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Rassegna stampa settimanale n. 21/2015 ____________________________ Dal 18 maggio 2015 Al 24 maggio 2015 A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)

21 15 rassegna stampa fisac dal 18 mag al 24 mag

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Page 1: 21 15 rassegna stampa fisac dal 18 mag al 24 mag

Rassegna stampa settimanale n. 21/2015 ____________________________

Dal 18 maggio 2015 Al 24 maggio 2015

A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)

Page 2: 21 15 rassegna stampa fisac dal 18 mag al 24 mag

BANCHE

Page 3: 21 15 rassegna stampa fisac dal 18 mag al 24 mag

8 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 18 MAGGIO 2015

L’intervento

«Diamo un mercato alle sofferenze»Una gestione dei crediti deteriorati potrebbe liberare risorse pari al 3% del Pil

In Italia i crediti deterio-rati sono pari a circa350 miliardi di euro di

cui quasi 200 di sofferenze.Questa situazione distraele banche dalla gestione fi-siologica della loro princi-pale attività, vale a dire laconcessione di nuovi pre-stiti e la verifica del valoredi quelli già concessi, e au-menta le esigenze di capi-tale. La combinazione diquesti due elementi puòrallentare fortemente laconcessione di nuovi pre-stiti da parte di banche giàprovate da sette anni in cuiil prodotto pro-capite inItalia è sceso dell’11% intermini reali.

La concentrazione deiprestiti deteriorati pressole banche è figlia dell’as-senza di un mercato secon-dario. Da tempo, da una

data molto antecedente al-la partenza del recente di-battito sulla bad bank ita-liana, gli operatori stranierisono molto interessati adacquisire i prestiti deterio-rati delle banche italiane,offrendo prezzi che con-sentirebbero loro di conse-guire margini di rendi-mento molto interessanti.Si tratterebbe di un impat-to macroeconomico moltorilevante. Se i 200 miliardidi sofferenze venissero ac-quisiti diciamo a 50 e con-sentissero poi di realizzare100 miliardi, ci sarebbeuna creazione di valore di50 miliardi, pari ad oltre il3% del prodotto internolordo.

Per far nascere un mer-cato dei crediti deteriorati,dato che l’offerta non man-ca, bisogna creare una do-

manda disponibile a paga-re prezzi ragionevoli. Gliinvestitori istituzionali ita-liani però non sono molti esono avversi al rischio e ciòfa pensare ad una fortepartecipazione di investito-ri esteri, che correrebbero

certo rischi rilevanti a fron-te però di elevati rendi-menti attesi.

Tali rendimenti sareb-bero ancora più elevati se le banche fossero in qual-che modo costrette a cede-re i prestiti in condizioni didebolezza, ad esempio cau-

sate da un indebolimentodella congiuntura o da ul-teriori irrigidimenti nei re-quisiti di capitale. Le svalu-tazioni di bilancio associa-te alla recente Asset quali-ty review condotta dallaBce, e l’aumento del gradodi copertura dei prestiti de-teriorati rendono più facilel’offerta e quindi più con-creto il rischio dello scena-rio ipotizzato.

La riforma strutturaleessenziale per aiutare lanascita di un mercato ordi-nato, in cui le valutazioniiniziali consentono un ade-guato riconoscimento delleprospettive future dellesingole situazioni, riguardale procedure di insolvenza e i tempi di recupero deicrediti. Una riforma in taledirezione automaticamen-te farebbe aumentare il

prezzo di equilibrio sulmercato e consentirebbeuna parziale chiusura dellaforbice che adesso separaprezzi di acquisto e prezzidi vendita, facendo conver-gere i secondi verso i primi.

Le banche italiane po-

trebbero quindi ristruttu-rare i propri bilanci senzadover sacrificare troppovalore. Gli investitori istitu-zionali italiani sarebberopiù disponibili a partecipa-re all’acquisto, facendo au-mentare la domanda com-plessiva. Si farebbe un al-

tro passo importante versola modernizzazione econo-mica del paese. Certamen-te occorre essere consape-voli che la riforma avrebbeimplicazioni potenzial-mente negative di breveperiodo.

La gestione di prestitideteriorati da parte di ope-ratori specializzati che nonsono vincolati alle impreseda un rapporto di cono-scenza di lungo periodo sa-rebbe certamente più dolo-rosa per le imprese, e po-trebbe essere utile studiaremisure accessorie, finan-ziate parzialmente attra-verso il valore complessi-vamente creato da questariforma, che consentanouna nuova partenza agliimprenditori che lo merita-no. La debolissima ripresache caratterizza l’economia

italiana deve essere rinfor-zata e non penalizzata.

Nel dibattito sulla badbank in queste ultime set-timane ci si è soffermati so-prattutto sul rischio che sipossa trattare di un «aiutodi Stato» contestabile dal-l’Europa. L’accusa sarebbepiù facile da gestire in pre-senza di un mercato vero,che però non può nascerein poche settimane. Piùche di un aiuto di Stato, civorrebbe un aiuto da partedello Stato per favorire,senza regali, il lavoro dioperatori privati che nonabbiano un intento preda-torio, ma siano disponibilia considerare rendimentiplausibili in linea con un ri-schio non tanto diverso daquello che si corre in questicasi nel resto del mondo,contribuendo a sbloccarela situazione ed a far afflui-re risorse finanziarie alleaziende che vogliono cre-scere. La nascita del merca-to deve però seguire le ri-forme.

*Università Bocconi© RIPRODUZIONE RISERVATA

di ANDREA BELTRATTI*

Sono 350 i miliardi di prestitiche non rientranoin banca

Un portafoglio che fa molta gola agli investitoristranieri

La riforma del settoreLe prossime mosse

Finanza

SNAPSHOT

Non sono mancate le sorprese nell’assemblea di Uni-credit che ha rinnovato il cda per il prossimo triennio,

confermando il ticket di testa Giuseppe Vita-FedericoGhizzoni. Anzitutto, due dati: in assemblea si è rappresen-tato il 52 per cento del capitale. Di questo il 54 per centoha votato la lista dei fondi, con Lucrezia Reichlin unicacandidata.Un segnale importante a livello di governance, dove si sonoregistrate 5 new entry nel consiglio con 12 indipendenti su17 e sei donne. Per la componente femminile sono statesondate candidate da molti paesi: Italia, Germania, Usa eFinlandia. Il risultato vede Paola Vezzani come espressio-ne delle Fondazioni minori, Clara Streit degli azionisti di li-sta 1 ed Elena Zambon per il mondo industriale italiano.«Una presenza massiccia dei fondi – ha detto il presidente

Vita – è testimone della visibilità estera del gruppo».Sono poi riapparsi i titolari della quota di quasi il 4,2 percento del capitale che faceva capo al governo libico. Dopotre anni di assenza, dovuti alle note vicende interne al pa-ese nordafricano, la rappresentanza libica è tornata ad ac-creditarsi con Vita e Ghizzoni.Poi, di non poco conto, è stata la creazione della terza vice-presidenza. Dopo una lunga campagna di tessitura delletrame, che aveva nei fatti portato al dimezzamento dellevicepresidenze (fuori Candido Fois di Cariverona e Vincen-zo Calandra Buonaura), con la conferma di Fabrizio Palen-zona e Luca Cordero di Montezemolo, il presidente Vitasembra abbia rotto l’impasse che si era venuta a creare con la sua richiesta di un vicepresidente vicario che lo po-tesse accompagnare nell’impegno quotidiano.Sebbene sia Palenzona che Montezemolo dedichino moltotempo al loro incarico in Unicredit, un coinvolgimento quo-tidiano non risultava compatibile con le agende e, forse,anche avrebbe creato qualche frizione, visto che oggi i duesono i portatori degli interessi rispettivamente dei soci ita-liani e stranieri. Così Calandra Buonaura, alla fine, è statoconfermato nel ruolo che occupava fino a martedì scorso.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

La crescita dei fondie degli indipendentiUnicredit: un continuosguardo verso l’estero

UnipolSaiCarlo Cimbri, «ceo» delgruppo assicurativo

Banche L’alleggerimento in Unicredit di Cariverona dovrebbe liberare quasi mezzo miliardo. Da reinvestire nel settore

Popolari Il fattore Unipol agita la via EmiliaLa compagnia potrebbe divenire azionista di riferimento per Banco, Bper e Milano. Le mosse di BiasiDI STEFANO RIGHI

Il primo a muovere vincetutto. Il principio è benchiaro nella mente dei ca-pi azienda delle dieci ban-

che popolari chiamate a tra-sformarsi in spa. Ed altrettantochiaro è il rischio che, una voltaabbandonata la forma coopera-tiva, le sette banche coinvoltedal provvedimento del governoche sono già quotate in Borsa,potrebbero divenire oggetto dirapaci attenzioni da parte di in-vestitori interessati ad assu-merne il controllo.

Per questo oggi, più che alpartner le attenzioni maggiorisono destinate alla creazione oal consolidamento di un noccio-lo duro e stabile di azionisti, ca-pace di dare continuità all’as-setto proprietario degli istituti.Ma, giunto al termine il bluffdel voto capitario – strumentoinadeguato per banche di di-mensioni nazionali che usano il«radicamento territoriale» co-me un qualsiasi slogan dettatodall’ufficio marketing interno–, i signorotti del credito locale

si stanno rendendo conto diquanto diverso sia comandarein una assemblea popolare dal-l’aprire il portafoglio e mettere isoldi sul tavolo. Specie in pro-vincia, dove ai capitali hanspesso preferito le chiacchiere.

A Milano infatti, come in ca-sa Ubi e nei tre principali poliche han dato vita al Banco Po-polare (Verona, Novara, Lodi),il problema è già all’ordine delgiorno. E il coinvolgimento diinvestitori istituzionali esternial mondo del credito cooperati-vo è avviato.

Interessi divergentiPer un Reale group (vedi pa-

gina 11) che si chiama fuori dalrisiko, ci sono almeno due altreistituzioni pronte a giocare lapartita. La Fondazione Carive-rona – nei fatti ridimensionatanel suo ruolo di azionista di ri-ferimento di Unicredit – scen-derà nel capitale, vendendoazioni e liberando risorse. Men-tre UnipolSai, dopo aver coper-to le sofferenze della banca dicasa versando 1,1 miliardi di eu-

ro, da novembre ha un’unicastruttura creditizia di gruppo eora potrebbe partecipare, se-condo le parole del suo ceo,Carlo Cimbri, «ai processi diconsolidamento del settore».Cimbri è l’autore della più gran-de fusione nel mercato assicu-rativo italiano in tempi recenti ela natura cooperativa di unaparte del suo gruppo (Unipol)collima con l’anima di quelle

banche che maggiormente ne-cessitano di capitale.

Unipolbanca, dopo le diffi-coltà del passato, ha ora chiusol’ultimo trimestre con un utilenetto di circa 3 milioni di euro,che è una cifra da un lato pron-ta a testimoniare la ritrovataredditività dell’azienda e dall’al-tro l’inadeguatezza delle di-mensioni rispetto al gruppo, vi-sti anche i suoi 300 sportelli.

Nei corridoi della compagniaassicuratrice prevale un ragio-namento: con queste dimensio-ni la banca non ha ragione diessere, o la si pone sul mercatoo la si fa crescere… Ed è perquesto che il ragionamento diCimbri, di porsi come socio diminoranza e di lungo termine,assume particolare importan-za. Oggi UnipolSai è partner in-dustriale nella bancassicurazio-

ne del Banco Popolare. Lo di-venterà anche dal punto di vistadell’azionariato? È possibile. Lealtre direttrici praticabili sem-brano al momento essere laBper, non fosse altro per le co-muni radici emiliane e la Popo-lare di Milano, che dopo la curaCastagna fa gola a molti.

VeronaDiverso il discorso per Cari-

verona. La Fondazione presie-duta da Paolo Biasi si è impe-gnata a portare la partecipazio-ne in Unicredit – che oggi valecirca il 50 per cento degli attiviinvestiti – sotto il 33 per centodel totale. Si prefigura quindi lacessione di una quota di circa il18 per cento di quel 3,534 percento del capitale di Unicreditancora in portafoglio. Con mol-ta approssimazione si libere-rebbe, ai corsi attuali, una cifravicina ai 491 milioni di euro cheCariverona potrebbe investirealtrove. Se deciderà di puntareancora sul settore bancario (ac-cendendo qualche perplessitàquanto a diversificazione dei ri-schi) o preferirà altro, si vedrà.Formalmente la mancata parte-cipazione al listone che merco-ledì scorso ha rinnovato il bo-ard di Unicredit – portando daquattro a tre i vicepresidenti,con la cancellazione proprio delrappresentante veronese Can-dido Fois – è stata dettata dallavolontà «di non avere alcuncondizionamento nelle scelte didiversificazione del proprio pa-trimonio tenuto conto delle op-portunità offerte dal riordinodel sistema delle banche popo-lari».

Sarà Biasi il creatore delnuovo nocciolo duro delle po-polari venete? La Cassa da cui èderivata la Fondazione operavaa Verona, Vicenza, Belluno eAncona. Al netto di Banca Mar-che, le candidate naturali ad ac-cendere l’interesse dell’ente ve-ronese sembrano essere il Ban-co Popolare, la Popolare di Vi-cenza e, in parte, Veneto Banca.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Banco PopolareIl «ceo» PierFrancesco Saviotti

BpmGiuseppe Castagna, a.d.del gruppo milanese

BperIl «ceo»Alessandro Vandelli

La trasformazione sociale rischiadi metterein gioco la stabilità

Vicenza

Il ko di Sorato e la sindromedi Bitossi

Le improvvise dimissionidell’amministratore dele-gato della Banca Popolare

di Vicenza, Samuele Sorato, apro-no più di un interrogativo sul fu-turo della banca presieduta daGianni Zonin (nella foto). L’epi-sodio richiama alla mente quelpomeriggio di Gand del 1972.Mondiali di ciclismo: Franco Bi-tossi fu l’autore di una fuga infini-ta e sfortunata, al punto che – apoche decine di metri dal tra-guardo – venne raggiunto e supe-rato da un compagno di squadra,il vicentino Marino Basso, che silaureò campione del Mondo. An-che quella di Sorato è stata unalunga corsa, visto che era alla Po-polare di Vicenza da vent’anni. Dadieci anni, almeno, nel top mana-gement, dal 2008 direttore gene-rale. Un uomo della banca, gradi-

to al pre-s i d e n t eZonin, al-meno f i-no al me-se scorso,visto chea febbraioera statonominato

amministratore delegato. Ecco, atre mesi dalla nomina che corona-va la carriera, il black out. La ban-ca ne esce frastornata. I piccoliazionisti temono una nuova revi-sione al ribasso del valore delleloro azioni, scese il mese scorso dioltre il 20 per cento. I possibili einvocati partner – su tutti VenetoBanca – prendono le distanze. Sisusseguono le voci, riemergonofantasmi che parevano allontana-ti, si guarda con attenzione al-l’area finanza. La Consob sta in-dagando sui due ultimi aumentidi capitale. La Bce scava nei bilan-ci. Se Sorato deve il posto all’azio-ne di Consob e Bce, come talunisostengono, si saprà presto e se leoperazioni finite sotto la lente so-no precedenti al febbraio 2015non sarà l’unico a vivere la sin-drome di Bitossi: vedersi scaval-care quando il più sembrava fatto.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

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8 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 18 MAGGIO 2015

L’intervento

«Diamo un mercato alle sofferenze»Una gestione dei crediti deteriorati potrebbe liberare risorse pari al 3% del Pil

In Italia i crediti deterio-rati sono pari a circa350 miliardi di euro di

cui quasi 200 di sofferenze.Questa situazione distraele banche dalla gestione fi-siologica della loro princi-pale attività, vale a dire laconcessione di nuovi pre-stiti e la verifica del valoredi quelli già concessi, e au-menta le esigenze di capi-tale. La combinazione diquesti due elementi puòrallentare fortemente laconcessione di nuovi pre-stiti da parte di banche giàprovate da sette anni in cuiil prodotto pro-capite inItalia è sceso dell’11% intermini reali.

La concentrazione deiprestiti deteriorati pressole banche è figlia dell’as-senza di un mercato secon-dario. Da tempo, da una

data molto antecedente al-la partenza del recente di-battito sulla bad bank ita-liana, gli operatori stranierisono molto interessati adacquisire i prestiti deterio-rati delle banche italiane,offrendo prezzi che con-sentirebbero loro di conse-guire margini di rendi-mento molto interessanti.Si tratterebbe di un impat-to macroeconomico moltorilevante. Se i 200 miliardidi sofferenze venissero ac-quisiti diciamo a 50 e con-sentissero poi di realizzare100 miliardi, ci sarebbeuna creazione di valore di50 miliardi, pari ad oltre il3% del prodotto internolordo.

Per far nascere un mer-cato dei crediti deteriorati,dato che l’offerta non man-ca, bisogna creare una do-

manda disponibile a paga-re prezzi ragionevoli. Gliinvestitori istituzionali ita-liani però non sono molti esono avversi al rischio e ciòfa pensare ad una fortepartecipazione di investito-ri esteri, che correrebbero

certo rischi rilevanti a fron-te però di elevati rendi-menti attesi.

Tali rendimenti sareb-bero ancora più elevati se le banche fossero in qual-che modo costrette a cede-re i prestiti in condizioni didebolezza, ad esempio cau-

sate da un indebolimentodella congiuntura o da ul-teriori irrigidimenti nei re-quisiti di capitale. Le svalu-tazioni di bilancio associa-te alla recente Asset quali-ty review condotta dallaBce, e l’aumento del gradodi copertura dei prestiti de-teriorati rendono più facilel’offerta e quindi più con-creto il rischio dello scena-rio ipotizzato.

La riforma strutturaleessenziale per aiutare lanascita di un mercato ordi-nato, in cui le valutazioniiniziali consentono un ade-guato riconoscimento delleprospettive future dellesingole situazioni, riguardale procedure di insolvenza e i tempi di recupero deicrediti. Una riforma in taledirezione automaticamen-te farebbe aumentare il

prezzo di equilibrio sulmercato e consentirebbeuna parziale chiusura dellaforbice che adesso separaprezzi di acquisto e prezzidi vendita, facendo conver-gere i secondi verso i primi.

Le banche italiane po-

trebbero quindi ristruttu-rare i propri bilanci senzadover sacrificare troppovalore. Gli investitori istitu-zionali italiani sarebberopiù disponibili a partecipa-re all’acquisto, facendo au-mentare la domanda com-plessiva. Si farebbe un al-

tro passo importante versola modernizzazione econo-mica del paese. Certamen-te occorre essere consape-voli che la riforma avrebbeimplicazioni potenzial-mente negative di breveperiodo.

La gestione di prestitideteriorati da parte di ope-ratori specializzati che nonsono vincolati alle impreseda un rapporto di cono-scenza di lungo periodo sa-rebbe certamente più dolo-rosa per le imprese, e po-trebbe essere utile studiaremisure accessorie, finan-ziate parzialmente attra-verso il valore complessi-vamente creato da questariforma, che consentanouna nuova partenza agliimprenditori che lo merita-no. La debolissima ripresache caratterizza l’economia

italiana deve essere rinfor-zata e non penalizzata.

Nel dibattito sulla badbank in queste ultime set-timane ci si è soffermati so-prattutto sul rischio che sipossa trattare di un «aiutodi Stato» contestabile dal-l’Europa. L’accusa sarebbepiù facile da gestire in pre-senza di un mercato vero,che però non può nascerein poche settimane. Piùche di un aiuto di Stato, civorrebbe un aiuto da partedello Stato per favorire,senza regali, il lavoro dioperatori privati che nonabbiano un intento preda-torio, ma siano disponibilia considerare rendimentiplausibili in linea con un ri-schio non tanto diverso daquello che si corre in questicasi nel resto del mondo,contribuendo a sbloccarela situazione ed a far afflui-re risorse finanziarie alleaziende che vogliono cre-scere. La nascita del merca-to deve però seguire le ri-forme.

*Università Bocconi© RIPRODUZIONE RISERVATA

di ANDREA BELTRATTI*

Sono 350 i miliardi di prestitiche non rientranoin banca

Un portafoglio che fa molta gola agli investitoristranieri

La riforma del settoreLe prossime mosse

Finanza

SNAPSHOT

Non sono mancate le sorprese nell’assemblea di Uni-credit che ha rinnovato il cda per il prossimo triennio,

confermando il ticket di testa Giuseppe Vita-FedericoGhizzoni. Anzitutto, due dati: in assemblea si è rappresen-tato il 52 per cento del capitale. Di questo il 54 per centoha votato la lista dei fondi, con Lucrezia Reichlin unicacandidata.Un segnale importante a livello di governance, dove si sonoregistrate 5 new entry nel consiglio con 12 indipendenti su17 e sei donne. Per la componente femminile sono statesondate candidate da molti paesi: Italia, Germania, Usa eFinlandia. Il risultato vede Paola Vezzani come espressio-ne delle Fondazioni minori, Clara Streit degli azionisti di li-sta 1 ed Elena Zambon per il mondo industriale italiano.«Una presenza massiccia dei fondi – ha detto il presidente

Vita – è testimone della visibilità estera del gruppo».Sono poi riapparsi i titolari della quota di quasi il 4,2 percento del capitale che faceva capo al governo libico. Dopotre anni di assenza, dovuti alle note vicende interne al pa-ese nordafricano, la rappresentanza libica è tornata ad ac-creditarsi con Vita e Ghizzoni.Poi, di non poco conto, è stata la creazione della terza vice-presidenza. Dopo una lunga campagna di tessitura delletrame, che aveva nei fatti portato al dimezzamento dellevicepresidenze (fuori Candido Fois di Cariverona e Vincen-zo Calandra Buonaura), con la conferma di Fabrizio Palen-zona e Luca Cordero di Montezemolo, il presidente Vitasembra abbia rotto l’impasse che si era venuta a creare con la sua richiesta di un vicepresidente vicario che lo po-tesse accompagnare nell’impegno quotidiano.Sebbene sia Palenzona che Montezemolo dedichino moltotempo al loro incarico in Unicredit, un coinvolgimento quo-tidiano non risultava compatibile con le agende e, forse,anche avrebbe creato qualche frizione, visto che oggi i duesono i portatori degli interessi rispettivamente dei soci ita-liani e stranieri. Così Calandra Buonaura, alla fine, è statoconfermato nel ruolo che occupava fino a martedì scorso.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

La crescita dei fondie degli indipendentiUnicredit: un continuosguardo verso l’estero

UnipolSaiCarlo Cimbri, «ceo» delgruppo assicurativo

Banche L’alleggerimento in Unicredit di Cariverona dovrebbe liberare quasi mezzo miliardo. Da reinvestire nel settore

Popolari Il fattore Unipol agita la via EmiliaLa compagnia potrebbe divenire azionista di riferimento per Banco, Bper e Milano. Le mosse di BiasiDI STEFANO RIGHI

Il primo a muovere vincetutto. Il principio è benchiaro nella mente dei ca-pi azienda delle dieci ban-

che popolari chiamate a tra-sformarsi in spa. Ed altrettantochiaro è il rischio che, una voltaabbandonata la forma coopera-tiva, le sette banche coinvoltedal provvedimento del governoche sono già quotate in Borsa,potrebbero divenire oggetto dirapaci attenzioni da parte di in-vestitori interessati ad assu-merne il controllo.

Per questo oggi, più che alpartner le attenzioni maggiorisono destinate alla creazione oal consolidamento di un noccio-lo duro e stabile di azionisti, ca-pace di dare continuità all’as-setto proprietario degli istituti.Ma, giunto al termine il bluffdel voto capitario – strumentoinadeguato per banche di di-mensioni nazionali che usano il«radicamento territoriale» co-me un qualsiasi slogan dettatodall’ufficio marketing interno–, i signorotti del credito locale

si stanno rendendo conto diquanto diverso sia comandarein una assemblea popolare dal-l’aprire il portafoglio e mettere isoldi sul tavolo. Specie in pro-vincia, dove ai capitali hanspesso preferito le chiacchiere.

A Milano infatti, come in ca-sa Ubi e nei tre principali poliche han dato vita al Banco Po-polare (Verona, Novara, Lodi),il problema è già all’ordine delgiorno. E il coinvolgimento diinvestitori istituzionali esternial mondo del credito cooperati-vo è avviato.

Interessi divergentiPer un Reale group (vedi pa-

gina 11) che si chiama fuori dalrisiko, ci sono almeno due altreistituzioni pronte a giocare lapartita. La Fondazione Carive-rona – nei fatti ridimensionatanel suo ruolo di azionista di ri-ferimento di Unicredit – scen-derà nel capitale, vendendoazioni e liberando risorse. Men-tre UnipolSai, dopo aver coper-to le sofferenze della banca dicasa versando 1,1 miliardi di eu-

ro, da novembre ha un’unicastruttura creditizia di gruppo eora potrebbe partecipare, se-condo le parole del suo ceo,Carlo Cimbri, «ai processi diconsolidamento del settore».Cimbri è l’autore della più gran-de fusione nel mercato assicu-rativo italiano in tempi recenti ela natura cooperativa di unaparte del suo gruppo (Unipol)collima con l’anima di quelle

banche che maggiormente ne-cessitano di capitale.

Unipolbanca, dopo le diffi-coltà del passato, ha ora chiusol’ultimo trimestre con un utilenetto di circa 3 milioni di euro,che è una cifra da un lato pron-ta a testimoniare la ritrovataredditività dell’azienda e dall’al-tro l’inadeguatezza delle di-mensioni rispetto al gruppo, vi-sti anche i suoi 300 sportelli.

Nei corridoi della compagniaassicuratrice prevale un ragio-namento: con queste dimensio-ni la banca non ha ragione diessere, o la si pone sul mercatoo la si fa crescere… Ed è perquesto che il ragionamento diCimbri, di porsi come socio diminoranza e di lungo termine,assume particolare importan-za. Oggi UnipolSai è partner in-dustriale nella bancassicurazio-

ne del Banco Popolare. Lo di-venterà anche dal punto di vistadell’azionariato? È possibile. Lealtre direttrici praticabili sem-brano al momento essere laBper, non fosse altro per le co-muni radici emiliane e la Popo-lare di Milano, che dopo la curaCastagna fa gola a molti.

VeronaDiverso il discorso per Cari-

verona. La Fondazione presie-duta da Paolo Biasi si è impe-gnata a portare la partecipazio-ne in Unicredit – che oggi valecirca il 50 per cento degli attiviinvestiti – sotto il 33 per centodel totale. Si prefigura quindi lacessione di una quota di circa il18 per cento di quel 3,534 percento del capitale di Unicreditancora in portafoglio. Con mol-ta approssimazione si libere-rebbe, ai corsi attuali, una cifravicina ai 491 milioni di euro cheCariverona potrebbe investirealtrove. Se deciderà di puntareancora sul settore bancario (ac-cendendo qualche perplessitàquanto a diversificazione dei ri-schi) o preferirà altro, si vedrà.Formalmente la mancata parte-cipazione al listone che merco-ledì scorso ha rinnovato il bo-ard di Unicredit – portando daquattro a tre i vicepresidenti,con la cancellazione proprio delrappresentante veronese Can-dido Fois – è stata dettata dallavolontà «di non avere alcuncondizionamento nelle scelte didiversificazione del proprio pa-trimonio tenuto conto delle op-portunità offerte dal riordinodel sistema delle banche popo-lari».

Sarà Biasi il creatore delnuovo nocciolo duro delle po-polari venete? La Cassa da cui èderivata la Fondazione operavaa Verona, Vicenza, Belluno eAncona. Al netto di Banca Mar-che, le candidate naturali ad ac-cendere l’interesse dell’ente ve-ronese sembrano essere il Ban-co Popolare, la Popolare di Vi-cenza e, in parte, Veneto Banca.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Banco PopolareIl «ceo» PierFrancesco Saviotti

BpmGiuseppe Castagna, a.d.del gruppo milanese

BperIl «ceo»Alessandro Vandelli

La trasformazione sociale rischiadi metterein gioco la stabilità

Vicenza

Il ko di Sorato e la sindromedi Bitossi

Le improvvise dimissionidell’amministratore dele-gato della Banca Popolare

di Vicenza, Samuele Sorato, apro-no più di un interrogativo sul fu-turo della banca presieduta daGianni Zonin (nella foto). L’epi-sodio richiama alla mente quelpomeriggio di Gand del 1972.Mondiali di ciclismo: Franco Bi-tossi fu l’autore di una fuga infini-ta e sfortunata, al punto che – apoche decine di metri dal tra-guardo – venne raggiunto e supe-rato da un compagno di squadra,il vicentino Marino Basso, che silaureò campione del Mondo. An-che quella di Sorato è stata unalunga corsa, visto che era alla Po-polare di Vicenza da vent’anni. Dadieci anni, almeno, nel top mana-gement, dal 2008 direttore gene-rale. Un uomo della banca, gradi-

to al pre-s i d e n t eZonin, al-meno f i-no al me-se scorso,visto chea febbraioera statonominato

amministratore delegato. Ecco, atre mesi dalla nomina che corona-va la carriera, il black out. La ban-ca ne esce frastornata. I piccoliazionisti temono una nuova revi-sione al ribasso del valore delleloro azioni, scese il mese scorso dioltre il 20 per cento. I possibili einvocati partner – su tutti VenetoBanca – prendono le distanze. Sisusseguono le voci, riemergonofantasmi che parevano allontana-ti, si guarda con attenzione al-l’area finanza. La Consob sta in-dagando sui due ultimi aumentidi capitale. La Bce scava nei bilan-ci. Se Sorato deve il posto all’azio-ne di Consob e Bce, come talunisostengono, si saprà presto e se leoperazioni finite sotto la lente so-no precedenti al febbraio 2015non sarà l’unico a vivere la sin-drome di Bitossi: vedersi scaval-care quando il più sembrava fatto.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Page 5: 21 15 rassegna stampa fisac dal 18 mag al 24 mag

8 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 18 MAGGIO 2015

L’intervento

«Diamo un mercato alle sofferenze»Una gestione dei crediti deteriorati potrebbe liberare risorse pari al 3% del Pil

In Italia i crediti deterio-rati sono pari a circa350 miliardi di euro di

cui quasi 200 di sofferenze.Questa situazione distraele banche dalla gestione fi-siologica della loro princi-pale attività, vale a dire laconcessione di nuovi pre-stiti e la verifica del valoredi quelli già concessi, e au-menta le esigenze di capi-tale. La combinazione diquesti due elementi puòrallentare fortemente laconcessione di nuovi pre-stiti da parte di banche giàprovate da sette anni in cuiil prodotto pro-capite inItalia è sceso dell’11% intermini reali.

La concentrazione deiprestiti deteriorati pressole banche è figlia dell’as-senza di un mercato secon-dario. Da tempo, da una

data molto antecedente al-la partenza del recente di-battito sulla bad bank ita-liana, gli operatori stranierisono molto interessati adacquisire i prestiti deterio-rati delle banche italiane,offrendo prezzi che con-sentirebbero loro di conse-guire margini di rendi-mento molto interessanti.Si tratterebbe di un impat-to macroeconomico moltorilevante. Se i 200 miliardidi sofferenze venissero ac-quisiti diciamo a 50 e con-sentissero poi di realizzare100 miliardi, ci sarebbeuna creazione di valore di50 miliardi, pari ad oltre il3% del prodotto internolordo.

Per far nascere un mer-cato dei crediti deteriorati,dato che l’offerta non man-ca, bisogna creare una do-

manda disponibile a paga-re prezzi ragionevoli. Gliinvestitori istituzionali ita-liani però non sono molti esono avversi al rischio e ciòfa pensare ad una fortepartecipazione di investito-ri esteri, che correrebbero

certo rischi rilevanti a fron-te però di elevati rendi-menti attesi.

Tali rendimenti sareb-bero ancora più elevati se le banche fossero in qual-che modo costrette a cede-re i prestiti in condizioni didebolezza, ad esempio cau-

sate da un indebolimentodella congiuntura o da ul-teriori irrigidimenti nei re-quisiti di capitale. Le svalu-tazioni di bilancio associa-te alla recente Asset quali-ty review condotta dallaBce, e l’aumento del gradodi copertura dei prestiti de-teriorati rendono più facilel’offerta e quindi più con-creto il rischio dello scena-rio ipotizzato.

La riforma strutturaleessenziale per aiutare lanascita di un mercato ordi-nato, in cui le valutazioniiniziali consentono un ade-guato riconoscimento delleprospettive future dellesingole situazioni, riguardale procedure di insolvenza e i tempi di recupero deicrediti. Una riforma in taledirezione automaticamen-te farebbe aumentare il

prezzo di equilibrio sulmercato e consentirebbeuna parziale chiusura dellaforbice che adesso separaprezzi di acquisto e prezzidi vendita, facendo conver-gere i secondi verso i primi.

Le banche italiane po-

trebbero quindi ristruttu-rare i propri bilanci senzadover sacrificare troppovalore. Gli investitori istitu-zionali italiani sarebberopiù disponibili a partecipa-re all’acquisto, facendo au-mentare la domanda com-plessiva. Si farebbe un al-

tro passo importante versola modernizzazione econo-mica del paese. Certamen-te occorre essere consape-voli che la riforma avrebbeimplicazioni potenzial-mente negative di breveperiodo.

La gestione di prestitideteriorati da parte di ope-ratori specializzati che nonsono vincolati alle impreseda un rapporto di cono-scenza di lungo periodo sa-rebbe certamente più dolo-rosa per le imprese, e po-trebbe essere utile studiaremisure accessorie, finan-ziate parzialmente attra-verso il valore complessi-vamente creato da questariforma, che consentanouna nuova partenza agliimprenditori che lo merita-no. La debolissima ripresache caratterizza l’economia

italiana deve essere rinfor-zata e non penalizzata.

Nel dibattito sulla badbank in queste ultime set-timane ci si è soffermati so-prattutto sul rischio che sipossa trattare di un «aiutodi Stato» contestabile dal-l’Europa. L’accusa sarebbepiù facile da gestire in pre-senza di un mercato vero,che però non può nascerein poche settimane. Piùche di un aiuto di Stato, civorrebbe un aiuto da partedello Stato per favorire,senza regali, il lavoro dioperatori privati che nonabbiano un intento preda-torio, ma siano disponibilia considerare rendimentiplausibili in linea con un ri-schio non tanto diverso daquello che si corre in questicasi nel resto del mondo,contribuendo a sbloccarela situazione ed a far afflui-re risorse finanziarie alleaziende che vogliono cre-scere. La nascita del merca-to deve però seguire le ri-forme.

*Università Bocconi© RIPRODUZIONE RISERVATA

di ANDREA BELTRATTI*

Sono 350 i miliardi di prestitiche non rientranoin banca

Un portafoglio che fa molta gola agli investitoristranieri

La riforma del settoreLe prossime mosse

Finanza

SNAPSHOT

Non sono mancate le sorprese nell’assemblea di Uni-credit che ha rinnovato il cda per il prossimo triennio,

confermando il ticket di testa Giuseppe Vita-FedericoGhizzoni. Anzitutto, due dati: in assemblea si è rappresen-tato il 52 per cento del capitale. Di questo il 54 per centoha votato la lista dei fondi, con Lucrezia Reichlin unicacandidata.Un segnale importante a livello di governance, dove si sonoregistrate 5 new entry nel consiglio con 12 indipendenti su17 e sei donne. Per la componente femminile sono statesondate candidate da molti paesi: Italia, Germania, Usa eFinlandia. Il risultato vede Paola Vezzani come espressio-ne delle Fondazioni minori, Clara Streit degli azionisti di li-sta 1 ed Elena Zambon per il mondo industriale italiano.«Una presenza massiccia dei fondi – ha detto il presidente

Vita – è testimone della visibilità estera del gruppo».Sono poi riapparsi i titolari della quota di quasi il 4,2 percento del capitale che faceva capo al governo libico. Dopotre anni di assenza, dovuti alle note vicende interne al pa-ese nordafricano, la rappresentanza libica è tornata ad ac-creditarsi con Vita e Ghizzoni.Poi, di non poco conto, è stata la creazione della terza vice-presidenza. Dopo una lunga campagna di tessitura delletrame, che aveva nei fatti portato al dimezzamento dellevicepresidenze (fuori Candido Fois di Cariverona e Vincen-zo Calandra Buonaura), con la conferma di Fabrizio Palen-zona e Luca Cordero di Montezemolo, il presidente Vitasembra abbia rotto l’impasse che si era venuta a creare con la sua richiesta di un vicepresidente vicario che lo po-tesse accompagnare nell’impegno quotidiano.Sebbene sia Palenzona che Montezemolo dedichino moltotempo al loro incarico in Unicredit, un coinvolgimento quo-tidiano non risultava compatibile con le agende e, forse,anche avrebbe creato qualche frizione, visto che oggi i duesono i portatori degli interessi rispettivamente dei soci ita-liani e stranieri. Così Calandra Buonaura, alla fine, è statoconfermato nel ruolo che occupava fino a martedì scorso.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

La crescita dei fondie degli indipendentiUnicredit: un continuosguardo verso l’estero

UnipolSaiCarlo Cimbri, «ceo» delgruppo assicurativo

Banche L’alleggerimento in Unicredit di Cariverona dovrebbe liberare quasi mezzo miliardo. Da reinvestire nel settore

Popolari Il fattore Unipol agita la via EmiliaLa compagnia potrebbe divenire azionista di riferimento per Banco, Bper e Milano. Le mosse di BiasiDI STEFANO RIGHI

Il primo a muovere vincetutto. Il principio è benchiaro nella mente dei ca-pi azienda delle dieci ban-

che popolari chiamate a tra-sformarsi in spa. Ed altrettantochiaro è il rischio che, una voltaabbandonata la forma coopera-tiva, le sette banche coinvoltedal provvedimento del governoche sono già quotate in Borsa,potrebbero divenire oggetto dirapaci attenzioni da parte di in-vestitori interessati ad assu-merne il controllo.

Per questo oggi, più che alpartner le attenzioni maggiorisono destinate alla creazione oal consolidamento di un noccio-lo duro e stabile di azionisti, ca-pace di dare continuità all’as-setto proprietario degli istituti.Ma, giunto al termine il bluffdel voto capitario – strumentoinadeguato per banche di di-mensioni nazionali che usano il«radicamento territoriale» co-me un qualsiasi slogan dettatodall’ufficio marketing interno–, i signorotti del credito locale

si stanno rendendo conto diquanto diverso sia comandarein una assemblea popolare dal-l’aprire il portafoglio e mettere isoldi sul tavolo. Specie in pro-vincia, dove ai capitali hanspesso preferito le chiacchiere.

A Milano infatti, come in ca-sa Ubi e nei tre principali poliche han dato vita al Banco Po-polare (Verona, Novara, Lodi),il problema è già all’ordine delgiorno. E il coinvolgimento diinvestitori istituzionali esternial mondo del credito cooperati-vo è avviato.

Interessi divergentiPer un Reale group (vedi pa-

gina 11) che si chiama fuori dalrisiko, ci sono almeno due altreistituzioni pronte a giocare lapartita. La Fondazione Carive-rona – nei fatti ridimensionatanel suo ruolo di azionista di ri-ferimento di Unicredit – scen-derà nel capitale, vendendoazioni e liberando risorse. Men-tre UnipolSai, dopo aver coper-to le sofferenze della banca dicasa versando 1,1 miliardi di eu-

ro, da novembre ha un’unicastruttura creditizia di gruppo eora potrebbe partecipare, se-condo le parole del suo ceo,Carlo Cimbri, «ai processi diconsolidamento del settore».Cimbri è l’autore della più gran-de fusione nel mercato assicu-rativo italiano in tempi recenti ela natura cooperativa di unaparte del suo gruppo (Unipol)collima con l’anima di quelle

banche che maggiormente ne-cessitano di capitale.

Unipolbanca, dopo le diffi-coltà del passato, ha ora chiusol’ultimo trimestre con un utilenetto di circa 3 milioni di euro,che è una cifra da un lato pron-ta a testimoniare la ritrovataredditività dell’azienda e dall’al-tro l’inadeguatezza delle di-mensioni rispetto al gruppo, vi-sti anche i suoi 300 sportelli.

Nei corridoi della compagniaassicuratrice prevale un ragio-namento: con queste dimensio-ni la banca non ha ragione diessere, o la si pone sul mercatoo la si fa crescere… Ed è perquesto che il ragionamento diCimbri, di porsi come socio diminoranza e di lungo termine,assume particolare importan-za. Oggi UnipolSai è partner in-dustriale nella bancassicurazio-

ne del Banco Popolare. Lo di-venterà anche dal punto di vistadell’azionariato? È possibile. Lealtre direttrici praticabili sem-brano al momento essere laBper, non fosse altro per le co-muni radici emiliane e la Popo-lare di Milano, che dopo la curaCastagna fa gola a molti.

VeronaDiverso il discorso per Cari-

verona. La Fondazione presie-duta da Paolo Biasi si è impe-gnata a portare la partecipazio-ne in Unicredit – che oggi valecirca il 50 per cento degli attiviinvestiti – sotto il 33 per centodel totale. Si prefigura quindi lacessione di una quota di circa il18 per cento di quel 3,534 percento del capitale di Unicreditancora in portafoglio. Con mol-ta approssimazione si libere-rebbe, ai corsi attuali, una cifravicina ai 491 milioni di euro cheCariverona potrebbe investirealtrove. Se deciderà di puntareancora sul settore bancario (ac-cendendo qualche perplessitàquanto a diversificazione dei ri-schi) o preferirà altro, si vedrà.Formalmente la mancata parte-cipazione al listone che merco-ledì scorso ha rinnovato il bo-ard di Unicredit – portando daquattro a tre i vicepresidenti,con la cancellazione proprio delrappresentante veronese Can-dido Fois – è stata dettata dallavolontà «di non avere alcuncondizionamento nelle scelte didiversificazione del proprio pa-trimonio tenuto conto delle op-portunità offerte dal riordinodel sistema delle banche popo-lari».

Sarà Biasi il creatore delnuovo nocciolo duro delle po-polari venete? La Cassa da cui èderivata la Fondazione operavaa Verona, Vicenza, Belluno eAncona. Al netto di Banca Mar-che, le candidate naturali ad ac-cendere l’interesse dell’ente ve-ronese sembrano essere il Ban-co Popolare, la Popolare di Vi-cenza e, in parte, Veneto Banca.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Banco PopolareIl «ceo» PierFrancesco Saviotti

BpmGiuseppe Castagna, a.d.del gruppo milanese

BperIl «ceo»Alessandro Vandelli

La trasformazione sociale rischiadi metterein gioco la stabilità

Vicenza

Il ko di Sorato e la sindromedi Bitossi

Le improvvise dimissionidell’amministratore dele-gato della Banca Popolare

di Vicenza, Samuele Sorato, apro-no più di un interrogativo sul fu-turo della banca presieduta daGianni Zonin (nella foto). L’epi-sodio richiama alla mente quelpomeriggio di Gand del 1972.Mondiali di ciclismo: Franco Bi-tossi fu l’autore di una fuga infini-ta e sfortunata, al punto che – apoche decine di metri dal tra-guardo – venne raggiunto e supe-rato da un compagno di squadra,il vicentino Marino Basso, che silaureò campione del Mondo. An-che quella di Sorato è stata unalunga corsa, visto che era alla Po-polare di Vicenza da vent’anni. Dadieci anni, almeno, nel top mana-gement, dal 2008 direttore gene-rale. Un uomo della banca, gradi-

to al pre-s i d e n t eZonin, al-meno f i-no al me-se scorso,visto chea febbraioera statonominato

amministratore delegato. Ecco, atre mesi dalla nomina che corona-va la carriera, il black out. La ban-ca ne esce frastornata. I piccoliazionisti temono una nuova revi-sione al ribasso del valore delleloro azioni, scese il mese scorso dioltre il 20 per cento. I possibili einvocati partner – su tutti VenetoBanca – prendono le distanze. Sisusseguono le voci, riemergonofantasmi che parevano allontana-ti, si guarda con attenzione al-l’area finanza. La Consob sta in-dagando sui due ultimi aumentidi capitale. La Bce scava nei bilan-ci. Se Sorato deve il posto all’azio-ne di Consob e Bce, come talunisostengono, si saprà presto e se leoperazioni finite sotto la lente so-no precedenti al febbraio 2015non sarà l’unico a vivere la sin-drome di Bitossi: vedersi scaval-care quando il più sembrava fatto.

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CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 18 MAGGIO 2015 41

Si moltiplicano i segnali di ripresadel mercato immobiliare e tra chivorrebbe garantirsi una fetta so-stanziosa del business in arrivo

sono scese in campo le due major italia-ne del credito, Unicredit e Intesa Sanpa-olo. Entrambe, infatti, hanno dato vita adivisioni che si occupano di intermedia-zione immobiliare e non è detto che re-steranno sole perché altre grandi ban-che sarebbero sul punto di partire.

Ad aprire le danze nel 2014 è stataUnicredit, con la società controllata Su-bito Casa. Nei primi mesi di attività,stando ai dati resi noti da Gabriele Picci-ni, Country chairman Italia di UniCre-dit, ha già raccolto incarichi alla media-zione per oltre 12.500 immobili. UniCre-dit Subito Casa opera su tutto il territo-rio nazionale attraverso una retecostituita da 500 agenti immobiliari, il20% presenti in Lombardia. La rete è an-cora in fase di rodaggio: nei primi tremesi del 2015 sono state concluse oltrecento compravendite. Gli obiettivi a treanni però sono più ambiziosi: «contia-mo — dice Piccini — di arrivare entro il2018 a gestire il 10% delle compravendi-te che si perfezionano grazie all’attivitàdi un intermediario: significherebbe su-perare i 20mila contratti all’anno».

Piani di apertureIntesa Sanpaolo Casa parte solo ora

ma conta di colmare in due anni il gapcon Unicredit: l’obiettivo infatti è rag-giungere quota 300 agenzie entro il 2017.«Le prime agenzie — spiega AndreaLecce, responsabile direzione marketingdi Intesa Sanpaolo — saranno apertenelle prossime settimane a Torino, Ro-ma e Milano; entro fine anno contiamodi arrivare a 20 aperture privilegiando icomuni dove avviene la maggior partedelle compravendite». Le agenzie sonosituate all’interno di filiali bancarie giàattive ma in spazi fisicamente separati; ilpersonale proviene sia dall’interno dellabanca, con un percorso formativo cheprevede al termine l’iscrizione al regi-stro degli agenti immobiliari, sia dal-l’esterno, con professionisti già attivi. Ilcliente che vuole mettere in vendital’immobile dopo aver ottenuto una sti-ma dell’immobile «tenendo conto delprezzo che realisticamente il mercatopuò assorbire con un margine fisiologi-co lasciato alla contrattazione» dà un in-carico a vendere della durata di sei mesi,senza tacito rinnovo. I mandati sarannogestiti in circolarità tra tutte le agenzieIntesa Sanpaolo Casa. «Un aspetto checureremo molto — spiega Lecce — èdare una presentazione accurata del-l’immobile, in modo che il potenziale ac-quirente lo possa conoscere nei dettagli

prima di effettuare le visite». Ci sarannoanche altri servizi legati alla compraven-dita per semplificare tutto l’iter, sia per ilvenditore sia per l’acquirente, e far ri-sparmiare loro del tempo e del denaro.

Rispettando il principio della separa-tezza la consulenza relativa ai servizi fi-nanziari, come i mutui e le polizze, con-tinuerà ad essere erogata, come già oggiavviene, da tutte le filiali bancarie ancheper i clienti di Intesa Sanpaolo Casa.

ConcorrenzaIl mondo delle agenzie immobiliari

certo non accoglie con entusiasmo la di-

scesa in campo delle banche. SecondoVincenzo Albanese, presidente della Fi-maa di Milano, se le aspettative dellebanche venissero confermate si arriveràalla chiusura di 500 agenzie sul territo-rio nazionale, soprattutto piccole realtà,poco strutturate e presenti nelle città dipiccole e medie dimensioni. «La concor-renza è salutare — afferma — in qualsi-asi mercato, tuttavia, è più che mai ne-cessario che gli organi preposti vigilinosulla trasparenza e sul rispetto delle re-gole da parte di tutti, condizione irri-nunciabile affinché non si creino van-taggi competitivi per alcuni degli attori.

Gli strumenti e le informazioni di cui di-spongono gli istituti bancari (canali di comunicazione, accesso a dati sensibili)li pongono in una condizione privilegia-ta nella gestione del cliente. All’agenteimmobiliare, viceversa, è preclusa l’atti-vità di consulenza sugli aspetti del cre-dito».

Alle associazioni però spetterà ilcompito di portare a un’evoluzione dellaprofessione che, conclude Albanese, «dalla pura e semplice mediazione do-vrà sempre più orientarsi all’erogazionedi servizi di tipo consulenziale».

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IMMOBILI & BUSINESSPrezzi, storiee imprese

58,8% la quota di mutui surrogatiProsegue il boom della rottamazionedei prestiti casa. Secondo l’ultimo

osservatorio di mutuionline.it nei primi quatto mesi del-l’anno il 58,8% delle erogazioni ha riguardato la surroga difinanziamenti in corso. Ne è conseguito il calo della ciframedia erogata, scesa a 117.730 euro (dai 121.323 del se-condo semestre 2014).

Affitti, Milano rialza la testaInversione di tendenza sul mercato delle lo-cazioni. I canoni stanno tornando a crescere,sia pure di poco. Lo sostiene l’ultimo rappor-to di Tecnocasa: in città i valori sono aumen-tati in media dello 0,5%. Il canone per unmonolocale è di 510 euro, che salgono a680 per il bilocale e a 890 per il trilocale.

Sei centesimi in meno per i mutuiSecondo la Banca d’Italia il tasso medioeffettivo applicato dalle banche si è atte-stato a marzo 2105 al 2,95% dal 3,01%.Il tasso dei finanziamenti alle imprese èsceso al 3,09% per importi fino a 1 milionidi euro (-17 centesimi) e all’1,77% (-6centesimi) per importi superiori.

Nuovi protagonisti Le grandi banche creano reti di intermediazione immobiliare in diretta concorrenza con le agenzie tradizionali

Casa Adesso si compra allo sportelloUnicredit ha 500 professionisti e un portafoglio di 12.500 immobili. Per Intesa Sanpaolo 300 agenzie entro il 2017DI GINO PAGLIUCA

1 Grandi affari sotto la Madonnina

C resce il mercato degli investimenti inItalia. Nel primo trimestre dell’anno sono

state realizzate, secondo le analisi di Cbre,operazioni per 1,9 miliardi di euro, più deldoppio rispetto allo stesso periodo 2014. Vaperò detto che a inizio anno è stata conclusala maxi operazione con cui il fondo sovranodel Qatar ha acquisito Porta Nuova a Milano eche ha fatto lievitare il controvalore. Ancheper questo rimane preponderante la quota dimercato degli operatori stranieri, che hannoconcluso operazioni per 1,7 miliardi. Il 49% hariguardato portafogli misti, il 35%è destinatoal terziario e il 9% al retail. Le operazioni dimaggior rilievo dopo quella di Porta Nuova,sono state l’acquisto effettuato da Partners

Group di un portafoglio immobiliare di Torresgr (stima 230 milioni di euro), l’acquisizioneper 62,8 milioni di euro di 11 immobiliall’Interporto di Bologna da parte di Prologis,e un portafoglio di un palazzo a uffici in viadella Chiusa a Milano per un valore oscillantetra i 100 e i 150 milioni di euro da parte diNorth Star. Importante l’operazione a Piazza Affari con cui Cordea Savilis ha acquisito unimmobile terziario vuoto a 44 milioni. Infine lamaxioperazione di Piazza Cordusio: la storicasede di Unicredit è stata ceduta da un fondodi Idea Fimit al fondo cinese Fosun, per 345milioni.

G. PA.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Prevalel’ottimismo

s.F.

Fonte: elaborazione su dati Cbre

I TRIM. 2015

1,9 miliardi550 milioni 82,500 mq

VARIAZ. ANNUA

+50%+223%-12%

INVESTIMENTI ITALIA

VENDITA UFFICI MILANO

ASSORBIMENTO LOGISTICAGli investimenti immobiliarinel primo trimestre 2015

Il ritorno dei prestiti casa...Le erogazioni di mutuisono previste in aumento

La metamorfosi degli sportelliLa diversificazione delle attività bancarie, una sceltad’obbligo visto che i clienti usano sempre di più Internetnei rapporti con gli istituti di credito

SPORTELLIBANCARI

30.740

34.036

30.951

UTENTI PRIVATI CON SERVIZIO HOME BANKING

22.502.897

15.355.661

5.963.299

IMPRESE CON SERVIZIO HOME BANKING

2.632.191

1.886.417

983.155

2014

2009

2004

ANNO

Fonte: elaborazione Corriere Economia su dati Banca d’Italia al 31 dicembre di ogni anno

6.000

8.000

10.000

I IVIIIII2014

I IVIIIII2015

I IVIIIII2016

I IVIIIII2017

Il ritorno dei prestiti casa...Le erogazioni di mutuisono previste in aumento

6.000

8.000

10.000

11.014

5.238

6.693

8.957

9.775

... e delle compravendite

2017201620152014

417.5

24

467.8

71

507.7

49

518.

315

Fonte:Nomisma

S. F

ranc

hino

Capitali & Affari

a cura di Isabella [email protected]

La City festeggia il noalla «mansion tax»

T ira un sospiro di sollievo la Londra dellesuper magioni. Il mattone della capitale

britannica era rimasto, infatti, con il fiato so-speso in attesa delle elezioni generali che sisono svolte il 7 maggio scorso. La vittoria deiconservatori guidati da James Cameron haevitato la «Mansion Tax», la tassa sulle grandiproprietà sopra i 2 milioni di sterline, propostanel programma di governo degli sconfitti la-buristi. Un’imposta che teneva il mercato im-m o b i l i a re i nscacco, dub-bioso sul futu-ro del compar-to. A poche oredal risultato leazioni delle so-cietà immobi-liari hanno su-bito beneficia-to dell’effettoTory: quelle quotate in Borsa hanno visto leloro valutazioni risalire con incrementi a duecifre. Gli esperti del mattone si aspettano chegli investitori rimasti alla finestra in attesa delrisultato elettorale, si riversino ora sulla piaz-za. Visto che il mercato londinese è ormai allestelle, i maggiori incrementi potrebbero avve-nire nelle aree fuori dalla capitale, stimolatidalla stabilità promessa dal nuovo governo.

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Real Estate globale:si cresce di nuovo

O ttime prospettive per il Real Estate globale.Secondo Jones Lang LaSalle, i primi mesi

del 2015 hanno impostato le principali piazzemondiali su un sentiero di crescita stabile un po’in tutti i comparti immobiliari. Le società stannocommissionando nuovi spazi direzionali, la mi-gliorata fiducia dei consumatori sostiene il retailmentre la logistica cresce sotto le pressioni del-l’ecommerce. Gli Usa sono il mercato di spicco,con volumi in crescita del 24% anno su anno. IlGiappone sta guidando l’espansione dell’Asia-Pacifico mentre Germania e Regno Unito svet-tano nel Vecchio Continente.

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Australia, maxi multecontro il caro-prezzi

L’ Australia vara pene severe contro gli stra-nieri che hanno acquistato le sue proprietà

aggirando la normativa. Verrà infatti applicatauna pena pecuniaria che partirà dai 127 miladollari per arrivare fino a tre anni di reclusioneper gli stranieri che non abbiano rispettato lesue restrizioni in materia di acquisti immobilia-ri. Perché questo pugno di ferro? Secondo un report della Foreign Review Board gli investi-menti verso questo Continente sono più chetriplicati nel corso dell’ultimo anno finanziario.Con la Cina come principale investitore, i valoriimmobiliari sono talmente lievitati da rendereinaccessibile la piazza agli stessi australiani.

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MF

Numero 096, pag. 2 del 19/05/2015

PRIMO PIANO

Il titolo della banca senese si avvicina al probabile prezzo delle nuove azioni

Il Monte si allinea all'aumento

Ieri ribasso del 3,85% a 10,5 euro dopo il raggruppamento dei titoli nel rapporto di venti a uno Il mercato siaspetta uno sconto del 35-40%. In arrivo ok Consob e cda. Partenza prevista lunedì 25

di Luca Gualtieri

Scattato il raggruppamento delle azioni nel rapporto di venti a una, ieri è iniziato l'allineamento del titolo

Montepaschi al presumibile prezzo dell'aumento di capitale da 3 miliardi. L'operazione, autorizzata qualche

giorno fa dalla Bce, dovrebbe partire la prossima settimana, presumibilmente lunedì 25, per chiudersi a metà

giugno. Ecco perché già ieri sul titolo della banca senese sono scattate le prese di beneficio che hanno

determinato un ribasso del 3,85% a 10,5 euro, con il 4,7% del capitale passato di

mano. Il mercato si attende infatti uno sconto del 35-40% sul Terp (prezzo teorico

dopo lo stacco del diritto di opzione), superiore a quello applicato nell'ultima

ricapitalizzazione. Dopo tutto, però, si tratta di una stima realistica se si pensa che

oggi Mps capitalizza meno dell'importo che chiederà al mercato, cioè 2,85 miliardi.

«Qualcuno potrebbe aver letto negativamente i rumor sullo sconto», ha spiegato un

analista all'agenzia MF-DowJones. «Io la penso diversamente, dal momento che nel

mio modello avevo già inglobato uno sconto di queste dimensioni, cosa che non

cambia niente a livello di fondamentali».

A questo punto la palla passa a Consob che nei prossimi giorni dovrebbe dare l'imprimatur definitivo

all'aumento, mentre prezzo e calendario dell'offerta saranno fissati dal consiglio di amministrazione di Mps

previsto per giovedì. Proprio ieri il presidente dell'authority, Giuseppe Vegas, ha assicurato che entro questa

settimana la Commissione approverà

il prospetto. «Io credo che si faccia

molto rapidamente», ha spiegato

Vegas. Durante la fase di offerta

Consob dovrebbe inoltre svolgere un

attento monitoraggio, visto che anche

quest'anno l'aumento presenta

caratteristiche diluitive. Questa

circostanza determina un elevato

rischio che durante il periodo di

offerta delle nuove azioni si verifichino anomalie di prezzo, consistenti in una forte sopravvalutazione del

prezzo di mercato delle azioni rispetto al loro valore teorico. In casi del genere la Consob monitora il rispetto

delle misure in tema di vendite allo scoperto e di obbligo di consegna dei titoli in sede di liquidazione,

Pagina 1 di 2Il Monte si allinea all'aumento - MilanoFinanza.it

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Page 8: 21 15 rassegna stampa fisac dal 18 mag al 24 mag

sanzionando eventuali violazioni alle norme.

In attesa che parta l'offerta, gli occhi sono puntati sui soci forti della banca senese. La Fondazione Mps, ad

esempio, deve ancora sciogliere ufficialmente la riserva sull'adesione o meno. Nella riunione della scorsa

settimana le due deputazioni hanno incontrato i consulenti del Nuovo Credito Fondiario per fare tutte le

analisi tecniche del caso. Gli esperti avrebbero illustrato gli ultimi risultati trimestrali di Mps, i contenuti della

conference call di lunedì 11 e le prospettive industriali future, elementi ritenuti essenziali per la decisione

dell'Ente. Non c'è dubbio, infatti, che il ritorno in utile dell'istituto (che ha chiuso il trimestre con profitti per

72,6 milioni) sia una notizia importante per l'azionista il quale, ragionando da investitore e non solo da socio

storico, oggi ha un motivo in più per non recidere il legame con la banca conferitaria. Al momento, però, non

è stato dato alcun annuncio ufficiale anche se, con ogni probabilità, l'Ente avrà già preso contatto con il

Tesoro per condividere la strategia. Tecnicamente le vie percorribili sono quattro: l'adesione integrale pro

quota (per un esborso complessivo di 75 milioni), la sottoscrizione parziale con cessione di una parte dei

diritti di opzione, il passo indietro con la vendita totale dei diritti e la dismissione della partecipazione prima

dell'avvio dell'offerta. Se al momento le quattro strade restano aperte, non bisogna dimenticare che le mosse

della Fondazione si intrecciano con quelle del patto in cui l'ente è affiancato da Btg Pactual e Fintech

Advisory. In questo periodo scadranno infatti le due clausole di lock up che vincolano Btg Pactual al patto:

quella sull'intera partecipazione e quella sul 60% delle nuove azioni sottoscritte in aumento. Non è escluso

che, alla luce dei profondi cambiamenti in arrivo, Palazzo Sansedoni possa affidare all'advisor Fonspa anche

la revisione dell'architettura del patto e la sua rimodulazione.

I grandi soci insomma non hanno ancora scoperto le carte e non è detto che lo facciano prima dell'avvio

dell'offerta. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 096, pag. 2 del 19/05/2015

PRIMO PIANO

Con gli enti Savona e Carrara e le Coop ci sono anche Bonsignore e Banca Monte Lucca. Ok del Mef, firma prevista per il 26

Banca Carige, pronto il contropatto al 4,2%

di Claudia Cervini

Coop Liguria, Talea società di gestione immobiliare, Fondazione De Mari (Cassa di Risparmio di Savona),

Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara, la famiglia genovese Bonsignore e Banca Monte di Lucca.

Sarebbero questi i nomi dei pattisti di Banca Carige, per i quali il rinnovo del patto parasociale finalizzato a

detenere un maggior peso nella governance dell'istituto ligure, è molto vicino. «Il nostro consiglio di

amministrazione ha già deliberato in merito alla sigla del patto, abbiamo ricevuto il via libera del Mef e la

firma tra i pattisti è prevista per martedì 26», spiega a MF-Milano Finanza Roberto Ratti, segretario generale

della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara. Al patto, che disciplina un vindirizzo comune di voto in

merito all'elezione dei consiglieri di amministrazione da esprimere nel board della

banca e altre questioni legate alla governance, viene conferito soltanto il 4,2%

dell'attuale partecipazione. Questo perché «le azioni rivenienti dall'ultimo aumento di

capitale non sono state conferite al patto», spiega Ratti. L'aumento cui fa riferimento il

segretario generale dell'ente è quello relativo all'uscita della Fondazione De Mari e

della Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara dalle casse di risparmio partecipate

(Savona e Carrara), delle quali Carige ha riacquisito il pieno controllo. Per effetto della

vendita le due fondazioni hanno acquisito il 4% di Carige, ma l'intera quota non è stata

ancora conferita al patto. E non è scontato che questo avvenga. L'apporto dei pattisti in sede di aumento è

ancora da definire, anche se il presidente della Fondazione De Mari, Roberto

Romani, aveva riferito che la linea è quella di non diluirsi (si veda MF-Milano

Finanza del 14 maggio). Nel caso in cui i pattisti decidessero di portare

all'alleanza di governance una quota maggiore dovranno attendere un ulteriore

ok del Mef, soprattutto a seguito del protocollo scritto dall'Acri insieme col

ministero, in virtù del quale è stato stabilito un tetto alle singole partecipazioni

degli enti nelle società. Un incontro con i Malacalza (che ha a sua volta siglato

un patto con Fondazione Carige) non è ancora avvenuto. I pattisti stabiliranno

una lista comune da presentare in occasione del rinnovo del consiglio di amministrazione di Carige. Il vecchio

patto prevedeva l'espressione di due consiglieri di amministrazione: l'avvocato Lucia Venuti (Fondazione

Cassa di risparmio di Carrara) e un secondo consigliere portavoce del mondo Coop. Sebbene la scadenza

naturale del consiglio di Carige sia lontana, il board potrebbe essere rinnovato, almeno in parte, già dopo

l'aumento di capitale fino a 850 milioni previsto a giugno. La Fondazione Carige, un tempo azionista al 46% e

oggi scesa intorno al 2%, esprimeva sette consiglieri su quindici. E, nelle prossime settimane, potrebbe

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partire una sorta di moral suasion per sollecitare qualche passo indietro e permettere al primo socio

Malacalza di esprimere qualche membro nel board.

