungata

tonda

lucido

opaco

odore

inodore

sgradevole

profumato

duro

pelosoTATTOliscio

rugoso morbidoduromorbido

secco compattosuccoso

GUSTOdolce a spro

secco compatto ama ro succoso

croccantecremoso

croccantecremososecco compatto succoso

croccantecremoso

compatto

insapore

succososecco

croccantecremoso

Il Frutto: classificazione artificiale attraverso i sensi

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Attività 2. CLASSIFICARE

La classificazione proposta non è fatta a

priori, ma la pluralità di termini

utilizzata ha una logica che definisce

somiglianze e differenze consentendo di

apportare chiarezza nell’estrema

biodiversità che ci circonda.

Si può effettuare una classificazione di

tipo artificiale o naturale.

ARTIFICIALE: si effettua senza tener

conto delle reali affinità evolutive, ma

solo delle somiglianze a livello

macroscopico dell’aspetto esterno.

NATURALE: cerca di raggruppare gli

organismi secondo le loro affinità

genetiche o evolutive.

LA CLASSIFICAZIONE DEI FRUTTI E

IL LINGUAGGIO DEGLI INSIEMI

La lezione sulla classificazione naturale

dei frutti, precedentemente esposta, può

essere svolta, in una fase successiva,

anche, adoperando una metodologia

alternativa: il linguaggio degli insiemi e

quindi l’utilizzo dei diagrammi di

Eulero-Venn e le relative

rappresentazioni grafiche (l’inclusione)

e l’operazione di intersezione.

I diagrammi di Eulero-Venn sono

utilizzati in quanto vengono considerati

un’efficace rappresentazione del

pensiero e dell’immaginazione dei

bambini. Immaginando di usare i sensi (vista,

olfatto, tatto e gusto), i bambini devono cogliere le

differenze di forma (allungata tonda) e aspetto dei

frutti (opaco o lucido), al tatto (buccia liscia,

rugosa, pelosa, morbida, dura), all’odorato

(profumato, odore sgradevole, inodore) e al gusto

(polpa dolce, amara, aspra, secca, succosa,

compatta, cremosa e croccante). Si procede cosi ad

un tentativo di classificazione. Si cerca di rendere

partecipe l’intera classe invitando i bambini a citare

dei frutti conosciuti, riunendoli in un insieme o

categoria rappresentata da una porzione di piano

sulla lavagna.

Si invitano gli allievi a classificare gli oggetti presi

in esame.

Il classificare è tra le attività di indagine consigliate

dai Programmi Ministeriali e sulle quali gli alunni

sono tenuti ad esercitarsi.

La classificazione è caratterizzata da concetti che

sono alla base del pensiero logico.

Avere capacità logiche significa essere capaci di

osservare, confrontare, rilevare differenze e

CATEGORIA FRUTTI

Nocciola Mela Banana Melanzana Baccello di fagiolo

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somiglianze, classificare, ordinare;

significa capacità di riflettere, di

orientarsi di fronte a situazioni nuove.

Non si tratta di far studiare delle

classificazioni già predisposte, ma di

costruirle con pochi elementi, sulle

quali gli alunni possono fare

osservazioni analitiche e ricercare

attributi significativi evidenti, per dare

ordine logico ai dati emersi.

Per effettuare una classificazione,

quindi, si spiega che bisogna isolare una

proprietà fra tante note, che è possibile

attribuire agli oggetti presi in esame.

La “forma” è una proprietà di tutti gli

oggetti (mela, baccello di fagiolo,

melanzana) presi in esame, per cui essa

è caratterizzante e permette di riunirli in

un insieme A o categoria rappresentante

la “Categoria forma”, si ottiene, quindi

una nuova rappresentazione.

A questo punto si considerano due

attributi della proprietà “forma”:

“allungata” e “tonda”. Esempio: la mela

ha una forma tonda, qualità non

posseduta dal baccello di fagiolo, che

risulta avere forma allungata. Quindi i

frutti che hanno forma tonda

costituiscono il sottoinsieme o

“Sottocategoria B” dell’insieme A

“forma”; quelli allungati costituiscono il

sottoinsieme o “Sottocategoria C” dell’insieme A

“forma”.

La “forma” è una proprietà di tutti gli oggetti (mela,

baccello di fagiolo, melanzana) presi in esame, per

cui essa è caratterizzante e permette di riunirli in un

insieme A o categoria rappresentante la “Categoria

forma”, si ottiene, quindi una nuova

rappresentazione.

A questo punto si consideravano due attributi della

proprietà “forma”: “allungata” e “tonda”. Esempio:

la mela ha una forma tonda, qualità non posseduta

dal baccello di fagiolo, che risulta avere forma

allungata. Quindi i frutti che hanno forma tonda

costituiscono il sottoinsieme o “Sottocategoria B”

dell’insieme A “forma”; quelli allungati

costituiscono il sottoinsieme o “Sottocategoria C”

dell’insieme A “forma”. Alcuni frutti, esempio

oliva e kiwi poiché hanno una forma che possiamo

definire tondeggiante sono stati classificati

mediante l’operazione intersezione, come

appartenenti ad entrambi i sottoinsiemi B “tonda” C

“allungata”. Si crea cosi un ulteriore insieme

d’intersezione D

OGGETTO TONDA ALLUNGATA

Mela

Baccello di

fagiolo

Melanzana

X

X

X

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Si procede con la proprietà “aspetto”

scegliendo gli attributi “Opaco” e

“Lucido”.La proprietà “aspetto” è

quella caratterizzante. Essa rappresenta

l’insieme o “Categoria aspetto” A. Si

procede come prima, esempio il kiwi ha

un aspetto opaco, la mela lucida, poiché

si tratta di due qualità diverse, il primo

fa parte del sottoinsieme o “Sottocategoria opaca”

B, il secondo appartiene al sottoinsieme

o“Sottocategoria lucida” C. La ghianda ad esempio

è un esempio di frutto che ha un aspetto sia lucido

che opaco, quindi mediante l’operazione

intersezione è classificato come appartenere ad

entrambi i sottoinsiemi B e C. Si crea un ulteriore

sottoinsieme d’intersezione D.

Mela

Baccello di

fagiolo

B C

Oliva

A = Categoria forma

B = Sottocategoria tonda

C = Sottocategoria allungata

D = Insieme intersezione

D

CATEGORIA FORMA

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Per la proprietà odore si scelgono due

attributi: “inodore” e “odore”.

L’attributo “odore” si divide in due

sottocategorie “profumato” e “odore

sgradevole”. La proprietà “Odore” è

quella caratterizzante e rappresenta

l’insieme o “Categoria Odore” A. Si

spiega ai bambini che tutti i frutti hanno

un odore a prescindere se esso può

essere sgradevole o gradevole. Esempio la mela, ha

un odore e quindi appartiene al sottoinsieme o

“Sottocategoria odore” C dell’insieme A. Essa ha un

odore gradevole, quindi fa parte del sottoinsieme o

“Sottocategoria profumata” D appartenente al

sottoinsieme o “Sottocategoria odore” C. Il

sottoinsieme o “Sottocategoria inodore” B

rappresenta un sottoinsieme vuoto.

Mela

C

E

B

A

CATEGORIA ODORE

A = Categoria odore

B = Sottocategoria inodore

C = Sottocategoria odore

D = Sottocategoria profumata

E = Sottocategoria odore sgradevole

A

Ghianda

B C

Kiwi Mela

A = Categoria aspetto B = Sottocategoria opaca

C = Sottocategoria lucida D = Insieme intersezione

D

CATEGORIA ASPETTO

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Considerando la proprietà “tatto”

caratterizzante e rappresentante

l’insieme o la “Categoria tatto” si

scelgono altri cinque attributi: “liscio”,

“rugoso”, “peloso”, “morbido”, “duro”.

Si procede alla classificazione: esempio

al kiwi si possono attribuire gli attributi “peloso”

“rugoso” e “morbido”, quindi esso fa parte

dell’insieme intersezione G dei seguenti

sottoinsiemi o “Sottocategoria rugosa” D,

“Sottocategoria pelosa” C, Sottocategoria morbida”

E dell’insieme A.

CATEGORIA TATTO

A = Categoria tatto E = Sottocategoria morbida B = Sottocategoria liscia F = Sottocategoria dura C = Sottocategoria pelosa G, H, I, L = Insieme Intersezione D = Sottocategoria rugosa

B C D

E

Kiwi G

A

Pesca

Noce pesco

I L

Noce cocco

F H

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Infine si considera la proprietà “gusto”

caratterizzante e rappresentante

l’insieme o “Categoria Gusto”; si

scelgono i seguenti attributi “insapore”

“dolce”, “amaro”, “aspro”, “succoso”,

“secco”, “compatto”, “cremoso”,

“croccante”. Esempio alla mela si

possono attribuire i seguenti attributi: “dolce”,

“compatta” e “croccante”, quindi essa risulta

appartenere all’insieme intersezione z dei seguenti

sottoinsiemi o “Sottocategoria dolce” B,

“Sottocategoria compatta” F, “Sottocategoria

croccante” R dell’insieme A.

- A = Categoria gusto - K = Sottocategoria secca - T = Sottocategoria croccante

- B = Sottocategoria dolce - L = Sottocategoria compatta - U = Sottocategoria cremosa

- C = Sottocategoria aspra - M = Sottocategoria succosa - V = Sottocategoria croccante

- D = Sottocategoria amara - N = sottocategoria secca - W = Sottocategoria cremosa

- E = Sottocategoria insapore - O = sottocategoria compatta - X = Sottocategoria croccante

- F = Sottocategoria compatta - P = Sottocategoria succosa - Y = Sottocategoria cremosa

A

Mela

F

R

B

G

C

K

T

S U

N

M W

V

D

L

Z

H

J

E

O

I

X

Q

Y

p

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- G = Sottocategoria succosa - Q = Sottocategoria secca - Z = Insieme intersezione

- H = Sottocategoria secca - R = Sottocategoria croccante - J = Sottocategoria succosa

- I = Sottocategoria compatta - S = Sottocategoria cremosa

Attività 3. DAL FRUTTO AL SEME

Basandoci sull’Attività 1, cerchiamo di

scoprire cosa accomuna tutta la varietà di

frutti analizzati. Scopriremo che tutti i frutti

contengono i semi, anche se sono diversi

l’uno dall’altro.

I CONTENUTI

Il Frutto: organo di dispersione delle Angiosperme

I frutti monospermi e plurispermi: classificazione

luogo di realizzazione: aula o laboratorio

tempo di realizzazione: 2 ore

destinatari: classi IV e V

Obiettivi didattici

ABILITÀ COMPETENZE Saper comprendere che il frutto è l’unita di

dispersione delle Angiosperme

Saper riconoscere i frutti monospermi dai frutti plurispermi

Saper osservare attentamente le caratteristiche degli oggetti

Saper classificare gli oggetti

Saper identificare il problema e trovare la soluzione

saper condurre una discussione

Saper interagire nel gruppo

LABORATORIO SCIENTIFICO “ Il Frutto”

CONOSCENZE Sapere che il frutto è l’unità di dispersione delle Angiosperme

Conoscere i frutti monospermi e plurispermi

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MATERIALI E STRUMENTI

Frutti di diverso tipo

Coltello

Album da disegno

Colori

Scheda operative

COME PROCEDERE

PROPOSTA DEL PROBLEMA:

Agli alunni è stata proposta la seguente domanda:

“Che cos’è un frutto?”.

Fig 2. Si utilizzano i frutti dell’attività 1

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FASE SPERIMENTALE

Gli alunni propongono di sezionare i frutti

(fig. 4.)

Tale operazione è preceduta da una

discussione sul tema “ Come tagliare il

frutto”. Si individuano due tipi di taglio,

quello “verticale o longitudinale” e quello

“orizzontale o trasversale”.

Infine si allarga il confronto delle sezioni ai

diversi tipi di frutti e gli alunni, hanno così

modo di osservare le differenze strutturali

esistenti.

Fig. 3 Ipotesi: Frutti disegnati dai bambini prima dell’attività laboratoriale.

Si da allievi la possibilità di esprimere le loro idee e rappresentare con un disegno la struttura interna di un frutto alla lavagna (fig.1b). Si procede confrontando i disegni. “Chi ha disegnato la forma corretta?”. “A quali di questi disegni corrisponde la struttura reale di un frutto?”. L’obiettivo è quello di far comprendere agli alunni il metodo d’indagine per la verifica di tale ipotesi.

IPOTESI DELLA CLASSE:

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OSSERVAZIONI:

Viene individuato nel seme, in diversi tipi di

frutti, l’elemento comune.

Si osserva per ciascun frutto il numero dei

semi e si distinguono i FRUTTI

MONOSPERMI (presenza di un solo seme)

dai FRUTTI PLURISPERMI (presenza di più

di un seme.)

