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Università della Calabria, Facoltà di Lettere e Filosofia- Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria
Modulo di Didattica delle Scienze Naturali, Indirizzo Elementare- IV anno Prof.ssa Silvia Mazzuca
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1.1 QUALI TEORIE PEDAGOGICHE
NELL’INSEGNAMENTO DELLE SCIENZE Le conoscenze psicopedagogiche degli
ultimi decenni considerano il bambino o
il ragazzo non più un “vaso vuoto”, ma
un soggetto attivo che possiede delle
pre-conoscenze della realtà, in questo
caso della realtà naturale, in quanto
viene a contatto con essa
quotidianamente. Lavorare con questo
presupposto significa venire a
conoscenza delle qualità e quantità delle
pre-conoscenze sull’oggetto del nuovo
apprendimento, che nell’intervento
didattico richiede arricchimenti o
correzioni.
Sono numerose le testimonianze e le
teorie sui “modelli” di impostazione
didattica, che puntano tutte ad ottenere
un “apprendimento efficace”. Il metodo
sperimentale, applicato alla
progettazione didattica offre un valido
“modello” non solo per il trasferimento
di nozioni disciplinari, ma anche,
soprattutto, per la creazione di quadri di
sviluppo sempre più operativi e
sistematici.
Nella scuola di base l’area logico-
matematica e scientifica supporta la
costruzione di capacità di indagine e
astrazione dei bambini e dei ragazzi, essenziali per
il raggiungimento degli obiettivi formativi di base.
L’ “intrusione” della scienza nella vita di tutti i
giorni attribuisce oggi ad essa un valore sociale ben
più significativo che nel passato. Sapersi orientare
nella complessa dimensione sociale, dove
quotidianamente il cittadino è posto di fronte a
fenomeni e problemi in cui il coinvolgimento di
conoscenze scientifiche e tecnologiche intrecciate a
processi economici e sociali diviene sempre più
ricorrente, rappresenta ormai un fondamentale
diritto di cittadinanza.
Si rivela, soprattutto nei giovani, un sempre più
diffuso “analfabetismo scientifico”, peggiorato da
una profonda demotivazione alla conoscenza e
all’approfondimento. Si tratta, in fondo, di
un’incapacità di orientamento culturale di base in
ambito scientifico che spesso degrada in
atteggiamenti superficiali e dannosi per gli altri e
per l’ambiente.
La scuola ha un ruolo decisivo nella formazione
dell’individuo, dove la “cultura scientifica”
significa capacità di orientamento, interpretazione e
partecipazione ai processi portanti del proprio
tempo e saper utilizzare le informazioni che si
possiedono cercandone di nuove. La costruzione di
queste capacità rappresenta l’obiettivo formativo
della scuola di base.
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Il contributo dell’insegnamento
scientifico è quello di costruire percorsi
didattici il cui successo formativo
dipende dalla modalità di lavoro a
scuola. L’educazione scientifica nella
scuola di base deve avvalersi di mezzi e
metodi che costituiscano la naturale
prosecuzione delle attività manipolative
e cognitive sviluppate nella scuola
dell’infanzia. Le prime esperienze
scientifiche, poste come campo di
esplorazione scoperta e iniziale
sistematizzazione delle conoscenze
della realtà naturale e artificiale, devono
divenire nella scuola di base attività
concrete che permettono ai bambini di
sviluppare la capacità di relazionarsi ad
esse, parlarne, spiegarle, rappresentarle.
Si tratta di passare dalla dimensione
“informativa”, cioè dalla mera
trasmissione di nozioni, a quella
formativa attraverso un percorso di
esperienze più coerenti ed organizzate.
Il presupposto di un apprendimento
efficace delle scienze è il contatto
diretto con gli oggetti di osservazione e
di studio, il “saper fare” su cui costruire
esperienza nella sua dimensione
concettuale e sperimentale.
L’esperienze didattiche proposte
durante il corso B1 rappresentano un
tentativo di costruzione di un curricolo a
dimensione monodisciplinare, la biologia vegetale,
lavorando intorno a modi di vedere, agire, pensare,
interni alla singola disciplina, con l’obiettivo di
acquisire progressiva padronanza di conoscenze
scientificamente impostate.
Non possiamo ignorare che ormai da tempo sulla
Terra sono in corso drammatiche trasformazioni, la
biodiversità e la nostra stessa specie sono in serio
pericolo. Il futuro del nostro pianeta dipende da
come noi saremo in grado di riparare ai danni fatti;
soprattutto dipenderà dai “giovanissimi” che
erediteranno questa gravosa situazione. Tra i tanti
provvedimenti che bisogna intraprendere, la nostra
generazione ha il dovere di formare una nuova
coscienza ecologica già a partire dalla scuola
dell’infanzia. L’attività educativa deve però seguire
un percorso che si adegui alle potenzialità cognitive
ed affettive dell’alunno. Spesso a scuola si
preferisce trattare argomenti che riguardano il
degrado ambientale, informando i bambini circa i
danni ecologici provocati dall’uomo. È sicuramente
negativo proiettare sui bambini fenomeni negativi
che gli adulti cercano disperatamente di risolvere,
poiché tutto ciò non rientra nel loro campo di
interesse. La scuola di base ha il compito di creare
le basi affinché si instauri un corretto rapporto tra i
bambini e l’ambiente, sollecitandoli a scoprire e a
coltivare quell’amore e interesse per la natura, che
spesso è presente in ognuno di noi sin da piccoli,
evitando cosi che tale sentimento scompaia del tutto
o si trasformi in qualcosa di negativo. A tale scopo
l’insegnamento di scienze deve superare la
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descrittività; non basta, infatti,
soffermarsi sull’informazione
diffondendo nei bambini conoscenze e
aspettando i lontani frutti dell’età
adulta, poiché una lezione cosi
strutturata può giungere solo a chi è già
sensibilizzato. Nella tradizione
dell’insegnamento si è portati a
rispondere alle domande poste dal
bambino appagando le sue curiosità, ma
così facendo, cioè fornendo delle verità
confezionate, si spegne un interesse
nascente. Si dovrebbe prendere spunto
da quelle domande per farne nascere
altre, trasformandole in un problema in
modo tale che ciò che poteva essere la
curiosità di un bambino diventa
interesse di tutti. Sulla base del vecchio
detto “se faccio capisco” emerge la
necessità di modificare l’insegnamento
delle scienze: esso deve essere vivo ed
operativo, avvalendosi di una
metodologia adeguata che supera ed
integra il metodo informativo.
L’introduzione del “Metodo
Scientifico” come strumento di indagine
della realtà incoraggia i bambini e i
ragazzi all’esplorazione, alla
formulazione di idee, alla
sperimentazione e crea un’atmosfera di
curiosità, coinvolgendoli e stimolandoli
in pieno a partecipare attivamente alle
attività pratiche, facendo appello non solo alla
dimensione cognitiva, ma anche a quella emotiva e
pragmatica. Nonostante negli ultimi dieci anni,
nella scuola primaria ci sono state molte riforme
che hanno rinnovato nei metodi e nei contenuti
l’insegnamento scientifico, oggi l’apporto
disciplinare e metodologico delle scienze risulta
essere ancora a un livello assai modesto.
L’iniziativa di praticare un laboratorio didattico ha
spesso difficoltà ad essere realizzata, forse per
carenza di materiale e di strutture o perché si è
portati a pensare, erroneamente, che il bambino sia
incapace di seguire attività scientifiche che si
concretizzano nella capacità concettuale ed
operativa, ossia porsi problemi, prospettare
soluzioni, indagare e verificare se c’è
corrispondenza tra ipotesi formulate e risultati
sperimentali. Nel programmare una lezione
sperimentale si è portati a pensare ad uno spazio, il
laboratorio, attrezzato ed organizzato con
apparecchiatura speciale (microscopio, bilance,
provette ecc.). Ciò costituisce sicuramente un
ostacolo culturale ed oggettivo non di poco conto. É
necessario ricordare che si sta trattando con
bambini, quindi bisogna costruire un’abilità
tecnico-operativa e concettuale, utilizzando
materiale adatto e di facile portata. Inoltre bisogna
partire dal presupposto che i bambini hanno la
capacità di cogliere fatti nuovi, al contrario degli
adulti che hanno un atteggiamento apatico o
disincantato nei confronti di ciò che accade intorno
a loro, tanto che più niente desta meraviglia.
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Partendo da questo presupposto è
compito della scuola cogliere le
occasioni o presentarle ai bambini, per
invogliare all’osservazione, far scaturire
direttamente da esse le problematiche,
esprimere idee, costruire esperienze
sperimentali, collegare e confrontare
risultati ottenuti con le esperienze della
vita quotidiana per scoprire le diversità
e le analogie. Il bambino, quindi con la
sua voglia di manipolare e di ricercare
attraverso un gioco serio che è “
l’esperimento” può assumere il ruolo di
“piccolo scienziato”. La procedura
sperimentale, però non è sufficiente, è
importante anche il momento di
riflessione, quindi assume un ruolo
fondamentale la figura dell’insegnante,
riconosciuta anche dal pedagogista J.
Brumner.
Bisogna, purtroppo, riconoscere che
l’insegnante spesso si sente impreparato
ad affrontare programmi sperimentali,
perché il più delle volte non possiede le
metodologie necessarie, senza le quali
non è possibile guidare i bambini a
cogliere gli elementi fondanti della
disciplina insegnata. Nel programma
sperimentale il compito dell’insegnante
è quello di guidare i bambini a
ragionare, ad osservare la realtà con
occhio attento, a cogliere contraddizioni
e a confrontarle con le precedenti convinzioni,
ponendole sempre di fronte a nuovi problemi e
incertezze: l’indagine è sempre aperta dal momento
che nessuna verità è certa. Bisogna essere anche
abbastanza preparati a capire che non sempre al
termine dell’esperimento l’ipotesi provata risulta a
volte corretta, invitando così il bambino ad
accettarla e a proporre nuove esperienze di verifica
e correzione. Molte idee del senso comune, come
asserisce Piaget, sono persistenti nel tempo e le
correzioni avvengono in seguito a molti
ragionamenti e con il passare del tempo.
L’obiettivo di questo corso, si propone di
confrontare l’efficacia dell’apprendimento
attraverso metodologie opposte, quali lezioni
frontali e lezioni veicolate da indagini sperimentali
e non ultimo fornire consigli utili per stimolare i
bambini suscitando il loro interesse e curiosità, ma
anche emozioni e desiderio verso la pratica delle
attività sperimentali.
1.1 COME CONCEPIRE IL LAVORO DI
LABORATORIO
L’educazione scientifica dovrebbe porre le basi per
costruire capacità di indagine e di astrazione negli
allievi e, in vista anche del conseguimento di una
visione e lettura critica del mondo e dei suoi
fenomeni naturali ed artificiali. Le pratiche
didattiche dell'insegnamento scientifico dovrebbero
essere impostate su strategie di mediazione tra
concezioni spontanee degli allievi e concezioni
scientifiche. Ne consegue l'esigenza di organizzare
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attività sperimentali che permettano agli
allievi di esaminare realtà concrete, di
parlarne, di spiegarne i fenomeni e
rappresentarli in modi diversi; queste
attività debbono quindi fornire tecniche
per esplorare, scoprire ed interpretare e
metodi per ordinare le conoscenze. In
questa ottica, il lavoro di laboratorio
può allora essere concepito con diverse
e più ampie prospettive e non solo o
prevalentemente come "modello" o
"dimostrazione" delle attività degli
scienziati e del loro modo di procedere
e ragionare. Il "laboratorio" può essere
il contesto in cui organizzare situazioni
ed esperienze che facciano sorgere
curiosità, domande e problemi, o che
possono rispondere a curiosità,
domande e problemi già sorti. Inoltre
aiutino gli allievi ad assumere
consapevolezza delle loro idee e del
loro modo di guardare la realtà e ne
favoriscano l'esplicitazione, mettano a
confronto le idee dei bambini sugli
oggetti ed i fenomeni, con gli oggetti ed
i fenomeni stessi, con le idee degli altri,
coetanei e/o adulti e/o scienziati, per
verificarne somiglianze, differenze e
coerenza. Devono fornire le basi per il
ragionamento e la riflessione sul ciò che
si osserva o si sta facendo, inducendo
alla ricerca di elementi fondanti e
relazioni, permettendo di sperimentare diversi modi
di analizzare e descrivere la realtà, per poterla
interpretare e per trovare spiegazioni coerenti; e
infine, stimolino atteggiamenti di ricerca verso
ulteriori direzioni di indagine o altre esperienze.
1.2 QUALI ATTIVITÀ DI LABORATORIO
DOVREBBERO ESSERE PRIVILEGIATE
Le attività laboratoriali da privilegiare sono
esperienze di conoscenza di oggetti naturali,
osservazione di animali e piante, indagini su reperti
raccolti nell'ambiente, piccoli esperimenti di
biologia elementare, di fisica e chimica, integrati da
attività di modellizzazione, descrizione e
riproduzione degli oggetti e fenomeni osservati.
Molte "esperienze" o molti "esperimenti" possono
essere validi, purché facciano nascere domande
significative, esigenze o occasioni di interpretare,
discutere, rielaborare, ed aiutino a costruire
ragionamenti astratti e conoscenze.
Sono da privilegiare:
attività che permettono l'osservazione approfondita, la ricerca di somiglianze e differenze;
attività che inducano a provare e modificare;
attività che conducano a stabilire relazioni;
attività che permettano esercizi di misurazione;
attività di raccolta, catalogazione e verifica di dati;
attività che permettano di formulare ipotesi e che facciano intuire quali procedure d'azione e di pensiero costituiscono la base del sapere scientifico;
attività che mettono gli allievi in una posizione di "ricerca", presentate quindi come "problemi da risolvere"
attività che pongono problemi la cui soluzione può essere cercata attraverso varie modellizzazioni;
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attività che prevedono l'uso di molteplicità di tecniche e mezzi.
Le indicazioni che provengono dalla
ricerca in didattica delle Scienze
suggeriscono di privilegiare temi che
prendono in considerazione la realtà
vicina agli allievi e i fatti conosciuti, o
in ogni caso, temi che nascono da
esigenze di conoscenza degli allievi
stessi. Gli argomenti proposti debbono
avere un significato anche fuori scuola,
debbono avere le qualità di stimolare le
discussioni con i compagni e gli adulti,
debbono coinvolgere gli allievi (il
coinvolgimento affettivo è essenziale:
senza motivazione infatti, non c'è
interesse e non scaturiscono curiosità).
Le attività quindi possono ruotare
attorno a varie esperienze reali ed eventi
della vita di ogni giorno, attorno ai temi
che riguardano se stessi, il proprio
corpo ed il proprio benessere, gli altri
viventi con cui si ha contatto, problemi di attualità.
1.3 COME RENDERE EFFICACI E
SIGNIFICATIVE LE ESPERIENZE IN
LABORATORIO
Sono importanti alcuni atteggiamenti, alcune
procedure e regole pratiche. Ad esempio:
evitare esperimenti già predisposti e condotti dall'insegnante, in quanto non sostituiscono il contatto diretto con la realtà e di solito sono "dimostrazioni" di fatti e fenomeni particolari, spesso estranei agli allievi e non connessi con la loro esperienza quotidiana,
lasciare agli allievi libertà di sperimentazione,
affidare loro compiti e responsabilità,
renderli protagonisti nelle esperienze e nella programmazione,
incoraggiarli a interrogarsi ed a sperimentare,
promuovere le capacità osservative, stimolandoli a non fermarsi agli aspetti immediati e descrittivi e ad usare diverse tecniche per potenziare l'osservazione,
discutere con loro ciò che avviene,
lasciare spazio alle loro interpretazioni,
lasciare loro tempo sufficiente per fare e riflettere,
organizzare una molteplicità di situazioni, mezzi e tecniche, affinché tutti possano esprimersi al meglio ed abbiano la possibilità di effettuare più prove sperimentali,
non tralasciare mai la rielaborazione e la discussione delle esperienze,
richiedere sempre di rappresentare e descrivere gli oggetti ed i fenomeni osservati, con tecniche e modelli personali, prima di proporre quelli scientifici,
programmare esperienze vicine alla vita quotidiana degli allievi, alle loro capacità di percepire ed alle loro conoscenze,
predisporre le esperienze all'interno di problemi o percorsi cognitivi e non fini a se stesse
chiedere elaborazioni e prodotti finali.
Le esperienze di laboratorio sono significative se la
programmazione è accurata e consapevole del
lavoro, dei suoi obiettivi e delle tecniche/situazioni
da proporre agli allievi e infine se il materiale
richiesto nel laboratorio scientifico per esperienze
pratiche attuabili, è semplice e di facile portata. Più
il materiale è semplice e maggiormente sviluppa
l’immaginazione degli alunni, la facoltà di fare
previsioni e di inventare prove.
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L’utilità del laboratorio per
l’insegnamento delle scienze è ben nota.
Di seguito sono riportati alcuni punti
importanti:
possibilità di venire a contatto con la realtà
Si tratta di una realtà molto limitata
rispetto a quella della casa, della strada,
della natura, ma è pur sempre tutt’ altra
cosa rispetto ai libri stampati, allo
schermo della televisione o del
computer, perché si tratta di una realtà
tridimensionale che possiamo
abbracciare con tutti i nostri sensi
possibilità di vedere, toccare, agire
In laboratorio non solo si vede e si
tocca, ma anche si agisce. Occhio, mano
e mente collaborano potenziandosi a
vicenda. È probabile che l’evoluzione
della mente umana sia largamente
dovuta ad un simile processo di
retroazione. L’acutezza della vista in tre
dimensioni e l’abilità manuale si
ripercuotano positivamente sulle facoltà
mentali, le quali a loro volta permettono
movimenti più precisi e mirati. Si
genera così una benefica spirale di
retroazione positiva che si innesca solo
se gli allievi possono utilizzare
direttamente le mani. (Schema 1)
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Schema 1: Sviluppo facoltà mentali
1.4 LA DIDATTICA
IMPRONTATA SUL METODO
SCIENTIFICO
Il metodo sperimentale o metodo
scientifico va ad arricchire la proposta
formativa scolastica con nuove
strategie, che soddisfano la necessità di
acquisire conoscenze e competenze e di
sviluppare processi cognitivi,
tradizionalmente trascurati. Tali
strategie didattiche favoriscono lo
sviluppo di capacità legate al saper
essere, ossia all’acquisizione di
atteggiamenti, di comportamenti e di
capacità più che a quella di acquisire
semplici informazioni. Il metodo
adottato consente di creare condizioni
ottimali affinché l’allievo acquisisca le conoscenze
in modo significativo, ossia nel momento in cui
viene a contatto con nuove conoscenze deve saperle
integrare con quelle già possedute.