Il patto fondazioni-Coop, col suo 4,2% (che potrebbe salire ulteriormente in fase di aumento) sarebbe il

quarto azionista dopo Malacalza (10,5%), i francesi di Bpce (9,9%), Ubs (4,7%) e davanti all'imprenditore

Gabriele Volpi, il quale sarebbe recentemente salito al 3,7% con l'obiettivo di arrivare al 5%. Rispetto al

vecchio patto due elementi balzano all'occhio: l'assenza di Giovanni Berneschi, per il quale il pubblico

ministero di Genova Nicola Piacente ha chiesto al Gup Teresa Rubini il rinvio a giudizio, e la partecipazione

più consistente.

Intanto ieri ha preso il via il raggruppamento di azioni di Banca Carige (nel rapporto di una a cento). Il titolo

ha chiuso a 7,07 euro in rialzo dell'1%. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 096, pag. 3 del 19/05/2015

PRIMO PIANO

Cariverona e alcune anime del banco spingono per dar vita a un polo regionale

Equita boccia la superpop venetaIl progetto, allargato anche a Vicenza e Veneto Banca, rischia di rivelarsi rischioso e poco efficiente per i soci

di Luca Gualtieri

Piace alla politica ma non agli investitori il progetto di una superpopolare veneta costruita attorno al Banco

Popolare. L'idea, come anticipato da MF-Milano Finanza nell'aprile scorso, è nell'aria da qualche tempo e

prevederebbe la nascita di un polo allargato ai due grandi istituti del territorio, cioè la Popolare di Vicenza e

Veneto Banca. Tutto ovviamente dipenderà dalle scelte strategiche del Banco che oggi sarebbe al bivio tra

un matrimonio con la Banca Popolare di Milano e una soluzione saldamente radicata

nel Nord Est. Ma proprio quest'ultima strategia non piace agli analisti di Equita, che

ieri hanno dedicato un'analisi all'argomento. Per gli esperti della sim milanese

un'operazione di questo genere avrebbe «un execution risk molto elevato e

difficilmente potrebbe creare valore ed essere apprezzata dagli investitori», a meno

che il Banco non acquisti gli altri istituti coinvolti a sconto rispetto alle proprie azioni.

Non solo. «La minore trasparenza delle popolari non quotate rende più elevato il

rischio di un'aggregazione», continua Equita, «inoltre in capo ad alcune di queste

banche gravano rischi legali per presunte vendite di azioni finanziate dagli stessi istituti». In più Equita

prevede in capo al Banco costi indiretti «derivanti dalla rinuncia a progetti di aggregazione (come la fusione

con Bpm) con potenziale sinergico assai più elevato. Queste considerazioni secondo noi sono ben chiare al

management del Banco, quindi attribuiamo al progetto in questione una bassa

probabilità di successo», conclude il report della sim.

Se insomma gli operatori di mercato bocciano l'idea del polo, in Veneto c'è chi la

ritiene ancora realizzabile. La soluzione, va da sé, piace ai soci veronesi del Banco

che vedrebbero così garantita la propria centralità nei futuri assetti di governance.

Tra questi c'è Cariverona che, complici le recenti disposizioni del protocollo Acri,

dovrà presto ridefinire la strategia di investimento. L'ente presieduto da Paolo Biasi

dovrà scendere sotto al 2% di Unicredit entro tre anni e potrebbe giocare un ruolo

da protagonista nel sistema bancario veneto. Si sa che l'obiettivo numero uno è il

Banco, dove la fondazione potrebbe incrementare l'attuale quota (0,02% in base al bilancio 2013) grazie

all'imminente trasformazione in società per azioni. Gli attuali vertici ambirebbero ad accompagnare il gruppo

veronese nel percorso di espansione verso est, presumibilmente in direzione di Vicenza e in seconda battuta

Montebelluna, contribuendo così alla nascita di un polo bancario veneto. E se invece il Banco scegliesse il

matrimonio con la Bpm, come oggi appare più probabile? Al momento tra i consiglieri della fondazione si

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registra una certa perplessità su questa ipotesi, che rischierebbe di penalizzare Verona, ma non si può

parlare di una contrarietà vera e propria. Anche perché, guardando ai fondamentali, quella con Piazza Meda

potrebbe rivelarsi la combinazione ideale per il Banco. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 096, pag. 3 del 19/05/2015

PRIMO PIANO

Pop Vicenza, sfuma Gronchi. Zonin pescherà dagli ex

di Claudia Cervini

La Banca Popolare di Vicenza, dopo le recenti dimissioni di Samuele Sorato (ex dg ed ex consigliere

delegato dell'istituto veneto in cui militava dal lontano 2002) rimane a caccia di un direttore generale. L'ipotesi

di Divo Gronchi, che prima di approdare alla direzione della Cassa di San Miniato fu per ben due volte al

timone della popolare veneta, sembra sfumata. Secondo rumors si tratterebbe perlopiù di motivi anagrafici

(Gronchi ha 76 anni), fatto sta che la sua nomina, data nei giorni scorsi praticamente per

fatta, probabilmente non diverrà mai effettiva. Il board della banca presieduta da Gianni

Zonin tornerà a riunirsi domani per dibattere di questioni ordinarie. All'ordine del giorno

non è prevista nessuna nomina e, salvo sorprese dell'ultimo minuto, difficilmente verrà

presa qualche decisione su questo fronte. Come detto più che un ad l'istituto veneto

starebbe cercando un direttore generale. Si tratterebbe perlopiù di una figura destinata a

traghettare la banca in questa delicata fase che prevede una trasformazione in spa e

un'eventuale aggregazione con un'altra banca (in pole position c'è l'eterna concorrente

Veneto Banca). Secondo quanto riferito da fonti il presidente Zonin si fida di pochissime persone e, sebbene

sia saltata la nomina di Gronchi, andrà a pescare nuovamente un suo uomo di fiducia, che conosce bene la

banca e i suoi complicati meccanismi. Tra gli ex amministratori una posizione di rilievo è stata occupata negli

ultimi anni da Luciano Colombini, nato a La Spezia nel 55, dunque ben più giovane di Gronchi. Colombini,

ora al Banco Desio, ha militato nella Popolare di Vicenza dall'84 al 2007 (divenne dg nel 2005). Il curriculum

vitae è di tutto rispetto, vanta un passato in Banca di Roma e Unipol. Al vaglio però ci sarebbero anche altre

candidature tra cui quella di Carlo Crosara che però si fa sempre meno probabile. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 096, pag. 3 del 19/05/2015

PRIMO PIANO

Si riduce il credit crunch. le sofferenze arrivano a 190 miliardi

Abi, migliorano i dati sui prestiti

di Valeria Santoro MF-Dowjones

In assestamento la raccolta bancaria ad aprile, mentre migliora la situazione dei prestiti. Resta un capitolo

dolente quello delle sofferenze, che continuano ad aumentare anche a marzo a seguito delle incertezze

legate al ciclo economico. In particolare, come ha scritto l'Abi nel bollettino mensile, la raccolta denominata in

euro da clientela del totale delle banche in Italia, rappresentata dai depositi a clientela residente, si è

attestata ad aprile a 1.694 miliardi di euro, in calo di circa 28 miliardi su base annua, manifestando una

variazione tendenziale pari a -1,6% (-1,6% anche a marzo 2015; -1,3% ad aprile 2014). Prima dell'inizio della

crisi a fine 2007 l'ammontare della raccolta bancaria si ragguagliava a circa 1.513 miliardi di euro (+181,3

miliardi dalla fine del 2007 a oggi), composta da 1.000,5 miliardi di depositi da clientela (+266,7 miliardi dalla

fine del 2007 a oggi) e 512,2 miliardi di obbligazioni (-85,5 miliardi dal 2007).

La dinamica dei prestiti bancari ha manifestato ad aprile un miglioramento, anche se ancora su valori

negativi, portandosi a 1.825,8 miliardi di euro (-0,8% su base annua, il miglior risultato da maggio 2012,

contro il -1,2% del mese precedente). In lieve miglioramento è risultata la variazione annua dei prestiti a

residenti in Italia al settore privato (-1,2% ad aprile 2015, -1,6% il mese precedente).

La dinamica dei prestiti alle imprese non finanziarie è risultata pari a -2,2% (-3% il mese precedente; -5,9% a

novembre 2013, il valore più negativo). Con riguardo alle nuove erogazioni, i finanziamenti alle imprese

hanno segnato nel primo trimestre del 2015 un incremento di circa il +8,1% sul corrispondente trimestre

dell'anno precedente (gennaio-marzo 2014). In lieve flessione la dinamica tendenziale del totale prestiti alle

famiglie (-0,3% a marzo, -0,4% il mese precedente; -1,5% a novembre 2013). In termini di nuove erogazioni

di mutui per l'acquisto di immobili, sempre in termini di valore cumulato del trimestre gennaio-marzo 2015, si

è registrato un incremento annuo di +50,4% rispetto al medesimo trimestre dello scorso anno.

Le sofferenze lorde delle banche sono state pari a marzo a quasi 190 miliardi, 2,3 miliardi in più rispetto a

febbraio 2015 e circa 25 miliardi in più rispetto a fine marzo 2014, segnando un incremento annuo di circa il

15,1%; +25,7% a marzo 2014. Le sofferenze in rapporto agli impieghi risultano pari al 9,8% a marzo 2015, il

valore più elevato da fine 1996, quando era 9,9%, (8,6% un anno prima; 2,8% a fine 2007, prima dell'inizio

della crisi), valore che raggiunge il 16,6% per i piccoli operatori economici (14,6% a marzo 2014), il 16,7%

per le imprese (14% un anno prima) ed il 7,1% per le famiglie consumatrici (6,4% a febbraio 2014). Con

riguardo alle sofferenze al netto delle svalutazioni, a marzo 2015 esse sono risultate pari a circa 80,9 miliardi

di euro, in lieve aumento rispetto ai 79,3 miliardi del mese precedente.

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Sul fronte dei tassi, quello sui prestiti in euro alle famiglie per l'acquisto di abitazioni è risultato pari al 2,64%

(2,69% il mese precedente, segnando il valore più basso da settembre 2010). Nell'ultimo mese la quota del

flusso di finanziamenti a tasso fisso è risultata pari al 46,2% (38,1% il mese precedente; era 33,7% a febbraio

2015). Il tasso medio ponderato sul totale dei prestiti a famiglie e società non finanziarie è risultato pari al

3,54% (minimo storico), 3,56% il mese precedente; 6,18% a fine 2007. Il tasso sui nuovi prestiti in euro alle

società non finanziarie si è collocato al 2,34%, il valore più basso da giugno 2010 (dal 2,27% di marzo 2015;

5,48% a fine 2007). (riproduzione riservata)

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FINANZA & MERCATI 19 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Credito. Il titolo cade (-3,85%) alla vigilia del via libera all’aumento

Mps, la Borsa guarda al maxi-sconto

Che non sarebbe stata una passeggiata era chiaro a tutti. Ma la strada si dimostra più impegnativa del previsto e

l'ormai imminente aumento di capitale da 3 miliardi favorisce l'ennesima battuta d'arresto di Banca Mps in Borsa.

Ieri, nel giorno del raggruppamento delle azioni (una ogni 20), il titolo senese ha lasciato il 3,85% sul terreno di

Piazza Affari, chiudendo a 10,50 euro (venerdì il prezzo era di 0,546 euro poi corretto a 10,92 per effetto del

raggruppamento).

A scatenare le vendite, che hanno fatto passare di mano il 4,7% del capitale, l'attesa per uno sconto del 35-40% sul

Terp (il prezzo teorico al netto del diritto d'opzione), stima circolata in questi ultimi giorni e accreditata come

ipotesi di riferimento dei nove istituti di credito che compongono il consorzio di garanzia per l'operazione. Il via

libera della Consob al prospetto arriverà in settimana.

Continua pagina 28 Cesare Peruzzi

Continua da pagina 27 «Credo che si faccia molto rapidamente», è il commento di Giuseppe Vegas, presidente

della Commissione. E a chi gli chiedeva se l'ok potrà esserci già nel corso di questa settimana, ha risposto: «Credo

proprio di sì». In occasione del prossimo consiglio d'amministrazione del Monte, giovedì 21, insomma, il consiglio

d'amministrazione della Banca di Rocca Salimbeni, presieduto da Alessandro Profumo, dovrebbe poter fissare il

prezzo di emissione per l'aumento di capitale, che così partirebbe lunedì 25 maggio.

I timori di un «maxi sconto» sono indubbiamente uno degli elementi di penalizzazione del titolo Montepaschi. Ma

non l’unico. Tra i fattori che continuano a gravare sulla banca guidata dall'amministratore delegato Fabrizio Viola

c’è il peso dei crediti deteriorati (circa 20 miliardi) e le incertezze per le ricadute di operazioni ereditate dalla

vecchia governance finita sotto inchiesta, come nel caso del prodotto Alexandria. L’indicazione della vigilanza

europea, del resto, è chiara: non basterà questa nuova manovra sul capitale, la seconda in due anni, per mettere

definitivamente in sicurezza il Monte. Solo un’aggregazione potrà cancellare l'emergenza. In questa ottica, il

ritorno all'utile nel primo trimestre dell’anno, costituisce il viatico ideale perché dopo luglio, incassato l’aumento di

capitale, Rocca Salimbeni possa davvero guardare a un matrimonio d’interesse, magari con un partner estero.

La via internazionale è la più probabile, perché il boccone Mps rischierebbe di risultare troppo grosso per eventuali

pretendenti italiani. Oppure industrialmente poco interessante, per le sovrapposizioni e la concentrazione

territoriale. Un’aggregazione internazionale darebbe inoltre maggiori garanzie di mantenere la sede a Siena,

elemento d’importanza strategica per la Fondazione Mps, che infatti lo prevede nel suo statuto. L’Ente presieduto

da Marcello Clarich ha ancora il 2,5% della Banca di Rocca Salimbeni (sindacato con il 4,5% di Fintech e il 2% di

Btg Pactual), ma post aumento di capitale e soprattutto dopo l’eventuale aggregazione la capacità d’incidere sulle

sorti del Monte da parte della Fondazione sarà ridotta a poco più di una moral suasion istituzionale.

Forse per questo, tra matrimonio italiano e matrimonio internazionale a Siena c’è chi guarda a una terza via: quella

di vendere una buona fetta di attività e sportelli (per esempio la rete ex Antonveneta nel Nord-Est), per fare cassa e

provare a mantenere l’autonomia di Mps. Certo, resterebbe un piccolo Monte regionalizzato, con un migliaio di

sportelli o poco più, ben lontano dalle oltre 3mila agenzie per raggiungere le quali nel 2007-2008 il gruppo si

lanciò nell'acquisto spericolato di Antonveneta; e lontano anche dai 1.800 sportelli attuali; ma per qualcuno, a

Siena, sarebbe sempre meglio che perdere l’indipendenza.

La partita che vede protagonista la banca più antica del Paese, l’unica d'interesse nazionale con sede non a Milano,

non è ancora chiusa. L’aumento di capitale da 3 miliardi, che segue quello da 5 miliardi di un anno fa, e le

indicazioni della Banca centrale europea lasciano la porta aperta a nuovi sostanziali cambiamenti della compagine

azionaria, a cominciare dall'ulteriore ridimensionamento della Fondazione che dovrebbe sborsare pro quota oltre 75

milioni per partecipare al rafforzamento patrimoniale. E anche l'addio di Profumo, annunciato dallo stesso manager

genovese, è il segnale di un futuro meno ambizioso per Rocca Salimbeni.

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Cesare Peruzzi

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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FINANZA & MERCATI 19 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’AVVICENDAMENTO

Ancora da decidere se la guida operativa sarà affidata a un nuovo amministratore delegato o a un direttore generale

Riassetti. Oggi la riunione del consiglio di amministrazione, ma è difficile che si decida il nuovo ad:

in calo le quotazioni di Gronchi, spunta il nome di Iorio (Ubi)

PopVicenza, tempi più lunghi per il dopo

SoratoA una settimana dall’uscita dell’amministratore delegato e direttore generale, Samuele

Sorato, alla Popolare di Vicenza si lavora per la sua successione. Per oggi è convocata

una nuova riunione del board: a differenza di quanto si ipotizzava la settimana scorsa,

i tempi per una nuova nomina non sarebbero ancora maturi, ma la banca è al lavoro

per trovare in tempi rapidi una nuova guida operativa.

In calo, secondo indiscrezioni raccolte da Il Sole 24 Ore, le quotazioni di Divo

Gronchi, banchiere con un doppio passato a Vicenza e in ottimi rapporti con il

presidente, Gianni Zonin. Secondo quanto si apprende, l’istituto sarebbe alla ricerca di

un altro candidato, e tra i papabili il nome più ricorrente è quello di Francesco Iorio,

attuale direttore generale del gruppo Ubi, dove siede anche nel consiglio di gestione.

Secondo fonti vicine alla banca popolare vicentina la sua nomina non sarebbe sul

tavolo, ma le voci sono insistenti: è probabile che per la decisione finale si renderà

necessario ancora qualche giorno, anche perché il board dovrà decidere con quale

assetto di vertice procedere in questa delicata fase: come sottolineato ieri da Radiocor,

non è escluso, peraltro, che il cda decida di affidare la banca a un direttore generale

(carica anch’essa ricoperta da Sorato fino alla settimana scorsa), senza nominare un

nuovo ad, o che la scelta di un dg preceda temporalmente la successiva indicazione di

un amministratore delegato. Sta di fatto che il nuovo manager sarà chiamato ad

accompagnare la banca alla trasformazione in società per azioni e alla scelta di un

partner per un’aggregazione: proprio per gestire questa complessa fase di transizione,

Gronchi aveva dato la sua disponibilità per un mandato a tempo, ma dopo alcuni

giorni di incertezza l’ipotesi appare archiviata.

Decisiva sarà anche la posizione della Banca centrale europea, sia sulla nomina che

sugli altri dossier “caldi” al momento sul tavolo del consiglio di amministrazione:

dopo aver richiesto alla banca imponenti rettifiche sui crediti nel bilancio 2014, chiuso

in rosso per 758,5 milioni, la Bce ha avviato due diverse ispezioni; la prima, scattata a

fine febbraio, per valutare la gestione del rischio del portafoglio finanziario, sarebbe

tuttora in corso e ad essa se ne sarebbe aggiunta una seconda, sempre sulla gestione

del rischio, nel mese di aprile. Poi c’è il pressing della Consob, che a sua volta nelle

settimane scorse avrebbe avviato un’ispezione relativa al trattamento delle azioni, alle

procedure per la determinazione del loro valore (tagliato da 62,5 a 48 euro nel corso

dell'ultima assemblea, tra le proteste dei soci), ai meccanismi che hanno regolato

acquisti e vendite in passato e agli aumenti di capitale. I punti sono diversi, e secondo

alcune fonti interne non è escluso che insieme alla nomina dell’amministratore

delegato (o direttore generale) potrebbe arrivare una riorganizzazione più ampia della

prima linea del management.

.@marcoferrando77

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Marco Ferrando

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FINANZA & MERCATI 19 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL RISCHIO EUROPEO

In arrivo a giorni le prime parti del pacchetto: il pericolo da evitare è che la Commissione Ue le consideri aiuti di Stato

Credito. Riforma della legge fallimentare, riduzione dei tempi di deducibilità e «bad bank»

Banche, per le sofferenze pronto il piano del

Governo

L’Fmi: «La questione è di rilevanza sistemica»

Prima il pacchetto-fallimentare, che è definito nelle sue linee fondamentali e aspetta

solo il via libera del ministero della Giustizia sugli aspetti che lo riguardano. Poi

l’allineamento con il resto d’Europa sulla deducibilità delle perdite sui crediti. Infine

ma non ultima, la tanto agognata bad bank, sempre che si trovi il modo di congegnarla

senza che la Commissione europea la consideri aiuto di Stato (obbligando chi ne fa

uso a passare per banca in fase di restrutturazione, con tutto ciò che ne consegue in

tema di compliace).

Il piano del Governo in materia di non performing loans è pronto. E secondo quanto

emerge da fonti bancarie, ormai sarebbe solo questione di giorni: anzi, è possibile che

in settimana veda la luce nella sua prima parte, che è quella legata al recupero dei

crediti. La notizia, anticipata da Il Sole 24 Ore il 5 maggio scorso, ieri è stata

confermata dal capo della segreteria tecnica del Mef, Fabrizio Pagani: «L’obiettivo è

ridurre in maniera sostanziale i tempi», ha spiegato ieri a margine di un convegno

Consob (si veda l’articolo a pagina 29).

Continua pagina 29 Marco Ferrando

Continua da pagina 27 In effetti, secondo quanto risulta, insieme ai funzionari della

Giustizia, sarebbe stato individuato un pacchetto di norme che dovrebbero consentire

di semplificare l’iter per poter disporre dei beni posti a garanzia dei crediti. Oggi le

procedure sono lunghe e dall’esito spesso incerto, contribuendo così a deprezzare il

valore degli asset, cioè il prezzo che gli operatori specializzati sono disposti a pagare

per acquistare i crediti deteriorati dalle banche: con la riforma - è la posizione del Mef,

condivisa dalle banche - potrebbe arrivare una spinta significativa, aiutando gli istituti

ad alleggerire parte di quei 190 miliardi di sofferenze lorde toccate a fine marzo.

Proprio ieri il Fondo monetario internazionale, che da tempo ha individuato negli Npl

la più grave delle cause della ripresa lenta italiana, è tornato a ribadire il concetto,

sottolineando che quella dei crediti i n sofferenza sta «diventando una questione di

importanza sistemica», vera ragione per cui «i prestiti alle Pmi continuano a essere

scarsi e costosi».

L’invito dell’Fmi è ad azioni che «rafforzino i bilanci delle banche e delle imprese»

liberando «risorse per nuovi prestiti a imprese e settori produttivi». In particolare, il

Fondo sollecita a definire «limiti di tempo per le svalutazioni delle sofferenze

incoraggiando le banche ad affrontare il problema in tempi più rapidi e riducendo lo

stock di sofferenze». La riforma delle norme relative al recupero dei crediti è a costo

zero per lo Stato, e per questo motivo si trova in cima alla lista del piano predisposto

dal Governo, considerato da quasi tutti i banchieri necessario anche per accendere

quella fase di M&A che tutti si aspettano dall’approvazione della riforma delle

popolari (e dalla crisi Mps) ma che stenta a decollare.

Secondo in ordine di tempo, dovrebbe arrivare l’allineamento al resto d’Europa della

deducibilità delle perdite sui crediti: in Italia è di cinque anni, fuori è di uno solo, ma

in compenso le banche di casa nostra possono mettere a bilancio quel che non si è

ancora dedotto sottoforma di crediti d’imposta, una misura che secondo la

Commissione europea “puzza” di aiuto di Stato. Di qui il progetto dell’Esecutivo di

abbassare i tempi a un solo anno, iniziativa costosa per lo Stato (comporterebbe

mancati introiti fiscali per oltre 5 miliardi), che tuttavia abbatterebbe miliardi di crediti

d’imposta e per di più spingerebbe le banche a ulteriori svalutazioni. «Il tema

dell’ammortamento fiscale delle svalutazioni dei crediti è un tema a parte», ha detto al

riguardo ieri Pagani. Secondo quanto risulta, sull’argomento sono in corso discussioni

serrate con la Commissione europea, visto che c’è da trovare una soluzione sostenibile

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per il bilancio dello Stato ma che al tempo stesso scongiuri definitivamente il rischio

di un intervento dell’Antitrust europeo sui Dta, cioè i crediti d’imposta, oggi parte

integrante (e significativa) del capitale delle banche.

Nei giorni scorsi si era ipotizzata anche la via del decreto, ma - complice la sentenza

della Consulta, che ha riaperto il capitolo pensioni - il tema coperture è diventato

prioritario. Un dato, però, è certo: con il varo delle prime due azioni, per la terza, che è

la bad bank, la strada potrebbe essere in discesa. Con la riforma della legge

fallimentare e l’allineamento della deducibilità delle perdite sui crediti, si ragiona al

Mef, le garanzie pubbliche necessarie ad avvicinare domanda e offerta potrebbero

anche non servire.

Anche qui, però, è decisivo il parere di Bruxelles. Dove i tecnici del Mef sono attesi a

giorni. Domani, intanto, si farà il punto all’Esecutivo Abi, dove verrà anche riportato

l’esito dell’incontro avuto dal comitato di Presidenza il 20 aprile 2015 con Danièle

Nouy, chairman del Single supervisory board della Bce. Un incontro in cui si è

parlato, non a caso, di Dta e bad bank.

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Marco Ferrando

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MF

Numero 097, pag. 4 del 20/05/2015

PRIMO PIANO

Banche, no dividendi e bonus con capitale sotto il 7%

di Francesco Ninfole

Le banche devono avere un minimo del 7% di capitale, altrimenti non possono distribuire dividendi e bonus.

Banca d'Italia ha ufficializzato ieri la decisione di esercitare l'opzione prevista dalla direttiva Crd4 e di

introdurre (a valere dal 1° gennaio 2014) la cosiddetta «riserva di conservazione del capitale», ovvero un

cuscinetto del 2,5%, che si aggiunge al 4,5%. Si arriva così al 7% di capitale di migliore qualità (il Common

equity tier 1), che si misura in proporzione alle attività di una banca ponderate per il rischio. La decisione di

Bankitalia, che è stata adottata anche in molti altri Paesi europei, arriva dopo il recente recepimento in Italia

della Crd4, la direttiva che ha introdotto Basilea 3 in Europa. Le banche che non dovessero rispettare il

requisito fissato «non potranno distribuire dividendi, remunerazioni variabili e altri elementi utili a formare il

patrimonio regolamentare oltre limiti prestabiliti e dovranno definire le misure necessarie a ripristinare il livello

di capitale richiesto», secondo quanto precisato nel documento Bankitalia. Via Nazionale ha anche esercitato

un'altra opzione prevista dalla Crd4 e ha esentato le piccole e medie società di investimento dall'applicazione

della riserva di conservazione del capitale. La motivazione è che «il contributo di queste società al rischio

sistemico è trascurabile e l'esenzione dal detenere una riserva di conservazione del capitale non pone rischi

per la stabilità del sistema finanziario italiano». Le novità di fatto non avranno conseguenze sulle banche

italiane. Alla fine del 2014 il Common equity tier 1 degli istituti italiani era pari all'11,8% delle attività

ponderate per il rischio; il Cet1 ratio dei cinque maggiori gruppi ammontava all'11,4%. Il Cet1 ratio medio

delle banche italiane a fine 2014 sarebbe stato comunque pari all'11,3% anche applicando le regole più

severe che entreranno in vigore nel 2018, quando si concluderà il periodo transitorio previsto dalla normativa

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MF

Numero 097, pag. 11 del 20/05/2015

MERCATI

Dal board mandato al presidente per chiudere il contratto con il banchiere

Iorio a un passo da Pop VicenzaL'attuale dg di Ubi potrebbe entrare a metà giugno al vertice dell'istituto Sul tavolo subito il dossier-fusione

di Luca Gualtieri

Gianni Zonin si prepara a mettere a segno un colpaccio per inaugurare il nuovo corso della Banca Popolare

di Vicenza. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, dopo l'uscita improvvisa di Samuele Sorato

l'incarico di direttore generale dovrebbe essere affidato a Francesco Iorio, attuale dg di Ubi Banca. Iorio,

classe 1968, è uno dei più giovani e apprezzati banchieri italiani e proprio il dato

anagrafico starebbe giocando a suo favore, permettendogli di sorpassare l'altro

candidato forte, Divo Gronchi. Il nome dell'attuale amministratore delegato della

Cassa di Risparmio di San Miniato non avrebbe infatti incassato il benestare della

Bce, non tanto per riserve sulle sue riconosciute competenze professionali quanto

per l'età (76 anni) non più verde. E così, dopo una settimana fitta di ricerche e

contatti, ieri il consiglio di amministrazione della popolare avrebbe affidato a Zonin

la delega per chiudere il contratto con il nuovo ad, che sarà ufficializzato in tempi

brevi. Iorio (che potrebbe non essere l'unico volto nuovo nella prima linea di Bpvi)

dovrebbe assumere l'incarico verso la metà del mese di giugno per affrontare da

subito i temi più caldi del momento. Non c'è dubbio che uno di questi sarà l'integrazione di Bpvi con un altro

grande istituto del territorio, che probabilmente sarà Veneto Banca. L'ipotesi circola ormai da diversi mesi

senza grande costrutto, ma l'arrivo di un nuovo amministratore delegato con una profonda esperienza di

banche popolari potrebbe essere il fattore decisivo per sbloccare la partita. Se così fosse, la fusione tra

Vicenza e Montebelluna darebbe vita a un polo di respiro nazionale in grado di fronteggiare la concorrenza e

di rispondere ai nuovi standing regolamentari previsti da Francoforte. Senza considerare che l'idea di una

superpopolare del Nordest piace non poco alla politica e alle istituzioni locali, a partire dalle fondazioni. Non è

un mistero ad esempio che l'Ente Cariverona, costretto dal protocollo Acri-Tesoro a diversificare il portafoglio

finanziario alleggerendo la sua presenza in Unicredit, voglia essere della partita e che punti a coinvolgere

anche il Banco Popolare. Il gruppo guidato da Pier Francesco Saviotti però sembra più orientato verso ovest

che verso est e oggi un suo matrimonio con la Popolare di Milano viene considerato assai più probabile. In

ogni caso le danze intorno alla superpopolare del Nordest sono ufficialmente aperte.

Proprio ieri il consiglio di amministrazione di Veneto Banca avrebbe fatto il punto della situazione, anche se

sul tema delle alleanze non sarebbe emerso alcun elemento di novità. Anche se le nozze con Bpvi restano

l'opzione numero uno, è noto che l'istituto di Montebelluna piace anche alla Banca Popolare dell'Emilia

Romagna. Un matrimonio tra i due istituti è una vecchia idea del presidente modenese, Ettore Caselli, che

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già lo scorso anno avrebbe sondato la praticabilità del progetto. Continua poi a circolare l'ipotesi di un

interesse da parte di un gruppo tedesco non ancora attivo sul mercato italiano, ma interessato a crescere

attraverso operazioni mirate. L'intenzione di Montebelluna comunque sarebbe quella di far coincidere

l'aggregazione con la trasformazione in spa, il cui iter potrebbe essere avviato già prima della pausa estiva

per chiudersi in autunno. Veneto Banca, ha spiegato ieri il presidente Francesco Favotto in una nota, «ha

tutte le carte in regola per poter essere protagonista nel sistema bancario nazionale ed europeo», ed «nella

giusta traiettoria per cogliere le opportunità che eventualmente si presenteranno nel prossimo futuro».

Sul fronte di Ubi invece non è ancora chiaro quale potrebbe essere la strategia dell'istituto. Il consigliere

delegato Victor Massiah potrebbe infatti decidere di non rimpiazzare Iorio e di assumere almeno per qualche

tempo le deleghe di direttore generale. Diversamente il testimone di Iorio potrebbe passare a un top manager

interno al gruppo e i ben informati spendono fiduciosamente il nome di Rossella Leidi, vice direttore generale

e responsabile commerciale. Al di là delle competenze personali di Leidi, non c'è dubbio che nominare una

donna il numero due di una grande banca darebbe la scossa a un settore che, a detta di molti, penalizza

ancora troppo il gentil sesso. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 097, pag. 11 del 20/05/2015

MERCATI

Popolari il professore è pronto a fare ricorso

Sapelli contro la riforma

di Luca Gualtieri

Giulio Sapelli ha sempre avuto un occhio di riguardo per il mondo delle banche popolari e si prepara a

presentare un ricorso alla Corte Costituzionale contro la trasformazione in spa decisa dal governo Renzi per i

dieci maggiori istituti italiani della categoria. Non solo in qualità di docente di Storia Economica (insegna alla

Statale di Milano), ma anche come azionista, qualifica che Sapelli rivendica con orgoglio. «Sì, sono socio

della Banca Popolare di Milano da cinque o sei anni, cioè da quando l'istituto di Piazza Meda è finito suo

malgrado nella bufera mediatica. Allora quell'accanimento non mi convinceva, come adesso non mi convince

l'odio ideologico rivolto contro il mondo delle popolari», incalza Sapelli in una

chicchierata con MF-Milano Finanza. «L'idea del ricorso me l'ha data indirettamente

il collega Marco Vitale (economista d'impresa di lungo corso, oggi presidente del

Fondo Italiano di Investimento, ndr) che qualche giorno fa ha annunciato

un'iniziativa analoga alla mia. Così ho deciso di presentare il ricorso». Lo

presenterà subito? «No, prima aspetterò la trasformazione in spa, poi mi muoverò».

Da solo? «Mi auguro di no. Le confesso che mi farebbe piacere se altri azionisti

della Popolare di Milano mi seguissero in questa iniziativa. In passato Bpm è stata

descritta come una banca ricca di contrasti. Vorrei che adesso i soci trovassero la

coesione necessaria per intraprendere un progetto di questo genere», conclude

Sapelli.

I detrattori della legge Renzi-Padoan sulle popolari insistono da tempo sulla presunta incostituzionalità del

provvedimento, che, tra le altre cose, mortificherebbe la tutela delle formazioni sociali in cui si sviluppa la

personalità umana (articolo 2 della Costituzione), la possibilità di esercitare l'attività bancaria limitandola al

non superamento di una determinata soglia dimensionale (art. 3), la libertà di iniziativa economica privata

(art. 41), la funzione sociale della cooperazione (art. 45). Se gli istituti di credito e l'associazione di categoria

(Assopopolari) hanno preferito evitare contrapposizioni frontali con l'esecutivo e con la Vigilanza, sono già

diversi i soggetti pronti al ricorso. Come riportato da MF-Milano Finanza il 27 marzo scorso, a Verona gruppi

di azionisti del Banco Popolare riuniti in comitati starebbero lavorando a un ricorso contro la legge. C'è poi

l'iniziativa della giunta della Regione Lombardia che nei giorni scorsi ha dato mandato all'avvocatura di

presentare un altro ricorso. La delibera fa seguito alla mozione, presentata da Antonio Saggese, consigliere

del gruppo consiliare Maroni Presidente. La legge varata dal Governo, secondo Saggese «viola il terzo

comma dell'articolo 117 della Costituzione, perché le banche popolari, considerato il loro stretto collegamento

con il territorio, hanno un ruolo regionale. Altri aspetti di illegittimità», continua il consigliere della Lega,

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«risiedono nella non ricorrenza dei principi di necessità e urgenza alla base del decreto legge che ha

disposto la trasformazione e delle norme costituzionali sulla cooperazione. A destare particolare

preoccupazione», conclude Saggese , «è l'eliminazione del voto capitario. Attraverso la concentrazione del

sistema bancario molti sportelli verranno chiusi, aumenterà la disoccupazione e assisteremo a una riduzione

del credito».

Altre iniziative invece non mirano tanto al ricorso quanto a limitare gli effetti della trasformazione in spa. Nel

bacino che fino a pochi anni fu quello della Popolare di Lodi, ad esempio, azionisti e istituzioni hanno avviato

una mobilitazione serrata per difendere la forma cooperativa. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 097, pag. 12 del 20/05/2015

MERCATI

Domani consiglio nazionale di federcasse. si punta a una soluzione entro maggio

Riforma bcc, ultima chiamataSi va verso una proposta che prevede una holding unica alla guida del movimento. Tutti i timori della base

di Claudia Cervini

Ultima chiamata per l'autoriforma del credito cooperativo italiano (381 bcc, 1,2 milioni di soci e 37 mila

addetti). Domani si riunirà a Milano il consiglio nazionale di Federcasse, al quale, come di consueto,

prenderanno parte le numerose Federazioni locali. Il processo di autoriforma sarà uno dei temi caldi sul

tavolo del board e non potrebbe essere altrimenti, visto che il presidente della Federazione nazionale

Alessandro Azzi, per evitare un intervento del governo tramite un decreto legge, si è speso per portare una

soluzione entro la fine di maggio.

Una proposta sarebbe pronta: si procede nella direzione della capogruppo unica e domani Federcasse

dovrebbe chiarire anche quale sarà la natura di tale capogruppo. Si tratterà di una finanziaria che controllerà

le banche di secondo livello cui le bcc cederanno le

partecipazioni oppure di una capogruppo bancaria?

Federcasse dovrebbe anche alzare il velo sul ruolo del

movimento trentino e di quello altoatesino, che attraverso

Cassa Centrale Banca e Cassa Centrale Raffaisen hanno

presentato progetti di autonomia. Un'autonomia per cui però

non ci sarebbe spazio, almeno nel caso di Trento, il cui

progetto è formare una capogruppo da 1 miliardo di

patrimonio con ambizioni di supervisione su 90 bcc, di cui 40 trentine e le restanti presenti su tutto il territorio

nazionale. Sulle modalità con cui si intende tenere unito il movimento (e su come Cassa Centrale Banca e

Cassa Centrale Raffaisen si relazioneranno col resto del gruppo) Federcasse dovrebbe fare luce in

occasione della riunione di domani.

La base del movimento teme una soluzione che di fatto replichi i contenuti del vecchio decreto sulle banche

popolari (poi convertito in legge). In un primo tempo il decreto prevedeva infatti anche la riforma del credito

cooperativo, poi eliminata dal documento. Lo schema a grandi linee era quello del modello federale, con una

o più capogruppo in forma di spa possedute per almeno un terzo del capitale dalle banche di credito

cooperativo e, al livello immediatamente inferiore, con le bcc legate alla holding da un contratto (chiamato «di

dominio») attraverso cui questa esercita i poteri di indirizzo, stabilisce i criteri prudenziali nel credito e ratifica

la nomina della maggioranza dei membri delle banche mutualistiche federate. Il decreto lasciava libertà alle

bcc di scegliersi la holding cui aderire, mentre tale possibilità sembrerebbe decaduta con la scelta della

holding unica.

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Se il board approverà la proposta, Azzi potrà tornare da Banca d'Italia e anche dal governo negoziando

contorni più definiti dell'autoriforma e presentandosi alle bcc, ancora divise, con un mandato più forte.

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MF

Numero 097, pag. 18 del 20/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Contrarian

Pacco con bad bank, termini di recupero e crediti d'imposta

Si intrecciano i temi della bad bank e della riduzione dei termini previsti dalle vigenti norme per il recupero dei

crediti e della deduzione fiscale delle perdite delle banche, mentre rallenta la caduta degli impieghi, ma le

sofferenze, a livello di sistema, salgono a 190 miliardi e l'insieme dei crediti deteriorati supera i 300 miliardi. A

fronte di tutto ciò, la evocazione del divieto degli aiuti di Stato da parte della

Commissione Ue verso le banche italiane sta superando i limiti della tollerabilità.

L'ultimo caso riguarda le attività per imposte anticipate che conseguono al

riconoscimento, a fini fiscali, degli oneri sostenuti nell'esercizio in cui sono iscritti in

bilancio. La Commissione riterrebbe che la trasformazione di queste attività in crediti

di imposta possa concretizzare un aiuto di Stato alle banche. Sennonché la disciplina

delle attività in questione (dta, deferred tax assets) è stata introdotta proprio da una

direttiva comunitaria (la crr) recepita nell'ordinamento italiano, mentre ora Bruxelles si

sveglia e, affrontando la materia dal lato della concorrenza e del libero mercato,

prospetta questi dubbi, proseguendo con il metodo secondo cui la mano destra ignora ciò che fa la sinistra e

quando la viene a conoscere opera per vanificarla. Per le banche italiane, escludere dall'attribuzione al

patrimonio di vigilanza di tali crediti significherebbe subire un colpo formidabile, sferrato alla consistenza del

patrimonio, con gravi ripercussioni a cominciare dall'offerta di prestiti. A pagare, in definitiva, sarebbe

l'economia italiana. Anche a proposito dell'intero pacchetto che vedrebbe in ballo la sistemazione di questa

materia, per esempio consentendo la deduzione dei crediti di imposta in un anno, non come oggi in cinque

anni, con un costo, però, per lo Stato che bisognerebbe in qualche modo valutare e, nei limiti del possibile,

compensare fino a quando l'operazione non fosse a regime, e i collegamenti con il progetto di istituzione di

una bad bank per l'alienazione delle partite in sofferenza che hanno raggiunto la cifra rilevante indicata,

permarrebbero incomprensioni nella Commissione. Il ministro Pier Carlo Padoan nei giorni scorsi ha distinto

tra la posizione dei commissari, che sarebbe equilibrata e realistica, e quella delle strutture burocratiche

portatrici di tesi estreme. Se così fosse, si porrebbe un grave problema per la Commissione, facendo

innanzitutto sorgere l'interrogativo su chi effettivamente governa l'istituzione. Oggi concerne una questione

settoriale, ancorché di evidente rilievo generale; domani potrà riguardare tematiche ancora più rilevanti. Si

spera che anche il premier Renzi ne sia avvertito. Quanto, poi, a velocizzare le procedure per il recupero dei

crediti, occorrerà un provvedimento adeguato che tenga conto, però, delle diverse situazioni che possano

divenire oggetto di pretese di recupero non solide, o comunque debolmente fondate, da parte delle banche.

Deve, però, essere chiaro che esiste un pacchetto organicamente formato dai tre punti indicati (bad bank,

termini di recupero e crediti d'imposta) che, insieme, devono essere varati. In merito ai rapporti con la

Commissione è, però, auspicabile che a questo punto pure l'Abi intervenga sulla materia con una posizione

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drastica. Non si può pensare che, oltre al Governo, sia soltanto la Banca d'Italia a intervenire.

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IMPRESA & TERRITORI 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LE AZIONI

Prepensionamenti, pensionamenti, rafforzamento del canale online e della consulenza specializzata

Credito. Inviata la lettera ai sindacati

Piano Bper, avviata la procedura per le 581

uscite

Di qui al 2017 ci saranno 130 filiali in meno e usciranno 581 persone. Il Gruppo Bper

avvia la procedura per perseguire gli obiettivi del piano industriale 2015-17. Nella

lettera inviata a Dircredito, Fabi, Fiba, Fisac, Sinfub, Uilca, Unisin, il gruppo spiega

che i pilastri del piano industriale sono il rafforzamento dei ricavi, l’efficienza del

modello operativo e l’ottimizzazione del profilo di rischio. I risultati economici si

possono condensare in due numeri in particolare e cioè l’utile di 400 milioni e il cost-

income pari al 54% entro il 2017. Il gruppo si prefigge di realizzare una vera e propria

rivoluzione del modello distributivo, chiudendo il 10% delle sue agenzie sul territorio,

introducendo il modello hub and spoke sul 40% della rete, e portando, entro il 2016, al

15% la presenza di Atm evoluti senza cassiere. Il gruppo punterà anche al

rafforzamento del canale digitale e alla consulenza specializzata. Ci dovrà però essere

una riduzione strutturale dei costi a regime e tra questi ci sono anche quelli del

personale, viene spiegato nella lettera inviata ai sindacati.

Le principali iniziative volte all’ottimizzazione della forza lavoro sono incentrate

sull’utilizzo di piani di pensionamento e pre-pensionamento, l’ottimizzazione del turn

over del personale attraverso la sostituzione del 50-60% dei dipendenti in uscita con

risorse interne, oltre all’assunzione di circa 200 profili specializzati, in particolare per

le nuove aree di business come il digitale e omnichannel. Le parti valuteranno anche

l’uso di strumenti condivisi in sede nazionale come per esempio il Fondo nazionale

per il sostegno dell’occupazione nel settore del credito.

Complessivamente sono previste eccedenze di personale di 1.088 unità (comprese le

eccedenze delle fusioni del 2014, già previste dall’accordo sindacale dello scorso

dicembre) a fronte di impieghi di risorse per le esigenze di piano di 507 unità. La

riduzione di organico complessiva si fermerà a 581 unità e sarà affiancata a una forte

attività di riqualificazione delle risorse, improntata anche sul concetto di fungibilità

professionale. Per la riduzione strutturale dei costi l’obiettivo è di tagliare quelli del

personale di 56 milioni di euro entro il 2017. Tre le vie: l’azzeramento progressivo dei

residui del monte ferie-banca delle ore, la fruizione completa dei permessi ex festività

nell’anno di riferimento, l’eventuale ricorso alla solidarietà.

«Con il nuovo contratto nazionale abbiamo tutti gli strumenti per gestire al meglio gli

impatti della riorganizzazione sui lavoratori - dice Maria Antonietta Soggiu,

coordinatrice Fabi Bper -. Riteniamo alcuni obiettivi del piano sfidanti, soprattutto per

quanto riguarda le assunzioni e lo sviluppo interno di nuove professionalità, che

dimostrano l’intenzione dell’azienda, poi tutta da verificare, di investire sui lavoratori.

Auspichiamo, infine, che il ridimensionamento del numero delle filiali non incida

negativamente sui servizi alla clientela».

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Cristina Casadei

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Ubi Banca / Fabi avverte: il Piano industriale

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2007/10 non si tocca

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FINANZA & MERCATI 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Popolari. Ieri in cda il punto sulla successione a Sorato: verso la nomina di Iorio di Ubi, board in

preallerta

Vicenza stringe sul nuovo ad

A Veneto Banca si attende la relazione di Rothschild sull’M&A

In Veneto il risiko bancario assume una battuta d’arresto e si incaglia in nomine e

ritardi. Con cambi di scenari che introducono nuove ipotesi di partnership.

La Popolare di Vicenza è alle prese con il dopo-Sorato, ovvero con la nomina di un

nuovo amministratore delegato e direttore generale, dopo le improvvise dimissioni di

Samuele Sorato la scorsa settimana. L’uscita del manager, messa in relazione con

l’ispezione avviata dalla Consob sugli aumenti di capitale effettuati nel 2014 e sulla

conversione di un bond da 253 milioni decisa a fine ottobre a poche ore dalla scadenza

prevista per i test della Bce (relazione mai confermata ma neppure smentita dalla

banca), ha causato un terremoto all’interno della banca e il venir meno dell’intesa

consiliare. Nemmeno il cda di ieri, infatti, è riuscito a definire un successore; per il

momento, i poteri rimessi dal consigliere delegato sono stati affidati ad interim al

Comitato esecutivo dell’istituto, organo guidato dal presidente Gianni Zonin, e

composto dai due vice presidenti Marino Breganze e Andrea Monorchio, oltre che dai

consiglieri Giorgio Tibaldi, Giorgio Colutta, Giovanni Fantoni, Nicola Tognana e

Roberto Zuccato. Resta in piedi l’ipotesi - anticipata ieri da Il Sole 24 Ore - della

nomina di Francesco Iorio, attuale direttore generale di Ubi Banca, sul quale pende la

decisione se affidargli solo la direzione generale o anche la carica di amministratore

delegato, come Iorio vorrebbe. Il nome del manager di Ubi Banca apre scenari

interessanti in vista di una possibile partnership tra la popolare vicentina e l’istituto

bergamasco. Partnership che, a questo punto, considerando la dimensione della banca

lombarda, potrebbe sembrare agli organi di vigilanza più stabile e auspicabile rispetto

ad una fusione con Veneto Banca. Per la decisione definitiva Zonin prende ancora

tempo; sarà probabilmente il prossimo cda, convocato alla fine della settimana o

all’inizio della prossima, a sciogliere le riserve.

Anche a Montebelluna si è tenuto ieri il consiglio di amministrazione. A Veneto

Banca la situazione resta fluida: nessuna concessione agli inviti per un matrimonio

veloce con BPVi, l’istituto aspetta la relazione dell’advisor - Rothschild, che ha

ricevuto l’incarico il 15 marzo scorso - sulle opzioni da considerare. «Il consiglio e la

direzione generale - ha detto il presidente Francesco Favotto - restano in attesa dei

riscontri rinvenienti dall’attività del nostro advisor per poter procedere a qualsivoglia

ragionamento di posizionamento strategico del nostro istituto». «Il Gruppo Veneto

Banca - ha continuato Favotto - ha tutte le carte in regola per poter essere protagonista

nel sistema bancario nazionale ed europeo. Le scelte intraprese dal Cda, nel corso

degli ultimi 12 mesi, hanno posizionato la Banca nella giusta traiettoria per cogliere le

opportunità che eventualmente si presenteranno nel prossimo futuro». Resta in piedi,

tra le altre, anche l’ipotesi di una aggregazione con una quotata o non quotata

straniera, forse dell’area austriaca o tedesca, o l’ingresso di un fondo straniero.

Nonché l’opzione di un azionariato stabile composto da una base solida di

imprenditori regionali. Questa ipotesi, il mantenimento di uno zoccolo duro composto

da soci regionali per creare un polo bancario che resti veneto, è alla base

dell’iniziativa della Fondazione Cariverona, a cui potrebbe essere riservato un

aumento di capitale del Banco Popolare che coinvolgerebbe anche altri soggetti tra cui

Cattolica e altri imprenditori veneti. Nonché Veneto Banca e Popolare di Vicenza.

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Katy Mandurino

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Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 098, pag. 4 del 21/05/2015

PRIMO PIANO

L'organismo senese non ha ancora scoperto le carte sull'aumento di capitale

Fondazione Mps in zona CesariniLa decisione potrebbe arrivare in tempi brevissimi, visto che oggi il cda fisserà prezzo e calendario Intanto Clarich ha imposto massima riservatezza ai consiglieri. In Piazza Affari il titolo cala ancora

di Luca Gualtieri

Che per la Fondazione Mps la decisione sia delle più delicate lo dimostra l'attenzione per la segretezza che,

negli ultimi tempi, si è fatta sempre più insistente. A un anno di distanza dall'ultimo sforzo finanziario Palazzo

Sansedoni si ritrova di fronte a un aumento di capitale di Banca Mps. Prezzo e calendario dell'operazione fino

a 3 miliardi (che dovrebbe partire lunedì 25) saranno fissati oggi dal cda, mentre per

l'ok della Consob è solo questione di ore. Se insomma in giornata l'istituto senese

dovrebbe fornire informazioni certe, la strategia dei soci resta ancora avvolta in un fitto

mistero. A partire dalla Fondazione. Dopo numerose riunioni con gli advisor e un

costante scambio di informazioni con la banca e gli enti nominanti, l'Ente non ha

ancora sciolto la riserva sulle proprie mosse. Anzi, per la verità non è neppure detto

che lo faccia, visto che nessun obbligo formale lo impone. Nel frattempo nei corridoi di

Palazzo Sansedoni l'attenzione per la riservatezza si è fatta quasi maniacale, al punto

che ieri è stata compiuta una bonifica per individuare cimici e microspie. Gli esperti di un'azienda

specializzata avrebbero passato al setaccio tutte le stanze, con una particolare attenzione per quelle del

presidente Marcello Clarich e del direttore generale Enrico Granata. Ammesso che qualche decisione

ufficiale sia stata presa, insomma, non c'è il rischio di fughe di notizie.

Nel frattempo l'unico endorsement è arrivato dall'amministratore delegato di Axa Italia (azionista di Mps al

3,17%), Fréderic de Courtois, che ieri ha confermato l'intenzione di aderire pro quota all'aumento. «Confermo

che sottoscriveremo pro-quota», ha spiegato ieri de Courtois a margine del seminario Axa-Bocconi sui rischi.

Il manager si è soffermato anche sull'imminente uscita del presidente

Alessandro Profumo che dovrebbe essere sostituito a luglio. La scelta «non

sarà facile perché alla base del successo della banca, negli ultimi due o tre

anni, c'è la coppia professionale Profumo-Viola, che noi abbiamo appoggiato

dall'inizio. I due hanno funzionato bene insieme. Ora rimane Fabrizio, di cui ci

fidiamo molto, ma dovremo trovare un buon nuovo presidente», ha spiegato de

Courtois, che ha preferito non sbilanciarsi sul tema dell'aggregazione. «Sulla

nazionalità del partner siamo agnostici. Non abbiamo questa visione di italiano

o estero».

In attesa delle notizie in arrivo, anche ieri in Borsa il titolo Mps ha perso quota,

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chiudendo le negoziazioni con un calo del 6,52% a 9,67 euro, tra scambi pari al 3,56% del capitale. Il

mercato si attende infatti uno sconto del 35-40% sul Terp (prezzo teorico dopo lo stacco del diritto di

opzione), superiore a quello applicato nell'ultima ricapitalizzazione. Dopo tutto, però, si tratta di una stima

realistica se si pensa che oggi Mps capitalizza meno dell'importo che chiederà al mercato, cioè 2,67 miliardi.

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MF

Numero 098, pag. 4 del 21/05/2015

PRIMO PIANO

Cari banchieri, venite allo scoperto con le critiche al rigorismo Ue

di Angelo De Mattia

In un garbato e cordiale scambio di opinioni con il presidente dell'Abi Antonio Patuelli - nei confronti del cui

stile di presidenza abbiamo spesso mostrato apprezzamento, ancor più se raffrontato a quello del

predecessore - egli non ha mancato di ricordarmi le iniziative e le dichiarazioni dell'Abi a proposito del

«contenzioso» europeo trattato nel Contrarian di ieri riguardante l'inaccettabile rigorismo della Commissione

Ue (meglio: soprattutto delle strutture burocratiche) e di altre autorità comunitarie che maneggiano come una

clava il divieto di «aiuti di Stato» in merito all'istituzione di una bad bank e alle tematiche dei crediti di imposta

e degli interventi del Fondo Interbancario di Garanzia. Patuelli ha ragione: l'Abi non è stata silente. Tuttavia

oggi occorre qualcosa di più, se si vogliono evitare altri danni causati dalle posizioni Ue nei confronti delle

banche; dall'inadeguatezza dell'Eba che produce atti in cui costantemente si ritrovano aspetti insostenibili o

contraddittori; dal chiodo fisso della Vigilanza accentrata presso la Bce sulle dotazioni di capitale delle

banche. Trascuro di chiamare in ballo la Federazione Bancaria Europea, che pure dovrebbe attivarsi poiché i

problemi in questione non sono soltanto italiani, dal momento che essa oggi appare quasi «clandestina», pur

dopo un operare proficuo all'epoca della presidenza Profumo e di altri esponenti italiani. Ho presenti gli

oggettivi limiti dell'agire di una Associazione - l'Assobancaria - che non può assumere il complesso di Atlante,

ma, ripeto, in una fase straordinaria si impongono azioni straordinarie, nell'interesse dei risparmiatori e dei

prenditori di crediti. Patuelli ha le capacità per imprimere l'impulso necessario perché salga di grado e di

intensità la reattività, che resta pur sempre propria di una specifica parte sociale. Ma nel citare l'Abi nel

suddetto commento si intendeva implicitamente fare riferimento ai banchieri, singoli oltreché associati. E

allora qui è bene chiarire: poiché le lamentele su ciò che sta avvenendo a livello di Commissione e di

regolatori non nazionali sono diffuse e in diverse aree serpeggiano il mugugno e il brontolio, è bene che, se si

hanno critiche da muovere, lo si faccia in trasparenza e visibilità. Non si tratta di un'istigazione a un ribellismo

inutile e dannoso, ma la rappresentazione del giusto «sequitur» che dovrebbe essere dato a una situazione

di disagio avvertita come non giusta o comunque non corrispondente ai canoni che dovrebbero presiedere

alle diverse policy interessanti il settore. Capisco, pur nelle immense trasformazioni nel frattempo intervenute,

l'einaudiano «fuge rumores»; ma questo principio deve riguardare i molti altri aspetti dell'arte del banchiere,

non ciò che attiene all'esigenza di condizioni normali e corrette in cui egli possa svolgere efficacemente il

proprio compito di selezione del merito di credito. Tutt'altro problema è il modo in cui oggi avviene questa

selezione e, più in generale, come le banche rispondono alla loro ragion d'essere. Non siamo avari di critiche

a tal proposito; riteniamo che molto debba essere fatto ancora, a partire dai rapporti con la clientela. Ma i

ritardi e gli errori su questo versante non giustificano le posizioni inaccettabili della Commissione. La materia

è ben presente alla Banca d'Italia, che in più circostanze ha operato per la prevenzione e la riduzione del

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danno causabile da posizioni della specie. Mi rendo anche conto della possibile efficacia di interventi per

linee interne. Ma, al punto in cui siamo, occorre anche una maggiore fermezza da parte del governo, visto

che le tesi della Commissione toccano aspetti delicati dei rapporti con le banche e con coloro che decidono

dell'economia. È insomma il «sistema» che deve rispondere per porre fine a un andazzo che rischia di

gravemente degenerare. Perché, se le lamentazioni di banchieri, rese negli «interna corporis», fossero dagli

stessi considerate non suscettibili di esternazioni, allora ci dovremmo tutti ricredere ed espungere dai

problemi che pesano sull'offerta di credito quelli derivanti dalle diverse decisioni comunitarie ai vari livelli.

Dubito che così sarà, altrimenti sarebbe una straordinaria scoperta e la sferza del richiamo dei banchieri a

fare il proprio mestiere non potrebbe non agire. E neppure Patuelli, con tutta la sua disponibilità e perizia,

potrebbe porvi rimedio. (riproduzione riservata)

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Numero 098, pag. 10 del 21/05/2015

MERCATI

Per l'istituto in arrivo 500 milioni di liquidità

Assist Fonspa a B. Marche

di Luca Gualtieri

Quando ieri mattina la notizia è apparsa sule agenzie tra gli investitori si è subito diffusa una certa

fibrillazione, come dimostrano gli andamenti delle obbligazioni di Banca delle Marche. L'istituto,

commissariato da quasi due anni per gravi irregolarità, ha infatti annunciato al mercato una complessa

operazione finanziaria che coinvolge anche il suo cavaliere bianco, cioè il Nuovo Credito Fondiario.

Nell'agosto del 2014 Fonspa, appena entrata nella partita, concesse a Banca Marche un finanziamento da

2,7 miliardi, necessario per rimborsare i fondi concessi dalla Bce e assistito da obbligazioni senior garantite

dallo Stato e abs con rating elevato. Nei nove mesi successivi la gestione commissariale ha rimborsato quasi

un miliardo, portando così la quota residua a 1,8 miliardi. Il 22 aprile scorso, però, il

finanziamento è scaduto e, trovandosi nell'impossibilità di rimborsarlo o di chiedere

un'altra linea di credito, la banca marchigiana ha concordato con Fonspa una

strategia alternativa. Di «un'operazione concordata con Fonspa e la gestione

commissariale» ieri ha parlato esplicitamente il cfo di Banca Marche, Maurizio

Bocchini. Si sa infatti che, essendo commissariato, l'istituto di Jesi non può operare

sul mercato. Pertanto i vertici hanno deciso di affidare a Fonspa il ruolo di

intermediario per collocare gradualmente il collaterale del prestito e incamerare

così liquidità preziosa. Nel dettaglio sul mercato finiranno il bond Banca Marche da

300 milioni con scadenza gennaio 2017 e cedola facciale del 5,5% e le

autocartolarizzazioni realizzate dall'istituto (Marche Mutui 4-5 e 6). «In caso di vendita di tutto il nominale, pari

a 2,3 miliardi, una volta pagato il finanziamento da 1,8 miliardi a Fonspa, ci resterebbe una liquidità

aggiuntiva di 500 milioni che si aggiungerebbe al nostro buffer di liquidità che è già importante», ha spiegato

ieri Bocchini. Proprio questo è l'aspetto più interessante dell'operazione annunciata ieri. Il decreto legislativo

170/2004 consente infatti all'istituto di incamerare l'eccedenza dei proventi, una volta rimborsato il creditore.

«Con la Bce», ha spiegato ieri il direttore generale Luciano Goffi, «avevamo un'esposizione superiore ai 4

miliardi; in passato Banca Marche erogava molti più impieghi di quanto fosse la raccolta, e la differenza era

garantita dalla Bce. In questi anni abbiamo lavorato per riequilibrare la differenza e ridurre il debito, fino ad

arrivare a 1,8 miliardi; per coprire il residuo abbiamo acceso la linea di finanziamento con Credito Fondiario

ponendo in garanzia quegli stessi titoli che in passato erano stati immessi nel mercato a garanzia dei fondi

Bce. Passato l'anno di durata del prestito ci siamo trovati di fronte a una scelta: o rinnovarlo per una durata

temporale non compatibile con la durata del commissariamento (che scade il prossimo ottobre), oppure

vendere gli asset in garanzia. Abbiamo scelto la seconda opzione», ha concluso Goffi.

Pagina 1 di 2Assist Fonspa a B. Marche - MilanoFinanza.it

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Se insomma l'operazione orchestrata con Fonspa permetterà a Banca Marche di raccogliere liquidità

preziosa sul mercato, resta da capire quali saranno i tempi e le modalità del salvataggio. All'appello manca

ancora il terzo socio, ossia l'azionista forte che dovrebbe traghettare la banca fuori dall'amministrazione

straordinaria partecipando all'aumento di capitale da circa un miliardo di euro assieme a Fonspa (pronta a

mettere sul piatto 300 milioni) e al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (che dovrebbe partecipare per

altri 100 milioni). Nessuno si è ancora fatto avanti ufficialmente. Anzi, la cordata di imprenditori locali che si

era detta disponibile a intervenire nel salvataggio sarebbe pronta a fare un passo indietro: le risorse

finanziarie non mancherebbero, ma la lunga attesa dell'ultimo anno avrebbe raffreddato gli entusiasmi.

Nonostante queste difficoltà, nei palazzi romani si registra la chiara volontà di trovare una soluzione per

Banca Marche. Per conoscere l'esito della partita insomma non resta che aspettare la scadenza del

commissariamento, prevista per il mese di ottobre. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 098, pag. 20 del 21/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Unicredit alle prese con lo statuto pietrificato

di Edoardo Narduzzi

Non è stata una prova di forza, sicuramente. Ma il messaggio che è arrivato dall'ultima assemblea dei soci di

Unicredit è di quelli che appaiono destinati a lasciare un segno profondo nei meccanismi di governance del

capitalismo italiano. La lista supportata dai fondi e dagli investitori istituzionali, formalmente presentata da

Assogestioni, ha ottenuto ben il 54% dei voti assembleari. Formalmente ha eletto un solo consigliere di

amministrazione, Lucrezia Reichlin, perché da statuto della banca solo un consigliere poteva candidare. La

lista proposta dai grandi azionisti (le fondazioni bancarie, Allianz e il fondo emiratino Abaar) controllanti sulla

carta il 27% dei diritti di voto è arrivata soltanto seconda per numero di voti raccolti, fermandosi al 46%. Tutti i

consiglieri di amministrazione eletti, tranne la Reichlin, sono stati dunque scelti dal secondo arrivato. È un po'

come se, alla fine di elezioni politiche indette per scegliere il governo di un Paese, il partito più votato non

avesse la possibilità di designare il primo ministro e i singoli ministri dell'esecutivo. Una situazione che

sarebbe da tutti additata come curiosamente democratica, perché in parlamento deve sempre esistere una

ragionevole correlazione tra i voti raccolti, i deputati eletti e la presenza del maggior partito nel governo al

quale il parlamento ha votato la fiducia. Ma perché Assogestioni e gli investitori istituzionali hanno potuto

proporre un solo consigliere di amministrazione? Per una ragione semplicissima: perché lo statuto di

Unicredit è ancora figlio delle logiche spartitorie della prima stagione delle fondazioni bancarie azioniste di

riferimento e per evitare non gradite perdite del controllo ha previsto un limite numerico alla designazione dei

consiglieri da parte degli azionisti terzi. Ma oggi la foresta pietrificata delle fondazioni bancarie è stata

definitivamente sciolta dalla crisi innescata dal fallimento di Lehman Brothers ed è tempo che gli statuti

vengano modificati. In ogni caso il voto rivoluzionario all'assemblea di Unicredit segnala quanto nel prossimo

futuro saranno attivi fondi e investitori analoghi. Bloccare le dinamiche della governance societaria provando

a tenere fuori dalla porta quelli che ci hanno investito si farà sempre più difficile. Sarà davvero complicato

spiegare che chi ha ottenuto il 54% del 52% dei voti registrati per votare in un'assemblea non ha diritto a

contare nulla o quasi nella definizione del potere aziendale. La democrazia societaria si adegua all'epoca dei

fondi pensione e degli investitori interessati a partecipare e dire la loro su strategie e politiche industriali.