CLASSIFICAZIONE FRUTTI

MONOSPERMI (con solo un seme) E PLURISPERMI (con più semi)

Figura 5. Tipologie di frutto in base alla loro struttura interna

Categoria Frutti

MONOSPERMI PLURISPERMI

Fig. 4: Fase dissezione dei frutti

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a

a) Frutto carnoso categoria BACCA

Ecballium elaterium(cocomero asinino)

b c

c) Frutto carnoso categoria BACCAFRUTTO BALAUSTIO

Punicum granatum (melograno)

b) Frutto carnoso categoria DRUPA

Juglans regia (noce)

d e f

d) Frutto secco categoria FollicoloFRUTTO AGGREGATO

Magnolia grandiflora (magnolia)

e) Frutto carnoso categoria BACCAsottocategoria PEPONIDE

Cucuminis sativus (cetriolo)

f) Frutto carnoso categoria BACCAsottocategoria PEPONIDE

Solanum melongena(melanzana)

Figura 6. Gli alunni disegnano i fr utti dissez ion ati con i part icolari anatomic i e li confrontano con i disegni precedenti (ipotes i, Fig 3).

a b

dc

c ) Fru tto carn oso ca teg oria ba ccaC ytru s sine nsis (a ran cia )

d ) F rutto ca rnoso F ru tto fa lsoMa lu s sylv estri s (m ela )

a) b ) Fr utto carn oso c ate gori a b acc aLy cop ersi con e scul ent um ( pom od oro )

sem e

seme

sem e

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RISULTATO:

Gli alunni dopo aver osservato le

sezioni dei frutti concludono:

“Il frutto può essere considerato un contenitore di semi”.

“Il frutto ha la funzione di proteggere i semi”.

“ Quelli che comunemente consideriamo ortaggi, esempio la melanzana, sono frutti”

“Abbiamo scoperto che anche la capsula del papavero o dell’iris, la melanzana, il cetriolo, la zucchina, il follicolo della magnolia sono dei frutti”

Alcuni frutti come la pesca, la susina, la ciliegia hanno un solo seme,

Mentre altri come l’uva, il pomodoro

hanno più di un seme.

ATTIVITÀ 4. IL FIORE E LE SUE

PARTI

Dall’esperienza maturata nel rapporto

continuativo con varie realtà della

Scuola Primaria si è constatato che nel

piano delle offerte formative poca

attenzione viene dedicata al mondo

naturale, in disaccordo con la naturale

disposizione dei bambini

all’osservazione. Inoltre poco (o nullo)

è lo spazio dedicato all’approccio

laboratoriale delle scienze naturali e

delle scienze nel loro insieme. Nella

realtà scolastica manca al bambino,

quindi, lo stimolo verso l’osservazione

attenta e la conoscenza di soggetti che

caratterizzano l’ambiente in cui vive e

che, pur rientrando spesso nell’attività quotidiana,

sono in realtà sconosciuti. Questo supporta l’idea

che è necessaria la conoscenza di un soggetto prima

di sviluppare una relazione con esso e, di

conseguenza, che andrebbero incrementate le

attività pratiche (di sperimentazione). Sulla base di

questa convinzione è stato elaborato un percorso

didattico laboratoriale, articolato in diverse attività,

che permette ai bambini di analizzare e conoscere il

fiore nella sua struttura e diversità. La scelta del

soggetto è motivata dal fatto che, in una precedente

indagine condotta nella scuola primaria è emerso

che il fiore è uno degli “oggetti” naturali preferiti

dai bambini.

PERCORSO LABORATORIALE

Il percorso laboratoriale sul fiore è articolato in tre

attività, ciascuna della durata di due ore.

N. 1: LE PARTI DEL FIORE

N. 2: Il FIORE CHIMERICO

N. 3: COSTRUISCI E DISEGNA IL FIORE

PREREQUISITI

Conoscere e saper usare il microscopio ottico

Saper usare una lente d’ingrandimento

Saper allestire un preparato da osservare al microscopio ottico

Saper distinguere i viventi dai non viventi

Conoscere il concetto di insieme

CONTENUTI

Le parti del fiore

Le caratteristiche dei fiori: somiglianze e differenze

La biodiversità dei componenti floreali

La simmetria del fiore

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L’organografia e la disposizione spaziale degli elementi floreali

Luogo di realizzazione laboratorio

scientifico o aula

Tempo di realizzazione 6 ore

Destinatari: classi IV e V

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MATERIALI E STRUMENTI

Per la dissezione del fiore e per la

costruzione del fiore chimerico occorre:

Fiore del genere Lilium

Quattro diverse specie di fiori a simmetria raggiata (esempio iris, rosa, ranuncolo)

Microscopio ottico e stereomicroscopio

Pinzette, bisturi, vetrini copri e portaoggetti

Lavagna e gesso

Gli insiemi: i diagramma di Eulero-Venn

Schede operative

Per la costruzione del fiore occorre:

Cartoncini colorati con le stampe dei componenti del fiore da costruire

Scovolini

Plastilina

Cannucce

Per la rappresentazione dello schema del fiore

occorre:

Matite colorate

cartoncino

N. 1: LE PARTI DEL FIORE

L’attività n. 1 si basa sull’osservazione, la

manipolazione e la dissezione di un fiore di Lilium

(fig. 1) appartenente ai fiori ermafroditi (o

incompleti, perfetti, fiori che possiedono sia stami

che carpelli, anche se privi di sepali, o di petali, o di

entrambi). Nel fiore preso in esame è presente il

perigonio (solo corolla formata dai tepali) al posto

del perianzio (corolla formata dai petali e il calice

costituito dai sepali) Durante la fase di dissezione,

gli allievi attraverso una scheda guida, (A)

identificano le parti fiorali.

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Il fiore disegnato dai bambini prima

dell’attività laboratoriale rappresenta la

nostra ipotesi.

FASE SPERIMENTALE

Eseguire la dissezione del fiore di lilium

partendo dal verticillo più esterno, la

corolla costituita dai tepali;

Far osservare allo stereomicroscopio i

tepali, focalizzando l’attenzione sui

pigmenti colorati e su eventuali disegni presenti su

di essi.

Riflettere sulla funzione vessillare della corolla.

Far notare agli alunni, osservando il fiore della rosa

(o qualunque fiore provvisto di calice), l’assenza

del calice nel lilium

Procedere dissezionando gli altri verticilli: stami e pistillo

Osservare le parti dello stame: stelo e antera

Con una pinzetta prelevare il polline dall’antera e

allestire un preparato da osservare al microscopio

ottico, utilizzando vetrino portaoggetti, copri

oggetto, acqua, pipetta Pasteur

Osservare le parti del pistillo: stimma o stigma, stilo, ovario

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Con il bisturi sezionare longitudinalmente l’ovario ed osservarlo allo stereo microscopio. Si noterà la presenza degli ovuli

Riflettere sulle funzioni di ogni parte del fiore

Fig. 1a: Fase della dissezione del fiore di Lilium

RISULTATO

“Il fiore è costituito da foglioline modificate”

Il pistillo costituisce la parte femminile del fiore;

Gli stami costituiscono la parte maschile del fiore.

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Pistillo e stame hanno funzione riproduttiva

Calice e corolla sono parti sterili e hanno funzione vessillare, ossia di attrarre gli impollinatori specifici, che riconoscono una

determinata morfologia fiorale e visitano il fiore ricercando una “ricompensa” come nettare e/o polline ( favorendo così l’impollinazione incrociata tra fiori della stessa specie .)

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FORMULA FIORALE VERIFICHE

Riassumi le informazioni che hai ottenuto finora, scrivendo la formula fiorale come di seguito

spiegato:

N° sepali… (K)…………………………

N° petali… (C)……………………….

N° stami (A)………………………

N° pistilli (G)…………………….

FORMULA FIORALE

DI:………………………………………………………………

K………. C…………. A………… G……………

Scrivi il nome della famiglia di appartenenza del fiore esaminato, dopo averlo scoperto con la

chiave analitica

………………………………………………………………………………………………………

N. 2: IL FIORE CHIMERICO

L’attività n. 2 si basa sull’osservazione, la

manipolazione e la dissezione di un

assortimento di fiori a simmetria radiale (es

anemone, pero, pesco, rosa, lilium, ecc.).

Sulla base delle somiglianze e delle differenze

strutturali i bambini identificano i componenti

omologhi di ogni singolo fiore che sono stati

contestualmente raggruppati in quattro

insiemi:

K) sepali, C) petali, A) stami, G) pistilli.

Indispensabile in questa fase è il contributo

degli insegnanti dell’ambito matematico, che

possono integrare l’attività con i principi

elementari della teoria degli insiemi.

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FASE SPERIMENTALE

A questo punto vengono realizzati dei

“fiori chimerici” scegliendo i diversi

componenti secondo la formula

5(K):5(C):5(A):1(G), in cui il primo

numero indica la quantità da utilizzare e

il numero tra parentesi indica l’insieme

da cui prelevarli.

Ad esempio, ”5(K)” significa che

dall’insieme “sepali” vengono prelevati

5 elementi non necessariamente

omogenei, cioè appartenuti a fiori

diversi.

Analogamente accade per gli altri tre insiemi. Le

parti fiorali vengono quindi posizionate su un

“ricettacolo fiorale” disegnato su un foglio di carta,

seguendo l’ordine di disposizione: sepali

petali

stami

pistillo

(Fig. 2b).

Durante questa attività ai bambini non vengono

mostrate immagini o schemi di fiori, questo per

consentire loro di meglio definire “l’immagine

mentale” elaborata nell’attività precedente.

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Vengono però incoraggiati alla

collaborazione e al confronto delle loro

diverse interpretazioni.

Anche in questa fase i bambini sono

sollecitati all’osservazione delle

particolarità dei “fiori chimerici”

realizzati, con riferimento, per esempio,

alla simmetria e alla disposizione dei

diversi componenti sul ricettacolo.

FASE SPERIMENTALE

N. 3: COSTRUISCI IL FIORE

La realizzazione del modello fiorale

tridimensionale utilizzando materiali e

oggetti di facile reperibilità è l’obiettivo

della fase n. 3. Nella Fig. 3a è riportato

un esempio di modello realizzato.

In questa fase agli allievi viene chiesto

di identificare gli oggetti che per forma

e colore meglio identificano i vari

componenti del fiore (stelo, ricettacolo

ecc.) e di assemblarli secondo la formula, l’ordine e

la simmetria stabiliti nelle precedenti attività. Si

procede quindi all’inserzione dei componenti

partendo dal più interno (pistillo) e aggiungendo via

via i componenti più esterni. Il modello così

realizzato viene confrontato con immagini di fiori

lasciando agli allievi il compito di stabilire il grado

di fedeltà della riproduzione. L’utilizzo di modelli

in questa fase dell’attività, può senza dubbio

favorire la comprensione dell’organografia e della

disposizione spaziale degli elementi floreali e dei

rapporti fra loro esistenti.

L’ultima fase ha riguardato la realizzazione del

disegno schematico della struttura fiorale in sezione

longitudinale. La maggiore difficoltà per gli allievi

in questo tipo di riproduzione è la trasformazione

dell’oggetto tridimensionale a oggetto (schema)

bidimensionale. Per superare questa difficoltà è

necessario, nella maggioranza dei casi, suggerire di

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“sezionare” il fiore in modo tale che

nella sezione non manchi nessun

componente. Da una serie di sezioni

così ottenute gli allievi individuano le

sezioni complete, quelle cioè in cui

sono presenti tutti i componenti floreali;

queste sezioni sono quindi il soggetto

per la realizzazione degli schemi (Fig.

4a). Operativamente lo schema è ottenuto

individuando l’asse di simmetria della sezione (longitudinale in questo caso) che i bambini riportano sul foglio come linea verticale,

disegnando il ricettacolo fiorale, riportato sul foglio perpendicolarmente alla linea precedente,

aggiungendo ciascun componente rispetto al sistema di riferimento costruito.

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ATTIVITÀ 4. ALLA SCOPERTA

DELLA FOTOSINTESI

CLOROFILLIANA

Da più di 4 miliardi di anni il Sole

inonda la Terra e tutto lo Spazio

circostante con un’enorme quantità di

energia emessa, in parte, sotto forma di

luce. Noi, però, siamo talmente abituati

alla luce del Sole che spesso ci

dimentichiamo che essa è di

fondamentale importanza per quasi tutte

le forme di vita presenti sulla Terra che,

altrimenti, non potrebbero sopravvivere.

Ciò che lega la vita terrestre al Sole è il

fenomeno che prende il nome di

“Fotosintesi Clorofilliana” tanto

importante da essere necessariamente

proposto già nella Scuola Primaria; la

nascita della Fotosintesi è, infatti,

antichissima e anzi, secondo alcuni

ricercatori, rappresenterebbe proprio la

nascita della vita.