Programmare un'attività laboratoriale
L’attività programmatoria comporta
l’organizzazione dell’attività laboratoriale, ciò
richiede che l’intero processo sia pensato in anticipo
rispetto alla sua realizzazione, che si individuino o
si producano per tempo i materiali che saranno
utilizzati, che tutte le risorse disponibili (umane,
tecniche, strumentali) siano a disposizione in modo
efficiente per raggiungere gli obiettivi prefissati.
La programmazione, dunque, è esattamente il
contrario dell’improvvisazione, che determina
scelte estemporanee e conformi alla situazione del
momento.
Sviluppo facoltà mentali (evoluzione della mente umana)
CONDIZIONE NECESSARIA: VEDERE TOCCARE AGIRE
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L’attività laboratoriale di
insegnamento/appren-dimento, quindi,
viene usualmente divisa in parti
all’interno delle quali si sviluppa un
certo intervento formativo strutturato
intorno a determinati contenuti svolti
per il conseguimento di obiettivi
didattici.
La progettazione di un’attività
laboratoriale comprende i seguenti
momenti:
Definizione degli obiettivi didattici
Definizione dei prerequisiti
Selezione dei contenuti
Scelta dei metodi, strategie didattiche, strumenti, luogo di realizzazione
Definizione dei tempi di realizzazione
Costruzione delle prove di verifica e di schede operative
Esiste un’ampia letteratura pedagogica
rispetto agli obiettivi e,
conseguentemente, capita di
denominarli e di sentirli denominare in
modo differente a seconda dell’autore
cui, inconsciamente o deliberatamente,
si fa riferimento. Non esistono
denominazioni corrette in assoluto ed
altre sbagliate, ma si suppone che
ognuna colga un aspetto, una sfumatura
ritenuta significativa da chi ne da una
definizione. Soprattutto, è importante
fare riferimento agli ambiti cui si
riferisce la denominazione.
Con riferimento al diverso ruolo e al diverso modo
con cui vengono definiti, gli obiettivi si possono
distinguere, per esempio, in:
obiettivi educativi
obiettivi didattici
OBIETTIVI EDUCATIVI
Gli obiettivi educativi sono “linee guida,
orientamenti di fondo, principi d’azione, che
devono informare l’azione didattica. Sono
l’orizzonte educativo entro il quale ci si muove o, se
si vuole, il quadro dei valori da interpretare e
concretizzare nel contesto dei vari insegnamenti.
Essi si riferiscono alla crescita della persona
considerata nella sua totalità. Alcuni esempi:
saper valutare criticamente la realtà
saper ascoltare gli altri
saper organizzare il lavoro di gruppo
Sono definiti in modo astratto, non operativo e
possono apparire retorici nella loro indefinitezza.
Ma tali obiettivi, per loro natura, non possono
essere percepiti ed osservati in modo immediato,
bensì in modo mediato attraverso le varie discipline:
essi devono essere resi operativi nei singoli contesti
disciplinari.
OBIETTIVI DIDATTIVI COGNITIVI O
DISCIPLINARI
Gli obiettivi didattici cognitivi o disciplinari,
invece, sono i risultati che gli alunni devono
conseguire nelle diverse discipline, ossia la
prestazione dello studente, non l’attività del docente
o il contenuto del corso.
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Un obiettivo didattico deve presentare le
seguenti caratteristiche:
Pertinente: la sua definizione non sarà ridondante, ma comprenderà tutti gli aspetti relativi allo scopo da raggiungere
Preciso: la definizione della prestazione non deve essere ambigua
Realizzabile: ciò che si richiede agli
studenti può essere effettivamente fatto
Misurabile: la descrizione dell’obiettivo
deve esplicitare il grado di prestazione
accettabile dello studente
Le attività laboratoriali si prefiggono di
raggiungere i seguenti obiettivi:
CONOSCENZA: è intesa come la
capacità dello studente di richiamare
alla memoria dati, fatti particolari o
generali, metodi e processi, modelli,
strutture, classificazioni. Ciò che
l’individuo sa, ossia il “sapere” che si
apprende dai contenuti. Alcuni esempi:
conoscere le parti del fiore, identificare
i tessuti del pericarpo in una drupa,
acquisire che le foglie sono verdi per la
presenza del pigmento clorofilla,
conoscere le unità di misura della
capacità.
ABILITÀ: è intesa come la capacità di
applicare conoscenze di base per portare
a termine compiti e risolvere problemi.
Ciò che l’individuo sa effettivamente
fare, ossia il “saper fare”. Alcuni
esempi: saper distinguere le parti del
fiore, saper rappresentare graficamente un fiore
identificando ogni sua parte, saper misurare la
capacità, saper descrivere i risultati
dell’esperimento “ Le parti del fiore”, saper
compilare la scheda operativa del fiore, saper
osservare le parti del fiore.
COMPETENZA: indica la comprovata capacità di
usare conoscenze, capacità (attitudini),
atteggiamenti (ciò che l’individuo sa essere, il
saper essere) e abilità acquisite in situazioni nuove
di studio e di lavoro. Le competenze sono descritte
in termini di responsabilità e autonomia.
Alcuni esempi: saper identificare il problema da
risolvere, saper effettuare un esperimento, saper
lavorare in gruppo, saper elaborare una conclusione,
saper effettuare misure, saper esprimere un’ipotesi,
acquisire un pensiero critico, saper partecipare alle
discussioni, saper organizzare il proprio lavoro,
saper osservare la realtà circostante con razionalità.
I termini conoscenza, capacità abilità, attitudini e
competenze non possono essere definiti in maniera
indipendente l’uno dall’altro, in quanto sono
elementi che si “spiegano” a vicenda.
La capacità è una potenzialità innata della persona
ossia si riferisce a ciò che l’individuo è in grado di
imparare a fare (il poter saper fare) e matura
attraverso l’acquisizione di competenze, diventando
così una potenzialità potenziata. Di conseguenza la
competenza è una capacità realizzata attraverso
conoscenze, attitudini ed abilità acquisite ed
adoperate all’interno di un contesto.
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PREREQUISITI
I prerequisiti sono le conoscenze che gli
allievi devono possedere per svolgere
l’attività che si intende intraprendere.
È fondamentale prima di iniziare lo
svolgimento dell’attività verificare con
una prova diagnostica, meglio se
strutturata in forma di test oggettivo, se
gli alunni possiedono i prerequisiti
richiesti.
Se l’accertamento risulta negativo
occorrerà dedicare tempo al recupero
delle conoscenze ed abilità non
possedute per evitare di dover
interrompere la trattazione
dell’argomento nuovo quando ci si
accorge che gli alunni non sono in
grado di seguire quanto si va spiegando.
I CONTENUTI
L’insegnamento si realizza attraverso la
proposizione dei contenuti che
rappresentano le conoscenze, le
capacità, gli atteggiamenti, i valori che
gli allievi devono apprendere. Si pone,
quindi il problema di selezionare i
contenuti rispetto ai quali realizzare
l’apprendimento.
METODOLOGIA
Come si svolge un’indagine scientifica?
Intesa come il procedimento per
comprendere il mondo della natura la
scienza si può definire come un metodo
che implicala verifica di ipotesi mediante
osservazioni e esperimenti.
Questo modo di procedere della scienza prende il
nome di METODO SCIENTIFICO.
Il punto di partenza di un’indagine scientifica è
sempre l’osservazione: si osserva che una data parte
del mondo della natura si comporta in un certo
modo.
All’osservazione segue una domanda (proposta del
problema) che, a grandi linee può vertere sul “che
cosa”, sul “perché” o sul “come”. Ecco per esempio
alcune domande che ci possiamo porre “ Perché le
foglie e sono verdi”. A che cosa servono i frutti?
Com’è fatto un fiore?
Alla domanda che lo scienziato si pone segue la
formulazione di una o più ipotesi, cioè di una o più
possibili spiegazioni di quanto si è osservato in
precedenza.
Successivamente devono essere eseguiti
esperimenti o raccolte nuove informazioni che
possano suffragare o no l’ipotesi di partenza;
Se l’ipotesi viene confermata sarà possibile
determinare un risultato o legge o teoria che regola
i fenomeni osservati, altrimenti si provvederà a
formularne una nuova.
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Schema 2: Descrizioni delle fasi del metodo scientifico
1.5 VALUTAZIONE E VERIFICHE
L’ottica programmatoria invita il
gruppo docente e le discipline a
muoversi come “unità funzionale” che
pur nella salvaguardia della loro
diversità soggettiva e della specificità
disciplinare, concorra sinergicamente
alla formazione del soggetto. In tale
ottica la valutazione, assume il
significato di continua verifica del
processo di insegnamento-
apprendimento, perché fornisce sia al
docente che all’allievo informazioni
sull’andamento del processo. Tali
informazioni permettono agli insegnanti
di una determinata classe di conoscere
tempestivamente le debolezze del suo e del loro
operato e quindi di correggerlo prontamente e
regolarlo in base agli obiettivi da raggiungere. La
valutazione non è più selettiva ma formativa, perché
diventa la procedura che permette la regolazione del
processo e consente al soggetto che apprende di
conoscere in termini concreti ciò che sa e sa fare e
di stabilire in itinere il proprio livello di
aspirazione, in termini di realtà, guadagnandone in
sicurezza e fiducia in sé, cioè in autostima.
Nello specifico: fare verifica significa effettuare
una misurazione attribuendo un voto, utilizzando
una griglia stabilita dai dipartimenti e poi approvata
dal Collegio docenti.
ESPERIMENTO
CONFERMA IPOTESI?
LEGGE
SI
OSSERVAZIONE
NO
IPOTESIPROBLEMA
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Si misurano le prestazioni degli allievi:
conoscenze (ciò che l’allievo sa ed ha
appreso dai contenuti), capacità (ciò
che l’allievo è in grado di imparare),
abilità (ciò che l’allievo sa
effettivamente fare), competenze (ciò
che in un determinato contesto l’allievo,
sulle basi delle proprie attitudini
(capacità), conoscenze e del proprio
essere (atteggiamenti), sa effettivamente
fare (abilità) per raggiungere l’obiettivo
prefissato e produrre conoscenze).
Fare valutazione sommativa significa
tener conto di tutti i comportamenti
degli allievi e quindi del loro impegno e
della crescita culturale.
Attraverso la valutazione la scuola si
connota rilasciando un titolo e rendendo
pubblica la sua funzione.
Per valutare l’efficacia dell’azione
didattica delle attività laboratoriali
proposte nel corso sono state elaborate
esempi di prove oggettive di profitto
strutturate e semi-strutturate (test di
completamento, test con domande a
risposta multipla, vero falso, esercizi di
collegamento, cruciverba) sotto forma
di pre-test e post-test.
Le domande nel pre-test sono
finalizzate a saggiare le conoscenze
pregresse degli allievi sull’argomento da trattare.
Nel post-test, invece, le domande proposte sugli
argomenti trattati, riguardano concetti,
denominazioni, conoscenze, abilità competenze che
gli allievi dovranno acquisire.
1.6 LUOGO E TEMPO DI REALIZZAZIONE
Le attività di laboratorio sia che sono svolte in
un’aula attrezzata o all’aperto (parco naturale, orto
botanico, giardino della scuola) devono comunque
sempre offrire situazioni di conoscenza diretta, che
tuttavia debbono essere utilizzate non solo come
occasione per "fare/osservare", ma anche come
occasione per riflettere su ciò che si "fa/osserva". In
quest'ottica, il lavoro in laboratorio costituisce non
solo un momento di osservazione diretta, ma anche
di analisi, di problematizzazione, di confronto e
verifica, di formulazione, di interpretazione e
previsione, di "invenzione" di attività.
Un momento fondamentale è quello dedicato
all’individuazione del tempo necessario per lo
svolgimento della lezione. Per farlo nel modo più
preciso possibile è opportuno fare esperienza,
comunque è importante valutare diversi momenti
che caratterizzano l’attività sperimentale:
l’osservazione, la proposta del problema, le ipotesi,
l’esperimento, eventuali osservazioni, compilazione
di schede operative, raccolta dati, risultati e
conclusioni, eventuali verifiche (pre-test e post-
test.)
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2. ATTIVITÀ SPERIMENTALI SVOLTE
2.1 LA BIODIVERSITÀ
Le attività proposte partono dalla
percezione della variabilità delle forme
esistenti in natura. Il termine con cui si
indica tale variabilità è biodiversità;
essa, infatti, indica una misura della
varietà di specie animali e vegetali nella
biosfera ed è il risultato di lunghi
processi evolutivi. L'evoluzione è il
meccanismo che da oltre tre miliardi di
anni permette alla vita di adattarsi al
variare delle condizioni sulla terra e che
deve continuare a operare perché questa
possa ancora ospitare forme di vita in
futuro. La diversità della vita sulla terra
è costituita dall'insieme degli esseri
viventi che popolano il pianeta. Questa
diversità prende il nome di
BIODIVERSITÀ, dall'inglese bio-
diversity, tale termine può essere
tradotto "varietà della vita".
La biodiversità è intesa non solo come il
risultato dei processi evolutivi, ma
anche come il serbatoio da cui attinge
l'evoluzione per attuare tutte le
modificazioni genetiche e morfologiche
che originano nuove specie viventi. La
biodiversità si può considerare almeno
in tre livelli diversi:
a livello di geni in una specie (o popolazione)
a livello di specie
a livello di ecosistemi.
Le caratteristiche morfologiche, ovvero tutte le
caratteristiche visibili degli esseri viventi come ad
esempio il colore degli occhi e dei capelli
dell'uomo, il colore del pelo dei gatti, sono esempi
della varietà che esiste a livello di geni all'interno di
ogni singola specie. La varietà di specie di farfalle
che frequentano il nostro giardino, l'incredibile
numero di fiori diversi che possono essere trovati in
un campo sono esempi della biodiversità a livello di
specie. Infine, la varietà di ambienti in una
determinata area naturale è l'espressione della
biodiversità a livello di ecosistemi.
La terra è popolata da numerosi esseri viventi,
animali e vegetali che non conosciamo: oggi sono
state classificate appena un milione di specie,
mentre le stime elaborate dai biologi vanno dai 5 ai
10 milioni. Diventa, quindi, ancora più urgente e
importante occuparsi della conservazione di specie
e ambienti che rischiano di sparire per sempre a
causa dell'uomo, ancora prima di essere scoperti. È
noto che alcuni biomi risultano più importanti
rispetto ad altri in termini di ricchezza di specie: le
barriere coralline, gli estuari dei fiumi e le foreste
tropicali che accolgono oltre la metà degli esseri
viventi, pur ricoprendo il 6% della superficie
terrestre, sono i più importanti. Perché la diversità
nell'ambito di una comunità biologica possa essere
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considerata una risorsa deve essere
caratterizzata da un adeguato numero di
specie, da un'alta valenza ecologica e da
un legame con le condizioni ambientali.
Inoltre è necessaria un'uniforme e
approfondita conoscenza dei dati di
base e la disponibilità di dati recenti.
La biodiversità è l'assicurazione sulla
vita del nostro pianeta. Quindi la
conservazione della biodiversità deve
essere perseguita senza limiti poiché
essa costituisce un patrimonio
universale, che può offrire vantaggi
immediati per l'uomo:
* Mantenimento degli equilibri
climatici sia a scala locale che
planetaria; infatti, le specie vegetali
oltre ad essere l'unica fonte di ossigeno
sul nostro Pianeta, hanno anche un
ruolo fondamentale negli equilibri idrici
e in quelli gassosi.
* Fonte di materiale di studio: lo
studio della Biodiversità permette di
avere fondamentali conoscenze anche
per comprendere meccanismi biologici
analoghi nell'uomo.
* Uso sostenibile della flora per fini
alimentari e medicinali: per quanto
riguarda l'uso della flora per
l'alimentazione c'è da dire che oggi
viene sfruttata solo una minima parte
delle infinite possibilità alimentari
fornite dalle piante. Invece utilizzando meglio tali
risorse si potrebbero soddisfare i problemi di
nutrizione in molte parti del mondo, senza alterare
equilibri essenziali per l'ambiente.
Riguardo ai fini medicinali dell'uso della flora
invece c'è il rischio di perdere, prima ancora di
scoprirle, piante che forniscono sostanze necessarie
nella lotta contro patologie come il cancro e la
leucemia.
* Soddisfacimento della richiesta sempre
crescente di spazi naturali: l'istituzione di aree
protette per un turismo eco-compatibile, può
soddisfare la richiesta crescente di spazi per
effettuare attività come l'escursionismo.
L’approccio didattico allo studio della biodiversità è
stato quello di scegliere un oggetto di studio che
fosse familiare ai bambini e che potesse così farli
avvicinare in modo sereno ma curioso allo studio
“strutturato” di un organismo vivente. Esso,
l’organismo ci appare simile tra i simili, ma diverso
se confrontato con altri. L’osservazione attenta e lo
sviluppo di sistemi logici di raggruppamento,
anticipano con naturalezza i processi di
classificazione che caratterizzano gli studi
tassonomici. Ordinare un insieme di frutti
rappresenta quindi un atto “altamente significativo”
se condotto con metodologia rigorosa.