Buone notizie, quindi, per gli investitori. (riproduzione riservata)

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Pagina 1 di 1Unicredit alle prese con lo statuto pietrificato - MilanoFinanza.it

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IMPRESA & TERRITORI 21 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LE CARICHE Giancarlo Durante (Abi) è stato confermato presidente, mentre Stefano Giubboni (Fabi) è il nuovo vicepresidente

Credito. Riparte l’attività dell’ammortizzatore

Il fondo di solidarietà rinnova il vertice e

sblocca i fondi

Il fondo di solidarietà dei bancari rinnova il vertice del consiglio di amministrazione e

riparte, con lo sblocco di alcuni fondi per la sezione emergenziale. Una conferma alla

presidenza dove resta saldo il direttore centrale alla guida della direzione sindacale e

del lavoro di Abi, Giancarlo Durante. E una new entry alla vicepresidenza che passa

alla Fabi, con l’elezione dell’avvocato giuslavorista, professore di Diritto del Lavoro

all’università di Perugia, Stefano Giubboni. I vertici resteranno in carica per i prossimi

quattro anni.

Il cda così rinnovato ha debuttato con una serie di delibere. Tra queste le due più

significative sono quella che sblocca l’erogazione dell’assegno di sostegno al reddito

per i lavoratori di Seba e di Banca Network, collocati sul Fondo emergenziale e quella

che libera le risorse per formazione destinate anche ai lavoratori di istituti

commissariati come Banca Etruria. Altri istituti beneficiari delle prestazioni del

Fondo, autorizzate dalle delibere, sono il Credito Valtellinese, destinatario di oltre un

milione di euro da riservare ai 1.500 dipendenti che hanno scelto la sospensione

dell’orario di lavoro, secondo quanto deciso con l’ultimo accordo sul piano industriale

e, infine, la Banca Popolare di Vicenza, alla quale sono stati assegnati circa 3 milioni

per i suoi 250 addetti che hanno aderito al piano volontario di riduzione dell’orario.

Con il risiko delle popolari alle porte, si prennuncia una fase di arduo lavoro per il

fondo, organo paritetico composto da rappresentanti delle banche e dei sindacati.

Negli anni passati grazie al fondo è stato possibile garantire l’assegno di sostegno al

reddito ai lavoratori bancari in pre pensionamento e a quelli licenziati.

Il presidente Durante sottolinea «il ritorno all’operativitá del Fondo di solidarietà che

continua ad essere a pieno titolo il punto di riferimento per le banche ai fini

dell’attuazione di programmi aziendali di riconversione e riqualificazione

professionale, di sostegno dell’occupazione e del reddito. Esso rappresenta, da oltre un

decennio, lo strumento di cui le banche si avvalgono per gestire, senza tensioni sociali

né oneri per la collettività, le eccedenze di personale derivanti da processi di

riorganizzazione e ristrutturazione aziendale». Giubboni, in rappresentanza del

sindacato spiega che si impegnerà «in qualità di vicepresidente, a svolgere le mie

funzioni di tutela del fondo in favore di tutti i lavoratori del settore».

Nel dettaglio, il Fondo è costituito da tre sezioni: la straordinaria, che eroga le

prestazioni per i lavoratori in esodo, su cui negli anni sono transitati circa 52mila

bancari, di cui 15 mila con posizioni attualmente aperte, quella emergenziale, che

gestisce i sussidi per coloro che sono stati licenziati, poco più di un migliaio di

persone dall’anno della nascita della sezione, il 2009, a oggi. Infine c’è la parte

ordinaria, che finanzia la formazione e le giornate di solidarietà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Cristina Casadei

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FINANZA & MERCATI 21 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LA CONFERMA

Padoan: «Tra le iniziative allo studio c’è anche la formazione di una società-veicolo per l’acquisto di sofferenze, su base volontaria»

Credito. Il ministro: «Le sofferenze nei bilanci delle banche con la crisi sono andate crescendo e oggi

lo stock dei crediti deteriorati è pari a un quinto degli impieghi»

Padoan rilancia il piano bad bank

Trovare una soluzione al problema delle sofferenze è strategico per rafforzare il

credito

ROMA

«Le sofferenze nei bilanci delle banche con la crisi sono andate crescendo e oggi lo

stock dei crediti deteriorati è pari a un quinto degli impieghi mentre le sofferenze lorde

risultano pari al 9,8 per cento». Così il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha

risposto ieri durante il question time a un’interrogazione che chiedeva cosa il governo

farà per risolvere il problema delle sofferenze , giunte ormai alla soglia dei 190

miliardi. «Il governo è ben cosciente- ha replicato il ministro - degli effetti negativi

che ciò comporta per l’economia e trovare una soluzione al problema delle sofferenze

fa parte di una strategia di rafforzamento in campo creditizio che si sta portando avanti

della quale un esempio è la riforma delle banche popolari». Padoan ha spiegato che

sinora non si è intervenuti anche per la difficoltà di valutare questi crediti che in molti

casi sono stati concessi a piccole e medie imprese . Inoltre ha tenuto a sottolineare che

il riferimento a quanto è stato fatto in altri paesi ( come la Spagna, ndr) può essere

fatto in modo estremamente limitato visto che negli altri paesi si è agito per risanare

sistemi in dissesto e non è questo il caso italiano. Tuttavia, ha concluso«confermo che

tra le iniziative allo studio c’è anche la formazione di una società -veicolo per

l’acquisito di sofferenze bancarie, su base volontaria e destinato solo a banche

solventi». A questo scopo, ha spiegato Padoan «una specifica metodologia per il

calcolo del prezzo degli asset è in corso di definizione, mentre proseguono gli

approfondimenti per consentire alle banche un'accelerazione dei tempi di recupero dei

crediti». Non più tardi di lunedì, d’altra parte, nella lettera consegnata al governo

italiano, gli ispettori del Fondo monetario internazionale consigliavano caldamente al

governo italiano di far ripartire il mercato dei non performing loans sottolineando che,

attraverso una strategia articolata «andrebbe incoraggiata la costituzione di società

veicolo private da destinare a questo scopo, insieme a misure regolamentari e incentivi

fiscali con questa finalità. Inoltre- aggiungeva il documento degli esperti di

Washington «se disegnato in modo appropriato - una società di gestione degli asset a

livello sistemico e con l’apporto dello stato, in coerenza con la normativa europea

sugli aiuti di stato - potrebbe dare un forte impulso al mercato dei bad loans». Ieri, del

resto, un benvenuto alla strategia annunciata da via XX settembre era venuto anche dai

banchieri riuniti a Palazzo Altieri. Nel comitato esecutivo dell'Abi tenutosi nella

mattinata il tema, secondo diverse fonti,era stato stato affrontato ma, in assenza di

indicazioni certe, è stata sottolineata soprattutto la necessità di portare a casa almeno

l’altro lato dell’intervento del governo, confermato ancora una volta ieri pomeriggio

da Padoan: la riduzione dei tempi di recupero crediti, in Italia a livelli ben al di sopra

della media Ue e che rendono la cessione dei crediti, se non difficile, certo meno

remunerativa delle rivali europee. «Siamo molto concordi con l’iniziativa del governo

che apprezziamo e speriamo si concluda» ha detto il presidente dell’Abi, Antonio

Patuelli al termine dell’esecutivo. Sulla stessa linea anche l’Ad di Unicredit, Federico

Ghizzoni, secondo il quale «è chiaro che un intervento sulla legge fallimentare, con

l’accorciamento dei processi, avrebbe un impatto positivo non solo per le banche ma

anche per tutta l’economia e per gli investitori esteri».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Rossella Bocciarelli

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con decreto rimborsi fatto il massimo possibile

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 099, pag. 2 del 22/05/2015

PRIMO PIANO

Confermate le attese degli analisti. le nuove azioni saranno emesse a 1,17 euro

Mps, aumento a sconto del 39%L'offerta, al via lunedì 25, si chiuderà venerdì 12 giugno. Intanto il titolo si è allineato al nuovo valore con un calo in borsa del 3,05%. Occhi puntati sui grandi soci che non si sono ancora espressi

di Luca Gualtieri

Il Monte dei Paschi fissa i paletti dell'aumento di capitale che permetterà al gruppo di allinearsi ai target della

Bce e di rimborsare in anticipo i Monti Bond. Ieri, dopo l'ok di Bce e Consob, il consiglio di amministrazione

della banca ha infatti stabilito prezzo e calendario dell'operazione che partirà lunedì 25 per chiudersi venerdì

12 giugno per quanto concerne l'esercizio dei diritti. Le nuove azioni saranno emesse al prezzo di 1,17 euro,

con uno sconto sul Terp del 38,9%, superiore a quello applicato nell'ultima

ricapitalizzazione ma sostanzialmente in linea con le attese degli analisti. Dopo tutto,

infatti, si tratta di una stima realistica se si pensa che oggi Mps capitalizza meno

dell'importo che chiederà al mercato, cioè 2,6 miliardi di euro. Bisogna peraltro

ricordare che, come già accaduto l'anno scorso, lunedì scorso è scattato il

raggruppamento delle azioni nell'ordine di venti a una. In linea con le attese del

mercato negli ultimi giorni il valore del titolo Mps si è gradualmente allineato con il

presunto prezzo delle nuove azioni fino a portarsi ai 9,38 euro della chiusura di ieri.

L'operazione ha insomma le caratteristiche dell'aumento con effetto diluitivo che Piazza Affari ha imparato a

conoscere bene da qualche anno a questa parte. Per esperienza si sa che durante il periodo di offerta delle

nuove azioni possono verificarsi anomalie di prezzo, consistenti in una forte sopravvalutazione del prezzo di

mercato delle azioni rispetto al loro valore teorico. Proprio per questo Consob monitora il rispetto delle misure

in tema di vendite allo scoperto e di

obbligo di consegna dei titoli in sede

di liquidazione, sanzionando eventuali

violazioni alle norme.

Ora che l'aumento è arrivato sui nastri

di partenza sarà interessante capire

come si muoveranno i grandi soci del

Monte. L'unica certezza al momento è

che Axa (storico azionista della banca

senese al 3,17%) è intenzionata a sottoscrivere pro quota, come dichiarato mercoledì dall'amministratore

delegato di Axa Italia, Fréderic de Courtois: «Confermo che sottoscriveremo pro-quota», ha spiegato ieri de

Courtois. Nessun altro azionista ha battuto colpo, a partire dai pattisti che blindano il 9% della banca. Dopo

numerose riunioni con gli advisor e un costante scambio di informazioni con la banca e gli enti nominanti, la

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Fondazione non ha ancora sciolto la riserva sulle proprie mosse. Anzi, per la verità non è neppure detto che

lo faccia, visto che nessun obbligo formale lo impone. Le quattro strade prospettate dall'advisor Fonspa sono

comunque queste: l'adesione integrale pro quota (per un esborso complessivo di 75 milioni), la sottoscrizione

parziale con cessione di una parte dei diritti di opzione, il passo indietro con la vendita totale dei diritti e la

dismissione della partecipazione prima dell'avvio dell'offerta. Se al momento le quattro strade restano aperte,

non bisogna dimenticare che le mosse della Fondazione si intrecciano con quelle del patto in cui l'ente è

affiancato da Btg Pactual e Fintech Advisory. In questo periodo infatti stanno scadendo le due clausole di

lock up che vincolano Btg Pactual al patto: quella sull'intera partecipazione e quella sul 60% delle nuove

azioni sottoscritte in aumento. Senza una solida alleanza alle spalle la Fondazione rischia di non avere più la

massa critica per incidere sulle strategie della banca e di finire dunque marginalizzata nella compagine

sociale. Una circostanza che renderebbe davvero poco allettante l'adesione all'aumento di capitale.

Fuori dal patto ci sono poi azionisti che potrebbero assumere un ruolo determinante nei futuri assetti

proprietari del Monte. Ad esempio Alessandro Falciai, l'imprenditore ex Dmt che dallo scorso hanno

custodisce con la sua Millennium Partecipazioni l'1,7% del Monte. L'exploit nel corso dell'ultima assemblea di

bilancio è stato dei più incoraggianti, visto che la sua lista ha ottenuto quattro posti in cda, uno in più rispetto

ai francesi di Axa. «Seguiremo l'aumento di capitale e vogliamo contribuire a ricostruire la base di investitori

della banca che oggi non c'è più», ha spiegato Falciai in quella circostanza. In ogni caso, qualunque sia la

decisione dei soci, non bisogna dimenticare che l'aumento è assistito dalla garanzia di un consorzio di

primarie banche italiane e internazionali guidato da Ubs come global coordinator.

La ricapitalizzazione comunque non è l'unico appuntamento importante in vista per il Monte. A luglio ad

esempio i soci della banca dovranno trovare un sostituto per il presidente Alessandro Profumo che, ancora

fresco di rinnovo, lascerà l'incarico. Sullo sfondo c'è infine il tema dell'aggregazione, un passo chiesto con

forza dalla Bce durante il processo di convalida del capital plan. Le nozze potrebbero non essere immediate,

ma è lì che si arriverà con il solo dubbio se il partner parlerà italiano o meno. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 099, pag. 2 del 22/05/2015

PRIMO PIANO

L'unico punto fermo è il patto di dominio. L'11 giugno la banca di secondo livello presenterà il proprio progetto agli stakeholder

Riforma bcc, fumata grigia. La palla passa a Iccrea

di Claudia Cervini

«Il consiglio nazionale di Federcasse ha approvato all'unanimità i contenuti essenziali e qualificanti della

riforma che verranno proposti alle autorità per essere tradotti in proposte di modifica al Testo Unico

Bancario». È quanto ha comunicato l'associazione nazionale delle banche di credito cooperativo al termine

della riunione del board di ieri, che aveva all'ordine del giorno l'autoriforma del sistema (381 bcc, 1,2 milioni di

soci e 37 mila addetti). Federcasse non ha fatto menzione di quali contenuti siano stati approvati e la formula

ha tutto l'aspetto di un'altra fumata grigia, dopo che il presidente Alessandro

Azzi si era speso per un accordo entro fine maggio. Secondo quanto risulta

a MF-Milano Finanza, ora la palla passa al gruppo Iccrea. La banca di

secondo livello l'11 giugno, alla vigilia della sua assemblea (prevista per il

12), alzerà il velo sul progetto che la vedrebbe come capogruppo unica.

Sarà una sorta di test: dal modo in cui il programma verrà recepito dalle bcc

e dalle federazioni locali si misurerà infatti la sua fattibilità.

Tornando alla riunione del consiglio nazionale di Federcasse di ieri,

secondo quanto appreso, l'unico punto fermo al momento è l'obbligatorietà delle bcc ad appartenere a una (o

più) capogruppo sottoscrivendo un «patto di dominio» che ne disciplini i rapporti e che ne coordini

l'operatività. A questo proposito alcuni articoli del Testo Unico Bancario andranno modificati. Già il decreto

legge sulle banche popolari, che nella prima stesura conteneva anche la riforma del credito cooperativo,

avrebbe comportato la modifica di parte degli articoli 33, 34, 35, 36 e 37 (che disciplinano le norme generali, i

soci, l'operatività, le fusioni e gli utili) del Tub. E, a quanto sembra, Federcasse si sta muovendo nel solco del

vecchio decreto, almeno per quanto riguarda la capogruppo e i rapporti con le Bcc associate.

Che cos'è il patto di dominio? Si tratta di un accordo di garanzia che disciplinerà i rapporti tra la centrale e la

periferia e determinerà le dinamiche politiche e finanziarie di tale rapporto, fissando per esempio l'entità della

partecipazione delle bcc al capitale della capogruppo e regolando la garanzia di quest'ultima sul patrimonio

delle singole banche. Se infatti il patto di dominio limiterà in parte l'autonomia delle singole banche,

aumenterà le garanzie messe dalla capogruppo sul loro patrimonio.

Come detto, rimane il nodo della capogruppo e della forma che essa assumerà. Federcasse propende per

una holding unica e il candidato ideale pare sia proprio Iccrea. Ma quest'ultima non avrà vita facile. È infatti

ancora da chiarire il ruolo del movimento trentino e di quello altoatesino, che attraverso Cassa Centrale

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Banca e Cassa Centrale Raffaisen hanno presentato progetti di autonomia (Federcasse nei giorni scorsi ha

aperto un tavolo di confronto tra i tre istituti). Un'autonomia per cui però non ci sarebbe spazio, almeno nel

caso di Trento, il cui progetto è formare una capogruppo da 1 miliardo di patrimonio con ambizioni di

supervisione su 90 bcc, di cui 40 trentine e le restanti sparse su tutto il territorio nazionale. (riproduzione

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MF

Numero 099, pag. 11 del 22/05/2015

MERCATI

Una bozza unitaria dei sindacati del credito per le future società per azioni

Modello tedesco per le popolariNei consigli di sorveglianza potrebbero entrare rappresentanti dei lavoratori selezionati tra le figure piùmeritevoli attraverso un albo d'oro. La partecipazione azionaria? Sì, ma con una cooperativa

di Luca Gualtieri

Dopo la partita per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, i sindacati nazionali del credito si preparano

oggi a un'altra prova impegnativa da affrontare, se possibile, unitariamente. La trasformazione in spa delle

dieci maggiori banche popolari italiane pone infatti precisi interrogativi sulla governance futura degli istituti e

sul ruolo che potranno giocarvi i dipendenti. Dopo mesi di incontri e contatti, i segretari nazionali sono pronti

a mettere nero su bianco una proposta da condividere con

banchieri e autorità di vigilanza. Agostino Megale, numero

uno della Fisac-Cgil, lo chiama «modello tedesco» per la sua

affinità con la cultura d'impresa di quel Paese. Dando per

scontato che dalle fusioni in arrivo nasceranno

prevalentemente sistemi di governance duali, la proposta

prevede che i dipendenti abbiano una rappresentanza

minoritaria nei consigli di sorveglianza dei nuovi gruppi.

«Deve essere ben chiaro che i nostri rappresentanti non svolgeranno funzioni di gestione, ma solo di

monitoraggio e controllo. Una funzione, per così dire, di natura anti-speculativa con un occhio di riguardo per

le garanzie occupazionali», spiega Megale. Ma chi entrerà nei board in rappresentanza dei dipendenti? Non

necessariamente dei sindacalisti, ma «figure con un alto grado di eticità e di trasparenza, che saranno

selezionate da un albo d'oro appositamente compilato e aggiornato per dare la massima credibilità possibile

all'iniziativa», puntualizza Megale che in questo si trova sulla stessa lunghezza d'onda di Lando Sileoni,

segretario della Fabi. Parlando al consiglio nazionale di fine aprile, Sileoni aveva infatti proposto di

concordare con i vertici degli istituti e con gli organi di vigilanza l'inserimento di un rappresentante dei

lavoratori (ma non un sindacalista) nei consiglio di amministrazione delle banche.

Resta poi da capire se la nomina di rappresentanti nei board sarà accompagnata dall'ingresso nel capitale

delle nuove spa. Su questo punto la situazione è ancora abbastanza fluida. Se da un lato la Fabi di Sileoni

appare fredda sul tema, la Uilca di Massimo Masi lo cavalca con decisione. Megale sceglie una posizione

intermedia, forse di mediazione tra i differenti punti di vista: «Qui non vincono singoli progetti, ma i percorsi

unitari. Non mi pare che l'ingresso nel capitale sia la parte dominante del progetto, ma non vedo preclusioni.

Se si decidesse di dar vita a un contenitore, partecipato dai dipendenti e socio della banca, si può farlo

purché gli si dia la forma giuridica di una cooperativa. In questo modo riusciremo a mantenere in vita la

dimensione cooperativa anche nel mutato scenario di governance», conclude Megale. Al progetto manca

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insomma solo qualche ritocco e l'obiettivo resta quello di ottenere la piena unità sindacale su tutti i punti per

poi avviare il confronto con i banchieri e con l'autorità di Vigilanza. Difficile prevedere l'esito della trattativa.

Finora alcuni banchieri si sono mostrati abbastanza freddi sull'idea di una partecipazione dei dipendenti al

capitale. «Sono scettico sull'ipotesi di avere dei dipendenti-azionisti», aveva dichiarato per esempio il

presidente del Credito Valtellinese, Giovanni De Censi, in una recente intervista a MF-Milano Finanza. È pur

vero però che il clima politico potrebbe essere favorevole al progetto dei sindacati. Il disegno di legge sulla

partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese (recentemente adottato dalla commissione Lavoro

del Senato su iniziativa dell'ex ministro Maurizio Sacconi) prevede infatti che il coinvolgimento dei dipendenti

nella governance sia legato alla contrattazione aziendale. Se il provvedimento entrasse in vigore, i lavoratori

delle popolari riceverebbero un assist di non poco conto. (riproduzione riservata)

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COMMENTI E INCHIESTE 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

POPOLARI, FONDAZIONI, CREDITO COOP

Riforme, con le Bcc si va verso il tris

Archiviata la riforma delle popolari e quella delle fondazioni, il governo ora “rischia”

il triplete con le banche di credito cooperativo. Analogamente alle Fondazioni, dove si

è ricorso a un accordo tra l’Acri e il Mef, anche in questo caso la strada scelta è quella

dell’autoriforma: superata la tentazione del decreto, il Governo ha accettato che

fossero le banche, attraverso la loro ramificata struttura associativa, a definire il

modello. Mediazione non facile - 379 banche con 379 consigli, più le federazioni - ma

importante, così come è importante la posta in palio, visto che con i suoi 4.441

sportelli, i 201 miliardi di raccolta e i 135 miliardi di impieghi è questione d’interesse

nazionale che si trovi una soluzione condivisa e sostenibile a una realtà che - insieme -

vale più o meno come Intesa Sanpaolo. Stando alle comunicazioni di ieri, giorno in

cui il consiglio federale ha approvato all’unanimità le proposte di modifica al Tub, il

percorso procede. Buona notizia per il Governo, quindi. Che, incassato l’eventuale

triplete, dovrà solo più trovare le parole giuste per spiegarlo a Bruxelles: la

Commissione europea, a giudicare dalla lettera inviata settimana scorsa, per ora resta

scettica sulle autoriforme e preferirebbe una legge. Ma sia nel caso delle Fondazioni

che delle Bcc la sostanza non cambia.

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FINANZA & MERCATI 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Banche. Il board approva la manovra da 3 miliardi: offerti 10 nuovi titoli per ogni azione vecchia

posseduta

Mps, aumento a sconto del 38,9%

L’operazione a 1,17 euro per azione partirà lunedì, diritti esercitabili fino al 12

giugno

Scende l’importo dell’aumento, sale lo sconto concesso a chi lo sottoscrive. A undici

mesi dall’ultima manovra da cinque miliardi, il Monte dei Paschi da lunedì ne

chiederà altri tre al mercato con uno sconto del 38,9%, superiore al 35,5% concesso un

anno fa.

Così ha deciso il cda della banca che si è riunito ieri, a poche ore dal via libera al

prospetto - arrivato nella tarda serata di mercoledì - da parte della Consob. Altri

dettagli (ad esempio sul delicatissimo fronte del derivato Alexandria, su cui è in corso

una trattativa con Nomura) si conosceranno oggi proprio alla lettura del prospetto; per

ora si sa che agli azionisti verranno offerte 10 azioni di nuova emissione ogni 1 azione

già possedute, al prezzo di 1,17 euro ciascuna. Come accennato, i titoli della banca di

Rocca Salimbeni saranno sul mercato con uno sconto del 38,9% sul Terp (calcolato

sul prezzo di chiusura di ieri). Il calendario dell'offerta prevede che i diritti di opzione

saranno esercitabili da lunedì fino a venerdì 12 giugno compresi; sempre da lunedì e

fino all’8 giugno compreso, ci sarà tempo anche per negoziare diritti di opzione in

Borsa.

Oggi si assisterà alla reazione del mercato, al termine di una settimana non facile per il

titolo del Monte, che si era aperta con il raggruppamento delle azioni (una ogni 20).

Lo sconto più vicino al 40 che al 30% era nell’aria - l’anno scorso la tornata di

aumenti si era per lo più collocata intorno al 30-31% - e di fatto il titolo si è allineato

con scambi su volumi molto elevati. Ieri sera, il titolo ha vestito di nuovo la maglia

nera a Piazza affari, chiudendo in calo del 3,05% a 9,38 euro: da lunedì mattina,

quando ha aperto a 10,5 euro, ha lasciato per strada il 10,6%.

L’aumento, interamente coperto dal consorzio di garanzia, sicuramente andrà in porto.

Resta da capire, però, a chi finiranno le azioni della banca in via di collocamento: la

questione non è irrilevante, visto che sul mercato sta per finire un ammontare

superiore alla capitalizzazione, oggi intorno ai due miliardi e mezzo. Che cosa faranno

i soci stabili? Per ora solo Axa ha scoperto ufficialmente le carte, anticipando che

parteciperà pro quota, vale a dire per il 3,17% che ha attualmente in pancia. Quasi

certa anche la presenza di Alessandro Falciai, che un mese fa in assemblea aveva

manifestato l’intenzione di difendere il suo pacchetto vicino al 2%, mentre sul patto

del 9% che vede coinvolta la Fondazione Mps insieme a Btg e Fintech per ora non c’è

nulla di certo (si veda l’altro articolo in pagina). Tra domani e l’inizio della settimana

prossima tutto sarà più chiaro, così come l’ingresso del Tesoro - con una quota nei

mesi scorsi stimata intorno al 4% - a partire da luglio, cioè da quando la banca

rimborserà 1,073 miliardi di Monti bond e liquiderà in azioni i 243 milioni di interessi

maturati negli ultimi mesi.

Alessandro Profumo, come annunciato da settimane, concluso l’aumento lascerà la

banca: ilsuccessore sarà eletto da un’assemblea che potrebbe tenersi già in estate,

prima occasione in cui fotografare il nuovo azionariato post-aumento. Fabrizio Viola,

confermato nel ruolo di ceo, pochi mesi fa aveva comunicato l’auspicio che arrivino

«azionisti stabili, con una prospettiva di lungo periodo sulla banca». Chiunque si tratti,

dovrà essere disposto a tutto: stand alone, cessione di rami importanti, fusione.

«Siamo agnostici su questo. Non abbiamo questa visione di italiano o estero», ha detto

in settimana Frederic de Courtois, capo di Axa in Italia, aggiungendo che «a noi

importa il progetto». Il manager è intervenuto anche sul tema della successione di

Alessandro Profumo alla presidenza di Mps.: «Il fatto di avere il presidente che esce è

un tema. Rimane Fabrizio Viola di cui ci fidiamo molto, ma dovremo trovare un buon

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nuovo presidente».

.@marcoferrando77

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Marco Ferrando

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FINANZA & MERCATI 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

COSTO DI ROCCA

SALIMBENI L’Ente senese dovrebbe mettere in gioco altri 75 milioni, dopo che dal 2008 a oggi ha impegnato (e perso) 4,5 miliardi di euro

Grandi soci. Un ulteriore ridimensionamento della partecipazione attuale (2,5%) sembra ineluttabile

Fondazione al bivio sulla sottoscrizione

Quello che inizierà la prossima settimana, con il via all’aumento di capitale da 3

miliardi di Banca Monte dei Paschi, potrebbe non essere l’ultimo atto della

Fondazione Mps nell’azionariato del gruppo senese. Un ulteriore, sensibile

ridimensionamento rispetto alla partecipazione attuale (2,5%), sembra ineluttabile. Per

sottoscrivere pro quota la manovra, infatti, l’Ente presieduto da Marcello Clarich

dovrebbe mettere in gioco altri 75 milioni, dopo che dal 2008 a oggi ha impegnato (e

perso) 4,5 miliardi sul tavolo di Rocca Salimbeni, dove ha visto evaporare buona parte

del proprio patrimonio, passato dai 6 miliardi del 2007 a poco più di 500 milioni.

A Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione, le bocche sono cucite. L’edifico storico,

con affaccio su Piazza del Campo, è stato anche bonificato da eventuali “cimici” per il

timore di una fuga di notizie. E così, mentre in Borsa il titolo Mps continua a perdere

terreno (-11% dai 10,5 euro post raggruppamento delle azioni), a Siena si respira l’aria

che contraddistingue i momenti delle scelte senza appello: sottoscrivere

significherebbe impegnare ancora una volta dentro il Monte una fetta non irrilevante

del patrimonio residuo, con una prospettiva di remunerazione al 2017 e il ragionevole

timore di vedere la quota ridotta a dimensioni davvero marginali, da prefisso

telefonico, in caso di aggregazione; non sottoscrivere vorrebbe dire alzare bandiera

bianca, rassegnarsi al corso della storia, accettando fin da ora la pressochè definitiva

uscita di scena dell’ex azionista unico, poi azionista di maggioranza assoluta, poi

grande azionista, quindi azionista strategico in quanto partner di “peso” di un patto di

sindacato che raccoglie il 9% del capitale (insieme al 4,5% di Fintech e al 2% di Btg

Pactual).

C’è una terza possibilità: la Fondazione, il cui statuto indica come prioritari sia la

tutela e valorizzazione del patrimonio, sia il mantenimento a Siena della sede di Banca

Mps, potrebbe optare per vendere una parte dei diritti e sottoscrivere solo parzialmente

l’aumento di capitale, dosando così l’atterraggio, continuando a garantire i consiglieri

espressi nel board appena rinnovato (Fiorella Kostoris, Fiorella Bianchi, Lucia

Calvosa, oltre al presidente Alessandro Profumo peraltro in uscita, che insieme ai

nomi indicati dagli altri pattisti, l’amministratore delegato Fabrizio Viola, il vice

presidente Roberto Isolani e Christian Wamond, rappresentano metà della governance

della banca), e soprattutto riuscendo a mantenere un piede nella stanza dei bottoni.

Nelle prossime ore la Fondazione farà le sue scelte. Altrettanto faranno Fintech e Btg

Pactual, che finora non sono usciti allo scoperto, anche se la loro adesione all’aumento

di capitale appare scontata, in questo caso proprio per tutelare l’investimento fatto che,

complessivamente, supera i 500 milioni.

Tra i principali azionisti di Mps, solo Axa (3,7%) e Alessandro Falciai (1,7%) hanno

già detto di voler sostenere la manovra di rafforzamento del capitale di Rocca

Salimbeni, necessaria per restituire un miliardo di Monti bond allo Stato e per

migliorare i ratios patrimoniali. Anche se non basterà. Perché la vigilanza europea ha

già indicato come necessaria un’aggregazione. Due tappe, l’aumento da 3 miliardi e il

matrimonio d’interesse, che promettono di cambiare radicalmente gli assetti azionari e

il profilo societario della banca senese.

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Cesare Peruzzi

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FINANZA & MERCATI 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

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La scommessa è sull’alleanza e sui progetti di

bad bank

Qualcuno a Siena , e forse anche a Roma, pensa ancora che Mps possa mantenere un ruolo di centro di potere nel sistema banco-finanziario italiano. E sottotraccia sono già partite le manovre per cercare di influire sulla nomina del nuovo presidente che l’assemblea del Monte, a fine luglio-inizio agosto, dovrà nominare al posto dell’uscente Alessandro Profumo. Ma la decisione spetterà all’azionariato che si delineerà dopo l’aumento di capitale da 3 miliardi chiesto dalla Bce. L’esito dell’operazione non è dunque solo finanziario ma riguarda anche il futuro assetto proprietario di Mps, con la Fondazione condannata ormai all’irrilevanza strategica.Continua pagina 29 Alessandro Graziani Continua da pagina 27 Èpossibile che in sede di aumento qualche nuovo socio costruisca posizioni forti in grado di condizionare il futuro strategico della banca? Per saperlo bisognerà attendere solo un mese, quando l’operazione da 3 miliardi sarà conclusa, ma è certo che l’offerta di azioni a prezzi di saldo rappresenta un’occasione unica per chi intenda prendere il controllo di un Monte Paschi che non ha più azionisti di riferimento. E che, dopo aver ceduto praticamente ogni asset nel parabancario e ogni partecipazione azionaria, si presenta ormai come una pura banca-rete distributiva facilmente «aggregabile» in un network bancario europeo. È esclusa invece dal management di Mps, oltrechè praticamente vietata in modo ufficiale dalla Bce, ogni possibilità di proseguire stand-alone per l’impossibilità di offrire a nuovi e vecchi azionisti un’adeguata remunerazione sul capitale. L’aumento di capitale da 3 miliardi rappresenta dunque una scommessa che gli investitori faranno sull’inevitabile aggregazione che Mps sarà obbligato a trattare nei prossimi mesi con un partner estero o con l’unico italiano che finora ha manifestato interesse (Ubi Banca). Finora, in Europa l’accoglienza del dossier Monte Paschi è stata quantomeno tiepida. Tutte le grandi banche sembrano più concentrate sulle richieste della Bce sul capitale - e di quelle in continua «gestazione» da parte di organismi internazionali come Fsb, Comitato di Basilea, Eba - che su progetti di m&a nazionali o paneuropei. Lo stallo non è però destinato a durare in eterno. Soprattutto se Mps dovesse diventare più appetibile in caso di varo da parte del Governo italiano dell’atteso progetto di revisione del trattamento fiscale dei crediti deteriorati e, in particolare, delle sofferenze. L’impatto di un provvedimento del genere, che potrebbe essere approvato nelle prossime settimane, libererebbe il Monte dalla zavorra opprimente di buona parte dei crediti a rischio e renderebbe un’occasione, forse l’ultima, per quei gruppi esteri che intendono entrare in forze in Italia. O rafforzarsi significativamente per quelli già presenti e con ambizioni di crescita, come Credit Agricole o Bnp Paribas. L’alternativa a questo scenario di alleanza, restando escluso dalla Bce un percorso «stand alone» di Mps, è quello di uno «spezzatino» della banca. Ipotesi sgradita ai difensori del «grande Monte», ma forse ancora più attraente per gli investitori. © RIPRODUZIONE RISERVATAAlessandroGraziani

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Fondazione al bivio sulla sottoscrizione

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 5 del 23/05/2015

L'ex dg di Ubi entrerà in carica il 1 giugno al posto di sorato

Pop Vicenza nomina Iorio

La Banca popolare di Vicenza, a una decina di giorni dall'uscita del consiglere delegato e direttore generale

Samuele Sorato, ha il suo nuovo top manager. Si tratta di Francesco Iorio, ex Ubi Banca, cooptato dal board

in qualità sia di direttore generale sia di amministratore delegato. Iorio, classe 1968, è uno dei più giovani (e

apprezzati) banchieri italiani e proprio il dato anagrafico avrebbe giocato a suo favore, permettendogli di

sorpassare l'altro candidato forte, Divo Gronchi, ad della Cassa di Risparmio di San Miniato. Iorio entrerà in

carica il 1 giugno. Non c'è dubbio che uno dei temi caldi che il top manager dovrà affrontare è l'integrazione

di Bpvi con un altro istituto (probabilmente Veneto Banca). L'ipotesi circola da diversi mesi e l'arrivo di un ad

con una profonda esperienza di popolari potrebbe sbloccare la partita. (riproduzione riservata)

Claudia Cervini

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 10 del 23/05/2015

COPERTINA

In banca

Tutti i paletti sul creditoPochi trader hanno manipolato in chat i tassi di cambio. La regolamentazione bancaria non ha frenato gli eccessi della finanza speculativa. Ha invece preferito guardare a prestiti e titoli di Stato

di Francesco Ninfole

L'ultima multa miliardaria per le banche d'investimento ha riguardato i mercati delle valute. Un gruppo di

pochi trader, attraverso manovre coordinate in una chat room, ha modificato il valore dell'euro e del dollaro. I

tassi di cambio diventavano più alti o più bassi, a piacimento: così i profitti aumentavano per i trader ma si

abbassavano per i clienti. Le conseguenze dirette sono solo una minima parte dei danni provocati, dato che i

tassi di cambio sono poi utilizzati da milioni di imprese e famiglie. Simili

manipolazioni e simili effetti a livello globale si sono visti per Libor ed Euribor, in base

ai quali sono definiti i tassi di molti prestiti, tra cui i mutui. A otto anni dalla crisi dei

subprime il sistema finanziario è ancora vulnerabile: bastano pochi soggetti a

compromettere il funzionamento dei mercati.

Si potrebbe pensare che la regolamentazione finanziaria sia stata blanda dopo la

crisi. Non è stato così, anzi. Mai come in questi anni è stata massiccia. Il flusso di

novità è continuo. Una gran quantità di autorità, spesso senza una regia unitaria, ha

definito o proposto nuove normative, che però non hanno limitato gli eccessi della

finanza speculativa. I requisiti di capitale sono stati aumentati, ma colpendo soprattutto l'attività creditizia,

come accaduto anche in occasione degli stress test. Il risultato è stato quello di causare incertezza e

ostacolare i prestiti, senza però correggere i vizi che hanno

portato alla crisi. Ecco quali sono le principali regole (di

recente attuazione o in fase di definizione) che influenzano

l'operatività delle banche, specie quelle italiane perché

concentrate sul credito.

1) Vigilanza unica, Srep (Supervisory review and evaluation

process), discrezionalità nazionali e modelli interni di rating.

Lo Srep è la procedura attraverso la quale la Bce valuta i

rischi di una banca (anche quelli legati al modello di business

e alla governance) e poi decide requisiti specifici. In realtà

procedure simili esistevano già a livello nazionale, prima del

Meccanismo di vigilanza unico. Quest'anno lo Srep ha

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considerato soprattutto i risultati di Aqr e stress test. Perciò

nessuna banca ha dovuto raccogliere capitale aggiuntivo rispetto a quanto previsto dalla precedente

valutazione sui bilanci Bce. I banchieri però rilevano l'incertezza legata alle procedure e quindi ai requisiti

finali che potranno essere definiti nei prossimi anni. La tendenza generale è quella di richiedere sempre più

capitale: le banche non si fidano e preferiscono restare prudenti nell'impiego del capitale. La vigilanza Bce ha

inoltre indicato come obiettivi prioritari per i prossimi mesi la revisione delle

discrezionalità nazionali sul capitale (qui il rischio è l'asimmetria, come avvenuto per

esempio negli stress test in materia di titoli di Stato) e dei modelli interni di rating.

Oggi proprio l'utilizzo di valutazioni di rischio interne permette alle banche

d'investimento di mostrare indici patrimoniali più elevati grazie a ponderazioni di

favore.

2) I crediti scaduti dell'Eba. L'autorità bancaria europea ha il compito di definire

standard tecnici di dettaglio rispetto alla normativa primaria. Ma nei dettagli spesso si

nascondono le maggiori insidie. È quanto accaduto con le regole che ridefiniscono le

soglie per considerare un credito scaduto (past due) da più di 90 giorni: in particolare l'Eba ha fissato una

soglia assoluta (di 200 euro per i clienti retail e di 500 euro per quelli non retail) e una relativa (2%

dell'esposizione, invece dell'attuale 5%). Superati questi livelli, l'esposizione risulterebbe «past due». Se

queste norme diventeranno definitive secondo Abi i crediti scaduti delle banche italiane potrebbero

aumentare tra il 75 e il 110%. Un'altra recente misura restrittiva dell'Eba presieduta da Andrea Enria ha

riguardato i titoli subordinati Tier 2, che in alcuni casi sono stati esclusi dal capitale delle banche.

3) Il modello standard di Basilea. Il Comitato di Basilea ha proposto modifiche al modello standard per il

rischio di credito, cambiando le ponderazioni sulle esposizioni delle banche verso altri intermediari e verso

imprese, famiglie e privati. L'obiettivo era calibrare in modo più omogeneo i requisiti. Ma secondo le banche

questo proposito non è stato raggiunto; al contrario, è stato peggiorato il sistema di regole esistente. «I valori

dei parametri e dei fattori proposti indicano in modo evidente un significativo aumento del capitale», ha

osservato l'Abi, che giudica punitive le nuove ponderazioni di Basilea per le esposizioni verso le imprese e

quelle sui mutui (per i dettagli si veda MF-Milano Finanza del 9 aprile). Il rischio della stretta è causare effetti

prociclici nel breve termine, con impatto sui volumi dei prestiti.

4) Risoluzione delle crisi, bail-in e separazione strutturale. Ulteriori incognite derivano dai prossimi passi

dell'Unione bancaria. Dopo la vigilanza, il prossimo passaggio è il Meccanismo di risoluzione unico, che

entrerà pienamente in vigore dal 2016, assieme alla sua novità più significativa, il bail-in, ovvero il

coinvolgimento di azionisti e creditori nelle perdite. «Una rivoluzione culturale», secondo il dg di Bankitalia,

Salvatore Rossi. I clienti dovranno essere informati della novità, che potrebbe anche causare un aumento del

costo della raccolta per le banche. Gli istituti inoltre devono versare al fondo di risoluzione Ue l'1% dei

depositi garantiti. Un provvedimento separato, ma proveniente sempre da Bruxelles, riguarderà la riforma

strutturale del settore, cioè la separazione tra attività creditizie e di trading. Le modalità concrete di intervento

sono in fase di definizione da parte della Commissione Ue.

5) Imposte differite attive (Dta) e aiuti di Stato. Questa materia riguarda da vicino le banche italiane: per loro

le Dta valgono 55 miliardi. In gran parte derivano dalla deducibilità delle perdite su credito in cinque anni,

invece che in un anno, come avviene nella maggior parte dei Paesi europei. Oggi le Dta non sono dedotte

dal capitale, grazie anche a una correzione legislativa che consente di trasformare le imposte differire in

crediti d'imposta in certi casi. La Commissione Ue sta però indagando per verificare che nella normativa

italiana non ci siano violazioni della disciplina sugli aiuti di Stato (la stessa che blocca misure di smobilizzo

del credito).

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6) Principi contabili. Gli istituti dovranno registrare le perdite sul credito in anticipo: non solo quando si sono

già verificate, ma anche quando sono previste per il futuro. La novità contabile è legata all'introduzione da

parte dello Iasb del principio Ifrs 9, che sostituirà dal 2018 lo Ias 39. Il nuovo principio potrebbe causare un

rilevante aumento delle rettifiche sui prestiti per le banche. Peraltro l'applicazione dei criteri contabili non è

uniforme, soprattutto per le banche piccole: nella gran parte dei Paesi dell'Eurozona si applicano i National

Gaaps anziché, come in Italia, gli Ias/Ifrs.

7) Il Tlac. Il Fsb finalizzerà entro il G20 di novembre le proposte per le 30 banche sistemiche di detenere un

cuscinetto di azioni e bond convertibili fino al 16-20% degli asset ponderati (Rwa), livello che in certi casi può

salire fino al 25%. Tale valore costituirebbe la capacità di assorbimento delle perdite della banca (Total loss-

absorbing capacity o Tlac). Gli istituti dovrebbero rispettare un requisito sulla leva almeno doppio rispetto a

quanto richiesto da Basilea 3: il leverage ratio minimo salirebbe al 6% dal 3% (si veda MF-Milano Finanza del

21 aprile). Federico Ghizzoni, ceo di Unicredit, ha ricordato che, se si chiedesse alle banche europee di

portare i requisiti di capitale al 20-25%, gli istituti dovrebbero ridurre gli asset di 2 mila miliardi o rafforzarsi

con capitale e debito subordinato per 400 miliardi, un importo talmente elevato da essere di fatto irreperibile

sul mercato. Inoltre il Tlac avvantaggerebbe le banche organizzate come holding pure, diffuse in Usa e

Svizzera, mentre le altre dovrebbero cambiare la struttura organizzativa.

8) Ponderazioni e tetti sui titoli di Stato. Le autorità bancarie in più occasioni hanno chiesto di eliminare la

ponderazione zero sui bond sovrani e di fissare limiti alle esposizioni (pari al 25% del capitale secondo

Danièle Nouy, presidente del Consiglio di vigilanza Bce; la media delle banche italiane è di oltre il 175%).

Anche queste mosse tuttavia avrebbero rilevanti effetti prociclici. Perciò Banca d'Italia è contraria a strette

regolamentari nel breve termine, per ragioni evidenziate anche in un'analisi di Paolo Angelini, Giuseppe

Grande e Fabio Panetta (si veda MF-Milano Finanza del 7 maggio).

Eppure per molti regolatori intervenire sui titoli di Stato è oggi la priorità. Di certo l'attenzione al credito e ai

bond sovrani non dispiacerà a chi continua a fare trading speculativo, con danni enormi per il sistema

finanziario. Come se la crisi non fosse mai esistita. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 12 del 23/05/2015

Banca mps

Un Monte da 3 miliardiParte lunedì 25 il maxi-aumento della banca. I primi giorni saranno da ottovolante. Consob in allerta. Tra i soci Fintech pronto ad aderire, mentre Btg Pactual potrebbe fare un passo indietro

di Luca Gualtieri

È trascorso esattamente un anno e il Monte dei Paschi si ripresenta sul mercato per raccogliere una cifra a

nove zeri. Dopo i 5 miliardi del 2014, oggi la banca senese chiederà a soci e investitori 3 miliardi di euro,

circa il 25% in più dell'attuale capitalizzazione che si attesta a 2,4 miliardi. L'operazione, messa in cantiere

nel novembre scorso dopo l'esito negativo del comprehensive assessment, è lo snodo

centrale del capital plan che Mps ha concordato con la Bce e che prevede il

ripianamento dello shortfall da 2,11 miliardi e il rimborso integrale dei Monti bond.

Superato questo scoglio, insomma, la banca senese tornerà in carreggiata e potrà

presentarsi con le spalle larghe ai prossimi appuntamenti, a partire dall'aggregazione.

Aumento. L'operazione è in scaletta da novembre, anche se a febbraio l'importo è

salito da 2,5 a 3 miliardi per venire incontro alle richieste della Bce.

Complessivamente saranno emesse 2.558.256.930 azioni ordinarie al prezzo unitario di 1,17 euro, offerte nel

rapporto di dieci a una. Va peraltro ricordato che lunedì 18 i titoli sono già stati raggruppati nell'ordine di venti

a uno, un rapporto decisamente inferiore rispetto a quello applicato lo scorso anno (cento a uno).

Bilancio. Alla fine del primo trimestre Mps è tornata al profitto per la prima volta dopo tre anni e dopo perdite

cumulate per oltre 10 miliardi. La banca ha infatti registrato un utile netto di 72,6 milioni, battendo le stime

degli analisti. Gli esperti hanno apprezzato particolarmente

l'andamento delle commissioni, cresciute del 9,3% a 443

milioni, mentre il margine di interesse si è mantenuto stabile

a 612 milioni grazie all'ulteriore riduzione del costo del

funding. Permane il problema della qualità degli attivi, con un

costo del rischio ancora elevato. Sul fronte patrimoniale,

infine, il cet1, che comprende anche l'aumento di capitale di 3

miliardi, si è posizionato a quota 10,9%.

Calendario. I diritti saranno negoziabili da lunedì 25 fino a

lunedì 8 giugno, mentre per il loro esercizio c'è tempo fino a venerdì 12 giugno, pena la decadenza. I risultati

dovrebbero essere comunicati entro cinque giorni lavorativi dal termine del periodo di opzione.

Diluizione. I soci che decidessero di non sottoscrivere l'aumento potrebbero veder diluita la propria

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partecipazione per il 90,9%, livello elevato anche se inferiore al 97,7% dell'ultimo aumento.

Earning per share (utile per azione). Secondo gli analisti il prezzo di emissione delle azioni deliberato giovedì

21 dal cda è più basso rispetto alle attese (che si attestavano intorno al 35% di sconto sul Terp). Questo

comporta quindi una maggiore diluizione in termini di utile per azione.

Fee. Le spese che Mps dovrà sostenere per l'aumento, incluse le commissioni riconosciute ai membri del

consorzio di garanzia, sono stimate in circa 130 milioni, una cifra decisamente inferiore ai 260 milioni

riconosciuti per la precedente ricapitalizzazione da 5 miliardi.

Istituti del consorzio di garanzia. Come già accaduto l'anno scorso, Ubs sarà global coordinator e joint

bookrunner, affiancata questa volta da Citigroup, Goldman Sachs e Mediobanca che agiranno invece in

qualità di co-global coordinator e joint bookrunner. Barclays, Commerzbank, Deutsche Bank, Merrill Lynch e

Société Générale saranno invece joint bookrunner.

Lock up. Proprio in questi giorni stanno scadendo le due clausole di lock up che vincolano Btg Pactual al

patto di sindacato: quella sull'intera partecipazione e quella sul 60% delle nuove azioni sottoscritte in

aumento. Il gruppo brasiliano non ha ancora fatto sapere se parteciperà all'aumento e potrebbe anzi

scegliere di diluirsi, a differenza di Fintech, che invece è pronta ad aderire. L'investitore messicano ha infatti

sottoscritto un contratto di sub-underwriting con il global coordinator Ubs per un ammontare massimo pari al

corrispettivo pro quota, cioè 135 milioni.

Monti Bond. I nuovi strumenti finanziari emessi dalla banca sono stati sottoscritti nel febbraio 2013 dal Tesoro

per un importo di 4,071 miliardi. L'aumento di capitale servirà per rimborsare gli 1,07 miliardi ancora in

portafoglio in largo anticipo rispetto alla scadenza del 2017. Nel frattempo il prossimo primo luglio Via XX

Settembre vedrà pagati gli interessi 2014 in azioni e diventerà provvisoriamente azionista della banca con

una quota intorno al 4%. Il contratto sottoscritto a suo tempo prevedeva infatti il pagamento con azioni,

qualora Mps avesse chiuso il bilancio in perdita, come avvenuto nel 2014.

Nozze. L'integrazione con un altro istituto è una delle strategie che la Bce ha chiesto esplicitamente al

management della banca senese, oltre alla riduzione dei crediti deteriorati. L'ultima indicazione in tal senso è

contenuta nella lettera di autorizzazione alla ricapitalizzazione e alla restituzione dei Monti Bond. Sul mercato

è ancora molto forte il rumor che accredita Ubi Banca come partner ideale, anche se il gruppo lombardo ha

finora escluso ogni contatto.

Patto parasociale. Il 9% di Mps è vincolato da un patto parasociale che lega la Fondazione Mps (oggi

azionista al 2,5%) e gli investitori americani Fintech Advisory (4,5%) e Btg Pactual (2%). Nell'ultimo aumento i

pattisti avevano messo sul piatto 450 milioni: 125 la Fondazione, 225 Fintech e 100 Btg Pactual. L'impegno

pro quota era previsto dall'accordo sottoscritto nei mesi precedenti e poi validato da Banca d'Italia. A questo

secondo giro nulla vincola gli azionisti ad aderire all'operazione.

Soci non pattisti. Il gruppo Axa (azionista della banca senese al 3,17%) si è impegnato a sottoscrivere pro

quota l'aumento, come confermato mercoledì dall'amministratore delegato di Axa Italia, Fréderic de Courtois.

Lo stesso farà Alessandro Falciai, l'imprenditore ex Dmt che dallo scorso anno custodisce con la sua

Millennium Partecipazioni l'1,7% del Monte.

Terp. Rispetto al prezzo teorico dopo lo stacco del diritto, il valore dei nuovi titoli presenta uno sconto del

38,9%, che si confronta con quello del 35,5% applicato nell'operazione del 2014. Lo sconto è inoltre

superiore a quello registrato nelle recenti ricapitalizzazioni di Banco Popolare (30,7%) e Popolare di Milano

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(31,76%).

Uscite. A luglio Alessandro Profumo lascerà la presidenza della banca, ruolo nel quale era stato riconfermato

dall'assemblea di aprile. Non è ancora chiaro chi nominerà il successore, visto che la Fondazione ha perso il

privilegio di designare il presidente della banca. Alla guida operativa resterà comunque l'amministratore

delegato Fabrizio Viola che negli ultimi tre anni è stato regista del piano di risanamento. Della squadra fanno

parte Angelo Barbarulo (vice dg crediti), Bernardo Mingrone (vice dg finanza e operation), Ilaria Dalla Riva

(risorse umane, organizzazione e comunicazione), Alfredo Montalbano (coo), Andrea Rovellini (rischi), Marco

Bragadin (retail e rete) e Sergio Vicinanza (corporate e investment banking).

Vendite allo scoperto. Consob monitorerà l'andamento del titolo visto che l'aumento presenta caratteristiche

di forte diluizione. Questa circostanza determina un elevato rischio che durante il periodo di offerta delle

nuove azioni si verifichino anomalie di prezzo, consistenti in una forte sopravvalutazione del prezzo di

mercato delle azioni rispetto al loro valore teorico. Di conseguenza, la Consob «monitorerà attentamente

l'andamento sul mercato delle azioni», specie in tema di vendite allo scoperto, spiega una nota. La

commissione ha ricordato il «divieto di effettuare vendite allo scoperto in assenza della disponibilità sui titoli»,

le cosiddette vendite allo scoperto nude e l'obbligo di consegna dei titoli in sede di liquidazione, come

previsto dal regolamento di Borsa Italiana. Consob ha ricordato infine che, in analoghe operazioni del

passato, le violazioni alle due norme richiamate sono state oggetto di sanzione pecuniaria. (riproduzione

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 13 del 23/05/2015

Intervista

Ora Siena merita fiducia

L'ad di Axa Italia, De Courtois: pronti a fare la nostra parte nell'operazione. Il management ha fatto un gran lavoro che va premiato L'alleanza funziona, puntiamo molto su sanità integrativa e long term care

di Andrea Cabrini Class Cnbc

Parigi scommette ancora sull'Italia. Anzi, è pronta a rafforzarsi, giocando sia la partita dei nuovi bisogni

assicurativi legati alla sanità integrativa e al long term care, sia quella del risiko bancario per rafforzare il

canale di vendita e consulenza sulle proprie soluzioni. L'amministratore delegato di Axa Italia, Frederic de

Courtois, in Bocconi per un seminario sulla cultura del rischio, conferma che il gruppo francese parteciperà

all'aumento di capitale di Mps, ma guarda anche oltre.

Domanda. Ingegner De Courtois, vi preparate a una estate calda?

Risposta. Diciamo che in Italia abbiamo una quota del 5% sia nel ramo Danni che in quello

Vita, e tanta voglia di farla crescere. Innanzitutto puntiamo sulla crescita interna. Ad esempio,

ben sette anni fa abbiamo sviluppato prodotti dedicati al cosiddetto Long Term Care, che

garantisce l'autosufficienza individuale delle persone che lo sottoscrivono. È un mercato che

abbiamo praticamente creato noi e che risponde a un bisogno sempre crescente. Non nascondo, però, che

siamo pronti anche a sviluppare linee di crescita esterna. Insomma: dossier sul tavolo non ne abbiamo, ma

siamo alla finestra, e se dovessero crearsi buone opportunità le valuteremo attentamente. L'ho detto:

vogliamo crescere, e sono ottimista che nell'arco dei prossimi 5 anni ne avremo l'occasione.

D. In realtà il mercato si attende che il riassetto delle banche, delle popolari in particolare, parta nei prossimi

mesi. La geografia del credito potrebbe cambiare in maniera forte. Una sfida anche per le assicurazioni che,

come voi, puntano sul canale bancario per raggiungere i clienti.

R. Certo, in questo settore l'arco temporale di riferimento è medio-breve.

Quando ho parlato di un periodo più lungo mi riferivo al comparto

dell'assicurazione classica, ma quello dei prodotti veicolati tramite il canale

bancario è un campo nel quale in Italia ci possono essere opportunità a

breve termine. D'altronde ci sarà una rimodulazione del panorama bancario,

e sappiamo che anche le banche hanno voglia di trovare partner per le loro

compagnie assicurative, sia nel ramo Vita, che ancora più in quello Danni,

che nella bancassurace è molto poco sviluppato. Insomma, hanno bisogno di

partner assicurativi, e quindi è probabile che in questo settore si muova

qualcosa a breve.

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D. Ma per voi Mps è una scelta irreversibile ? Anche dopo l'aumento?

R. Abbiamo piena fiducia nell'attuale management dell'istituto. Ha dimostrato, negli ultimi due o tre anni, di

essere all'altezza del compito. La situazione di partenza era molto complessa, ma abbiamo registrato grandi

progressi sul fronte della produttività commerciale e miglioramenti sul fronte dei costi. Insomma, diamo

fiducia al Monte perché abbiamo toccato con mano i risultati del loro lavoro.

D. È per questo che avete aderito all'aumento di capitale?

R. Sì, lo faremo pro quota

D. Mps, però, non fa mistero della necessità di procedere in futuro a un'aggregazione. Come vi comporterete

quando il Monte non sarà più autonomo nelle proprie scelte?

R. Noi, a Siena, siamo sia azionisti che partner industriali. Ovvio che saremo molto attenti a preservare i

nostri interessi su entrambi i fronti. Per quanto riguarda il primo diciamo che valuteremo chi ha i migliori

progetti, mentre come partner industriale per ora si può immaginare di tutto, ma in ogni caso voglio

specificare che abbiamo costruito molto con il Monte dei Paschi negli anni passati, e quindi anche in una

scenario di aggregazione manteniamo una grande voglia di rimanere a bordo.

D. Come va la vostra alleanza, Axa Mps. È soddisfatto?

R. Si, va molto bene nonostante tutte le difficoltà che la banca ha vissuto in questi anni. Con il Monte

abbiamo creato una best practice sul mercato italiano e siamo orgogliosi di questo, oltre a essere convinti di

essere la migliore compagnia di bancassicurazione sul mercato in questo momento. Questo anche grazie al

fatto che il Monte dei Paschi ha creduto nell'attività e ha assorbito la cultura della protezione nel proprio Dna.

Ora i gestori delle filiali hanno come missione anche quella di proteggere i propri clienti. Non è una cosa che

si è realizzata da un giorno all'altro, ma adesso c'è, e siamo una bancassicurazione che vende i prodotti in

maniera molto naturale.

D. Eppure quello italiano, per le assicurazioni, è da sempre un mercato più difficile di altri.

R. Vero. È una cosa che si dice da anni e non si è mai trovata una vera soluzione. Ora però sono più

ottimista che nel passato. Vedo che, soprattutto nel campo della previdenza e della salute, la sensibilità è

aumentata, in particolare a livello dei più giovani. Per le compagnie che fanno bene il proprio lavoro è il

momento di cogliere questa opportunità.

D. Cosa intende per far bene il vostro lavoro? Cosa conta di più oggi ?

R. Quello che conta davvero è, prima di tutto, una sana concorrenza. Sul mercato italiano storicamente non

c'è stata grande innovazione. Una concorrenza più forte spingerebbe più innovazione. Ma sono stati fatti

comunque passi importanti. Poi, certo, tocca anche alle compagnie comunicare meglio, e anche su questo si

sono fatti progressi importanti.

D. Tra le vostre novità c'è il piano di riorganizzazione Axa One. A che punto siete?

R. Si tratta sostanzialmente di una fusione tra Axa Assicurazioni e Axa Mps, anche se non potevamo

fonderle davvero perché una delle due è una joint venture. Abbiamo fatto un consorzio, che è partito dal

primo gennaio. C'è una squadra unica e ancora qualche sistema da integrare, ma diciamo che il 90% di Axa

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One Italy è fatto.

D. E dal vostro quartier generale di Parigi come vedono il mercato italiano?

R. A Parigi c'è sempre stato grande affetto per l'Italia. Lo dimostra anche la partnership con l'università

Bocconi e il programma FuturAxa, avviato con l'ateneo: scegliamo giovani studenti per programmi di stage, e

poi spesso rimangono nella compagnia. Per quanto riguarda il mercato italiano, a Parigi si sa che ha un buon

potenziale di sviluppo e questo, per un settore maturo come quello delle assicurazioni, non è poco. Diciamo

che l'Italia è un mercato dove la redditività è buona e dove c'è ancora un grosso potenziale di crescita, e

quindi - lo ripeto - Parigi è pronta a investire in Italia, se trova buone opportunità. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 12 del 23/05/2015

Ecco l'esercito delle banche monosportello: centenarie o costituende

L'Italia dei borghi, dei campanili e... delle banche. Neanche il mondo del credito sfugge alla diffusa

frammentazione che caratterizza tanti aspetti del sistema-Italia. E anche se le autorità si sono spese da

tempo per indicare la via del consolidamento bancario, questo è ancora lontano da venire. A fine 2014 erano

23 le banche di credito cooperativo con una sola filiale attiva, mentre la dimensione media dei gruppi del

settore è di sole 11,8 agenzie. E una manciata di banche in miniatura emerge anche tra le popolari,

soprattutto di nuovo conio, ma non solo. Secondo alcuni si tratta di una ricchezza, secondo altri di un

anacronismo. Talvolta, infatti, questi istituti sono sinceramente espressione della comunità locale, altre volte

del solo comitato promotore o dei numerosi consiglieri di amministrazione.

Funziona così. I progetti più solidi, una volta ottenuto il via libera dalla vigilanza ad avviare l'attività,

impiegano un tempo medio di due-tre anni per raggiungere il pareggio. Solo allora ricevono l'eventuale ok

delle autorità all'apertura del secondo sportello. Chi non lo ottiene, spesso rimane con una sola filiale sine

die.

Tra gli istituti monosportello si incontra per esempio la Bcc Don Stella di Resuttano (sette dipendenti, sette

consiglieri di amministrazione e tre esponenti del collegio sindacale). Lo storico istituto dell'omonimo borgo di

Caltanissetta in oltre un secolo di vita (fu fondato nel 1905) non è mai arrivato ad aprire una seconda filiale.

Resiste anche la Banca del Fermano, nata nel 2007: uno sportello a Fermo, ma ben nove consiglieri, cinque

esponenti del collegio sindacale, e cinque figure del collegio dei probiviri (278 mila euro di perdita netta nel

2014). Fino a oggi ha retto anche il Banco Fiorentino-Credito cooperativo di Scandicci. In realtà la banca

presieduta da Giovanni Doddoli (sei consiglieri di amministrazione, escluso il presidente) sarà presto

incorporata nella Bcc di Impruneta (sette filiali in tutto a Firenze): a questo proposito è già stata convocata

l'assemblea straordinaria per il 29 maggio. Dalle banche monosportello (non necessariamente bcc) sono

passati negli anni anche politici o manager di grido. È il caso della Banca Federiciana di Andria (Bari),

successivamente rilevata da Bn Finanziaria, nel cui advisory commitee militavano l'ex banchiere di Deutsche

Bank e della Banca Popolare di Bari, Vincenzo De Bustis, l'ex senatore Pd, Nicola Rossi, e il manager Mario

Resca.

L'elenco delle mini-banche sarebbe ancora lungo. «Non è questione di dimensione ma di valori e di mission

aziendale», sostiene Domenico Buonocunto, responsabile del servizio marketing di una bcc di medie

dimensioni e autore insieme ad altri 1.400 colleghi del settore di una Lettera aperta sull'Autoriforma

indirizzata ai presidenti delle banche di credito cooperativo, alla politica ed alla vigilanza. «Una bcc è tale fino

a quando chi la dirige, quindi in primis il consiglio di amministrazione e il management, sono dei cooperatori

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convinti indipendentemente dalla propria dimensione», afferma. Diversa l'opinione del docente Andrea Resti

(il docente della Bocconi che è anche vicepresidente del Banking stakeholder group dell'Eba) secondo il

quale il monosportello è giustificabile soltanto se alla base c'è un progetto industriale forte (è il caso per

esempio delle banche di categoria, che spesso si appoggiano a istituti di maggiori dimensioni per

l'operatività; oppure delle banche online che hanno scelto un diverso modello di business).

Alcune delle monofiliali sono banche di nuovo conio. Un trend più diffuso di quanto si pensi. La corsa alle

agenzie è iniziata negli anni 90 quando il Testo unico sulla finanza ha semplificato l'iter per aprire nuove

banche. Negli anni Novanta, però, lo spread tra tassi attivi e tassi passivi era abbastanza alto e questo

permetteva di coprire i costi per l'erogazione del credito. Oggi, invece, lo spread ha raggiunto livelli bassi e

questo mette in difficoltà gli istituti. Naturalmente le difficoltà sono più acute per le banche in fase di start up

che devono sostenere oneri maggiori e che non possono ricorrere a operazioni straordinarie per far quadrare

il conto economico. Di conseguenza, la pressione sui margini è più forte che in passato e questo rischia di

compromettere l'operatività.