Nelle pagine che seguono cercheremo

di capire meglio, anche tramite l’ausilio

di semplici esperimenti da svolgere in

aula, di che cosa si tratta.

Luogo di realizzazione: aula o

laboratorio

Tempo di realizzazione: 10 ore.

Destinatari: Classe: IV e V

OBIETTIVI

Gli alunni al termine dell’U.D. devono essere in

grado di usare un linguaggio appropriato necessario

per descrivere, argomentare e dare adeguata forma

al pensiero scientifico, riorganizzare le conoscenze

per generalizzarne gli aspetti che caratterizzano la

Fotosintesi, raccogliere, selezionare e ordinare le

informazioni date, capire che la luce è un elemento

indispensabile alla vita delle piante, comprendere

che la clorofilla lavora solo dove arriva la luce del

sole.

Inoltre avranno la capacità e le competenze per

scoprire le condizioni in cui si verifica la

Fotosintesi.

Essa avviene nelle foglie dove c’è la clorofilla.

grazie alla fotosintesi la pianta libera ossigeno che

viene immesso nell’aria.

Infine potrà verificare le ipotesi formulate

attraverso l’esecuzione di esperimenti e/o

l’osservazione diretta dell’ambiente. La

documentazione sul quaderno dei percorsi svolti

consentirà di rappresentare le esperienze vissute ed

osservate attraverso l’uso di vari strumenti e

linguaggi: riproduzioni grafiche, tabelle,

descrizioni.

PRE-REQUISITI DELL’ALUNNO

Comprendere il linguaggio specifico e saper esporre oralmente e per iscritto.

Saper elaborare un testo descrittivo.

Conoscere gli Stati di Aggregazione dell’Acqua.

Conoscere le Proprietà della Materia.

Conoscere l’assorbimento della luce da parte dei corpi.

Conoscere la composizione dell’aria.

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Conoscere l’esistenza di relazioni di causa ed effetto.

Riconoscere le varie parti di una pianta.

PRE-REQUISITI DELL’INSEGNANTE

L’insegnante deve possedere le seguenti

conoscenze:

Anatomia della foglia (struttura e funzioni).

Funzionalità della foglia: processo fotosintetico, respirazione e traspirazione.

Fasi della Fotosintesi.

Nozioni di Fisica come ad esempio i comportamenti dei corpi nell’acqua e, quindi, il ”Principio di Archimede”.

Il processo di “Fotosintesi

Clorofilliana” avviene nelle foglie delle

piante. La loro forma ampia e

schiacciata consente loro di esporre alla

luce la massima superficie con un peso

molto ridotto. Una foglia è composta da

una sottile lamina, da un picciolo

collegati da una venatura centrale e, nel

tipo più comune, da due facce diverse: la faccia

superiore (esposta direttamente alla luce del sole) e

quella inferiore (che ha la funzione di regolare gli

scambi gassosi con l'ambiente). La superficie

esterna della foglia è costituita dall'epidermide, un

tessuto composto di piccole cellule strettamente

legate le une alle altre senza spazi (come le

mattonelle di un pavimento), al di sopra delle quali

si deposita la "cuticola“, impermeabile e protettiva.

L'epidermide inferiore, rispetto a quello dell'altra

faccia, presenta molti più peli e, soprattutto, un

numero maggiore di “stomi”. In effetti, gli stomi

sono le “bocche” attraverso le quali la pianta può

“respirare”.

Immediatamente al di sotto dell'epidermide

inferiore, si trova il più efficiente tessuto

fotosintetico della foglia. È detto "mesofillo a

palizzata", per la particolare disposizione delle

cellule che lo compongono, di forma allungata e

disposte fittamente le une accanto alle altre

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50

(appunto come gli elementi di una

palizzata) per sfruttare al meglio la luce

che arriva fino a loro.

Il mesofillo fogliare è poi rafforzato da

nervature composte, a sua volta, da

cellule, che hanno la funzione di portare

acqua e sali minerali alla foglia e

allontanare le sostanze alimentari

prodotte, come vedremo, dalla

fotosintesi.

Le piante sono considerate gli unici

organismi in grado di produrre da sole il

nutrimento necessario per crescere e

vivere attraverso la fotosintesi; il

termine è composto da "foto" (luce) e da

"sintesi", ad indicare che la produzione

di queste sostanze alimentari può aver

luogo inutilizzato, viene liberato

nell’atmosfera soltanto in presenza di

luce.

Le piante riescono a realizzare tutto ciò

catturando l’energia emanata dal sole

tramite le loro foglie. Il meccanismo di

assorbimento si realizza, poiché, nelle

foglie, esiste una sostanza capace di

assorbire le radiazioni solari: un

pigmento verde che prende il nome di

Clorofilla. Quest’ultima è concentrata

in quei corpiccioli definiti cloroplasti,

localizzati nelle parti verdi della pianta

e, in particolare, nelle foglie. Essi

svolgono la funzione di produttori di

clorofilla se ricevono la necessaria quantità di luce;

infatti, non a caso, una piantina posta in un

ambiente poco illuminato tende a perdere il proprio

colore verde.

In effetti, la fotosintesi è un processo che, per

reazione di due sostanze quali l'acqua (liquido) e

l'anidride carbonica (gas), da luogo ad un gas,

l'ossigeno, e ad un prodotto abbastanza complesso,

il glucosio (zucchero).

La luce è l’agente capace di attivare tale processo.

La luce viene assorbita dalla clorofilla, provocando

alcuni spostamenti di particelle al suo interno.

L’energia che si accumula viene utilizzata per far

avvenire le reazioni.

Quando si rompono le particelle d’acqua liberano

l’ossigeno nell’atmosfera. L’idrogeno, invece,

combinandosi con l’anidride carbonica, produce lo

zucchero.

Il meccanismo attraverso il quale si compie la

fotosintesi può essere diviso in due fasi distinte: la

fase luminosa e la fase oscura.

Fase luminosa (richiede necessariamente la

presenza di luce): come si sa nelle foglie ritroviamo

i cloroplasti dove, all’interno di questi, è presente la

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51 Acqua

Energia luminosa

Ossigeno

Anidride Carbonica

Zucchero

clorofilla ed altri pigmenti minori; sono questi

pigmenti che sono in grado di catturare la

luce, utilizzando l’acqua assorbita dalle radici,

trasformarle in energia.

È in questo momento che l’ossigeno

proveniente dall’acqua, che rimane

inutilizzato, viene liberato come un vero e

proprio prodotto di scarto.

Fase oscura: finita la necessità della luce nel

processo di fotosintesi, la trasformazione

continua in questa successiva fase dove

l’anidride carbonica, immagazzinata nel

processo iniziale, viene finalmente

trasformata in zucchero.

Come si può osservare, quindi, l’ossigeno

dell’aria può essere considerato un importante

sottoprodotto della fotosintesi e questo ci fa

pensare a quanto siano importanti le piante

per l’equilibrio vitale del nostro pianeta e a

quanto sia disastroso il disboscamento di

sempre più vasti territori.

La fotosintesi, infatti, purifica l’aria,

sottraendo l’anidride carbonica dannosa a tutti

i viventi, e la arricchisce di ossigeno.

In sostanza possiamo riassumere l’intero

processo fotosintetico proponendo in aula i le

figure riportate nelle pagine che seguono.

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52

.

LUCE ACQUA

OSSIGENO ZUCCHERI (ENERGIA)

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53

ESPERIENZE

Esperimento n°1

Materiale: una piantina in vasetto; una

grande scatola di cartone.

Mettiamo la nostra piantina dentro una

grande scatola di cartone, ma sul lato

del quale abbiamo creato un foro

rotondo di circa 3-4 cm di diametro.

Poniamo la scatola accanto alla finestra

in modo che la luce penetri direttamente

nella scatola attraverso il foro.

Dopo alcuni giorni osserviamo il

comportamento della piantina e

constatiamo che la piantina ha piegato il

fusto in direzione del foro.

Cambiamo ora la posizione della

scatola. Dopo qualche giorno

osserviamo che la piantina ha cambiato

ancora direzione. Gli alunni si

renderanno così conto che la pianta è

sensibile alla luce e può orientare le sue

parti verso di essa.

ESPERIMENTO N°2

Materiale: un contenitore di vetro, un

barattolo di vetro grande trasparente, 2

tappi di plastica, un tubo di gomma, una

pianta, del nastro da pacchi, acqua,

panno nero.

Versiamo dell’acqua nel primo

contenitore.

Fig.1

Chiudiamolo poi con un tappo forato nel quale facciamo

passare il tubo e sigilliamo (Fig. 3)

FIG 3

Mettiamo la pianta nel barattolo di vetro. Chiudiamolo con il

tappo e poi lo foriamo. Fig. 4

Fig. 2

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Infiliamo l’altra estremità del tubo nel barattolo di vetro contenente la pianta. Sigilliamo poi tutto

con il nastro da pacchi. Vediamo che con la luce non succede niente: l’acqua è tutta limpida (Fig.

4.)

Fig. 4 Copriamo poi il barattolo di

vetro contenente la pianta con il

panno nero. Dopo qualche ora

l’acqua che si trova nel primo

contenitore diventerà torbida. Con

la luce, infatti, la pianta libera

ossigeno e lascia l’acqua limpida.

Fig. 5. Al buio la

pianta libera

anidride carbonica,

rendendo così

l’acqua torbida

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ESPERIMENTO N°3

Materiale: pianta a foglie larghe; carta

stagnola; fermagli; alcool; tintura di iodio;

acqua bollente.

Teniamo una pianta a foglie larghe al buio per

almeno una giornata. Esponiamola poi al sole

durante una intera mattinata, coprendo una

parte di una foglia con della carta stagnola

fissata con dei fermagli.

Al pomeriggio stacchiamo la foglia coperta e

laviamo la stagnola: immergiamo la foglia in

acqua bollente per alcuni minuti; mettiamola

poi in alcool sino a che non si è decolorata

(l’alcool estrae la clorofilla, ma perché

l’estrazione sia totale occorrono anche più

giorni); laviamola ancora molto bene con

acqua calda e immergiamola nella tintura di

iodio diluita con alcool. Si osserverà che,

mentre la parte della foglia non ricoperta dalla

stagnola si è colorata di bluastro, quella

ricoperta è rimasta incolore.

Perché si è verificato questo strano

fenomeno?

Diciamo agli alunni che la tintura di iodio

colora di blu l’amido, per cui nella parte

ricoperta l’amido evidentemente non si è

formato e che l’amido, il quale poi si

trasforma in zuccheri, costituisce l’alimento

della pianta. Una parte di questa sostanza si

deposita negli organi di riserva della pianta,

come i semi, i tuberi, ecc… in attesa di essere

utilizzata al momento opportuno.

Infine per spiegare ai bambini cosa è l’amido

è bene ancora una volta partire da cose, o

meglio da alimenti a loro più familiari come

la pasta, il pane, la frutta e quindi fare

riferimento alla nutrizione.

L’insegnante potrebbe “legare” gli alimenti

alle piante semplicemente facendo vedere,

attraverso esperimenti, che l’amido che si

trova ad esempio nella banana è uguale a

quello che si trova nelle piante.

Come evidenziare la presenza di amido se non

con un esperimento?

Materiale occorrente ed esperimento:

Farina, alimenti vari, amido, tintura di iodio,

etanolo.

Per prima cosa

prendere dell’amido

puro (che può essere

facilmente reperibile

nelle pasticcerie) e

versare su di esso

delle gocce di iodio

evidenziando che a contatto con questa

sostanza l’amido diventa di colore nero.

A questo punto facciamo lo stesso

procedimento su di una foglia che però verrà

prima decolorata in etanolo per evidenziarne

meglio il cambiamento di colore a contatto

con la tintura di iodio.

Una volta decolorata la foglia verrà messa in

acqua bollente per ammorbidire i tessuti e

rendere l’operazione più semplice.

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Preparato il tutto prendere la foglia decolorata e mettere su di essa la tintura di iodio assistendo alla

sua colorazione nera che indica come visto nell’esperimento precedente la presenza di amido.

A questo punto bisogna però far verificare ai bambini che la produzione dell’amido dipende dalla

luce del sole, e per fare questo bisogna prendere un ramo di una pianta con più foglie coprendone

alcune parti, di alcune di esse, con della carta stagnola per non far passare la luce. Dopo circa 24/32

ore prendere una foglia lasciata libera e una di cui alcune parti erano state coperte con la stagnola e

versare su di esse alcune gocce di tintura di iodio.

Noteremo che quelle lasciate libere si coloreranno di un nero intenso (come l’amido puro) mentre le

altre avranno assunto un colore nero sbiadito, questo indicherà che in una vi è più amido rispetto

all’altra.