ATTIVITÀ 1- CLASSIFICHIAMO I FRUTTI
Azione: mettiamo in ordine un insieme di frutti
Luogo di realizzazione: Laboratorio scientifico o
aula
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Tempo di realizzazione: 2 ore
Destinatari: Classi I, II. III
PREREQUISITI
Saper distinguere i colori
Riconoscere le forme
Saper distinguere e usare i cinque sensi
Conoscere il concetto di insieme
Saper effettuare operazioni con gli insiemi
I CONTENUTI
La biodiversità
La classificazione artificiale
Le caratteristiche dei frutti: somiglianze e differenze
Saper osservare attentamente le caratteristiche degli oggetti
saper classificare gli oggetti secondo degli attributi
Saper identificare il problema e trovare la soluzione
saper condurre una discussione
LABORATORIO SCIENTIFICO “Classificare i
frutti”
Acquisire che i frutti hanno caratteristiche morfologiche diverse
Acquisire che attraverso un esame sensoriale si possono scoprire le caratteristiche dei frutti
Acquisire che esiste un’estrema biodiversità di frutti
Apprendere che gli oggetti possono essere classificati sulla base di somiglianze e differenze
ABILITÀ COMPETENZE
Saper distinguere le caratteristiche morfologiche dei frutti presi in esame (aspetto, colore,forma, odore, gusto, tatto)
Saper confrontare distinguendo le somiglianze e le differenze dei frutti presi in esame (esempio la mela e l’arancia hanno entrambe forma tonda, mentre il cetriolo ha forma allungata
CONOSCENZE
Obiettivi didattici
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MATERIALI E STRUMENTI
Per l’attività è necessario avere a disposizione
una grande varietà di frutti. Possiamo quindi
scegliere tutta la frutta disponibile, compresi
gli ortaggi quali pomodori, zucchine,
melanzane, cetrioli ecc; nonché frutta secca
(noci, nocciole ecc). Si veda la figura 1 per
valutare la tipologia di frutto utilizzato
Scatole colorate
Le scatole rappresentano le varie categorie di
classificazione, che riferiamo mentalmente
come dei contenitori atti a contenere soggetti
simili tra loro
Etichette
Stabiliscono le categorie e sottocategorie,
introducendo l’ordine gerarchico tassonomico
Lavagna e gesso
Sono sempre validi sussidi che consentono ai
bambini di cadenzare l’attività didattica
seguendo i tempi dati dall’insegnante
Gli insiemi: i diagramma di Eulero-Venn
Essi sono la rappresentazione astratta dei
contenitori e quindi evocano le categorie
tassonomiche come insiemi ordinati
Schede operative
Costituiscono uno strumento adatto alla
documentazione e anche alla valutazione
dell’attività.
COME PROCEDERE
Ogni frutto dovrà essere classificato in base ai
sensi. Utilizzando un senso per volta, i frutti
verranno sistemati nelle apposite scatole. Per
ciascun senso ogni frutto avrà una diversa
“qualità” che verrà annotata sulle schede
operative. In tal modo si confronteranno le
valutazioni dell’intera classe e si
correggeranno le “qualità” che la
maggioranza giudica errate.
Figura 1. L’insegnante chiede agli alunni di portare frutta di stagione e, ad integrazione, procurerà i frutti di categorie meno familiari
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Viene proposto di ricercare un metodo per “ordinare” i frutti. Gli alunni sono sollecitati ad interpretare e ad utilizzare i dati accumulati dalle loro osservazioni per ciascun frutto. Dalla discussione, emergono delle ipotesi. Qui di seguito è riportato un esempio: Il melone ha una forma allungata Il melone ha un aspetto lucido Il melone al tatto è liscio e duro Il melone ha odore gradevole
IPOTESI DELLA CLASSE:
I bambini sono invitati ad osservare attentamente i frutti e ad individuare delle somiglianze e delle differenze. Ciò inizialmente è fatto utilizzando solo la vista, mediante la quale vengono individuate delle categorie (es. forma, colore, aspetto, tatto).
PROPOSTA DEL PROBLEMA:
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Olfatto
Forma
Tondo Allungato
Aspetto
Opaco Lucido
Inodore Odore
Gradevole Sgradevole
Liscio
Duro
TATTO
RugosoPeloso
morbido morbido morbido
Duro Duro
La proposta che ai bambini può sembrare conseguenza logica è quella di verificare tali ipotesi utilizzando i sensi: vista, olfatto e tatto. Vengono quindi approntate scatole colorate sulle quali viene apposta un’etichetta. Ogni colore rappresenta una categoria (scatola) divisa in sottocategorie.
ESPERIMENTO
COLORE CATEGORIA SOTTOCATEGORIA VERDE FORMA TONDO / ALLUNGATO GIALLO ASPETTO OPACO / LUCIDO VIOLA OLFATTO ODORE / INODORE BLU TATTO LISCIO / PELOSO / RUGOSO (MORBIDO / DURO)
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RISULTATI
Ogni volta che il bambino esamina un
frutto deve individuare la categoria alla
quale questo appartiene, riponendolo
nella scatola corrispondente.
Questo ha come conseguenza la
conferma di alcune ipotesi e la
confutazione di altre.
Ad esempio le ipotesi: “Il melone ha
una forma allungata”, “Il melone è
liscio e duro”sono confermate; mentre
le ipotesi: “Il melone ha un aspetto
lucido ” e “Il melo ne ha odore
gradevole” sono confutate.
Il passo successivo è quello
dell’individuazione da parte dei bambini
di un ulteriore metodo per l’analisi del frutto. Se
l’ipotesi di lavoro, (ossia l’utilizzo dei sensi), è
recepita dal bambino, la sua risposta sarà quella di
individuare il senso mancante: “il gusto”. La
“Categoria gusto” è rappresentata dal colore
arancione, ed è suddivisa nelle seguenti
sottocategorie:
INSAPORE:
succosa / secca / compatta: cremosa o croccante.
SAPORE:
dolce (succosa /secca / compatta: cremosa o croccante);
amara (succosa /secca / compatta: cremosa o croccante);
aspra (succosa /secca / compatta: cremosa o croccante);
GUSTO
succoso secco
compatto
cremoso croccante
SAPORE: Amaro
croccante
dolce SAPORE: Dolce
croccante
GUSTO
succoso secco
compatto
cremoso
GUSTO
Aspro
succoso secco
compatto
cremoso croccante
SAPORE:
GUSTO
Insapore
succoso secco
compatto
cremoso croccante
SAPORE:
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Gli alunni sono stati invitati ad assaggiare i frutti presi in
considerazione ed affermare quanto segue:
E’ vero che la mela è dolce, ma non èsuccosa, piuttosto compatta e
croccante.
E’ vero che la noce è secca, ma non è dolce piuttosto amara
Alcune proposizioni sono state quindi confutate, mentre altre sono
state confermate.
ESPERIMENTO
EOSSERVAZIONI
IPOTESIDELLA CLASSE:
Il risultato d tali indagini ha portato a ipotizzare le seguenti supposizioni:
- La mela è dolce e succosa - Il limone è aspro e succoso - La noce è dolce e secca
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RISULTATI:
Si giunge alla conclusione, che mediante l’impiego dei sensi, èpossibile operare una classificazione dei frutti.
Ne è scaturito quindi uno schema di classificazione strutturato come segue:
Il Frutto: classificazione artificiale attraverso i sensi
FORMA
ASPETTO
OLFATTO
allungata
tonda
lucido
opaco
odore
inodore
sgradevole
profumato
duro
pelosoTATTOliscio
rugoso morbidoduromorbido
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Il Frutto: classificazione artificiale attraverso i sensi
FORMA
ASPETTO
OLFATTO
allungata
tonda
lucido
opaco
odore
inodore
sgradevole
profumato
duro
pelosoTATTOliscio
rugoso morbidoduromorbido
secco compattosuccoso
GUSTOdolce a spro
secco compatto ama ro succoso
croccantecremoso
croccantecremososecco compatto succoso
croccantecremoso
compatto
insapore
succososecco
croccantecremoso
Il Frutto: classificazione artificiale attraverso i sensi
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Attività 2. CLASSIFICARE
La classificazione proposta non è fatta a
priori, ma la pluralità di termini
utilizzata ha una logica che definisce
somiglianze e differenze consentendo di
apportare chiarezza nell’estrema
biodiversità che ci circonda.
Si può effettuare una classificazione di
tipo artificiale o naturale.
ARTIFICIALE: si effettua senza tener
conto delle reali affinità evolutive, ma
solo delle somiglianze a livello
macroscopico dell’aspetto esterno.
NATURALE: cerca di raggruppare gli
organismi secondo le loro affinità
genetiche o evolutive.
LA CLASSIFICAZIONE DEI FRUTTI E
IL LINGUAGGIO DEGLI INSIEMI
La lezione sulla classificazione naturale
dei frutti, precedentemente esposta, può
essere svolta, in una fase successiva,
anche, adoperando una metodologia
alternativa: il linguaggio degli insiemi e
quindi l’utilizzo dei diagrammi di
Eulero-Venn e le relative
rappresentazioni grafiche (l’inclusione)
e l’operazione di intersezione.
I diagrammi di Eulero-Venn sono
utilizzati in quanto vengono considerati
un’efficace rappresentazione del
pensiero e dell’immaginazione dei
bambini. Immaginando di usare i sensi (vista,
olfatto, tatto e gusto), i bambini devono cogliere le
differenze di forma (allungata tonda) e aspetto dei
frutti (opaco o lucido), al tatto (buccia liscia,
rugosa, pelosa, morbida, dura), all’odorato
(profumato, odore sgradevole, inodore) e al gusto
(polpa dolce, amara, aspra, secca, succosa,
compatta, cremosa e croccante). Si procede cosi ad
un tentativo di classificazione. Si cerca di rendere
partecipe l’intera classe invitando i bambini a citare
dei frutti conosciuti, riunendoli in un insieme o
categoria rappresentata da una porzione di piano
sulla lavagna.
Si invitano gli allievi a classificare gli oggetti presi
in esame.
Il classificare è tra le attività di indagine consigliate
dai Programmi Ministeriali e sulle quali gli alunni
sono tenuti ad esercitarsi.
La classificazione è caratterizzata da concetti che
sono alla base del pensiero logico.
Avere capacità logiche significa essere capaci di
osservare, confrontare, rilevare differenze e
CATEGORIA FRUTTI
Nocciola Mela Banana Melanzana Baccello di fagiolo
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somiglianze, classificare, ordinare;
significa capacità di riflettere, di
orientarsi di fronte a situazioni nuove.
Non si tratta di far studiare delle
classificazioni già predisposte, ma di
costruirle con pochi elementi, sulle
quali gli alunni possono fare
osservazioni analitiche e ricercare
attributi significativi evidenti, per dare
ordine logico ai dati emersi.
Per effettuare una classificazione,
quindi, si spiega che bisogna isolare una
proprietà fra tante note, che è possibile
attribuire agli oggetti presi in esame.
La “forma” è una proprietà di tutti gli
oggetti (mela, baccello di fagiolo,
melanzana) presi in esame, per cui essa
è caratterizzante e permette di riunirli in
un insieme A o categoria rappresentante
la “Categoria forma”, si ottiene, quindi
una nuova rappresentazione.
A questo punto si considerano due
attributi della proprietà “forma”:
“allungata” e “tonda”. Esempio: la mela
ha una forma tonda, qualità non
posseduta dal baccello di fagiolo, che
risulta avere forma allungata. Quindi i
frutti che hanno forma tonda
costituiscono il sottoinsieme o
“Sottocategoria B” dell’insieme A
“forma”; quelli allungati costituiscono il
sottoinsieme o “Sottocategoria C” dell’insieme A
“forma”.
La “forma” è una proprietà di tutti gli oggetti (mela,
baccello di fagiolo, melanzana) presi in esame, per
cui essa è caratterizzante e permette di riunirli in un
insieme A o categoria rappresentante la “Categoria
forma”, si ottiene, quindi una nuova
rappresentazione.
A questo punto si consideravano due attributi della
proprietà “forma”: “allungata” e “tonda”. Esempio:
la mela ha una forma tonda, qualità non posseduta
dal baccello di fagiolo, che risulta avere forma
allungata. Quindi i frutti che hanno forma tonda
costituiscono il sottoinsieme o “Sottocategoria B”
dell’insieme A “forma”; quelli allungati
costituiscono il sottoinsieme o “Sottocategoria C”
dell’insieme A “forma”. Alcuni frutti, esempio
oliva e kiwi poiché hanno una forma che possiamo
definire tondeggiante sono stati classificati
mediante l’operazione intersezione, come
appartenenti ad entrambi i sottoinsiemi B “tonda” C
“allungata”. Si crea cosi un ulteriore insieme
d’intersezione D
OGGETTO TONDA ALLUNGATA
Mela
Baccello di
fagiolo
Melanzana
X
X
X
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Si procede con la proprietà “aspetto”
scegliendo gli attributi “Opaco” e
“Lucido”.La proprietà “aspetto” è
quella caratterizzante. Essa rappresenta
l’insieme o “Categoria aspetto” A. Si
procede come prima, esempio il kiwi ha
un aspetto opaco, la mela lucida, poiché
si tratta di due qualità diverse, il primo
fa parte del sottoinsieme o “Sottocategoria opaca”
B, il secondo appartiene al sottoinsieme
o“Sottocategoria lucida” C. La ghianda ad esempio
è un esempio di frutto che ha un aspetto sia lucido
che opaco, quindi mediante l’operazione
intersezione è classificato come appartenere ad
entrambi i sottoinsiemi B e C. Si crea un ulteriore
sottoinsieme d’intersezione D.
Mela
Baccello di
fagiolo
B C
Oliva
A = Categoria forma
B = Sottocategoria tonda
C = Sottocategoria allungata
D = Insieme intersezione
D
CATEGORIA FORMA
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Per la proprietà odore si scelgono due
attributi: “inodore” e “odore”.
L’attributo “odore” si divide in due
sottocategorie “profumato” e “odore
sgradevole”. La proprietà “Odore” è
quella caratterizzante e rappresenta
l’insieme o “Categoria Odore” A. Si
spiega ai bambini che tutti i frutti hanno
un odore a prescindere se esso può
essere sgradevole o gradevole. Esempio la mela, ha
un odore e quindi appartiene al sottoinsieme o
“Sottocategoria odore” C dell’insieme A. Essa ha un
odore gradevole, quindi fa parte del sottoinsieme o
“Sottocategoria profumata” D appartenente al
sottoinsieme o “Sottocategoria odore” C. Il
sottoinsieme o “Sottocategoria inodore” B
rappresenta un sottoinsieme vuoto.
Mela
C
E
B
A
CATEGORIA ODORE
A = Categoria odore
B = Sottocategoria inodore
C = Sottocategoria odore
D = Sottocategoria profumata
E = Sottocategoria odore sgradevole
A
Ghianda
B C
Kiwi Mela
A = Categoria aspetto B = Sottocategoria opaca
C = Sottocategoria lucida D = Insieme intersezione
D
CATEGORIA ASPETTO
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Considerando la proprietà “tatto”
caratterizzante e rappresentante
l’insieme o la “Categoria tatto” si
scelgono altri cinque attributi: “liscio”,
“rugoso”, “peloso”, “morbido”, “duro”.
Si procede alla classificazione: esempio
al kiwi si possono attribuire gli attributi “peloso”
“rugoso” e “morbido”, quindi esso fa parte
dell’insieme intersezione G dei seguenti
sottoinsiemi o “Sottocategoria rugosa” D,
“Sottocategoria pelosa” C, Sottocategoria morbida”
E dell’insieme A.
CATEGORIA TATTO
A = Categoria tatto E = Sottocategoria morbida B = Sottocategoria liscia F = Sottocategoria dura C = Sottocategoria pelosa G, H, I, L = Insieme Intersezione D = Sottocategoria rugosa
B C D
E
Kiwi G
A
Pesca
Noce pesco
I L
Noce cocco
F H
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Infine si considera la proprietà “gusto”
caratterizzante e rappresentante
l’insieme o “Categoria Gusto”; si
scelgono i seguenti attributi “insapore”
“dolce”, “amaro”, “aspro”, “succoso”,
“secco”, “compatto”, “cremoso”,
“croccante”. Esempio alla mela si
possono attribuire i seguenti attributi: “dolce”,
“compatta” e “croccante”, quindi essa risulta
appartenere all’insieme intersezione z dei seguenti
sottoinsiemi o “Sottocategoria dolce” B,
“Sottocategoria compatta” F, “Sottocategoria
croccante” R dell’insieme A.
- A = Categoria gusto - K = Sottocategoria secca - T = Sottocategoria croccante
- B = Sottocategoria dolce - L = Sottocategoria compatta - U = Sottocategoria cremosa
- C = Sottocategoria aspra - M = Sottocategoria succosa - V = Sottocategoria croccante
- D = Sottocategoria amara - N = sottocategoria secca - W = Sottocategoria cremosa
- E = Sottocategoria insapore - O = sottocategoria compatta - X = Sottocategoria croccante
- F = Sottocategoria compatta - P = Sottocategoria succosa - Y = Sottocategoria cremosa
A
Mela
F
R
B
G
C
K
T
S U
N
M W
V
D
L
Z
H
J
E
O
I
X
Q
Y
p
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- G = Sottocategoria succosa - Q = Sottocategoria secca - Z = Insieme intersezione
- H = Sottocategoria secca - R = Sottocategoria croccante - J = Sottocategoria succosa
- I = Sottocategoria compatta - S = Sottocategoria cremosa
Attività 3. DAL FRUTTO AL SEME
Basandoci sull’Attività 1, cerchiamo di
scoprire cosa accomuna tutta la varietà di
frutti analizzati. Scopriremo che tutti i frutti
contengono i semi, anche se sono diversi
l’uno dall’altro.
I CONTENUTI
Il Frutto: organo di dispersione delle Angiosperme
I frutti monospermi e plurispermi: classificazione
luogo di realizzazione: aula o laboratorio
tempo di realizzazione: 2 ore
destinatari: classi IV e V
Obiettivi didattici
ABILITÀ COMPETENZE Saper comprendere che il frutto è l’unita di
dispersione delle Angiosperme
Saper riconoscere i frutti monospermi dai frutti plurispermi
Saper osservare attentamente le caratteristiche degli oggetti
Saper classificare gli oggetti
Saper identificare il problema e trovare la soluzione
saper condurre una discussione
Saper interagire nel gruppo
LABORATORIO SCIENTIFICO “ Il Frutto”
CONOSCENZE Sapere che il frutto è l’unità di dispersione delle Angiosperme
Conoscere i frutti monospermi e plurispermi
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MATERIALI E STRUMENTI
Frutti di diverso tipo
Coltello
Album da disegno
Colori
Scheda operative
COME PROCEDERE
PROPOSTA DEL PROBLEMA:
Agli alunni è stata proposta la seguente domanda:
“Che cos’è un frutto?”.