La lista delle start up bancarie finite male è lunga. Due esempi storici sono Banca di Treviso e Popolare di

Venezia. La prima rinunciò all'indipendenza e venne ceduta alla Cassa di risparmio di Ferrara, mentre la

seconda, nata a fine anni 80, finì nell'orbita della Popolare di Vicenza. Diverso e più recente il fallimento

dell'impresa del Comitato promotore della Banca Popolare di Prato: il quantitativo minimo di capitale sociale

necessario per attivare la banca non è infatti stato raggiunto. (riproduzione riservata)

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PRIMA PAGINA 23 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Lunedì al via l’operazione - Nel prospetto la banca segnala le trattative con Nomura per una transazione sui derivati

Mps, faro Consob sull’aumento

L’Authority: ci sarà una forte diluizione, «possibili anomalie di prezzo»

Mentre Mps si prepara all’aumento di capitale da 3 miliardi che scatterà lunedì, Consob accende un faro preventivo sull’operazione. In una nota diffusa ieri, l’Authority ha sottolineato che l’operazione «presenta caratteristiche di forte diluizione». Di conseguenza «monitorerà attentamente l’andamento sul mercato delle azioni» durante il periodo d’offerta, specie in tema di vendite allo scoperto. È un annuncio di routine, quello emesso ieri dall’ente guidato dal presidente Giuseppe Vegas, quando in ballo ci sono operazioni borsistiche simili, con mega-emissioni di nuove azioni rispetto a quelle esistenti. Sul mercato finiranno circa 3 miliardi di euro di nuovi pezzi, contro una capitalizzazione attuale vicina ai 2 miliardi e mezzo. Ecco perchè l’aumento di capitale potrà generare «anomalie di prezzo, consistenti in una sopravvalutazione del prezzo di mercato delle azioni rispetto al loro valore teorico», prosegue la nota. Consob ieri ha ricordato quindi il «divieto di effettuare vendite allo scoperto in assenza della disponibilità sui titoli», le cosiddette “vendite allo scoperto nude” - divieto già operativo in virtù del Regolamento Ue 236/2012 - e l’obbligo di consegna dei titoli in sede di liquidazione, come previsto dal regolamento di Borsa Italiana. Continua pagina 23 Luca Davi Continua da pagina 21 Consob ha ricordato infine che, in analoghe operazioni del passato, le violazioni alle due norme richiamate sono state oggetto di sanzione pecuniaria.Giovedì sera il Cda della banca senese ha stabilito il prezzo dell’aumento, pari a 1,17 euro, con un sconto del 38,9% sul prezzo teorico ex diritto, offrendo ai soci 10 nuove azioni per ogni azione posseduta. I diritti di opzione saranno negoziabili fino all’8 giugno ed esercitabili da lunedì fino a venerdì 12 giugno compresi. Se è vero che il maxi-sconto - che supera quello applicato nel corso dell’aumento da 5 miliardi del 2015, pari a 35,5% - aumenta l’appetibilità dell’operazione agli occhi degli investitori, è anche vero che in caso di mancata sottoscrizione gli azionisti vedrebbero diluita la loro partecipazione del 90,9%, come indicato dal prospetto pubblicato ieri. Lunedì dunque si vedranno le reazioni del mercato. Non è da escludere che «si ripropongano le distorsioni nella parità tra prezzo delle azioni e valore teorico dei diritti», legate alle tecnicalità del mercato delle opzioni, ricordava ieri l’analista di Icbpi, Luca Comi. In occasione dell’avvio dell’aumento di giugno 2014, il titolo subì un’impennata superiore al 40% in due sedute (mentre i diritti si deprezzavano) e un successivo crollo nelle sedute successive. Tuttavia nel corso dell’aumento si assistette a un progressivo riallineamento al prezzo implicito espresso dal diritto, lo strumento che dovrebbe offrire una valutazione più “realistica” del valore dell’azione stessa. Ieri, dopo una giornata forti oscillazioni e intensi volumi, il titolo ha chiuso a 9,45 euro, in progresso dello 0,45%. Da lunedì il prezzo si spaccherà in due: un prezzo di riferimento rettificato (per l’aumento) pari a 1,923 euro mentre il prezzo dei diritti sarà pari a 7,525 euro.L’aumento sarà anche il banco di prova per i maggiori azionisti, che saranno chiamati a partecipare pro-quota all’operazione. Dal supplemento al prospetto informativo depositato ieri è emerso che Axa (socio al 3,1% circa) e Fintech (4,5%) hanno già confermato che sottoscriveranno per quanto di loro competenza. Resta da capire come si muoverà la Fondazione Mps (socio al 2,5%), che dovrà condividere le proprie mosse con il Mef. Non dovrebbero esserci grossi dubbi neppure sull’altro socio del patto, Btg Pactual (2%), che dovrebbe fare la propria parte. Tutto da copione anche per il Tesoro. Qualora l’aumento si chiuda con successo, la

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Giovedì la decisione sul prezzo dell'aumento di Mps

Mps raggruppa le azioni, il titolo cade in Borsa

Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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quota del Mef a luglio si attesterà al 4%, come risultato del pagamento degli interessi sui Monti bond.Dal documento emerge infine che l’aumento comporta spese totali, fra cui le commissioni al consorzio di garanzia, pari a 130 milioni di euro. Di conseguenza l’incasso netto per Mps sarà pari a 2,86 miliardi circa. Un’ultima indicazione riguarda infine i rapporti con Nomura: la banca avverte che sono in corso contatti «preliminari» con la banca d’affari (verso cui la banca è esposta al 48,81% dei fondi propri contro un limite del 25%) per raggiungere una ipotetica transazione e tornare al di sotto delle soglie imposte da Bce..@lucaaldodavi© RIPRODUZIONE RISERVATALuca Davi

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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FINANZA & MERCATI 23 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

VERSO LE ALTRE

NOMINE Ubi Banca rimane sprovvista del direttore generale; le strutture e le responsabilità in capo a Iorio passeranno temporaneamente a Massiah

Governance. Il banchiere dal primo giugno sarà amministratore delegato e direttore generale

Popolare di Vicenza nomina Iorio

vicenzaDopo una intensa settimana di ricerche e contatti, Banca Popolare di Vicenza ha chiuso il contratto con il banchiere Francesco Iorio, che andrà a ricoprire dal primo giugno il duplice ruolo di direttore generale e amministratore delegato dell’istituto vicentino, ruolo lasciato vacante dopo le improvvise dimissioni, dieci giorni fa, dello storico manager della popolare Samuele Sorato. Il Consiglio di amministrazione della banca ha deliberato ieri all’unanimità l’assunzione di Iorio affidandogli entrambe la cariche. Classe 1968, originario di Frosinone, una laurea in giurisprudenza con indirizzo economico-bancario, Iorio proviene da Ubi Banca dove rivestiva le cariche di direttore generale e di consigliere di gestione. È uno dei più giovani e apprezzati banchieri italiani e proprio l’età avrebbe giocato a suo favore, permettendogli di sorpassare l’altro candidato in lizza per la nomina, l’amico personale del presidente Gianni Zonin ed ex dg della popolare vicentina Divo Gronchi. Il nome dell’attuale amministratore delegato della Cassa di Risparmio di San Miniato avrebbe ricevuto il veto della Bce proprio a causa dell’età (76 anni). Francesco Iorio è entrato nel gruppo bergamasco nel 2002; fino al 2003 è stato vice direttore generale e responsabile della Direzione commerciale del Gruppo Banca Popolare Commercio e Industria e, con la nascita del Gruppo Bpu Banca, ne è diventato vice direttore generale. Dal 2007 al 2009 è stato vice direttore generale di Ubi Banca e responsabile della Macro area commerciale. Dal 2009 al 2012 condirettore e successivamente direttore generale della Banca Popolare Commercio e Industria. Da maggio 2012 ha ricoperto la carica di direttore generale di Ubi Banca e dall’aprile 2013 quella di consigliere di gestione dell’istituto. Martedì scorso il presidente della Zonin aveva ottenuto dal cda il mandato a chiudere il contratto sul nome di Iorio e alle condizioni economiche prospettate. La prossima settimana sarà convocata una riunione del board per ratificare la nomina. Il compito che aspetta Iorio è quanto mai delicato: il passaggio dell’istituto a società per azioni, annunciata come realizzabile entro l’anno, e la fusione con un altro soggetto bancario, più volte individuato dai vicentini nella consorella regionale Veneto Banca (la quale però nicchia). Ma anche le problematiche legate alle ispezioni della Banca centrale europea e della Consob, che sarebbero alla base dell’uscita di Sorato.Ubi Banca rimane sprovvista del direttore generale; le strutture organizzative e le responsabilità attualmente in capo a Iorio passeranno temporaneamente al consigliere delegato Victor Massiah.© RIPRODUZIONE RISERVATAKaty Mandurino

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FINANZA & MERCATI 23 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Governance. Nella lista per il cda ci sarà un candidato dell’ente

Carige, Malacalza e la fondazione svelano i

termini del patto sul 12,2%

Si alza il velo sul patto parasociale stretto tra il nuovo primo azionista di Banca

Carige, la famiglia Malacalza, e la Fondazione Carige. Sottoscritto lo scorso 8 maggio,

ma depositato presso il registro delle imprese nei giorni scorsi, il patto ha una durata

triennale e prevede il rinnovo automatico se una delle parti non darà la disdetta almeno

sei mesi prima della scadenza.

Nel dettaglio, oggetto del patto parasociale é il 12,22% del capitale di Carige: di

questi, l’1,95% è della Fondazione mentre il restante 10,27% è in mano al gruppo

Malacalza. Di fatto, la Fondazione avrà il 16% delle azioni del Patto, mentre le azioni

detenute da Malacalza sono pari all’84% del totale del Patto stesso.

I due soci hanno previsto che per l’elezione del cda, Malacalza si impegni a presentare

e votare una lista nella quale sarà indicato, nella terza posizione, il nominativo di un

candidato designato dalla Fondazione (e gradito a Malacalza), a condizione però che

la Fondazione detenga una partecipazione superiore allo 0,30% al momento della

presentazione della lista.

Il patto prevede inoltre obblighi di consultazione per quanto riguarda linee strategiche

e piani industriali, fusioni o scissione, trasferimento di partecipazioni in società

controllate, cessione rami d’azienda, modifiche statutarie, nomina dell’amministratore

delegato. Infine, nel caso una delle parti raggiunga accordi o intese con soggetti terzi

tali da determinare l'insorgere dell'obbligo di promuovere l’opa totalitaria sulle azioni

Carige il patto cesserà automaticamente di essere valido. Intanto, ieri sul fronte

giudiziario, relativo alla vicenda dell’ex ad Giovanni Berneschi, va segnalata la

richiesta di patteggiamento avanzata al gup di Genova dalla difesa di Francesca

Amisano, nuora e coindagata dell’ex patron di Banca Carige. La richiesta di

patteggiamento (a due anni e 3 mesi di reclusione e adesione al sequestro per

equivalente di beni per 1,3 mln) è stata avanzata ieri nel corso dell’udienza

preliminare a carico di Berneschi e di altre 9 persone accusate tutte a diverso titolo di

associazione a delinquere finalizzata alla truffa e al riciclaggio.

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L. D.

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Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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RISPARMIO & INVESTIMENTI 23 MAGGIO 2015Plus

Faro Consob sulle azioni Veneto Banca

La Commissione invia un questionario sulle prassi commerciali

Le lettere sono simili a quelle inviate ai sottoscrittori del “convertendo” Bpm, ma allora a spedirle fu la Guardia di

Finanza. Ora, invece, a inviare a un campione di azionisti di Veneto Banca un questionario di sei pagine con 22

domande sulle prassi seguite nell’acquisto e (nel caso) nella vendita dei titoli della Popolare di Montebelluna

(Treviso) è stata Consob. Il 12 maggio l’Ufficio ispezioni su intermediari e mercati della Divisione ispettorato della

Commissione ha inviato un numero imprecisato — si stima un migliaio circa — di raccomandate A/R ad altrettanti

titolari di conti titoli. «La Signoria Vostra è risultata titolare di un conto deposito aperto presso Veneto Banca Scpa

sul quale sono state registrate azioni della medesima banca. Si invita la Signoria Vostra a fornire le informazioni

richieste con il questionario allegato, compilandolo in ogni sua parte. La comunicazione rappresenta un dovere ai

sensi delle norme in oggetto», recita la lettera.

Seguono le domande a risposta multipla (con spazi per poter inserire “informazioni integrative”), cui gli azionisti di

Veneto Banca devono rispondere entro 15 giorni dal ricevimento della raccomandata usando «l’acclusa busta

preaffrancata» o per posta elettronica certificata. Si parte da domande sul processo di investimento, sul venditore da

cui sono stati acquistati i titoli, sul prezzo delle azioni. Si passa alle motivazioni: in caso di acquisto su consiglio di

un addetto della banca si chiede se sono stati indicati i fattori di rischio, mancanza di quotazione delle azioni, rischi

di illiquidità, processo di formazione del prezzo in sede assembleare una volta l’anno. Si chiede se l’azionista ha

cercato di vendere le azioni nel 2013 e 2014, se ha trovato difficoltà a venderle, se la cessione è stata sconsigliata

dai dipendenti. In base alle risposte, Consob valuterà se sono state rispettate le regole Mifid di tutela dei

risparmiatori, per il mancato rispetto delle quali a gennaio 2013 Veneto Banca e i suoi vertici furono sanzionati da

Consob. Veneto Banca, contattata nel merito, ha dichiarato di «non ritenere opportuno commentare le attività in

corso di svolgimento da parte di Consob, nel pieno rispetto dell’operato dell’autorità di vigilanza». — N. B.

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RISPARMIO & INVESTIMENTI 23 MAGGIO 2015Plus

Mps, aumento difficile da digerire

In attesa di soluzioni risolutive, le operazioni sul capitale iperdiluitive continuano a

nuocere ai piccoli azionisti

Ci risiamo. Il malvezzo tutto italiano degli aumenti di capitale iperduilitivi continua.

L’operazione studiata dai vertici del Monte dei Paschi di Siena e avviata in settimana

con il raggruppamento delle azioni (una nuova per ogni 20 possedute), in vista

dell’aumento di capitale che partirà lunedì prossimo, 25 maggio, comporterà un effetto

diluitivo significativo per le tasche degli azionisti, sulla falsariga di quello verificatosi lo

scorso anno. In quel caso la ricapitalizzazione di Montepaschi venne effettuata con uno

sconto sul prezzo teorico dell’azione dopo lo stacco del diritto di opzione pari al 35,5%.

Un valore in linea con quello dello sconto annunciato giovedì 21 maggio, a mercati

chiusi, pari al 38,9%, con un prezzo delle nuove azioni di 1,17 euro ex raggruppamento

e l’offerta di una nuova azione ogni 10 vecchie. Un vero massacro per gli azionisti della

banca senese che non intendono sottoscrivere l’aumento di capitale. Adesso quindi il

bagno di sangue rischia di ripetersi.

Il meccanismo iperdiluitivo

Con l’obiettivo dichiarato di raccogliere mezzi freschi, per invogliare gli investitori a

partecipare all’operazione, i vertici societari varano operazioni con un elevato rapporto

di conversione (numero azioni nuove/numero azioni vecchie), offrono i titoli a forte

sconto rispetto al valore delle azioni in circolazione, “costringendo”, di fatto, gli

azionisti di minoranza a esercitare i diritti d’opzione e aderire all’aumento di capitale.

Operazioni che, seppur legittime, generano effetti distorsivi sul mercato e disorientano

soprattutto i piccoli risparmiatori che rischiano di registrare da un giorno all’altro

ingenti perdite.

L’origine del problema

Il fenomeno è stato inaugurato nel 2009 con l’aumento di capitale iperdiluitivo di Seat

Pagine Gialle, a seguire sono state realizzate altre 25 operazioni iperdiluitive e

Montepaschi arriva adesso a fare il bis nel giro di un solo anno. Ma la cosa più

allarmante è che mentre le beffe ai danni dei piccoli risparmiatori si susseguono, in

Italia si continua a discutere di questo fenomeno ormai da anni.

L’interminabile dibattito

Il tema era stato affrontato pubblicamente dalla Consob già nel 2010, riscontrando i

malumori della comunità finanziaria per gli ingenti costi che avrebbe dovuto sopportare

per adeguarsi agli accorgimenti suggeriti dall’authority. L’argomento è stato poi ripreso

privatamente dalla Consob con gli operatori nell’aprile del 2011, sulla scia di nuove

operazioni iperdiluitive proposte a ripetizione sul mercato. Infine, complice il

precedente aumento di capitale Mps, l’estate scorsa la Consob ha avviato una nuova

pubblica consultazione che in teoria doveva chiudersi il 30 settembre 2014, ma sul sito

dell’autorità di vigilanza appena rinnovato figura ancora tra le consultazioni aperte.

L’intoppo

Secondo quanto risulta a Plus24 sono in corso ulteriori approfondimenti da parte della

Consob in virtù dell’arrivo della Target2 Securities, la proposta comunitaria che

dovrebbe consentire agli intermediari di regolare tutte le transazioni in titoli concluse

sui mercati europei utilizzando un unico conto di regolamento. Una novità che richiede

un impegno di adeguamento tecnologico fuori dal comune a Montetitoli e alle banche,

che di fatto rende ancora più difficile l’idea di portare avanti la soluzione rolling

individuata per risolvere in maniera risolutiva le anomalie degli aumenti di capitali

iperdiluitivi.

Il rimedio risolutivo

La soluzione caldeggiata dalla Consob e malvista dagli intermediari prevede una

finestra di consegna addizionale delle nuove azioni, in ciascuna giornata del periodo

d’offerta (cosiddetto modello rolling), anziché solo alla fine di tale periodo, così da

ovviare alla scarsità di titoli e permettere il riallineamento del prezzo su valori corretti.

La soluzione era già stata proposta nel 2010 ma venne accantonata per costi e tempi di

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realizzazione che gravano sugli intermediari depositari. Nel frattempo i piccoli

risparmiatori continuano a lasciarci le proverbiali penne.

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.@g_ursino

pagina a cura di

Gianfranco Ursino

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RISPARMIO & INVESTIMENTI 23 MAGGIO 2015Plus

BANCHE E BANCARI

Le aggregazioni «chiamano» alla solidarietà

Nicola

Borzi

Tra gli effetti non secondari dell’ondata di fusioni e integrazioni che ha cambiato il

panorama del settore creditizio italiano nel biennio 2006/07 c’è stata l’ondata di

riorganizzazioni e ristrutturazioni del personale. I conteggi variano a seconda delle

fonti ma un dato è certo: negli ultimi 15 anni i posti di lavoro tagliati sono stati

68mila, tanti quanti quelli transitati dal Fondo esuberi, l’ammortizzatore sociale

autofinanziato dai lavoratori bancari e dagli istituti di credito. Fondo che il 19 maggio

ha rinnovato il consiglio d’amministrazione, l’organo paritetico composto da

rappresentanti delle banche e dei sindacati che gestisce il Fondo di solidarietà

attraverso il quale sono erogati gli assegni di sostegno al reddito ai bancari in

prepensionamento e a quelli licenziati.

Con la legge di riforma delle Popolari (le 10 maggiori dovranno convertirsi in Spa: gli

esuberi possibili sono stati stimati in 20mila) e con la riorganizzazione che coinvolge

un numero non indifferente di banche Spa in difficoltà (tra le maggiori Mps, Carige,

Banca delle Marche) il girotondo delle aggregazioni sta per ripartire. Intanto però

fioccano già gli annunci di piani industriali, come riportato da Plus24 sul numero

scorso. L’ultimo in ordine di tempo è quello di Bper, che nei giorni scorsi ha avviato

le trattative per arrivare al 2017 con 581 uscite, 200 nuove assunzioni e 130 sportelli

in meno. Ma la falcidia che negli anni scorsi ha “portato all’uscita” decine di migliaia

di bancari cinquantenni rischia di limitare la platea dei dipendenti che potrebbero far

ricorso al Fondo di solidarietà.

A soccorrere la categoria dovrebbero intervenire alcuni istituti introdotti dall’ultimo

contratto nazionale in corso di ratifica assembleare (da un primo campione, con una

percentuale del 90% circa di approvazioni). Innanzitutto l’utilizzo del Fondo di

solidarietà anche per riqualificare e riconvertire professionalmente i dipendenti in

modo da agevolare il mantenimento del posto di lavoro. In secondo luogo, la

creazione di una piattaforma informatica per mettere in contatto domanda e offerta di

lavoro nel settore. Inoltre la disponibilità delle banche a “valutare prioritariamente”

l’assunzione di personale in esubero, anche grazie a un incentivo triennale di 2.500

euro annui erogato dal Fondo per l’occupazione. Last but not least, il possibile ricorso

a ulteriori forme di solidarietà per limitare l’impatto occupazionale.

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Statali: «dote» ai fondi pensione

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LETTERA AL RISPARMIATORE 24 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

AZIONISTI IN

MANOVRA Gabriele Volpi guarda alla possibile ulteriore discesa dei francesi per incrementare la sua partecipazione

LA

CAPITALIZZAZIONE

705 MILIONI Il titolo ha guadagnato il 24% da inizio anno a Piazza Affari

L’AUMENTO DI

CAPITALE 850

MILIONI La banca ha varato la manovra dopo i risultati dei test della Bce

IL PREZZO

D’ACQUISTO DEI

TITOLI 6,74 EURO I Malacalza hanno investito oltre 32 milioni per la quota Bcpe

Banche. Con l’acquisto di parte della quota di Bpce la famiglia sfiora il 15% dell’istituto

Carige, Malacalza rileva il 4,6% dai soci

francesi

Vittorio Malacalza sale nell’azionariato di Carige, acquistando quote dei soci francesi,

e arriva a controllare quasi il 15% della banca genovese.

Ieri la Malacalza Investimenti ha comunicato di aver sottoscritto con Bpce Iom «un

contratto di compravendita per l’acquisto di 4.846.028 azioni ordinarie di Banca

Carige spa, pari al 4,662% circa del capitale sociale di quest'ultima». Il prezzo di

acquisto della partecipazione, prosegue la nota, «è stato fissato in complessivi

32.662.228,72 euro (pari al 6,74 euro per azione) e non è soggetto a revisioni o

aggiustamenti di sorta. Si prevede di giungere al perfezionamento dell’operazione

entro venerdì della prossima settimana».

La mossa (a sorpresa) di Malacalza porta così la società della famiglia ligure a

controllare il 14,934% di Carige, una quota che consolida la sua posizione di azionista

di maggioranza della banca. In seguito all’aumento di capitale riservato approvato da

Carige per l’acquisto delle quote di minoranza delle controllate Cr Savona e Cr

Carrara (detenute dalle fondazioni De Mari e Carrara), Malacalza Investimenti, al pari

di altri azionisti, aveva visto diluire la sua partecipazione alla banca (appena acquisita)

dal 10,5 al 10,271%. Analogamente Bpce è scesa da 9,9% a 9,762, mentre le quote di

Ubs group si sono attestate al 4,356% e quelle di The Summer Trust, la compagine

che fa capo all'imprenditore Gabriele Volpi, risultano al 2,007%.

Con l'acquisizione che si concretizzerà entro venerdì prossimo, Bpce scenderà quindi

al 5,1% di Carige. La banca genovese, come è noto, ha recentemente approvato un

aumento di capitale da 850 milioni che, secondo le indicazioni della Bce deve

chiudersi entro il prossimo 26 luglio ma che i vertici di Carige intendono portare a

termine già nel mese di giugno. Nella prima decade di giugno, inoltre, dovrebbe

esserci il closing della vendita, per 310 milioni, del comparto assicurativo di Carige al

fondo Apollo, per il quale il 13 maggio scorso è arrivato il via libera di Ivass.

Per la francese Bpce, dunque, si possono aprire almeno due diverse opzioni. La prima

è di aderire all’aumento di capitale di Carige per il 5,1%, utilizzando per l’operazione i

denari acquisiti con la cessione di quote a Malacalza. Altra possibilità è che il gruppo

abbia, invece, intenzione di cedere l'intero pacchetto di Carige (e qualche voce sul

fatto che i francesi intendessero seguire questa strada si era sparsa, le scorse settimane,

sul mercato).

Le mosse di Bpce, d’altro canto, potrebbero suscitare l’interesse di Gabriele Volpi. Il

quale oggi detiene ufficialmente, come si è detto, poco più del 2% di Carige. Tuttavia

rumor di mercato suggeriscono che l'imprenditore, in realtà, sia arrivato a controllare

oltre il 3,5% della banca genovese e che sia intenzionato a salire anche oltre il 5%. E'

chiaro, quindi, che il 5,1% di Bpce, se fosse in vendita, potrebbe rappresentare

un'occasione da non perdere per Volpi. Insomma, l'aumento di capitale imminente ha

condotto all'avvio di grandi manovre all'interno dell'azionariato Carige, che potrebbe,

dopo la ricapitalizzazione, ritrovarsi significativamente mutato.

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Raoul de Forcade

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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PRIMA PAGINA 24 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’IMPATTO La ricapitalizzazione da 3 miliardi avrà un impatto diluitivo vicino al 91% ed è destinata a mutare gli equilibri azionari

Banche. Il presidente Clarich: decidiamo entro martedì

Mps, al via il maxi-aumento L’Ente non

scioglie la riserva

L’aumento di capitale da 3 miliardi di Banca Monte dei Paschi partirà domani, con un

effetto diluitivo prossimo al 91% (esattamente 90,9%) e la ragionevole prospettiva di

un nuovo cambiamento degli assetti azionari. L’offerta prevede un prezzo unitario di

1,17 euro (saranno emessi 10 titoli ogni vecchio titolo posseduto), con uno sconto del

38,9% sul Terp, il prezzo teorico dopo lo stacco del diritto, calcolato sui valori di

giovedì. I diritti saranno negoziabili da domani fino all’8 di giugno ed esercitabili fino

a venerdì 12 giugno.

La manovra è garantita da un consorzio di 21 istituti di credito guidato da Ubs, Citi,

Goldman Sachs e Mediobanca, che in cambio incasserà 130 milioni di commissioni

(compresi l’aumento di un anno fa e i Monti bond, per Rocca Salimbeni il costo del

risanamento si aggira ormai intorno al miliardo). Alcuni dei soci importanti come

Fintech (4,5%), Axa (3,7%) e Alessandro Falciai (1,7%), hanno già deciso o

annunciato l'intenzione di aderire pro quota alla manovra di rafforzamento del

capitale, sollecitata dalle istituzioni europee (Bce, Commissione, Eba), finalizzata a

restituire l'ultima tranche di Monti bond (1,07 miliardi) e a migliorare i parametri

patrimoniali. Siccome gli interessi maturati nel 2014-2015 sui Monti bond sottoscritti

nel 2013 dal Tesoro saranno pagati con l’emissione dei nuovi titoli, finirà nel

portafoglio dello Stato il 4% di Mps. E già questa è una novità.

Il ritorno a Siena del socio pubblico, dopo oltre un ventennio (prima della riforma

Amato del 1993, era il Tesoro che indicava il vertice della banca), costituisce solo un

passaggio tecnico, previsto appunto dal contratto dei Monti bond, in attesa che anche

quella partecipazione torni sul mercato, come impongono le regole europee. Anche in

questo caso, insomma, la percezione è di un passaggio momentaneo. Rocca Salimbeni

è ancora dentro al «grande cambiamento», partito con il progressivo ritiro della

Fondazione Mps dal controllo del Monte, fino all’ingresso nell’azionariato degli

investitori esteri Fintech (4,5%) e Btg Pactual (2%), nel 2014, che hanno sindacato le

loro quote con il residuo 2,5% ancora in mano alla Fondazione.

L’Ente di Palazzo Sansedoni, presieduto da Marcello Clarich, non ha ancora detto

come intende muoversi: aderire in toto all’aumento di capitale, mettendo sul piatto

altri 75 milioni, dopo i 100 investiti per l'aumento del 2014; non partecipare alla

manovra, lasciando che la quota del 2,5% si riduca allo 0,2%; oppure imboccare la

strada di mezzo, vendendo una parte dei diritti e partecipando all’aumento solo in

parte. Clarich ha lasciato capire che la decisione sarà ufficializzato i primi giorni della

settimana, probabilmente entro martedì. «Abbiamo mantenuto un atteggiamento di

riservatezza perché si tratta d'informazioni sensibili e, giustamente, la Consob vigila

con attenzione», dice Clarich. Quello che manca, per poter annunciare la scelta, è l’ok

del ministero dell’Economia. Ma la sensazione è che Siena cercherà di non uscire del

tutto di scena.

«Penso che un nuovo sacrificio economico abbia senso solo se la Fondazione resterà

legata alla governance del Monte», commenta il sindaco della città Bruno Valentini.

«La Fondazione ha due obiettivi statutari, che in questa fase sembrano confliggere: da

una parte deve salvaguardare il proprio patrimonio, dall’altra è impegnata a fare il

possibile affinchè la direzione generale della banca resti a Siena - sottolinea Valentini

-. Non spetta a me dire come, ma sono convinto che sia possibile coniugare quei due

obiettivi strategici». Come? L'unico modo sarebbe stringere una nuova alleanza,

allargata rispetto a quella attuale con Fintech e Btg Pactual, garantendo alla

Fondazione un ruolo d'influenza su alcune scelte. Anche se la partecipazione della

Fondazione nel Monte scenderà ulteriormente. In vista di un'aggregazione in grado di

portare definitivamente la banca in acque tranquille.

CORRELATI

Aumento Mps, la Fondazione decide entro martedì

Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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Cesare Peruzzi

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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#

26 Domenica 24 Maggio 2015 Corriere della Sera

Economia

Corriere Economia

di Gino Pagliuca

Imu e Tasi,conto alla rovesciaGli accontifino al 16 giugno

C onto alla rovescia per il versamentodell’acconto di Imu e

Tasi: il termine ultimo per pagare senza sanzioni è fissato al 16 giugno. Una magra consolazione per i contribuenti è che al problema di trovare le risorse per soddisfare le brame delle casse comunali in molti casi non si accompagnerà quello di effettuare complicati calcoli e dedicarsi alla ricerca e alla lettura di astruse delibere: infatti per adempiere l’obbligo basta calcolare i tributi sulla base delle regole in vigore lo scorso anno e versare la metà. Le norme in proposito sono chiare ma per sgombrare il campo a dubbi basta collegarsi al sito del ministero delle Finanze, cercare la delibera di un qualsiasi Comune e leggere l’avvertenza. D’altro canto i Comuni che hanno già deliberato sono solo una minoranza, come raccontiamo su «Corriere Economia» in edicola domani e chi ha già deciso nella maggior parte dei casi ha confermato le regole dello scorso anno, visto che la legge di Stabilità ha confermato per il 2015 i tettialle aliquote decisi nel 2014 e che buona parte delle amministrazioni aveva già chiesto il massimo. Per il calcolo della rata e la compilazione dei bollettini o dei modelli F24 per ilversamento occorre attenzione soprattutto se la situazione del possesso dell’immobile è cambiata nel corso del 2014 o quest’anno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Accordo per il creditoAbi, sospese rate per 14,6 miliardi Sono state 42.818, tra ottobre 2013 e marzo 2015, le domande di sospensione del pagamento delle rate nei confronti delle imprese per un valore complessivo di debito a 14,6 miliardi e una maggior liquidità a disposizione delle imprese di 1,8 miliardi, rileva l’Associazione bancaria italiana (Abi), grazie all’accordo per il credito. Il 27,1% delle domande è riferito a imprese del commercio e dell’alberghiero; il 14,8% dell’industria e il 18,6% dell’edilizia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Al via il risiko delle banche popolariTutti i piani da Milano al NordestTre i poli pronti per iniziare la partita: Ubi, Banco e Bpm. Il ruolo degli investitori esteri

L’aumento di capitale da 3miliardi di euro che il Montedei Paschi di Siena aprirà do-mani è destinato non solo a da-re un diverso assetto proprieta-rio alla più antica banca almondo, ma anche a inaugurarela nuova stagione del risiko na-zionale. Due le spinte al cam-biamento: la vigilanza unicadella Bce e il decreto Renzi, giàdivenuto legge, che impone al-le prime 10 banche popolariitaliane (su 70), di trasformarela forma sociale in Spa.

Nei fatti, un terremoto. A cuisi è aggiunto un terzo fattore,endogeno, ovvero 350 miliardidi crediti deteriorati, di cui al-meno 190 miliardi di sofferen-ze: denari prestati che non tor-nano indietro. Con tali premes-se si rende indispensabile per ilsistema economico contare subanche più grandi e patrimo-nializzate e ciò apre il capitolodei possibili accordi, da cui sichiamano fuori Unicredit e In-tesa Sanpaolo, impegnate aguardare la prima a Est, la se-conda ai mercati anglosassoni.

Così restano tre poli di attra-zione: Ubi, Banco, Bpm. Ubi hagrandi fondi tra gli azionisti(Silchester, BlackRock) e unadiffusa presenza tra le famiglieimprenditoriali di Brescia. Èben patrimonializzata (Cet1 al12,33%) e questo ne fa anche unpossibile acquirente di Mps.Siena è però un boccone gros-so e Victor Massiah, il consi-gliere delegato, preferirebbeassumerne a piccole dosi ini-ziando da Nordest, l’ex Anton-veneta, se fosse scorporabile.

Banco Popolare e Bpm sonoinvece integrabili. I due capiazienda, Pier Francesco Saviot-ti e Giuseppe Castagna,hannoiniziato a ragionare sul proget-to del terzo polo nazionale. Ma,lungo la via Emilia, Bpm subi-sce anche l’attrazione di Bper,che alla presenza padana uni-sce il quasi monopolio sardo.Mentre in Valtellina c’è chi pen-sa a un’unica banca popolare.

Poi c’è il capitolo veneto.

L’unione tra PopVicenza e Ve-neto Banca è sul tavolo da anni.Oggi la benedice anche il presi-dente uscente della Regione,Luca Zaia. Ma gli istituti sonoin difficoltà: il 17 febbraio uncentinaio di finanzieri si sonopresentati nelle sedi della Ve-neto sequestrando documentiin un’indagine che riguarda laprecedente gestione, di Flavio Trinca e Vincenzo Consoli. Duesettimane fa si è dimesso l’am-ministratore delegato della Vi-cenza, Samuele Sorato, a solitre mesi dalla nomina. Dueispezioni della Bce e un’indagi-ne della Consob sembrano es-serne la causa. Unire le residua-

li forze di queste banche – nonquotate – appare ancora possi-bile, ma di certo non sarà riso-lutivo in un quadro sempre piùeuropeo: servono capitali fre-schi, che forse arriveranno dal-l’estero. Tanto più che le fonda-zioni ex bancarie non appaio-no essere il partner ideale perdare solidità alle (ex) popolari:si sono infatti impegnate ascendere nell’azionariato dellebanche conferitarie per diver-sificare gli investimenti. Rein-vestire nelle ex popolari sareb-be una sfida al buonsenso.

Stefano Righi@Righist

© RIPRODUZIONE RISERVATA

d’Arco

Le Popolari in Borsa

+25,72%

+42,29% +42,40%+49,21%

+63,13%

+48,78%

UbiBanca

BancaPopolare

di Emilia R.

BancaPopolare

di Sondrio

BancoPopolare

BancaPopolaredi Milano

CreditoValtellinese

Dal 2 gennaio a oggi

0

20

40

60

350miliardi di euro

l’ammontare

dei crediti

deteriorati

nella pancia

delle banche

italiane,

di cui 190

miliardi

di sofferenze

Il ceo di Intesa Sanpaolo

Messina:«Per l’Italia 2015 anno di svolta»DAL NOSTRO INVIATO

BAGNAIA (SIENA) «Dire che le banche hanno fatto credit crunch è disinformazione». Carlo Messina (foto), amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha risposto così ieri a uno studente all’Osservatorio permanente giovani-editori. «Con la crisi è caduto il Pil del 10%, le aziende hanno perso fatturato, non hanno più fatto investimenti e non c’è stata più domanda di credito». Dal giugno 2011 «abbiamo erogato 140 miliardi di credito e quest’anno stimiamo di erogarne 37». Secondo Messina l’Italia «oggi è in un momento unico di recupero: rispetto agli anni passati ci

sono tantidati positivi».Quest’anno«ci puòessere lapossibilità disuperare leprevisioni» dicrescita del

Pil «in modo significativo». Sbagliano poi le agenzie di rating nel valutarci: «Ho polemizzato spesso con loro perché ritengo sia incompetenza assoluta guardare il debito pubblico e non anche la capacità di risparmio di un Paese». Sull’Europa il banchiere ha aggiunto: «In questi anni di crisi l’unico che nella Ue è stato in grado di fare qualcosa è stato il presidente della Bce Mario Draghi».

Sergio Bocconi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Domani al via l’aumento di capitale

Mps, la Fondazione decide entro martedì(giu.fer.) Domani parte l’aumento di capitale da 3 miliardi del Monte dei Paschi di Siena, che offrirà 2,5 miliardi di azioni, dieci per ogni vecchia azione Mps, al prezzo di 1,17 euro, con uno sconto del 38,9%. Entro martedì la Fondazione Mps comunicherà se aderire all’operazione. Lo ha confermato ieri il presidente, Marcello Clarich, senza sbilanciarsi, perché «ci sono gli occhi attenti» della Consob.

Sullo sconto del 38,9%, si limita a dire che «è una decisione del cda» per rendere appetibile l’aumento «per tutti i soci». Anche perché l’effetto diluitivo per gli azionisti che non sottoscrivono sarà enorme, del 91%. Ma l’aumento «rafforza la banca» e non c’è più «l’angoscia o l’urgenza di una scadenza» per una fusione, come chiede la Bce.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I vertici

Il consigliere

delegato

di Ubi Banca

Victor Massiah,

55 anni. Al

timone del

gruppo da oltre

sei anni

Giuseppe

Castagna,

56 anni,

consigliere

delegato e

direttore

generale

di Bpm

Pier

Francesco

Saviotti,

72 anni,

amministratore

delegato del

Banco

Popolare

Carige, Malacalza acquista il 4,6% dai francesi di Bcpe La famiglia genovese sale al 14,9% dell’istituto pronto a un rafforzamento patrimoniale da 850 milioni

A poche settimane dal pro-grammato aumento di capitaleda 850 milioni di euro di BancaCarige i movimenti sull’aziona-riato dell’istituto continuano aregalare colpi di scena. Ieri la fa-miglia genovese Malacalza, giàprimo azionista attraverso laMalacalza Investimenti con il10,27 per cento, ha concluso l’ac-cordo con Bcpe per l’acquistodel 4,662 del socio francese checede così circa la metà del suo9,7 per cento. Il prezzo d’acqui-sto definitivo della partecipazio-ne è stato fissato in 32 milioni e662 mila euro, sulla base dellachiusura del titolo di venerdìscorso a 6,74. In uno stringatis-simo comunicato Malacalza an-

nuncia che il «perfezionamentodell’operazione» avverrà entrovenerdì prossimo portando ilgruppo a detenere il 14,934 percento del pacchetto azionariodi Carige. È noto tuttavia che

nei programmi di Vittorio Ma-lacalza c’è il raggiungimentodel 20 per cento, appena sottola soglia per cui è obbligatorial’apertura di un’offerta pubbli-ca di acquisto.

Intanto si sono sciolti, alme-no in parte, gli interrogativi sulcomportamento dei francesi invista dell’aumento di capitale;rumors li davano da tempo po-co disposti a impegnarsi per unoneroso investimento di 80 mi-lioni in Banca Carige ma nullaera trapelato sulla trattativa oraconclusa con Malacalza. Ri-mangono aperte le ipotesi sulrestante 5 per cento che restain mano a Bcpe, ci si chiede se ifrancesi lo cederanno uscendocompletamente da Carige.

Non c’è solo Malacalza a farecampagna acquisti, da poco èentrato nella partita anchel’imprenditore con forti inte-ressi in Africa Gabriele Volpi, la

cui finanziaria di famiglia,Summer Trust, è al 2 per centoma fonti affidabili lo indicanocome già in possesso del 3,5del pacchetto azionario (forseattraverso Ubs). Lo stesso Volpiha poi detto di essere intenzio-nato ad acquisire il 5 per centocome obiettivo minimo, pron-to però ad andare oltre per po-sizionarsi – arretrati i francesi –

come secondo azionista dopoMalacalza. La sottoscrizionedell’aumento di capitale – ri-chiesto dalla Bce dopo glistress test – previsto entro la fi-ne di giugno si presenta perBanca Carige sotto buoni au-spici anche senza l’interventodel consorzio di garanzia gui-dato da Mediobanca che si faràcomunque carico dell’inopta-to. Continua nel frattempol’azione di pulizia e trasparenzae la riorganizzazione avviata apasso di carica dall’ad PieroLuigi Montani, dopo la movi-mentata uscita di scena del vec-chio vertice della banca.

Erika Dellacasa© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vittorio

Malacalza. La

sua famiglia ha

firmato l’intesa

con Bcpe per

l’acquisto del

4,66% di Carige

L’operazioneIl prezzo d’acquisto della partecipazione è stato fissato a 32,6 milioni di euro

italia: 5050545355555254

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26 Domenica 24 Maggio 2015 Corriere della Sera

Economia

Corriere Economia

di Gino Pagliuca

Imu e Tasi,conto alla rovesciaGli accontifino al 16 giugno

C onto alla rovescia per il versamentodell’acconto di Imu e

Tasi: il termine ultimo per pagare senza sanzioni è fissato al 16 giugno. Una magra consolazione per i contribuenti è che al problema di trovare le risorse per soddisfare le brame delle casse comunali in molti casi non si accompagnerà quello di effettuare complicati calcoli e dedicarsi alla ricerca e alla lettura di astruse delibere: infatti per adempiere l’obbligo basta calcolare i tributi sulla base delle regole in vigore lo scorso anno e versare la metà. Le norme in proposito sono chiare ma per sgombrare il campo a dubbi basta collegarsi al sito del ministero delle Finanze, cercare la delibera di un qualsiasi Comune e leggere l’avvertenza. D’altro canto i Comuni che hanno già deliberato sono solo una minoranza, come raccontiamo su «Corriere Economia» in edicola domani e chi ha già deciso nella maggior parte dei casi ha confermato le regole dello scorso anno, visto che la legge di Stabilità ha confermato per il 2015 i tettialle aliquote decisi nel 2014 e che buona parte delle amministrazioni aveva già chiesto il massimo. Per il calcolo della rata e la compilazione dei bollettini o dei modelli F24 per ilversamento occorre attenzione soprattutto se la situazione del possesso dell’immobile è cambiata nel corso del 2014 o quest’anno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Accordo per il creditoAbi, sospese rate per 14,6 miliardi Sono state 42.818, tra ottobre 2013 e marzo 2015, le domande di sospensione del pagamento delle rate nei confronti delle imprese per un valore complessivo di debito a 14,6 miliardi e una maggior liquidità a disposizione delle imprese di 1,8 miliardi, rileva l’Associazione bancaria italiana (Abi), grazie all’accordo per il credito. Il 27,1% delle domande è riferito a imprese del commercio e dell’alberghiero; il 14,8% dell’industria e il 18,6% dell’edilizia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Al via il risiko delle banche popolariTutti i piani da Milano al NordestTre i poli pronti per iniziare la partita: Ubi, Banco e Bpm. Il ruolo degli investitori esteri

L’aumento di capitale da 3miliardi di euro che il Montedei Paschi di Siena aprirà do-mani è destinato non solo a da-re un diverso assetto proprieta-rio alla più antica banca almondo, ma anche a inaugurarela nuova stagione del risiko na-zionale. Due le spinte al cam-biamento: la vigilanza unicadella Bce e il decreto Renzi, giàdivenuto legge, che impone al-le prime 10 banche popolariitaliane (su 70), di trasformarela forma sociale in Spa.

Nei fatti, un terremoto. A cuisi è aggiunto un terzo fattore,endogeno, ovvero 350 miliardidi crediti deteriorati, di cui al-meno 190 miliardi di sofferen-ze: denari prestati che non tor-nano indietro. Con tali premes-se si rende indispensabile per ilsistema economico contare subanche più grandi e patrimo-nializzate e ciò apre il capitolodei possibili accordi, da cui sichiamano fuori Unicredit e In-tesa Sanpaolo, impegnate aguardare la prima a Est, la se-conda ai mercati anglosassoni.

Così restano tre poli di attra-zione: Ubi, Banco, Bpm. Ubi hagrandi fondi tra gli azionisti(Silchester, BlackRock) e unadiffusa presenza tra le famiglieimprenditoriali di Brescia. Èben patrimonializzata (Cet1 al12,33%) e questo ne fa anche unpossibile acquirente di Mps.Siena è però un boccone gros-so e Victor Massiah, il consi-gliere delegato, preferirebbeassumerne a piccole dosi ini-ziando da Nordest, l’ex Anton-veneta, se fosse scorporabile.

Banco Popolare e Bpm sonoinvece integrabili. I due capiazienda, Pier Francesco Saviot-ti e Giuseppe Castagna,hannoiniziato a ragionare sul proget-to del terzo polo nazionale. Ma,lungo la via Emilia, Bpm subi-sce anche l’attrazione di Bper,che alla presenza padana uni-sce il quasi monopolio sardo.Mentre in Valtellina c’è chi pen-sa a un’unica banca popolare.

Poi c’è il capitolo veneto.

L’unione tra PopVicenza e Ve-neto Banca è sul tavolo da anni.Oggi la benedice anche il presi-dente uscente della Regione,Luca Zaia. Ma gli istituti sonoin difficoltà: il 17 febbraio uncentinaio di finanzieri si sonopresentati nelle sedi della Ve-neto sequestrando documentiin un’indagine che riguarda laprecedente gestione, di Flavio Trinca e Vincenzo Consoli. Duesettimane fa si è dimesso l’am-ministratore delegato della Vi-cenza, Samuele Sorato, a solitre mesi dalla nomina. Dueispezioni della Bce e un’indagi-ne della Consob sembrano es-serne la causa. Unire le residua-

li forze di queste banche – nonquotate – appare ancora possi-bile, ma di certo non sarà riso-lutivo in un quadro sempre piùeuropeo: servono capitali fre-schi, che forse arriveranno dal-l’estero. Tanto più che le fonda-zioni ex bancarie non appaio-no essere il partner ideale perdare solidità alle (ex) popolari:si sono infatti impegnate ascendere nell’azionariato dellebanche conferitarie per diver-sificare gli investimenti. Rein-vestire nelle ex popolari sareb-be una sfida al buonsenso.

Stefano Righi@Righist

© RIPRODUZIONE RISERVATA

d’Arco

Le Popolari in Borsa

+25,72%

+42,29% +42,40%+49,21%

+63,13%

+48,78%

UbiBanca

BancaPopolare

di Emilia R.

BancaPopolare

di Sondrio

BancoPopolare

BancaPopolaredi Milano

CreditoValtellinese

Dal 2 gennaio a oggi

0

20

40

60

350miliardi di euro

l’ammontare

dei crediti

deteriorati

nella pancia

delle banche

italiane,

di cui 190

miliardi

di sofferenze

Il ceo di Intesa Sanpaolo

Messina:«Per l’Italia 2015 anno di svolta»DAL NOSTRO INVIATO

BAGNAIA (SIENA) «Dire che le banche hanno fatto credit crunch è disinformazione». Carlo Messina (foto), amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha risposto così ieri a uno studente all’Osservatorio permanente giovani-editori. «Con la crisi è caduto il Pil del 10%, le aziende hanno perso fatturato, non hanno più fatto investimenti e non c’è stata più domanda di credito». Dal giugno 2011 «abbiamo erogato 140 miliardi di credito e quest’anno stimiamo di erogarne 37». Secondo Messina l’Italia «oggi è in un momento unico di recupero: rispetto agli anni passati ci

sono tantidati positivi».Quest’anno«ci puòessere lapossibilità disuperare leprevisioni» dicrescita del

Pil «in modo significativo». Sbagliano poi le agenzie di rating nel valutarci: «Ho polemizzato spesso con loro perché ritengo sia incompetenza assoluta guardare il debito pubblico e non anche la capacità di risparmio di un Paese». Sull’Europa il banchiere ha aggiunto: «In questi anni di crisi l’unico che nella Ue è stato in grado di fare qualcosa è stato il presidente della Bce Mario Draghi».

Sergio Bocconi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Domani al via l’aumento di capitale

Mps, la Fondazione decide entro martedì(giu.fer.) Domani parte l’aumento di capitale da 3 miliardi del Monte dei Paschi di Siena, che offrirà 2,5 miliardi di azioni, dieci per ogni vecchia azione Mps, al prezzo di 1,17 euro, con uno sconto del 38,9%. Entro martedì la Fondazione Mps comunicherà se aderire all’operazione. Lo ha confermato ieri il presidente, Marcello Clarich, senza sbilanciarsi, perché «ci sono gli occhi attenti» della Consob.

Sullo sconto del 38,9%, si limita a dire che «è una decisione del cda» per rendere appetibile l’aumento «per tutti i soci». Anche perché l’effetto diluitivo per gli azionisti che non sottoscrivono sarà enorme, del 91%. Ma l’aumento «rafforza la banca» e non c’è più «l’angoscia o l’urgenza di una scadenza» per una fusione, come chiede la Bce.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I vertici

Il consigliere

delegato

di Ubi Banca

Victor Massiah,

55 anni. Al

timone del

gruppo da oltre

sei anni

Giuseppe

Castagna,

56 anni,

consigliere

delegato e

direttore

generale

di Bpm

Pier

Francesco

Saviotti,

72 anni,

amministratore

delegato del

Banco

Popolare

Carige, Malacalza acquista il 4,6% dai francesi di Bcpe La famiglia genovese sale al 14,9% dell’istituto pronto a un rafforzamento patrimoniale da 850 milioni

A poche settimane dal pro-grammato aumento di capitaleda 850 milioni di euro di BancaCarige i movimenti sull’aziona-riato dell’istituto continuano aregalare colpi di scena. Ieri la fa-miglia genovese Malacalza, giàprimo azionista attraverso laMalacalza Investimenti con il10,27 per cento, ha concluso l’ac-cordo con Bcpe per l’acquistodel 4,662 del socio francese checede così circa la metà del suo9,7 per cento. Il prezzo d’acqui-sto definitivo della partecipazio-ne è stato fissato in 32 milioni e662 mila euro, sulla base dellachiusura del titolo di venerdìscorso a 6,74. In uno stringatis-simo comunicato Malacalza an-

nuncia che il «perfezionamentodell’operazione» avverrà entrovenerdì prossimo portando ilgruppo a detenere il 14,934 percento del pacchetto azionariodi Carige. È noto tuttavia che

nei programmi di Vittorio Ma-lacalza c’è il raggiungimentodel 20 per cento, appena sottola soglia per cui è obbligatorial’apertura di un’offerta pubbli-ca di acquisto.

Intanto si sono sciolti, alme-no in parte, gli interrogativi sulcomportamento dei francesi invista dell’aumento di capitale;rumors li davano da tempo po-co disposti a impegnarsi per unoneroso investimento di 80 mi-lioni in Banca Carige ma nullaera trapelato sulla trattativa oraconclusa con Malacalza. Ri-mangono aperte le ipotesi sulrestante 5 per cento che restain mano a Bcpe, ci si chiede se ifrancesi lo cederanno uscendocompletamente da Carige.

Non c’è solo Malacalza a farecampagna acquisti, da poco èentrato nella partita anchel’imprenditore con forti inte-ressi in Africa Gabriele Volpi, la

cui finanziaria di famiglia,Summer Trust, è al 2 per centoma fonti affidabili lo indicanocome già in possesso del 3,5del pacchetto azionario (forseattraverso Ubs). Lo stesso Volpiha poi detto di essere intenzio-nato ad acquisire il 5 per centocome obiettivo minimo, pron-to però ad andare oltre per po-sizionarsi – arretrati i francesi –

come secondo azionista dopoMalacalza. La sottoscrizionedell’aumento di capitale – ri-chiesto dalla Bce dopo glistress test – previsto entro la fi-ne di giugno si presenta perBanca Carige sotto buoni au-spici anche senza l’interventodel consorzio di garanzia gui-dato da Mediobanca che si faràcomunque carico dell’inopta-to. Continua nel frattempol’azione di pulizia e trasparenzae la riorganizzazione avviata apasso di carica dall’ad PieroLuigi Montani, dopo la movi-mentata uscita di scena del vec-chio vertice della banca.

Erika Dellacasa© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vittorio

Malacalza. La

sua famiglia ha

firmato l’intesa

con Bcpe per

l’acquisto del

4,66% di Carige

L’operazioneIl prezzo d’acquisto della partecipazione è stato fissato a 32,6 milioni di euro

italia: 5050545355555254

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ASSICURAZIONI

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CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 18 MAGGIO 2015 11

L’intervista Parla Luca Filippone, neo direttore generale del gruppo assicurativo

Reale Mutua «Basta prudenzaPronti per lo shopping estero»Le popolari? «Non vogliamo cambiare mestiere. Vendiamo polizze»DAL NOSTRO INVIATO

A TORINO

STEFANO RIGHI Reale group Luca Filippone, 48 anni, direttore generale

Il principio è semplice: di-videre i rischi. Così lui,Luca Filippone, dal primomaggio direttore generale

di Reale group, si è messo al si-curo. Per la finale di Cham-pions League Juventus-Barcel-lona, dormirà sonni tranquilli.O lui – nato a Barcellona ma ti-fosissimo della Juve – o la mo-glie Monica – lei pure di Bar-cellona, ma fortemente blau-grana – la sera del 6 giugnopotranno festeggiare.

Il primo maggio è nato Re-ale group. Operazione di im-magine o di sostanza?

«Abbiamo dato immaginealla sostanza. La staffetta traLuigi Lana e me è nel segnodella grande continuità. Dasette anni lavoriamo gomito agomito per arrivare all’integra-zione tra tutte le attività, com-prese quelle spagnole. Un fattoconcreto, anche se non aveva-mo un cognome di famiglia.Non avevamo una visibilitàesterna di questa sostanza digruppo. Ed ecco il marchio Re-ale group che dà unicità e visi-bilità».

La Spagna quanto vale?«Quasi un quarto del totaledanni, che sommano circa 3,8miliardi di euro».

Quali sono i suoi obiettividi capo azienda?

«Servire bene i soci delgruppo Reale e garantire la pe-rennità dell’azienda. Almenoper i prossimi 187 anni...».

L’impatto di Solvency?«Ha messo a dura prova il

settore. Secondo me è stato un

bene perché se il nostro me-stiere è gestire i rischi, capirlimeglio ci può solo aiutare a ge-stirli meglio. Lo ritengo un pas-so avanti importante».

E dal punto di vista dellasolidità di gruppo?

«Abbiamo storicamente unpatrimonio importante. I no-stri ratio sono estremamentesignificativi. Secondo Solven-cy 1 l’indice di solvibilità di Re-ale Mutua è 455% e del 242%

per il gruppo».Dove investite il patrimo-

nio?«Abbiamo circa 10 miliardi

di attivi. Il grosso investito inobbligazioni, una buona fettaanche nell’immobiliare: con-centrata in tre città, Torino,Roma e Milano e tutti terra-cielo».

Chi considerate vostroprimo concorrente?

«Possiamo considerarci gliultimi del gruppo di testa o iprimi del gruppo di mezzo…Oggi i concorrenti diretti sonogli uni e gli altri, i più vicini so-no Cattolica e Axa. Ma tutti iprincipali player del mercatodanni sono nostri principalicompetitor».

Voi state togliendo un po’di polvere dai mobili. Inter-net è un partner affidabile inmolti servizi finanziari. Pos-siamo ipotizzare un vostroimpegno nel web?

«Non abbiamo mai avutouna compagnia diretta e nonintendiamo averla ora. Abbia-mo invece avviato un accortocon Facile.it per la compara-zione dei prodotti via web».

Crescerete per linee ester-ne?

«Ci stiamo preparando.

Non è banale diventare inter-nazionali. Anche avendo il 25%del fatturato in Spagna ogginoi siamo più binazionali cheinternazionali».

Sta dicendo che guardatea un terzo mercato?

«Assolutamente sì».

A quale mercato?«La Francia è un paese dove

la mutualità è fortissima, ma èanche un mercato ipermaturo,molto competitivo, non banale.L’America Latina potrebbe es-sere, partendo dalla piattafor-ma spagnola si può approccia-re. I paesi dell’Est Europa pos-sono rappresentare un sanocompromesso, tipo la Polonia,ma non credo sia semplice an-darci».

Nel 2016? «Sarebbe una buona tempi-

stica».Esclude operazioni di cre-

scita esterna sul mercato do-mestico?

«Per ora abbiamo guardatoun po’ di piccole cose che ci so-no sul mercato italiano ma nonci siamo innamorati di nulla.Sul mercato spagnolo invecenon sono da escludere altre ac-quisizioni. Anche perché inSpagna con 5-600 milioni inpiù entri in Champions Lea-gue, mentre in Italia servonoalmeno 7 miliardi».

Perché allora cercate il

Reale Group Destinata alla vendita Collegate

ItalianaAssicurazioni

Reale Vida YPensiones (Madrid)

32%

Reale SegurosGenerales (Madrid)

Cai SegurosGenerales (Saragozza)

CredemAssicurazioni 50%

Il gruppoLa struttura

3.53792,7%

94,91.954

219%

3.78991,0%

172,72.246242%

2013 2014

SaraAssicurazioni

Premi contabilizzatiCombined ratio DanniRisultato di GruppoPatrimonio netto di GruppoIndice di solvibilità (Solvency I)

I numeri

Società Reale Mutua di Assicurazioni

terzo mercato?«Perché questi anni ci han-

no anche dimostrato che spes-so Spagna e Italia sono collega-te anche nel rischio-Paese. Percui diversificare ci farebbe be-ne…».

Siete il secondo socio diSara. Come valuta a compa-gnia?

«È una società ben gestita,in un momento positivo. La sfi-da di Sara è diversificarsi oltreil settore dell’auto».

Siete anche soci di Cre-dem…

«Con Credem siamo sociparitetici in Credem Assicura-zioni, che si occupa solo di dan-ni non auto e che oggi si svilup-pa con ottimi risultati tecnici. Non è un gigante ma è una ec-cellente azienda con un part-ner come Credem con il qualeci intendiamo alla perfezione».

Siamo alla bancassicura-zione. Entrerete nel Vita?

«La scelta di non fare ban-cassurance Vita è stata presada tempo e che non ci interessacambiare. Nel comparto Ban-cassicurazione Danni, in Spa-gna, siamo molto orgogliosi diessere partner del Bbva, per ladistribuzione di due-tre pro-dotti molto specifici, attraversouna rete straordinaria comequella del Bbva».

C’è grande richiesta di ca-pitali dal mondo delle ban-che popolari. Unipol è inte-ressata. Voi?

«No. Noi siamo assicurato-ri. Vogliamo rimanere assicu-ratori e anche rimanere mu-tua».

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

M attinata dedicata alle«Nuove assicurazioni,

tra distribuzione e redditi-vità», nella sala Buzzati(accesso da via Balzan, 3)del Corriere della Sera. Il con-vegno, organizzato da Cor-riere Economia con zeb con-sulting, vedrà dalle 9.30 lapartecipazione di Generali,Allianz, Unipol, Cattolica, Groupama, Helvetia e Uni-qa, oltreché del dg dell’Ania,Dario Focarelli e del sena-tore Massimo Mucchetti.

Il convegnodi Milano

Il mondo delle assicurazioniI grandi gruppi

Finanza

Gli appuntamenti L’organizzazione di Fondazione Cariplo

L’Expo dei padiglioni è fatta, ora il non profit porta le ideeOggi e domani la riunione di Global Alliance a MilanoMercoledì e giovedì l’assemblea generale della Efc

Expo «dovrebbe rico-noscere e individuarebene il problema della

fame. Cioè discutere di poli-tica ed economia. L’Italia hala possibilità di influenzare ildiscorso politico globale.Non deve sottovalutarlo».

Sembra ispirata alla rac-comandazione del NobelAmartya Sen la 26esimaconferenza e assemblea ge-nerale della Efc, European foundation centre, voluta eorganizzata a Milano da Fon-dazione Cariplo in collabora-zione con altre fondazioniitaliane (da Compagnia diSan Paolo a Enel Cuoreonlus, da fondazione Braccoa Unicredit foundation).

L’appuntamento è fissatodal 20 al 22 maggio al Mico,il centro congressi del capo-luogo lombardo. Titolo dellatre giorni: Filantropia: vi-sioni ed energia per il cam-biamento. Nella città del-l’Expo arriveranno 600 dele-gati in rappresentanza difondazioni, organizzazioni, istituzioni filantropiche ditutto il mondo. Efc ha sceltod i o r g a n i z z a r e l a s u a26esima assemblea a Mila-no, in occasione di Expo2015, con l’obiettivo di attiva-re la massima sinergia tra ipartecipanti alla conferenzae l’Expo 2015.

«Di fronte alle risorsescarse del settore pubblico,dal welfare, alla cultura, finoalla ricerca, la filantropia stareggendo il peso di molti

problemi che affliggono lenostre comunità», osservaGiuseppe Guzzetti, presi-dente di Fondazione Cariploanche a nome della altre fon-dazioni che hanno collabo-rato al progetto. «Questonon accade solo in Italia, maanche in altri Paesi – conti-nua Guzzetti –. Possiamo pe-rò dire, con orgoglio, che og-gi il nostro Paese è spessoguardato come modello. È ilcaso dell’housing sociale.Ma anche del supporto alla ricerca scientifica. La filan-tropia contribuisce a nutrireil pianeta col cibo, con la cul-tura e con modelli di vita so-stenibili per il benessere del-le persone».

La conferenza Efc 2015 sa-rà l’occasione per Milano diospitare per la prima voltarelatori internazionali e mas-simi esperti di filantropia.Solo qualche nome: Kumi

Naidoo, direttore esecutivointernazionale di Greenpea-ce (il primo africano a capodell’organizzazione); EllenDorsey, direttore esecutivodi Wallace Global Fund e so-stenitrice del movimentoglobale divest-invest per ildisinvestimento dalle attivi-tà legate ai combustibili fos-sili; Patrick Holden, fondato-re di Sustainable Food Trust;Camilla Toulmin, direttoredel International Institutefor Environment and Deve-lopment; Aristos Doxiadis,economista greco, conosci-tore della dinamica della cri-si economica del suo paese.

Ma l’assemblea generaledell’European foundationcentre non è l’unico appun-tamento per chi si occupa dinon profit. Oggi e domanifondazione Cariplo accoglie-rà sempre a Milano 200 de-legati di Global Alliance, aPalazzo Clerici, per confron-tarsi con le grandi fondazio-ni del mondo sui temi del-l’agroalimentare; come laKellogs, la Bill & Melinda Gates e la Agropolis Fonda-tion, la più importante inFrancia, con cui Cariplo stasviluppando progetti di ri-cerca sul riso. Un maggiospeciale per il Terzo settore italiano. Una straordinariaopportunità per mettere rac-cogliere idee e far conoscerei migliori progetti.