Si può inoltre evidenziare maggiormente che l’amido che viene prodotto necessita della luce

mettendo sia foglie libere che coperte sotto una lampada per circa sei ore notando ancora una volta,

che quelle libere a contatto con la tintura di iodio assumono una colorazione nera più intensa

rispetto alla altre che assumeranno una colorazione nera-chiara

.

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Esperimento n. 4: test per la ricerca

dell’amido nelle foglie. Le foglie

illuminate sono più scure perché

contengono amido, quelle al buio sono

più chiare perché non contengono

amido. La presenza dell’amido indica

che quelle foglie hanno svolto l’attività

fotosintetica producendo glucosio che si

è poi trasformato in amido.

Le foglie al buio non contengono amido

in quanto senza luce non hanno potuto

effettuare la fotosintesi e quindi non

hanno prodotto glucosio.

L’amido è una materia bianca contenuta

nelle cellule dei vegetali sotto forma di

granelli.

Parte delle sostanze organiche viene accumulata e

conservata quale provvista alimentare in diverse

parti della pianta. Queste riserve sono

immagazzinate particolarmente nei semi e nei tuberi

che sono, infatti, assai ricchi di amido, di zucchero,

di proteine e talora anche di grassi; esse

costituiscono il primo nutrimento delle giovani

pianticelle che da essi germoglieranno e che solo

più tardi saranno capaci di nutrirsi da sole.

Come si è già detto, esso ha la particolarità di

colorarsi intensamente di azzurro con la tintura di

iodio. Versando una goccia di questo liquido su una

fettina di patata o di un fagiolo ecc vedremo

comparire immediatamente la colorazione azzurra

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che rivela la presenza dell’amido. Lo

iodio è un elemento chimico di colore

nero-violetto che si ricava dall’acqua di

mare e dalle alghe marine e che è

utilizzato in soluzione nell’alcool quale

potente disinfettante.

Gli alimenti vegetali contengono amido

che deriva dalla fotosintesi, Nella nostra

alimentazione rientrano una grande

varietà di prodotti vegetali che ne sono

ricchissimi. Ciò ci suggerisce che

l’amido è la prima molecola alimentare

che si produce nella catena alimentare

da cui derivano poi tutte le altre. Quindi

le piante si dicono produttori primari di

sostanze alimentari.

Tutti gli alimenti elaborati di origine

vegetale contengono amido perché

derivano direttamente o indirettamente

da tessuti di piante che ne contengono

grandi quantità (es. semi, tuberi ecc.).

Le farine, utilizzate per la produzione di

pane e affini hanno una concentrazione

elevata di amido.

Gli alimenti di origine animale (carne,

pesce, latte uova ecc.) non contengono

amido perché gli animali accumulano il

glucosio sotto forma di glicogeno. Quindi nella

catena alimentare il glucosio prodotto dalla pianta

passa da un organismo all’altro e si trasforma in

altre molecole fornendo la sua energia.

Materiale: foglie; vasetti; alcool; strisce di carta da

filtro.

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Per vedere tutti i colori (pigmenti)

contenuti nelle foglie, raccogliamo

foglie fresche di diverse piante.

Sminuzziamole e mettiamole in diversi

vasetti con un po’ di alcool da liquori.

Dopo poco noteremo che l’alcool si è

colorato.

Fissiamo poi strisce di carta da filtro in

modo che peschino all’interno di ogni

vasetto. Dopo un’ora togliamo le strisce

e appena asciugate noteremo che i

pigmenti si saranno disposti a diverse

altezze. Chiederemo a questo punto ai

nostri alunni se è sempre presente una

banda verde.

POSSIBILI APPROFONDIMENTI

La foglia, le radici, il fusto;

La traspirazione;

La respirazione;

Il disboscamento;

La comparsa dei primi microrganismi

sul pianeta Terra.

METODOLOGIE

Lezione partecipativa e stimolata dallo svolgimento

di appositi esperimenti;

Lezione interattiva durante la quale i momenti

dell’esposizione si alternano ai momenti di dialogo

e di confronto, stimolando in tal modo i singoli

alunni ed il gruppo;

Chiedere ai bambini di ripetere con parole proprie;

Spingere i bambini a ricercare tra libri e riviste

qualche articolo o qualche immagine che riguardi la

lezione.

TECNICHE DIDATTICHE

Lezione frontale;

Lavagna luminosa;

Brain-storming in funzione del commento dei lucidi

proiettati.

RISORSE

Tutto il materiale che viene utilizzato per lo

svolgimento dell’Unità Didattica risulta essere di

facile reperibilità, semplice, non pericoloso.

Ritroviamo quindi: lavagna luminosa, lucidi, libri,

riviste, una scatola di cartone, piantine, alcool,

vasetti, pianta a foglie larghe, carta stagnola,

fermagli, tintura di iodio, acqua bollente, strisce di

carta da filtro, nastro da pacchi, contenitore di vetro,

barattolo trasparente, tubo di gomma, panno nero.

VERIFICA

INSERISCI LE PAROLE MANCANTI

La ……………è un processo chimico che consente

alle……. di procurarsi il loro ……………… Il

processo fotosintetico avviene precisamente

nelle…………, grazie alla presenza di alcuni

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organuli chiamati………….. e

caratterizzati da un colore…………..

L’agente capace di innescare tale

processo è la ……….; infatti senza di

essa le piante non potrebbero vivere. La

fotosintesi è poi caratterizzata da due

………… che vengono definite

rispettivamente fase ……………… e

fase…………… La prima richiede

necessariamente la presenza di

……………., la seconda invece può

avvenire anche in sua assenza.

Metti la parola giusta al posto giusto:

Cloroplasti, luce, oscura, fotosintesi,

luce, piante, foglie, luminosa,

nutrimento, verde, fasi.

Sottolinea la risposta esatta:

1) La mamma di Alberto ha in casa due

piante ornamentali, una la tiene

costantemente accanto alla finestra,

l’altra in un angolo della stanza. Quale

delle due, secondo te, cresce meglio?

Quella posta accanto alla finestra perché ha più aria;

Quella posta nell’angolo della stanza perché soffre meno il freddo;

Quella posta accanto alla finestra perché ha più luce.

2) La signora Rossi sta per partire in

vacanza: lascia in casa le sue piante per

un periodo lungo senza curarle. Al suo

ritorno come le troverà?

Saranno più belle e più verdi di prima;

Saranno appassite;

Non risentiranno dell’assenza della signora.

Spiega con parole tue il perché della tua scelta.

3) La nonna di Rebecca decide di regalare alla sua

nipotina una piantina e le raccomanda di

prendersene cura. Ma la bambina la trascura

lasciandola spesso lontana dalla luce e privandola di

acqua. Che succederà alla pianta?

Continuerà a crescere normalmente;

Risentirà della mancanza di luce ed acqua e appassirà;

Anche da sola riuscirà a crearsi le condizioni giuste per vivere.

4) La parola “Fotosintesi” cosa significa?

trasformare con la luce;

fare una sintesi;

raggruppare delle foto.

5) Cosa assorbono le piante dal terreno?

zuccheri;

terra;

acqua e sali minerali.

6) Cosa prendono le piante dall’aria?

ossigeno;

anidride carbonica;

vapore acqueo.

7) Cosa ricevono le piante dalla luce del sole?

una bella abbronzatura;

clorofilla;

energia.

8) Dove si trova la clorofilla?

nel tronco;

nelle foglie;

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nelle radici.

9) Qual è il principale nutrimento delle

piante?

il glucosio;

i sali minerali;

l’ossigeno.

10) Nelle piante l’aria passa attraverso:

le nervature;

gli stomi;

il picciolo.

11) Cosa rende respirabile l’aria?

l’ossigeno;

gli scarichi delle auto;

il potassio.

12) Quale di queste cose non serve alla

Fotosintesi?

la luce del sole;

l’ossigeno;

gli zuccheri.

ATTIVITÀ 6. LA FERMENTAZIONE

Con questa attività si continuano i

processi di trasformazione della

materia. La fermentazione è un processo

biochimico complesso che partendo da

zuccheri come il glucosio produce

alcool etilico, anidride carbonica e altre

sostanze. Benché noi ci sentiamo

distanti dalla spiegazione scientifica del

processo non lo siamo altrettanto

rispetto ai suoi impieghi che l’uomo ha

imparato a sfruttare in semplici e

straordinari processi biotecnologici casalinghi. Di

seguito alcuni esempi di impiego della

fermentazione

Il Pane

Nella panificazione il lievito (del genere

Saccharomyces) fermenta gli zuccheri che si

staccano dall'amido durante la fase di impasto e di

riposo della massa in lavorazione. I prodotti della

fermentazione alcolica (alcol etilico ed anidride

carbonica) passano in fase gassosa formando le

caratteristiche bolle durante la lievitazione e la

cottura.

IL VINO

Il vino viene prodotto a partire da soluzioni

zuccherine ottenute dallo schiacciamento del

grappolo d'uva lasciate a fermentare con i lieviti

unicellulari del genere Saccharomyces presenti sulla

buccia dell'acino o provenienti da colture

selezionate.

A seconda delle condizioni di fermentazione, si

differenziano le qualità organolettiche (colore,

sapori, aromi ecc) del vino caratteristiche che si

arricchiscono ulteriormente durante le fasi

successive di lavorazione.

Il lievito in condizioni anaerobiche trasforma 100

grammi di zucchero in 51,1 di alcool etilico con un

rendimento in volume del 65.5%. Questo è un

rendimento ideale, nella realtà una parte dello

zucchero disponibile è utilizzata dal lievito per

moltiplicarsi, inoltre durante la fermentazione i

lieviti del mosto producono, oltre l'alcol e l'anidride

carbonica, anche prodotti secondari (glicerina, acido

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acetico, acido succinico) che

contribuiscono a caratterizzare l'aroma

del prodotto finito. Il rendimento reale

quindi si approssima al 60% in volume.

LA BIRRA

La birra si ottiene per l'azione di lieviti

della specie Saccharomyces cerevisiae

su di un mosto contenente malto di orzo

e quantità variabili di altri cereali grano,

riso o mais. La lavorazione è tale da

conservare nel prodotto anche l'anidride

carbonica.

Sottoprodotti dei birrifici sono il "lievito

di birra" venduto disidratato o

compresso i panetti e l'anidride

carbonica.

I FORMAGGI

Nella maturazione di alcuni formaggi

(riconoscibili dalle "occhiature") gli

zuccheri residui vengono degradati con

produzione di anidride carbonica.

Altri formaggi maturano utilizzando vie

metaboliche diverse dalla

fermentazione.

Lo Yogurt È il risultato della

fermentazione lattica operata da ceppi

selezionati di lattobacilli sul latte, intero

o trattato.

L'abbassamento del pH dovuto

all'accumulo dell'acido lattico protegge

il latte da altre alterazioni che lo

renderebbero inadatto all'alimentazione

e ne permettono quindi la conservazione a

temperatura ambiente.

L'abbassamento del pH dovuto all'accumulo

dell'acido lattico determina la denaturazione della

caseina che coagula conferendo al prodotto la

caratteristica consistenza.

Nella produzione industriale, spesso si usa

addizionare lo yogurt di zucchero o di marmellate

per migliorare la godibilità.

L’attività didattica proposta parte dalla scoperta che

i lieviti sono microorganismi responsabili della

produzione di anidride carbonica che fa “gonfiare”

la pasta del pane.

Di seguito la descrizione dei materiali e dei metodi

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DESCRIZIONE DELLE FASI

Individuare: il gruppo che costituisce il

controllo positivo (lievito + zucchero) e il

controllo negativo (lievito + acqua), le

variabili (lievito + farina) Preparare le

soluzioni a, b e c: in un becker graduato un

cubetto di lievito di birra da 25 gr aggiungere

300 ml di acqua tiepida e mescolare

gradatamente. Attraverso un imbuto versare le

soluzioni, preparata precedentemente, in tre

bottiglie di plastica da 500 ml e attaccare il

palloncino al collo della bottiglia, fissandolo

con del nastro adesivo. Osservare ciò che

avviene nelle diverse bottiglie (vedi foto) e

prendere nota.

Ore 14:30 Ore 15:00

Ore 15:30 Ore 16:00

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DISCUSSIONE RISULTATI:

Nell’esperimento A (soluzione contenente lievito + zucchero + acqua) il lievito si sviluppa più

velocemente, rilasciando una maggiore concentrazione di anidride carbonica, sotto forma di

bollicine, rispetto a quanto accade nell’esperimento B (soluzione contenente lievito + farina +

acqua), perché nel primo caso ad essere ossidato è uno zucchero semplice (saccarosio, un

disaccaride), nel secondo caso invece è l’amido uno zucchero complesso (polisaccaride).

Nell’esperimento C (soluzione contenente lievito + acqua) il lievito non si sviluppa, perché non

sono presenti zuccheri, di cui si può nutrire e quindi non può effettuare il processo di fermentazione.