Fig 2. Si utilizzano i frutti dell’attività 1
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FASE SPERIMENTALE
Gli alunni propongono di sezionare i frutti
(fig. 4.)
Tale operazione è preceduta da una
discussione sul tema “ Come tagliare il
frutto”. Si individuano due tipi di taglio,
quello “verticale o longitudinale” e quello
“orizzontale o trasversale”.
Infine si allarga il confronto delle sezioni ai
diversi tipi di frutti e gli alunni, hanno così
modo di osservare le differenze strutturali
esistenti.
Fig. 3 Ipotesi: Frutti disegnati dai bambini prima dell’attività laboratoriale.
Si da allievi la possibilità di esprimere le loro idee e rappresentare con un disegno la struttura interna di un frutto alla lavagna (fig.1b). Si procede confrontando i disegni. “Chi ha disegnato la forma corretta?”. “A quali di questi disegni corrisponde la struttura reale di un frutto?”. L’obiettivo è quello di far comprendere agli alunni il metodo d’indagine per la verifica di tale ipotesi.
IPOTESI DELLA CLASSE:
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OSSERVAZIONI:
Viene individuato nel seme, in diversi tipi di
frutti, l’elemento comune.
Si osserva per ciascun frutto il numero dei
semi e si distinguono i FRUTTI
MONOSPERMI (presenza di un solo seme)
dai FRUTTI PLURISPERMI (presenza di più
di un seme.)
CLASSIFICAZIONE FRUTTI
MONOSPERMI (con solo un seme) E PLURISPERMI (con più semi)
Figura 5. Tipologie di frutto in base alla loro struttura interna
Categoria Frutti
MONOSPERMI PLURISPERMI
Fig. 4: Fase dissezione dei frutti
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a
a) Frutto carnoso categoria BACCA
Ecballium elaterium(cocomero asinino)
b c
c) Frutto carnoso categoria BACCAFRUTTO BALAUSTIO
Punicum granatum (melograno)
b) Frutto carnoso categoria DRUPA
Juglans regia (noce)
d e f
d) Frutto secco categoria FollicoloFRUTTO AGGREGATO
Magnolia grandiflora (magnolia)
e) Frutto carnoso categoria BACCAsottocategoria PEPONIDE
Cucuminis sativus (cetriolo)
f) Frutto carnoso categoria BACCAsottocategoria PEPONIDE
Solanum melongena(melanzana)
Figura 6. Gli alunni disegnano i fr utti dissez ion ati con i part icolari anatomic i e li confrontano con i disegni precedenti (ipotes i, Fig 3).
a b
dc
c ) Fru tto carn oso ca teg oria ba ccaC ytru s sine nsis (a ran cia )
d ) F rutto ca rnoso F ru tto fa lsoMa lu s sylv estri s (m ela )
a) b ) Fr utto carn oso c ate gori a b acc aLy cop ersi con e scul ent um ( pom od oro )
sem e
seme
sem e
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RISULTATO:
Gli alunni dopo aver osservato le
sezioni dei frutti concludono:
“Il frutto può essere considerato un contenitore di semi”.
“Il frutto ha la funzione di proteggere i semi”.
“ Quelli che comunemente consideriamo ortaggi, esempio la melanzana, sono frutti”
“Abbiamo scoperto che anche la capsula del papavero o dell’iris, la melanzana, il cetriolo, la zucchina, il follicolo della magnolia sono dei frutti”
Alcuni frutti come la pesca, la susina, la ciliegia hanno un solo seme,
Mentre altri come l’uva, il pomodoro
hanno più di un seme.
ATTIVITÀ 4. IL FIORE E LE SUE
PARTI
Dall’esperienza maturata nel rapporto
continuativo con varie realtà della
Scuola Primaria si è constatato che nel
piano delle offerte formative poca
attenzione viene dedicata al mondo
naturale, in disaccordo con la naturale
disposizione dei bambini
all’osservazione. Inoltre poco (o nullo)
è lo spazio dedicato all’approccio
laboratoriale delle scienze naturali e
delle scienze nel loro insieme. Nella
realtà scolastica manca al bambino,
quindi, lo stimolo verso l’osservazione
attenta e la conoscenza di soggetti che
caratterizzano l’ambiente in cui vive e
che, pur rientrando spesso nell’attività quotidiana,
sono in realtà sconosciuti. Questo supporta l’idea
che è necessaria la conoscenza di un soggetto prima
di sviluppare una relazione con esso e, di
conseguenza, che andrebbero incrementate le
attività pratiche (di sperimentazione). Sulla base di
questa convinzione è stato elaborato un percorso
didattico laboratoriale, articolato in diverse attività,
che permette ai bambini di analizzare e conoscere il
fiore nella sua struttura e diversità. La scelta del
soggetto è motivata dal fatto che, in una precedente
indagine condotta nella scuola primaria è emerso
che il fiore è uno degli “oggetti” naturali preferiti
dai bambini.
PERCORSO LABORATORIALE
Il percorso laboratoriale sul fiore è articolato in tre
attività, ciascuna della durata di due ore.
N. 1: LE PARTI DEL FIORE
N. 2: Il FIORE CHIMERICO
N. 3: COSTRUISCI E DISEGNA IL FIORE
PREREQUISITI
Conoscere e saper usare il microscopio ottico
Saper usare una lente d’ingrandimento
Saper allestire un preparato da osservare al microscopio ottico
Saper distinguere i viventi dai non viventi
Conoscere il concetto di insieme
CONTENUTI
Le parti del fiore
Le caratteristiche dei fiori: somiglianze e differenze
La biodiversità dei componenti floreali
La simmetria del fiore
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L’organografia e la disposizione spaziale degli elementi floreali
Luogo di realizzazione laboratorio
scientifico o aula
Tempo di realizzazione 6 ore
Destinatari: classi IV e V
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MATERIALI E STRUMENTI
Per la dissezione del fiore e per la
costruzione del fiore chimerico occorre:
Fiore del genere Lilium
Quattro diverse specie di fiori a simmetria raggiata (esempio iris, rosa, ranuncolo)
Microscopio ottico e stereomicroscopio
Pinzette, bisturi, vetrini copri e portaoggetti
Lavagna e gesso
Gli insiemi: i diagramma di Eulero-Venn
Schede operative
Per la costruzione del fiore occorre:
Cartoncini colorati con le stampe dei componenti del fiore da costruire
Scovolini
Plastilina
Cannucce
Per la rappresentazione dello schema del fiore
occorre:
Matite colorate
cartoncino
N. 1: LE PARTI DEL FIORE
L’attività n. 1 si basa sull’osservazione, la
manipolazione e la dissezione di un fiore di Lilium
(fig. 1) appartenente ai fiori ermafroditi (o
incompleti, perfetti, fiori che possiedono sia stami
che carpelli, anche se privi di sepali, o di petali, o di
entrambi). Nel fiore preso in esame è presente il
perigonio (solo corolla formata dai tepali) al posto
del perianzio (corolla formata dai petali e il calice
costituito dai sepali) Durante la fase di dissezione,
gli allievi attraverso una scheda guida, (A)
identificano le parti fiorali.
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Il fiore disegnato dai bambini prima
dell’attività laboratoriale rappresenta la
nostra ipotesi.
FASE SPERIMENTALE
Eseguire la dissezione del fiore di lilium
partendo dal verticillo più esterno, la
corolla costituita dai tepali;
Far osservare allo stereomicroscopio i
tepali, focalizzando l’attenzione sui
pigmenti colorati e su eventuali disegni presenti su
di essi.
Riflettere sulla funzione vessillare della corolla.
Far notare agli alunni, osservando il fiore della rosa
(o qualunque fiore provvisto di calice), l’assenza
del calice nel lilium
Procedere dissezionando gli altri verticilli: stami e pistillo
Osservare le parti dello stame: stelo e antera
Con una pinzetta prelevare il polline dall’antera e
allestire un preparato da osservare al microscopio
ottico, utilizzando vetrino portaoggetti, copri
oggetto, acqua, pipetta Pasteur
Osservare le parti del pistillo: stimma o stigma, stilo, ovario
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Con il bisturi sezionare longitudinalmente l’ovario ed osservarlo allo stereo microscopio. Si noterà la presenza degli ovuli
Riflettere sulle funzioni di ogni parte del fiore
Fig. 1a: Fase della dissezione del fiore di Lilium
RISULTATO
“Il fiore è costituito da foglioline modificate”
Il pistillo costituisce la parte femminile del fiore;
Gli stami costituiscono la parte maschile del fiore.
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Pistillo e stame hanno funzione riproduttiva
Calice e corolla sono parti sterili e hanno funzione vessillare, ossia di attrarre gli impollinatori specifici, che riconoscono una
determinata morfologia fiorale e visitano il fiore ricercando una “ricompensa” come nettare e/o polline ( favorendo così l’impollinazione incrociata tra fiori della stessa specie .)
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FORMULA FIORALE VERIFICHE
Riassumi le informazioni che hai ottenuto finora, scrivendo la formula fiorale come di seguito
spiegato:
N° sepali… (K)…………………………
N° petali… (C)……………………….
N° stami (A)………………………
N° pistilli (G)…………………….
FORMULA FIORALE
DI:………………………………………………………………
K………. C…………. A………… G……………
Scrivi il nome della famiglia di appartenenza del fiore esaminato, dopo averlo scoperto con la
chiave analitica
………………………………………………………………………………………………………
N. 2: IL FIORE CHIMERICO
L’attività n. 2 si basa sull’osservazione, la
manipolazione e la dissezione di un
assortimento di fiori a simmetria radiale (es
anemone, pero, pesco, rosa, lilium, ecc.).
Sulla base delle somiglianze e delle differenze
strutturali i bambini identificano i componenti
omologhi di ogni singolo fiore che sono stati
contestualmente raggruppati in quattro
insiemi:
K) sepali, C) petali, A) stami, G) pistilli.
Indispensabile in questa fase è il contributo
degli insegnanti dell’ambito matematico, che
possono integrare l’attività con i principi
elementari della teoria degli insiemi.
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FASE SPERIMENTALE
A questo punto vengono realizzati dei
“fiori chimerici” scegliendo i diversi
componenti secondo la formula
5(K):5(C):5(A):1(G), in cui il primo
numero indica la quantità da utilizzare e
il numero tra parentesi indica l’insieme
da cui prelevarli.
Ad esempio, ”5(K)” significa che
dall’insieme “sepali” vengono prelevati
5 elementi non necessariamente
omogenei, cioè appartenuti a fiori
diversi.
Analogamente accade per gli altri tre insiemi. Le
parti fiorali vengono quindi posizionate su un
“ricettacolo fiorale” disegnato su un foglio di carta,
seguendo l’ordine di disposizione: sepali
petali
stami
pistillo
(Fig. 2b).
Durante questa attività ai bambini non vengono
mostrate immagini o schemi di fiori, questo per
consentire loro di meglio definire “l’immagine
mentale” elaborata nell’attività precedente.
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Vengono però incoraggiati alla
collaborazione e al confronto delle loro
diverse interpretazioni.
Anche in questa fase i bambini sono
sollecitati all’osservazione delle
particolarità dei “fiori chimerici”
realizzati, con riferimento, per esempio,
alla simmetria e alla disposizione dei
diversi componenti sul ricettacolo.
FASE SPERIMENTALE
N. 3: COSTRUISCI IL FIORE
La realizzazione del modello fiorale
tridimensionale utilizzando materiali e
oggetti di facile reperibilità è l’obiettivo
della fase n. 3. Nella Fig. 3a è riportato
un esempio di modello realizzato.
In questa fase agli allievi viene chiesto
di identificare gli oggetti che per forma
e colore meglio identificano i vari
componenti del fiore (stelo, ricettacolo
ecc.) e di assemblarli secondo la formula, l’ordine e
la simmetria stabiliti nelle precedenti attività. Si
procede quindi all’inserzione dei componenti
partendo dal più interno (pistillo) e aggiungendo via
via i componenti più esterni. Il modello così
realizzato viene confrontato con immagini di fiori
lasciando agli allievi il compito di stabilire il grado
di fedeltà della riproduzione. L’utilizzo di modelli
in questa fase dell’attività, può senza dubbio
favorire la comprensione dell’organografia e della
disposizione spaziale degli elementi floreali e dei
rapporti fra loro esistenti.
L’ultima fase ha riguardato la realizzazione del
disegno schematico della struttura fiorale in sezione
longitudinale. La maggiore difficoltà per gli allievi
in questo tipo di riproduzione è la trasformazione
dell’oggetto tridimensionale a oggetto (schema)
bidimensionale. Per superare questa difficoltà è
necessario, nella maggioranza dei casi, suggerire di
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“sezionare” il fiore in modo tale che
nella sezione non manchi nessun
componente. Da una serie di sezioni
così ottenute gli allievi individuano le
sezioni complete, quelle cioè in cui
sono presenti tutti i componenti floreali;
queste sezioni sono quindi il soggetto
per la realizzazione degli schemi (Fig.
4a). Operativamente lo schema è ottenuto
individuando l’asse di simmetria della sezione (longitudinale in questo caso) che i bambini riportano sul foglio come linea verticale,
disegnando il ricettacolo fiorale, riportato sul foglio perpendicolarmente alla linea precedente,
aggiungendo ciascun componente rispetto al sistema di riferimento costruito.
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ATTIVITÀ 4. ALLA SCOPERTA
DELLA FOTOSINTESI
CLOROFILLIANA
Da più di 4 miliardi di anni il Sole
inonda la Terra e tutto lo Spazio
circostante con un’enorme quantità di
energia emessa, in parte, sotto forma di
luce. Noi, però, siamo talmente abituati
alla luce del Sole che spesso ci
dimentichiamo che essa è di
fondamentale importanza per quasi tutte
le forme di vita presenti sulla Terra che,
altrimenti, non potrebbero sopravvivere.
Ciò che lega la vita terrestre al Sole è il
fenomeno che prende il nome di
“Fotosintesi Clorofilliana” tanto
importante da essere necessariamente
proposto già nella Scuola Primaria; la
nascita della Fotosintesi è, infatti,
antichissima e anzi, secondo alcuni
ricercatori, rappresenterebbe proprio la
nascita della vita.
Nelle pagine che seguono cercheremo
di capire meglio, anche tramite l’ausilio
di semplici esperimenti da svolgere in
aula, di che cosa si tratta.
Luogo di realizzazione: aula o
laboratorio
Tempo di realizzazione: 10 ore.
Destinatari: Classe: IV e V
OBIETTIVI
Gli alunni al termine dell’U.D. devono essere in
grado di usare un linguaggio appropriato necessario
per descrivere, argomentare e dare adeguata forma
al pensiero scientifico, riorganizzare le conoscenze
per generalizzarne gli aspetti che caratterizzano la
Fotosintesi, raccogliere, selezionare e ordinare le
informazioni date, capire che la luce è un elemento
indispensabile alla vita delle piante, comprendere
che la clorofilla lavora solo dove arriva la luce del
sole.
Inoltre avranno la capacità e le competenze per
scoprire le condizioni in cui si verifica la
Fotosintesi.
Essa avviene nelle foglie dove c’è la clorofilla.
grazie alla fotosintesi la pianta libera ossigeno che
viene immesso nell’aria.
Infine potrà verificare le ipotesi formulate
attraverso l’esecuzione di esperimenti e/o
l’osservazione diretta dell’ambiente. La
documentazione sul quaderno dei percorsi svolti
consentirà di rappresentare le esperienze vissute ed
osservate attraverso l’uso di vari strumenti e
linguaggi: riproduzioni grafiche, tabelle,
descrizioni.
PRE-REQUISITI DELL’ALUNNO
Comprendere il linguaggio specifico e saper esporre oralmente e per iscritto.
Saper elaborare un testo descrittivo.
Conoscere gli Stati di Aggregazione dell’Acqua.
Conoscere le Proprietà della Materia.
Conoscere l’assorbimento della luce da parte dei corpi.
Conoscere la composizione dell’aria.
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Conoscere l’esistenza di relazioni di causa ed effetto.
Riconoscere le varie parti di una pianta.
PRE-REQUISITI DELL’INSEGNANTE
L’insegnante deve possedere le seguenti
conoscenze:
Anatomia della foglia (struttura e funzioni).
Funzionalità della foglia: processo fotosintetico, respirazione e traspirazione.
Fasi della Fotosintesi.
Nozioni di Fisica come ad esempio i comportamenti dei corpi nell’acqua e, quindi, il ”Principio di Archimede”.
Il processo di “Fotosintesi
Clorofilliana” avviene nelle foglie delle
piante. La loro forma ampia e
schiacciata consente loro di esporre alla
luce la massima superficie con un peso
molto ridotto. Una foglia è composta da
una sottile lamina, da un picciolo
collegati da una venatura centrale e, nel
tipo più comune, da due facce diverse: la faccia
superiore (esposta direttamente alla luce del sole) e
quella inferiore (che ha la funzione di regolare gli
scambi gassosi con l'ambiente). La superficie
esterna della foglia è costituita dall'epidermide, un
tessuto composto di piccole cellule strettamente
legate le une alle altre senza spazi (come le
mattonelle di un pavimento), al di sopra delle quali
si deposita la "cuticola“, impermeabile e protettiva.
L'epidermide inferiore, rispetto a quello dell'altra
faccia, presenta molti più peli e, soprattutto, un
numero maggiore di “stomi”. In effetti, gli stomi
sono le “bocche” attraverso le quali la pianta può
“respirare”.
Immediatamente al di sotto dell'epidermide
inferiore, si trova il più efficiente tessuto
fotosintetico della foglia. È detto "mesofillo a
palizzata", per la particolare disposizione delle
cellule che lo compongono, di forma allungata e
disposte fittamente le une accanto alle altre
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(appunto come gli elementi di una
palizzata) per sfruttare al meglio la luce
che arriva fino a loro.
Il mesofillo fogliare è poi rafforzato da
nervature composte, a sua volta, da
cellule, che hanno la funzione di portare
acqua e sali minerali alla foglia e
allontanare le sostanze alimentari
prodotte, come vedremo, dalla
fotosintesi.