RITA QUERZÉ© RIPRODUZIONE RISERVATA

Cariplo Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione

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MF

Numero 098, pag. 6 del 21/05/2015

DENARO & POLITICA

Quelle multiramo (a metà tra unit e gestioni separate) guidano il boom di raccolta

Polizze Vita, corsa senza regoleSu questi prodotti manca però una regolamentazione puntuale, dal momento che il tavolo di confronto aperto nel 2007 tra l'Ivass e la Consob non è mai arrivato ad alcuna conclusione

di Anna Messia

Quelle multiramo sono le polizza Vita che in questo periogo vanno per la maggiore. Ma questi prodotti

attendono da anni una regolamentazione più puntuale, che si è arenata sul confronto tra due

autoritàcompetenti a intervenire sulla materia: l'Ivass e la Consob. Le polizze multiramo sono infatti chiamate

così perché investono contemporaneamente nelle gestioni separate (ramo I), su cui vigila l'autorità

presieduta da Salvatore Rossi, e nelle unit linked (ramo III), che rientrano invece sotto la competenza

Consob. Resta il fatto che queste polizze stanno attraversando una fase di boom impressionante e sono

ormai nello scaffale principale di tutte le compagnie di assicurazione, da Generali a

Intesa Sanpaolo Vita, da Poste ad Allianz. Con i tassi d'interesse ai minimi storici,

sono infatti prodotti molto graditi dai clienti in quanto consentono di mantenere un

po' della protezione che caratterizza le gestioni separate e allo stesso tempo

permettono di entrare nei mercati tramite i fondi comuni, in cui investono le unit

linked. Anche le compagnie di assicurazione, dal canto loro, hanno tutto l'interesse

a distribuirle, dal momento che rispetto alle gestioni separate (che finora avevano

fatto la parte del leone nella raccolta) questo tipo di polizze Vita richiedono un

minore accantonamento di capitale, elemento cui le compagnie di assicurazioni

guardano con sempre maggiore attenzione, specie in vista delle nuove regole sul

capitale di Solvency II che entreranno in vigore a gennaio 2016.

Un tentativo di regolamentare meglio le polizze multiramo c'era stato nel 2007. Allora Ivass (che all'epoca si

chiamava ancora Isvap) e Consob decisero di aprire un tavolo di confronto. I lavori si conclusero con

l'impegno delle due autorità a stipulare un protocollo d'intesa, che però non è mai arrivato. Probabilmente

perché la materia finì in secondo piano in quanto all'epoca le polizze multiramo rappresentavano una parte

residuale del mercato Vita e sono salite alla ribalta solo nell'ultimo anno. Tanto che anche l'Ania, che finora

comunicava i dati di raccolta delle multiramo spacchettandoli tra tradizionali e unit linked, ha deciso di censire

il fenomeno che sarà illustrato al mercato in occasione della prossima assemblea di luglio.

Invece non sembra esserci un ritorno d'interesse da parte delle autorità a riprendere in mano la questione

della regolamentazione della materia e a chiarire per esempio alcuni aspetti che renderebbero le polizze

multiramo più trasparenti, come il costo e le condizioni richieste per effettuare spostamenti (switch) tra

gestioni separata e unit linked.

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Va comunque segnalato che nella fase attuale l'Ivass è impegnata intensamente nella predisposizione dei

regolamenti necessari all'avvio di Solvency II, proprio mentre di recente si è riaperta la questione della doppia

vigilanza sui prodotti assicurativi Vita. A sollevare l'argomento era stato lo stesso presidente dell'Ivass,

chiamato nelle scorse settimane in audizione in Parlamento sul tema di Solvency II. Rossi, affrontando il

nodo vigilanza, segnalava l'esempio degli altri Paesi Ue, dove il controllo è effettuato tenendo conto della

specificità dei soggetti che progettano i prodotti, ovvero le assicurazioni. Secondo questo modello, in pratica

l'Ivass dovrebbe gestire la vigilanza non solo sulle polizze tradizionali, ma anche su unit e index, oggi di

competenza della Consob. Un simile assetto probabilmente renderebbe più semplice e veloce regolamentare

anche prodotti come le multiramo, ma su tale argomento non è ancora chiara la posizione del legislatore, che

potrebbe rivedere la materia in occasione del recepimento della nuova Mifid II. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 099, pag. 13 del 22/05/2015

MERCATI

La compagnia torinese firma una partnership con altre sette mutue europee

Reale Mutua, alleanza da 50 mldUn accordo per unire le forze e velocizzare i piani strategici. Nel patto ci sono i tedeschi di Gothaer e i francesi di Covéa che potrebbero aiutare la crescita estera della società guidata da Filippone

di Anna Messia

La ricerca di Reale Mutua per un nuovo approdo sui mercato esteri continua intensamente. Proprio sulle

pagine di MF-MilanoFinanza il nuovo direttore generale della compagnia, Luca Filippone, aveva annunciato a

inizio maggio l'intenzione di rafforzare le presenza internazionale del gruppo. Un altro Paese da aggiungere

alla Spagna che è arrivata a rappresentare il 25% dei 3,8 miliardi di fatturato complessivo di Reale Mutua. La

compagnia torinese, del resto, è già oggi il secondo gruppo

assicurativo italiano per internazionalizzazione, ma vuole

crescere ancora per diversificare il suo business e in attesa di

individuare l'occasione giusta per farlo ha stipulato intanto un

importante accordo con altre mutue europee, che unendo le

forze mettono insieme un giro d'affari complessivo di 50

miliardi di premi. Si tratta di Eurapco, acronimo di European

Alliance Partners Company. A dicembre dello scorso anno la

società torinese aveva siglato una lettera di intenti finalizzata a un potenziale ingresso di Reale Mutua

nell'associazione e le trattative sono andate avanti fino a portare all'adesione realizzata nei mesi scorsi. Una

partnership che potrebbe aiutare Reale Mutua proprio nel suo sviluppo internazionale. Eurapco nasce infatti

dall'alleanza tra compagnie indipendenti che hanno deciso di unire le loro forze allo scopo di incrementare il

proprio trend di crescita, di creare maggior valore, di realizzare meglio e più rapidamente i propri piani

strategici. Si tratta, insomma, di un'intesa operativa, costituita oggi da sette primarie compagnie, organizzate

sotto forma di mutua, che rappresentano appunto una quota di mercato pari a circa 50 miliardi di euro. Ce n'è

una per ogni Paese presente nell'iniziativa. Dalla Francia, dove ad aderire è stata Covéa, nota in Italia per

l'alleanza bancassicurativa con la Banca popolare di Milano, che vanta un giro d'affari di 15 miliardi; agli

olandesi di Achmea, ai tedeschi di Gothaer, oppure agli spagnoli di Caser Seguros. Ma ci sono anche gli

svedesi di Länsförsäkringar Alliance, che raccoglie 23 compagnie assicurative regionali; gli svizzeri di Swiss

Mobiliar, fondata nel 1826 a Berna, la più antica società privata d'assicurazioni del Paese e pure i finlandesi

di LocalTapiola. L'alleanza, che come detto ha carattere operativo, è gestita tramite una società di servizi di

diritto svizzero con sede a Zurigo, denominata Eurapco Ag, compartecipata dalle compagnie che ne fanno

parte, in quote paritetiche.

La mutua torinese si appresta ora a entrare nel pool. Anche se non da subito. Perché a partire dal 2015, per

la durata di 12 mesi, è scattato un periodo di prova (cosiddetto Trial period) che dovrebbe portare all'ingresso

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degli italiani entro fine anno.

Un'unione che, come detto, potrebbe fare da premessa alla prossima acquisizione estera di Reale Mutua da

concludersi l'anno venturo, come annunciato dallo stesso Filippone. «Intanto abbiamo lanciato Reale Ites, la

piattaforma informatica utilizzata già da Italia e Spagna, che potrebbe facilitare l'integrazione di altre realtà»,

aveva dichiarato il direttore generale a MF-MilanoFinanza. La scelta è tra mercati europei, più vicini all'Italia

ma che hanno il difetto di essere più maturi, o in alternativa Paesi con maggiori tassi di crescita, che sono

però per forza di cose più rischiosi. Tra i secondi Reale Mutua aveva detto di guardare al Sudamerica, che è

un mercato per alcuni versi simile a quello spagnolo che potrebbe far da trampolino. Mentre in Europa, oltre

all'Est, a interessare era in particolare «la Francia, dove le compagnie organizzate in forma di mutua hanno

uno spazio importante nel Paese» aveva concluso Filippone. A questo punto il contatto con Covéa potrebbe

rendere lo sbarco più agevole. (riproduzione riservata)

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PROFESSIONISTI DEL RISPARMIO 23 MAGGIO 2015Plus

Compagnie in utile ma le reti soffrono

Prendono piede modelli win-win finalizzati a sollevare la redditività delle agenzie,

in calo anche nel 2014 del 5,6%

La notizia è arrivata come un’ulteriore pioggia gelata per la categoria degli agenti assicurativi. Anche nel primo

trimestre 2015 si è registrata una forte diminuzione dei premi del settore Auto (-5,7%), solo in parte

controbilanciata dalla più contenuta crescita dei premi degli altri rami danni (+2,5%). Questo dato fa percepire che

anche per il 2015 la redditività delle agenzie, ancora fortemente dipendente dal business auto, non migliorerà di

certo. La tendenza negativa non è del resto una novità e anche gli ultimi dati disponibili di Innovation team, che

«Plus24» è in grado di anticipare, riconfermano la forte crisi degli intermediari assicurativi: la redditività è scesa a

67mila euro ante imposte (dai 71mila euro del 2013), con un calo anche nel 2014 del 5,6%. Un trend che si registra

ormai da anni (rispetto al 2007 il rosso è del 35,6%). In calo anche il numero delle agenzie (-3,23%), anche a causa

della riorganizzazione dei grandi gruppi, mentre il saldo del numero degli agenti è sceso di 500 unità (-2,59%).

Dati che stridono con i gli ottimi risultati tecnici delle compagnie nonchè con gli utili in crescita registrati nelle

trimestrali. «In anni di andamenti tecnici molto positivi, soprattutto nell’auto – spiega Fabio Orsi manager di

Innovation Team -, un sostegno ai ricavi di agenzia viene indubbiamente dai diversi sistemi di remunerazione legati

al rapporto sinistri premi (S/P), che rappresentano un esempio di misure win-win per la redditività di compagnie e

agenzie e che per alcune reti consentono di compensare gli effetti negativi della riduzione del premio medio auto».

Così sta dando dei buoni risultati il modello Unipol (non ancora valido per gli agenti Fonsai) che attualmente

retrocede nell’Rc auto un’aliquota complessiva media del 13,8% (sopra la media di mercato). Addirittura in

crescita è la redditività della rete Reale (si veda intervista sotto) che grazie all’approccio mutuale che la

contraddistingue e alla decisione intervenire anche con la redistribuzione a piogga alle redistribuzione a pioggia del

combined ratio Danni complessivi è in controtendenza rispetto al settore.

Tra chi invece ha abbandonato un modello di compartecipazione agli utili utilizzato in passato c’è Zurich. Ora per

gli agenti del gruppo svizzero non sono più previste incentivazioni diverse dal canonico rappel di sviluppo proposto

dalla compagnia, in aggiunta a temporanee incentivazioni dedicate ai collaboratori e legate a singoli prodotti

assicurativi. Considerata debole dalla rete del gruppo svizzero anche l’iniziativa dedicata alle agenzie in difficoltà.

Più complessa è la situazione legata alla remunerazione della rete agenziale: esistono infatti diverse tabelle

provvigionali che di fatto differenziano in maniera rilevante la remunerazione tra gli agenti con differenze che

arrivano anche al 30%. Un problea, questo, che si registra anche in molte altre realtà e che sarà il primo punto da

discutere, nel caso di Zurich, nel futuro accordo integrativo (gennaio 2015/dicembre 2017) che gli agenti stanno

trattando con la mandante.

«Al di là di questi sostegni è però evidente che, almeno a medio termine - commenta Orsi –, il recupero di

sostenibilità delle agenzie non possa che dipendere da un profondo cambiamento del modello organizzativo

incentrato sulla digitalizzazione dei processi amministrativi e gestionali, finalizzato all’alleggerimento dei costi, e

sulla capacità di sviluppare nuovi mercati ancora poco presidiati».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pagina a cura di

Federica Pezzatti

Pagina 1 di 1

23/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...

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BANCA D ’ITALIA

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 21 del 23/05/2015

Banca d'italia

Tutte le frecce del Governatore

Dalla relazione si attende chiarezza su molti temi pungenti. Anche se Visco ha tolto dal suo studio il quadro del San Sebastiano trafitto

di Angelo De Mattia

Martedì 26 maggio, alle ore 10,30, con un anticipo rispetto alla tradizione di fine mese, il Governatore della

Banca d'Italia, Ignazio Visco, inizierà la lettura delle Considerazioni Finali (in gergo C.F.) nel Salone dei

partecipanti di palazzo Koch. L'appuntamento è ancora oggi il più atteso tra quelli nei quali enti pubblici,

authority e organi costituzionali riferiscono rispettivamente sull'opera svolta nell'anno trascorso. Nonostante la

mole di rapporti, studi, documenti, interventi pubblici di esponenti della banca,

che fanno ancor più considerare la pochezza di chi, negli anni decorsi, avrebbe

voluto che il Governatore parlasse una sola volta all'anno, la Relazione annuale

e, soprattutto, le C.F. restano un testo fondamentale per chiunque si interessi di

questioni economiche, monetarie e delle istituzioni dell'economia, interne,

europee e internazionali. L'istituto centrale arriva a questo appuntamento dopo

un anno intenso, non solo per la partecipazione alla definizione della politica

monetaria, che è compito precipuo del Governatore, anche se a esso lavora in

fase preparatoria una parte importante della Banca e per l'attuazione delle

decisioni una parte ancor più rilevante, ma anche, e soprattutto, per le funzioni

del controllo delle banche nel riformato assetto organizzativo-funzionale,

considerati i gravi problemi del decollo della Vigilanza accentrata nella Bce.

Si unisce a ciò l'impegno nel compito di alta consulenza degli organi

costituzionali, nelle presenze negli organismi europei e internazionali, nella

ricerca economica e nella tradizionale operatività nell'ambito del sistema dei

pagamenti e della tesoreria statale. Chi ricorda le assemblee annuali da Carli a

Baffi a Ciampi a Fazio e a Draghi per arrivare alle tre relazioni di Visco, oggi

alla quarta lettura delle C.F, si attende, in linea con le migliori tradizioni, un

rapporto alto, che sia in grado di analizzare, far conoscere, anche spiegare e, al

tempo stesso, proporre, stimolare, giudicare, laddove necessario. L'anamnesi

della crisi e i passaggi della fuoriuscita tuttora in atto, anche se con una cesura

abbastanza netta, ma non consolidata, rispetto al passato: ecco uno dei punti

centrali. Insomma, un rapporto dal quale traspaia orgogliosamente l'autonomia

della Banca, istituzionale e intellettuale, ma non la separatezza, sempre

rifiutata, e, insieme, la voce di una coscienza critica, anche se non

pregiudizialmente tale. Spesso Visco ha ricordato che la politica monetaria può

Pagina 1 di 3Tutte le frecce del Governatore - MilanoFinanza.it

23/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1988815&access=AB

Page 88: 21 15 rassegna stampa fisac dal 18 mag al 24 mag

molto, ma non tutto; una parte importante spetta alla politica economica e ai governi. È, questo, un aspetto

nel quale ci si attendono ulteriori lumi, dopo che il Governatore sicuramente avrà affrontato l'analisi del

quadro internazionale e le problematiche dell'area del dollaro, dello yuan e dello yen a petto dell'area della

moneta unica europea. Come, con quali prospettive e quali limiti stare in Europa è un tratto saliente che

caratterizza questo tipo di relazione. Poiché, all'interno, si va determinando nel dibattito pubblico una

convergenza sulle riforme strutturali, ma resta sguarnita la parte che riguarda gli interventi di breve periodo e,

in specie, le misure che sarebbero necessarie per la domanda, è sulle proposte di Visco che è legittimo

aspettarsi una solida trattazione, che resta parte fondamentale delle attribuzioni dell'istituto sia per le

connessioni con la politica monetaria, sia per l'esercizio dell'alta consulenza.

In questo campo, i predecessori del Governatore, in presenza di governi che consideravano ogni apporto

critico una sorta di lesa maestà, non esitarono a dire pane al pane e vino al vino. Si ricordi, per tutti, il Fazio

dei presupposti per l'adesione all'euro -a proposito dei quali oggi potrebbe vantare la sua lucidità previsiva- e

della competitività, produttività e capacità di innovazione, a fronte dei problemi dei conti pubblici, che non

poche e infondate reazioni suscitarono, ai tempi, nei ministri del tesoro e, poi, dell'economia. Dagli interventi

svolti finora da Visco si può ben attendere una oggettiva e analiticamente documentata trattazione che

rappresenti la realtà e suggerisca le linee di intervento senza nicodemismi, ritenendo a lui estranea una

voglia di captatio benevolentiae. Mentre imperversano filoni comunicazionali e propagandistici nei quali si

confondono verità e contraffazioni, c'è bisogno di un chiarimento che può venire, come in altre epoche, solo

dalla Banca centrale. In questo senso, usando l'espressione cara a Guido Carli, la banca è una vera

magistratura economica, un «eforo» dell'economia. Poi vi è il tema, delicatissimo, della Vigilanza, dei rapporti

con Francoforte, con la Commissione Ue, con l'Eba, con il Financial Stability Board. Mettere ordine, almeno

dal punto di vista logico, per indicare possibili vie da battere per conseguire risultati, in questo coacervo di

legislatori, regolatori, controllori e, poi, di norme, di istruzioni, di discrezionalità nazionali, sarebbe, di per sé,

già un'opera meritoria. Quindi, sulla scorta di dichiarazioni in parte enunciate dal Governatore, nelle scorse

settimane, e dal vicedirettore generale, Fabio Panetta, si attende che sia fatta chiarezza sulla richiesta di doti

crescenti di capitale per le banche, sui crediti di imposta, sulla bad bank, sui due cavalli di frisia che

caratterizzano gli ostacoli frapposti al decollo di discipline in queste materie: il divieto di aiuti di Stato e del

«finanziamento monetario del Tesoro».

Come costruire un rapporto con la Vigilanza centralizzata nel quale possano sempre più risaltare l'esperienza

e la professionalità della Vigilanza nostrana, con le sue tradizioni, a fronte di crescenti episodi di

inadeguatezza della struttura coesistente con la Bce, rappresenta un aspetto centrale di un rapporto che si

soffermerà pure, verosimilmente, sulle modifiche organizzative introdotte nell'amministrazione centrale e

nella revisione della rete periferica, che presentano, soprattutto per quest'ultima, ancora problemi sui quali

riflettere, avendo presente che la spinta iniziale al taglio delle dipendenze fu data dall'allora Governatore

Draghi con una netta schisi rispetto alla dominante tradizione; si unì a quel taglio la troppo affrettata

soppressione dell'Ufficio italiano dei cambi, le cui funzioni, per la parte riguardante i compiti antiriciclaggio e

antiusura che l'Ufficio svolgeva egregiamente, sono poi passate all'Uif, in una ibrida collocazione funzionale

rispetto alla Banca. Fu quello il momento in cui, in alcuni casi, si trasfigurarono i meriti e fu fatto de albo

nigrum et de quadrato rotundum, con conseguenze anche oggi evidenti. Quale sia lo sviluppo del processo,

ancora incerto, di consolidamento in alcune aree del sistema bancario, quali le linee dell'autoriforma delle

Bcc, quali le conseguenze della riforma delle fondazioni di origine bancaria, quali i caratteri dell'applicazione

della riforma delle Popolari (con riferimento pure allo scorporo della cooperativa e al voto plurimo) sono tutti

elementi che certamente faranno parte della trattazione contenuta nelle C.F.

La Banca d'Italia non redige il piano regolatore del credito. Ma certamente ha idee su quella che a livello di

sistema (e avute presenti anche le situazioni non del tutto circoscritte di difficoltà) sarebbe la migliore

evoluzione per le stesse banche, per i risparmiatori, per l'economia reale. Il pregio delle C.F. sta

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tradizionalmente nella sua compattezza e organicità: le varie parti sono legate da un fil rouge e

armonicamente costituiscono una piattaforma, che certamente obbedisce all'einaudiano «conoscere per

deliberare», ma al tempo stesso mira all'ammodernamento, all'innovazione, alla spinta a fare di più per un

miglioramento di tutti, lavoratori, imprese, banche, pubblica amministrazione.

E in questa parte che riconduce a unitarietà i vari tronconi del rapporto sta soprattutto l'Europa, con i suoi

ritardi e i suoi vincoli, ma anche con la necessità di una svolta, a partire dal caso Grecia e da correzioni

nell'ancora claudicante progetto di Unione bancaria, così come negli accordi più lontani dai trattati fondativi,

quale il Fiscal compact. Draghi, con un certo neoterismo, tolse dallo studio del Governatore, alle spalle della

sua scrivania, il San Sebastiano trafitto da frecce, opera di Lorenzo Lotto. Voleva forse essere

verosimilmente una cesura con il passato (fu Carli a volerlo) e un auspicio. Le frecce metaforiche, però, non

sono certo scomparse. E la capacità del Governatore si misura anche nel modo in cui a esse reagisce.

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FINANZA & MERCATI 23 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

FRA I TEMI APERTI

Visco ha già spiegato in Parlamento che finora il processo di smaltimento delle sofferenze bancarie è stato molto lento

L’assemblea. Martedì le Considerazioni finali del governatore - Ieri incontro con Mattarella

Bankitalia, focus sulla ripresa

RomaPer convincere definitivamente quei pessimisti del Fondo monetario che l’Italia ce la fa, ce la può fare, a centrare l’obiettivo di crescita dello 0,7% nel 2015, l’autorevole parola di Ignazio Visco nei giorni scorsi è stata decisiva. La Banca d’Italia crede nelle chance di un recupero ciclico anche più robusto di quanto non si pensasse qualche mese fa per il nostro paese. È dunque molto probabile che in occasione delle Considerazioni finali, che il responsabile di Palazzo Koch leggerà martedì prossimo nel Salone dei partecipanti, la natura di questa ripresa, le sue cause e anche i limiti e i rischi saranno saranno al centro delle riflessioni del governatore. Ieri, tra l’altro, Visco, che subito dopo l’assemblea annuale partirà per il G7 finanziario di Dresda, ha riferito sui più importanti temi economici al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Accanto alla politica monetaria ultra- accomodante varata dall’Eurosistema con il Qe, che è il motore di sostegno di questo recupero dell’economia, nel panorama economico internazionale non mancano i fattori di instabilità, a cominciare dalla crisi Greca che ancora non trova una composizione. Continua pagina 23 Rossella Bocciarelli Continua da pagina 21 Visco, del resto, non ha mai nascosto che «il ritorno a tassi di crescita in grado di generare maggiori posti di lavoro non può che essere graduale». Il riavvio di uno sviluppo tale da creare un forte recupero dell’occupazione ha spiegato di recente il governatore «passa necessariamente per un aumento, sostenuto e consapevole , della spesa per investimenti , privati e pubblici, nazionali ed europei». E gli investimenti sono la chiave di volta di questo rilancio , secondo Visco, perché sono una cerniera tra domanda e offerta produttiva. Essenziale, quindi, è ripristinare un clima di fiducia “business friendly”. Altrettanto fondamentali sono delle riforme di ampio respiro come quella dell’istruzione o quella della giustizia, per sostenere il potenziale di sviluppo del paese e dare una chance in più al lavoro, in un mondo che cambia a velocità rapidissima e che richiede forti investimenti in conoscenza e in capitale umano. Intanto, però, il ritorno alla crescita e il leggero rialzo della dinamica dei prezzi certamente offrono un assist ai nostri conti pubblici e alla battaglia per riportare sotto controllo il Moloch del debito pubblico. E’ probabile anche il governatore possa esprimere anche un apprezzamento per la strada imboccata dal governo nel dare un seguito legislativo alla sentenza della Consulta sulle pensioni senza trascurare la necessaria attenzione al rispetto degli impegni presi con l’Europa.Ma quello che non potrà mancare nelle considerazioni del numero uno di via Nazionale, in un anno che è caratterizzato dal passaggio all’Unione bancaria, sono le riflessioni sul futuro del mondo del credito italiano e sulle sue regole (nell’ultima audizione in parlamento Visco ha tra l’altro sollecitato il legislatore al recepimento rapido delle norme europee visto che il primo gennaio 2016 entra in vigore in tutta Eurolandia il nuovo meccanismo di risoluzione unico delle crisi). Da un lato, infatti c’è la spinta impressa a un nuovo nsolidamento nel mondo bancario dagli effetti degli stress test (e qui in primo piano c’è il futuro del Monte dei paschi di Siena) dall’altro la riforma delle banche popolari, che ha dato un colpo di acceleratore ai processi di aggregazione. Last, but not the least, c’è la necessità di risolvere rapidamente il problema dei crediti deteriorati che in Italia sono arrivati a quota 350 miliardi con le sofferenze lorde pari a 190 miliardi. Visco ha spiegato anche in Parlamento che finora il processo di smaltimento delle sofferenze bancarie accumulate nei bilanci delle aziende di credito è stato molto lento ( meno di 7 miliardi di prestiti in sofferenza nel biennio 2013-2014), per molti motivi: la estrema lentezza del recupero crediti e delle procedure di insolvenza è una delle cause; il fatto che questi crediti fanno capo in buona parte a imprese medio piccole che operano in tanti settori di versi; la frammentazione del mercato bancario italiano, con le banche di piccole dimensioni

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che non hanno le competenze per gestire le vendite dei crediti incagliati. Dunque sono tanti i motivi per cui ciascuna banca da sola può sottovalutare i vantaggi derivanti da una riduzione dello stock di sofferenze. Ma quando il problema finisce con il riguardare la maggioranza delle banche, ha sottolineato, gli effetti sul mercato assumono un rilevo di macroeconomico. In altre parole, costituiscono un freno per la ripresa. Di qui il suggerimento di agire con una strategia ad hoc, che passi anche per la costituzione di una società specializzata per l’acquisto dei crediti deteriorati: una “Asset management company” accentrata, che opererebbe come un market maker per sviluppare il mercato dei crediti incagliati, nella quale lo stato potrebbe giocare un ruolo o come azionista con una piccola quota o assicurando delle garanzie.© RIPRODUZIONE RISERVATARossella Bocciarelli

Bankitalia, Visco è il nuovo governatore. Napolitano firma decreto dopo il doppio ok di Consiglio superiore e Cdm

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UNIONE EUROPEA

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PRIMA PAGINA 18 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

TAGLI & TASSE

Quel «memo» da Bruxelles sulla spending

reviewTutto può dirsi meno che il lavoro di Yoram Gutgeld e Roberto Perotti, i due consiglieri cui il premier Matteo Renzi ha affidato la revisione della spesa pubblica e i tagli ad essa connessi, sia facile. Perché lo dice la storia, passata e recente: lungo è l’elenco, dal 1971 a oggi, delle Commissioni e dei tecnici che hanno studiato a fondo il problema, suggerito le soluzioni e infine visto i loro libri bianchi o verdi ingiallire nei cassetti ministeriali e della politica.E poi perché la «spending review» è il grande rebus di questo 2015. Ci si provi, a vestire i panni di Gutgeld e Perotti. Hanno sul tavolo le conclusioni cui era arrivato il super commissario Carlo Cottarelli, un bagaglio comunque prezioso ma sul quale pendeva la responsabilità della scelta politica, richiamata non a torto dal nuovo capo del Governo Renzi. Sono la “mano” di Palazzo Chigi, ma i consiglieri devono vedersela anche con il ministero della Economia, la Ragioneria generale dello Stato, la Corte dei Conti, l’Autorità anticorruzione. Sanno perfettamente che i nemici dei tagli, e di qualsivoglia novità riformista che vada a modificare il tran-tran burocratico di uno Stato che ha fatto della sua crescita perimetrale la sua vera ragion d’essere a colpi di “tassa e spendi”, sono appostati in ogni angolo. Nei ministeri, in Parlamento, negli enti locali, nei partiti, nelle università, nel corpaccione dei “corpi intermedi” dove i veto-vetero-concertatori hanno sempre il coltello tra i denti (ma mai per tagliare).Infine, Gutgeld e Perotti devono fare i conti con quell’impasto di innovazione e conservazione, toccate e fughe, statalismo e liberismo (un punto questo sollevato da Alberto Mingardi su La Stampa nei giorni scorsi) che fa della “renzinomics” una politica economica di sicuro post-ideologica ma anche graniticamente attenta alla scadenze elettorali e ai risultati che ne derivano in termini di consenso. Per cui sarebbe stata una vera notizia, tipo quella dell’uomo che morde il cane, il fatto che prima delle elezioni regionali di maggio avremmo avuto nero su bianco tutti i numeri e le voci della “spending review” promessa ma fin qui poco praticata e in ritardo su quanto annunciato dal Governo nel 2014.Continua pagina 10 Guido Gentili Continua da pagina 1 Questo significa che la revisione della spesa, per un verso o per l’altro, è destinata anche questa volta a fare la fine della valigia smarrita e non ritrovata? No, non pare proprio. Primo: la sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni obbliga a un generale ricalcolo e a puntare con rinnovata velocità e determinazione sulla “spending review” se si vuole evitare, coi fatti e non solo con le parole, di aumentare una pressione fiscale già irragionevole (i dati sulle tasse locali che presenta oggi il Sole 24 Ore ne sono la riprova). Secondo: l’obiettivo di una revisione da almeno 10 miliardi per il 2016 resta irrinunciabile, e non per modo di dire, a meno che si permetta uno scatto automatico dell’Iva che vale 16 miliardi (la “clausola di salvaguardia” già prevista a bilancio), il che non è certo interesse del Governo. Terzo: c’è un luogo, Bruxelles, dove la manovra per rivedere e tagliare la spesa non sarebbe comunque lasciata a un destino di oblìo.È vero che oggi la posizione in Europa dell’esecutivo guidato da Renzi è più forte sul piano politico e negoziale e che lo scenario economico prospettato in Europa è giudicato «plausibile». Però le «raccomandazioni» del 13 maggio non sono acqua fresca. Affermano che il Governo italiano «deve ancora precisare gli ulteriori tagli alla spesa» per evitare l’aumento dell’Iva. E che «limitati sono stati i progressi verso un miglioramento duraturo dell’efficienza e della qualità della spesa pubblica a tutti i livelli dell’amministrazione. I risparmi di bilancio approvati per legge, anche a livello regionale e locale, sono inferiori a quanto previsto del programma di riforma 2014. Il fatto che la revisione della spesa non costituisca ancora parte integrante del processo

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di bilancio incide negativamente sulla generale efficienza a lungo termino dell’esercizio».Sul tavolo di Gutgeld e Perotti (e di Renzi) c’è anche questo memo rosso. Inaffondabile, neanche ingiallisce come i libri bianchi o verdi sulla spesa..@guidogentili1© RIPRODUZIONE RISERVATAGuido Gentili

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore del Lunedì

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PRIMO PIANO 18 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

Il benessere dell’Ocse divide l’Italia in due

Ok salute e reddito, in ritardo su lavoro e scuola

I migliori voti li ottiene in due materie: “equilibrio vita privata-lavoro” e “reddito e

ricchezza”. Anche per quanto riguarda lo “stato di salute” e le “relazioni sociali” se la

cava benino. Insufficienza in “educazione” e in “lavoro”. Esce con questi risultati

l’Italia nell’analisi “How’s life” realizzato dall’Ocse in 36 Paesi.

Lo studio - un’anticipazione del rapporto che sarà divulgato in ottobre - viene

presentato oggi insieme al lancio della versione italiana del Better Life Index (Bli). «Il

progetto nasce nel 2011, quando l’Ocse compie 50 anni e inserisce nella sua mission

l’obiettivo di una better policies for better lives - spiega Romina Boarini, responsabile

delle statistiche del Better Life Index -. Cercavamo uno strumento che, superando il

Pil, potesse misurare la qualità della vita della società e degli individui e ci siamo

mossi su un ventaglio di iniziative, tra cui “How’s life”. Si tratta di uno studio che

misura il benessere, la distribuzione e l’evoluzione tramite 11 parametri statistici, che

a loro volta ne includono altri: per esempio, nella salute entrano l’aspettativa di vita e

le condizioni sanitarie della popolazione, nell’ambiente la qualità dell’acqua e

dell’aria».

Ma gli esperti Ocse non si sono accontentati delle statistiche e vi hanno affiancato un

altro “misuratore” più innovativo, il Bli, basato sull’utilizzo della rete e quindi in

grado di far emergere le aspettative dei singoli, con un aggiornamento in tempo reale e

articolato anche per genere e fasce di età. «Il Bli è interattivo e permette al navigatore

di partecipare al dibattito democratico sul benessere - continua Boarini - dando il

proprio giudizio sull’importanza degli 11 indicatori. L’obiettivo è contribuire alle

agende di politica economica dei governi perché siano dettate non solo da elementi

oggettivi sulla situazione del Paese, ma anche dalle priorità espresse dalla collettività».

Il risultato finale sul sito viene visualizzato con un fiore per ciascun Paese, con 11

petali (uno per indicatore): la lunghezza del petalo esprime la performance oggettiva

del Paese nelle statistiche, la larghezza il peso dato dal navigatore. La lunghezza dello

stelo, infine, sintetizza la performance complessiva del Paese rispetto a quella degli

altri Paesi. Dal 2011 il Bli ha generato oltre sei milioni di accessi, con 13 milioni di

pagine viste, e una stima di oltre 92mila navigatori rispondenti, di cui 3.650 in Italia

(ma con il lancio della versione italiana la platea è destinata ad ampliarsi).

Quanto ai risultati riferiti all’Italia (vedi grafici in alto), scopriamo che nell’”How’s

life” l’Italia è nella parte alta della classifica (13ª su 36 Paesi) nel parametro

conciliazione privato-lavoro (basato su due sotto-parametri, i dipendenti che lavorano

oltre 50 ore la settimana e il tempo libero) e in quello del benessere economico (un

14° posto assegnato tenendo conto del reddito e della ricchezza delle famiglie). Si

colloca invece nella parte finale della classifica (31° e 29° posto) nei domini

dell’istruzione (dove si considerano diplomati, anni di studio e capacità cognitive) e

del lavoro (che include occupazione, retribuzione, disoccupazione di lunga durata e

precariato). Se invece si passa all’altro versante, il Better Life Index, per gli italiani

che hanno utilizzano il sito interattivo (la maggior parte dai 25 ai 34 anni), i temi più

importanti sono la salute, l’istruzione, la soddisfazione personale; i meno “sentiti”

l’impegno civile, il reddito, la collettività.

Infine - benché l’Ocse non stili graduatorie di Paesi - se si elabora un indice aggregato

delle 11 dimensioni (dando loro pesi identici) si nota che le performance dei 36 Paesi

non si discostano molto: si va dal terzetto di testa (Australia, Svezia e Norvegia)

intorno a quota 8, alle ultime (Messico e Turchia) sotto quota 4 (vedi tabella in alto).

L’Italia si trova nella seconda metà della classifica (23ª) con un indice sintetico pari a

5,82. Può però consolare il dettaglio regionale dell’”How’s life”, che comunque

ripropone le note disparità Nord-Sud: negli 11 indicatori, Bolzano, Trento ed Emilia

Romagna - su 362 regioni Ocse - si piazzano nella fascia al top (soprattutto in tema di

lavoro, sicurezza, reddito, salute e impegno civile). In fondo non sorprende trovare

Campania, Calabria, Puglia e Sardegna.

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Pagina a cura di

Rossella Cadeo

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la Repubblica6 LUNEDÌ 18 MAGGIO 2015ECONOMIA

Il documento

MILANO. Ennesimo conto alla rovescia per la Grecia. In vista delConsiglio europeo previsto per il prossimo fine settimana, daBruxelles arriva l’avvertimento al governo di Atene affinchépresenti un piano di riforme «credibile» in modo da ottenere il vialibera a nuovi finanziamenti ed evitare il default. Ieri è stato ilvicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovkis a parlare:«I negoziati sono in corso, ma bisogna accelerare, abbiamo già persotroppo tempo. Solo se la Grecia completa il prossimo passo delprogramma di riforme, le ultime tranche di aiuti potranno esserecorrisposte». Ma Syriza, il partito del premier Tsipras, è su una lineadura: il mandato «del popolo è di ottenere un accordo con i creditoricon il quale la Grecia resta nell'euro senza pesanti misure diausterity».Sempre ieri, la stampa ellenica ha riferito quanto avvenuto l’8maggio, quando Tsipras aveva fatto sapere, poco prima dellascadenza del rimborso di una tranche del prestito Fmi, che il governonon aveva i 750 milioni di euro da restituire, poi in realtà versaticome previsto. A meno che non fossero sbloccati i crediti che sono alcentro del negoziato. Secondo la stampa greca, questecomunicazioni sono avvenute quattro giorni prima del rimborso. Eha portato i creditori a pensare che si trattasse di un «possibile bluff».

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Ue, nuovo avvertimento alla Grecia“Solo sette giorni per le riforme”

IL NEGOZIATO

90 milaLE NORME

Dopo la crisi del 2008,gli Usa hanno 30 milapagine di normefinanziarie in più, l’Ue60 mila

21 milaI DERIVATI

La Bri solo dal 2010stima il valoreglobale dei derivati.Nel 2014 valevano 21mila miliardi di dollari

25 milaLO SHADOW BANKING

Il sistema di fondi eistituzioni nonbancarie e nonregolate vale altri 25mila miliardi di dollari

Inumeri

IL PREMIER

Alexis Tsipras, alla guidadel partito di sinistraSyriza, è diventato premiernel gennaio scorso

Le banche europeetemono la turbofinanza“Imponeteci più regoleper evitare le bolle”

Il creditoOltre venti grandi gruppi globali, da Blackrock a Hsbc, fino alle italianeGenerali e Intesa Sanpaolo, presentano un appello a istituzioni, Bancacentrale europea e Federal Reserve per ottenere “misure prudenziali”concentrate soprattutto su derivati, prestiti e sistema bancario ombra

CLAUDI PÉREZ

BRUXELLES.Subito dopo il fallimento Lehman Brothers, nel 2008, i lea-der di tutto il mondo invocarono quella che l’ex presidente francese Ni-colas Sarkozy definì la “rifondazione del capitalismo”. Le autorità ri-sposero al disastro con una convulsa agenda di riforme: negli Stati Uni-ti si scrissero oltre trentamila pagine di norme finanziarie di natura va-ria, e in Europa se ne scrissero oltre sessantamila. Nonostante tutto,però, in pratica il sistema finanziario è rimasto proprio uguale a prima:è globale, gonfiato, fortemente indebitato, propenso a rischi eccessivie soprattutto è portato a cadere sotto l’influenza dello stato, o per otte-nere interventi di soccorso nell’ordine di miliardi, o per ridurre l’effi-cacia di quelle misure normative finalizzate a rendere meno infaustala prossima crisi. Il settore finanziario, che per anni ha scritto assegniper esercitare pressioni, adesso sta cambiando strategia: circa una ven-tina di grandi banche, compagnie di assicurazioni, investitori e altrioperatori di primo piano di quelmagma meglio noto come “i mer-cati” si sono accordati per esigerepiù regolamentazione. In un do-cumento predisposto dal DavosWorld Economic Forum e firmatotra gli altri da Axel Weber (presi-dente di Ubs) e Douglas Flint(Hsbc), sollecitano misure ma-croprudenziali finalizzate a «mi-gliorare la stabilità finanziaria eridurre l’impatto delle future cri-si».

Al contrario di quanto è acca-duto in anni recenti — nei quali leprassi invalse nel settore indu-striale e la negligenza da parte de-gli organi di regolamentazione so-no state le cause principali del tra-

collo — il settore finanziario stalanciando segnali di un insolito in-teresse a rafforzare le regolamen-tazioni al fine di «limitare i rischiper il sistema» e «ridurre le ineffi-cienze, quali un’eccessiva euforiacollegata a determinati asset, peresempio nel mercato immobilia-re», quella stessa euforia eccessi-va che ha fatto scoppiare la madredi tutte le bolle in paesi come gliStati Uniti e la Spagna: così si leg-ge nella dichiarazione resa notaoggi e ottenuta preventivamentedalla Leading European Newspa-per Alliance (Lena). «Il sistema èil nostro rischio più grande. Esse-re la banca migliore in un sistemain fallimento è un po’ come occu-pare la suite presidenziale a bordodel Titanic» ha detto l’ammini-stratore delegato di uno degli isti-tuti firmatari, tra i quali compaio-no Blackrock, Generali, Zurich,

Intesa sanpaolo e il gruppo messi-cano Banorte.

La questione più importante ècapire come occuparsi delle bolle,come domare la tigre. Le soluzio-ni alle quali si è fatto ricorso fino-ra non hanno dato i risultati spe-rati: averle ignorate ed essersi li-mitati a sistemare in seguito idanni subiti ha portato alla super-bolla esplosa nel 2008 dopo un’e-poca di spettacolare crescita delcredito. Ogni volta che il sistemafinanziario è finito nei guai a cau-sa dell’aumento del credito, lebanche centrali sono intervenutee hanno trovato vari modi per sti-molare l’economia. Il risultato fi-nale di tutto ciò è la crisi presenteche ha modificato il paradigmastesso delle politiche anticrisi e diregolamentazione. Insieme alleusuali politiche monetarie e fisca-li, agli interventi di disciplina-mento e controllo, gli organi di re-golamentazione segnalano ades-so una sorta di nuova ortodossia,nella quale giocheranno un ruoloimportantissimo e di primo pianole politiche macroprudenziali, ba-sate sul contrastare la crescita delcredito e sul tentativo di proteg-gere l’economia dal sistema fi-nanziario e il sistema finanziariodall’economia.

Douglas Flint, presidente diHsbc, ha dichiarato che gli organidi regolamentazione non posso-no controllare ciascun ente in par-ticolare: «Le decisioni strategicheche potrebbero rivelarsi ottimaliper una data banca presa da solapotrebbero essere molto pericolo-se e incidere pesantemente sul-l’economia nel suo complesso seprese da tutti gli enti in uno stes-so momento. Nello stesso modo,gli organi deputati alla regola-mentazione devono tener d’oc-chio gli opportuni segnali d’allar-me e avere misure macropruden-

ziali per gestire i rischi del sistemanel suo complesso». Nel rapportonon si parla di misure specifiche,ma Flint dice che gli enti che ap-poggiano questa strategia «sonofavorevoli ad aumentare la tra-sparenza del mercato dei deriva-ti, a evitare il sistema bancarioombra, a controllare come sianolimitati gli indici di indebitamen-to; in genere, le banche sono ben-disposte ad accogliere qualsiasisoluzione che faciliti la stabilizza-zione del sistema».

Adesso, il settore bancario sol-lecita ancora una volta l’adozionedi «un adeguato equilibrio tra sta-bilità finanziaria e crescita econo-

mica» e chiede di ricorrere spora-dicamente a tali misure. «Non èchiaro se saranno efficaci nel ri-durre i rischi sistemici o il loro im-patto sull’economia reale» si leg-ge nel documento. «Nel caso in cuifossero concepite in maniera er-rata, tali misure potrebbero infat-ti provocare ancora più rischi»mette in guardia Michel Liès, am-ministratore delegato di SwissRe. Axel Weber, ex presidentedella Bundesbank e attualmentepresso il colosso svizzero Ubs, ag-giunge che le politiche macropru-denziali «potrebbero rivestire unruolo fondamentale nel fornirestabilità, a patto che siano ben

amministrate, ben gestite e che cisi occupi in modo opportuno an-che dei loro possibili effetti colla-terali».

I grandi protagonisti di questosettore sono favorevoli a questaregolamentazione, che tuttaviadeve essere applicata con grandeattenzione. «Il messaggio per i po-litici è questo: continuate purelungo questa strada, ma fatelocon la massima prudenza — diceLiès — Esiste infatti il pericolo diincentivi mal concepiti e malstrutturati, che potrebbero spin-gere alcuni enti a investire in de-terminati asset invece che in altri,finendo col provocare i medesimi

Il testo concordato al Wefdi Davos viene orasvelato dal consorzio digiornali europei Lena

BANCHIERI CENTRALI

A Mario Draghi (Bce) eJanet Yellen (Fed) è

rivolta la richiesta dellegrandi banche di imporre

misure prudenzialiper evitare gli eccessi

possibili in un periodo dipolitiche monetarie

espansive

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la Repubblica 7LUNEDÌ 18 MAGGIO 2015

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rischi che si vorrebbero scongiu-rare, oltre a una mediocre alloca-zione delle risorse” aggiungeFlint. Gli organi ufficiali di con-trollo e le banche centrali hannogià utilizzato con parsimonia que-ste misure che rientravano neglistrumenti a loro disposizione incaso di crisi, ma ne hanno intensi-ficato l’uso. Gli accordi di BasileaIII introducono “cuscinetti di ri-serve” controciclici (li aumenta-no nei periodi di crescita, ma sonopiù indulgenti con essi in periodidi contrazione del credito). Sve-zia, Regno Unito e Australia han-no appena approvato l’adozionedi misure atte a contenere possi-bili bolle: limitano il volume deimutui in rapporto al valore dellaproprietà o del reddito dei mutua-tari, o all’uso dei fluttuanti tassi diinteresse. Il Fmi evidenzia in unostudio del 2013 che un utilizzoadeguato di quel tipo di strumen-ti avrebbe consentito di ridurredel tutto il costo della ricapitaliz-zazione delle banche in Spagna.

In genere, gli organi di regola-mentazione sono favorevoli agliadeguamenti di capitale e di li-quidità in funzione del ciclo, alloscopo di evitare che tutte le ban-che si trovino esposte ai medesimiasset e di ridurre i rapporti di le-verage: il volume dell’indebita-mento potrà essere in rapporto ailoro asset. «Funzionerà? Chissà…Le banche centrali sono sottopressione, soggette a decidere tramisure macroprudenziali e prov-vedimenti di politica monetaria eal fatto che, in teoria, questi stru-menti sono nati da poco, e nel loroutilizzo c’è più arte che scienza»riassume Flint di Hsbc. Il settoremette in guardia dal fatto che lebanche centrali potrebbero at-taccarsi rapidamente al nuovogiocattolo — le politiche macro-prudenziali — per non dover alza-

re i tassi di interesse. Sia Janet Yel-len (Federal Reserve) sia MarioDraghi (Bce) hanno più volte av-vertito che controllare la forma-zione di bolle oggi non implicacambiare il prezzo del denaro, mautilizzare altri strumenti, appli-candoli sia alle banche sia agli al-tri protagonisti del sistema finan-ziario che in genere sono menocontrollati, per esempio gli assetmanager. «Dobbiamo accanirci fi-no in fondo con le banche o farem-mo meglio a distribuire il rischioin zone nelle quali ci potrebberoessere esplosioni controllate?»chiede un dirigente di alto grado.Questa è soltanto una delle do-

mande. L’altra è perché dalla ba-tosta del 2008 non è cambiatoquasi nulla. Dopo la crisi del 1929,le cose andarono in modo del tut-to diverso: fu posto un freno signi-ficativo alla libertà delle banche,ed esse dovettero scegliere se es-sere banche di investimento obanche commerciali. La supervi-sione macroprudenziale rientrain una sorta di promessa: «Non ac-cadrà più» dicono sia il settore fi-nanziario sia gli organi di control-lo. «Il settore deve dimostrare dinuovo che i suoi incentivi sono al-lineati con quelli della società: il si-stema deve fornire la prova di es-sere di nuovo sotto controllo» con-clude Flint.

Traduzione di Anna BissantiCopyright LENA, Leading

European NewspaperAlliance

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La richiesta dimostra chei numerosi interventidopo il 2008 non hannocambiato nulla

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OGGI qualunque amministratoredelegato o presidente di unagrande banca, se glielo chiedete,

vi risponderà allo stesso mondo: «Ab-biamo imparato la lezione». Vogliono di-re che il mondo è più sicuro che nel 2007,quando iniziò a strapparsi il tessuto deimercati. È la loro promessa che gli ec-cessi di prima della grande crisi non tor-neranno.

Un’occhiata ai numeri fa sospettareche non sia così semplice: nel 2007, il vo-lume di debito pubblico e privato nelmondo era di 142mila miliardi di dollari,calcola il gruppo di consulenza McKin-sey; da allora è cresciuto a 200 mila mi-liardi, fino a circa tre volte il prodotto lor-do del pianeta Terra. Da quando i merca-ti nel 2007 si sono spezzati sotto il pesodel debito, nell’80% dei Paesi del mondole famiglie sono ancora più indebitate,l’esposizione finanziaria in Cina si è qua-druplicata, il debito pubblico ha supera-to il 100% del Pil in dieci Paesi e, nel com-

plesso, è cresciuto di 25mila miliardi. Eppure, i banchieri privati di Wall

Street, della City o di Francoforte e i lea-der di quasi tutte le capitali dicono che ilmondo è più sicuro. La proposta di ventigrandi istituzioni finanziarie - più regolecontro la minaccia di nuovi eccessi – tra-disce il timore che la tregua di questi an-ni sui mercati in realtà sia fragile. La scor-

sa settimana Mario Draghi ha detto qual-cosa di simile: non bisogna essere «cie-chi» di fronte alle conseguenze poten-ziali dell’enorme immissione di liquiditàdelle grandi banche centrali, ha avverti-to il presidente della Bce, benché questa

sia stata decisa proprio per reagire ai po-stumi dell’ultima crisi.

Il rischio di una nuova ondata di insta-bilità, a dire il vero, non ha continuato acrescere ovunque. Il volume dei creditdefault swaps, i derivati di credito che di-strussero un colosso come l’assicuratoreamericano Aig, è per esempio crollato:oggi ne circolano per duemila miliardimeno di un anno fa. Le banche che liemettono sono diventate più sagge, omeno scriteriate. Perché allora chiederepiù regole proprio ora? Forse perché dav-vero i banchieri hanno imparato la lezio-ne. O magari, anche, per restare leaderdi mercato. Oggi il “sistema bancario om-bra” popolato di fondi speculativi, inve-stitori del private equity, innovatori deiprestiti in Rete come Lending Club, mi-nacciano di erodere sempre di più il mo-dello tradizionale delle banche. Darsi piùregole è un bene. E per inciso può aiuta-re, come una sorta di bollino di qualità, atenere sotto controllo la sfida dei “bar-bari” alle porte.

FEDERICO FUBINI

Fondi speculativi, investitori delprivate equity, società di prestitinate in rete stanno prendendo irischi evitati dai banchieri

DIETRO LA VOGLIA DI SICUREZZAC’È LA PAURA PER I “NUOVI BARBARI”

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MF

Numero 096, pag. 4 del 19/05/2015

PRIMO PIANO

Quel giorno atene dovrà restituire al fmi 307 milioni. Ma ormai non ha più soldi

Il 5 giugno Grecia al capolineaTsipras insiste: ristrutturazione del debito e investimenti per rilanciare i consumi. Ma Bruxelles è solo dispostaa rinviare all'autunno le misure più dure. Obiettivo: logorare il governo e farlo cadere

di Marcello Bussi

Se non viene raggiunto un accordo con i creditori, il 5 giugno la Grecia andrà in bancarotta perché ormai ha

raschiato il fondo del barile e i 307 milioni di euro che quel giorno dovrà restitutire al Fmi proprio non li ha. A

meno che non la smetta di pagare stipendi e pensioni, che costano 1,5 miliardi al mese. A dare la

drammaticità della situazione ieri è stata la notizia che il governo ha ordinato alle

ambasciate e ai consolati greci di restituire i fondi non assegnati e spedire in patria i

ricavi ottenuti dal rilascio dei visti. In serata il premier Alexis Tsipras ha dichiarato che

«le trattative con i creditori sono alle battute finali ma l'accordo deve prevedere la

ristrutturazione del debito greco, obiettivi di avanzo primario di bilancio più bassi,

soprattutto per il 2015 e 2016, e nessun taglio a stipendi e pensioni». Secondo

Tsipras l'accordo deve prevedere un «audace» piano di investimenti che consenta di

rilanciare i consumi perché «la Grecia ha bisogno di una crescita che sia basata su

una domanda interna più robusta, non solo sulle esportazioni». Peccato che l'Ue non

voglia la ristrutturazione del debito. Intanto la Commissione Ue ha proposto ad Atene alcune condizioni per

sbloccare già a giugno 5 miliardi di euro di aiuti al Paese, rimandando all'autunno la firma di un accordo

completo. Tra le richieste resta quella della riforma del mercato del lavoro, mentre per quest'anno Bruxelles si

accontenterebbe di un surplus primario dello 0,75%. L'obiettivo dei creditori è quello di rosolare Tsipras a

fuoco lento per poi costringerlo a rinnegare le sue promesse elettorali o a dare le dimissioni. A Bruxelles

credono che l'eventuale minaccia di uscita dall'euro sia un'arma spuntata perché il surplus primario di Atene

è molto inferiore alle previsioni e quindi il Paese non avrebbe risorse sufficienti per ridurre il trauma derivante

dal ritorno alla dracma. (riproduzione riservata)

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Numero 096, pag. 4 del 19/05/2015

PRIMO PIANO

Ma i creditori devono concedere qualcosa ad Atene

di Angelo De Mattia

Non manca molto ai giorni finali di maggio entro i quali si prevede (o si prevedeva?) la possibilità, per la

Grecia, di raggiungere un'intesa che consenta l'erogazione della tranche del prestito di 7,2 miliardi di euro,

assolutamente necessario per i rimborsi da effettuare tra giugno e luglio che arrivano a oltre 8 miliardi,

mentre continuamente membri del governo ellenico segnalano i gravi problemi di liquidità. La situazione

prospettica dei prossimi mesi e le necessità che si profilano fanno sì che da qualche giorno si parli di un

nuovo prestito alla Grecia che, secondo alcuni, potrebbe raggiungere i 50 miliardi. In alternativa, si è parlato

anche di una ristrutturazione del debito, nel senso di un ulteriore intervento sulle scadenze e sui tassi di

interesse. Si tace sul nuovo prestito, verosimilmente ritenendo non mature le condizioni. Da parte delle

istituzioni creditrici, in generale, si teme che un nuovo prestito segua la sorte non felice dei precedenti, che

però si fondavano su di un'impostazione della politica economica all'insegna della più rigoristica austerity, che

ora andrebbe rivista se veramente si vuole che la Grecia si incammini decisamente nel risanamento. Ieri il

ministro spagnolo dell'Economia, Luis De Guindos (pronto a sostenere una linea di rigore per prevenire

rimbalzi imitativi nelle posizioni di Podemos) ha detto che la Grecia non ha spazio per un negoziato, anche

se, con una certa contraddizione, ha aggiunto che un'intesa potrebbe essere raggiunta nei prossimi giorni.

Intanto, continuano le critiche di genericità alle liste di impegni presentate dalle delegazioni elleniche nel

corso delle trattative che si uniscono alle lamentele delle istituzioni creditrici, per non poter procedere, nel

modo in cui vorrebbero, alle verifiche in loco dei dati presso i ministeri ellenici. Di questo passo, si rischia di

arrivare alla fine del mese con un nuovo rinvio a giugno, ai limiti, cioè, del compimento dei quattro mesi

dell'accordo interlocutorio che fu raggiunto a febbraio. La prosecuzione dei rinvii sarebbe l'ennesimo fatto

grave, che farebbe tornare a parlare, come del resto già comincia a verificarsi, di default. Ieri, i timori di un

esito di questo tipo hanno fatto elevare gli spread dei nostri titoli pubblici. Il ministro dell'economia greco,

Yanis Varoufakis, ha attaccato la Bce di Mario Draghi ritenendola succuba della posizione tedesca. L'aspetto

singolare è, però, che tutti, dopo gli scontri verbali, affermano che è possibile raggiungere un'intesa in tempi

ravvicinati. Il fatto è che, soprattutto da parte delle istituzioni creditrici, senza voler escludere le responsabilità

greche, si continua a non aver presente che quello che si deve raggiungere è un compromesso. Dunque, un

approdo nel quale non si può continuare a sostenere che la lista degli impegni greci deve corrispondere in

tutto e per tutto al modello ideale delle politiche voluto dalle stesse istituzioni. Il governo greco, da parte sua,

deve compiere uno sforzo di precisione e di realismo. Solo a queste condizioni è conseguibile un'intesa.

Diversamente, l'extrema ratio sarà l'intervento politico ai massimi livelli, che certamente potrà avere una

funzione risolutiva ed evitare il precipizio verso il burrone nel quale finirebbe non solo la Grecia, ma anche

l'Europa incapace di arrivare a una soluzione di una vicenda grave, sì, ma che non si può considerare affatto

al di là delle forze dell'Unione. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 096, pag. 9 del 19/05/2015

DENARO & POLITICA

Subito dopo l'estate sarà reso noto l'action plan sulla capital market union

Il mercato unico Ue entra in scena

Per Vegas, presidente Consob, è un'occasione che non si può perdere. Per l'Abi deve essere guidato dagli operatori. Intanto il ministero dell'Economia prepara il tagliando sul Finanza per la Crescita

di Anna Messia

La tabella di marcia l'ha indicata il direttore per i mercati finanziari della Commissione Ue, Martin Merlin,

intervenuto ieri al convegno organizzato a Roma da Consob sulla Capital Markets Union. La consultazione

del Green Paper sul Mercato unico dei capitali (Cmu), dopo tre mesi di lavori tra politici e finanza, si è chiusa

nei giorni scorsi. A questo punto, dopo l'estate, tra settembre e ottobre, sarà messo a punto l'action plan del

progetto che punta a creare, entro il 2019, un'unione dei mercati dei capitali in

Europa per allentare la dipendenza delle imprese europee dalle banche e rendere il

mercato europeo attraente per gli investitori di tutto il mondo. Merlin ha fatto sapere

che ci saranno misure di breve termine, come per esempio quelle per far ripartire il

mercato delle securization; alle quali si aggiungeranno interventi di più lungo

respiro, che riguardano invece il diritto societario, la solvibilità o la tassazione, e che

richiedono necessariamente più tempo. «Non bisogna perdere l'occasione del

capital markets union», ha detto il presidente Consob, Giuseppe Vegas, che si è

detto favorevole a «una regolazione un po' più stretta e meno diversa da Paese a

Paese».

L'Italia, del resto, ha creduto nella Capital Markets Union fin dall'inizio. «L'ha sostenuta e promossa nel

semestre italiano», ha aggiunto Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del ministro dell'Economia.

Completata l'Unione bancaria «si deve passare alla Capital Markets Union perché in un momento di ripresa

economica che ci aspettiamo forte, non crediamo che tutta la domanda di credito possa essere assorbita dal

sistema bancario», ha detto, aggiungendo che il ministero dell'Economia sta per mettere a punto una griglia

che sarà utile a valutare», misura per misura, «tutte le novità messe in campo finora» per facilitare lo sviluppo

del mercato dei capitali previste dai provvedimenti Finanza per la Crescita. Dall'intervento che ha consentito

alle imprese di assicurazione di concedere credito direttamente, alla semplificazione della disciplina dei

minibond, «che restano però prerogativa di imprese del nord-est», ha sottolineato Pagani. Oltre alla

facilitazione messe in campo per la quotazione delle pmi. Il direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, ha

invece posto l'attenzione sul fatto che l'unione dei mercati di capitali dovrebbe essere «guidata dagli

operatori» e compito delle istituzioni deve essere quello «di rimuovere gli ostacoli». (riproduzione riservata)

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Pagina 2 di 2Il mercato unico Ue entra in scena - MilanoFinanza.it

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PRIMA PAGINA 19 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

TRA CONTI E DIRITTI

I vincoli Ue e il realismo necessario

Non è facile dire se con il decreto legge approvato ieri, che limita a poco più di 2 miliardi i rimborsi ai pensionati per effetto della sentenza della Corte costituzionale, il governo abbia fatto la cosa più equa. Sicuramente ha fatto l’unica possibile. Il provvedimento indica con chiarezza la strada imboccata. Che è quella più volte tracciata dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ovvero di “minimizzare” l’impatto sui conti pubblici della restituzione della mancata indicizzazione delle pensioni a circa 3,7 milioni di pensionati per il biennio 2012-13. È una scelta di realismo. Ed è una scelta che il governo non poteva non fare, e che tanto l’Europa quanto i mercati si aspettavano da noi. La soluzione individuata rafforza la volontà di rispettare gli impegni europei, anche su un tema scottante come quello delle pensioni. Ed è il segno della consapevolezza che ogni intervento sulla riforma Fornero e sul futuro assetto del sistema previdenziale (dei quali, per altro, proprio ieri ha parlato il presidente del consiglio Matteo Renzi) potrà essere strutturato solo nel rispetto dei vincoli e delle compatibilità dei conti pubblici. Che poi significa riconoscere che la riforma Monti-Fornero delle pensioni ha molte, forse troppe, rigidità che vanno auspicabilmente superate. Ma, al tempo stesso, che non è possibile ignorare che la riforma in vigore dal 2012 garantirà risparmi di spesa per 80 miliardi fino al 2021 (poi leggermente ridotti per effetto delle norme sugli esodati). Risparmi che è impensabile rimettere ora in discussione, se non valutando con attenzione l’impatto di eventuali future modifiche. Continua pagina 2 Salvatore Padula Continua da pagina 1 Quanto al decreto di ieri, non è difficile prevedere che non avrà vita facile. Già durante l’iter parlamentare e poi, forse soprattutto, a causa dei molti ricorsi che saranno presentati dai pensionati esclusi dai rimborsi. Sotto il profilo tecnico, alcuni aspetti andranno valutati con attenzione una volta che il testo sarà disponibile. Per esempio, non è chiarissimo come opererà la rivalutazione (ovvero, il recupero della “vecchia” inflazione) a partire dai prossimi mesi, pare settembre 2015. Dai sindacati arrivano pesanti critiche. Il che è comprensibile, anche perché – è giusto ricordarlo – proprio da loro era giunto nell’autunno del 2011 un monito al governo Monti sulla possibile incostituzionalità della norma blocca-indicizzazione. Forse meno comprensibili sono i giudizi negativi che giungono dagli esponenti di molte forze politiche, oggi all’opposizione, e che nel 2011 avevano votato la norma ora bocciata dalla Corte costituzionale, come ha ricordato lo stesso Renzi. La verità è che probabilmente ogni governo, di qualsiasi schieramento, che si fosse trovato oggi nella stessa situazione in cui si trova il governo Renzi, con un macigno da 18 miliardi euro pronto a schiantarsi sui conti pubblici, avrebbe risolto la questione nello stesso modo. Cioè con un intervento parziale, di compromesso, che si sforza di trovare una non facile equità. Ma che – almeno a una primissima osservazione – non sembra essere in contraddizione con lo spirito della sentenza della Consulta. La quale ha bocciato il blocco delle rivalutazioni degli assegni 2012-2013 avendo ben presente che a patirne gli effetti più pesanti sono state le pensioni più basse. Cioè quelle che oggi con il meccanismo dell’una tantum in arrivo (almeno non chiamiamolo bonus) - più elevata per gli assegni più bassi - trovano la forma più consistente di “riparazione”. L’altra obiezione della Corte era un richiamo troppo generico nel decreto salva-Italia alla «contingente situazione finanziaria» del Paese, tale da non giustificare un intervento così radicale come il blocco dell’indicizzazione. Vedremo se il decreto legge del governo dirà ora qualcosa su questo aspetto (magari anche in funzione dei nuovi possibili ricorsi). Ma le parole pronunciate ieri da Padoan sono state illuminanti: secondo il ministro, la reintroduzione integrale delle regole sulla rivalutazione in vigore prima del decreto Salva Italia «avrebbe avuto conseguenze disastrose sui conti pubblici, con un disavanzo che avrebbe raggiunto il 3,6% del Pil». Si sarebbe così

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I vincoli Ue e il realismo necessario

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Pensioni, rimborsi fino a 750 euro per 3,7 milioni, 650mila esclusi. Dal 2016 rivalutazioni più generose

Pensioni, rimborsi fino a 750 euro per 3,7 milioni, 650mila esclusi. Dal 2016 rivalutazioni più generose

Per le pensioni arriva l'«una tantum» progressiva

Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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aperta la strada a una procedura di infrazione contro l’Italia e si sarebbe bloccato quel margine di flessibilità che il nostro Paese si è conquistato in Europa in virtù dei progressi e degli impegni sulle riforme. Insomma, rimborsare tutti creerebbe problemi a tutti. Anche a chi chiede il “giusto” risarcimento per il danno subito.© RIPRODUZIONE RISERVATASalvatorePadula

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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Numero 097, pag. 4 del 20/05/2015

PRIMO PIANO

A maggio e giugno aumenterà gli acquisti in vista della scarsa liquidità estiva

La Bce schiaccia il pedale del QeL'annuncio del consigliere esecutivo Coeure fa correre Piazza Affari (+2,2%) e scendere l'euro a 1,114 dollari. In Eurolandia inflazione zero ad aprile. In Germania crolla l'indice di fiducia Zew

di Marcello Bussi

La Bce aumenterà gli acquisti di titoli a maggio e giugno per non rischiare di incappare in problemi di scarsità

di bond da acquistare durante l'estate, quando i volumi sui mercati saranno minori. Lo ha dichiarato lunedì

sera il consigliere esecutivo della Bce, Benoit Coeure, in un intervento a porte chiuse il cui testo è stato

distribuito ieri. Le sue parole sono state accolte con entusiasmo dai mercati: Piazza Affari ha chiuso in rialzo

del 2,2% come Francoforte, che ha ignorato il crollo a maggio dell'indice Zew sulla

fiducia degli investitori tedeschi, sceso a 41,9 punti dai 53,3 di aprile. Sempre grazie

alle parole di Coeure l'euro è addirittura sceso dell'1,6% a 1,1139 dollari. Lo spread

dell'Italia è invece rimasto sostanzialmente stabile a 121 punti base dai 122 della

vigilia, con un rendimento del Btp decennale all'1,80%.