Le cellule del lievito di birra (Saccaromyces cerevisiae) Schema della cellula eucariote

I lieviti che appartengono al genere

Saccaromyces costituiscono un gruppo

di funghi formati da un unico tipo di

cellula eucariote; la forma va dall’ovale

all’ellittico. Le dimensioni sono di 5 –

10 micrometri.

Osserviamo cellule sferoidali incolori

singole e in piccoli aggregati, le loro

dimensioni di pochi micron non

consentono l’osservazione

dell’organizzazione cellulare, è difficile

distinguere anche i nuclei.

Sono state catalogate più di mille specie di lieviti,

alcune specie sono comunemente usate per lievitare

il pane e far fermentare le bevande alcoliche. La

maggior parte dei lieviti appartengono al gruppo

degli Ascomiceti. Un piccolo numero di lieviti,

come la Candida albicans, possono causare

infezioni nell'uomo, mentre un altro lievito

Malassetia pachidermatis è causa di dermatite e

otite nel cane e nel gatto.

Il lievito più comunemente usato è

Saccharomyces cerevisiae, che è stato

"addomesticato" migliaia di anni fa per la

produzione di vino, pane e birra.

I LIEVITI ANEROBI FACOLTATIVI

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I lieviti sono anaerobi facoltativi, cioè

possono vivere sia in presenza di

ossigeno sia in assenza di ossigeno:

I lieviti sono dotati di attività

Respiratoria e si moltiplicano in

presenza di ossigeno utilizzando molti

composti del carbonio; essi sono dotati

anche di capacità fermentativa che si

manifesta in carenza di ossigeno solo

nei confronti del glucosio.

I lieviti sono: gli “ agenti della

fermentazione alcoolica” dei carboidrati

con formazione di alcool etilico e

anidride carbonica, trovano impiego

nella produzione del vino e della birra,

nella lievitazione del pane e dei prodotti

da forno.

LA FERMENTAZIONE.

APPROFONDIMENTI PER IL DOCENTE

La fermentazione è un processo che

consente di ricavare energia per via

anaerobica a partire da composti

organici. Le cellule di lievito, per

esempio, fanno fermentare gli zuccheri

presenti nella birra, nel vino e nel pane

convertendo il glucosio in biossido di

carbonio ed etanolo (alcol etilico)

C6H12O6 → 2 C2H5OH + 2 CO2

I lieviti e tutti i tipi di cellule sfruttano

l’energia immagazzinata negli zuccheri

scindendo le molecole di glucosio in un

processo metabolico chiamato

Glicolisiche avviene nel citosol della cellula.

In PRESENZA DI OSSIGENO molte cellule

possono ricavare un’ulteriore quantità di energia

attraverso la via metabolica della respirazione

cellulare.

In ASSENZA DI OSSIGENO, alcuni tipi di

cellule possono realizzare il processo della

fermentazione, che non comporta un ulteriore

guadagno di energia per la cellula, ma permette di

riciclare un trasportatore di energia indispensabile

allo svolgimento della glicolisi.

LA PANIFICAZIONE

Il lievito Saccaromyces cerevisiae è un fungo

unicellulare, si sviluppa su uno strato idoneo, nella

panificazione per esempio, in un impasto di acqua e

farina, nutrendosi di amidi. Durante il suo sviluppo

l’amido contenuto nella farina viene scisso in

zuccheri più semplici producendo anidride

carbonica (CO2) e alcol etilico (CH3CH2OH) ed

energia sotto forma di ATP.

Tale processo ossidativo anaerobico prende il nome

di fermentazione, dal latino fervere (bollire).

Inizialmente, i lieviti messi nel substrato di coltura (

l’impasto del pane) svolgono una respirazione

aerobiotica cioè utilizzando l’ossigeno nell’aria,

trasformano gli zuccheri in acqua e anidride

carbonica. Poi all’interno della massa in

fermentazione per mancanza di ossigeno passano

alla fermentazione sfruttando l’energia degli

zuccheri (ossidandoli anaerobicamente) in alcool

etilico e anidride carbonica.

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Ossidazione:

Schema dei diversi tipi di fermentazione

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ATTIVITÀ 7. ESTRAIAMO IL DNA

Nell’Era delle manipolazioni genetiche (vedi

OGM), alcune terminologie sono entrate nella

quotidianità. L’approccio didattico

all’insegnamento della genetica è possibile in

ogni grado di istruzione. Esperienze semplici

e immediate offrono la possibilità di

intraprendere lo studio della biologia delle

molecole fin dalla scuola primaria

(elementare). Di seguito sono riportati degli

esempi di sperimentazione da fare in classe

con uso di materiale semplice e di facile

reperibilità. Di rigoroso ovviamente c’è il

metodo.

ESTRAZIONE DEL DNA DELLA FRUTTA

Esperienza laboratoriale

I fase: preparazione della soluzione di

estrazione

II fase: preparazione della poltiglia ed

estrazione del DNA

III fase: filtrazione

IV fase: rimozione delle proteine

V fase: evidenziazione del dna

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MATERIALE OCCORRENTE

Un contenitore graduato da 200 ml = soluzione di estrazione

Due contenitori per urine da 50 ml ed uno da 15 ml = n. 1 acqua + sale; n.2 filtrato + bromelina; n.3 filtrato + bromelina + alcool

Detersivo per piatti (10 ml)

Quattro Siringhe da 5 ml= n.1 acqua; n.2 detergente; n.3 ananas, N.4 alcool

NaCl (sale da cucina) 5 gr (1 cucchiaino raso da caffè)

Un cucchiaino di plastica da caffè

Un cucchiaio di plastica per mescolare

Acqua (100 ml)

Due colini per filtrare (diametro circa 6-7 cm)= n.1 banana; n.2 ananas

Due vaschette di alluminio (formato piccolo)= n. 1 banana + soluzione di estrazione; n. 2 succo di ananas

Due forchette di metallo: n.1 banana; n.2 ananas

Due piatti di carta: n.1 banana; n.2 ananas

Un bicchiere di vetro (diametro circa cm 7-8): filtrato (banana + soluzione estrazione)

due bicchieri di plastica (formato piccolo): n.1 (filtrato banana + soluzione estrazione); n.2 succo di ananas

Ananas

Una banana media (100 gr senza buccia)

Bilancia

Carta assorbente

Etichette adesive

Penna

Soluzione di estrazione

MATERIALE OCCORRENTE:

Contenitore graduato (200 ml)

Contenitore per urine da 50 ml (n.1)

Detersivo per piatti (10ml)

Siringa da 5 ml (n.1 e n.2)

NaCl (sale da cucina) 5 gr (1 cucchiaino raso da caffè)

Un cucchiaino da caffè

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Un cucchiaio per mescolare

Acqua ( 50 ml)

Carta assorbente

FINALITÀ:

Il DNA è contenuto nel nucleo delle

cellule della frutta utilizzata ( vedi

schema). Per demolirlo è necessario

demolire la membrana cellulare e quella del nucleo.

Poiché queste membrane sono costituite da

FOSFOLIPIDI, molecole ricche di grassi, queste

verranno sciolte usando detersivo liquido.

Viene usato anche un po’ di sale che ha la funzione

di facilitare l’eliminazione delle proteine su cui è

avvolto il DNA e facilita la precipitazione del DNA.

PROCEDURA:

Nel contenitore per urine da 50 ml (n.1) sciogliere 3 gr di sale (un cucchiaino raso) in 50 ml di acqua

Mescolare energicamente.

Versare la soluzione nel contenitore graduato da 200ml

Aggiungere 10 ml di detersivo per piatti (prelevati con una siringa n.2)

mescolare lentamente con un cucchiaio per omogeneizzare la soluzione

Portare tutto al volume di 100ml, aggiungendo acqua, prelevata con una siringa (n.1 acqua).

LA SOLUZIONE DI ESTRAZIONE È

PRONTA

Preparazione della poltiglia ed

estrazione del DNA

MATERIALE OCCORRENTE:

un piatto di carta (n.1)

frutta a polpa morbida esempio banana (100 gr)

una forchetta di metallo (n.1)

un contenitore di alluminio (formato piccolo n.1)

un cucchiaio di plastica

soluzione di estrazione

Un’operazione fondamentale è quella di

frammentare il frutto in modo da

separare il più possibile le cellule fra loro per

esporle all’azione del detersivo.

Procedura:

in un piatto di carta (n.1) schiacciare 100 gr di frutta (banana) con una forchetta (n.1) fino a trasformarla in una poltiglia

mettere la polpa schiacciata in una vaschetta di alluminio (n.1) e versare la soluzione di estrazione preparata in precedenza

mescolare con il cucchiaio

attendere 5- 10 minuti

Filtrazione:

MATERIALE OCCORRENTE:

un colino (n.1) (diametro 6-7 cm)

un bicchiere o barattolo di vetro (diametro 7-8 cm)

un cucchiaio

poltiglia di frutta + soluzione di estrazione

FINALITÀ

Con questa operazione raccogliamo un liquido ricco

di dna separandolo dai residui cellulari e dagli altri

tessuti del frutto che dovranno essere scartati.

PROCEDURA:

filtrare con un colino (n.1) il preparato (soluzione di estrazione + polpa di frutta) in un bicchiere

mescolare con un cucchiaio per favorire la filtrazione e ottenere un liquido ricco di dna

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Preparazione del succo d’ananas e

rimozione delle proteine

MATERIALE OCCORRENTE:

un colino n.2

due- tre fette di ananas

una vaschetta di alluminio (formato piccolo)

due siringhe da 5 ml (n.1 e 3)

un contenitore per urine n.2

Con questa operazione otteniamo un

DNA più puro.

Il DNA è avvolto attorno a proteine. Per

allontanarle si possono usare enzimi

proteolitici, quali per esempio la

“proteasi”. Questo enzima può essere

acquistato presso negozi che vendono

prodotti di chimica oppure è possibile

sostituirlo efficacemente con una

sostanza più facile da reperire. Si tratta

del succo di ananas, il quale contiene la

bromelina, una sostanza enzimatica

capace di demolire le proteine in

amminoacidi di cui sono composte e di

facilitare l’eliminazione.

PROCEDURA

nel piatto di carta (n. 2) schiacciare con una forchetta (n. 2) le fette di ananas

filtrare il preparato con un colino (n.2) in una vaschetta (n.2)

Trasferire il succo di ananas in un bicchierino di plastica (n.1) per facilitare il prelevamento successivo

Versare 25 ml di filtrato (prelevati con la siringa n.1) nel contenitore da 50 ml (n.2)

Aggiungere 5 ml di succo di ananas (prelevato con la siringa n.3)

Agitare bene, ma lentamente

Attendere 5 minuti

EVIDENZIAMO IL DNA

Materiale occorrente:

DUE SIRINGHE (n.3, n.4)

UN CONTENITORE PER URINE (n. 3)

ALCOOL ETILICO DENATURATO AL 90-95% (gelato tenuto nel freezer)

SOLUZIONE (poltiglia + soluzione di estrazione + DNA + succo di ananas (bromelina)

FINALITÀ

Il DNA è molto solubile in acqua, dove diviene

invisibile, mentre è insolubile in alcool, nel quale

precipita e si rende visibile Aggiungendo alcool alla

soluzione presente nella provetta rendiamo visibile

il DNA.

PROCEDURA

prelevare 6 ml della soluzione ottenuta con la siringa (n. 3) e trasferirli nel contenitore per urine (n.3 da 15 ml)

aggiungere lentamente lungo il bordo della provetta 6-8 ml di alcool etilico raffreddato nel freezer prelevato con la siringa (n.4)

nell’INTERFACCIA TRA SOLUZIONE E L’ALCOOL si noterà una sostanza trasparente: il DNA

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ATTIVITÀ 8. DETECTIVE DNA

Ognuno di noi ha una “impronta”

genetica che lo rende unico.

Piccolissime tracce di noi (un capello, la

saliva, una goccia di sangue), sono

sufficienti per estrarre il DNA e

individuare questa impronta genetica. Il

DNA quindi come detective anche per

risolvere un caso di furto. Nella casa del

Sig. Piero è sparito un barattolo di

marmellata. Molta gente è stata nella

casa e il Sig. Piero proprio non sa chi

sia il colpevole. Ma ha trovato una cosa:

sul pavimento in cucina, un cucchiaino

sporco di marmellata, probabilmente

usato dal ladro che avrà voluto

assaggiare, goloso com’è. Il Sig. Piero

telefona alla scientifica che arriva in

quattro e quattrotto. Gli agenti (gli alunni) si fanno

dare una lista delle persone che hanno frequentato

la casa (sospettati) e raccolgono il prezioso reperto.