Le piante sono considerate gli unici
organismi in grado di produrre da sole il
nutrimento necessario per crescere e
vivere attraverso la fotosintesi; il
termine è composto da "foto" (luce) e da
"sintesi", ad indicare che la produzione
di queste sostanze alimentari può aver
luogo inutilizzato, viene liberato
nell’atmosfera soltanto in presenza di
luce.
Le piante riescono a realizzare tutto ciò
catturando l’energia emanata dal sole
tramite le loro foglie. Il meccanismo di
assorbimento si realizza, poiché, nelle
foglie, esiste una sostanza capace di
assorbire le radiazioni solari: un
pigmento verde che prende il nome di
Clorofilla. Quest’ultima è concentrata
in quei corpiccioli definiti cloroplasti,
localizzati nelle parti verdi della pianta
e, in particolare, nelle foglie. Essi
svolgono la funzione di produttori di
clorofilla se ricevono la necessaria quantità di luce;
infatti, non a caso, una piantina posta in un
ambiente poco illuminato tende a perdere il proprio
colore verde.
In effetti, la fotosintesi è un processo che, per
reazione di due sostanze quali l'acqua (liquido) e
l'anidride carbonica (gas), da luogo ad un gas,
l'ossigeno, e ad un prodotto abbastanza complesso,
il glucosio (zucchero).
La luce è l’agente capace di attivare tale processo.
La luce viene assorbita dalla clorofilla, provocando
alcuni spostamenti di particelle al suo interno.
L’energia che si accumula viene utilizzata per far
avvenire le reazioni.
Quando si rompono le particelle d’acqua liberano
l’ossigeno nell’atmosfera. L’idrogeno, invece,
combinandosi con l’anidride carbonica, produce lo
zucchero.
Il meccanismo attraverso il quale si compie la
fotosintesi può essere diviso in due fasi distinte: la
fase luminosa e la fase oscura.
Fase luminosa (richiede necessariamente la
presenza di luce): come si sa nelle foglie ritroviamo
i cloroplasti dove, all’interno di questi, è presente la
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51 Acqua
Energia luminosa
Ossigeno
Anidride Carbonica
Zucchero
clorofilla ed altri pigmenti minori; sono questi
pigmenti che sono in grado di catturare la
luce, utilizzando l’acqua assorbita dalle radici,
trasformarle in energia.
È in questo momento che l’ossigeno
proveniente dall’acqua, che rimane
inutilizzato, viene liberato come un vero e
proprio prodotto di scarto.
Fase oscura: finita la necessità della luce nel
processo di fotosintesi, la trasformazione
continua in questa successiva fase dove
l’anidride carbonica, immagazzinata nel
processo iniziale, viene finalmente
trasformata in zucchero.
Come si può osservare, quindi, l’ossigeno
dell’aria può essere considerato un importante
sottoprodotto della fotosintesi e questo ci fa
pensare a quanto siano importanti le piante
per l’equilibrio vitale del nostro pianeta e a
quanto sia disastroso il disboscamento di
sempre più vasti territori.
La fotosintesi, infatti, purifica l’aria,
sottraendo l’anidride carbonica dannosa a tutti
i viventi, e la arricchisce di ossigeno.
In sostanza possiamo riassumere l’intero
processo fotosintetico proponendo in aula i le
figure riportate nelle pagine che seguono.
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52
.
LUCE ACQUA
OSSIGENO ZUCCHERI (ENERGIA)
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ESPERIENZE
Esperimento n°1
Materiale: una piantina in vasetto; una
grande scatola di cartone.
Mettiamo la nostra piantina dentro una
grande scatola di cartone, ma sul lato
del quale abbiamo creato un foro
rotondo di circa 3-4 cm di diametro.
Poniamo la scatola accanto alla finestra
in modo che la luce penetri direttamente
nella scatola attraverso il foro.
Dopo alcuni giorni osserviamo il
comportamento della piantina e
constatiamo che la piantina ha piegato il
fusto in direzione del foro.
Cambiamo ora la posizione della
scatola. Dopo qualche giorno
osserviamo che la piantina ha cambiato
ancora direzione. Gli alunni si
renderanno così conto che la pianta è
sensibile alla luce e può orientare le sue
parti verso di essa.
ESPERIMENTO N°2
Materiale: un contenitore di vetro, un
barattolo di vetro grande trasparente, 2
tappi di plastica, un tubo di gomma, una
pianta, del nastro da pacchi, acqua,
panno nero.
Versiamo dell’acqua nel primo
contenitore.
Fig.1
Chiudiamolo poi con un tappo forato nel quale facciamo
passare il tubo e sigilliamo (Fig. 3)
FIG 3
Mettiamo la pianta nel barattolo di vetro. Chiudiamolo con il
tappo e poi lo foriamo. Fig. 4
Fig. 2
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Infiliamo l’altra estremità del tubo nel barattolo di vetro contenente la pianta. Sigilliamo poi tutto
con il nastro da pacchi. Vediamo che con la luce non succede niente: l’acqua è tutta limpida (Fig.
4.)
Fig. 4 Copriamo poi il barattolo di
vetro contenente la pianta con il
panno nero. Dopo qualche ora
l’acqua che si trova nel primo
contenitore diventerà torbida. Con
la luce, infatti, la pianta libera
ossigeno e lascia l’acqua limpida.
Fig. 5. Al buio la
pianta libera
anidride carbonica,
rendendo così
l’acqua torbida
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55
ESPERIMENTO N°3
Materiale: pianta a foglie larghe; carta
stagnola; fermagli; alcool; tintura di iodio;
acqua bollente.
Teniamo una pianta a foglie larghe al buio per
almeno una giornata. Esponiamola poi al sole
durante una intera mattinata, coprendo una
parte di una foglia con della carta stagnola
fissata con dei fermagli.
Al pomeriggio stacchiamo la foglia coperta e
laviamo la stagnola: immergiamo la foglia in
acqua bollente per alcuni minuti; mettiamola
poi in alcool sino a che non si è decolorata
(l’alcool estrae la clorofilla, ma perché
l’estrazione sia totale occorrono anche più
giorni); laviamola ancora molto bene con
acqua calda e immergiamola nella tintura di
iodio diluita con alcool. Si osserverà che,
mentre la parte della foglia non ricoperta dalla
stagnola si è colorata di bluastro, quella
ricoperta è rimasta incolore.
Perché si è verificato questo strano
fenomeno?
Diciamo agli alunni che la tintura di iodio
colora di blu l’amido, per cui nella parte
ricoperta l’amido evidentemente non si è
formato e che l’amido, il quale poi si
trasforma in zuccheri, costituisce l’alimento
della pianta. Una parte di questa sostanza si
deposita negli organi di riserva della pianta,
come i semi, i tuberi, ecc… in attesa di essere
utilizzata al momento opportuno.
Infine per spiegare ai bambini cosa è l’amido
è bene ancora una volta partire da cose, o
meglio da alimenti a loro più familiari come
la pasta, il pane, la frutta e quindi fare
riferimento alla nutrizione.
L’insegnante potrebbe “legare” gli alimenti
alle piante semplicemente facendo vedere,
attraverso esperimenti, che l’amido che si
trova ad esempio nella banana è uguale a
quello che si trova nelle piante.
Come evidenziare la presenza di amido se non
con un esperimento?
Materiale occorrente ed esperimento:
Farina, alimenti vari, amido, tintura di iodio,
etanolo.
Per prima cosa
prendere dell’amido
puro (che può essere
facilmente reperibile
nelle pasticcerie) e
versare su di esso
delle gocce di iodio
evidenziando che a contatto con questa
sostanza l’amido diventa di colore nero.
A questo punto facciamo lo stesso
procedimento su di una foglia che però verrà
prima decolorata in etanolo per evidenziarne
meglio il cambiamento di colore a contatto
con la tintura di iodio.
Una volta decolorata la foglia verrà messa in
acqua bollente per ammorbidire i tessuti e
rendere l’operazione più semplice.
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Preparato il tutto prendere la foglia decolorata e mettere su di essa la tintura di iodio assistendo alla
sua colorazione nera che indica come visto nell’esperimento precedente la presenza di amido.
A questo punto bisogna però far verificare ai bambini che la produzione dell’amido dipende dalla
luce del sole, e per fare questo bisogna prendere un ramo di una pianta con più foglie coprendone
alcune parti, di alcune di esse, con della carta stagnola per non far passare la luce. Dopo circa 24/32
ore prendere una foglia lasciata libera e una di cui alcune parti erano state coperte con la stagnola e
versare su di esse alcune gocce di tintura di iodio.
Noteremo che quelle lasciate libere si coloreranno di un nero intenso (come l’amido puro) mentre le
altre avranno assunto un colore nero sbiadito, questo indicherà che in una vi è più amido rispetto
all’altra.
Si può inoltre evidenziare maggiormente che l’amido che viene prodotto necessita della luce
mettendo sia foglie libere che coperte sotto una lampada per circa sei ore notando ancora una volta,
che quelle libere a contatto con la tintura di iodio assumono una colorazione nera più intensa
rispetto alla altre che assumeranno una colorazione nera-chiara
.
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Esperimento n. 4: test per la ricerca
dell’amido nelle foglie. Le foglie
illuminate sono più scure perché
contengono amido, quelle al buio sono
più chiare perché non contengono
amido. La presenza dell’amido indica
che quelle foglie hanno svolto l’attività
fotosintetica producendo glucosio che si
è poi trasformato in amido.
Le foglie al buio non contengono amido
in quanto senza luce non hanno potuto
effettuare la fotosintesi e quindi non
hanno prodotto glucosio.
L’amido è una materia bianca contenuta
nelle cellule dei vegetali sotto forma di
granelli.
Parte delle sostanze organiche viene accumulata e
conservata quale provvista alimentare in diverse
parti della pianta. Queste riserve sono
immagazzinate particolarmente nei semi e nei tuberi
che sono, infatti, assai ricchi di amido, di zucchero,
di proteine e talora anche di grassi; esse
costituiscono il primo nutrimento delle giovani
pianticelle che da essi germoglieranno e che solo
più tardi saranno capaci di nutrirsi da sole.
Come si è già detto, esso ha la particolarità di
colorarsi intensamente di azzurro con la tintura di
iodio. Versando una goccia di questo liquido su una
fettina di patata o di un fagiolo ecc vedremo
comparire immediatamente la colorazione azzurra
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che rivela la presenza dell’amido. Lo
iodio è un elemento chimico di colore
nero-violetto che si ricava dall’acqua di
mare e dalle alghe marine e che è
utilizzato in soluzione nell’alcool quale
potente disinfettante.
Gli alimenti vegetali contengono amido
che deriva dalla fotosintesi, Nella nostra
alimentazione rientrano una grande
varietà di prodotti vegetali che ne sono
ricchissimi. Ciò ci suggerisce che
l’amido è la prima molecola alimentare
che si produce nella catena alimentare
da cui derivano poi tutte le altre. Quindi
le piante si dicono produttori primari di
sostanze alimentari.
Tutti gli alimenti elaborati di origine
vegetale contengono amido perché
derivano direttamente o indirettamente
da tessuti di piante che ne contengono
grandi quantità (es. semi, tuberi ecc.).
Le farine, utilizzate per la produzione di
pane e affini hanno una concentrazione
elevata di amido.
Gli alimenti di origine animale (carne,
pesce, latte uova ecc.) non contengono
amido perché gli animali accumulano il
glucosio sotto forma di glicogeno. Quindi nella
catena alimentare il glucosio prodotto dalla pianta
passa da un organismo all’altro e si trasforma in
altre molecole fornendo la sua energia.
Materiale: foglie; vasetti; alcool; strisce di carta da
filtro.
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Per vedere tutti i colori (pigmenti)
contenuti nelle foglie, raccogliamo
foglie fresche di diverse piante.
Sminuzziamole e mettiamole in diversi
vasetti con un po’ di alcool da liquori.
Dopo poco noteremo che l’alcool si è
colorato.
Fissiamo poi strisce di carta da filtro in
modo che peschino all’interno di ogni
vasetto. Dopo un’ora togliamo le strisce
e appena asciugate noteremo che i
pigmenti si saranno disposti a diverse
altezze. Chiederemo a questo punto ai
nostri alunni se è sempre presente una
banda verde.
POSSIBILI APPROFONDIMENTI
La foglia, le radici, il fusto;
La traspirazione;
La respirazione;
Il disboscamento;
La comparsa dei primi microrganismi
sul pianeta Terra.
METODOLOGIE
Lezione partecipativa e stimolata dallo svolgimento
di appositi esperimenti;
Lezione interattiva durante la quale i momenti
dell’esposizione si alternano ai momenti di dialogo
e di confronto, stimolando in tal modo i singoli
alunni ed il gruppo;
Chiedere ai bambini di ripetere con parole proprie;
Spingere i bambini a ricercare tra libri e riviste
qualche articolo o qualche immagine che riguardi la
lezione.
TECNICHE DIDATTICHE
Lezione frontale;
Lavagna luminosa;
Brain-storming in funzione del commento dei lucidi
proiettati.
RISORSE
Tutto il materiale che viene utilizzato per lo
svolgimento dell’Unità Didattica risulta essere di
facile reperibilità, semplice, non pericoloso.
Ritroviamo quindi: lavagna luminosa, lucidi, libri,
riviste, una scatola di cartone, piantine, alcool,
vasetti, pianta a foglie larghe, carta stagnola,
fermagli, tintura di iodio, acqua bollente, strisce di
carta da filtro, nastro da pacchi, contenitore di vetro,
barattolo trasparente, tubo di gomma, panno nero.
VERIFICA
INSERISCI LE PAROLE MANCANTI
La ……………è un processo chimico che consente
alle……. di procurarsi il loro ……………… Il
processo fotosintetico avviene precisamente
nelle…………, grazie alla presenza di alcuni
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organuli chiamati………….. e
caratterizzati da un colore…………..
L’agente capace di innescare tale
processo è la ……….; infatti senza di
essa le piante non potrebbero vivere. La
fotosintesi è poi caratterizzata da due
………… che vengono definite
rispettivamente fase ……………… e
fase…………… La prima richiede
necessariamente la presenza di
……………., la seconda invece può
avvenire anche in sua assenza.
Metti la parola giusta al posto giusto:
Cloroplasti, luce, oscura, fotosintesi,
luce, piante, foglie, luminosa,
nutrimento, verde, fasi.
Sottolinea la risposta esatta:
1) La mamma di Alberto ha in casa due
piante ornamentali, una la tiene
costantemente accanto alla finestra,
l’altra in un angolo della stanza. Quale
delle due, secondo te, cresce meglio?
Quella posta accanto alla finestra perché ha più aria;
Quella posta nell’angolo della stanza perché soffre meno il freddo;
Quella posta accanto alla finestra perché ha più luce.
2) La signora Rossi sta per partire in
vacanza: lascia in casa le sue piante per
un periodo lungo senza curarle. Al suo
ritorno come le troverà?
Saranno più belle e più verdi di prima;
Saranno appassite;
Non risentiranno dell’assenza della signora.
Spiega con parole tue il perché della tua scelta.
3) La nonna di Rebecca decide di regalare alla sua
nipotina una piantina e le raccomanda di
prendersene cura. Ma la bambina la trascura
lasciandola spesso lontana dalla luce e privandola di
acqua. Che succederà alla pianta?
Continuerà a crescere normalmente;
Risentirà della mancanza di luce ed acqua e appassirà;
Anche da sola riuscirà a crearsi le condizioni giuste per vivere.
4) La parola “Fotosintesi” cosa significa?
trasformare con la luce;
fare una sintesi;
raggruppare delle foto.
5) Cosa assorbono le piante dal terreno?
zuccheri;
terra;
acqua e sali minerali.
6) Cosa prendono le piante dall’aria?
ossigeno;
anidride carbonica;
vapore acqueo.
7) Cosa ricevono le piante dalla luce del sole?
una bella abbronzatura;
clorofilla;
energia.
8) Dove si trova la clorofilla?
nel tronco;
nelle foglie;
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nelle radici.
9) Qual è il principale nutrimento delle
piante?
il glucosio;
i sali minerali;
l’ossigeno.
10) Nelle piante l’aria passa attraverso:
le nervature;
gli stomi;
il picciolo.
11) Cosa rende respirabile l’aria?
l’ossigeno;
gli scarichi delle auto;
il potassio.
12) Quale di queste cose non serve alla
Fotosintesi?
la luce del sole;
l’ossigeno;
gli zuccheri.
ATTIVITÀ 6. LA FERMENTAZIONE
Con questa attività si continuano i
processi di trasformazione della
materia. La fermentazione è un processo
biochimico complesso che partendo da
zuccheri come il glucosio produce
alcool etilico, anidride carbonica e altre
sostanze. Benché noi ci sentiamo
distanti dalla spiegazione scientifica del
processo non lo siamo altrettanto
rispetto ai suoi impieghi che l’uomo ha
imparato a sfruttare in semplici e
straordinari processi biotecnologici casalinghi. Di
seguito alcuni esempi di impiego della
fermentazione
Il Pane
Nella panificazione il lievito (del genere
Saccharomyces) fermenta gli zuccheri che si
staccano dall'amido durante la fase di impasto e di
riposo della massa in lavorazione. I prodotti della
fermentazione alcolica (alcol etilico ed anidride
carbonica) passano in fase gassosa formando le
caratteristiche bolle durante la lievitazione e la
cottura.
IL VINO
Il vino viene prodotto a partire da soluzioni
zuccherine ottenute dallo schiacciamento del
grappolo d'uva lasciate a fermentare con i lieviti
unicellulari del genere Saccharomyces presenti sulla
buccia dell'acino o provenienti da colture
selezionate.
A seconda delle condizioni di fermentazione, si
differenziano le qualità organolettiche (colore,
sapori, aromi ecc) del vino caratteristiche che si
arricchiscono ulteriormente durante le fasi
successive di lavorazione.