A proposito delle forti vendite di bond sovrani e del conseguente incremento dei

rendimenti avvenuti nei giorni scorsi, Coeure ha affermato di non vederli come

«motivo di preoccupazione» dal momento che «finora riflette una correzione di mercato», sottolineando però

che «è la rapidità dell'inversione a preoccupare di più. Si è trattato di un altro incidente di estrema volatilità

sui mercati dei capitali mondiali, che stanno mostrando segni di liquidità ridotta». Il consigliere della Bce ha

però specificato che la decisione di aumentare gli acquisti a maggio e giugno non è

connessa a tali turbolenze. I mercati hanno accolto bene anche le affermazioni

durante un discorso a Parigi di Christian Noyer, governatore della Banca centrale

francese e membro della Bce, secondo il quale «il programma di acquisti continuerà

fino al termine di settembre 2016 e oltre se non vedremo un sostenuto aggiustamento

nel percorso dell'inflazione», che deve raggiungere il target fissato dall'istituto di

Francoforte poco sotto il 2%. A proposito di inflazione, l'indice relativo a Eurolandia ad

aprile è rimasto invariato su base annua, lontanissimo quindi dal target della Bce. Si

tratta comunque di una conferma della tendenza, registrata a partire dall'inizio dell'anno, verso la fine della

deflazione. I prezzi sono calati in Eurolandia dello 0,6% a gennaio, dello 0,3% a febbraio e dello 0,1% a

marzo. Lo 0% di aprile conferma il trend. Restano comunque ancora nove i Paesi di Eurolandia che hanno

registrato prezzi in discesa anche ad aprile, compresa l'Italia con un calo dello 0,1%. Il dato peggiore è stato

quello della Grecia (-1,8%). Su base mensile l'inflazione in Eurolandia è invece salita dello 0,2%. Riguardo

alle dichiarazioni di Coeure, si è però scatenata una polemica. L'esponente della Bce ha infatti parlato lunedì

sera a Londra nel corso di una cena a inviti al Berkeley Hotel, di fronte a 125 persone, tra cui molti manager

Pagina 1 di 2La Bce schiaccia il pedale del Qe - MilanoFinanza.it

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di banche e di hedge fund.

La Bce ha però reso note le dichiarazioni di Coeure solo ieri mattina, scatenando le proteste di chi non aveva

presenziato alla cena. «Se alcuni operatori di mercato sono stati informati in tempi diversi rispetto agli altri, si

è trattato di un comportamento malaccorto», ha osservato Frances Hudson, strategist di Standard Life

Investments, «sarebbe meglio sincronizzare gli annunci in modo che tutti possano ricevere le stesse

informazioni nello stesso momento». (riproduzione riservata)

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MF

Numero 097, pag. 5 del 20/05/2015

PRIMO PIANO

Merkel e Hollande: bisogna trovare un accordo con Atene entro la fine del mese

Grecia, negoziati troppo lentiLagarde (Fmi): qualche progresso, ma la situazione resta difficile. Tra i punti di contrasto resta l'aumento dell'Iva. Molti parlamentari tedeschi non vogliono che Berlino ceda di un millimetro

di Marcello Bussi

Nella trattativa con la Grecia «bisogna accelerare». Lo hanno dichiarato ieri a Berlino il presidente francese,

François Hollande, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, sottolineando che entro la «fine di maggio» deve

essere trovata una soluzione. «Vogliamo che la Grecia resti nell'euro», ha quindi proclamato Hollande. I due

leader incontreranno domani e dopo a Riga il premier greco Alexis Tsipras in

occasione della riunione dei capi di Stato e di governo Ue e dei Paesi del partenariato

orientale (Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina). Mentre la

direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha

annunciato che sono stati fatti «alcuni progressi nelle negoziazioni con le autorità

greche, ma la situazione resta chiaramente difficile». Tra i punti di maggior contrasto

c'è l'aumento dell'Iva. La nuova proposta greca prevede un'aliquota al 18% e verrebbe

applicata a quasi tutti i servizi e prodotti a eccezione di alimentari, medicinali e libri,

che l'avrebbero al 9,5%. In tutti i casi ci sarebbe uno sconto di tre punti percentuali per gli acquisti con carta

di credito. Secondo Wolfgang Schaeuble, i negoziati con la Grecia stanno procedendo troppo lentamente. Lo

hanno rivelato due partecipanti a un incontro che il ministro delle Finanze tedesco ha tenuto con i

parlamentari della Cdu, il partito della Merkel. Secondo queste fonti, Schaeuble avrebbe spiegato che la

richiesta, rimasta ancora senza adeguate risposte, sarebbe

stata quella di spingere Atene a fare alcuni progressi in

alcune sub-aree. Inoltre il ministro ha precisato che non si sta

lavorando a un piano B ma l'intenzione è quella di portare

Atene a impegnarsi pienamente nella realizzazione

dell'attuale programma di aiuti. Un terzo partecipante alla

riunione con Schaeuble ha poi rivelato che i parlamentari

conservatori tedeschi hanno espresso dubbi circa l'intenzione

della Grecia di procedere alle riforme. Inoltre questa terza

fonte ha riferito una frase di Schaeuble: «Sappiamo che larga parte della popolazione greca sta soffrendo ma

il governo greco non vede ciò che è necessario fare per mettere fine a queste sofferenze». Molti parlamentari

della Cdu hanno esortato Schaeuble a non cedere di un millimetro nei negoziati. Segnali di distensione sono

intanto arrivati dalla Bce e dal Fondo salva Stati permanente (Efsf) che, secondo il quotidiano tedesco

Handelsblatt, hanno rassicurato sui fondi Ela alla Grecia. I due istituti non taglierebbero immediatamente la

liquidità di emergenza Ela agli istituti di credito ellenici nel caso in cui Atene non riuscisse a pagare il Fmi.

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Infine, secondo la Confederazione del commercio e delle imprese elleniche (Esee), «lo stallo sui negoziati tra

Atene e creditori sta costando all'economia greca 22,3 milioni al giorno». L'Eese ha sottolineato che negli

ultimi quattro mesi hanno chiuso in media ogni giorno 59 piccole imprese con la perdita di 613 posti di lavoro

al giorno, mentre l'economia greca avrebbe bisogno di 25 miliardi solo per recuperare le perdite subite dal

giorno in cui sono state indette le elezioni a dicembre. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 097, pag. 7 del 20/05/2015

DENARO & POLITICA

Bruxelles non modificherà il giudizio sui conti italiani dopo il decreto poletti

La Ue promuove il dl pensioniLa Commissione comunque per il via libera formale aspetta di conoscere il testo finale. Intanto in una audizione alla Camera il presidente dell'Inps Boeri ha difeso la soluzione scelta dal governo

di Mauro Romano

Via libera dell'Europa al decreto Poletti. Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha definito il

provvedimento varato lunedì scorso dal Consiglio dei ministri per porre rimedio alla bocciatura, da parte della

Corte Costituzionale, della mancata indicizzazione delle pensioni sopra i 1.400 euro nel 2012-2013. Un

decreto che riconosce mini-rimborsi (tra i 750 e i 280 euro) per quanto perso finora,

ma solo per gli importi fino ai 3 mila euro lordi, oltre i quali non si avrà diritto a

nulla. Mentre rinvia al 1° gennaio 2016 l'adeguamento degli assegni, che saranno

rivalutati per cifre tra i 5 e i 15 euro mensili, sempre in modo progressivo e sempre

con l'esclusione delle pensioni sopra i 3 mila euro lordi.

Una soluzione che consentirà al governo di sborsare per il 2015 solo 2,18 miliardi,

e di mantenere ferme le previsioni di deficit/pil (2,6%) e debito già comunicate alla

Ue. Non a caso la risposta dell'Europa non si è fatta attendere, con la

Commissione che ieri in una nota ha detto di accogliere «con favore l'impegno del

Governo di mantenere i target di bilancio inseriti nella legge di stabilità 2015», aggiungendo che lascerà

quindi «invariato il giudizio sul programma di stabilità, basato sulle stime economiche di primavera». Tuttavia,

inevitabilmente visto che il decreto non è stato ancora pubblicato, «una valutazione finale dell'impatto sul

bilancio del decreto legge, in vista degli impegni italiani sul Patto di stabilità, sarà fatta quando avremo il testo

ufficiale», conclude Bruxelles. E una sostanziale promozione del decreto è arrivata anche dall'Inps, il cui

presidente Tito Boeri, ieri era in audizione alla Camera.

Se il Governo fosse intervenuto per gli interi 18 miliardi di euro sottesi al pronunciamento della Consulta, ha

detto Boeri, «è chiaro che oggi la possibilità di adottare misure di contrasto alla povertà sarebbe stata molto

più difficile». Povertà, che denunciato il numero uno dell'Inps, è cresciuta tra le famiglie dal 18 al 25% a

causa della crisi. Anche per questo si vorrebbe intervenire in fretta almeno per «i 55-65enni che se perdono il

lavoro oggi non lo ritrovano».

Sul tema una proposta organica e autofinanziata, da mettere «in pratica immediatamente con le sole forze e

le energie di cui l'istituto dispone», dovrebbe essere presentata già entro il prossimo giugno. Tornando ai

rimborsi, come previsto dal decreto Poletti, questi dovrebbero essere erogati dall'Inps dal primo agosto, prima

data utile per l'istituto, anche se nel bilancio dell'ente «non ci sono a oggi 2 miliardi disponibili», ha aggiunto il

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direttore generale Massimo Cioffi. Ora si tratterà di capire, ha precisato Cioffi, «come questa partita deve

essere finanziata. Ma finanziare una decisione che non stava nel bilancio è un tema che riguarda il ministero

dell'economia. Infine ieri sul tema pensioni è tornato anche Renzi, che difeso la scelta del governo e ribadito

l'impegno a dare al sistema una maggiore flessibilità in uscita, possibilmente già con la prossima legge di

Stabilità. (riproduzione riservata)

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PRIMA PAGINA 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

FUTURO EUROPEO

Il prezzo politico da Grexit ai rifugiati

Dalla Grecia all’immigrazione potrebbe finire con uno zero a zero la partita del governo europeo delle emergenze: ogni giorno di più infatti si gioca un match collettivo dove il prezzo politico che ogni Governo è chiamato a pagare, per concludere non una buona intesa ma una semplice intesa, si dimostra proibitivo al punto da convincerlo, se appena può, a preferire il non- accordo a un accordo- boomerang sul piano nazional-elettorale interno. Ed è così che l’Europa barcolla, sempre più incerta e confusa sulle sue reali ambizioni e sul suo futuro prossimo. La crisi greca non è di quelle che si possono seguire stando alla finestra o affrontandola alla leggera: ne andrebbe dell’irreversibilità dell’euro, della sua credibilità a lungo termine. Metterci le mani, per evitare il default della moneta unica dopo quello di Atene, può anche comportare però il rischio di bruciarsele. Ne sa qualcosa Angela Merkel. Convinta anche per ragioni geopolitiche che la Grecia vada salvata, ora deve domare la rivolta di circa un terzo del suo partito contro un eventuale accordo diverso dalla fotocopia a suo tempo sottoscritta da Atene per beneficiare degli aiuti europei. Come sempre sarà il Bundestag a mettere il sigillo su qualsiasi nuovo patto con i greci: troppe defezioni dalle file della Cdu-Csu potrebbero dunque rivelarsi molto pericolose per la cancelliera (anche se finora se l’è sempre cavata bene). Dalla parte opposta della barricata la stessa sorte tocca ad Alexis Tzipras. Per la prima volta da quando è andato al potere a fine gennaio, in queste ore deve fare i conti con una violenta fronda dentro Syriza, dove la sinistra più estrema predica la rottura con i creditori internazionali e con l’euro, per salvaguardare l’identità del partito. Mentre i sondaggi segnalano un netto calo dei consensi al premier ellenico che aveva incautamente promesso la fine dell’austerità. E che invece alla fine dovrà accettarla per evitare il fallimento.Un accordo va trovato entro fine mese, se ne parlerà domani anche in margine al vertice Ue di Riga, hanno avvertito ieri all’unisono Merkel e François Hollande. Continua pagina 24 Adriana Cerretelli Continua da pagina 1 Il tempo a disposizione è agli sgoccioli, le casse di Atene sono vuote. I ricatti contrapposti lanciati da sistemi democratici e Governi sotto stress, alla ricerca di un’intesa necessaria ma riluttante, riducono tutti i margini di manovra negoziale e, soprattutto, la possibilità che alla fine si arrivi a un buon accordo, equilibrato e sostenibile. La stessa logica paralizzante, che di fatto ruota intorno alla politica sterile dell'interdizione reciproca, anima in queste stesse ore anche il tentativo di costruire per gradi una politica comune di immigrazione, cominciando dalla gestione condivisa dell'emergenza rifugiati. Si sapeva che il sistema delle quote, proposto da Bruxelles, incontrava la stentorea opposizione di Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, dei tre baltici, della Polonia e di tutti i paesi dell’Est esclusi forse Bulgaria e Romania. Si credeva di sapere però che i tre Grandi, Germania, Francia e Italia, fossero comunque a favore. Dato essenziale, visto che l’entrata in vigore richiede una decisione a maggioranza qualificata: della popolazione Ue e di 14 Paesi su 28. Hollande però si è sfilato con un no inequivocabile. «Ci sono persone che hanno diritto e altre che non hanno diritto all’asilo. Per questo rifiutiamo il concetto di quota. Ma se ci sono profughi diretti sempre negli stessi Paesi, come in Germania, Francia e Svezia, anche gli altri Paesi devono fare la loro parte. È questo che chiamiamo distribuzione». La Germania non ha fatto marcia indietro ma chiede un momento di «riflessione e approfondimento». Dietro il voltafaccia del presidente francese ancora una volta ci sono le ragioni delle dinamiche democratiche: il successo del Front Nazional di Marine Le Pen e l’inattesa rimonta di Nicolas Sarkozy, antagonista molto ostico. Senza la Francia e salvo suoi

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ripensamenti, sarà difficile arrivare alla necessaria maggioranza della popolazione Ue. Come dire, presto le quote potrebbero finire in un cassetto. La morale è scontata: crisi ed emergenze sono state, fino al crollo di Lehman Brothers, le molle decisive per far compiere all’Europa grandi passi avanti. Ormai sembra accadere il contrario, perché ai tradizionali conflitti di interessi socio- economici si aggiungono, con la crescente interdipendenza tra Paesi, anche quelli politici, democratici, culturali ed elettorali. Governare l’Europa, insomma, diventa tanto difficile che la tentazione rinunciataria troppo spesso diventa irresistibile. Come i riflessi nazionali. Bisognerebbe armonizzare non solo i conti pubblici ma i tempi elettorali delle democrazie per fermare il declino. Ma questa oggi è pura fantapolitica.© RIPRODUZIONE RISERVATAAdriana Cerretelli

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PRIMA PAGINA 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

MERCATI E RIPRESA

La pressione speculativa sull’argine della Bce

La trasparenza è certamente tra le innovazioni più importanti introdotte nella Bce da

Mario Draghi. Oggi, grazie alla pubblicazione delle minute, le riunioni tra i banchieri

del Comitato esecutivo non sono più un mistero o il privilegio di pochi: come avviene

negli Usa, anche nell’Eurozona il mercato ha piena consapevolezza non solo delle

diverse posizioni sui tassi, ma soprattutto dei timori e delle attese dei grandi banchieri

centrali sugli effetti e sui rischi delle manovre «non convenzionali» messe in atto dalla

Bce per arginare la crisi. E con la trasparenza negli atti ufficiali, anche il più

tradizionale confronto dialettico ha assunto un’importanza senza precedenti: ben

prima del Qe, è stata la promessa di usare il bazooka che ha permesso a Draghi di

bloccare gli attacchi speculativi contro Italia e Spagna e di far scendere i tassi dei titoli

di Stato fin sotto lo zero in gran parte dell’Eurozona. Prima ancora dei 1.100 miliardi

di liquidità garantiti ai mercati con il Qe, è stata «Whatever it takes» l’arma con cui

sono state arginate le paure di un tracollo sistemico dell’Eurozona e con cui è stato

possibile, di fatto, tenere aperto tanto a lungo il negoziato sul salvataggio della Grecia.

In un mercato circondato da incertezze, instabile nell’umore e soprattutto

pericolosamente incline a saltare dalle azioni ai tassi zero, dalle valute ai junk bond, le

risposte della Bce alle sfide e alle incognite della crisi sembrano essere l’unica

garanzia di stabilità finanziaria e politica dell’Unione europea. In attesa che Bruxelles

esca dal tunnel, adeguando trattati e governance europea al nuovo scenario creato

dalla crisi, il ruolo-guida della Bce è certamente rassicurante. Lo è certamente per i

mercati, che come già avvenuto nel gennaio scorso all’annuncio del Qe, hanno accolto

ieri con «esuberanza irrazionale» le dichiarazioni (apparentemente) rassicuranti di

Benoit Coeuré sugli acquisti di bond sovrani di qui ai prossimi mesi. Coeuré, che

siede con Draghi nel board esecutivo della Bce, non ha parlato di un aumento dei

fondi a disposizione per il Qe, ma solo di un incremento delle operazioni sul mercato

di qui a fine luglio in vista di una contrazione degli acquisti nei mesi estivi.

Continua pagina 5 Alessandro Plateroti

Continua da pagina 1 Tanto è bastato per dimenticarsi della Grecia. Gli indici delle

Borse europee sono volati al rialzo - tirandosi dietro persino il martoriato listino di

Atene - i tassi dei Bund hanno ricominciato a scendere e con questi i rendimenti dei

titoli di Stato di Italia, Spagna e Portogallo. L’euro, da parte sua, ha perso in poche ore

l’1% sul dollaro. Tutto bene, dunque? La risposta è: niente affatto. Per più di un

motivo.

Il primo riguarda la logica dell’annuncio di Coeuré e la conseguente reazione del

mercato. Dal testo integrale del discorso del banchiere europeo, diffuso ieri mattina

dalla Bce ma disponibile già dalla sera precedente, emerge infatti la prima ammissione

esplicita da parte di membro influente di Eurotower sui rischi concreti di effetti

collaterali destabilizzanti sul sistema finanziario legati all’enorme liquidità erogata

dalla Bce. Draghi si era avvicinato a questa tematica la settimana scorsa, mettendo in

guardia classe politica e banchieri sulle incognite create dal Qe e dai tassi a zero, ma

aveva escluso categoricamente l’esistenza di bolle speculative pronte a esplodere nelle

Borse e nei bond. Coeuré si è spinto oltre. Pur motivando l’aumento degli acquisti di

titoli di Stato con una possibile contrazione della liquidità nei mesi estivi, sembrano

essere in realtà le dinamiche dei mercati nell’ultimo periodo a preoccupare seriamente

l’autorevole banchiere: dopo un anno di graduale caduta dei tassi e dell’euro, in un

solo mese sono stati bruciati tutti i guadagni generati dal Qe. Tanto sui bond quanto in

parte sulla Borsa. «Non sono preoccupato dal forte aumento dei tassi Bund - ha detto

Coeuré - ma dalla velocità con cui ciò è avvenuto». Tradotto in parole semplici,

significa più o meno questo: la caduta dei tassi sotto lo zero ha creato effettivamente

una bolla speculativa sui Bund - titolo-guida del debito europeo - che ha poi messo in

moto una caccia ai rendimenti sui listini azionari, con il risultato di mettere entrambi i

mercati in mano alla speculazione e alla volatilità. Come negare, d’altronde,

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l’evidenza?

Il 17 aprile i tassi del Bund a 10 anni viaggiavano allo 0,049%: dieci giorni fa, lo

stesso titolo aveva un rendimento dello 0,7 per cento. In termini percentuali, i tassi

bund sono saliti in qualche settimana del 1.328%, un balzo senza precedenti per entità

e rapidità. Sarà anche vero che contro il Bund hanno giocato alcuni dati rassicuranti

sulla ripresa dell’economia europea, ma viste le differenze di passo che dividono

ancora l’Europa del Nord da quella del Sud, la spiegazione non basta. In realtà, a far

esplodere la volatilità del mercato finanziario e il rialzo dei tassi è stato ben altro: il

timore di un taglio della liquidità dopo l’estate o in autunno, quando la ripresa

economica europea potrebbe manifestare maggiore vitalità o l’inflazione ricominciare

a salire. L’annuncio di maggiori acquisti di bond in maggio e in giugno, dunque,

appare oggi più un segnale di accondiscendenza alla pressione dei mercati che una

scelta tecnica legata alle dinamiche estive. Se è effettivamente così, il rischio che corre

la Bce è quello di alimentare il circolo vizioso che si è creato negli ultimi mesi: l’uso

del denaro del Qe a fini speculativi e non per il rilancio dell’economia europea. In

questo senso, l’impennata dei tassi Bund è stata un assaggio di che cosa potrebbe

accadere realmente con l’esplosione della bolla speculativa sui titoli di Stato. E

Coeuré non ha fatto altro che togliere pressione.

Poichè ci muoviamo su terreni sconosciuti, è difficile prevedere se e quando si

ripresenterà una situazione come quella vista nell’ultimo mese. Ciò che invece è

chiaro, è il danno che il vuoto della politica europea rischia di arrecare alla forza e alla

credibilità della Bce. Qui non si tratta più di trovare una soluzione per la Grecia, ma di

affrontare il vero nodo che rende fragile il sistema finanziario europeo: l’assenza di un

mercato unico dei capitali con cui gettare le basi di una crescita più omogenea tra aree

forti e aree deboli d’Europa. Contro la speculazione la liquidità non basta: serve la

crescita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Alessandro

Plateroti

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NORME E TRIBUTI 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Nuovo regolamento. Restyling sulle insolvenze quando ci sono sedi, beni o creditori in un altro Stato

Ue, una chance prima del default

I Paesi devono prevedere una fase per tentare il risanamento

L’Europarlamento sta varando (oggi è previsto il voto finale) il restyling del

regolamento 1346/2000 relativo alle procedure su insolvenze transfrontaliere che

hanno effetti in uno Stato membro diverso da quello del debitore. Iniziativa che ha

l’obiettivo di concedere una seconda chance agli imprenditori provati dalla crisi

economica, assicurando al tempo stesso la tutela dei creditori.

La linea scelta è stata quella di modernizzare il quadro giuridico con un sistema

incentrato sulla ristrutturazione e non sulla liquidazione e fallimento. Tra le novità più

significative l’ampliamento dell’ambito di applicazione alle procedure che

promuovono il salvataggio delle società economicamente valide, ai procedimenti di

ristrutturazione del debitore quando sussiste solo una probabilità di insolvenza, a

quelli in cui il debitore mantiene ancora il controllo dei suoi beni, di remissione del

debito e che autorizzano alla sospensione temporanea delle azioni di esecuzione

promosse dai singoli creditori.

In primo piano, evitare il trasferimento dei beni del debitore in un altro Stato a danno

dei creditori e il principio dell’universalità della procedura, con il riconoscimento

automatico e immediato dei provvedimenti. Il Consiglio Ue aveva già adottato, il 13

marzo scorso, la posizione n. 7/2015, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale Ue del 28

aprile, in vista dell’adozione del nuovo regolamento. Il regolamento, che contiene

regole sulla giurisdizione, sul riconoscimento delle decisioni e sul diritto applicabile, è

una delle misure previste nel Programma della Commissione Ue «Giustizia per la

crescita» per favorire il risanamento e la ripresa. D’altra parte, che si tratti di una

necessità lo dicono i numeri. Nella Ue, a seguito della crisi, solo la metà delle imprese

sopravvive oltre i 5 anni dall’inizio dell’attività. Non solo. Come sottolineato dal

Commissario Ue alla giustizia, Vera Jourová, circa 200mila aziende hanno dichiarato

fallimento, 600 al giorno e una perdita di 1,7 milioni posti di lavoro l’anno. Senza

dimenticare che un quarto delle procedure d’insolvenza hanno carattere

transfrontaliero.

Proprio sulla base di questa situazione, il nuovo regolamento, costituito da 92 articoli

e 3 allegati, facendo propri i principi affermati nel corso degli anni dalla Corte di

giustizia Ue, dà spazio all’insolvenza preventiva e al registro interconnesso sulle

insolvenze. Il testo si applicherà anche ai procedimenti ibridi, inclusi gli accordi di

ristrutturazione del debito.

Sul fronte della giurisdizione, per facilitare l’individuazione del giudice competente

tra i diversi Stati membri ed evitare sovrapposizioni di procedimenti, con giudicati

confliggenti, è stata chiarita la nozione di centro degli interessi principale del debitore

(cosiddetto Comi). Resta fermo, così, come titolo principale attributivo della

giurisdizione, il centro degli interessi principali del debitore, ma il regolamento

chiarisce che tale luogo è quello in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi

in modo abituale e riconoscibile dai terzi, recependo così il contenuto della sentenza

Eurofood. Per le società e le persone giuridiche si presume «che il centro degli

interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede legale».

Se, però, la sede legale è stata spostata in un altro Stato membro entro il periodo di tre

mesi precedente la domanda di apertura della procedura d’insolvenza, la presunzione

cade. Per le persone fisiche, che esercitano un’attività imprenditoriale o professionale

indipendente, il centro degli interessi principali è il luogo in cui si trova la sede

principale di attività.

L’apertura di una procedura d’insolvenza in uno Stato membro impone il

riconoscimento nello spazio Ue. Nel segno della gestione efficiente della massa

fallimentare e per favorire il coordinamento tra procedura principale e secondaria,

sono fissate due situazioni specifiche che consentiranno al giudice adito per l’apertura

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Ue, una chance prima del default

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di una procedura secondaria di insolvenza, su richiesta dell’amministratore della

procedura principale di insolvenza, di rinviare o rifiutare l’apertura della procedura.

Nuove regole anche per le procedure d’insolvenza di società parte di un gruppo. Il

nuovo testo supera, poi, l’anello debole del vecchio regolamento, favorendo la

trasparenza e la maggiore pubblicità. In questa direzione, gli Stati saranno obbligati a

istituire registri fallimentari interconnessi e accessibili gratuitamente dagli operatori

dei diversi Stati membri utilizzando il sito

https://e-justice.europa.eu/content_interconnected_insolvency_registers_search-246-

en.do, già operativo per alcuni Paesi. Nessun cambiamento, invece, per le regole di

individuazione della legge applicabile, con la conferma dell’articolo 4 del regolamento

n. 1346/2000 e, quindi, dell’applicazione della lex concursus. E qui riappare il nodo

del diritto sostanziale con le legislazioni di numerosi Stati che ancora favoriscono la

liquidazione piuttosto che la ristrutturazione. Un dato negativo che, come sottolineato

dalla Commissione Ue nel documento “Costruire un’Unione dei mercati e dei capitali”

costituisce un ostacolo al mercato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pagina a cura di

Marina Castellaneta

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 098, pag. 2 del 21/05/2015

PRIMO PIANO

Un portavoce di syriza: il 5 giugno atene non rimborserà il fmi

Schaüble: possibile il default greco

di Marcello Bussi

Wolfgang Schaüble non esclude un default della Grecia. Lo ha dichiarato ieri in un'intervista al Wall Street

Journal. Alla domanda se fosse da escludere categoricamente, come fece a fine 2012, che Atene sarebbe

finita in bancarotta, il ministro delle Finanze tedesco ha risposto così: «Dovrei pensarci molto bene prima di

ripeterlo nella situazione attuale. Le decisioni democratiche e sovrane del popolo greco ci hanno messo in

una situazione molto diversa» rispetto a quella del 2012. Insomma, l'ascesa al potere

di Syriza e del premier Alexis Tsipras hanno cambiato le carte in tavola. Schaüble è un

facile profeta, visto che le sue parole sono state pubblicate poche ore dopo le

dichiarazioni di Nikos Filis, portavoce del gruppo parlamentare di Syriza, secondo il

quale Atene, senza un accordo con i creditori, non sarà in grado di effettuare il

pagamento di 300 milioni di dollari al Fmi sul debito in scadenza il prossimo 5 giugno.

Dopo aver ricordato che il rimborso al Fmi di 750 milioni di dollari della settimana

scorsa è stato possibile solo utilizzando i fondi di riserve Sdr (diritti speciali di prelievo)

detenute presso lo stesso istituto di Washington, Filis ha detto che «Atene non riceve

finanziamenti da un anno e adesso ha finito i soldi per i pagamenti ai creditori esteri». Il governo greco, ha

spiegato il portavoce, intende tenersi i soldi per pagare le pensioni e gli stipendi al pubblico impiego. Già da

qualche giorno si vociferava che Atene non ha più soldi per rispettare la scadenza del 5 giugno, ma è la

prima volta che la cosa viene detta apertamente da un esponente del partito di governo.

Sta di fatto che le borse sono rimaste indifferenti e Piazza Affari ha chiuso in rialzo dello 0,2%. Non le ha

scosse nemmeno l'allarme di Moody's, secondo cui c'è «un'elevata probabilità di imposizione di controlli sui

capitali e di congelamento dei depositi nel sistema bancario ellenico». Forse le borse contano sul fatto che

all'ultimo secondo verrà trovato un accordo. Fonti di Bruxelles hanno fatto sapere che sono stati fatti

progressi nei negoziati, in particolare sui punti controversi che riguardano le riforme dell'Iva, delle pensioni e

del mercato del lavoro. Le proposte su questi tre temi presentate da Atene, e in particolare l'ipotesi di una

semplificazione del sistema dell'Iva, hanno detto le fonti, sarebbero «utili per la discussione e molto

concrete». Ma il commissario Ue agli Affari Economici Pierre Moscovici ha avvertito che «il giorno in cui

qualcuno dovesse uscire dall'euro non ci sarebbe più irreversibilità». Quindi la Grexit «sarebbe

estremamente pericolosa per l'euro, per la sua solidità, per le sue fondamenta». (riproduzione riservata)

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PRIMA PAGINA 21 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL VERTICE DI RIGA

Previdenza e lavoro i nodi aperti tra Grecia e

Ue

A pochi giorni dall’esaurimento dei margini finanziari di Atene, il clima che circonda le trattative a Bruxelles

rimane di grande frustrazione. In privato i negoziatori confessano che il solo vincolo di razionalità nella trattativa è

la disperazione. A Bruxelles si immagina cioè che il governo greco all’ultimo momento, di fronte a esiti disordinati

e potenzialmente disastrosi per i cittadini, «si metta seriamente a negoziare», come osserva con severità uno sherpa

europeo. L’incertezza è tale che i capi di governo europei, riuniti oggi a Riga, preferirebbero restare a distanza dalla

questione, lasciando la trattativa ai ministri finanziari e a Bruxelles, salvo imprevedibili progressi.

Dietro le quinte infatti i toni sono tutt’altro che tranquilli. Secondo un partecipante alle trattative dell’Eurogruppo,

per una rara volta tutti i ministri delle Finanze dell’area euro sarebbero unanimi nel sentirsi «presi in giro» da

Atene. Wolfgang Schaeuble, che ieri ha detto di non poter più escludere il default greco, non ha la posizione più

dura. Ancora più severi sono i ministri dei Paesi baltici, uno dei quali ha accusato i greci di esercitare un “ricatto”,

e di Portogallo, Slovenia e Francia. L’Eurogruppo può offrire al governo di Atene la disponibilità immediata di

fondi europei per nove miliardi di euro bloccati da febbraio nel Fondo ellenico di stabilità finanziaria, ma dopo

quattro mesi di negoziati la delegazione greca non avrebbe ancora presentato «una proposta coerente né dal punto

di vista economico né da quello politico». Solo pochi giorni fa, un rappresentante del Brussels’ Group (l’ex Troika)

aveva confidato di non aver ancora capito quali fossero le concrete richieste del ministro greco Yanis Varoufakis:

«In sede di trattativa è gentile ma molto vago, poi esce dalla stanza e spara a zero sugli accordi». Mesi di ambiguità

negoziali, di registrazioni nascoste o di finti piani fatti circolare ad hoc, hanno reso gli interlocutori di Atene

disincantati e intransigenti. Anche se ieri la Bce si è mantenuta neutrale nel finanziamento delle banche greche, i

diversi vincoli istituzionali di Bce e Fmi, nonché i vincoli politici dei ministri dell’Eurogruppo, giocano contro un

ammorbidimento.

Continua pagina 9 Carlo Bastasin

Continua da pagina 1 Da ieri tuttavia, anche il governo greco ammette pubblicamente che il tempo a disposizione è

finito e che il 5 giugno non avrà le risorse per pagare il debito verso il Fondo monetario. Solo ora, dopo aver

escluso di poter negoziare sulle politiche sociali, Tsipras comincia a confrontarsi con le richieste delle istituzioni

europee. La prima riguarda la necessità di assicurare la sostenibilità dei sistemi pensionistici che in Grecia

assorbono il 16% del Pil contro l’11-12% della media euro. Il leader di Syriza intende al contrario revocare il taglio

delle tredicesime ai pensionati introdotto dal precedente governo, nonché annullare la clausola del pareggio di

bilancio per gli schemi pensionistici che in passato avevano usato generosi sussidi pubblici. Un accordo è forse

possibile se saranno chiuse le finestre di prepensionamento e alzata l’età effettiva di fine lavoro.

La trattativa invece sarebbe ferma in materia di lavoro. Tsipras vuole difendere il salario minimo a 751 euro e

reintrodurre i contratti collettivi che proteggono i lavoratori da licenziamenti non individuali. I partner europei

chiedono invece di mantenere le riforme del precedente governo. Ma a questo riguardo, Tsipras non ha fatto

aperture. La retorica generale del governo è di cancellare le sofferenze inflitte dall’eccesso di austerità fiscale

imposto dalla Troika. La risposta di Bruxelles è di non voler interferire nelle scelte di politica sociale fin tanto che

esse sono coerenti con l’equilibrio di bilancio. In particolare i negoziatori europei, su insistenza della

Commissione, hanno accettato di ridurre sotto al 3% il target del surplus primario per il 2016 e il 2017. La riforma

delle pensioni, che può cambiare radicalmente il profilo del debito greco, è però condizione indispensabile per una

minore severità di bilancio. Se l’intervento sulle pensioni fose convincente, i creditori sarebbero disposti ad

accordarsi senza contrastare l’aumento del salario minimo.

Anche se un accordo non è per ora in vista, c’è chi lavora alle bozze del negoziato. Ma si è dovuto fermare davanti

al nodo del rapporto tra deficit e crescita. Atene richiede una formulazione che consenta al governo di comunicare

un’inversione di rotta nella politica europea. Atene chiede che la crescita sia la variabile indipendente e che il

deficit sia residuale, ma dopo le prime misure unilaterali di spesa del nuovo governo, i creditori hanno ragione di

temere che il loro via libera venga interpretato come un ritorno alla spesa pubblica improduttiva a ruota libera dei

decenni passati.

L’unico avanzamento nella trattativa sembra l’accantontonamento della richiesta di un taglio preventivo del debito.

Ad Atene però Tsipras ne parla ancora e circolano presunte proposte di ristrutturazione del debito che non trovano

riscontro a Bruxelles. L’unica proposta concreta (anticipata nel mese scorso da questo giornale) approderà sul

tavolo del negoziato in autunno, insieme al terzo programma di assistenza. Naturalmente se non sarà già troppo

tardi.

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Carlo

Bastasin

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PRIMO PIANO 21 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’ALLARME DI

MOODY’S Prospettiva negativa per il sistema bancario ellenico, alta la probabilità di controlli sui capitali o congelamento dei depositi

Grecia, l’Europa stringe il cerchio

Schäuble: il default di Atene non si può più escludere - Eurotower presta 80,2

miliardi

Il tempo stringe e i toni non si ammorbidiscono, anzi. Prima è stato il Governo greco a minacciare di non pagare la tranche di giugno all’Fmi se non riceverà gli aiuti. Poi è stato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, sostenitore della linea dura nei confronti di Atene, a rincarare la dose. «Dovrei pensarci molto seriamente – ha detto in un’intervista al “Wall Street Journal” e a “Les Echos” – prima di ripetere quello che dissi nel 2012, che la Grecia non avrebbe dichiarato insolvenza». Secondo Schäuble «le decisioni sovrane e democratiche del popolo greco ci hanno messo in una situazione molto difficile», in riferimento al rifiuto da parte del Governo eletto a gennaio di accettare gli accordi con i creditori presi da quello precedente.La Banca centrale europea, da parte sua, stavolta ha scelto il contagocce. Al consiglio direttivo di ieri, la Bce ha autorizzato un aumento della liquidità di emergenza fornita dalla Banca centrale greca alle banche del Paese attraverso lo sportello Ela di soli 200 milioni di euro, secondo fonti monetarie. Il tetto, che viene rivisto dall’istituto di Francoforte settimanalmente era a 80 miliardi di euro la scorsa settimana. Anche se all’interno del consiglio della Bce cresce il malumore per la vicenda greca, ancora una volta si è scelto di non interferire nel negoziato fra Atene e i suoi creditori (di cui fa parte la Bce stessa) che avrebbe fatto qualche modesto progresso negli ultimi giorni («Ci si sta muovendo a un ritmo che mostra che è possibile un accordo», ha dichiarato ieri il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici).L’importo molto limitato dell’aumento concesso questa settimana dalla Bce appare come un’altra indicazione che Francoforte non intende continuare indefinitamente né illimitatamente nel consentire l’Ela; secondo indiscrezioni circolate ieri la Banca centrale greca aveva chiesto un aumento di 1,1 miliardi di euro. Il consiglio della Bce, come aveva fatto nelle scorse settimane, ha anche evitato di rendere più severo lo scarto di garanzia, o haircut, sul collaterale prestato dalle banche greche per ottenere la liquidità. Una decisione che secondo alcuni componenti del consiglio avrebbe dovuto essere presa già da tempo, ma che richiede una maggioranza dei due terzi e soprattutto potrebbe far precipitare la crisi a negoziato ancora aperto.Non va dimenticato che la prima condizione per la concessione dell’Ela è che le banche siano solvibili. Questo è ora messo in discussione da più parti. Una nota diffusa ieri dall’agenzia di rating Moody’s assegna una prospettiva “negativa” per il sistema bancario ellenico, sottolineando il netto peggioramento della raccolta e della liquidità degli istituti di credito greci. Moody’s sostiene che c’è un’alta probabilità che la Grecia debba ricorrere a controlli sui capitali o a qualche forma di congelamento dei depositi. La crescita dell’Ela nelle ultime settimane è stata determinata proprio dal costante calo dei depositi bancari, anche se non massiccio come nel periodo immediatamente successivo alle elezioni del nuovo Governo nel gennaio scorso. Ieri l’aumento minimo dell’Ela sarebbe stato giustificato anche dal fatto che il calo dei depositi nell’ultima settimana si è stabilizzato.Sul fronte politico, la doccia gelata del pomeriggio da Berlino era stata preceduta da una mattinata tutt’altro che tranquilla ad Atene. L’euro aveva aperto in calo rispetto al dollaro dopo che Nikos Filis, il portavoce del gruppo parlamentare di Syriza, aveva detto alla tv Antenna 1 che la Grecia non farà il rimborso all’Fmi che scade il 5 giugno se non ci fosse nessun accordo con i suoi creditori per allora. Questa è la data della prossima tranche da 310 milioni di euro di pagamento all’ Fmi - parte di 1,5 miliardi di euro che la Grecia deve al Fondo nel mese prossimo. È abbastanza chiaro a tutti che Atene non ha i soldi per pagare senza un aiuto esterno. Secondo il giornale greco To Vima il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker sarebbe pronto ad erogare fondi alla Grecia in cambio di un elenco di riforme sull’Iva, mercato del lavoro e pensioni.

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Stasera al vertice europeo di Riga, il cancelliere tedesco Angela Merkel incontrerà ancora una volta il primo ministro greco Alexis Tsipras per valutare possibili vie d’uscita al caso Grecia. Ad Angela Merkel e al presidente francese François Hollande, che pure dovrebbe incontrare il premier greco, Tsipras illustrerà i problemi di liquidità che il Paese si trova ad affrontare e chiederà, oltre a un accordo unico, anche una soluzione politica per la questione del debito entro la fine di maggio.© RIPRODUZIONE RISERVATAVittorio Da RoldAlessandro Merli

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MF

Numero 099, pag. 6 del 22/05/2015

DENARO & POLITICA

Gli aiuti alla Grecia si possono rinnovare, se si vuole davvero salvarla

di Angelo De Mattia

Il 5 giugno potrebbe essere quello che i romani chiamavano «dies nigro signanda lapillo», una giornata da

matita nera, se la Grecia non dovesse riuscire a rimborsare il prestito di 305 milioni al Fondo Monetario

Internazionale. Le probabilità che ci si avvii verso il default non sono molte, ma è diffuso il timore che la

vicenda si aggraverà a tal punto che non sarà più possibile tornare indietro. A Riga, dove è in corso il vertice

dei capi di Stato e di governo dell'Ue, sicuramente si parlerà anche dello stato delle trattative sulla Grecia,

che ha già fatto comunque presente di non avere le disponibilità per adempiere al rimborso. Martedì il

ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble ha detto di non poter più escludere il default. L'ipotesi di

ottenere, magari dallo stesso Fmi, un nuovo prestito per estinguere il debito anzidetto non è così balzana, se

si pensa che il rinnovo dei finanziamenti è prassi normale nei rapporti tra banche e clienti. Può diventare

un'ipotesi ardua se viene prospettata avulsa da certezze sul seguito, se cioè viene intesa come un ulteriore

passaggio interlocutorio verso una meta che i negoziatori non riescono a vedere con nettezza. Se invece si

trattasse di un approdo non lontano e abbastanza affidabile, anche la descritta modalità di rimborso sarebbe

pienamente accettabile. Accade così che la conclusione del negoziato, puntualmente prevista entro una

settimana, slitti immancabilmente alla settimana successiva e così di seguito. Ora il governo greco non parla

più dell'indizione del referendum sul negoziato, precisando con il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis - il

quale ieri ha negato di essere stato insultato dai suoi colleghi dell'Eurogruppo - che la prova referendaria si

tradurrebbe in una scelta se restare o no nell'area euro: ha pienamente ragione; molti, e noi fra questi, hanno

evidenziato i rischi di un tale ricorso al popolo, per cui stupisce che politici e osservatori interpretino questa

scelta di responsabilità come, all'opposto, dettata dal timore di una sconfitta del governo nell'esito del

referendum. Queste valutazioni vengono dalle stesse parti che comincerebbero a cullare l'idea che il

trascorrere del tempo senza risultati apprezzabili possa logorare l'esecutivo greco e costringerlo a passare la

mano; spererebbero in questo esito perché pensano (o forse si illudono) che un nuovo governo accetti,

magari a scatola chiusa, le posizioni delle istituzioni creditrici per chiudere questa tragica vicenda. Costoro

non mettono affatto in conto, miopemente, che cosa accadrebbe se ancora una volta si destabilizzasse la

situazione politica in Grecia e si ricorresse nuovamente al voto. Puntare su una tale evoluzione significa

infatti eccitare ancor più la reattività anti-europea di molte componenti della società greca. In questo contesto

la Commissione Ue con il presidente Jean-Claude Juncker e il commissario Pierre Moscovici appare meglio

orientata e probabilmente non sarebbe ostile a un prolungamento delle scadenze per arrivare poi, magari

dopo l'estate, a valutare il terzo piano di salvataggio che la Grecia vorrebbe. Pensioni e mercato del lavoro

continuano a essere i punti centrali che ora segnano le distanze tra le posizioni della delegazione ellenica nei

confronti dei creditori. È possibile che non si sia rigidi, da parte di questi ultimi, sull'avanzo primario, che negli

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impegni potrebbe scendere dal 4% originariamente previsto all'1% o anche meno, ma ci sono alcuni aspetti,

come il ripristino della tredicesima per i pensionati, la fissazione del salario minimo e determinati programmi

di assunzioni, che vedono le istituzioni anzidette non favorevoli. La sensazione è però che da parte di queste

ultime ci si irrigidisca, a volte contestando la genericità degli impegni, a volte non condividendo il merito delle

soluzioni, perché mettono a raffronto costi e benefici di un risultato delle trattative a loro non troppo gradito

con quel che accadrebbe nell'ipotesi del default e dell'uscita dall'euro. Ma, se così fosse, lucidità vorrebbe

che si assegnasse il privilegio a una conclusione del negoziato, ancorché sofferta e con aspetti non

condivisibili in toto, rispetto alla gravità dell'alternativa. È inutile ripetere che un default oggi non fa così paura

come nel corso della crisi finanziaria globale, stanti i meccanismi protettivi nel frattempo introdotti. Sarebbe

pur sempre la rottura dolorosa del patto sull'euro e segnalerebbe la via di uscita ad altri Paesi, mentre

scatenerebbe la speculazione, unita ai rischi geopolitici, al programmato referendum inglese e a una

condizione dell'economia che solo ora si sta lentamente risollevando nell'area. Si spera allora che il vertice di

Riga possa dare alla vicenda, pur affrontandola «a latere», quella spinta politica senza la quale si continuerà

a stare pericolosamente in mezzo al guado. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 099, pag. 24 del 22/05/2015

COMMENTI & ANALISI

La Solution Economy può aiutare i governi a risolvere il rebus welfare-conti pubblici

di Guido Borsani*

Laddove il settore pubblico e i governi faticano a rispondere a un bisogno sociale, sia esso l'inquinamento, la

mancanza di acqua o la violenza urbana, si fa strada il nuovo approccio dell'economia delle soluzioni. La

cosiddetta Solution Economy si pone l'obiettivo di affrontare alcuni dei grandi problemi della società

attraverso lo sviluppo di meccanismi di mercato. Una rivoluzione in cui aziende, imprenditori sociali, enti no-

profit e multinazionali competono, si coordinano e collaborano, anziché affidarsi unicamente al settore

pubblico. Il ruolo del governo è infatti cambiato radicalmente negli ultimi due decenni, sempre più limitato dai

problemi di budget, ma ha adesso l'opportunità di dare il proprio contributo garantendo il buon funzionamento

di questi solution market. Ecco quindi che nuovi modelli di business, spesso basati sulla sharing economy e il

crowdsourcing, moltiplicano le opportunità.

Questa nuova economia è sorprendentemente attuale anche nel contesto italiano, e potrà essere capace di

produrre risultati di successo. Negli anni recenti, infatti, nel nostro Paese si è posta quasi tutta l'attenzione

sulla razionalizzazione della macchina pubblica mediante il taglio dei costi, mentre troppo poca ne è stata

data al perimetro di attività: tutti i servizi pubblici attuali hanno una ragione d'essere o possono essere

sostituiti dal settore privato, o da altri player coordinati in modo nuovo?

Anche in Italia è giunto il momento che scendano in campo gli attori dell'economia delle soluzioni, detti

wavemaker. Si tratta di una rete complessa di investitori, imprese, enti e cittadini che, grazie a social media e

tecnologia, possono collaborare anche a distanza per rivoluzionare l'approccio ai problemi sociali. «Gli

investitori privati possono assumersi rischi che il governo non è disposto a correre», spiega Bill Gates. Non a

caso oggi gli interventi filantropici privati a favore dei Paesi in via di sviluppo superano i contributi monetari di

tutti i governi messi assieme. Il valore condiviso che accomuna i wavemaker è la convinzione che le aziende

di successo non si preoccupano solo della mission economica ma anche di quella sociale e, come loro,

vedano i problemi della società come opportunità per trarre un ritorno d'immagine. Questi i grandi numeri che

la filosofia di pensiero basata sul crowdsourcing è riuscita a generare: 15,5 miliardi di dollari donati da 200

aziende americane nel 2010; incremento del 22% degli investimenti socio-ambientali dal 2010 al 2012; l'80%

delle aziende nella classifica Fortune500 pubblica rapporti sulla Corporate Social Responsibility e mostra

aumenti del valore di mercato di 10 milioni di dollari.

Le aziende stanno diventando quindi «multirazionali», nel senso che integrano la missione economica con

quella sociale. Naturalmente tutto ciò non sarebbe possibile senza le tecnologie emergenti, che hanno la

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capacità di disgregare e scardinare i mercati esistenti, rendendoli più accessibili a una popolazione più vasta.

I telefoni cellulari, i social media, il cloud e l'analytics, che oggi connettono l'80% della popolazione mondiale

rispetto al 50% del 2007, hanno prodotto enormi effetti a cascata sulla Solution Economy, consentendo nuovi

approcci per la risoluzione di una gamma eterogenea di problemi, a costi enormemente inferiori. Oggi grazie

alle tecnologie i modelli di business di successo possono crescere istantaneamente e possono essere a

costo zero o comunque ridotti: la gratuità è diventata un elemento critico della Solution Economy, e in tutti i

settori prevalgono modelli di business prevalentemente online, contribuendo al contempo a risolvere problemi

sociali di natura cronica.

Ne è perfetto esempio il ride e il car sharing che hanno già preso piede anche in Italia, dimostrando come

un'iniziativa privata a fini di lucro contribuisca a diminuire la richiesta di parcheggi, di carburante, le emissioni

e il traffico. Ed è facile ricordare come tutti questi benefici siano storicamente stati appannaggio delle sole

politiche pubbliche. Numerosi gli altri ambiti della Solution Economy: dall'edilizia abitativa all'agenda digitale,

dall'ambiente all'obesità, ci saranno più alleanze tra i settori pubblico e privato, e di natura più innovativa, di

rottura di vecchi schemi fra i settori. Buone speranze per ridurre le lacune dei servizi pubblici

responsabilizzando gli individui, le aziende e le comunità. (riproduzione riservata)

*Public sector industry

leader, Deloitte

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PRIMA PAGINA 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

europa e grecia

A Riga ultima chiamata per Tsipras

Anche se non interrogati, spesso storia e geografia parlano chiaro ai potenti molto più

di tanti esperti o tecnocrati di professione. Nessuno poteva prevedere che i negoziati

tra Grecia ed eurozona si sarebbero trascinati per quattro mesi in modo tanto

inconcludente da costringere il vertice Ue di Riga sul partenariato orientale a divagare

sul destino di un Paese mediterraneo prossimo al fallimento.

Lo fa a latere in un incontro separato, che si sa già non conclusivo, tra il cancelliere

tedesco Angela Merkel, il presidente francese François Hollande e il primo ministro

ellenico Alexis Tsipras. Ma il luogo dell’incontro, Riga, la capitale di una delle

Repubbliche baltiche che più di tante altre in Europa hanno sofferto la geografia che

spesso ne ha scritto la tragica storia, sembra fatto apposta per far risaltare l’importanza

geo-politica e strategica della Grecia: la porta dei Balcani a ridosso di Turchia e Medio

Oriente, la sentinella del fianco sud della Nato.

Non a caso il Paese corteggiato di questi tempi con estremo puntiglio dalla Russia di

Putin, cui non sembra vero di mestare nelle tante emergenze dell’Unione per

indebolirla. Di un’Unione colpevole, mentre la crisi ucraina continua a ribollire sotto

traccia, di insistere nella politica di partenariato orientale che Mosca non cessa di

percepire come una sfida aperta alla propria influenza nei territori del suo ex-impero.

Non aveva certo bisogno di approdare in Lettonia, la Merkel, per cogliere tutti i

pericoli insiti in un divorzio dalla Grecia e convincersi che oggi quelli geo-politici

sono, per l’Europa intera, decisamente superiori a quelli economici.

Per questo l’intempestivo memento di Riga con tutte le ombre che lo accompagnano

potrebbe favorire un dialogo costruttivo con Tsipras, creare le condizioni politiche per

un accordo che allontani tutti dall’orlo del precipizio, da un viaggio in terra ignota.

Continua pagina 5 Adriana Cerretelli

Continua da pagina 1 Di progressi nelle trattative ce ne sono stati ma non sui punti

ritenuti cruciali dai creditori, Fmi in testa, come la riforma delle pensioni e del

mercato del lavoro. Il governo Tsipras resiste perché entrambe sono parte integrante

della promessa guerra all’austerità

made in Europe.

Ma le casse del Paese sono vuote. Senza lo sblocco dell'ultima tranche di aiuti (7,2

miliardi) e senza un occhio di riguardo della Bce, il 5 giugno Atene non potrà onorare

il previsto pagamento al Fondo. Visto che i danni collaterali di un non accordo

avrebbero per tutti, non solo per la Grecia, un costo ben superiore a quello di un

accordo, è ragionevole sperare che alla fine accordo sarà. Tra fine mese e i primi di

giugno.

Impossibile però senza una forte dose di realismo generale. L’inevitabile cedimento

greco su salari e pensioni potrebbe per esempio andare di pari passo con l’avvio di un

negoziato sulla ristrutturazione (non dichiarata) del debito, cioè sul terzo salvataggio

del Paese. Tsipras potrebbe difendere un pacchetto del genere e magari sottoporlo a

referendum per by-passare la fronda di Syriza, il suo partito, in parlamento. Gli ultimi

sondaggi dicono, è vero, che in due mesi il consenso popolare alla sua strategia

negoziale si è dimezzato ma vedono anche il sostegno a Syriza oltre il 36%, contro il

15,5% di Nuova Democrazia, il principale partito di opposizione. In breve i greci

vogliono l’accordo, l’euro, e Syriza al governo ma senza eccessi né estremismi.

Il tempo per l’intesa è quasi esaurito, i soldi non ci sono, l’avarizia di concessioni è

forte a Berlino ma anche di più a Helsinki, Madrid, Lisbona e Dublino, senza contare

la sopravvenuta riluttanza dell’Fmi a partecipare a questo nebuloso finale di partita. Il

rischio che il gioco possa involontariamente sfuggire di mano, dunque, è reale.

Al momento i mercati non sembrano nervosi più di tanto. Forse anche loro contano

sullo spirito di Riga per mettere finalmente fine, non ai negoziati sul salvataggio della

Grecia che comunque si protrarranno ben oltre l’attuale programma, ma ai dubbi

ricorrenti sulla volontà europea di continuare a convivere nell’euro con un Paese che

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resterà problematico per anni.

Il valore della Grecia per l’Europa è alto, la sua affidabilità minima. Tsipras deve in

pochi giorni riuscire a cambiare la seconda variabile dell’equazione smentendo

sudditanza ideologica, asperità e inesperienza del suo governo. Deve farlo per il bene

della Grecia. E dell’Europa.

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Adriana

Cerretelli

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PRIMO PIANO 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Draghi: crescita troppo bassa in Europa

«Le condizioni sono migliorate, ma la gente è ansiosa che la ripresa si rafforzi»

SINTRA

«Le condizioni economiche in Europa sono un po’ migliorate, ma la crescita è troppo

bassa in tutti i Paesi dell’Eurozona». Il presidente della Banca centrale europea Mario

Draghi, aprendo il secondo forum della Bce a Sintra, ha riconosciuto ieri che in

Europa «la gente è frustrata dalla mancanza di crescita, che in alcuni Paesi è

precedente alla crisi, ed è ansiosa di vedere che la ripresa si rafforzi».

A Sintra, sulle colline vicino alla costa portoghese, in quella che ormai è diventata la

risposta europea alla Jackson Hole estiva della Fed, si discuterà fino a domani di

inflazione e disoccupazione in Europa. I cultori dell’ortodossia monetaria, come il

presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, potrebbero prendere come una

provocazione il fatto che i primi due interventi di stamattina, dopo quello di Draghi,

siano tenuti dal capo economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard, e dal

professore di Johns Hopkins, Laurence Ball: entrambi, quattro anni fa, hanno

sostenuto che l’obiettivo d’inflazione delle maggiori banche centrali al 2% (dal quale

l’Eurozona, oggi a zero, in risalita dopo quattro mesi di inflazione negativa, è peraltro

ben lontana) è troppo basso, suggerendo che andrebbe portato al 4%. Una discussione

che potrebbe sembrare non realistica nella situazione attuale, ma che, secondo le

ultime minute, è riemersa il mese scorso al consiglio della Fed, dove alcuni membri

hanno sostenuto che un obiettivo di inflazione più alto consentirebbe più spazio di

manovra sui tassi d’interesse.

Anche la discussione sulla disoccupazione potrebbe risultare non del tutto

convenzionale fra banchieri centrali, il cui mandato, almeno in Europa, è la sola

stabilità dei prezzi. Ma la scelta riflette la preoccupazione di Draghi che la Bce sia

stata lasciata sola ad agire e che, pur avendo ottenuto il risultato di stabilizzare i

mercati e, con l’avvio del Qe, abbia cominciato a far risalire gradualmente

l’inflazione, la crescita resti insufficiente a riassorbire la disoccupazione

nell’Eurozona, tuttora sopra il 10%. E che questo possa avere pesanti effetti che

destabilizzino l’unione monetaria. Ma Draghi ha ripetuto più volte che la soluzione del

problema passa soprattutto attraverso l’azione dei governi sulle riforme strutturali,

un’azione che la Bce continua a sollecitare. Lo stesso Draghi ha ricordato ieri sera

introducendo il suo maestro Stan Fischer, vicepresidentte della Federal Reserve che il

legame fra inflazione e disoccupazione è uno dei problemi ancora irrisolti della

macroeconomia.

A Sintra è riunito un vero e proprio gotha delle banche centrali: oltre a Fischer e

Weidmann, sono arrivati il presidente della Fed di New York, Bill Dudley, e di

Chicago, Charles Evans, il capo della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda, e, tra gli

altri governatori europei, quello della Banca d’Inghilterra, Mark Carney. Un gruppo di

economisti di punta comprende, fra i relatori, l’ex segretario al Tesoro Usa, Larry

Summers, e il premio Nobel, Christopher Pissarides, non a caso un esperto di

problemi del lavoro, così come Tito Boeri, il presidente dell’Inps, qui nella veste di

economista.

Anche se non figura sul programma, inevitabilmente emergerà nelle discussioni di

Sintra il caso Grecia. Anche perché Draghi avrà probabilmente un filo diretto con il

contemporaneo vertice di Riga, dove la questione è nuovamente sul tavolo dei leader

europei.

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Alessandro Merli

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PRIMO PIANO 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

DISTORSIONI Le sanzioni contro le manipolazioni finanziarie un caso emblematico di fallimento delle regole

.

Escludere le banche che manipolano il mercato

Ieri le cronache internazionali si sono occupate dell’ennesimo caso di multe

miliardarie inflitte a banche globali, a causa di manipolazioni finanziarie. Potremmo

oramai paradossalmente dire: siamo alle solite.

Infatti quasi non fa più notizia che sei banche debbano pagare 5,6 miliardi di dollari

per comportamenti fraudolenti sul mercato dei cambi. Il dipartimento di Giustizia

statunitense ha raggiunto un accordo miliardario, che sanziona un cartello illegale,

volto a manipolare i prezzi.

Continua pagina 4 Donato Masciandaro

Continua da pagina 1 Le sanzioni per le manipolazioni finanziarie ammontano finora

ad oltre 10 miliardi di dollari. A cui vanno aggiunti i 9 miliardi di dollari comminati

come multa per le manipolazioni su uno dei principali tassi di interesse mondiali

(Libor).

Secondo il Procuratore generale del dipartimento di Giustizia l’obiettivo di una multa

record è quello di avere un effetto deterrente rispetto ai comportamenti devianti in

finanza, poiché provoca costi monetari e reputazionali. Ma quanto credibile è questa

tesi?

Perché una multa abbia un effetto deterrente sul comportamento della banca deve

ricorrere una semplice condizione: i costi attesi devono essere maggiori dei benefici

attesi. Il costo atteso a sua volta dipende da due componenti: l’entità attesa della

sanzione e l’aspettativa che la banca ha di essere sanzionato

Partiamo da quest’ultimo aspetto: le manipolazioni sui prezzi valutari e monetari sono

avvenute in modo sistematico in un periodo compreso tra il 2007 ed il 2012. Quindi

prima, durante e dopo la Grande crisi finanziaria. Sappiamo che, a partire dal 2008, i

politici e i vigilanti dei maggiori Paesi industrializzati hanno affermato che la

regolamentazione sarebbe cambiata, per evitare che gli eccessi di assunzione di rischio

- che arrivano fino alla propensione a violare le leggi - creassero nuovi danni, specifici

e sistemici. Riforme della regolamentazione sono state definite e messe in atto, negli

Stati Uniti e in Europa. Osserviamo però che i comportamenti bancari patologici sono

continuati. Quindi - almeno finora - non sembra che le banche globali abbiano

internalizzato una maggiore probabilità di essere sanzionate.

Cosa dire poi dell’entità della sanzione? In primo luogo, non appare assolutamente

commisurata al danno economico del reato commesso. La manipolazione sistematica

di indicatori di mercato produce danni diretti sui clienti che hanno subito la

manipolazione, ma soprattutto, con un effetto moltiplicativo, danni indiretti sul

regolare funzionamento dell’intero mercato. Nel caso del mercato dei cambi, stiamo

parlando di un valore quotidiano di oltre 5 trilioni di dollari.

In secondo luogo, e soprattutto, non appare sufficiente a modificare gli incentivi futuri

alla devianza finanziaria. Le multe, per quanto salate, appaiono finora scontate sia

all’interno dei bilanci bancari - con opportuni accantonamenti - sia nei prezzi di

mercati, che solitamente dimenticano con facilità le multe comminate.

Insomma, le multe da manipolazione finanziaria appaiono un caso emblematico di

fallimento delle regole. Le banche le pagano, e continuano l’attività. Politici e

regolatori le incassano, con sollievo delle casse e della reputazione di castigatori dei

cattivi costumi. Gli incentivi alla manipolazione rimangono, con annessi i rischi per

clienti e mercato.

Esiste una alternativa? Può essere l’ostracismo finanziario: chi manipola deve essere

escluso dal mercato, per un tempo variabile a seconda della gravità della

manipolazione, come si chiudono le saracinesche dei commercianti infedeli. Ma

questo i Paesi avanzati vogliono davvero farlo?

Negli anni ottanta il Fondo monetario internazionale propose qualcosa di simile per

quei Paesi che non rispettavano gli standard internazionali antiriciclaggio: l’embargo

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finanziario. Da allora abbiamo visto mettere in atto gli embarghi più diversi - anche

odiosi, come quelli medicinali - ma di embargo finanziario neanche l’ombra.

Meglio le multe; tutti soddisfatti, fino alla prossima manipolazione.

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Donato

Masciandaro

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PRIMO PIANO 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’AGENDA UFFICIALE

Oggetto di discussione i legami con i sei Paesi del Partenariato Orientale Merkel rassicura Mosca: non sono diretti contro nessuno

La Ue cerca di disinnescare la mina greca

Al vertice di Riga trilaterale Merkel-Hollande-Tsipras per evitare il default di

Atene

RIGA

La crisi della Grecia e il rapporto con la Russia non sono all’ordine del giorno del

vertice europeo di due giorni a livello di capi di stato e di governo che si è aperto ieri

qui a Riga. In agenda ci sono i legami con i sei Paesi del Partenariato Orientale.