Dalle prime analisi si scopre che il ladro aveva i

guanti, quindi niente impronte digitali sul

cucchiaino (furbo!); ma sempre sul cucchiaino sono

rimaste alcune tracce di saliva! La scientifica

incastrerà certo il ladro attraverso lo studio del suo

DNA. Al Lavoro!

MATERIALE OCCORRENTE:

Un contenitore per urine da 50 ml

Acqua

Tre siringhe da 5 ml

Tre bicchieri di plastica trasparente

Un cucchiaino scarso di sale (1,5 gr)

5 ml di detersivo liquido per piatti

Etichette di carta adesiva

Pennarello

Alcool etilico denaturato al 95%

COME PROCEDERE:

PREPARARE LA SOLUZIONE DI ESTRAZIONE:

Etichettare il materiale occorrente

Versare nel contenitore graduato 30 ml di acqua e sciogliere un cucchiaino raso di sale .

Mescolare fino alla completa dissoluzione del sale

Con la siringa (n.1) prelevare 5 ml di detersivo liquido e aggiungerlo alla soluzione, evitando di produrre bolle

Con l’acqua portare la soluzione a 50 ml

Versare la soluzione in un bicchiere trasparente (n.1) e mescolare per omogeneizzare, evitando di produrre bolle

Su un’etichetta di carta autoadesiva scrivere “soluzione di estrazione” ed attaccare sul bicchiere

La soluzione di estrazione è pronta

DNA

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PREPARAZIONE DEL LIQUIDO CON

LE CELLULE

Con una siringa pulita (n.2) prelevare 20 ml di acqua e versarla in un bicchiere pulito (n.2)

Su un’etichetta di carta adesiva scrivere “H2O da bere” ed attaccare sul bicchiere (n.2)

Mettere l’acqua in bocca senza ingoiare

Agitare l’acqua in bocca con energia per circa 30 secondi. Questa operazione farà staccare alcune cellule dall’epitelio delle guance

“Sputare” l’acqua in un bicchiere pulito (n.3)

Su un’etichetta di carta adesiva scrivere “liquido + cellule” ed attaccare sul bicchiere (n.3)

ESTRAZIONE DEL DNA DALLE

CELLULE EPITELIALI DALLA

BOCCA

Con la siringa prelevare 15 ml di questo liquido e versarlo nel contenitore graduato

Con la siringa prelevare 7,5 ml di soluzione di estrazione e versare nel contenitore graduato

Tappare il contenitore e capovolgere con delicatezza 3 o 4 volte (ma non troppo, evitare di agitare troppo). In questo modo le cellule delle guance si rompono e rilasciano il DNA dal nucleo

EVIDENZIAMO IL DNA

Fare scorrere lentamente nel contenitore graduato

un volume di alcool etilico ghiacciato pari al

volume della soluzione.

Il contenitore con l’alcool va posto nel freezer

almeno alcune ore prima e chiuso per bene, per

evitare il pericolo che i vapori di alcool possano

prendere fuoco a causa di possibili scintille

elettrostatiche o di altro tipo.

Osservare il punto in cui si formano i due strati: è

possibile vedere dei filamenti di DNA che si

formano, mentre una nuvola torbida si allarga nello

strato superiore (di alcool etilico). Il DNA non è

solubile in alcool etilico, quindi quando l’alcool

viene a contatto con la soluzione di DNA, questa

comincia a precipitare il DNA.

Si individuano i sospettati e si identificano i

colpevoli.

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Si prepara la soluzione di estrazione

Gli agenti della scientifica preparano tutto l’occorrente per l’estrazione e l’analisi

Gli agenti identificano i sospettati

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I sospettati sono invitati a fornire un campione del loro DNA facendo sciaguattare l’acqua in bocca

l

Impronta

del DNA dei sospettati Impronta del DNA

1 2 del colpevole

Il responsabile della squadra della scientifica estrae il DNA del colpevole e di ogni sospettato e li

analizza.

DNA

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L’impronta del DNA del sospettato n. 2 Andrea combacia perfettamente con l’impronta di DNA del

colpevole. Quindi Andrea ha rubato la marmellata.

ATTIVITÀ 9. FACCIAMO IL MODELLO

DEL DNA

La struttura del DNA fu descritta per la prima

volta da due fisici Watson e Crick nel 1953.

Da allora questa molecola è stata descritta nel

dettaglio e oggi ne conosciamo anche i più

intimi segreti. Infatti, è ormai nota a tutti la

struttura a “doppia elica”, così perfetta ed

elegante nella sua semplicità. La

ricostruzione, o meglio, la modellizzazione

del DNA è possibile anche partendo da

materiali semplici e familiari da utilizzare in

modo vario, ma sempre seguendo la ferrea

legge del codice genetico. Nella scheda è

riportato l’ordine di accoppiamento da seguire

nell’appaiare le graffette di diverso colore.

Ogni graffetta rappresenta un componente del

DNA. Così come di seguito è possibile

apprezzare la costruzione del modello

utilizzando plastilina, fil di ferro e cartoncino.

Nessuna velleità di veicolare contenuti troppo

“difficili”, ma volontà di far avvicinare i

bambini, con i modi conosciuti della

rappresentazione grafica e pittorica, ad oggetti

non familiari per renderli, infine, compagni

nel personale viaggio nella conoscenza.

Andrea

Impronta del DNA Trovato

nel luogo del furto

Mara

Indagata

AA ccoossaa sseerrvvee iill DDNNAA eessttrraattttoo??

Ogni essere vivente possiede un DNA caratteristico di quella specie, e si differenzia da quello di ogni altro organismo

Colpevole

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Un esempio di modello di DNA fatto con le graffette metalliche di quattro diversi colori, a

rappresentare le quattro basi azotate G, A T, C (guanina, adenina, timina, citosina) . Ogni colore va

accoppiato ad un altro secondo il codice stabilito nella tabella (codice genetico)

JJaammeess WWaattssoonn ee

T

G

A

A

T

CA

G

C

T

T A

A

G

T

C

C giallo

G azzurr

C/G A rosso

A/T T blu

ACCOPPIAMENTO

LETTERA CORRISP

COLORE GRAFFET

SScchheeddaa ddii ccoonnttrroolllloo

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LA STRUTTURA DEL DNA:

Approfondimenti per gli insegnanti

La scoperta della straordinaria struttura

spaziale del DNA dovuta a James Dewey

Watson e Francis Crick (1953) ha permesso

un rapido avanzamento nelle conoscenze di

genetica molecolare l’ereditarietà usa scale a

pioli. Nel 1953, due scienziati, elaborarono il

modello della struttura molecolare del DNA.

Nella doppia elica i due filamenti che si

avvolgono in giri destrosi sono costituiti da

CATENE RIBOSIO-FOSFATO orientate in

direzioni inverse (5’-3’ l’una, 3’-5’ l’altra);

tali filamenti esterni sono detti “scheletri” e

costituiscono la porzione invariabile del dna.

filamenti sono mantenuti a regolare distanza

tra loro di 20 angstrom (1 angstrom = 1.0 ×

10-10 metri) da BASI AZOTATE che

sporgono dagli scheletri verso il centro della

doppia elica. Tali basi, una fila per scheletro,

si collegano fra loro con LEGAMI A PONTE

DI IDROGENO, mantenendo quindi insieme

le due metà del DNA

In alto, la struttura dei due filamenti che

costituiscono la molecola del DNA e in basso,

il modello del DNA realizzato dai bambini

con plastilina, fil di ferro, cartoncino.

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Il DNA contiene la memoria (codifica) delle

più importanti e specifiche molecole cellulari,

le proteine, ed è in grado di auto duplicarsi.

Ogni organismo, infatti, è caratterizzato da

una propria costituzione proteica, enzimi e

proteine che differiscono tra una specie e

l’altra. Esse vengono riprodotte fedelmente

nelle cellule di una medesima specie. Il DNA

è dunque

responsabile della trasmissione dei caratteri ereditari in un codice costituito dalla sequenza delle basi azotate

in grado di trasmettersi inalterato da una generazione cellulare all’altra nel corso della divisione

Nel nucleo degli eucarioti il DNA è sempre

associato a proteine, le più stabili delle quali

sono gli istoni (H1, H2 A, H2 B, H3, H4).

Con queste proteine il DNA forma strutture

caratteristiche granulari, note con il nome di

nucleosomi.

Altre proteine non istoniche che si associano

al DNA hanno funzione strutturale nella

formazione dei cromosomi, oppure sono

enzimi coinvolti nella sintesi e trascrizione

del DNA.

CROMATINA

Grazie alla presenza di queste proteine il

DNA può avvolgersi su se stesso, diminuire la

sua lunghezza e aumentare il suo spessore.

L’associazione del DNA e di proteine

costituiscono la cromatina, rappresenta la

forma in cui gli acidi nucleici si trovano nel

nucleo di una cellula eucariotica.

Grazie a questa associazione la cromatina può

esistere sotto diversi livelli di organizzazione:

DNA a doppia elica (1)

Cromatina sciolta (2)

Cromatina condensata in interfase (3)

Cromatina condensata durante la mitosi(sono presenti due copie di molecole di DNA (4)

Cromosoma(5)

Differenti livelli di condensazione del DNA

che portano alla formazione dei cromosomi

(5)

ATTIVITÀ 10. MENDEL E L’IDEA DI

GENE

L’estrema diversità degli organismi viventi è

frutto dell’interazione tra il patrimonio

genetico di una specie e le variazioni

ambientali. La genetica mendeliana ha fornito

le basi della moderna biologia molecolare, in

quanto ha identificato l’unità strutturale e

funzionale dell’informazione genetica: il

gene. La comprensione dei meccanismi che

consentano la trasmissione dei caratteri

genetici da una generazione a quella

successiva racchiude in se il successo di una

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specie e il significato dell’enorme variabilità

individuale.

Gli occhi di una persona possono essere blu,

marroni, verdi, grigi o nocciola; i suoi capelli

possono avere varie sfumature di biondo, di

castano, di rosso o di nero; il piumaggio di un

pappagallino può essere verde, blu o giallo,

con tocchi neri o grigi. Qual è allora il motivo

di questa varietà biologica dei colori? Si può

formulare la domanda in termini più generali:

qual è la base genetica delle variazioni tra gli

individui di una popolazione? Oppure anche,

quali principi giustificano la trasmissione di

tali variazioni dai genitori alla prole?

Una possibile spiegazione dell’ereditarietà è

data dal «modello del mescolamento», il

quale postula che il materiale genetico fornito

dai due genitori si mescoli in modo analogo a

come si mescolano, ad esempio, i colori blu e

giallo per dare il verde. Questa ipotesi

prevede che incrociando un pappagallino blu

con uno giallo si ottenga una prole verde e

che, una volta mescolato, il materiale

ereditario dei due genitori sia inseparabile,

così come i colori in una miscela di vernici.

Se il modello del mescolamento fosse

accurato, nell'arco di molte generazioni una

popolazione di pappagallini blu e gialli che si

incrociano liberamente dovrebbe dare origine

ad una popolazione uniforme dì uccelli verdi.

I risultati effettivi dell'incrocio tra

pappagallini contraddicono invece questa

previsione. La teoria del mescolamento non

riesce a spiegare neppure altri fenomeni

dell’ereditarietà, come i caratteri che non si

manifestano per una generazione.

Un’alternativa al modello del mescolamento è

un «modello particolato» dell'ereditarietà:

l'idea del gene. Secondo questo modello, la

generazione parentale trasmettono unità

creditabili discrete, i geni, che mantengono

nella progenie le loro identità separate. Un

insieme di geni di un organismo assomiglia

più a un secchio di biglie che a uno di vernice

e, come le biglie, i geni possono essere

smistati e trasmessi, generazione dopo

generazione, senza subire alcuna diluizione.

La genetica moderna è nata nel giardino di

una abbazia, quando un monaco di nome

Gregor Mendel documentò un meccanismo

particolato di ereditarietà.

In questo capitolo vedremo in che modo

Mendel sviluppò la sua teoria e come il

modello mendeliano si applichi

all’ereditarietà delle variazioni degli

organismi.

Il modello mendeliano: un caso emblematico

nel processo scientifico.

Gregor Mendel scoprì i principi fondamentali

dell’ereditarietà conducendo esperimenti

pianificati di incrocio su piante di pisello. Se

ripercorriamo il cammino seguito da Mendel

nel suo lavoro, saremo in grado di individuare

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gli elementi fondamentali del processo

scientifico.

Johann Mendel (prese il nome Gregor quando

entrò nella confraternita agostiniana) crebbe

nella piccola fattoria dei genitori in una

regione dell'Impero austro-ungarico che

adesso fa parte della Repubblica Ceca

(Boemia). In questa area agricola le colture e i

frutteti erano la base dell'economia locale; a

scuola Mendel e gli altri bambini ricevevano,

insieme agli insegnamenti fondamentali,

nozioni di agricoltura. Più tardi Mendel,

nonostante difficoltà economiche e una serie

di malattie, riuscì ad eccellere alla scuola

superiore e all'Istituto filosofico di Olmutz.