Il lievito in condizioni anaerobiche trasforma 100
grammi di zucchero in 51,1 di alcool etilico con un
rendimento in volume del 65.5%. Questo è un
rendimento ideale, nella realtà una parte dello
zucchero disponibile è utilizzata dal lievito per
moltiplicarsi, inoltre durante la fermentazione i
lieviti del mosto producono, oltre l'alcol e l'anidride
carbonica, anche prodotti secondari (glicerina, acido
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acetico, acido succinico) che
contribuiscono a caratterizzare l'aroma
del prodotto finito. Il rendimento reale
quindi si approssima al 60% in volume.
LA BIRRA
La birra si ottiene per l'azione di lieviti
della specie Saccharomyces cerevisiae
su di un mosto contenente malto di orzo
e quantità variabili di altri cereali grano,
riso o mais. La lavorazione è tale da
conservare nel prodotto anche l'anidride
carbonica.
Sottoprodotti dei birrifici sono il "lievito
di birra" venduto disidratato o
compresso i panetti e l'anidride
carbonica.
I FORMAGGI
Nella maturazione di alcuni formaggi
(riconoscibili dalle "occhiature") gli
zuccheri residui vengono degradati con
produzione di anidride carbonica.
Altri formaggi maturano utilizzando vie
metaboliche diverse dalla
fermentazione.
Lo Yogurt È il risultato della
fermentazione lattica operata da ceppi
selezionati di lattobacilli sul latte, intero
o trattato.
L'abbassamento del pH dovuto
all'accumulo dell'acido lattico protegge
il latte da altre alterazioni che lo
renderebbero inadatto all'alimentazione
e ne permettono quindi la conservazione a
temperatura ambiente.
L'abbassamento del pH dovuto all'accumulo
dell'acido lattico determina la denaturazione della
caseina che coagula conferendo al prodotto la
caratteristica consistenza.
Nella produzione industriale, spesso si usa
addizionare lo yogurt di zucchero o di marmellate
per migliorare la godibilità.
L’attività didattica proposta parte dalla scoperta che
i lieviti sono microorganismi responsabili della
produzione di anidride carbonica che fa “gonfiare”
la pasta del pane.
Di seguito la descrizione dei materiali e dei metodi
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DESCRIZIONE DELLE FASI
Individuare: il gruppo che costituisce il
controllo positivo (lievito + zucchero) e il
controllo negativo (lievito + acqua), le
variabili (lievito + farina) Preparare le
soluzioni a, b e c: in un becker graduato un
cubetto di lievito di birra da 25 gr aggiungere
300 ml di acqua tiepida e mescolare
gradatamente. Attraverso un imbuto versare le
soluzioni, preparata precedentemente, in tre
bottiglie di plastica da 500 ml e attaccare il
palloncino al collo della bottiglia, fissandolo
con del nastro adesivo. Osservare ciò che
avviene nelle diverse bottiglie (vedi foto) e
prendere nota.
Ore 14:30 Ore 15:00
Ore 15:30 Ore 16:00
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DISCUSSIONE RISULTATI:
Nell’esperimento A (soluzione contenente lievito + zucchero + acqua) il lievito si sviluppa più
velocemente, rilasciando una maggiore concentrazione di anidride carbonica, sotto forma di
bollicine, rispetto a quanto accade nell’esperimento B (soluzione contenente lievito + farina +
acqua), perché nel primo caso ad essere ossidato è uno zucchero semplice (saccarosio, un
disaccaride), nel secondo caso invece è l’amido uno zucchero complesso (polisaccaride).
Nell’esperimento C (soluzione contenente lievito + acqua) il lievito non si sviluppa, perché non
sono presenti zuccheri, di cui si può nutrire e quindi non può effettuare il processo di fermentazione.
Le cellule del lievito di birra (Saccaromyces cerevisiae) Schema della cellula eucariote
I lieviti che appartengono al genere
Saccaromyces costituiscono un gruppo
di funghi formati da un unico tipo di
cellula eucariote; la forma va dall’ovale
all’ellittico. Le dimensioni sono di 5 –
10 micrometri.
Osserviamo cellule sferoidali incolori
singole e in piccoli aggregati, le loro
dimensioni di pochi micron non
consentono l’osservazione
dell’organizzazione cellulare, è difficile
distinguere anche i nuclei.
Sono state catalogate più di mille specie di lieviti,
alcune specie sono comunemente usate per lievitare
il pane e far fermentare le bevande alcoliche. La
maggior parte dei lieviti appartengono al gruppo
degli Ascomiceti. Un piccolo numero di lieviti,
come la Candida albicans, possono causare
infezioni nell'uomo, mentre un altro lievito
Malassetia pachidermatis è causa di dermatite e
otite nel cane e nel gatto.
Il lievito più comunemente usato è
Saccharomyces cerevisiae, che è stato
"addomesticato" migliaia di anni fa per la
produzione di vino, pane e birra.
I LIEVITI ANEROBI FACOLTATIVI
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I lieviti sono anaerobi facoltativi, cioè
possono vivere sia in presenza di
ossigeno sia in assenza di ossigeno:
I lieviti sono dotati di attività
Respiratoria e si moltiplicano in
presenza di ossigeno utilizzando molti
composti del carbonio; essi sono dotati
anche di capacità fermentativa che si
manifesta in carenza di ossigeno solo
nei confronti del glucosio.
I lieviti sono: gli “ agenti della
fermentazione alcoolica” dei carboidrati
con formazione di alcool etilico e
anidride carbonica, trovano impiego
nella produzione del vino e della birra,
nella lievitazione del pane e dei prodotti
da forno.
LA FERMENTAZIONE.
APPROFONDIMENTI PER IL DOCENTE
La fermentazione è un processo che
consente di ricavare energia per via
anaerobica a partire da composti
organici. Le cellule di lievito, per
esempio, fanno fermentare gli zuccheri
presenti nella birra, nel vino e nel pane
convertendo il glucosio in biossido di
carbonio ed etanolo (alcol etilico)
C6H12O6 → 2 C2H5OH + 2 CO2
I lieviti e tutti i tipi di cellule sfruttano
l’energia immagazzinata negli zuccheri
scindendo le molecole di glucosio in un
processo metabolico chiamato
Glicolisiche avviene nel citosol della cellula.
In PRESENZA DI OSSIGENO molte cellule
possono ricavare un’ulteriore quantità di energia
attraverso la via metabolica della respirazione
cellulare.
In ASSENZA DI OSSIGENO, alcuni tipi di
cellule possono realizzare il processo della
fermentazione, che non comporta un ulteriore
guadagno di energia per la cellula, ma permette di
riciclare un trasportatore di energia indispensabile
allo svolgimento della glicolisi.
LA PANIFICAZIONE
Il lievito Saccaromyces cerevisiae è un fungo
unicellulare, si sviluppa su uno strato idoneo, nella
panificazione per esempio, in un impasto di acqua e
farina, nutrendosi di amidi. Durante il suo sviluppo
l’amido contenuto nella farina viene scisso in
zuccheri più semplici producendo anidride
carbonica (CO2) e alcol etilico (CH3CH2OH) ed
energia sotto forma di ATP.
Tale processo ossidativo anaerobico prende il nome
di fermentazione, dal latino fervere (bollire).
Inizialmente, i lieviti messi nel substrato di coltura (
l’impasto del pane) svolgono una respirazione
aerobiotica cioè utilizzando l’ossigeno nell’aria,
trasformano gli zuccheri in acqua e anidride
carbonica. Poi all’interno della massa in
fermentazione per mancanza di ossigeno passano
alla fermentazione sfruttando l’energia degli
zuccheri (ossidandoli anaerobicamente) in alcool
etilico e anidride carbonica.
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Ossidazione:
Schema dei diversi tipi di fermentazione
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ATTIVITÀ 7. ESTRAIAMO IL DNA
Nell’Era delle manipolazioni genetiche (vedi
OGM), alcune terminologie sono entrate nella
quotidianità. L’approccio didattico
all’insegnamento della genetica è possibile in
ogni grado di istruzione. Esperienze semplici
e immediate offrono la possibilità di
intraprendere lo studio della biologia delle
molecole fin dalla scuola primaria
(elementare). Di seguito sono riportati degli
esempi di sperimentazione da fare in classe
con uso di materiale semplice e di facile
reperibilità. Di rigoroso ovviamente c’è il
metodo.
ESTRAZIONE DEL DNA DELLA FRUTTA
Esperienza laboratoriale
I fase: preparazione della soluzione di
estrazione
II fase: preparazione della poltiglia ed
estrazione del DNA
III fase: filtrazione
IV fase: rimozione delle proteine
V fase: evidenziazione del dna
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MATERIALE OCCORRENTE
Un contenitore graduato da 200 ml = soluzione di estrazione
Due contenitori per urine da 50 ml ed uno da 15 ml = n. 1 acqua + sale; n.2 filtrato + bromelina; n.3 filtrato + bromelina + alcool
Detersivo per piatti (10 ml)
Quattro Siringhe da 5 ml= n.1 acqua; n.2 detergente; n.3 ananas, N.4 alcool
NaCl (sale da cucina) 5 gr (1 cucchiaino raso da caffè)
Un cucchiaino di plastica da caffè
Un cucchiaio di plastica per mescolare
Acqua (100 ml)
Due colini per filtrare (diametro circa 6-7 cm)= n.1 banana; n.2 ananas
Due vaschette di alluminio (formato piccolo)= n. 1 banana + soluzione di estrazione; n. 2 succo di ananas
Due forchette di metallo: n.1 banana; n.2 ananas
Due piatti di carta: n.1 banana; n.2 ananas
Un bicchiere di vetro (diametro circa cm 7-8): filtrato (banana + soluzione estrazione)
due bicchieri di plastica (formato piccolo): n.1 (filtrato banana + soluzione estrazione); n.2 succo di ananas
Ananas
Una banana media (100 gr senza buccia)
Bilancia
Carta assorbente
Etichette adesive
Penna
Soluzione di estrazione
MATERIALE OCCORRENTE:
Contenitore graduato (200 ml)
Contenitore per urine da 50 ml (n.1)
Detersivo per piatti (10ml)
Siringa da 5 ml (n.1 e n.2)
NaCl (sale da cucina) 5 gr (1 cucchiaino raso da caffè)
Un cucchiaino da caffè
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Un cucchiaio per mescolare
Acqua ( 50 ml)
Carta assorbente
FINALITÀ:
Il DNA è contenuto nel nucleo delle
cellule della frutta utilizzata ( vedi
schema). Per demolirlo è necessario
demolire la membrana cellulare e quella del nucleo.
Poiché queste membrane sono costituite da
FOSFOLIPIDI, molecole ricche di grassi, queste
verranno sciolte usando detersivo liquido.
Viene usato anche un po’ di sale che ha la funzione
di facilitare l’eliminazione delle proteine su cui è
avvolto il DNA e facilita la precipitazione del DNA.
PROCEDURA:
Nel contenitore per urine da 50 ml (n.1) sciogliere 3 gr di sale (un cucchiaino raso) in 50 ml di acqua
Mescolare energicamente.
Versare la soluzione nel contenitore graduato da 200ml
Aggiungere 10 ml di detersivo per piatti (prelevati con una siringa n.2)
mescolare lentamente con un cucchiaio per omogeneizzare la soluzione
Portare tutto al volume di 100ml, aggiungendo acqua, prelevata con una siringa (n.1 acqua).
LA SOLUZIONE DI ESTRAZIONE È
PRONTA
Preparazione della poltiglia ed
estrazione del DNA
MATERIALE OCCORRENTE:
un piatto di carta (n.1)
frutta a polpa morbida esempio banana (100 gr)
una forchetta di metallo (n.1)
un contenitore di alluminio (formato piccolo n.1)
un cucchiaio di plastica
soluzione di estrazione
Un’operazione fondamentale è quella di
frammentare il frutto in modo da
separare il più possibile le cellule fra loro per
esporle all’azione del detersivo.
Procedura:
in un piatto di carta (n.1) schiacciare 100 gr di frutta (banana) con una forchetta (n.1) fino a trasformarla in una poltiglia
mettere la polpa schiacciata in una vaschetta di alluminio (n.1) e versare la soluzione di estrazione preparata in precedenza
mescolare con il cucchiaio
attendere 5- 10 minuti
Filtrazione:
MATERIALE OCCORRENTE:
un colino (n.1) (diametro 6-7 cm)
un bicchiere o barattolo di vetro (diametro 7-8 cm)
un cucchiaio
poltiglia di frutta + soluzione di estrazione
FINALITÀ
Con questa operazione raccogliamo un liquido ricco
di dna separandolo dai residui cellulari e dagli altri
tessuti del frutto che dovranno essere scartati.
PROCEDURA:
filtrare con un colino (n.1) il preparato (soluzione di estrazione + polpa di frutta) in un bicchiere
mescolare con un cucchiaio per favorire la filtrazione e ottenere un liquido ricco di dna
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Preparazione del succo d’ananas e
rimozione delle proteine
MATERIALE OCCORRENTE:
un colino n.2
due- tre fette di ananas
una vaschetta di alluminio (formato piccolo)
due siringhe da 5 ml (n.1 e 3)
un contenitore per urine n.2
Con questa operazione otteniamo un
DNA più puro.
Il DNA è avvolto attorno a proteine. Per
allontanarle si possono usare enzimi
proteolitici, quali per esempio la
“proteasi”. Questo enzima può essere
acquistato presso negozi che vendono
prodotti di chimica oppure è possibile
sostituirlo efficacemente con una
sostanza più facile da reperire. Si tratta
del succo di ananas, il quale contiene la
bromelina, una sostanza enzimatica
capace di demolire le proteine in
amminoacidi di cui sono composte e di
facilitare l’eliminazione.
PROCEDURA
nel piatto di carta (n. 2) schiacciare con una forchetta (n. 2) le fette di ananas
filtrare il preparato con un colino (n.2) in una vaschetta (n.2)
Trasferire il succo di ananas in un bicchierino di plastica (n.1) per facilitare il prelevamento successivo
Versare 25 ml di filtrato (prelevati con la siringa n.1) nel contenitore da 50 ml (n.2)
Aggiungere 5 ml di succo di ananas (prelevato con la siringa n.3)
Agitare bene, ma lentamente
Attendere 5 minuti
EVIDENZIAMO IL DNA
Materiale occorrente:
DUE SIRINGHE (n.3, n.4)
UN CONTENITORE PER URINE (n. 3)
ALCOOL ETILICO DENATURATO AL 90-95% (gelato tenuto nel freezer)
SOLUZIONE (poltiglia + soluzione di estrazione + DNA + succo di ananas (bromelina)
FINALITÀ
Il DNA è molto solubile in acqua, dove diviene
invisibile, mentre è insolubile in alcool, nel quale
precipita e si rende visibile Aggiungendo alcool alla
soluzione presente nella provetta rendiamo visibile
il DNA.
PROCEDURA
prelevare 6 ml della soluzione ottenuta con la siringa (n. 3) e trasferirli nel contenitore per urine (n.3 da 15 ml)
aggiungere lentamente lungo il bordo della provetta 6-8 ml di alcool etilico raffreddato nel freezer prelevato con la siringa (n.4)
nell’INTERFACCIA TRA SOLUZIONE E L’ALCOOL si noterà una sostanza trasparente: il DNA
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ATTIVITÀ 8. DETECTIVE DNA
Ognuno di noi ha una “impronta”
genetica che lo rende unico.
Piccolissime tracce di noi (un capello, la
saliva, una goccia di sangue), sono
sufficienti per estrarre il DNA e
individuare questa impronta genetica. Il
DNA quindi come detective anche per
risolvere un caso di furto. Nella casa del
Sig. Piero è sparito un barattolo di
marmellata. Molta gente è stata nella
casa e il Sig. Piero proprio non sa chi
sia il colpevole. Ma ha trovato una cosa:
sul pavimento in cucina, un cucchiaino
sporco di marmellata, probabilmente
usato dal ladro che avrà voluto
assaggiare, goloso com’è. Il Sig. Piero
telefona alla scientifica che arriva in
quattro e quattrotto. Gli agenti (gli alunni) si fanno
dare una lista delle persone che hanno frequentato
la casa (sospettati) e raccolgono il prezioso reperto.
Dalle prime analisi si scopre che il ladro aveva i
guanti, quindi niente impronte digitali sul
cucchiaino (furbo!); ma sempre sul cucchiaino sono
rimaste alcune tracce di saliva! La scientifica
incastrerà certo il ladro attraverso lo studio del suo
DNA. Al Lavoro!
MATERIALE OCCORRENTE:
Un contenitore per urine da 50 ml
Acqua
Tre siringhe da 5 ml
Tre bicchieri di plastica trasparente
Un cucchiaino scarso di sale (1,5 gr)
5 ml di detersivo liquido per piatti
Etichette di carta adesiva
Pennarello
Alcool etilico denaturato al 95%
COME PROCEDERE:
PREPARARE LA SOLUZIONE DI ESTRAZIONE:
Etichettare il materiale occorrente
Versare nel contenitore graduato 30 ml di acqua e sciogliere un cucchiaino raso di sale .
Mescolare fino alla completa dissoluzione del sale
Con la siringa (n.1) prelevare 5 ml di detersivo liquido e aggiungerlo alla soluzione, evitando di produrre bolle
Con l’acqua portare la soluzione a 50 ml
Versare la soluzione in un bicchiere trasparente (n.1) e mescolare per omogeneizzare, evitando di produrre bolle
Su un’etichetta di carta autoadesiva scrivere “soluzione di estrazione” ed attaccare sul bicchiere
La soluzione di estrazione è pronta
DNA
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PREPARAZIONE DEL LIQUIDO CON
LE CELLULE
Con una siringa pulita (n.2) prelevare 20 ml di acqua e versarla in un bicchiere pulito (n.2)
Su un’etichetta di carta adesiva scrivere “H2O da bere” ed attaccare sul bicchiere (n.2)
Mettere l’acqua in bocca senza ingoiare
Agitare l’acqua in bocca con energia per circa 30 secondi. Questa operazione farà staccare alcune cellule dall’epitelio delle guance
“Sputare” l’acqua in un bicchiere pulito (n.3)
Su un’etichetta di carta adesiva scrivere “liquido + cellule” ed attaccare sul bicchiere (n.3)
ESTRAZIONE DEL DNA DALLE
CELLULE EPITELIALI DALLA
BOCCA
Con la siringa prelevare 15 ml di questo liquido e versarlo nel contenitore graduato
Con la siringa prelevare 7,5 ml di soluzione di estrazione e versare nel contenitore graduato
Tappare il contenitore e capovolgere con delicatezza 3 o 4 volte (ma non troppo, evitare di agitare troppo). In questo modo le cellule delle guance si rompono e rilasciano il DNA dal nucleo
EVIDENZIAMO IL DNA
Fare scorrere lentamente nel contenitore graduato
un volume di alcool etilico ghiacciato pari al
volume della soluzione.