Eppure, a tenere banco nelle conversazioni tra i Ventotto saranno proprio questi due

temi. La speranza è di sbloccare le difficilissime trattative tra Bruxelles e Atene e di

rasserenare la relazione tra l’Unione europea e la Federazione russa.

La cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese François Hollande e il

premier greco Alexis Tsipras si sono incontrati ieri sera a margine del vertice per

discutere dei negoziati che la Grecia sta conducendo con i suoi partner per strappare

nuovi aiuti economici. Nuove riunioni potrebbero svolgersi oggi. «Vogliamo avere

una discussione amichevole che possa tratteggiare una soluzione», ha detto Hollande

arrivando a Riga, «in vista di un prossimo Eurogruppo a fine maggio o inizio giugno».

La dichiarazione è sembrata più una speranza che una asserzione. Nei giorni scorsi,

pur di ottenere nuovi aiuti Atene ha presentato ai suoi creditori nuove proposte di

riforma della fiscalità e delle pensioni che a Bruxelles sono definite concrete. «I

progressi nel negoziato sono però troppo lenti - spiega un funzionario europeo -. Non

c’è ancora da parte del governo greco senso di urgenza. Parigi e Berlino vogliono

mettere la Grecia sotto pressione, come già fecero in marzo, senza però grandi

risultati».

Secondo molti osservatori, Atene trascina i piedi per far salire la tensione - «creare per

così dire un momento di crisi», secondo l’espressione di un diplomatico - nella

speranza al tempo stesso di strappare concessioni ai suoi creditori e far accettare alla

pubblica opinione greca misure impopolari. La strategia, tuttavia, rischia di pesare

ulteriormente su una economia greca già debolissima e peggiorare il clima tra le parti

segnato da una perdurante sfiducia reciproca.

Nuove tensioni tra le parti sono scoppiate dopo che in una intervista al New York

Times il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis ha spiegato di avere registrato

le discussioni con i suoi omologhi durante la riunione dell’Eurogruppo in aprile. In

quella occasione, i partner avevano criticato il ministro greco per il suo atteggiamento

poco conciliante nei negoziati. Il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha

ricordato a Varoufakis che le riunioni tra i ministri sono riservate.

Quanto al fronte russo, la signora Merkel ha assicurato ieri arrivando a Riga che il

rapporto di partenariato con Armenia, Aizerbaijian, Georgia, Ucraina, Moldavia e

Bielorussia «non è uno strumento di allargamento dell’Unione». A Berlino qualche

ora prima aveva precisato: il rapporto di partenariato «non è diretto contro nessuno, e

in particolare contro la Russia». A quasi due anni dal vertice di Vilnius nel 2013, i

Ventotto vogliono lanciare segnali concilianti verso Mosca.

Nella capitale lituana, l’Ucraina – presieduta ai tempi da Viktor Yanukovich - decise

di non firmare l’atteso accordo di associazione con la Ue, preferendo salvaguardare i

suoi rapporti con Mosca, preoccupata quest’ultima da un surrettizio allargamento

dell’Unione nella sua tradizionale zona d’influenza. La scelta contribuì allo scoppio di

gravi tensioni politiche a Kiev, al coinvolgimento della Russia nella guerra civile

ucraina, e all’annessione da parte di Mosca della Crimea.

«La parola d’ordine è oggi modulare e approfondire i rapporti con i sei paesi del

Partenariato Orientale a seconda dei loro interessi e delle loro esigenze», spiega un

diplomatico, confermando l’obiettivo di evitare di stuzzicare la Russia. Dei sei Paesi

del Partenariato Orientale, tre hanno finalmente firmato un accordo di associazione

(Moldavia, Georgia e Ucraina, che dal 2013 ha assistito all’arrivo al potere di una

nuova classe politica più europeista). Gli altri tre Paesi hanno preferito soprassedere.

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Pensione anticipata / Germania

Grecia, si tratta sugli aiuti

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Beda Romano

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 8 del 23/05/2015

COPERTINA

Rilancio

C'è da essere ottimisti?

Per Draghi le prospettive dell'economia sono le migliori degli ultimi sette anni L'Italia riuscirà ad approfittarne?Il numero uno della Bce propone la flessibilità dei salari per una ripresa durevole. Ma dimentica il rischio bolla provocato dalle banche centrali

di Marcello Bussi e Giuliano Castagneto

Le prospettive economiche dell'area euro sono oggi «migliori di quanto lo siano state negli ultimi sette lunghi

anni di crisi». Lo ha dichiarato il presidente della Bce, Mario Draghi, in un discorso a Sintra, in Portogallo.

Una constatazione che vale in particolare per l'Italia, dove, dopo 13 trimestri consecutivi con il segno meno,

nei primi tre mesi di quest'anno il pil è finalmente tornato in positivo (+0,3% rispetto al trimestre precedente).

Come ha scritto l'Istat nel Rapporto annuale 2015, nel corso dell'anno l'Italia

registrerà una graduale ripresa, grazie all'azione di stimolo esercitata dalla politica

monetaria, ovvero dal Qe della Bce, che prevede acquisti di bond per 60 miliardi di

euro al mese almeno fino a settembre 2016, all'indebolimento dell'euro (provocato

dallo stesso Qe) e al calo dei prezzi del petrolio. Il problema sta proprio nell'aggettivo

«graduale». Le stime non sono esaltanti: si va dal +0,4% di Standard & Poor's al

+0,7% previsto dal governo e dal Fondo Monetario Internazionale. Come ha

sottolineato Draghi a Sintra, ormai il potenziale di crescita dell'insieme dell'area euro

è finito sotto l'1%. E questo in prospettiva «vuol dire che una parte significativa delle

perdite subite durante la crisi diventerebbe permanente, con la disoccupazione

strutturale che resterebbe sopra il 10% e la disoccupazione giovanile elevata». «Una crescita vera,

sostenibile nel tempo, può esserci solo se il Paese viene radicalmente cambiato, altrimenti può durare al

massimo un anno», è il parere di Franco Bruni, docente di economia internazionale all'Università Bocconi,

secondo il quale «bisogna riorganizzare la pubblica amministrazione». In realtà Draghi nel suo discorso di

Sintra una ricetta l'ha data: «L'esperienza vista in Germania durante la crisi», ha

osservato il presidente della Bce, «suggerisce che se le riforme puntano a effettuare

aggiustamenti facendo leva sui margini di intensità, in pratica ore lavorate e salari, è

meno probabile che abbiano effetti negativi sul breve termine rispetto a quelle che

fanno leva sui margini di ampiezza, ovvero i licenziamenti». Secondo i dati

dell'Eurotower, ha rincarato la dose Draghi, durante le crisi le imprese che applicano

la contrattazione aziendale «hanno ridotto gli occupati meno di quelle vincolate dalla

contrattazione centralizzata». «La solita ricetta, bisogna tagliare i salari», sbotta

indignato Antonio Maria Rinaldi docente di finanza aziendale presso l'Università di

Pescara e stretto collaboratore dell'economista Paolo Savona. «Non è il massimo

sentire una proposta del genere mentre sto leggendo i risultati di una ricerca secondo cui nel 2014 hanno

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chiuso i battenti quasi 8 mila esercizi commerciali, con una

media di 21 al giorno». Non è indignato Bruni, che anzi approva la decentralizzazione dei contratti. Ma nota

tuttavia che nella sua analisi Draghi ha dimenticato un rischio

che viene proprio dalla politica monetaria adottata dalla Bce e

dalle altre più importanti banche centrali mondiali. «Guerra

delle valute e prezzi degli asset gonfiati», sottolinea Bruni,

«sono il portato dei tassi a zero e dei vari Qe. Abbiamo

ancora un po' di tempo per evitare lo scoppio della bolla». E

per riuscirci non è sufficiente che la Federal Reserve cominci

a rialzare i tassi. Secondo Bruni, le più grandi banche centrali

e il Fondo Monetario Internazionale devono prendere

decisioni comuni di politica monetaria, cosa che finora non è stata fatta. Queste decisioni, però, passano

sopra la testa dell'Italia, che al riguardo può fare ben poco. Non resta quindi che esaminare i dati statistici più

recenti, alla luce dei quali si può dire che sì, le possibilità di una vera svolta ci sono (a patto che la Grecia

riesca a evitare in un modo o nell'altro la bancarotta). Per esempio nel 2014 il numero di compravendite

immobiliari è tornato a crescere, del 3,5%. Non accadeva da sette anni. La produzione industriale a marzo è

risultata in crescita dell'1,5% su base annua, l'incremento più forte dall'agosto del 2011. I contributi maggiori

a questo risultato sono venuti dal settore energetico (produzione cresciuta del 4,8%), dei beni strumentali

(+1,4%) e dei beni di consumo (+3,5%).

Quest'ultimo è il dato più significativo, perché negli ultimi trimestri la grande assente dall'economia italiana

era stata proprio la domanda interna, specialmente dei beni di consumo, dovuta largamente alla mancanza di

potere d'acquisto. «Ma adesso, soprattutto grazie al calo del prezzo dell'energia, gli italiani hanno visto

aumentare la capacità di spesa, e questo si è riflesso positivamente sulla domanda aggregata», sottolinea

Anna Maria Grimaldi, responsabile dell'analisi macroeconomica sull'area euro di Intesa Sanpaolo.

Significativa è anche la ripresa della domanda di beni di investimento. «Stimiamo un aumento dello 0,2% nel

primo trimestre (l'Istat non ha ancora diramato il dettaglio dei componenti della crescita nel periodo, ndr). In

larga misura sono investimenti di sostituzione, ma è verosimile che alcuni settori orientati all'export abbiano

avuto bisogno di ampliare la capacità produttiva». Certo la domanda di beni strumentali è stata anche spinta

dall'export, che resta una componente fondamentale della dinamica dell'economia italiana. «L'anno scorso le

esportazioni italiane sono state pesantemente condizionate dagli eventi geopolitici, che permangono, ma

adesso c'è un potente aiuto, cioè l'indebolimento dell'euro rispetto al dollaro», spiega Loredana Federico,

economista sull'Italia di Unicredit, che stima per il 2015 una crescita del 3,8% delle vendite all'estero del

made in Italy. Il contesto dei mercati dovrebbe favorire questo trend. Il provvedimento degli 80 euro, al di là

della cifra assoluta e del limitato effetto sul reddito disponibile, ha inoltre modificato le aspettative delle

famiglie italiane, contribuendo a far uscire la loro spesa dallo stato comatoso in cui si trovava fino all'anno

scorso. «All'appello mancano ancora gli investimenti, che soffrono dei numerosi fattori di incertezza, interni e

internazionali, che gravano sull'economia italiana. E se non si rimuovono queste incertezze, difficilmente gli

investimenti si riprendono», aggiunge Federico. Ma da questo punto di vista «gioca un ruolo molto importante

la stabilità politica, e quindi anche la continuità di una linea politica tesa alla riforma dell'economia», sottolinea

Grimaldi.

Non a caso migliora la fiducia delle imprese. Gli ultimi indici la danno in Italia a 53,8 punti, sopra quota 50,

che separa le fasi di espansione da quelle di contrazione, e soprattutto ai massimi dall'aprile del 2014.

Questo è importante anche ai fini degli investimenti dall'estero. E nelle ultime settimane si sono fatti sempre

più frequenti i segnali di interesse degli investitori internazionali per l'Italia. Interesse che si concentra sulla

logistica, una branca del settore immobiliare strettamente legata agli andamenti dei traffici commerciali e

quindi alla salute dell'economia. I volumi di compravendita di superfici adibite a questo scopo sono aumentati

del 10% nel 2014, secondo Scenari Immobiliari. E proprio venerdì 22 maggio Segro, gruppo britannico

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specializzato negli immobili strumentali con 6 miliardi di sterline in gestione, ha acquistato Vailog, società

italiana del settore. Nel frattempo investitori americani come Grove International Partners, gruppo

specializzato nell'immobiliare, guardano con molto interesse a una presenza diretta in Italia, ed è sempre

forte l'interesse degli investitori in private equity.

Quindi, al di là dei fattori strettamente ciclici e di natura esterna, come l'euro debole e i prezzi del petrolio

bassi, sembrerebbe che anche in Italia gli operatori economici comincino ad avere più fiducia nelle

prospettive dell'economia. Purtroppo al momento non ripartono i consumi: a marzo, infatti, le vendite al

dettaglio hanno registrato una flessione dello 0,1% rispetto a febbraio e dello 0,2% su base annua. Mentre

nella media del trimestre gennaio-marzo 2015, l'indice ha registrato una variazione nulla rispetto al trimestre

precedente e un aumento dello 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2014.

La fiducia che regna in borsa dall'inizio dell'anno, corroborato dalle rassicurazioni della Fed dei giorni scorsi

sul possibile incremento del Qe, per ora non si è trasmessa alle tasche del consumatore medio. Il peggio è

alle spalle, ma le basi della ripresa sono ancora fragili. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 23 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

I RISCHI

DELL’IMMOBILISMO

La mancanze di misure strutturali può intrappolare le

economie dell’area in un quadro di disoccupazione strutturale superiore al

10%

Draghi: riforme per aiutare la ripresa

Eurozona «nelle migliori condizioni degli ultimi sette anni» ma la politica

monetaria non basta

SINTRA

Il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ha ripetuto il suo appello ai

Governi dell’area euro perché realizzino, «il più presto possibile», le riforme

strutturali che possono aumentare il potenziale di crescita delle economie e devono

«entrare nel Dna dell’Eurozona». Senza riforme, il potenziale di crescita dei Paesi

dell’unione monetaria è inferiore al’1%, ben al di sotto dei livelli pre-crisi, ha

ricordato, anche se molti progressi sono stati compiuti in alcuni Paesi, fra cui il

Portogallo.

L’inizio della ripresa, che ha portato l’Eurozona «nelle migliori condizioni

economiche degli ultimi sette anni», e la politica monetaria molto accomodante della

stessa Bce, secondo Draghi, non possono servire come scusa per rinviare le decisioni,

ma sono anzi un’opportunità importante per fare le riforme, che a loro volta rafforzano

gli effetti della politica monetaria. Riforme credibili possono dispiegare i propri

vantaggi anche in un ambiente di crescita debole, ha detto.

Le riforme strutturali comprendono tra l’altro i mercati del lavoro e dei prodotti, la

riforma del fisco e delle pensioni. Per i Paesi dell’area euro la loro realizzazione

potrebbe portare in media, nei prossimi dieci anni, a un miglioramento dell’11% del

reddito pro capite, secondo studi dell’Ocse citati dal presidente della Bce, che ha

aperto l’annuale forum organizzato dalla banca a Sintra, cui partecipano banchieri

centrali di tutto il mondo ed economisti. Draghi ha osservato che in alcuni casi i

benefici delle riforme già messe in atto sono evidenti: nei Paesi che hanno fatto le

riforme del mercato del lavoro, come Spagna e Italia, l’inflazione risponde meglio alle

condizioni del ciclo economico. In genere, le riforme rendono le economie più

resistenti agli shock esterni.

Draghi ha ripetuto la sua richiesta che la governance sulle riforme strutturali venga

trasferita a livello europeo, ma ha anche sottolineato per la prima volta che le riforme

andrebbero coordinate. «Se tutti i Paesi le realizzano allo stesso tempo – ha detto –

tutti se ne avvantaggiano».

«La politica monetaria si sta facendo strada nell’economia. La crescita sta riprendendo

e le aspettative di inflazione sono risalite dai minimi – ha affermato il banchiere

centrale italiano –. Questo però non significa che le nostre sfide sono finite. Una

ripresa ciclica da sola non risolve tutti i problemi dell’Europa. Non elimina il debito

esistente che colpisce alcune parti dell’Unione. Non elimina l’alto livello di

disoccupazione strutturale che affligge troppi Paesi. E non elimina la necessità di

perfezionare le istituzioni dell’unione monetaria».

Secondo Draghi, la ripresa ciclica fornisce le condizioni «quasi perfette» perché i

governi si impegnino più sistematicamente nelle riforme strutturali che fanno da

ancora al ritorno alla crescita. «La politica monetaria – ha affermato - può indirizzare

l’economia verso il suo potenziale. Le riforme strutturali possono alzare questo

potenziale. E la combinazione di queste politiche di domanda e di offerta può creare

stabilità e prosperità durevoli».

Il presidente della Bce ha anche avvertito però che l’incapacità di realizzare le riforme

strutturali, o la scelta di rinviarle, può intrappolare le economie dell’area euro in una

situazione in cui la disoccupazione strutturale resta permanentemente sopra il 10% e

quella giovanile resta elevata con «cicatrici» devastanti.

Sulle modalità della riforma del mercato del lavoro, Draghi ha citato l’esempio

tedesco e della risposta dell’economia della Germania, dove la disoccupazione è sotto

il 5%, contro una media europea sopra l’11 per cento. La flessibilità nel sistema

tedesco si è concentrata sui salari e sulle ore lavorate, evitando così un impatto

sull’occupazione. Il capo della Bce ha ricordato anche che, in un numero crescente di

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Paesi, la contrattazione a livello aziendale invece che a livello nazionale ha consentito

una minor riduzione di posti di lavoro nel corso della crisi, grazie a una maggiore

flessibilità dei salari.

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Alessandro Merli

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PRIMO PIANO 23 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

AGLI?SGOCCIOLI Ad Atene manca liquidità e all’inizio del prossimo mese deve rimborsare prestiti importanti al Fondo monetario internazionale

La Germania mette Atene alle corde

Merkel a Tsipras: c’è poco tempo e ancora molto lavoro da fare, l’accordo va

raggiunto con le istituzioni

RigaAncora una volta è fallito il tentativo del premier greco Alexis Tsipras di imporre una soluzione politica alla crisi finanziaria del suo paese, aggirando le trattative tecniche. L’atteso incontro di giovedì sera qui a Riga tra il primo ministro greco, la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese François Hollande, a margine di un (difficile) vertice europeo dedicato al Partenariato Orientale, è terminato con un nulla di fatto. Tutto è stato rinviato ancora una volta ai negoziati tecnici.«È stata una discussione molto amichevole e costruttiva – ha detto la signora Merkel dopo l’incontro a tre terminato all’1 di notte in un albergo della capitale lettone -. Ma è molto chiaro che ulteriore lavoro deve essere compiuto con le tre istituzioni». La cancelliera si è così riferita alla Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, vale a dire alle tre istituzioni creditrici di Atene che dovranno in cambio di nuove misure concedere nuovi aiuti.La Grecia ha bisogno di nuovo denaro per evitare il tracollo finanziario. In ballo ci sono 7,2 miliardi di euro provenienti da un programma economico in scadenza a giugno. Proprio all’inizio del mese prossimo, Atene è chiamata a rimborsare generosi prestiti all’Fmi. L’incontro di giovedì sera è terminato ancora una volta mettendo a confronto ottimismo greco e realismo tedesco. Mentre Tsipras ha parlato di accordo «a breve», la signora Merkel ha avvertito che «c’è ancora molto da fare».Lo stesso Hollande si è allineato alla posizione tedesca: «Abbiamo bisogno di un accordo il più forte e completo possibile per facilitare i negoziati e superare le prossime scadenze». Il clima è avvelenato anche da voci e speculazioni. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, in un incontro privato il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble avrebbe suggerito ad Atene di pensare all’adozione di una moneta parallela. Da Berlino, il ministero delle Finanze ha smentito.Secondo le informazioni raccolte qui a Riga, gli ostacoli a un accordo riguardano sempre le riforme relative al sistema pensionistico e al mercato del lavoro, così come il risanamento delle finanze pubbliche (contrasti vi sono sugli obiettivi di bilancio). Il Financial Times spiegava ieri sera che, tra le altre cose, la signora Merkel e il presidente Hollande avrebbero spiegato al premier Tsipras che nessun accordo sarà possibile con i creditori europei senza il benestare del Fondo. Agli occhi dei greci, l’Fmi è l’ostacolo forse più ostico. Da un lato il Fondo è favorevole a una ristrutturazione del debito greco, venendo così incontro alla posizione greca; dall’altro tuttavia è molto esigente in termini di politica economica prima di concedere nuovi aiuti. Tsipras ha incontrato ieri anche il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Un portavoce greco ha detto che i due si sono trovati d’accordo per considerare «raggiungibile» una intesa nelle prossime settimane. Gli incontri greci si sono svolti a margine di un vertice dedicato al Partenariato Orientale. È stata l’occasione per correggere il tiro dopo che nel 2013 l’Unione ha dato l’impressione a Mosca di voler appropriarsi della sua zona d’influenza, contribuendo allo scoppio della guerra civile ucraina. I sei paesi del Partenariato Orientale – Moldavia, Georgia, Ucraina, Azerbaigian, Armenia e Bielorussia – hanno rapporti diversi con l’Unione. I primi tre hanno firmato un accordo di associazione con Bruxelles.Gli altri tre, invece, hanno preferito privilegiare i loro rapporti con Mosca. Un allargamento dell’Unione a questi sei stati non è in agenda. Nel comunicato si parla delle loro «aspirazioni europee», non più di prospettive europee. L’espressione è stata il risultato di accesi negoziati con i paesi più europeisti. In questo momento a Bruxelles prevale il desiderio di evitare nuovi screzi con Mosca, anche se l’Unione ha approvato ieri in via definitiva un prestito da 1,8 miliardi di euro all’Ucraina.

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Atene all’Eurogruppo: con la troika non trattiamo. Cena informale Merkel-Hollande a Strasburgo

Il caso Grecia

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© RIPRODUZIONE RISERVATABeda Romano

piomba sul vertice Ue. Schäuble e Varoufakis ai ferri corti, interviene la Merkel

Soluzione Cipro per la Grecia, l’idea di Dijsselbloem fa arrabbiare Atene

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PRIMO PIANO 24 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

DISCUSSIONE VIVACE

I richiami del presidente della Bce ai governi sulle riforme per il numero 2 della Fed Fischer sono meno pressanti: «Non ne parlo tutti i giorni»

Appello di Draghi: l’Europa agisca

«Riforme subito, le divergenze strutturali minacciano il futuro dell’eurozona»

SINTRA

«Un appello all’azione». Chiudendo il Forum della Banca centrale europea a Sintra, il

suo presidente Mario Draghi ha ribadito il richiamo ai Governi dell’Eurozona a fare le

riforme strutturali per favorire la ripresa che si sta avviando sotto l’impulso della

politica monetaria, accoppiandolo alla richiesta di un’espansione della politica fiscale

«mirata e ben disegnata, favorevole alla crescita». Questo non significa, ha detto

Draghi, tornare alle politiche di bilancio di prima della crisi, quando l’aumento della

spesa pubblica corrente era finanziato con quello delle imposte, sempre maggiore

indebitamento e il taglio degli investimenti pubblici.

Il Forum ha visto una discussione vivace fra alcuni dei più importanti banchieri centrali

del mondo ed economisti su inflazione e disoccupazione e molto del dibattito ha

ruotato attorno all’appello di Draghi, nel suo discorso di venerdì, a mettere in atto le

riforme strutturali. Alle critiche di chi sostiene che questo esula dal compito di una

banca centrale, il presidente della Bce ha obiettato che «in un’unione monetaria non ci

si possono permettere divergenze strutturali di lunga durata, che possono diventare

esplosive e minacciare la sopravvivenza stessa dell’unione». Secondo Draghi, il suo

richiamo non vuol essere un’intrusione nei compiti dei Governi, ma la mancata riforma

della struttura dell’economia può impedire alla banca centrale di adempiere al suo

mandato di stabilità dei prezzi. Il capo della Bce ha ricordato anche che in passato i

banchieri centrali hanno lanciato moniti altrettanto opportuni su temi come

l’indicizzazione dei salari negli anni 70 e gli eccessi della politica fiscale negli anni 80

e 90. Sarebbe stato meglio, a suo parere, se avessero fatto lo stesso per gli eccessi della

finanza negli anni pre-crisi.

Sul palco con lui, il suo mentore Stanley Fischer, vicepresidente della Federal Reserve,

ha detto di non voler intervenire su questi temi quotidianamente, «seppure venga la

voglia di farlo», ma anche ribadito l’importanza, anche negli Stati Uniti, di misure

come maggior investimenti in infrastrutture. In Europa, ha osservato Draghi, la

necessità delle riforme è messa in luce dal fatto che la componente strutturale della

disoccupazione è molto più alta che nell’economia americana. I due si sono trovati

d’accordo che il mandato delle rispettive banche centrali è domestico e la politica

monetaria non può essere orientata dalle ripercussioni sul resto del mondo; si deve

invece, ha detto Draghi, avere uno scambio costante di informazione, e questo avviene

già.

Il banchiere centrale italiano ha precisato che il successo delle politiche strutturali

dipende dalla sequenza, dai tempi e dalla credibilità con cui vengono messe in atto.

«Una riforma delle pensioni che viene modificata ogni anno, porta minori benefici e

genera incertezza», ha notato Draghi a titolo di esempio, evitando il riferimento

esplicito a un Paese specifico.

A chi sostiene che le politiche monetarie non convenzionali, come il Quantitative

easing (Qe), possono aumentare le disuguaglianze, Draghi ha replicato che la fonte

maggiore di disuguaglianza è la disoccupazione e una politica monetaria che, facendo

risalire l’inflazione verso l’obiettivo, contribuisca a ridurre la disoccupazione è il

miglior contributo anche alla riduzione delle disuguaglianze. La crisi, ha sostenuto, ha

cambiato la Bce per sempre: non nel mandato, ma nel catalogo di strumenti, oggi molto

più ampio.

In un video preregistrato e diffuso in mattinata dalla Bce in occasione di un convegno

alla Luiss per i 60 anni dei Trattati di Roma, Draghi ha ricordato che molti progressi

sono stati compiuti dopo lo scoppio della crisi dell’euro, ma molte misure restano

inattuate e ciò può rappresentare un pericolo, e ha invitato a non abbassare la guardia.

Presto, ha detto, sarà pronto il rapporto dei “quattro presidenti” sui prossimi passi verso

l’integrazione europea.

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Alessandro Merli

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PRIMO PIANO 24 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

GAFFE A LONDRA

In una mail «scappata di mano» il piano-Brexit

di Bank of England

Grande imbarazzo alla Banca d’Inghilterra: un documento riservato sulla creazione di un’unità speciale supersegreta sui rischi finanziari di Brexit è stato pubblicato sul quotidiano The Guardian. A peggiorare le cose è il fatto che il documento non è stato carpito da un giornalista senza scrupoli, ma è stato inviato via mail per errore da un dirigente della Bank of England.Poche ore dopo la pubblicazione del documento, la BoE ha ammesso che sta studiando vari possibili scenari, tra i quali la possibilità di un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea in seguito al referendum che il Governo ha promesso di tenere entro il 2017. Brexit potrebbe portare a un crollo della sterlina, della Borsa di Londra o dei buoni del Tesoro britannici, o a una fuga all’estero di grandi banche e imprese. È «molto spiacevole» che la notizia sia trapelata in seguito all’errore definito «involontario» di un dirigente, ha detto la BoE, che però ha difeso la creazione di una taskforce su Brexit, perché «è responsabilità della Banca studiare le questioni economiche e finanziarie che si pongono nel contesto dei negoziati e del referendum». Parlare di queste cose in pubblico, ha aggiunto, «non sarebbe sensato».N.D.I.

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2 Domenica 24 Maggio 2015 Corriere della Sera

Primo piano I conti

Draghi: «Senza riformeunione monetaria a rischio»

DAL NOSTRO INVIATO

SINTRA (PORTOGALLO) Mario Dra-ghi continuerà a invitare i go-verni a realizzare riforme strut-turali nell’eurozona. Ieri haspiegato il perché nella manie-ra più netta. «In un’unione mo-netaria — ha sostenuto — nonpuoi permetterti di avere gran-di e crescenti divergenze strut-turali. Tendono a diventareproblemi esplosivi e minaccia-no l’esistenza della monetaunica. E la Banca centrale euro-pea è il guardiano della valu-ta». Questa è la ragione di fon-do per la quale ha deciso di de-dicare alla necessità delle rifor-m e g r a n p a r t e d e i s u o iinterventi al Forum della Bce diSintra (Portogallo) che avevaper tema quest’anno «Inflazio-ne e Disoccupazione». Ma nonè l’unica.

Rispondendo ad alcune cri-tiche secondo le quali la Bancacentrale europea non avrebbela legittimità democratica peravventurarsi su terreni riservatiai governi, ha anche detto che«una banca centrale dovrebbeessere chiara su questioni chele rendono difficile o impossi-bile raggiungere il suo manda-to» (cioè la stabilità dei prezzi).Alcune economie del VecchioContinente sono rigide e il pre-sidente della Bce sostiene checiò è un ostacolo alla realizza-zione della politica monetaria.Ha ricordato che nei decenniscorsi i banchieri centrali inter-vennero più volte su questioninon di loro stretta competenza— negli Anni Settanta sui salari

indicizzati all’inflazione, neidue decenni successivi suglieccessi di spesa — e che avreb-bero fatto bene a intervenireanche all’inizio degli Anni Due-mila laddove non c’era stabilitàfinanziaria nei mercati. Legitti-mo, dunque, intervenire ancheoggi.

Di fronte a problemi che pos-sono dipendere sia da cattivepolitiche di bilancio sia da man-canza di riforme — ha detto —chi fa la politica monetaria devepotere esprimere un’opinione.Concetto che — ha aggiunto —richiede qualche specificazio-ne. Se si parla di politiche di bi-lancio, non si può non notare

che molti Paesi europei neglianni scorsi hanno «alzato le tas-se, aumentato la spesa pubbli-ca, tagliato gli investimenti: esattamente quello che non de-ve essere fatto». Se si parla di ri-forme, invece, la Bce si limita aeffettuare «un invito politico aintervenire», non entra nellospecifico delle misure da pren-dere: ma ci sono infiniti studiche stabiliscono quali sono lepiù efficaci e come realizzarle.La banca centrale, insomma,non ha l’obiettivo di spingereper la riduzione delle protezionisociali o di ridimensionare ilruolo dei sindacati: chiede anzidi essere messa nelle condizio-

Le previsioni

Germania Francia SpagnaITALIA Gran Bretagna

PilDebito/Pil 2015 2016 Deficit/Pil 2015 2016 Disoccupazione 2015 2016 (dati in %)

1,9 20,6 0,5

4,6 4,4

1,1 1,7

-3,8 -3,5

10,3 10

0,52,9

-2,1 -2,2

2,8 2,6

-4,5-3,5

22,420,5

0,6 1,4

-2,6 -2

12,412,4

2,6 2,4

-4,5-3,1

5,4 5,3

25,6

23,2

Corriere della SeraFonte: Commissione europea

-5

0

5

10

15

20

25

30

2015 2016

100,4 101,4180,25 173,596,4 9771,5 68,2133,1 130,6 89,9 90,1

Grecia

Crisi greca

Tsipras: non ci faremo umiliare

«Non accetteremo condizioni umilianti in questi negoziati», ha detto il premier greco Alexis Tsipras (foto) al comitato centrale del suo partito (Syriza). E ha ribadito che nei colloqui con i creditori (Bce, Fmi, Commissione Ue) il governo «non cederà a richieste poco ragionevoli in materia di Iva, lavoro o altri temi». E però ha ripetuto che Atene è «nel tratto finale di un periodo doloroso plasmato dai negoziati con le istituzioni». Se si troverà un compromesso nei tempi previsti, sarà inevitabile un terzo piano di aiuti alla Grecia, sostengono in molti. Ma a quel punto, prima di varare un nuovo salvataggio, la cancelliera tedesca Angela Merkel potrebbe chiedere il voto di fiducia al parlamento di Berlino, scrive il quotidiano Bild.

Il presidente della Bce:le divergenze tra i Paesi tendono a diventare esplosivee minacciano l’euroAlcune economie sono rigide,frenano l’azione dell’Eurotower

La Banca d’Inghilterra e lo studio segreto sull’addio (possibile) all’Europa

E sulla «Brexit»lo strano casodell’email finita per sbaglio a un giornale

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

LONDRA Pare che sia stato un tasto del computerschiacciato per sbaglio. Ma Jeremy Harrison, chealla Banca d’Inghilterra è a capo delle relazionicon la stampa, un bel po’ di imbarazzi al governa-tore Mark Carney li ha provocati. Quella email nelvideo di uno dei vicedirettori del «Guardian»proprio non doveva finire. E la ragione è sempli-ce: si parla, nel messaggio, di un «Project Boo-kend», ovvero di uno studio segreto sulle conse-guenze finanziarie della «Brexit» e si danno istru-zioni su come negare l’esistenza di una commis-sione incaricata di seguire il medesimo progetto.Anche se l’istituto centrale cerca di riportare l’in-cidente lungo i binari di un banale scivolone tec-nologico, è chiaro che qualche sospetto sia piùche legittimo. Chi ha ordinato il «Project Boo-kend»? Che cosa ne sanno David Cameron e ilcancelliere dello scacchiere George Osborne?Stanno facendo pressione sui vertici della Bank ofEngland, che ha sede in Threadneedle Street,inprevisione del referendum del 2017? Domande

per nulla capziose vista la bufera che si è scatena-ta. La Banca d’Inghilterra si è rifugiata in breve co-municato sottolineando che «non dovrebbe sor-prendere che si intraprenda un certo tipo di lavo-ro sulle politiche decise dal governo». Ciò chenon spiega è se lo strappo dall’Europa e le ricadu-te sui mercati finanziari siano sotto la lente di os-servazione per insistenza del governo o per auto-noma e opportuna analisi dell’istituzione centra-le. Resta il giallo. Il che è una circostanza fuoridall’ordinario in Threadneedle Street.

Maledetto il tasto del computer che giovedì se-ra ha spedito al «Guardian» la email riservata. Inorigine, era indirizzata a quattro manager inter-

ni, ma ha preso la rotta sbagliata. La sostanza èche è un ristretto gruppo direttivo della Bancad’Inghilterra, coordinato da sir Jon Cunliffe, vice-governatore e responsabile del monitoraggio suirischi dei crac finanziari, è all’opera per valutarelo scenario di una fuga di Londra dall’Unione. Inquesto comitato siede anche James Talbot cheguida la divisione strategica sempre della Bancad’Inghilterra. Non ci sarebbe da scandalizzarsi poi tanto. Ma il punto è che nella email, redattadalla segreteria di Jon Cunliffe, ci sono precise di-sposizioni su chi tenere all’oscuro e su quali tatti-che diversive adottare con la stampa. Che l’istitu-to centrale operi nel massimo della discrezione èscontato. Però Mark Carney ha sempre insistitoche la «trasparenza» sarebbe stata il faro dellasua politica. Ebbene, la lettura del messaggio pubblicato dal «Guardian» offre una sensazionedifferente. Si parte così: «La proposta di Jon è chenessuna email debba essere inviata al team di Ja-mes (Talbot) o più ampiamente alla Banca, circail progetto». E prosegue: «James (Talbot) può di-re al suo team che sta lavorando a un progetto a

L’ammissioneDopo il messaggio confidenziale passato al «Guardian», la banca centrale è costretta ad ammettere l’esistenza di uno studio riservato

italia: 5050545355555254

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VARIE

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la Repubblica 13LUNEDÌ 18 MAGGIO 2015LE SCELTE DEI PARTITI

PER SAPERNE DI PIÙwww.fiom-cgil.itwww.ucei.netLa sinistra

Coalizione di Landini, ecco il programmaLotte sociali, mutualismo, opposizione al governo. Il leader Fiom: “Non abbiamo ambizioni elettorali”Assemblea della rete di associazioni il 6 e il 7 giugno a Roma, ma Libera e Emergency si defilano

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2

IL DOCUMENTO

L’appello per lacoalizione sociale el’assemblea del 6 e7 giugno verrà resopubblico domani:“Non crediamo inuna società fondatasull’individualismoe la competizionetra le persone”

I TEMI

Lavoro, ambiente,beni comuni, dirittoa salute eistruzione,reddito dicittadinanza, dirittidei migranti,superamento deldivario nord-sud elotta alla mafia

3L’AUTONOMIA

La ‘coalizionesociale’ si proponedi fare politica“attraverso unagire condiviso trasoggetti diversi, aldi fuori e non incompetizionerispetto a partiti ocartelli elettorali”

MATTEO PUCCIARELLI

MILANO. Appuntamento a Ro-ma, il 6 e 7 giugno. Un’assem-blea pubblica per «associazioni,movimenti, sindacati, donne euomini che in questi anni si sonobattuti contro le molteplici for-me di ingiustizia, discriminazio-ne e progressivo deterioramen-to dei diritti. E che oggi decidonodi promuovere un cammino co-mune». La “coalizione sociale”di Maurizio Landini prende for-ma così, con un appello cheverrà reso pubblico domani. Manon sarà un soggetto politico. Oalmeno, non nell’immediato.«Come ha compreso il movi-mento delle donne — si spiega— vogliamo dimostrare che sipuò far politica attraverso unagire condiviso tra soggetti di-versi, che si può rimotivare lepersone a occuparsi dell’inte-resse generale nello spazio pub-blico, al di fuori e non in compe-tizione rispetto a partiti, orga-nizzazioni politiche o cartellielettorali».

L’incontro di messa a puntodel progetto è avvenuto alla se-de nazionale dell’Arci lo scorsofine settimana. Non c’era solo laFiom, ma anche esponenti delvariegato mondo dei centri so-ciali (come Action), Libertà eGiustizia, la Rete della Cono-scenza, Act e associazioni am-bientaliste. Ma stavolta si sonodefilate sia Libera che Emer-gency, che sì collaboreranno maindirettamente, più attraverso isingoli che altro. Una curiosità:si è rivista Simona Panzino, lacandidata “senza volto” alle pri-marie dell’Unione del 2006 vin-te da Romano Prodi. Non c’eranessuno (o quasi) dei partiti del-la sinistra come Sel, Rifondazio-ne e L’Altra Europa con Tsipras.Ma la questione partitica è statatoccata più volte, ricordandoche la “coalizione sociale” sistruttura all’infuori delle vec-chie organizzazioni.

Le parole d’ordine? Mutuali-smo, lotte sociali, mobilitazionee opposizione al governo. «Nonlasciare nessuno indietro o dasolo è la prima ragione che ci por-ta a intraprendere questo per-corso per cambiare il Paese el’Europa, formulando proposteche siano un’alternativa con-creta alle divisioni e alle solitu-dini in cui ogni persona rischia diessere abbandonata», recita ildocumento. Alla due giorni ver-ranno istituiti quattro gruppi di

lavoro: “Unions”, dove si parleràdi reddito, migranti e democra-zia; “Saperi e conoscenze”, e siaffronterà anche la riforma del-la scuola; “Rigenerare le città”;“Economia, politica industrialee ambiente”. Tempi di interven-to uguali per tutti e nessun espo-nente politico invitato sul palco.

La seconda fase invece saràquella della mappatura e del ra-dicamento territoriale: «Realiz-zare un modello d’impegno chesi manifesti e qualifichi a partire

dai territori, dai luoghi di lavoroe si caratterizzi per il fatto checiascuno di noi offrirà il contri-buto delle proprie migliori pra-tiche e dei propri saperi; sulla ba-se di tali principi in reciproca au-tonomia aderirà alle campagneper obiettivi comuni che insie-me decideremo di avviare».

Nel corso della riunione il lea-der dei metalmeccanici dellaCgil ha parlato di come — adesempio — occorra reinterpre-tare il concetto di legalità: «Per

una vita l’abbiamo difesa in fab-brica. Ma adesso le leggi le fa di-rettamente Confindustria at-traverso questo governo, in unclima di piena restaurazione».Alla domanda (solita) di cosasia davvero la “coalizione socia-le”, Landini risponde così: «Uncantiere in evoluzione, senzaambizioni elettorali. Fate unacosa rivoluzionaria: prendetelaper quel che è, senza retropen-sieri».

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Alla due giorni nessuninvito a politici“Esempio dal movimentodelle donne”

I PUNTI

GENOVA. Pippo Civatiarriva in Liguria persostenere Luca Pastorino,ex Pd, alle elezioni regionalie attacca il Pd renziano, cheè riuscito a fare cose «cheBerlusconi, Sacconi e laGelmini non sono riusciti afare», la vicesegretaria delPd Debora Serracchiani glireplica che Civati e Fassina«vogliono far vincere Toti»e paragona Civati a«Bertinotti 2». La Liguria diventa così ilterreno di scontro del Pd,tanto che il presidenteMatteo Orfini intervieneper sostenere che leelezioni regionali sono «unpassaggio decisivo per ilgoverno» e precisa: «InLiguria la scelta deveessere netta tra noi, conRaffaella Paita presidente».Nella stessa giornata daSpezia scende in campo ilministro della giustiziaAndrea Orlando, che lancial’allarme: «L’avversario piùinsidioso di queste elezioniregionali è l’astensionismo,soprattutto quello di chi èsempre andato a votare.Non possiamo permettere— aggiunge — che laLiguria diventi il campodove ridare ossigeno aBerlusconi con una vittoriadella destra».

LA CONTESTAZIONE

Lancio di uova per Salvini a ImperiaIMPERIA. Dopo i lanci di uova e sassi in Toscanail leader della Lega Matteo Salvini è statocontestato ieri mattina anche a Imperia, doveuna cinquantina di esponenti della sinistraradicale gli hanno urlato: «Siamo tutticlandestini» e hanno lanciato uova, che hannocolpito un blindato della polizia. Salvini harisposto mandando baci, è stato per altrol’unico episodio di tensione della giornata neltour elettorale di ieri in Liguria. Nel pomeriggioSalvini è arrivato a Genova, scortato da un

imponente servizio d’ordine, ma l’incontro congli elettori sulla passeggiata a mare non havisto contestatori: «Chi non vota il 31 maggiodà ragione ai lanciatori di pietre e petardi», hacommentato poi Salvini. E ha aggiunto: «Oggici sono stati di nuovo dei disadattati dei centrisociali che mentre incontravamo i lavoratoridel pastificio Agnesi con 100 posti di lavoro arischio, lanciavano uova. Chi lancia uova a deglioperai che rischiano il posto di lavoro, è daricoverare o da mettere in galera».

La comunità ebraica contro il consigliere che esalta HitlerLA POLEMICA/ESPONENTE DI CASAPOUND ELETTO A BOLZANO

PIERLUIGI DEPENTORI

BOLZANO. Non si sa ancora chi sarà il nuo-vo sindaco, visto che domenica ci sarà ilballottaggio tra l’uscente Luigi Spagnollied Alessandro Urzì, ma una cosa è certa:Bolzano è la prima città in cui è stato elet-to un consigliere comunale direttamenteda una lista di CasaPound, Andrea Bonaz-za, e il suo scranno nell’aula municipale ègià rovente.

«La presenza di un esponente di Casa-Pound nel consiglio comunale di un’im-portante città italiana come Bolzano suo-na come un campanello d’allarme per chiha a cuore i valori fondamentali della no-stra Repubblica e la loro difesa contro ognirigurgito di razzismo, di antisemitismo edi xenofobia», sottolineano in una nota ilpresidente dell’Unione delle Comunitàebraiche Renzo Gattegna e la presidentedella Comunità di Merano Elisabetta Ros-si Innerhofer.

Bonazza l’anno scorso è stato condan-

nato in Cassazione a due mesi per aver fat-to il saluto romano durante una manife-stazione a Bolzano nel 2009. Con i suoi 309voti, è uno dei capi ultras del BolzanoHockey e la curva del PalaOnda si è tra-sformata in una piazza in grado di garan-tire un buon gruzzolo di preferenze. Se al-l’hockey si aggiungono i quartieri di estre-ma destra dei rioni più popolari di linguaitaliana, in una città letteralmente divisain due tra quartieri italiani (di periferia)e quartieri di madrelingua tedesca (come

il centro), ecco che l’elezione di Bonazzanon è stata nemmeno una sorpresa.

E lui non le manda a dire: «Sono fascista,perché no? Non c’è niente di male. Anco-ra oggi ci sono leggi del fascismo e strut-ture del fascismo che funzionano megliodi quelle fatte adesso. Se ci fosse Mussoli-ni in Italia le cose funzionerebbero moltomeglio. A casa ho anche un busto del Du-ce che mi ha regalato mio padre, lo custo-disco con orgoglio» E ancora: «Hitler? Nelbene e nel male è riuscito a governare un

Paese. Per i lavoratori tedeschi ha fattotante cose positive come fece Stalin inRussia».

Gattegna e Rossi Innerhofer parlano di«vergognosa difesa dei crimini compiutidal regime, sottraendolo alle più evidentiresponsabilità storiche e trovando paroledi lode persino per Hitler. Così si offendela storia e la memoria delle vittime del na-zismo e del fascismo».

«Inaccettabile — proseguono i dueesponenti della comunità ebraica — la mi-nimizzazione del ruolo dell’Italia fascistae della Germania nazista nella Shoah».«Negare tutto questo, significa offenderela Storia e la memoria delle vittime del na-zismo e del fascismo, di chi soffrì e lottò perottenere quelle libertà di cui oggi, viven-do in democrazia, possiamo godere». «Sia-mo disgustati da chi spaccia odio e men-zogna per ottenere consenso politico, epersonaggi di questo livello pensiamodebbano essere contrastati con forza».

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CONTESA

Da destra ilconsiglierecomunale diBolzano AndreaBonazza, esponentedi Casapound, e illeader della UceiRenzo Gattegna

LIGURIA

Serracchiani“Civati comeBertinotti 2”

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MF

Numero 096, pag. 22 del 19/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Dal modo in cui il governo risolverà il rebus pensioni si capirà se siamo alla svolta buona

di Angelo De Mattia

Matteo Renzi ha ragione nel dire che deve porre rimedio agli errori altrui, riferendosi al blocco della

rivalutazione delle pensioni maldestramente deciso a suo tempo dal duo Monti-Fornero, che non sarà mai

abbastanza criticato per questa e altre gravi imprudenze commesse. Ma ora il problema esiste e il rimediare

ad errori altrui passa in secondo piano rispetto alla necessità di trovare una soluzione che non dia appigli alla

riproposizione di ricorsi e una nuova pronuncia della Corte costituzionale. La «una tantum» di circa 500 euro

in media che sarà erogata il 1° agosto a tutti coloro che percepiscono una pensione fino a 3.200 euro lordi è

un segnale, ma certo non è tale da chiudere la partita se è questo che si vuole. Non appare sufficiente. Non

si può dare tutto a tutti, dice il governo; ma di qui a una soluzione come quella scelta ce ne passa. In

particolare, bisognerà verificare se tale rimborso sia esaustivo, come sembrerebbe dalle parole del premier,

degli arretrati per gli anni di mancata erogazione, e poi esaminare in dettaglio il modo in cui sarà regolata la

materia per il futuro. Si elogia il fatto che il governo si sia astenuto dal pagare il predetto importo prima delle

elezioni regionali. È stata, per la verità, una scelta opportuna, anche se non bisogna dimenticare che la

liquidazione prima delle prossime votazioni dell'una tantum, fino a una determinata fascia di pensioni,

avrebbe potuto causare, accanto alla soddisfazione dei beneficiari, anche le reazioni negative degli esclusi, e

la somma algebrica non necessariamente sarebbe stata favorevole all'Esecutivo. Quest'ultimo, posto di

fronte all'esigenza di chiarezza in tale materia, e alla necessità di dare segnali chiari ai mercati, ma anche

all'incombenza di richieste e ricorsi che vi sarebbero stati, e non avendo o non potendo ancora assumere una

decisione più articolata, ha trovato l'escamotage di una misura che ha carattere di provvisorietà, applicabile a

partire da agosto. L'onere che comporterà sarà di 2 miliardi circa e interesserà 3,7 milioni di pensionati. Il

governo spera così che la scelta corrisponda ai punti fermi posti dalla Consulta su adeguatezza e

proporzionalità della decisione. La tutela delle pensioni di importo minore sarebbe così assicurata. Ma i

rimborsi non riguarderebbero le pensioni di importo superiore a 3.200 euro. Certo, l'operazione che il governo

deve fare è un po' la quadratura del cerchio - ancorché alleggerita dal mancato rimborso ai titolari delle

pensioni più alte - considerate la situazione dei conti pubblici e la spendibilità dell'ex tesoretto, cioè la

differenza tra deficit tendenziale e deficit programmato: tesoretto che forse dovrà essere integrato da altri

interventi. Renzi ha poi fatto presente che intendeva destinare quest'ultimo importo a misure a sostegno dei

poveri ma che, sebbene questa possibilità sia venuta meno, cercherà misure alternative per alleviare le

condizioni di povertà. Pur non disconoscendo, dunque, che il governo è stato costretto ad agire su un terreno

minato, non si può affatto escludere la proposizione di ricorsi che si preannuncerebbero numerosi e che

finiranno per tenere in piedi questa vicenda, a mo' di spada di Damocle, per molto tempo ancora. Ieri uno dei

legali del ricorrente che ha dato inizio alla vicenda giudiziaria chiusa con il verdetto della Consulta, ha parlato

Pagina 1 di 2Dal modo in cui il governo risolverà il rebus pensioni si capirà se siamo alla svolta b...

19/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1987541&access=AB

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di sabotaggio della sentenza da parte del premier. Solo un ripensamento della giurisdizione (e poi della Corte

costituzionale, se il caso vi approderà) sull'equilibrio dei conti pubblici e sui riflessi sul Patto di stabilità

potrebbe far ritenere coerente con la Carta costituzionale la decisione del governo, con riserva, però, di

valutare se lo stesso ritiene davvero esaustivo il predetto rimborso, nel qual caso i dubbi sulla legittimità

crescerebbero. Il bilanciamento tra finanza pubblica e diritti dei singoli è stato risolto dalla Consulta come si è

visto, cioè non dando più, come fatto sinora sia pure con qualche differenza, prevalenza assoluta alla tutela

dei conti. Un nuovo e radicale cambiamento di indirizzo sembrerebbe improbabile, sicché si dovrebbe far

leva sul privilegio da accordare, ai fini della rivalutazione, alle pensioni medio-piccole, appellandosi alla

selettività che poggia sulla discrezionalità (non arbitrarietà) di valutazione dell'Esecutivo. Percorso comunque

impervio. Nelle prossime ore sapremo meglio i passaggi tecnici. Il bilanciamento delle opposte esigenze e dei

diversi vincoli resta fondamentale. È però un fatto che in questi giorni il tema è diventato centrale nel dibattito

pubblico, sottraendo tempo ed energie all'esigenza di rilanciare la domanda. Con un aumento del pil dello

0,7% nel 2015 non si va lontano, anche perché al suo conseguimento concorrono fattori esogeni, dal Qe al

prezzo del petrolio. Anziché affrontare i diversi problemi con i quali ci si misura - strutturali congiunturali, noti

da tempo e sorti all'improvviso, come i rimborsi delle pensioni - a uno alla volta, il che in questo caso non è

opportuno, bisognerebbe redigere un programma organico di politica economica che certo tenga conto del

Def e del Piano nazionale di triforme, ma che vada oltre e dimostri la vera caratura dell'esecutivo nel saper

determinare una vera svolta di politica economica. La rivalutazione delle pensioni - che andrebbe ponderata

meglio - potrebbe essere la spinta a tale svolta oppure rivelarsi una grave impasse per l'Esecutivo. E

catastrofico sarebbe il successo dei ricorsi che saranno presentati. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 19 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL MECCANISMO Il contributo aggiuntivo a carico di imprese e lavoratori autonomi copre l’eventuale ondata di trasformazioni di contratti precari in stabili

Jobs act, stop alla clausola sui contributi

La Commissione: monitoraggio e norme ad hoc - Taddei: in linea con il governo

ROMA

La commissione Bilancio della Camera accende semaforo verde ai due Dlgs attuativi del

Jobs act su conciliazione vita-lavoro e riordino delle tipologie contrattuali; e su

quest’ultimo provvedimento chiede espressamente al governo di cancellare la clausola di

salvaguardia, il contributo aggiuntivo di solidarietà a carico di imprese e lavoratori

autonomi per coprire l’eventuale ondata di trasformazioni di rapporti precari in stabili,

inserito nel provvedimento su input del ministero dell’Economia (preoccupato da una

possibile carenza di fondi per effetto del robusto incentivo previsto dalla legge di

stabilità a favore dei contratti a tempo indeterminato).

La commissione Bilancio propone un superamento tout court della clausola. «Si ritiene

più corretto avviare un monitoraggio permanente delle risorse e degli effetti finanziari

derivanti dalle nuove disposizioni - spiega al Sole 24 Ore il presidente, Francesco Boccia

-. E nel caso questi fondi non siano più sufficienti si interverrà con un provvedimento

legislativo ad hoc o, nel caso si sia in fase di sessione di Bilancio, direttamente nell’ex

legge finanziaria». Per Boccia una siffatta riformulazione della norma è d’aiuto anche in

termini più generali: «Può infatti rendere più semplice l’operazione di riforma dei

meccanismi che determinano l’uso, spesso indistinto, delle clausole di salvaguardia nel

bilancio dell Stato».

Come si ricorderà l’allarme su possibili incrementi dei contributi era stato lanciato da

questo giornale all’indomani dell’arrivo in Parlamento dei Dlgs. La clausola era stata

introdotta dal Mef come principio di cautela: la legge di Stabilità 2015, prevedendo la

decontribuzione triennale, ha conteggiato una platea di possibili conversioni di circa

37mila collaborazioni. Con le nuove regole del Dlgs sui contratti si prevede che dal 1°

gennaio 2016 si applica la disciplina del lavoro subordinato alle co.co.co.

“fittizie” (quelle cioè continuative e organizzate); e in base a queste disposizioni sono

state stimate minori entrate contributive su una collettività di circa 20mila collaboratori

aggiuntivi (con reddito medio di 15mila euro). E sono state, quindi, messe ulteriori

risorse per la decontribuzione (16 milioni per il 2015, 52 per il 2016, 40 per il 2017, 28

per il 2018). Somme evidentemente ritenute non sufficienti dalla Ragioneria, che ha

richiesto l’introduzione, come clausola di salvaguardia, della possibilità di introdurre un

contributo aggiuntivo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali a carico dei

datori di lavoro del settore privato e dei lavoratori autonomi.

Una disposizione, però, che se applicata avrebbe portato al paradosso di penalizzare

soprattutto le aziende che non trasformano i rapporti di collaborazione in tempi

indeterminati, colpendole con un generalizzato aggravio di costi (con una mano si

abbassa il costo del lavoro, con l’altra si alza). Per questo subito dopo l’allarme del Sole

il ministro Poletti annunciò il superamento della clausola, prima che il Dlgs diventi

definitivo; e ieri è arrivato l’altolà pure della commissione presieduta da Francesco

Boccia.

«Il governo si era impegnato a fare marcia indietro sulla clausola di salvaguardia e il

parere della Bilancio va nella stessa direzione», sottolinea Filippo Taddei, responsabile

economico del Pd.

Anche per gli esperti è evidente che dovrà esserci un monitoraggio dell’incentivo

previsto nella Stabilità 2015. «Il tema si dovrà affrontare - spiega Marco Leonardi,

economista alla Statale di Milano -. La misura sta funzionando e, personalmente, credo

che debba essere prorogata anche nel 2016. Si può ragionare su termini e modi».

La commissione Bilancio della Camera ha chiesto che si faccia un monitoraggio anche

sulle disposizioni del Dlgs su conciliazione vita-lavoro.

I due Dlgs hanno ormai completato l’esame nelle sedi parlamentari; aspettano ora di

tornare in Cdm per l’ok definitivo (da quanto si apprende potrebbero arrivare sul tavolo

dell’esecutivo già il 25 maggio).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Claudio Tucci

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NORME E TRIBUTI 19 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LA TEMPISTICA Sulla

base dell’attuale previsione normativa si prescinde dalla anteriorità dell’accordo

rispetto alla chiusura del contratto

Crisi di impresa. La Cassazione ritorna sul contenzioso in materia di regole che devono essere

applicate agli incentivi all’uscita

Esodi sempre esenti da contributi

Fuori dall’imponibile le erogazioni per risolvere in anticipo il rapporto di lavoro

Vanno escluse dall’imponibile contributivo, in quanto corrisposte in occasione della

cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, non solo

le retribuzioni conseguite con un apposito accordo per l’erogazione

dell’incentivazione anteriore alla risoluzione del rapporto, ma tutte le somme con

l’anzidetta funzione, potendo ciò risultare sia da una indicazione in tal senso nell’atto

unilaterale di liquidazione delle spettanze finali, sia da elementi presuntivi.

Con tale motivazione la Corte di cassazione (sentenza n. 10046/15) ha rigettato il

ricorso proposto dall’Inpgi ed avente ad oggetto l’obbligo contributivo di un’azienda

radiotelevisiva in relazione a 173 verbali di conciliazione in sede sindacale sottoscritti

dal 1996 al 2000.

Come noto, l’esenzione contributiva per gli incentivi all’esodo è contemplata dalla

legislazione in materia; in particolare, la norma di riferimento (articolo 12, legge n.

153/69) prevede, nella versione vigente dal 1° gennaio 1998, quale eccezione al

principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscale e contributiva, che siano

escluse da contribuzione le somme corrisposte in occasione della cessazione del

rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, nonché quelle la cui

erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l’imponibilità

dell’indennità sostitutiva del preavviso. Tale disposizione, rispetto alla previgente

normativa, amplia il novero delle somme escluse da contribuzione, estendendolo

anche alle altre somme la cui erogazione trae origine dalla cessazione del rapporto di

lavoro; in precedenza, difatti, erano esenti da contribuzione unicamente le somme

corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare

l’esodo dei lavoratori.

Nonostante la specifica previsione, tuttavia, esiste un ampio contenzioso in materia, di

cui è prova anche la sentenza in commento, che prende le mosse dalla corretta

individuazione della nozione di esodo. In termini generali è possibile ritenere

ricomprese in detta norma le corresponsioni effettuate in occasione della cessazione

del rapporto di lavoro in eccedenza alle normali competenze comunque spettanti ed

aventi lo scopo di indurre il lavoratore ad anticipare la risoluzione del rapporto di

lavoro rispetto alla sua naturale scadenza.

Se il principio sembra essere chiaro, nell’esperienza quotidiana si verificano casistiche

“di confine” nelle quali può essere messa in dubbio la sussistenza di un incentivo

all’esodo genuino; è questo il caso, ad esempio, della coesistenza tra un accordo di

risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e una conciliazione generale e novativa

ovvero di un incentivo all’esodo sottoscritto dopo la cessazione del rapporto

(tipicamente dopo un licenziamento).

Va però detto che l’attuale previsione normativa contempla una definizione di esodo

più ampia che, come chiarito dall’Inps (circolare 236/97) estende l’esenzione a tutte le

erogazioni la cui funzione desumibile dalla volontà contrattuale o dall’atteggiarsi delle

parti sia riconducibile a quella di agevolare lo scioglimento del rapporto. Anche la

sentenza 10046 sembra muoversi in tale solco laddove prescinde, almeno nel principio

di diritto espresso, dall’anteriorità dell’accordo rispetto alla risoluzione del rapporto di

lavoro.

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Giuseppe Marianetti

Marco Strafile

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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NORME E TRIBUTI 19 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Ammortizzatori. Per le situazioni già autorizzate e i dipendenti già sospesi cassa fruibile anche dopo il

termine del 31 dicembre

Cigs, garantiti gli accordi del 2015

L’articolo 2, comma 70, della legge 92/12 (riforma Fornero) ha abrogato, con effetto dal

1° gennaio 2016, l’articolo 3 della legge 223/91 che disciplina tempi, requisiti e modalità

per l’intervento straordinario di integrazione salariale a favore dei lavoratori addetti di

imprese interessate da procedure concorsuali.

Tale abrogazione aveva fatto sorgere il dubbio circa la possibilità per le aziende di poter

usufruire del citato ammortizzatore, se già autorizzato nel 2015, anche oltre il 31

dicembre dell’anno in corso.

La circolare ministeriale 12/15 ha sciolto questo nodo ammettendo la possibilità di fruire

dell’intervento integrazione salariale, anche dopo la predetta scadenza, a condizione che

entro

tale data:

venga stipulato l’accordo in sede istituzionale;

inizino le sospensioni dal lavoro;

venga presentata l’istanza di ammissione al trattamento di integrazione salariale.

Quanto ai requisiti per l’ottenimento dell’autorizzazione, dopo le modifiche apportate dal

Dl 83/12, nei casi di dichiarazione di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa e

di amministrazione straordinaria, devono sussistere congiuntamente prospettive di

continuazione o di ripresa della attività aziendale e di salvaguardia anche parziale

dell’occupazione.

Le predette prospettive vanno valutate alla luce dai seguenti parametri oggettivi definiti

dal Lavoro con il decreto 70750/12:

per la prosecuzione o ripresa dell’attività aziendale, le misure poste in essere

dall’impresa o le manifestazioni di interesse formulate da parte di terzi, ovvero

l’avvenuta attivazione di tavoli governativi o regionali per l'individuazione delle

soluzioni;

per la salvaguardia anche parziale dell’occupazione, la messa a punto di piani volti al

distacco di lavoratori presso aziende terze oppure la stipula di contratti di lavoro a tempo

determinato con aziende terze, ovvero piani di politica attiva predisposti da soggetti

pubblici o privati.

Il beneficio del predetto trattamento di Cigs è esteso anche alle imprese che: abbiano

sottoscritto accordi di ristrutturazione del debito, pubblicati nel registro delle imprese;

siano sottoposte a procedure di concordato preventivo con cessioni di beni o presentino

un piano concordatario caratterizzato dalla prosecuzione dell’attività. Per queste due

ultime tipologie di procedure concorsuali, tuttavia, non trova applicazione il Decreto sui

parametri oggettivi.

In caso di mancata omologazione di concordati preventivi con cessione dei beni, il

periodo di integrazione salariale fruito dai lavoratori prosegue, senza soluzione di

continuità, a favore del fallimento successivamente dichiarato.

Il Ministero, effettuata l’istruttoria relativa alla sussistenza di tutti i requisiti, emana il

decreto di autorizzazione al trattamento di Cigs, a favore dei lavoratori interessati, con

data di decorrenza anteriore al 31 dicembre 2015 e, in virtù degli accordi già sottoscritti,

con effetto sino alla scadenza anche se cadente nel 2016.

Corre l’obbligo di rilevare che con l’abrogazione dell’intero articolo 3 della legge

223/91, operata dalla legge Fornero, per le imprese in procedure concorsuali che

effettueranno nel 2016 licenziamenti collettivi, le conseguenze di non poco rilievo sono

che: la relativa procedura preventiva di legge da espletare dovrà avere una durata fino ad

un massimo di 75 giorni e non più di 60 giorni; dovrà essere versato all’Inps il

“contributo d’ingresso alla mobilità”, non più oggetto di esonero. Contributo che, con

effetto dal 1° gennaio 2017, verrà sostituito da quello dovuto al Naspi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Carlo Balzarini

Vincenzo De Luca

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Page 153: 21 15 rassegna stampa fisac dal 18 mag al 24 mag

Susanna Camusso: "Il governo Renzi in continuità con l'austerity. Landini? Non va da nessuna parte" Pubblicato: 19/05/2015 12:33 CEST Aggiornato: 2 ore fa

"Noi siamo rispettosi degli accordi. Per questo per la Cgil le modalità di protesta saranno pienamente rispettose delle norme di legge e degli accordi sindacali, intese che, rispetto agli scrutini, prevedono lo sciopero e non il blocco. Come sempre il miglior modo è però quello di discutere e trovare insieme le giuste soluzioni. Invitiamo perciò il Parlamento a recepire le proposte dell'ampio fronte che si è creato contro la riforma della scuola. Per ora, però, si è dimostrato sordo, e se si andrà avanti così è nelle cose che si valutino tutte le opzioni possibili". È una Susanna Camusso che vuole cercare di evitare l'extrema ratio dello stop alle valutazioni di fine anno. Ma che boccia tout court la buona scuola di Matteo Renzi. In molti, tra l'altro, parlano di eventuale precettazione. Vorrei ricordare al Garante e a chi ne parla senza conoscere, che esistono accordi precisi, che non escludono affatto uno sciopero in concomitanza con gli scrutini. Penso tuttavia che sarebbe meglio non arrivarci. La strada, come sempre, quella del dialogo e dell'accordo con il mondo della scuola.