Nel 1843 entrò nel monastero agostiniano e,

dopo tre anni di studi teologici, venne

destinato a una scuola come insegnante

temporaneo. Fu quindi mandato da un

amministratore all'Università di Vienna, dove

studiò dal 1851 al 1853. Questi furono anni

molto importanti per lo scienziato Mendel e

due professori ebbero un grande influsso su di

lui: il fisico Doppler, che lo incoraggiò a

studiare la scienza sperimentalmente e

indusse Mendel ad applicare la matematica

alla spiegazione dei fenomeni naturali, e il

botanico Unger, che destò l'interesse di

Mendel sulle cause delle variazioni nelle

piante. Queste influenze si manifestarono nei

successivi esperimenti di Mendel sulle piante

di pisello.

Dopo aver frequentato l'università, Mendel

venne destinato all'insegnamento alla Scuola

di Brúnn) dove alcuni insegnanti

condividevano con lui l'entusiasmo per la

ricerca scientifica. Anche nel monastero dove

viveva c'erano studiosi, molti dei quali

professori universitari e ricercatori attivi; nel

monastero esisteva inoltre da lungo tempo un

tradizionale interesse per l'incrocio tra le

piante, tra cui i piselli. Quindi, non fu

particolarmente straordinario il fatto che,

verso il 1857, Mendel cominciasse a

incrociare piselli nel giardino dell'abbazia per

studiarne l'ereditarietà. Era invece

straordinario il nuovo approccio di Mendel

agli annosi problemi che riguardavano

l'ereditarietà.

L’APPROCCIO SPERIMENTALE DI

MENDEL

Probabilmente Mendel scelse di lavorare con i

piselli in quanto disponibili in numerose

varietà; per esempio, un tipo possiede i fiori

color porpora mentre una varietà diversa

presenta i fiori bianchi. I genetisti usano il

termine carattere per definire una

caratteristica ereditabile (come il colore di un

fiore) che varia a seconda degli individui.

Ciascuna variante di un carattere, come fiori

porpora oppure bianchi, viene chiamata

tratto.

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L’impiego dei piselli consentì a Mendel anche

il pieno controllo sugli incroci tra le differenti

varietà di piante; i petali dei fiori dei piselli,

infatti, racchiudono pressoché totalmente le

parti femminili e maschili (il carpello e gli

stami); normalmente le piante si auto-

fecondano, in seguito alla caduta dei grani di

polline rilasciati dagli stami sul carpello.

Quando Mendel voleva effettuare

un’impollinazione crociata (la fecondazione

tra piante differenti), rimuoveva gli stami

immaturi di una pianta prima che

producessero il polline e quindi cospargeva

con il polline di un'altra pianta i fiori privati

degli organi maschili. Sia permettendo

l’autoimpollinazione sia effettuando

l'impollinazione crociata artificiale, Mendel

poteva essere sempre certo dell’origine dei

nuovi semi.

Mendel studiò esclusivamente l'eredità di

variazioni categoriche, cioè di caratteri

ereditari che variano in modo «o/o» invece di

«più/meno». Per esempio, le sue piante

avevano i fiori o porpora o bianchi; non c'era

un carattere intermedio tra queste due varietà.

Se Mendel si fosse concentrato invece su

caratteri che variano in modo continuo tra gli

individui (per esempio il peso dei semi) non

avrebbe scoperto la particolare natura

dell'ereditarietà.

Mendel cominciò i suoi esperimenti

assicurandosi che le varietà fossero linee pure

(true-breeding), piante che quando si

autoimpollinavano davano una progenie

interamente della stessa varietà. Per esempio

una pianta con fiori porpora è una linea pura

se i suoi semi prodotti tramite

autoimpollinazione danno origine soltanto a

piante con fiori porpora.

In un tipico esperimento di incrocio, Mendel

condusse un’impollinazione crociata tra due

varietà pure e differenti di piselli, per esempio

tra piante con fiori porpora e piante con fiori

bianchi. Questo accoppiamento, o incrocio di

due varietà viene detto ibridazione. Il nostro

esempio specifico è un incrocio monoibrido,

termine che indica un incrocio effettuato per

studiare l'ereditarietà di un singolo carattere

(in questo caso il colore dei fiori). I genitori

puri sono indicati come generazione P (da

parents, genitori) e la loro progenie ibrida è la

generazione F1, (da prima generazione

filiale, riferita alla discendenza). Consentendo

l’autoimpollinazione degli ibridi F1, si ha la

produzione di una generazione F2 (seconda

generazione filiale). Generalmente Mendel

seguiva i caratteri almeno per queste tre

generazioni: P, F1 e F2-. Se Mendel avesse

interrotto i suoi esperimenti alla generazione

F1, gli sarebbe sfuggito il modello

fondamentale dell’ereditarietà; fu, infatti,

soprattutto l'analisi delle piante F2 a rivelare i

due principi fondamentali dell’ereditarietà,

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adesso noti come la legge della segregazione

e la legge dell'assortimento indipendente.

LA LEGGE MENDELIANA DELLA

SEGREGAZIONE

Se il modello del mescolamento

sull’ereditarietà fosse corretto, gli ibridi F,

che si originano da un incrocio tra piante di

pisello con fiori porpora e piante con fiori

bianchi dovrebbero avere i fiori di colore

porpora chiaro, intermedi tra le due varietà

della generazione P.Tutta la progenie F1, ha i

fiori proprio dello stesso colore delle piante

genitrici con fiori porpora. Cosa ne è stato del

contributo genetico fornito agli ibridi dalle

piante con fiori bianchi? Se esso venisse

perduto, allora nella generazione F2 le piante

F1, potrebbero dare origine solamente a una

progenie con fiori porpora. Ma quando

Mendel consentì l’autoimpollinazione delle

piante F1, e ne piantò i semi, il tratto fiore

bianco ricomparve nella generazione F2,

Mendel impiegò un campione di dimensioni

molto grandi e registrò accuratamente i suoi

risultati: 705 piante F2 avevano fiori porpora,

mentre 244 avevano fiori bianchi. Questi dati

sono in accordo con un rapporto di 3 fiori

porpora per 1 fiore bianco. Mendel concluse

che nelle piante F1, il fattore ereditabile per i

fiori bianchi non scompariva, ma solamente il

fattore per i fiori porpora determinava il

colore dei fiori in questi ibridi. Nella

terminologia di Mendel il colore porpora è un

carattere dominante e il colore bianco è un

carattere recessivo. La comparsa di piante con

fiori bianchi nella generazione F2 dimostrava

che negli ibridi F1, il fattore ereditario che

determina quel carattere recessivo non era

stato diluito in alcun modo dalla consistenza

con il fattore per i fiori porpora negli ibridi Fl.

Mendel riscontrò lo stesso quadro ereditario

osservando altri sei caratteri, ognuno dei quali

rappresentato da due varietà contrapposte.

Per esempio, i semi dei piselli genitori erano

lisci e rotondi oppure rugosi. In un incrocio

monoibrido per questo carattere, tutti gli ibridi

F, generavano semi rotondi; questo è il tratto

dominante. Nella generazione F2 il 75% dei

semi erano rotondi e il 25% erano rugosi,

ovvero presentavano il tipico rapporto 3:1.

Come spiegò Mendel, questo quadro che egli

aveva osservato costantemente nei suoi

incroci monoibridi? Egli sviluppò un’ipotesi

che possiamo suddividere in quattro idee

correlate. (Sostituiremo alcuni dei termini

originali impiegati da Mendel con parole

moderne; per esempio, il termine «gene» sarà

usato al posto di «fattori ereditari» di

Mendel.)

I. Versioni alternative dei geni giustificano le

variazioni dei caratteri ereditari. Il gene per il

colore dei fiori, per esempio, esiste in due

versioni, una per i fiori porpora e l'altra per i

fiori bianchi. Queste versioni alternative di

uno stesso gene vengono chiamate alleli. Oggi

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è possibile correlare questo concetto ai

cromosomi e al DNA. Ciascun gene si trova in

un locus specifico di uno specifico

cromosoma. Tuttavia la sequenza nucleotidica

del DNA in quel locus, e quindi anche il suo

contenuto informativo, possono presentare

qualche variazione. Un allele per i fiori

porpora e quello per i fiori bianchi sono due

possibili variazioni del DNA nel locus che

determina il colore dei fiori di uno dei

cromosomi delle piante di pisello.

II. Per ogni carattere un organismo eredita due

geni, uno da ciascun genitore. Mendel fece

questa deduzione senza conoscere il ruolo dei

cromosomi. Ricordiamo che un organismo

diploide possiede coppie di cromosomi

omologhi e che i due cromosomi di ogni

coppia vengono ereditati uno da un genitore e

uno dall'altro. Quindi un locus genetico è in

realtà rappresentato due volte in una cellula

diploide. Questi loci omologhi possono avere

alleli corrispondenti, come nelle piante pure

della generazione P di Mendel, oppure i due

alleli possono essere differenti, come negli

ibridi F1. Nell'esempio del colore dei fiori, gli

ibridi ereditavano un allele per i fiori porpora

da un genitore e un allele per i fiori bianchi

dall'altro. Tutto ciò ci conduce al terzo aspetto

dell’ipotesi di Mendel.

III. Se i due alleli sono diversi, allora uno di

questi, l’allele dominante, viene espresso

pienamente nel fenotipo dell'organismo;

l'altro, allele recessivo, non ha alcun effetto

evidente. Secondo questa parte dell’ipotesi, le

piante F1, di Mendel avevano i fiori porpora

poiché l'allele per quella variazione è

dominante e l'allele per i fiori bianchi è

recessivo.

IV. I due geni di ogni carattere vengono segregati

durante la produzione dei gameti. Ogni

cellula uovo e ogni cellula spermatica riceve

solamente uno dei geni che sono presenti in

due copie nelle cellule somatiche

dell'organismo (nel caso dei piselli, con la

parola «cellula spermatica» si intende un

nucleo in un granulo di polline.) In termini di

cromosomi questa segregazione corrisponde

alla riduzione del numero di cromosomi da

diploide ad aploide durante la meiosi. Si noti

che se un organismo possiede alleli

corrispondenti per un carattere particolare -

vale a dire che l'organismo è «puro» per quel

carattere - allora di quell'allele esiste un'unica

versione in tutti i gameti. Invece se sono

presenti alleli contrapposti, come negli ibridi

F1, allora il 50% dei gameti riceve l'allele

dominante e il 50% quello recessivo.

Quest'ultima parte dell'ipotesi, lo smistamento

degli alleli in gameti distinti che ha dato il

nome alla legge della segregazione di Mendel.

Una prova dell’esattezza dell'ipotesi

formulata da Mendel riguardo alla

segregazione si può trovare nella

corrispondenza o meno con il rapporto 3:1

che egli aveva osservato nella generazione F2

dei suoi molteplici incroci monoibridi.

L’ipotesi prevede che gli ibridi F1, producano

due classi di gameti. Quando gli alleli si

separano, metà dei gameti riceve un allele per

i fiori porpora, mentre l'altra metà lo riceve

per i fiori bianchi.

Durante l'autoimpollinazione queste due

classi di gameti si uniscono casualmente: una

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cellula uovo con un allele per i fiori porpora

ha la stessa probabilità di essere fecondata da

una cellula spermatica con l'allele per i fiori

porpora che da una cellula spermatica con

l'allele per i fiori bianchi.

Poiché questo è valido anche per una cellula

uovo con l'allele per i fiori bianchi, esistono

quattro combinazioni ugualmente probabili di

cellule spermatiche e cellule uovo. La figura

illustra queste combinazioni usando un tipo di

diagramma detto quadrato di Purinett, un

modo pratico per predire il risultato di un

incrocio genetico. Si noti che una lettera

maiuscola indica un allele dominante; nel

nostro esempio, P è l'allele per i fiori porpora.

Quale sarà l'aspetto fisico delle piante F2? Un

quarto delle piante ha i due alleli che

specificano per i fiori porpora; ovviamente,

queste piante avranno fiori porpora. La metà

della progenie F2 ha invece ereditato un allele

per i fiori porpora e uno per i fiori bianchi;

come le piante F1, anche queste piante

avranno i fiori porpora, ovvero il carattere

dominante. Infine, un quarto delle piante F2

ha ereditato i due alleai che specificano per i

fiori bianchi e queste esprimeranno

effettivamente il carattere recessivo.

Quindi, il modello di Mendel è in grado di

spiegare esattamente il rapporto 3:1 che egli

aveva osservato nella generazione F2-

UN PO’ DI TERMINOLOGIA

GENETICA UTILE.