Il contenitore con l’alcool va posto nel freezer
almeno alcune ore prima e chiuso per bene, per
evitare il pericolo che i vapori di alcool possano
prendere fuoco a causa di possibili scintille
elettrostatiche o di altro tipo.
Osservare il punto in cui si formano i due strati: è
possibile vedere dei filamenti di DNA che si
formano, mentre una nuvola torbida si allarga nello
strato superiore (di alcool etilico). Il DNA non è
solubile in alcool etilico, quindi quando l’alcool
viene a contatto con la soluzione di DNA, questa
comincia a precipitare il DNA.
Si individuano i sospettati e si identificano i
colpevoli.
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Si prepara la soluzione di estrazione
Gli agenti della scientifica preparano tutto l’occorrente per l’estrazione e l’analisi
Gli agenti identificano i sospettati
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I sospettati sono invitati a fornire un campione del loro DNA facendo sciaguattare l’acqua in bocca
l
Impronta
del DNA dei sospettati Impronta del DNA
1 2 del colpevole
Il responsabile della squadra della scientifica estrae il DNA del colpevole e di ogni sospettato e li
analizza.
DNA
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L’impronta del DNA del sospettato n. 2 Andrea combacia perfettamente con l’impronta di DNA del
colpevole. Quindi Andrea ha rubato la marmellata.
ATTIVITÀ 9. FACCIAMO IL MODELLO
DEL DNA
La struttura del DNA fu descritta per la prima
volta da due fisici Watson e Crick nel 1953.
Da allora questa molecola è stata descritta nel
dettaglio e oggi ne conosciamo anche i più
intimi segreti. Infatti, è ormai nota a tutti la
struttura a “doppia elica”, così perfetta ed
elegante nella sua semplicità. La
ricostruzione, o meglio, la modellizzazione
del DNA è possibile anche partendo da
materiali semplici e familiari da utilizzare in
modo vario, ma sempre seguendo la ferrea
legge del codice genetico. Nella scheda è
riportato l’ordine di accoppiamento da seguire
nell’appaiare le graffette di diverso colore.
Ogni graffetta rappresenta un componente del
DNA. Così come di seguito è possibile
apprezzare la costruzione del modello
utilizzando plastilina, fil di ferro e cartoncino.
Nessuna velleità di veicolare contenuti troppo
“difficili”, ma volontà di far avvicinare i
bambini, con i modi conosciuti della
rappresentazione grafica e pittorica, ad oggetti
non familiari per renderli, infine, compagni
nel personale viaggio nella conoscenza.
Andrea
Impronta del DNA Trovato
nel luogo del furto
Mara
Indagata
AA ccoossaa sseerrvvee iill DDNNAA eessttrraattttoo??
Ogni essere vivente possiede un DNA caratteristico di quella specie, e si differenzia da quello di ogni altro organismo
Colpevole
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Un esempio di modello di DNA fatto con le graffette metalliche di quattro diversi colori, a
rappresentare le quattro basi azotate G, A T, C (guanina, adenina, timina, citosina) . Ogni colore va
accoppiato ad un altro secondo il codice stabilito nella tabella (codice genetico)
JJaammeess WWaattssoonn ee
T
G
A
A
T
CA
G
C
T
T A
A
G
T
C
C giallo
G azzurr
C/G A rosso
A/T T blu
ACCOPPIAMENTO
LETTERA CORRISP
COLORE GRAFFET
SScchheeddaa ddii ccoonnttrroolllloo
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LA STRUTTURA DEL DNA:
Approfondimenti per gli insegnanti
La scoperta della straordinaria struttura
spaziale del DNA dovuta a James Dewey
Watson e Francis Crick (1953) ha permesso
un rapido avanzamento nelle conoscenze di
genetica molecolare l’ereditarietà usa scale a
pioli. Nel 1953, due scienziati, elaborarono il
modello della struttura molecolare del DNA.
Nella doppia elica i due filamenti che si
avvolgono in giri destrosi sono costituiti da
CATENE RIBOSIO-FOSFATO orientate in
direzioni inverse (5’-3’ l’una, 3’-5’ l’altra);
tali filamenti esterni sono detti “scheletri” e
costituiscono la porzione invariabile del dna.
filamenti sono mantenuti a regolare distanza
tra loro di 20 angstrom (1 angstrom = 1.0 ×
10-10 metri) da BASI AZOTATE che
sporgono dagli scheletri verso il centro della
doppia elica. Tali basi, una fila per scheletro,
si collegano fra loro con LEGAMI A PONTE
DI IDROGENO, mantenendo quindi insieme
le due metà del DNA
In alto, la struttura dei due filamenti che
costituiscono la molecola del DNA e in basso,
il modello del DNA realizzato dai bambini
con plastilina, fil di ferro, cartoncino.
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Il DNA contiene la memoria (codifica) delle
più importanti e specifiche molecole cellulari,
le proteine, ed è in grado di auto duplicarsi.
Ogni organismo, infatti, è caratterizzato da
una propria costituzione proteica, enzimi e
proteine che differiscono tra una specie e
l’altra. Esse vengono riprodotte fedelmente
nelle cellule di una medesima specie. Il DNA
è dunque
responsabile della trasmissione dei caratteri ereditari in un codice costituito dalla sequenza delle basi azotate
in grado di trasmettersi inalterato da una generazione cellulare all’altra nel corso della divisione
Nel nucleo degli eucarioti il DNA è sempre
associato a proteine, le più stabili delle quali
sono gli istoni (H1, H2 A, H2 B, H3, H4).
Con queste proteine il DNA forma strutture
caratteristiche granulari, note con il nome di
nucleosomi.
Altre proteine non istoniche che si associano
al DNA hanno funzione strutturale nella
formazione dei cromosomi, oppure sono
enzimi coinvolti nella sintesi e trascrizione
del DNA.
CROMATINA
Grazie alla presenza di queste proteine il
DNA può avvolgersi su se stesso, diminuire la
sua lunghezza e aumentare il suo spessore.
L’associazione del DNA e di proteine
costituiscono la cromatina, rappresenta la
forma in cui gli acidi nucleici si trovano nel
nucleo di una cellula eucariotica.
Grazie a questa associazione la cromatina può
esistere sotto diversi livelli di organizzazione:
DNA a doppia elica (1)
Cromatina sciolta (2)
Cromatina condensata in interfase (3)
Cromatina condensata durante la mitosi(sono presenti due copie di molecole di DNA (4)
Cromosoma(5)
Differenti livelli di condensazione del DNA
che portano alla formazione dei cromosomi
(5)
ATTIVITÀ 10. MENDEL E L’IDEA DI
GENE
L’estrema diversità degli organismi viventi è
frutto dell’interazione tra il patrimonio
genetico di una specie e le variazioni
ambientali. La genetica mendeliana ha fornito
le basi della moderna biologia molecolare, in
quanto ha identificato l’unità strutturale e
funzionale dell’informazione genetica: il
gene. La comprensione dei meccanismi che
consentano la trasmissione dei caratteri
genetici da una generazione a quella
successiva racchiude in se il successo di una
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specie e il significato dell’enorme variabilità
individuale.
Gli occhi di una persona possono essere blu,
marroni, verdi, grigi o nocciola; i suoi capelli
possono avere varie sfumature di biondo, di
castano, di rosso o di nero; il piumaggio di un
pappagallino può essere verde, blu o giallo,
con tocchi neri o grigi. Qual è allora il motivo
di questa varietà biologica dei colori? Si può
formulare la domanda in termini più generali:
qual è la base genetica delle variazioni tra gli
individui di una popolazione? Oppure anche,
quali principi giustificano la trasmissione di
tali variazioni dai genitori alla prole?
Una possibile spiegazione dell’ereditarietà è
data dal «modello del mescolamento», il
quale postula che il materiale genetico fornito
dai due genitori si mescoli in modo analogo a
come si mescolano, ad esempio, i colori blu e
giallo per dare il verde. Questa ipotesi
prevede che incrociando un pappagallino blu
con uno giallo si ottenga una prole verde e
che, una volta mescolato, il materiale
ereditario dei due genitori sia inseparabile,
così come i colori in una miscela di vernici.
Se il modello del mescolamento fosse
accurato, nell'arco di molte generazioni una
popolazione di pappagallini blu e gialli che si
incrociano liberamente dovrebbe dare origine
ad una popolazione uniforme dì uccelli verdi.
I risultati effettivi dell'incrocio tra
pappagallini contraddicono invece questa
previsione. La teoria del mescolamento non
riesce a spiegare neppure altri fenomeni
dell’ereditarietà, come i caratteri che non si
manifestano per una generazione.
Un’alternativa al modello del mescolamento è
un «modello particolato» dell'ereditarietà:
l'idea del gene. Secondo questo modello, la
generazione parentale trasmettono unità
creditabili discrete, i geni, che mantengono
nella progenie le loro identità separate. Un
insieme di geni di un organismo assomiglia
più a un secchio di biglie che a uno di vernice
e, come le biglie, i geni possono essere
smistati e trasmessi, generazione dopo
generazione, senza subire alcuna diluizione.
La genetica moderna è nata nel giardino di
una abbazia, quando un monaco di nome
Gregor Mendel documentò un meccanismo
particolato di ereditarietà.
In questo capitolo vedremo in che modo
Mendel sviluppò la sua teoria e come il
modello mendeliano si applichi
all’ereditarietà delle variazioni degli
organismi.
Il modello mendeliano: un caso emblematico
nel processo scientifico.
Gregor Mendel scoprì i principi fondamentali
dell’ereditarietà conducendo esperimenti
pianificati di incrocio su piante di pisello. Se
ripercorriamo il cammino seguito da Mendel
nel suo lavoro, saremo in grado di individuare
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gli elementi fondamentali del processo
scientifico.
Johann Mendel (prese il nome Gregor quando
entrò nella confraternita agostiniana) crebbe
nella piccola fattoria dei genitori in una
regione dell'Impero austro-ungarico che
adesso fa parte della Repubblica Ceca
(Boemia). In questa area agricola le colture e i
frutteti erano la base dell'economia locale; a
scuola Mendel e gli altri bambini ricevevano,
insieme agli insegnamenti fondamentali,
nozioni di agricoltura. Più tardi Mendel,
nonostante difficoltà economiche e una serie
di malattie, riuscì ad eccellere alla scuola
superiore e all'Istituto filosofico di Olmutz.
Nel 1843 entrò nel monastero agostiniano e,
dopo tre anni di studi teologici, venne
destinato a una scuola come insegnante
temporaneo. Fu quindi mandato da un
amministratore all'Università di Vienna, dove
studiò dal 1851 al 1853. Questi furono anni
molto importanti per lo scienziato Mendel e
due professori ebbero un grande influsso su di
lui: il fisico Doppler, che lo incoraggiò a
studiare la scienza sperimentalmente e
indusse Mendel ad applicare la matematica
alla spiegazione dei fenomeni naturali, e il
botanico Unger, che destò l'interesse di
Mendel sulle cause delle variazioni nelle
piante. Queste influenze si manifestarono nei
successivi esperimenti di Mendel sulle piante
di pisello.
Dopo aver frequentato l'università, Mendel
venne destinato all'insegnamento alla Scuola
di Brúnn) dove alcuni insegnanti
condividevano con lui l'entusiasmo per la
ricerca scientifica. Anche nel monastero dove
viveva c'erano studiosi, molti dei quali
professori universitari e ricercatori attivi; nel
monastero esisteva inoltre da lungo tempo un
tradizionale interesse per l'incrocio tra le
piante, tra cui i piselli. Quindi, non fu
particolarmente straordinario il fatto che,
verso il 1857, Mendel cominciasse a
incrociare piselli nel giardino dell'abbazia per
studiarne l'ereditarietà. Era invece
straordinario il nuovo approccio di Mendel
agli annosi problemi che riguardavano
l'ereditarietà.
L’APPROCCIO SPERIMENTALE DI
MENDEL
Probabilmente Mendel scelse di lavorare con i
piselli in quanto disponibili in numerose
varietà; per esempio, un tipo possiede i fiori
color porpora mentre una varietà diversa
presenta i fiori bianchi. I genetisti usano il
termine carattere per definire una
caratteristica ereditabile (come il colore di un
fiore) che varia a seconda degli individui.
Ciascuna variante di un carattere, come fiori
porpora oppure bianchi, viene chiamata
tratto.
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L’impiego dei piselli consentì a Mendel anche
il pieno controllo sugli incroci tra le differenti
varietà di piante; i petali dei fiori dei piselli,
infatti, racchiudono pressoché totalmente le
parti femminili e maschili (il carpello e gli
stami); normalmente le piante si auto-
fecondano, in seguito alla caduta dei grani di
polline rilasciati dagli stami sul carpello.
Quando Mendel voleva effettuare
un’impollinazione crociata (la fecondazione
tra piante differenti), rimuoveva gli stami
immaturi di una pianta prima che
producessero il polline e quindi cospargeva
con il polline di un'altra pianta i fiori privati
degli organi maschili. Sia permettendo
l’autoimpollinazione sia effettuando
l'impollinazione crociata artificiale, Mendel
poteva essere sempre certo dell’origine dei
nuovi semi.
Mendel studiò esclusivamente l'eredità di
variazioni categoriche, cioè di caratteri
ereditari che variano in modo «o/o» invece di
«più/meno». Per esempio, le sue piante
avevano i fiori o porpora o bianchi; non c'era
un carattere intermedio tra queste due varietà.
Se Mendel si fosse concentrato invece su
caratteri che variano in modo continuo tra gli
individui (per esempio il peso dei semi) non
avrebbe scoperto la particolare natura
dell'ereditarietà.
Mendel cominciò i suoi esperimenti
assicurandosi che le varietà fossero linee pure
(true-breeding), piante che quando si
autoimpollinavano davano una progenie
interamente della stessa varietà. Per esempio
una pianta con fiori porpora è una linea pura
se i suoi semi prodotti tramite
autoimpollinazione danno origine soltanto a
piante con fiori porpora.
In un tipico esperimento di incrocio, Mendel
condusse un’impollinazione crociata tra due
varietà pure e differenti di piselli, per esempio
tra piante con fiori porpora e piante con fiori
bianchi. Questo accoppiamento, o incrocio di
due varietà viene detto ibridazione. Il nostro
esempio specifico è un incrocio monoibrido,
termine che indica un incrocio effettuato per
studiare l'ereditarietà di un singolo carattere
(in questo caso il colore dei fiori). I genitori
puri sono indicati come generazione P (da
parents, genitori) e la loro progenie ibrida è la
generazione F1, (da prima generazione
filiale, riferita alla discendenza). Consentendo
l’autoimpollinazione degli ibridi F1, si ha la
produzione di una generazione F2 (seconda
generazione filiale). Generalmente Mendel
seguiva i caratteri almeno per queste tre
generazioni: P, F1 e F2-. Se Mendel avesse
interrotto i suoi esperimenti alla generazione
F1, gli sarebbe sfuggito il modello
fondamentale dell’ereditarietà; fu, infatti,
soprattutto l'analisi delle piante F2 a rivelare i
due principi fondamentali dell’ereditarietà,
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adesso noti come la legge della segregazione
e la legge dell'assortimento indipendente.
LA LEGGE MENDELIANA DELLA
SEGREGAZIONE
Se il modello del mescolamento
sull’ereditarietà fosse corretto, gli ibridi F,
che si originano da un incrocio tra piante di
pisello con fiori porpora e piante con fiori
bianchi dovrebbero avere i fiori di colore
porpora chiaro, intermedi tra le due varietà
della generazione P.Tutta la progenie F1, ha i
fiori proprio dello stesso colore delle piante
genitrici con fiori porpora. Cosa ne è stato del
contributo genetico fornito agli ibridi dalle
piante con fiori bianchi? Se esso venisse
perduto, allora nella generazione F2 le piante
F1, potrebbero dare origine solamente a una
progenie con fiori porpora. Ma quando
Mendel consentì l’autoimpollinazione delle
piante F1, e ne piantò i semi, il tratto fiore
bianco ricomparve nella generazione F2,
Mendel impiegò un campione di dimensioni
molto grandi e registrò accuratamente i suoi
risultati: 705 piante F2 avevano fiori porpora,
mentre 244 avevano fiori bianchi. Questi dati
sono in accordo con un rapporto di 3 fiori
porpora per 1 fiore bianco. Mendel concluse
che nelle piante F1, il fattore ereditabile per i
fiori bianchi non scompariva, ma solamente il
fattore per i fiori porpora determinava il
colore dei fiori in questi ibridi. Nella
terminologia di Mendel il colore porpora è un
carattere dominante e il colore bianco è un
carattere recessivo. La comparsa di piante con
fiori bianchi nella generazione F2 dimostrava
che negli ibridi F1, il fattore ereditario che
determina quel carattere recessivo non era
stato diluito in alcun modo dalla consistenza
con il fattore per i fiori porpora negli ibridi Fl.
Mendel riscontrò lo stesso quadro ereditario
osservando altri sei caratteri, ognuno dei quali
rappresentato da due varietà contrapposte.
Per esempio, i semi dei piselli genitori erano
lisci e rotondi oppure rugosi. In un incrocio
monoibrido per questo carattere, tutti gli ibridi
F, generavano semi rotondi; questo è il tratto
dominante. Nella generazione F2 il 75% dei
semi erano rotondi e il 25% erano rugosi,
ovvero presentavano il tipico rapporto 3:1.
Come spiegò Mendel, questo quadro che egli
aveva osservato costantemente nei suoi
incroci monoibridi? Egli sviluppò un’ipotesi
che possiamo suddividere in quattro idee
correlate. (Sostituiremo alcuni dei termini
originali impiegati da Mendel con parole
moderne; per esempio, il termine «gene» sarà
usato al posto di «fattori ereditari» di
Mendel.)
I. Versioni alternative dei geni giustificano le
variazioni dei caratteri ereditari. Il gene per il
colore dei fiori, per esempio, esiste in due
versioni, una per i fiori porpora e l'altra per i
fiori bianchi. Queste versioni alternative di
uno stesso gene vengono chiamate alleli. Oggi
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è possibile correlare questo concetto ai
cromosomi e al DNA. Ciascun gene si trova in
un locus specifico di uno specifico
cromosoma. Tuttavia la sequenza nucleotidica
del DNA in quel locus, e quindi anche il suo
contenuto informativo, possono presentare
qualche variazione. Un allele per i fiori
porpora e quello per i fiori bianchi sono due
possibili variazioni del DNA nel locus che
determina il colore dei fiori di uno dei
cromosomi delle piante di pisello.
II. Per ogni carattere un organismo eredita due
geni, uno da ciascun genitore. Mendel fece
questa deduzione senza conoscere il ruolo dei
cromosomi. Ricordiamo che un organismo
diploide possiede coppie di cromosomi
omologhi e che i due cromosomi di ogni
coppia vengono ereditati uno da un genitore e
uno dall'altro. Quindi un locus genetico è in
realtà rappresentato due volte in una cellula
diploide. Questi loci omologhi possono avere
alleli corrispondenti, come nelle piante pure
della generazione P di Mendel, oppure i due
alleli possono essere differenti, come negli
ibridi F1. Nell'esempio del colore dei fiori, gli
ibridi ereditavano un allele per i fiori porpora
da un genitore e un allele per i fiori bianchi
dall'altro. Tutto ciò ci conduce al terzo aspetto
dell’ipotesi di Mendel.
III. Se i due alleli sono diversi, allora uno di
questi, l’allele dominante, viene espresso
pienamente nel fenotipo dell'organismo;
l'altro, allele recessivo, non ha alcun effetto
evidente. Secondo questa parte dell’ipotesi, le
piante F1, di Mendel avevano i fiori porpora
poiché l'allele per quella variazione è
dominante e l'allele per i fiori bianchi è
recessivo.
IV. I due geni di ogni carattere vengono segregati
durante la produzione dei gameti. Ogni
cellula uovo e ogni cellula spermatica riceve
solamente uno dei geni che sono presenti in
due copie nelle cellule somatiche
dell'organismo (nel caso dei piselli, con la
parola «cellula spermatica» si intende un
nucleo in un granulo di polline.) In termini di
cromosomi questa segregazione corrisponde
alla riduzione del numero di cromosomi da
diploide ad aploide durante la meiosi. Si noti
che se un organismo possiede alleli
corrispondenti per un carattere particolare -
vale a dire che l'organismo è «puro» per quel
carattere - allora di quell'allele esiste un'unica
versione in tutti i gameti. Invece se sono
presenti alleli contrapposti, come negli ibridi
F1, allora il 50% dei gameti riceve l'allele
dominante e il 50% quello recessivo.
Quest'ultima parte dell'ipotesi, lo smistamento
degli alleli in gameti distinti che ha dato il
nome alla legge della segregazione di Mendel.
Una prova dell’esattezza dell'ipotesi
formulata da Mendel riguardo alla
segregazione si può trovare nella
corrispondenza o meno con il rapporto 3:1
che egli aveva osservato nella generazione F2
dei suoi molteplici incroci monoibridi.
L’ipotesi prevede che gli ibridi F1, producano
due classi di gameti. Quando gli alleli si
separano, metà dei gameti riceve un allele per
i fiori porpora, mentre l'altra metà lo riceve
per i fiori bianchi.
Durante l'autoimpollinazione queste due
classi di gameti si uniscono casualmente: una
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cellula uovo con un allele per i fiori porpora
ha la stessa probabilità di essere fecondata da
una cellula spermatica con l'allele per i fiori
porpora che da una cellula spermatica con
l'allele per i fiori bianchi.
Poiché questo è valido anche per una cellula
uovo con l'allele per i fiori bianchi, esistono
quattro combinazioni ugualmente probabili di
cellule spermatiche e cellule uovo. La figura
illustra queste combinazioni usando un tipo di
diagramma detto quadrato di Purinett, un
modo pratico per predire il risultato di un
incrocio genetico. Si noti che una lettera
maiuscola indica un allele dominante; nel
nostro esempio, P è l'allele per i fiori porpora.
Quale sarà l'aspetto fisico delle piante F2? Un
quarto delle piante ha i due alleli che
specificano per i fiori porpora; ovviamente,
queste piante avranno fiori porpora. La metà
della progenie F2 ha invece ereditato un allele
per i fiori porpora e uno per i fiori bianchi;
come le piante F1, anche queste piante
avranno i fiori porpora, ovvero il carattere
dominante. Infine, un quarto delle piante F2
ha ereditato i due alleai che specificano per i
fiori bianchi e queste esprimeranno
effettivamente il carattere recessivo.
Quindi, il modello di Mendel è in grado di
spiegare esattamente il rapporto 3:1 che egli
aveva osservato nella generazione F2-
UN PO’ DI TERMINOLOGIA
GENETICA UTILE.
Un organismo che ha una coppia di alleli
identici per un carattere viene detto
omozigote per quel carattere. Una pianta di
piselli che è una linea pura per i fiori porpora
(PP) ne è un esempio. Le piante di piselli con
i fiori bianchi sono omozigoti per l'allele
recessivo (pp). Se si incrociano omozigoti
dominanti con omozigoti recessivi, come
nell'incrocio tra i genitori (generazione P),
tutta la progenie presenterà combinazioni di
alleli non corrispondenti, la combinazione Pp
nel caso degli ibridi F, del nostro esperimento
sul colore dei fiori. Gli organismi che hanno
due alleli differenti per un carattere vengono
detti eterozigoti per quel carattere.
A differenza degli omozigoti, gli eterozigoti
non sono linee pure, poiché producono gameti
che hanno l'uno oppure l'altro dei due alleli.
Abbiamo, infatti, visto come le piante Pp
della generazione F1, in seguito ad
autoimpollinazione, producano progenie sia
con fiori porpora sia con fiori bianchi.
A causa della dominanza e della recessività,
l'aspetto di un organismo non riflette sempre
la sua composizione genetica. Per questo
dobbiamo distinguere tra l'aspetto di un
organismo, chiamato fenotipo e la sua
costituzione genetica, cioè il suo genotipo.
Nel caso del colore del fiore nei piselli, le
piante PP e Pp hanno lo stesso fenotipo
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(porpora), ma genotipi differenti (i1 fenotipo
riguarda sia i tratti fisiologici sia quelli fisici),
mentre il genotipo riguarda solo i caratteri
genetici).
Genotipo e fenotipo. Se si raggruppa la
progenie di un incrocio monoibrido per il
colore dei fiori a seconda dei fenotipo
l'aspetto fisico delle piante - il risultato è il
tipico rapporto 3:1. Per quanto riguarda il
genotipo, tuttavia, ci sono in realtà due
categorie di piante dai fiori porpora: le piante
PP (omozigoti) e le piante Pp (eterozigoti). Si
noti che ci sono due modi possibili per dare
origine al genotipo Pp, a seconda che sia
l'uovo o la cellula spermatica a fornire l'allele
dominante. Si noti ancora che il rapporto dei
genotipi è 1 PP:2Pp:1 pp. danno luogo allo
stesso fenotipo, in che modo possiamo
determinare se essa è una pianta omozigote
oppure eterozigote? Se incrociamo questa
pianta di piselli con una dai fiori bianchi,
l'aspetto della progenie potrà rivelarci il
genotipo della pianta genitrice con i fiori
porpora. Il genotipo della pianta con i fiori
bianchi è, infatti, noto: poiché questo è il
tratto recessivo, la pianta deve essere
omozigote. Se tutta la progenie ottenuta
dall'incrocio ha i fiori porpora, allora anche
l'altro genitore è omozigote, poiché un
incrocio PP x pp produce esclusivamente una
progenie Pp. Invece se nella progenie
compaiono entrambi i fenotipi, sia il porpora
che il bianco, allora la pianta genitrice dai
fiori porpora deve essere eterozigote. La
progenie ottenuta da un incrocio Pp x pp
presenterà un rapporto fenotipico tra Pp e pp
di 1:1. Questo incrocio di un omozigote
recessivo con un organismo dal fenotipo
dominante, ma dal genotipo sconosciuto,
viene chiamato reincrocio o testcross; esso
venne ideato da Mendel e continua ad essere
uno strumento importante per i genetisti.
L’EREDITÀ COME UN GIOCO DI
PROBABILITÀ
La legge della segregazione è un caso
specifico delle stesse regole generali sulla
probabilità che si applicano al lancio dèlle
monete, al tiro dei dadi oppure all'estrazione
di una carta da un mazzo. La comprensione di
queste regole della probabilità è fondamentale
per l'analisi genetica.
La scala di probabilità va da 0 a 1: un evento
certo ha una probabilità 1, mentre un evento
che sicuramente non avverrà ha una
probabilità 0. Se si lancia una moneta a due
teste la probabilità di ottenere una testa è
uguale a 1, mentre la probabilità di ottenere
una croce è uguale a 0. Con una moneta
normale invece, la probabilità di ottenere una
testa oppure una croce è uguale a 2
1. La
probabilità di ottenere il numero 3 con un
dado, che ha sei facce, è 6
1, e la probabilità di
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estrarre una regina di picche da un intero
mazzo di carte è 52
1. La somma delle
probabilità di tutti i possibili risultati di un
evento deve essere uguale a l. Con un dado la
probabilità di tirare un numero diverso dal 3 è
6
5. In un mazzo di carte la probabilità di
estrarre una carta diversa dalla regina di
picche è 52
51.
L’esempio del lancio delle monete può servire
anche per comprendere un aspetto importante
delle probabilità. Ad ogni lancio, la
probabilità che esca testa è 2
1. Il risultato di
ogni particolare lancio non viene influenzato
da quello che è accaduto nelle prove
precedenti. I fenomeni come i lanci successivi
di monete vengono definiti eventi
indipendenti (i1 termine si applica anche a
lanci simultanei di alcune monete). Prima di
un ulteriore lancio un osservatore potrebbe
prevedere: «Deve uscire una croce, poiché
sono già uscite molte teste». Ma all’ennesimo
lancio la probabilità che il risultato sia ancora
testa è sempre 2
1.
Due leggi fondamentali della probabilità che
ci possono aiutare nei giochi di probabilità e
nella risoluzione dei problemi genetici sono la
regola del prodotto e quella della somma.
La regola del prodotto. Se due monete
vengono lanciate contemporaneamente, il
risultato ottenuto con ogni moneta è
indipendente da quello che avviene con l'altra
moneta. Qual è la probabilità che entrambe le
monete mostrino le teste? Come si può
determinare la probabilità che due o più
eventi indipendenti avvengano
contemporaneamente in una combinazione
specifica? La soluzione può essere trovata
calcolando la probabilità di ogni evento
indipendente e poi moltiplicando queste
singole probabilità in modo da ottenere la
probabilità complessiva di questa
combinazione di eventi. Secondo la regola del
prodotto, la probabilità che entrambe le
monete atterrino con la testa verso l'alto è
4
1
2
1
2
1 . Un incrocio mendeliano F1, è
analogo a questo gioco di probabilità. Se
prendiamo in considerazione il carattere
ereditario del colore dei fiori, il genotipo di
una pianta F1 è Pp. Qual è la probabilità che
una determinata pianta F2 abbia i fiori
bianchi? Perché questo avvenga, sia la cellula
uovo sia la cellula spermatica devono portare
l'allele p; possiamo quindi applicare la regola
del prodotto. La segregazione, in una pianta
eterozigote, è analoga al lancio di una moneta:
la probabilità che una cellula uovo possieda
l'allele p è 2
1; analogamente, la probabilità
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che una cellula spermatica abbia l'allele p è 2
1
. Quindi la probabilità complessiva che nella
fecondazione si uniscano due alleli p è
4
1
2
1
2
1 , equivalente alla probabilità che
due monete lanciate indipendentemente
atterrino con le teste rivolte verso l'alto.
LA REGOLA DELLA SOMMA.
Qual è la probabilità che una pianta F2 sia
eterozigote? Si noti, nella Figura che esistono
due modalità in cui i gameti F, si possono
unire per dare origine a un eterozigote. Un
allele dominante può provenire dalla cellula
uovo e l'allele recessivo dalla cellula
spermatica, oppure viceversa. Secondo la
regola della somma, la probabilità di un
evento che può verificarsi in due o più modi
differenti, è uguale alla somma delle
probabilità dei diversi modi di ottenere il
risultato. Usando la regola della somma, si
può calcolare che la probabilità di ottenere
una F2 eterozigote è uguale a
2
1
4
1
4
1 .
La genetica a portata di bambino: costruiamo
la nostra pianta virtuale.
Le basi teoriche della genica mendeliana,
assolutamente inadatte alle competenze e
abilità del bambino, sono tradotte in modo
efficace e divertente in un gioco dalle regole
chiare e immediate, costruite proprio sugli
assiomi della genetica moderna:
- un determinato individuo, sia esso pianta, animale, fungo o batterio è il risultato dell’espressione di informazioni che sono custodite nel codice genetico di ognuno;
- la trasmissione dei caratteri distintivi degli organismi alla generazione filiale avviene secondo regole rigide e verificabili
ATTIVITA’ 11. GIOCHIAMO CON I
GENI
Nel gioco proposto una pianta “madre” e una
pianta “padre” hanno caratteri distinti (es.
colore del fiore, tipo di foglia ecc). A
ciascuno di questi caratteri corrisponde un
codice dato da due lettere maiuscole,
minuscole o entrambe (vedi tabella). Ciascuna
lettera “appartiene” ad un bastoncino
(cromosoma) e per ciascun carattere sono
presenti due bastoncini identici fra loro per
lunghezza. Quindi tutti i caratteri della pianta
madre o padre sono rappresentati da una
sequenza di coppie di bastoncini che
chiameremo patrimonio genetico (vedi
tabella). Quando la pianta madre e padre si
incrociano per dare origine alla generazione
filiale (I generazione), da ogni coppia di
bastoncini di ciascun genitore verrà preso un
solo bastoncino per ripristinare una nuova
coppia, in cui un bastoncino deriva dalla
madre e l’altro dal padre (vedi tabella).
Procedendo in tal senso per ogni coppia di
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bastoncini, si darà origine ad un patrimonio
genetico ibrido nella generazione filiale. A
questo punto, partendo proprio da questo
nuovo patrimonio genetico si costruiranno i
caratteri della generazione filiale tenendo
conto del codice stabilito per ogni coppia di
lettere (vedi tabella). Si vedrà così che alcuni
caratteri presenti in uno dei genitori sarà
“scomparso” nella generazione filiale, mentre
altri permangono. I primi sono detti
“recessivi” i secondi “dominanti”. Inoltre
potranno “apparire” altri caratteri, non
presenti in nessuno dei due genitori, ma che si
originano da codici che erano “nascosti”.
La seconda parte del gioco consiste
nell’incrociare la generazione filiale tra loro
per scoprire che fine hanno fatto i caratteri
scomparsi. Si provvederà a formare delle
coppie di piante (madre e padre) e procedendo
in modo identico rispetto al primo incrocio si
origineranno altre piante figlie che
costituiranno la II generazione. Si potrà
quindi valutare la comparsa dei caratteri che
erano scomparsi e in che misura (percentuale)
essi siano presenti nella II generazione. Il
grado di applicazione di questo gioco è
estremamente variabile e va dalla
dimostrazione semplice (c’è o non c’è il
carattere) a quella più complessa della stima
della variazione di un determinato carattere in
una popolazione.
La pianta madre ha i fiori rosa, le foglie crenate grandi e piccole, gemme piccole e radici fibrose
La pianta padre ha i fiori gialli, le foglie crenate grandi e piccole, gemme piccole e radici bulbose
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TABELLA
X
Patrimonio genetico madre
Fenotipo
Pp 4 Petali yy Petali rosa Gg Foglie grandi
grinzose Cc Foglie piccole
grinzose Bb Gemme piccole ss Fusto normale Rr Radici fibrose
Patrimonio genetico padre
Fenotipo
Pp 4 Petali YY Petali gialli Gg Foglie grandi
grinzose Cc Foglie piccole
grinzose Bb Gemme piccole Ss Fusto ingrossato rr Radice bulbosa
BG
y
p y
C
C s s
p
r
r rs
Y
Y Y
G
Gg
B
B
b C
c
Pb
B
G
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Py
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Ggy
p
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C
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C
c
Bb
B
b
B
b s
Ss
s s
s r r
r r
r
X
GENERAZIONE PARENTALE
INCROCIO
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Codici
Genotipo Segna se presente Fenotipo
PP o Pp 4 Petali
pp 0 Petali
YY o Yy Petali gialli
yy Petali rosa
GG o gg Foglie grandi grinzose
gg Foglie gialle lanceolate
CC Foglie verdi lanceolate
Cc Foglie piccole grinzose
cc Foglie piccole lisce
BB o Bb Gemme piccole
bb Gemme grandi
SS o Ss Fusto ingrossato
ss Fusto normale
RR o Rr Radici fibrose
rr Radici bulbose
Tutte le piante figlie hanno i fiori con i petali gialli (carattere dominante): che fine ha fatto il colore
rosa? Inoltre appare un carattere (il fusto ingrossato) che non era presente nelle piante parentali
I GENERAZIONE FILIALE
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Nelle piante originate dal reincrocio (i “nipoti” della generazione parentale) riappare il carattere
colore rosa dei petali con un rapporto di una pianta su tre. Si conclude che il carattere colore rosa è
recessivo.
Gli Autori
Silvia Mazzuca, professore associato di botanica, laboratorio di Citofisiologia Vegetale, Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria
Anna Maria Fiarè, docente a contratto di Didattica delle Scienze Naturali, dottoranda in Educazione Ambientale, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Università della Calabria
C Y
B
G
R
P
P
p Y Y
g c C
B S S
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p
P
P
pYy
yy
g
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G G gy p
cc
Cc
C B B b
b b
b s s s
s s
s rR
rr
r r
REINCROCIO
II GENERAZIONE FILIALE