Un organismo che ha una coppia di alleli

identici per un carattere viene detto

omozigote per quel carattere. Una pianta di

piselli che è una linea pura per i fiori porpora

(PP) ne è un esempio. Le piante di piselli con

i fiori bianchi sono omozigoti per l'allele

recessivo (pp). Se si incrociano omozigoti

dominanti con omozigoti recessivi, come

nell'incrocio tra i genitori (generazione P),

tutta la progenie presenterà combinazioni di

alleli non corrispondenti, la combinazione Pp

nel caso degli ibridi F, del nostro esperimento

sul colore dei fiori. Gli organismi che hanno

due alleli differenti per un carattere vengono

detti eterozigoti per quel carattere.

A differenza degli omozigoti, gli eterozigoti

non sono linee pure, poiché producono gameti

che hanno l'uno oppure l'altro dei due alleli.

Abbiamo, infatti, visto come le piante Pp

della generazione F1, in seguito ad

autoimpollinazione, producano progenie sia

con fiori porpora sia con fiori bianchi.

A causa della dominanza e della recessività,

l'aspetto di un organismo non riflette sempre

la sua composizione genetica. Per questo

dobbiamo distinguere tra l'aspetto di un

organismo, chiamato fenotipo e la sua

costituzione genetica, cioè il suo genotipo.

Nel caso del colore del fiore nei piselli, le

piante PP e Pp hanno lo stesso fenotipo

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(porpora), ma genotipi differenti (i1 fenotipo

riguarda sia i tratti fisiologici sia quelli fisici),

mentre il genotipo riguarda solo i caratteri

genetici).

Genotipo e fenotipo. Se si raggruppa la

progenie di un incrocio monoibrido per il

colore dei fiori a seconda dei fenotipo

l'aspetto fisico delle piante - il risultato è il

tipico rapporto 3:1. Per quanto riguarda il

genotipo, tuttavia, ci sono in realtà due

categorie di piante dai fiori porpora: le piante

PP (omozigoti) e le piante Pp (eterozigoti). Si

noti che ci sono due modi possibili per dare

origine al genotipo Pp, a seconda che sia

l'uovo o la cellula spermatica a fornire l'allele

dominante. Si noti ancora che il rapporto dei

genotipi è 1 PP:2Pp:1 pp. danno luogo allo

stesso fenotipo, in che modo possiamo

determinare se essa è una pianta omozigote

oppure eterozigote? Se incrociamo questa

pianta di piselli con una dai fiori bianchi,

l'aspetto della progenie potrà rivelarci il

genotipo della pianta genitrice con i fiori

porpora. Il genotipo della pianta con i fiori

bianchi è, infatti, noto: poiché questo è il

tratto recessivo, la pianta deve essere

omozigote. Se tutta la progenie ottenuta

dall'incrocio ha i fiori porpora, allora anche

l'altro genitore è omozigote, poiché un

incrocio PP x pp produce esclusivamente una

progenie Pp. Invece se nella progenie

compaiono entrambi i fenotipi, sia il porpora

che il bianco, allora la pianta genitrice dai

fiori porpora deve essere eterozigote. La

progenie ottenuta da un incrocio Pp x pp

presenterà un rapporto fenotipico tra Pp e pp

di 1:1. Questo incrocio di un omozigote

recessivo con un organismo dal fenotipo

dominante, ma dal genotipo sconosciuto,

viene chiamato reincrocio o testcross; esso

venne ideato da Mendel e continua ad essere

uno strumento importante per i genetisti.

L’EREDITÀ COME UN GIOCO DI

PROBABILITÀ

La legge della segregazione è un caso

specifico delle stesse regole generali sulla

probabilità che si applicano al lancio dèlle

monete, al tiro dei dadi oppure all'estrazione

di una carta da un mazzo. La comprensione di

queste regole della probabilità è fondamentale

per l'analisi genetica.

La scala di probabilità va da 0 a 1: un evento

certo ha una probabilità 1, mentre un evento

che sicuramente non avverrà ha una

probabilità 0. Se si lancia una moneta a due

teste la probabilità di ottenere una testa è

uguale a 1, mentre la probabilità di ottenere

una croce è uguale a 0. Con una moneta

normale invece, la probabilità di ottenere una

testa oppure una croce è uguale a 2

1. La

probabilità di ottenere il numero 3 con un

dado, che ha sei facce, è 6

1, e la probabilità di

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estrarre una regina di picche da un intero

mazzo di carte è 52

1. La somma delle

probabilità di tutti i possibili risultati di un

evento deve essere uguale a l. Con un dado la

probabilità di tirare un numero diverso dal 3 è

6

5. In un mazzo di carte la probabilità di

estrarre una carta diversa dalla regina di

picche è 52

51.

L’esempio del lancio delle monete può servire

anche per comprendere un aspetto importante

delle probabilità. Ad ogni lancio, la

probabilità che esca testa è 2

1. Il risultato di

ogni particolare lancio non viene influenzato

da quello che è accaduto nelle prove

precedenti. I fenomeni come i lanci successivi

di monete vengono definiti eventi

indipendenti (i1 termine si applica anche a

lanci simultanei di alcune monete). Prima di

un ulteriore lancio un osservatore potrebbe

prevedere: «Deve uscire una croce, poiché

sono già uscite molte teste». Ma all’ennesimo

lancio la probabilità che il risultato sia ancora

testa è sempre 2

1.

Due leggi fondamentali della probabilità che

ci possono aiutare nei giochi di probabilità e

nella risoluzione dei problemi genetici sono la

regola del prodotto e quella della somma.

La regola del prodotto. Se due monete

vengono lanciate contemporaneamente, il

risultato ottenuto con ogni moneta è

indipendente da quello che avviene con l'altra

moneta. Qual è la probabilità che entrambe le

monete mostrino le teste? Come si può

determinare la probabilità che due o più

eventi indipendenti avvengano

contemporaneamente in una combinazione

specifica? La soluzione può essere trovata

calcolando la probabilità di ogni evento

indipendente e poi moltiplicando queste

singole probabilità in modo da ottenere la

probabilità complessiva di questa

combinazione di eventi. Secondo la regola del

prodotto, la probabilità che entrambe le

monete atterrino con la testa verso l'alto è

4

1

2

1

2

1 . Un incrocio mendeliano F1, è

analogo a questo gioco di probabilità. Se

prendiamo in considerazione il carattere

ereditario del colore dei fiori, il genotipo di

una pianta F1 è Pp. Qual è la probabilità che

una determinata pianta F2 abbia i fiori

bianchi? Perché questo avvenga, sia la cellula

uovo sia la cellula spermatica devono portare

l'allele p; possiamo quindi applicare la regola

del prodotto. La segregazione, in una pianta

eterozigote, è analoga al lancio di una moneta:

la probabilità che una cellula uovo possieda

l'allele p è 2

1; analogamente, la probabilità

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che una cellula spermatica abbia l'allele p è 2

1

. Quindi la probabilità complessiva che nella

fecondazione si uniscano due alleli p è

4

1

2

1

2

1 , equivalente alla probabilità che

due monete lanciate indipendentemente

atterrino con le teste rivolte verso l'alto.

LA REGOLA DELLA SOMMA.

Qual è la probabilità che una pianta F2 sia

eterozigote? Si noti, nella Figura che esistono

due modalità in cui i gameti F, si possono

unire per dare origine a un eterozigote. Un

allele dominante può provenire dalla cellula

uovo e l'allele recessivo dalla cellula

spermatica, oppure viceversa. Secondo la

regola della somma, la probabilità di un

evento che può verificarsi in due o più modi

differenti, è uguale alla somma delle

probabilità dei diversi modi di ottenere il

risultato. Usando la regola della somma, si

può calcolare che la probabilità di ottenere

una F2 eterozigote è uguale a

2

1

4

1

4

1 .

La genetica a portata di bambino: costruiamo

la nostra pianta virtuale.

Le basi teoriche della genica mendeliana,

assolutamente inadatte alle competenze e

abilità del bambino, sono tradotte in modo

efficace e divertente in un gioco dalle regole

chiare e immediate, costruite proprio sugli

assiomi della genetica moderna:

- un determinato individuo, sia esso pianta, animale, fungo o batterio è il risultato dell’espressione di informazioni che sono custodite nel codice genetico di ognuno;

- la trasmissione dei caratteri distintivi degli organismi alla generazione filiale avviene secondo regole rigide e verificabili

ATTIVITA’ 11. GIOCHIAMO CON I

GENI

Nel gioco proposto una pianta “madre” e una

pianta “padre” hanno caratteri distinti (es.

colore del fiore, tipo di foglia ecc). A

ciascuno di questi caratteri corrisponde un

codice dato da due lettere maiuscole,

minuscole o entrambe (vedi tabella). Ciascuna

lettera “appartiene” ad un bastoncino

(cromosoma) e per ciascun carattere sono

presenti due bastoncini identici fra loro per

lunghezza. Quindi tutti i caratteri della pianta

madre o padre sono rappresentati da una

sequenza di coppie di bastoncini che

chiameremo patrimonio genetico (vedi

tabella). Quando la pianta madre e padre si

incrociano per dare origine alla generazione

filiale (I generazione), da ogni coppia di

bastoncini di ciascun genitore verrà preso un

solo bastoncino per ripristinare una nuova

coppia, in cui un bastoncino deriva dalla

madre e l’altro dal padre (vedi tabella).

Procedendo in tal senso per ogni coppia di

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bastoncini, si darà origine ad un patrimonio

genetico ibrido nella generazione filiale. A

questo punto, partendo proprio da questo

nuovo patrimonio genetico si costruiranno i

caratteri della generazione filiale tenendo

conto del codice stabilito per ogni coppia di

lettere (vedi tabella). Si vedrà così che alcuni

caratteri presenti in uno dei genitori sarà

“scomparso” nella generazione filiale, mentre

altri permangono. I primi sono detti

“recessivi” i secondi “dominanti”. Inoltre

potranno “apparire” altri caratteri, non

presenti in nessuno dei due genitori, ma che si

originano da codici che erano “nascosti”.

La seconda parte del gioco consiste

nell’incrociare la generazione filiale tra loro

per scoprire che fine hanno fatto i caratteri

scomparsi. Si provvederà a formare delle

coppie di piante (madre e padre) e procedendo

in modo identico rispetto al primo incrocio si

origineranno altre piante figlie che

costituiranno la II generazione. Si potrà

quindi valutare la comparsa dei caratteri che

erano scomparsi e in che misura (percentuale)

essi siano presenti nella II generazione. Il

grado di applicazione di questo gioco è

estremamente variabile e va dalla

dimostrazione semplice (c’è o non c’è il

carattere) a quella più complessa della stima

della variazione di un determinato carattere in

una popolazione.

La pianta madre ha i fiori rosa, le foglie crenate grandi e piccole, gemme piccole e radici fibrose

La pianta padre ha i fiori gialli, le foglie crenate grandi e piccole, gemme piccole e radici bulbose

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TABELLA

X

Patrimonio genetico madre

Fenotipo

Pp 4 Petali yy Petali rosa Gg Foglie grandi

grinzose Cc Foglie piccole

grinzose Bb Gemme piccole ss Fusto normale Rr Radici fibrose

Patrimonio genetico padre

Fenotipo

Pp 4 Petali YY Petali gialli Gg Foglie grandi

grinzose Cc Foglie piccole

grinzose Bb Gemme piccole Ss Fusto ingrossato rr Radice bulbosa

BG

y

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C s s

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b C

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X

GENERAZIONE PARENTALE

INCROCIO

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Codici

Genotipo Segna se presente Fenotipo

PP o Pp 4 Petali

pp 0 Petali

YY o Yy Petali gialli

yy Petali rosa

GG o gg Foglie grandi grinzose

gg Foglie gialle lanceolate

CC Foglie verdi lanceolate

Cc Foglie piccole grinzose

cc Foglie piccole lisce

BB o Bb Gemme piccole

bb Gemme grandi

SS o Ss Fusto ingrossato

ss Fusto normale

RR o Rr Radici fibrose

rr Radici bulbose

Tutte le piante figlie hanno i fiori con i petali gialli (carattere dominante): che fine ha fatto il colore

rosa? Inoltre appare un carattere (il fusto ingrossato) che non era presente nelle piante parentali

I GENERAZIONE FILIALE

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Nelle piante originate dal reincrocio (i “nipoti” della generazione parentale) riappare il carattere

colore rosa dei petali con un rapporto di una pianta su tre. Si conclude che il carattere colore rosa è

recessivo.

Gli Autori

Silvia Mazzuca, professore associato di botanica, laboratorio di Citofisiologia Vegetale, Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria

Anna Maria Fiarè, docente a contratto di Didattica delle Scienze Naturali, dottoranda in Educazione Ambientale, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università della Calabria

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REINCROCIO

II GENERAZIONE FILIALE