Ma per la Cgil non è ancora all'ordine del giorno? Il tema è delicato. Si è formato un fronte molto ampio, e il primo obiettivo è quello di cercare di mantenere unite le diverse sensibilità, senza arrivare ad una rottura. Per questo spero che le modifiche sostanziali che non chiediamo solo noi, ma i professori, i genitori e gli stessi studenti vengano accolte.

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Per ora l'esecutivo sembra tirare dritto. Sì, si è dimostrato sordo a qualunque tipo di critica. C'è questa idea diffusa che basta legiferare di corsa perché il mondo funzioni. Ma non è così, c'è un mondo lì fuori che va ascoltato.

Ipotesi: la Camera dà il via libera al ddl, il Senato lo approva senza modifiche. Diventa legge così come è. A quel punto blocco degli scrutini? Noi siamo rispettosi degli accordi sottoscritti e delle norme di legge che prevedono lo sciopero e non il blocco. Certo che, se si andrà avanti così, è nelle cose che si valutino tutte le opzioni possibili.

Oggi si vota sull'assunzione di 100mila precari. Almeno quella parte della legge è accettabile. È sempre positivo se si assumono precari. Non sarà di certo il sindacato a protestare. Ma così come è posto il problema va a creare una profonda discriminazione nel mondo della scuola. I criteri stabiliti dividono in modo arbitrario i precari. Per cui sicuramente la stabilizzazione va bene, ma non basta.

Facciamo un salto generazionale. Pensioni: oggi la Fornero applaude il governo, Poletti dice che è stato fatto il possibile, rispettando la Consulta e rimanendo nei parametri imposti da Bruxelles. Non mi stupisce che chi ha fatto la norma la difenda. Il problema è un altro. E vale a dire che secondo le nostre stime le misure adottate dal governo arrivano a coprire solo il 30% di quel che è stato tolto ai pensionati. C'è una distanza notevolissima tra ciò che è stato tolto e ciò che viene restituito. Senza contare che la parte sull'indicizzazione e sulla perequazione è ancora tutto da capire. Ieri Renzi ha detto che chi oggi lo critica sono gli stessi che votarono in Aula quel provvedimento. Quando il governo spiega che rimedia a cose fatte da altri ha la sua parte di ragioni. Ma è da quando è stata fatta quella riforma che noi diciamo che ci sono aspetti di diseguaglianza sostanziali. Mi stupisce che, invece di aggredire il problema e fare le riforme che veramente vadano a combattere la povertà e a tutelare i diritti, si aspetti una sentenza per mettere una toppa.

Modello Italicum, insomma. Il punto è che gli anni della crisi sono stati anni di provvedimenti profondamente ingiusti. E non solo nel merito, ma proprio sotto il profilo della legittimità costituzionale. Renzi usa spesso il mantra di volere cambiare verso. Ma se lo volesse fare realmente partirebbe da lì.

Domani sono 45 anni dall'approvazione dello Statuto dei lavoratori. Dopo il jobs act, che ricorrenza sarà? Sarà un anniversario di riconquista, che arriva subito dopo la cancellazione fatta dal governo di parte dei diritti previsti dallo Statuto. Una manomissione che non porta alla riunificazione del mondo del lavoro, come sostiene Palazzo Chigi, ma aumenta la polarità e la sua precarietà.

Sperate ancora che, nelle mode dei decreti delegati, si possa correggere quella legge?

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Non si rinuncia mai a migliorare le cose. Arriveranno i decreti sugli ammortizzatori sociali, che seguiamo con attenzione perché ci preoccupano molto. Ma il nostro orientamento è quello di costruire una nuova proposta di legge, che dia il segno che nel mondo che cambia i diritti rimangano in capo alle persone, non ai singoli lavori

Lei parla di una proposta di legge. Maurizio Landini il 6 e 7 darà il via alla sua Coalizione sociale, che punta a mettere insieme pezzi di rappresentanza del mondo del lavoro e di società civile proprio per interloquire da quel versante con la politica. La Cgil ci sarà? Io credo che il sindacato si preoccupi di difendere interessi molto precisi. Avanza proposte, su questioni che riguardano il mondo del lavoro, i diritti e l'uguaglianza. E penso alla larga e grande coalizione sulla scuola, o all'Alleanza contro la povertà, per rimanere alle iniziative degli ultimi giorni. Il fondamento è l'autonomia, alla quale non si può rinunciare

È un no? Il sindacato non si vincola, non può vincolarsi a un cartello che condiziona la sua politica. Credo che un'iniziativa come questa non vada da nessuna parte, non abbia futuro.

Parlava di riforma degli ammortizzatori sociali. Il Movimento 5 stelle li vorrebbe sostituire con il reddito di cittadinanza. E sta trovando, con diverse sfumature, alcuni interlocutori, da Roberto Speranza a Bobo Maroni passando per Tito Boeri. Al di là di cifre e coperture, sarebbe la strada giusta? Innanzitutto bisogna considerare che siamo di fronte a proposte molto diverse. Ma, quando se ne parla, c'è un tema che troppo spesso viene derubricato. Ed è quello che i disoccupati, e gli indici della disoccupazione giovanile, non calano. Per questo la soluzione del reddito minimo equivarrebbe a coprire il problema per il singolo per un tot di tempo, e non mi sembra che risolva molto. Bisogna invece costruire le condizioni per creare nuovi posti di lavoro, che vadano oltre a quella che sarebbe una tutela provvisoria. C'è poi da considerare, in caso di introduzione, i possibili rischi di un gigantesco abbassamento del reddito complessivo dei lavoratori.

Mettiamo in fila pensioni, jobs act e scuola. Su quest'ultima ieri Forza Italia, con alcuni distinguo, applaudiva il ddl come norma liberale. Il governo Renzi è un esecutivo di destra? Parlerei di un governo continuista. Di certo l'uguaglianza, la creazione di lavoro, la tutela dei diritti, tutte cose di sinistra, non sono nel suo programma. Poi ogni tanto ci stupisce, come è accaduto sull'Ilva. Certo che se pensiamo alla scuola, o al blocco della contrattazione...

Cose che avrebbe fatto Berlusconi. In questo caso lo stile conta, il modo di porsi. Ci sono differenze. Ma il filo della continuità nelle politiche economiche e sul lavoro è evidente.

Però gli indicatori economici si presentano con il segno più dopo mesi. La crescita del Pil è determinata da fattori esogeni. Dal prezzo del petrolio al cambio dell'euro dollaro, senza dimenticare l'iniezione di liquidità della Bce. Ed è un bene che ci sia. Quello che non si vede è invece la crescita italiana. Tutto questo non sta determinando la crescita di un paese che nei sette anni della crisi ha visto distruggersi un quarto del proprio tessuto

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produttivo. È in questo che si vede la continuità con l'austerity, nella totale assenza di politiche che sblocchino la situazione. La situazione, ed è questo il tema, di una disoccupazione a due cifre che continua a non calare, unita ad una situazione che ci vede borderline sull'orlo della deflazione. Esultare su piccoli numeri percentuali è solo propaganda.

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MF

Numero 097, pag. 18 del 20/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Le ristrutturazioni aziendali, un mondo più opaco di quanto si possa pensare

di Buddy Fox

Come spesso accade, nel nostro Paese le buone opportunità che il legislatore mette a disposizione degli

operatori vengono piegate a finalità estranee ed eversive rispetto al dettato normativo. Attività, questa, in cui,

obiettivamente, noi italiani siamo veri maestri. Così abbiamo fatto anche con quelle norme del diritto

fallimentare che, dal 2005, hanno delineato percorsi protetti, prima esclusi, entro cui debitore e i propri

creditori possono concordare il risanamento di un'impresa in crisi. Una privatizzazione della gestione delle

crisi aziendali, reclamata a gran voce, che ci doveva condurre a meglio competere con le legislazioni dei

paesi più avanzati. Una scelta che, se ben sfruttata, ci avrebbe potuto aiutare a meglio gestire la congiuntura

recessiva che ha colpito la nostra economia dal 2008. Così non è stato, almeno in parte.

A dieci anni dall'introduzione dei nuovi strumenti (piani attestati, accordi di ristrutturazione dei debiti e

concordato riformato) è possibile fare un primo serio bilancio. Purtroppo si tratta di un bilancio con più ombre

che luci. Non perché la filosofia della «privatizzazione della crisi» fosse sbagliata e fosse preferibile il vecchio

modello giurisdizionale, ma perché, a poco a poco, il mercato delle ristrutturazioni aziendali è stato oggetto di

un vero e proprio assalto alla diligenza da parte di professionisti e funzionari di poco scrupolo che, mai prima

della grande crisi, si erano occupati della materia, anzi la disdegnavano. Si è arrivati sino al paradosso in cui

la nuova finanza, che di norma dovrebbe servire al risanamento dell'impresa, è stata erogata al solo fine di

pagare i costi professionali della ristrutturazione. Cioè l'impresa si è indebitata di più per ottenere il consenso

delle banche a continuare a mantenere il supporto finanziario alla sua attività. Per non parlare del fatto che è

all'impresa che chiede di ristrutturare il proprio debito che viene posto a carico il costo dei legali che

assistono la controparte bancaria.

Ogni dossier minimamente significativo vede la presenza di almeno cinque professionisti, tutti pagati

dall'azienda da salvare: il consulente finanziario e l'avvocato del debitore e i corrispondenti omologhi sul

fronte delle banche, cui si aggiunge la figura del professionista attestatore indipendente e, se si tratta di un

concordato, quella del commissario nominato da tribunale, arrivando così a sei. Un vero insostenibile

macigno sulle spalle del macilento imprenditore in crisi, all'attacco della salita del Golgota.

Si potrebbe ribattere che si tratta di un costo, sì gravoso, ma indispensabile per garantire efficienza e

trasparenza. Tutt'altro: sotto il profilo dei tempi necessari a concludere un accordo di ristrutturazione questi si

sono oggi triplicati rispetto a quelli di quando si operava senza protezione legale. Mentre, sotto il profilo della

qualità del prodotto, l'esito infausto di molti piani e accordi di ristrutturazione esclude che gli stessi siano stati

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redatti, negoziati e attestati con trasparenza e buona fede da parte di tutti gli attori. Il motivo è semplice:

l'unico vero interesse che muove costoro non è, come dovrebbe essere, il buon fine dell'operazione di

risanamento, bensì quello di massimizzare il proprio tornaconto economico, la propria parcella. Ecco allora

che si fanno piani, non per risanare il debitore, ma per evitare che la banca debba mettere a perdita quella

parte del proprio credito che rappresenta una quota di debito insostenibile per l'impresa e così via; potrei fare

decine e decine di esempi di cattivi piani che non si sarebbero dovuti attestare.

Assistiamo così al fatto che intorno al mercato delle crisi aziendali si saldano sempre più spesso interessi

illegittimi, accomunati dall'unico movente dell'avidità, del tutto indifferenti al rigore del precetto normativo e

dell'etica professionale. Sembra di essere ritornati ai tempi dei furbetti del quartierino; sono cambiati solo il

comparto e in parte gli attori, ma i sistemi sono gli stessi e l'obiettivo è sempre «la diligenza» (la cassa delle

banche) da assaltare per conquistarne il contenuto. Il requisito di legge dell'indipendenza dell'attestatore,

perno su cui avrebbe dovuto reggersi il sistema riformato, è irriso al punto che nel 2014 il professionista che

ha collezionato il maggior numero d'incarichi è parente stretto di un banchiere. E che dire del fatto che i piani

redatti da certe major della consulenza sono sempre attestati dallo stesso soggetto e negoziati dallo stesso

legale, tutti chiamati e voluti dalle banche che, su un altro fronte, si erano appena avvalse dello stesso

avvocato e dello stesso consulente finanziario, il cui costo, però, come detto, era stato posto a carico di un

altro debitore. Un sistema dove ciò che conta è la chiusura dell'accordo, anche se questo non serve allo

scopo di legge, perché solo se si chiude si incassano success fee di svariate centinaia di migliaia (spesso di

alcuni milioni) di euro. L'importante è dividersi il bottino.

Se si vuole mantenere intatta l'attuale preziosa, per la competitività del Paese, filosofia delle norme che

regolano il risanamento delle imprese in crisi, è necessario che questi furbetti siano al più presto espulsi dal

mercato con l'adozione di rigorose norme di comportamento, alla cui formazione gli Ordini professionali, le

Organizzazioni imprenditoriali, Abi e Bankitalia devono lavorare al più presto, cooperando.

Ogni ulteriore ritardo sarà una spinta in senso contrario al ritorno a un sistema fortemente giurisdizionalizzato

e forzatamente giustizialista, come il dibattito in seno alla Commissione Orlando sta dimostrando.

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PRIMO PIANO 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’ANALISI

Con la Corte ripensare al patto tra generazioni

È nella scelta di evidenziare la palese incongruenza tra le motivazioni indicate e il dispositivo finale poi adottato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 70 del 2015 - quella come noto relativa allo blocco nella misura del 100% per gli anni 2012 e 2013 della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo dell’Inps - che ieri si è mosso il Governo, tramite decreto legge.Una scelta adeguata e conforme, nel metodo e nel merito a quanto indicato dalla sentenza, per almeno tre ragioni.Innanzitutto, dal punto di vista metodologico, perché il Governo, assumendosi rapidamente la responsabilità della decisione, ha scelto lo strumento normativo più idoneo - quello della straordinaria necessità ed urgenza, il decreto legge appunto - proprio per indicare la chiara volontà di ottemperare alla sentenza e ai principi costituzionali che essa richiama, senza ipocrisie nè “utili” dilazioni; pensieri che sono sempre dietro l’angolo in politica, nonostante il vincolo del giudicato costituzionale, a maggior ragione di fronte a ricorsi che si andavano già precostituendo. Eppure, quella che potrebbe apparire una scelta chiara, non è stata certamente facile da compiere, in quanto il Governo, volendo adottare una lettura rigida della sentenza, era stretto, in fondo, tra due potenziali e diverse forme di violazione nello scegliere di agire subito. Da un lato verso l’Unione europea, laddove avesse scelto, in una interpretazione semplicistica tanto del giudicato costituzionale quanto del principio di uguaglianza, ex art. 3, comma 2 Cost. sotteso in quella sentenza, di soddisfare interamente la platea dei pensionati, senza distinguere in alcun modo, lungo i criteri costituzionali della adeguatezza e della proporzionalità, tra pensioni minime e pensioni “d’oro”; una scelta che avrebbe affossato senza dubbio alcuno la finanza pubblica e vanificato i durissimi sforzi compiuti in questi anni dai cittadini italiani per risanare i conti pubblici del Paese. Dall’altro verso la stessa Corte costituzionale, e il suo giudicato, il cui mancato rispetto, come è evidente, avrebbe portato il Governo ad una palese incostituzionalità, ex art. 136 c. 2, nel suo non voler dar seguito a quanto indicato dalla sentenza.La scelta del decidere con decreto legge si afferma, quindi, come un dato positivo, tanto perché fondata sul principio di responsabilità, essendo politicamente solida, quanto perché normativamente efficace, in quanto capace di dare certezza da subito sia ai pensionati, in primis alle fasce più deboli di essi, sia a chi guarda al processo di risanamento in corso dei nostri conti pubblici come un percorso che il Paese intero si è impegnato a non interrompere. Tuttavia, la risposta più efficace a quanto indicato dalla Consulta, naturalmente, riguarda il merito del provvedimento. Infatti, il provvedimento del Governo sceglie di seguire, anche alla luce del successivo comunicato della Corte del 7 maggio scorso intervenuto a precisazione della sentenza, quella consolidata linea della giurisprudenza costituzionale che, da tempo, ammette la compatibilità costituzionale di disposizioni legislative che incidano sul trattamento pensionistico di fronte alla necessità di contenere la spesa pubblica. Linea giurisprudenziale che, a ben guardare, viene sottolineata anche nella stessa sentenza, laddove la Corte evidenzia – e lo fa per ben quattro volte nell’intero testo – più una carenza di motivazione nel provvedimento sottoposto al suo giudizio che, invece, una incostituzionalità in sè riguardo alla scelta di perequare i trattamenti pensionistici.La Corte, infatti, esprimendosi negli anni più volte in tema, ha ben sottolineato – se si vuole, da ultimo, nella sentenza n. 316 del 2010 – la possibilità di un intervento legislativo per un periodo contenuto, a fini di risparmio e di contenimento dei costi, sui trattamenti pensionistici, le cui norme, appunto, sono state spesso oggetto di modifiche.Ne consegue dunque che la scelta della progressività nella temporalità dei rimborsi

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operata da questo decreto appare corretta proprio perché apre un percorso che, tramite i criteri dell’adeguatezza e della proporzionalità, nel pieno rispetto del principio di uguaglianza, permette sia di soddisfare quanto indicato dalla Corte sia di corrispondere alle attese di molti, senza alcun tipo di violazione. Infine, terzo elemento, apre ad una necessaria riscrittura proprio di quelle norme del patto tra generazioni, ciò che in fondo le pensioni rappresentano, rafforzando altresì il vincolo, espresso recentissimamente dalla Corte nella sentenza n. 10 del 2015, di un articolo 81 Cost. relativo alla disciplina di bilancio che mira, nel mantenimento di una stabilità di bilancio dentro l’andamento del ciclo economico, a rafforzare le prospettive per la crescita proprio perché fondata su un reale patto tra generazioni.Può sembrar poco come prospettiva. Eppure è l’unico modo per garantire le pensioni ai pensionati di oggi, oltre che a quelli di domani..@clementiF© RIPRODUZIONE RISERVATAFrancescoClementi

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PRIMO PIANO 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

PENALITÀ SUL

RETRIBUTIVO Tra le opzioni penalizzazione sulla parte di «montante» calcolato sulla retribuzione o calcolo contributivo per gli assegni anticipati

Uscita a 62 anni, assegni ridotti del 20-30%

Renzi: «Con la legge di stabilità più flessibilità» - Ricalcolo con il contributivo,

altolà di Alfano

ROMANessuna cancellazione della legge Fornero ma un nuovo meccanismo per consentire già a chi 61 o 62 anni di età di andare in pensione seppure con un assegno ridotto. Il giorno dopo il varo del decreto sul nodo indicizzazione Matteo Renzi torna a parlare del delicato “capitolo previdenza” confermando che il Governo punta a introdurre maggiore flessibilità in uscita con la prossima legge di stabilità. «L’impegno del Governo è chiaro ed è: liberiamo dalla “Fornero” quella parte di popolazione che accettando una piccola riduzione può andare in pensione con un po’ più di flessibilità», afferma il premier a “Porta a porta” aggiungendo: «L’Inps deve dare a tutti la libertà di scelta». Ma nella maggioranza c’è chi mette subito paletti precisi. Dal ministro Angelino Alfano (Ap) arriva un secco «no al ricalcolo di chi si sta avvicinando alla pensione» anche in chiave “contributiva”. A livello tecnico comunque si sta già approntando un primo dossier di partenza con diverse opzioni d’intervento. E con più di un incognita: i costi dell’operazione e l’entità della riduzione degli assegni che nel caso di un anticipo di quattro anni (ad esempio pensionamento a 62 anni anziché a 66) potrebbe essere del 20-30% rispetto al trattamento “pieno”.Una contrazione non proprio soft che dipenderebbe anche dall’eventuale nuova penalizzazione ad hoc sulla parte del “montante” calcolato con il sistema retributivo (quello agganciato allo stipendio) che è tra le ipotesi allo studio. E che si andrebbe ad aggiungere alla riduzione già insita (nei casi di uscita anticipata) nel sistema contributivo (quello direttamente collegato ai contributi versati) e nei coefficienti di trasformazione del montante contributivo attraverso i quali si moltiplica il montante per una quota pari al 4,94% con un’a 62 anni e, invece, del 5,62% con il pensionamento a 66 anni (sulla base dei parametri in vigore a tutto il 2015). L’eventuale penalizzazione ad hoc sulla parte “retributiva” del montante produrrebbe un alleggerimento di un ulteriore 12% dell’assegno con l’uscita anticipata di 4 anni. Un’opzione che sarebbe più “invasiva” del taglio del trattamento previsto dalla proposta Pd targata Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta: riduzione del 2% l’anno fino a un massimo dell’8% dopo 4 anni (v. Il Sole 24 Ore di ieri).Per realizzare questa operazione sarebbero comunque necessarie nuove risorse visto che anche l’entrata in vigore dal 2016 dei nuovi coefficienti di trasformazione non potrebbe essere sufficiente a tenere i conti in ordine. Il meccanismo delle penalizzazioni ad hoc legate al montante non scatterebbe nel caso in cui il Governo dovesse optare per una soluzione che prevede l’escluso calcolo con il metodo contributivo degli assegni da erogare nel caso di uscite anticipate. C’è poi da capire se nel progetto del Governo troverà posto un tetto minimo di contribuzione per sfruttare l’uscita anticipata (oggi c’è quello di 20 anni per i trattamenti di vecchiaia).Al momento quelle dei tecnici sono solo ipotesi grezze allo studio. Anche se Renzi fa capire chiaramente il Governo è intenzionato a imboccare la strada della flessibilità per le uscite, a cominciare da quelle delle donne. «Senza fare promesse, altrimenti dicono che è una promessa elettorale» dico che «con la legge di stabilità stiamo studiano un meccanismo non per cancellare la “Fornero” ma per dare un po’ di libertà se ad esempio a 61 anni vuoi andare in pensione e accetti di prendere quei trenta euro in meno», sottolinea il premier. Renzi torna anche sulla questione dei rimborsi che l’esecutivo è stato costretto ad affrontare dopo la pronuncia della Consulta del blocco. «La sentenza avrebbe imposto al Governo di ripagare 18 miliardi di euro ma i cittadini sanno che non ha senso spendere 18 miliardi per dare i rimborsi. È un dovere dare a chi prende poco e non a chi ha una pensione di 5mila euro», afferma il premier. Che sottolinea: «Abbiamo

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risolto un problema nel giro di 15 giorni e abbiamo recuperato credibilità in Europa».Il decreto garantisce un rimborso una tantum netto medio di 500 euro (a scalare da 750 a 278 euro) a 3,7 milioni di pensionati con assegni sotto i 3mila euro lordi. Il tutto con una percentuale di rimborsi di circa il 40% per la fascia 1.000-2mila euro lordi, del 20% per quella di circa 2.001-2.500 euro lordi e del 10% per quella fino a 3mila euro lordi. Il meccanismo di trascinamento degli arretrati si riverbererà sulle stesse fasce a partire dal 2016 da un minimo di 60 euro a un massimo di 180 euro lordi.Il premier si sofferma anche sulla battaglia sui vitalizi parlamentari che definisce «sacrosanta». A considerare «non giustificati» i vitalizi è anche il presidente dell’Inps, Tito Boeri. Che insiste: occorre allineare le pensioni alte ai contributi effettivamente versati. E sottolinea: «Se ci sono persone che hanno versato pochi contributi e poi hanno pensioni altissime, non li chiamerei diritti acquisiti».Boeri si mostra d’accordo dare flessibilità in uscita alla legge Fornero: «Nel farla serve guardare al sistema contributivo. Perché se avessimo usato il sistema pro-rata per tutte le pensioni retributive nel 1995 la situazione oggi sarebbe molto diversa». Quanto alla pronuncia della Consulta, Boeri afferma che «se il Governo per aumentare le pensioni avesse impiegato i 18 miliardi» necessari al recepimento integrale la sentenza «la possibilità di adottare misure di contrasto alla povertà, che è aumentata di un terzo tra i più poveri», sarebbe stata «molto più difficile». A sostenere che occorrerebbe commisurare le pensioni ai contributi è pure Carlo Cottarelli ora all’Fmi dopo essere stato commissario per la “spending”. «La spesa per pensioni in Italia è pari al 16,5% Pil, la più alta tra i Paesi avanzati», dice Cottarelli precisando che «alla luce della sentenza della Consulta occorrerebbe un provvedimento ben disegnato per evitare problemi legali futuri».Il ministro Giuliano Poletti conferma che il Governo si muove per superare «le criticità» della legge Fornero. E sul fronte Consulta afferma: «È chiaro che chi volesse ricorrere dovrebbe partire da un punto di vista diverso che è il nuovo decreto». Ma per Susanna Camusso (Cgil) il decreto «è una prima risposta non sufficiente e conclusiva». Dura l’opposizione. Per Beppe Grillo il «bonus Poletti» è «meglio dei famosi confetti. Lassativo Pd cooperativo». E anche Renato Brunetta (Fi) ripete: non è un bonus è un imbroglio.© RIPRODUZIONE RISERVATAMarco Rogari

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PRIMO PIANO 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LE ANZIANITÀ

Autonomi con pensioni più ricche del 57% per una spesa maggiorata di 448 milioni. Per ex dipendenti privati e pubblici vantaggi medi intorno al 25%

Le 14mila super-pensioni del «retributivo»

È di 46 miliardi l’anno la maggiore spesa rispetto al metodo di calcolo contributivo

ROMA

Nella giungla delle pensioni si nascondono davvero tanti fortunati. Sono quelli che

hanno un assegno Inps che vale oggi fino al 60% in più di quello che avrebbe potuto

essere se fosse stato calcolato su base totalmente contributiva. Si tratta di pensioni più

che legittime perché sono state calcolate con le regole del loro tempo ma che oggi

appaiono irraggiungibili per chi sta costruendo il suo conto previdenziale pubblico. Ad

accendere i fari sugli squilibri tra prestazioni e contributi versati e valorizzati con il

sistema di calcolo retributivo o misto è stato l’Inps di Tito Boeri, che da qualche mese

con l’operazione “Porte aperte” ha passato in rassegna i principali fondi speciali.

Da una nostra rielaborazione di questi dati risulta che sui quattro principali fondi

speciali analizzati risultano, in particolare, 13.594 soggetti le cui pensioni raggiungono

il massimo dello squilibrio, tra il 50 e il 60% in più rispetto a quello che dovrebbero

valere se ricalcolate con il metodo contributivo. Stiamo parlando dei dirigenti del

fondo ex Inpdai e dei pensionati dei fondi speciali Ferrovie dello Stato, del Fondo

Enel e delle aziende elettriche private e del Fondo telefonici. Un totale di oltre

380mila pensionati che viaggiano su valori molto distanti da quelle che saranno le

pensioni dei loro figli, ammesso che questi ultimi riescano ad avere un’identica

carriera lavorativa, perché i loro assegni, appunto, saranno calcolati solo con il metodo

contributivo.

L’80% dei pensionati del fondo elettrici, per esempio, ha una pensione del 20-40% più

generosa di quello che sarebbe stata con il calcolo contributivo. Addirittura il 96%

delle pensioni del fondo ferrovieri subirebbe una riduzione se ricalcolata con il

metodo contributivo e per più di una su quattro la riduzione sarebbe superiore al 30%.

Il tema del ricalcolo contributivo dei trattamenti pensionistici derivati dal retributivo

non è nuovo. Ma ha ripreso vigore dopo la sentenza della Corte costituzionale e,

soprattutto, dopo l’annuncio da parte del Governo di voler riaprire il capitolo

previdenza per dare maggiore flessibilità alle attuali regole di ritiro. Parte delle

coperture necessarie potrebbe essere recuperata proprio con questa operazione, da

effettuare applicando le norme relative all’esercizio del “diritto di opzione”,

inizialmente previsto dall’articolo 1, comma 3 della legge 335/95 (legge Dini). Si

tratterebbe di un esercizio complesso, che richiede una ricostruzione in parte puntuale

e in parte forfetaria della carriera retributiva e dei contributi versati, come indicato

nella circolare Inps n. 181 dell’11 ottobre 2001.

L’operazione naturalmente non dovrebbe riguardare solo i fondi speciali ma l’intero

stock delle pensioni vigenti. Secondo i calcoli effettuati da Stefano e Fabrizio

Patriarca in uno studio sulla spesa pensionistica in fase di pubblicazione e che il Sole

24 Ore è in grado di anticipare, guardando agli 11,3 milioni di pensioni di vecchiaia e

anzianità vigenti nel 2012 (escluse le pensioni delle casse privatizzate, le invalidità e i

superstiti) si scopre che lo squilibrio medio tra calcolo contributivo e valori attuali

supera il 24,6%, un differenziale che sale al 29% per la fascia di importo medio tra i

1.250 e i 2.000 euro lordi. In valori assoluti, su una spesa per pensioni pari a 186,9

miliardi di euro, nel 2012 lo squilibrio contributivo ha comportato una spesa di 46

miliardi, circa tre punti di Pil, ovvero più della metà della spesa per interessi sul debito

pubblico.

Le statistiche estratte dalle banche dati Inps dai due studiosi offrono anche un’idea del

flusso dei pensionamenti, non solo dello stock citato. Nel 2011, l’anno del varo del

decreto “Salva Italia” , sono state liquidate 47.205 pensioni di anzianità di lavoratori

autonomi (età di pensionamento medio 59 anni).

Osserviamo questo flusso perché, a causa delle basse aliquote contributive che hanno

caratterizzato il passato anche recente di questa categoria, lo squilibrio

contributivo/retributivo è davvero ampio. Nell’anno della riforma Fornero sono stati

staccati assegni di anzianità Inps per questi nuovi pensionati del 57,3% più pesanti del

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loro valore a calcolo base contributivo: su una nuova spesa per pensioni di 780 milioni

(come si vede nelle tabelle che pubblichiamo), lo squilibrio s’è tradotto in 448 milioni

in termini di importi aggiuntivi. Oltre mezzo miliardo in più (554 milioni) sono state

pagate le 70.325 nuove pensioni di anzianità di dipendenti pubblici erogate sempre nel

2011, mentre le 97.613 nuove pensioni di anzianità pagate nello stesso anno ai

dipendenti del settore privato sono costate 635 milioni in più rispetto ai valori basati

sul calcolo contributivo.

Altri due studiosi (Carlo Mazzaferro e Marcello Morciano) in un lavoro di qualche

anno fa hanno calcolato che l’adozione immediata della regola di calcolo contributivo

pro-rata su tutti i lavoratori dal 1995 avrebbe assicurato risparmi per quasi due punti di

Pil (ai prezzi del 2008) nei primi 13 anni di applicazione della riforma Dini. Tenendo

conto che gli squilibri contributivi sono a carico della fiscalità generale, forse è anche

da questi numeri che deve ripartire una riflessione sull’equità attuariale e

intergenerazionale del nostro sistema pensionistico.

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Davide Colombo

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PRIMO PIANO 20 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

DIRITTI ACQUISITI Il ritardo nel passaggio al calcolo contributivo continua a vincolare una spesa che vale il 15-16% del Pil

Conoscere i numeri

Che vi sia un problema per un paese che spende tra il 15 e il 16% del Pil per le pensioni è fuori di dubbio. Così come è vero che la riforma Dini del 1996, vero punto di svolta per il sistema previdenziale, è nata con un vulnus di partenza.Continua pagina 3 di Dino Pesole

Continua da pagina 1 Un vulnus che è conseguenza forse inevitabile per una legge scritta di concerto dal governo di allora e dai sindacati: quella di non aver previsto il passaggio erga omnes dal più generoso sistema retributivo a un nuovo sistema di calcolo in cui le future prestazioni fossero correlate all’entità dei contributi effettivamente versati. Il problema non è nemmeno «quanto si spende» per un paese che invecchia, ma «come si spende». Lo attestano i dati che riporta il Sole24Ore: lo squilibrio è evidente. Non si vuole con questo legittimare la vulgata in base alla quale vanno comunque penalizzati quei dipendenti pubblici e privati che, dopo una vita di lavoro, sono andati in pensione con trattamenti liquidati attraverso il sistema retributivo. Quelle erano le regole in vigore, anche se in una materia come quella previdenziale, soprattutto alla luce della sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittimo il blocco biennale disposto nel dicembre 2011 della perequazione per le pensioni oltre tre volte il minimo, è difficile che si possa – dati i vincoli di finanza pubblica – mettere in campo solo la logica dei «diritti acquisiti». Detto questo, lo squilibrio tra l’entità dei contributi versati e il valore delle prestazioni erogate che si sarebbero determinate con l’applicazione del metodo contributivo è nei dati che riportiamo qui a fianco. Alcuni esempi valgono a far capire di cosa stiamo parlando, nella premessa che nei casi più vistosi tale squilibrio raggiunge anche il 60 per cento. È il caso delle 47mila pensioni di anzianità erogate nel 2011 ad altrettanti lavoratori autonomi, con un esborso di 780 milioni, contro i 333 milioni che si sarebbero spesi con il metodo contributivo. Se volgiamo lo sguardo al lavoro dipendente, per 21mila pensioni di vecchiaia erogate in quello stesso anno (lo squilibrio in questo caso è dell’8%) si sarebbero risparmiati 52 milioni. Ma sono i trattamenti di anzianità a pesare di più, in un sistema che ha consentito negli anni del dissesto della finanza pubblica di lasciare il lavoro nel pubblico impiego dopo 14 anni, sei mesi e un giorno di attività. Secondo un rapporto di Confartigianato del 2011, sono 531.752 le pensioni di vecchiaia e di anzianità “attive” concesse in base alle norme varate nel 1973. Non è una caso che proprio negli anni del primo shock petrolifero comincia a determinarsi l’impennata della spesa pubblica non compensata da pari aumenti della pressione fiscale, poi amplificata a dismisura negli anni Ottanta. L’incidenza della spesa sul Pil è passata dal 29% del 1960 al 42% del 1980. La spesa delle amministrazioni pubbliche è passata dal 33,7% del 1970 al 42,2% del 1980, con le prestazioni sociali che salgono dal 12% del 1970 al 14,1% del 1980 e al 18,2% del 1990. Se nel 1960 il totale della spesa previdenziale e assistenziale era pari al 9,5% del Pil, nel 1990 esplodeva al 16,6 per cento. Il tutto fino alla manovra Amato del 1992 che bloccò per un anno le pensioni di anzianità e i meccanismi di indicizzazione. Poi è partita la stagione delle riforme. Uno sguardo retrospettivo è quanto mai utile, quando si affronta il tema dei nuovi, possibili interventi sul fronte della previdenza. Così come vale la pena di ricordare che la riforma Monti-Fornero, magna pars del decreto «salva-Italia» varato il 4 dicembre 2011 per spegnere un incendio che stava travolgendo l’intera economia nazionale, garantisce ben 80 miliardi di risparmi entro il 2020. Se pur sottraiamo a questa somma i 12 miliardi miliardi impegnati per salvaguardare 170mila esodati, si tratta di un intervento che ha stabilizzato il sistema previdenziale, garantendo sostenibilità al debito pubblico. Anche i 18 miliardi di risparmi che derivano a regime dal blocco biennale delle indicizzazioni vanno conteggiati in quella cifra, ma vanno ora aggiornati in base alla spesa impegnata dal governo (2,1 miliardi nel 2015) per la

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restituzione una tantum di parte del mancato adeguamento a 3,7 milioni di pensionati. Pur con questi interventi, la spesa previdenziale è prevista in crescita del 2,7% nel 2019, contro l’incremento decisamente più contenuto (1,2%) del resto della spesa corrente. © RIPRODUZIONE RISERVATADinoPesole

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la Repubblica MERCOLEDÌ 20 MAGGIO 2015ECONOMIA

PER SAPERNE DI PIÙwww.consob.itwww.quadrifor.itI mercati

ANDREA GRECO

MILANO. Nuove grane dai deri-vati Santorini e Alexandria, cheil Monte dei Paschi ristrutturònel 2009 per nascondere perdi-te in bilancio e continuare a di-stribuire cedole ai soci e bonusai manager malgrado il dissestoin arrivo. Ora la Cassazione è en-trata a gamba tesa sull’indipen-denza delle autorità previstadalla Costituzione, stabilendo asezioni unite che se la Consobtrascura i doveri di vigilanza enon usa i suoi poteri per «assicu-rare il corretto e trasparentefunzionamento del mercato», sipuò chiedere al giudice ammi-nistrativo di ordinare all’autho-rity di porre fine all’inerzia. An-che — ed è la prima volta nellastoria — intervenendo mentrel’istruttoria è in corso. L’ordi-nanza, depositata ieri, intervie-ne su una causa del luglio 2013di due piccoli azionisti (affian-cati da Cgil, Fisac e Federconsu-matori), che rinfacciano alla vi-

gilanza carenze sul dossier Mps,in particolare sulle operazioni diristrutturazione dei due deriva-ti Santorini e Alexandria, sco-perte dal vertice di Mps a fine2012 e pubbliche da gennaio2013. Allora, insieme a Bankita-lia e Ivass, Consob aveva stabili-to che Mps poteva scegliere lacontabilizzazione preferita peri due veicoli: e tra quella a «saldiaperti» (come rischi creditizi) ea «saldi chiusi» (come derivati),i senesi optarono per la prima.

Al Tribunale di Roma i due ri-correnti avevano chiesto, oltre alrisarcimento danni per le pre-sunte falle nella vigilanza, ancheche l’authority mettesse fine al-le eventuali omissioni, ripristi-nando una corretta informazio-ne sulla situazione patrimonialedi Mps, per evitare altri danni aisoci. Alla dichiarazione di incom-petenza del Tribunale, i ricor-renti hanno chiesto alla Cassa-zione se si potessero sindacare,non solo ex post ma anche in iti-nere, i comportamenti del-l’authority. La Corte, senza acco-gliere le obiezioni della Consob,ha riconosciuto al tribunale am-ministrativo il potere di ordinareall’authority di adoperarsi perassicurare una corretta vigilan-za. E ha chiesto alle parti di divi-dersi le spese del giudizio, per «lapeculiarità e novità della que-stione». «L’inerzia delle Autoritànon è più giustificata — riportauna nota di Cgil, Fisac e Feder-consumatori — . I cittadini pos-sono ottenere un provvedimen-to giudiziale che ordini alle am-ministrazioni l’esercizio deimezzi a loro disposizione». Di al-

tro tono la reazione della Consob:«Per Consob è una sentenza fa-vorevole. La Corte ha respinto ladomanda dei ricorrenti volta adaffermare che il giudice ordina-rio può ordinare a Consob di eser-citare i poteri di vigilanza che la

Consob bacchettatadalla Cassazione“Il Tar può intervenireper scarsa vigilanza”I piccoli soci Mps contestavano l’Autoritàper aver permesso poca trasparenza nei bilanciLa replica:“Nessuna inerzia, sentenza favorevole”

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legge le assegna». Quanto al me-rito dei rilievi, «non c’è mai stataalcuna inerzia. Consob è interve-nuta più volte per assicurare pie-na trasparenza sui conti Mps eha fatto avere al mercato tutte leinformazioni di volta in volta di-

sponibili. Consob continua a col-laborare con le autorità naziona-li ed europee e sta esaminando lanuova documentazione emersanel procedimento penale in cor-so a Milano». Dove l’inchiesta s’èchiusa con la richiesta di rinvio a

giudizio per manipolazione delmercato e falso in bilancio 2009contro gli ex vertici di Mps e No-mura, e si afferma che i Btp per 3miliardi sottostanti l’operazio-ne Alexandria «non esistono».

ROMA. L’Italia rischia diperdere il treno dell’economiadigitale, poco presente sia neinuovi prodotti che nei modelliorganizzativi. E’ l’allarmelanciato da Quadrifor —l’Istituto bilaterale per loSviluppo della Formazione deiQuadri del Terziario — chevede proprio nel mezzomilione di quadri che lavoranonelle aziende italiane lapossibile via d’uscita. «E’necessario che acquisiscanocompetenze digitaliattraverso una formazionecontinua, che oggi è possibilefare anche on line» assicura ildirettore di QuadriforRoberto Savini Zangrandi. Inun rapporto elaborato con laDoxa l’istituto scatta una fotodella categoria: il 79 per centodei quadri ha un’etàcompresa fra i 35 e i 55 anni,ma solo l’1,8 per cento lavoraal Sud (quasi l’86,8 al Nord el’11,4 al Centro).

IL CASO

L’allarme dei manager“L’Italia perde il trenodell’economia digitale”

Alla banca fu permessodi non evidenziare leperdite miliardarie suicontratti derivati

AL TIMONE

Il presidentedella Commissionenazionale per lesocietà e la Borsa,Giuseppe Vegas

la Repubblica26 MERCOLEDÌ 20 MAGGIO 2015

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MILANO. Ricavi in calo a fine an-no per Vodafone (—0,8% a42,2 miliardi di sterline) matrimestre su trimestre il grup-po ha visto un progressivo mi-glioramento con un ritorno al-la crescita nel quarto trimestreper i ricavi da servizi (+0,1%).Questo rende il gruppo ottimi-sta e porta a fissare per il pros-simo esercizio 2016 un obietti-vo di Ebitda in crescita nel ran-ge di 11,5 miliardi di sterline e12 miliardi e a vedere un au-mento del dividendo, que-st’anno a 11,22 pence. «E’ sta-to un anno di continui progres-si — ha detto l’ad Vittorio Co-lao — con il ritorno alla cresci-ta organica nell’ultimo trime-stre». L’utile netto è stato di5,76 miliardi di sterline, in fles-sione rispetto ai 59,3 dell’annoscorso, che avevano però bene-ficiato della plusvalenza da48,2 miliardi legata alla cessio-ne di Verizon Wireless.

IL BILANCIO

Vodafone, utile nettoa 5,76 miliardi di sterlineColao: “Il gruppo cresce”

Vittorio Colao, ad di Vodafone

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MF

Numero 098, pag. 20 del 21/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Quel pasticcio delle nomine Consob e le incomprensibili accuse di nepotismo

di Angelo De Mattia

Resta un enigma la questione della nomina, da parte del governo, dei due commissari Consob che debbono

integrare il collegio portandolo dai tre attualmente in carica ai cinque componenti previsti dall'opportuna

modifica voluta dallo stesso governo, che ha modificato la bizzarra riduzione a tre membri del collegio di

vertice decisa dal governo Monti e singolarmente presentata come una riforma delle Authority. Nei giorni

scorsi le cronache davano come imminente la scelta di Emilio Barucci, professore di matematica finanziaria

al Politecnico di Milano, e di Marina Tavassi, magistrato, presidente di sezione civile, esperta di diritto

dell'impresa. Si riteneva che le designazioni sarebbero state deliberate nella seduta del consiglio dei ministri

di lunedì scorso, avviando così l'iter per il loro perfezionamento. E, invece, nessuna decisione finora è stata

assunta. Nel frattempo, si è scatenata una serie di vociferazioni sul conto dei possibili nominandi, che

sarebbero stati scelti tra i 160 che, presentando i curricula come richiesto da un avviso della presidenza del

Consiglio, si erano candidati alla nomina di commissario. Nel vocio sono state impropriamente chiamate in

ballo parentele e relazioni varie dei due candidati per lasciare intendere, senza un'adeguata motivazione, che

queste avrebbero potuto influire sulle scelta o, addirittura, potrebbero costituire, una volta insediati, un

potenziale conflitto di interesse dei nominati. Di questo passo, si finirà, nelle cronache, con il bruciare

qualsiasi nomina, a meno che non si tratti di un personaggio che viene da Marte. Di tutto, insomma, si è

parlato, meno che delle qualità dei designandi, delle capacità, che pure hanno dimostrato anche in interventi

di stampa, come nel caso di Barucci, al quale di certo non può essere attribuita una colpa per essere figlio di

Piero, che è stato ministro più di vent'anni fa.

Sembra, però, che il governo (si spera, non per le osservazioni delle cronache) dopo il rinvio di fatto di lunedì,

abbia deciso una pausa prima di una scelta definitiva, esaminando anche designazioni alternative. Se così è,

allora, vi è necessità di chiarezza assoluta, dal momento che non si può lasciare che vengano spesi dei nomi

come sicuri per l'imminente nomina, senza una tempestiva smentita e poi, eventualmente, concludere che è

stato tutto un equivoco oppure che si sarebbe trattato di una scelta non convincente operata da esponenti

delegati dal premier, che va rimeditata. C'è di mezzo la tutela della professionalità e, più in generale, del

nome dell'uno e dell'altra. Se così non è, se cioè i nominandi sono di fatto confermati, allora è bene che ciò

sia tempestivamente reso pubblico. In ogni caso, su tutta la vicenda è necessaria la massima trasparenza.

Dopo mesi di attesa della ricostituzione del plenum, che renderà possibile un miglior funzionamento della

Commissione e farà superare il rischio che, per l'assenza di un componente, il collegio di vertice non possa

del tutto pacificamente deliberare (perché duo non faciunt collegium), ulteriori procrastinazioni e

temporeggiamenti sarebbero inammissibili. Piuttosto, dopo avere dato vita alla barocca procedura di

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selezione, senza che ciò configuri un vero bando per un concorso pubblico, il governo, essendo stati

presentati 160 curricula, è comunque tenuto a spiegare le ragioni delle scelte e a rendere pubblici i nomi

degli aspiranti candidati (a meno che da essi o da qualcuno di essi si chieda di essere coperti da

riservatezza), pur essendo la decisione discrezionale, ma non certo arbitraria e neppure potendo servire da

copertura per scelte che si abbia in mente di compiere «a prescindere». Le motivazioni delle designazioni

sono necessarie, oltreché per l'interesse pubblico connesso alle nomine e per la delicata funzione che si va a

esercitare, anche per gli stessi prescelti che devono essere e apparire selezionati per una valutazione di

merito comparativo (ancorché non formalizzata) e non certo iussu principis. In definitiva, prima si chiude

questa vicenda, meglio è per tutti. Trasparenza e motivazioni debbono essere osservate. Non si può giocare

né con le persone né con le istituzioni. Poi andrà affrontato l'argomento della vera riforma delle Authority.

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COMMENTI E INCHIESTE 21 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LA QUESTIONE

MERIDIONALE Il

presidente Alleva: «Senza il Sud, assente da troppo tempo dalle priorità della politica, lo sviluppo non potrà che

essere penalizzato in qualità e quantità»

Per l’Istat primi segnali di ripresa

Si riparte da 0,3. Nel rapporto 2015 slancio dell’attività produttiva e degli

investimenti

L’Italia ricomincia da 0,3.C’è tutto il senso del “disgelo” del sistema economico italiano che dopo 7 anni di crisi battente è tornato alla crescita nel primo trimestre del 2015 nel rapporto annuale dell’Istat che ieri è stato presentato dal suo presidente.Giorgio Alleva ha scelto per il suo debutto alla Camera la chiave delle produzione di nuove mappe, sociali, territoriali, economiche, per la “lettura” e la comprensione di un Paese che, nel momento in cui ritrova la strada della ripresa, ha bisogno di una ricognizione accurata, in modo da inventariare non solo tutto ciò che è andato perduto negli anni della crisi ma anche gli elementi di forza dai quali ripartire. Così in primo luogo nel Rapporto si evidenzia il fatto che il recupero dell’attività produttiva non cade dal cielo ma è stato preceduto da una serie di sintomi positivi : il ritorno alla crescita della spesa per consumi nel 2018 (+0,3%) con il rafforzamento del sentiment dei consumatori nei primi mesi di quest’anno che potrebbe preludere a una moderato miglioramento della spesa del consumi; la possibilità per la prima volta più concreta che quest’anno ripartano gli investimenti. Gli esperti dell’Istat prevedono che per il 2015 «ci si attende una crescita più sostenuta dei prodotti della priorità intellettuale, più reattivi al miglioramento delle condizioni di liquidità garantito dal Qe e dal mini-euro, mentre si prevede che gli investimenti in macchine a attrezzature crescano a un ritmo più contenuto», mentre per la ripresa degli investimenti in costruzioni occorrerà attendere il 2016. C’è il fatto che, se non altro, lo scorso anno l’indicatore di “deprivazione materiale grave”che segna i confini più aspri della povertà, è ridisceso a quota 11,4% dopo che nel 2012 aveva toccato il 14,5. Insomma ,oggi ci sono tutti gli elementi per un cauto ottimismo: dal Qe che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo visto che secondo l’Istat in sua assenza si determinerebbe nel 2016 una minor crescita dello 0,7%; al mini euro, che spinge le esportazioni (+1,2 per cento nel primo trimestre 2015),oltre ai i bassi prezzi dell’energia ma anche i miglioramenti nel mercato del lavoro: nel 2014 l’occupazione è tornata ad aumentare, annota il rapporto con 88mila occupati in più(+0,4 rispetto al 2013) anche se soprattutto fra le classi di più anziane fra gli stranieri residenti e fra le donne. E ieri proprio a un cauto ottimismo si è attenuto Alleva:«Immaginiamo che la crescita continuerà e probabilmente si rafforzerà nella parte successiva dell'anno». Per valutare gli effetti sull’occupazione, ha però avvertito, bisognerà «aspettare 6 mesi da giugno», quindi inizio 2016. Inoltre, Alleva non si è sbilanciato sul superamento a livello prettamente tecnico della fase recessiva: «gli economisti sanno che un cambiamento di ciclo presuppone la persistenza di un certo segno, ne abbiamo avuto uno positivo, aspettiamo il secondo».Naturalmente, il rapporto non nasconde che proprio sul terreno dell’occupazione la distanza che ci separa dall’Europa è tuttora molto forte : da noi il tasso di occupazione è del 55,7%; per raggiungere la media europea che è pari al 64,9 %, nel complesso gli occupati dovrebbero aumentare di circa 3,5 milioni: nel caso delle donne, in particolare, per arrivare agli standard continentali servirebbero 2 milioni e mezzo di posti di lavoro. Però l’analisi dei dati di struttura del Paese permette anche considerazioni positive. Così nel rapporto si ricorda che i dati dell’ultimo censimento mostrano l’esistenza di 141 distretti industriali con elevata specializzazione nelle piccole e medie imprese della manifattura, la metà dei quali ha dato prova di capacità di resistere bene e di riorganizzarsi di fronte alla crisi. Si afferma che se è vero che la crisi non ha modificato in modo sostanziale la struttura produttiva dell’economia italiana (la dimensione media delle aziende resta 3,9 addetti), in Italia risulta in crescita il numero dei gruppi d’impresa , che sono oltre 90 mila, dunque c’è una capacità di integrarsi e fare rete. Nel 2014, aggiunge ancora l’Istat ci sono stati segnali di ripresa che hanno coinvolto un numero crescente di imprese. Così tra le aziende con più di 20 addetti del settore manifatturiero una su due ha aumentato il fatturato totale

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di almeno lo 0,8 per cento. La relazione contiene anche altre notizie positive: per esempio si documenta il fatto che anche in Italia, sebbene con una redditività ridotta rispetto ad altri Paesi, l’istruzione “paga”. Un’ indagine ad hoc dell’Istat ha messo in evidenza il fatto che nel Centro- Italia gli uomini in possesso di una laurea sono remunerati fino al 67,9 per cento in più di quelli in possesso del diploma (per le donne, però la laurea rende meno e il differenziale retributivo fra laureate e non è del 28,9 per cento). Non basta : se si esaminano gli sbocchi professionali per chi ha conseguito un dottorato di ricerca si scopre che a quattro anni dal conseguimento del titolo sono occupati 9 dottori di ricerca su 10 e l’85 per cento svolge una professione intellettuale di tipo scientifico o ad elevata specializzazione. Molti di loro vivono all’estero (si è passati dal 7% delle prime rilevazioni al 13% delle ultime) ma anche questo fenomeno, in sé, non è negativo: lo è invece la scarsa attrattività di studenti esteri da parte dei nostri atenei.C’è un solo elemento nel rapporto dove a prevalere sono le ombre e ieri il presidente dell’Istat ne ha parlato diffusamente. È la situazione del Mezzogiorno «da molti anni assente dalle priorità della policy». E se non si recupera il Sud (le sue imprese, le sue città, i suoi residenti) alle dimensioni di sviluppo e crescita, ha concluso Alleva, in Italia «sviluppo e crescita non potranno che essere penalizzati, quantitativamente e qualitativamente, rispetto agli altri Paesi».© RIPRODUZIONE RISERVATARossella Bocciarelli

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PRIMO PIANO 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

SACCONI

Convergenza tra la proposta del senatore di Ap con quella del Pd «Damiano-Baretta»: uscita da 62 anni con penalizzazione al 2-8%

Cantiere pensioni. In autunno le misure sulla flessibilità

Per le uscite anticipate Poletti non esclude

l’opzione contributivo

Entrerà nel vivo dopo l’estate in vista della stesura della prossima legge di stabilità. Ma la partita sulle modifiche alla riforma delle pensioni targata Fornero non solo è già cominciata ma fa registrate i primi posizionamenti tattici. Mentre il ministro Giuliano Poletti per i casi di uscite anticipate non chiude affatto la porta all’adozione del metodo contributivo anche per la parte attualmente retributiva degli assegni (sulla falsariga della cosiddetta “opzione donna”), il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ap), deposita un disegno di legge in chiave “flessibilità”. Che ha molti punti di contatto con un’altra proposta di legge già presentata alla Camera per il Pd da Cesare Damiano, Marialuisa Gnecchi e Pier Paolo Baretta. In entrambi casi è prevista una correzione della “Fornero” per consentire a chi è in possesso di almeno 35 anni di contribuzione il pensionamento anticipato da 62 anni in su con una penalizzazione del 2% l’anno fino a un massimo dell’8%.La maggioranza insomma sembra di fatto già compattarsi non solo per rafforzare l’ipotesi di rendere più flessibile la “Fornero” ventilata dallo stesso premier Matteo Renzi ma anche per mandare un messaggio a palazzo Chigi: il sistema di uscite anticipate deve essere imperniato su un meccanismo che prevede penalità progressive dell’assegno e non su un ricalcolo in chiave “contributiva”. Quest’ultima soluzione potrebbe però essere al centro della proposta che sarà presentate entro il prossimo mese dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, anche per recuperare risorse da destinare al reddito minimo per le fasce più povere, compresi gli over 55 senza ricollocazione nel mondo del lavoro. A confermare indirettamente che anche quella del ricalcolo con il metodo contributivo degli assegni per chi esce prima è una delle opzioni sotto la lente dei tecnici del Governo è Poletti: «È una delle 100 ipotesi, al momento non è escluso nulla. Stiamo approfondendo». Poletti conferma che le eventuali correzione della legge Fornero prenderanno forma con la legge di stabilità e aggiunge: «Quando il Governo avrà tutti gli elementi, incontrerà le parti». Ma da i sindacati arriva uno stop. Con Susanna Camusso (Cgil) che dice no «a provvedimenti estemporanei».L’idea della flessibilità in uscita piace comunque ai sindacati. Il Ddl presentato da Sacconi contiene anche misure «per sostenere l’accantonamento previdenziale in occasione della maternità» e «promuovere l’allungamento della vita attiva». Intanto dai dati forniti dal Cnel in un’audizione alla Camera emerge che le donne sono penalizzate nel trattamento pensionistico: in media i loro assegni sono del 30% inferiori a quelli degli uomini.Quanto al decreto-indicizzazioni, varato dopo la pronuncia della Consulta e su cui incombe il rischio ricorsi anche alla Corte europea di Strasburgo, il testo ha ricevuto ieri il sigillo del capo dello Stato per poi essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale con il numero 65.© RIPRODUZIONE RISERVATADavide ColomboMarco Rogari

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FINANZA & MERCATI 22 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Effetto crisi. Dal 2007 ad oggi si è allargata la «forbice» tra i benestanti e i poveri

Ocse: il 20% degli italiani ha il 61% della

ricchezza

Nella Penisola diseguaglianze più marcate rispetto alla media

parigiIl divario tra ricchi e poveri è in continuo aumento, complice la crisi che ha spinto le aziende a ridurre l’occupazione e i Governi a tagliare le spese sociali. E l’Italia – caratterizzata da una elevatissima percentuale di giovani disoccupati e dagli squilibri di un mercato del lavoro sempre più duale – non fa eccezione. Anzi.È quanto emerge dal rapporto presentato ieri dall’Ocse, che indica quattro strade per cercare di limitare un fenomeno che tra il 1990 e il 2010 ha frenato del 4,7% la crescita potenziale: combattere la disparità di genere; diminuire il divario tra lavori precari e stabili; investire sull’istruzione, in particolare quella tecnico-professionale; varare politiche fiscali più mirate.Nel 2013, l’ultimo anno del quale si hanno dati confrontabili, il reddito medio del 10% della popolazione italiana più ricca è stato superiore di 11,4 volte a quello del 10% della popolazione più povera, rispetto a una media Ocse di 9,6 volte (in Francia è di 7,4 e in Germania di 6,6). Si tratta di un dato superiore a quello del Portogallo (10,1) e che ci avvicina a Spagna (11,7) e Grecia (12,3). Nel 2007 il gap era pari a 8,9 volte (9,2 nell’Ocse) e nel 2011 a 10,3 volte (9,5). La situazione si è appunto aggravata durante gli anni della crisi: tra il 2007 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero della popolazione è sceso del 4% all’anno, mentre il calo è stato del 2% per il reddito medio totale e dell’1% per la fascia di popolazione più benestante.Sempre nel 2013, il 10% più ricco ha captato il 24,7% dei flussi di reddito, mentre il 10% più povero si è fermato al 2,2 per cento. Queste quote sono rispettivamente del 62,8% per il 40% più ricco e del 19,7% per il 40% più povero.In termini di patrimonio lo scenario è ancora più preoccupante. L’1% più ricco della popolazione detiene il 14,3% dello stock di ricchezza nazionale, cioè quasi il triplo rispetto al 4,9% detenuto dal 40% più povero della popolazione. Il 61,6% della ricchezza è in mano al 20% più benestante (dato che sale all’82,5% per la fascia del 40% di popolazione più ricca).L’Italia è anche uno dei Paesi che ha visto aumentare di più la povertà negli anni della crisi: un incremento di 3 punti tra il 2007 e il 2011, il quinto più forte tra i 34 Paesi aderenti all’organizzazione parigina. Il risultato è che il coefficiente di Gini (che misura appunto le disuguaglianze del sistema redistributivo e che va da un minimo di zero nel caso – ovviamente teorico – in cui tutti hanno lo stesso reddito a un massimo di 1 – altrettanto teorico – nel caso in cui una persona sola detiene l’intero reddito nazionale) è cresciuto in Italia dallo 0,313 del 2007 allo 0,327 del 2013. Quello medio Ocse è dello 0,315. In Francia è dello 0,306 e in Germania, uno dei Paesi con le minori disuguaglianze, dello 0,289.La povertà colpisce soprattutto i giovani (14,7% tra i 18 e i 25 anni, rispetto a una media Ocse del 13,8%) e i giovanissimi (al 17% sotto i 18 anni, con una media Ocse del 13%).Stefano Scarpetta, responsabile della direzione Ocse per il mercato del lavoro, spiega che la situazione dell’Italia è contraddistinta dal fortissimo aumento (ben superiore alla media Ocse) del lavoro cosiddetto atipico («che spesso vuol dire precario e non scelto»), che non si trasforma in lavoro stabile nei tre anni successivi. Questo avviene solo nel 20% dei casi, mentre ci sono Paesi come la Germania – che hanno saputo valorizzare le filiere della formazione professionale, usare correttamente l’apprendistato e adottato politiche mirate – in cui questa quota sale al 50 per cento.«Speriamo – ha commentato Scarpetta – che con misure come la garanzia giovani e il jobs act il fenomeno venga finalmente ridotto».

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 11 del 23/05/2015

COPERTINA

Fuori banca

Quei 90 cartellini gialliÈ un vero fuoco incrociato quello che arriva da Bruxelles sotto forma di procedure di messa in mora. L'Italia ne ha collezionate 92 e alcuni dossier sono delicati, come l'energia, l'Ilva o le autostrade

di Luisa Leone

Dalla normativa sulla «cattura di uccelli da utilizzare a scopo di richiami vivi» al caso Ilva di Taranto, dalla

«formazione delle squadre di pallacanestro» ai debiti della Pa, dalla «protezione delle galline ovaiole» al

terzo pacchetto energia, c'è davvero di tutto nelle oltre novanta procedure di infrazione avviate dall'Europa

contro l'Italia. E si tratta solo della punta dell'iceberg di un continuo dialogo e scambio di vedute che va avanti

sotto traccia, e su decine di altri dossier, nell'ambito del

sistema Ue pilot, ovvero la fase precedente all'avvio di

qualsiasi messa in mora. Quest'ultima si può poi trasformare

in un'infrazione vera e propria oppure concludersi dopo uno

scambio di vedute tra il Paese e i commissari e magari la

proposta di qualche aggiustamento da parte del governo

nazionale sotto tiro.

Al momento, tra i 92 dossier aperti da Bruxelles sull'Italia,

solo sette sono allo stadio più avanzato di vera infrazione,

con il rischio di deferimento alla Corte di Giustizia Europea e

di salate sanzioni che essa comporta. Riassumendo al

massimo, Roma è seriamente inguaiata con la Ue per

l'emergenza rifiuti in Campania, per il ricorso alle discariche

ma anche per questioni più prettamente economiche come «il

mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese che

investono in municipalità colpite da disastri naturali», gli aiuti

«in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale

pubblico» , il mancato recupero di aiuti concessi «agli

alberghi della regione Sardegna» o il non corretto recepimento delle norme contenute nel primo pacchetto

ferroviario. A quest'ultima procedura il governo sta cercando di rispondere con un decreto legislativo

all'attenzione del Parlamento, quello che contiene tra le altre cose anche la possibilità di introdurre una tassa

sull'alta velocità ferroviaria. Insomma, anche nella fase più avanzata dei contenziosi tra Stato e Commissione

i settori colpiti sono i più disparati e il fatto che, sul totale delle messe in mora, le infrazioni vere e proprie

siano poche non basta certo a far dormire sonni tranquilli, perché questi processi sono lunghi e non a caso le

infrazioni sono relative a procedure avviate più lontano nel tempo, tra il 2008 e il 2009. Peraltro, tra gli ultimi

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dossier aperti da Bruxelles, ce ne sono alcuni particolarmente pesanti come quello sui tempi di pagamento

della pubblica amministrazione, oppure quello sul non corretto recepimento delle direttive efficienza

energetica e terzo pacchetto energia. Una questione parecchio delicata quest'ultima, perché riguarda alcuni

aspetti particolarmente importanti dell'organizzazione del comparto. Secondo Bruxelles, per esempio, la

legislazione italiana esclude di fatto soggetti diversi da Terna dal ruolo di gestore di sistema di trasmissione

in interconnessioni con altri Stati, senza contare che l'utilizzo del solo modello di separazione proprietaria

farebbe della partecipata di Cdp l'unico gestore di rete certificabile ai sensi della normativa europea. Nel

mirino, poi, anche la mancata attuazione di fatto del brand unbundling tra Enel Distribuzione ed Enel Energia;

insomma, questioni che potrebbero davvero incidere sulla fisionomia del mercato italiano dell'energia. Infine,

come accennato, prima della messa in mora vera e propria la Commissione e il governo possono

confrontarsi sul terreno dell' Ue Pilot, con scambi di informazioni che nella maggior parte dei casi non sono

pubblici, proprio perché non rappresentano un'azione formale da parte di Bruxelles.

Ebbene, in questa terra di mezzo, secondo quanto risulta a Milano Finanza, giacciono al momento diverse

questioni di un certo rilievo. Innanzitutto il dossier Ilva di Taranto, non sul fronte ambientale, per il quale è già

attiva una vera propria messa in mora, ma su quello del mercato e degli aiuti di Stato. L'impianto è stato

infatti commissariato e sono in arrivo 400 milioni di finanziamenti, grazie alla concessione della garanzia

statale, oltre che un probabile intervento della spa Salvaimprese, il cui azionista principale sarà la Cdp, che

dovrebbe essere chiamata ad affrontare come primo dossier proprio l'affitto del ramo d'azienda. E con gli

occhi degli altri grandi produttori, a partire da Mittal, puntati sulle mosse di Bruxelles, è difficile che la

Commissione possa fare sconti all'Italia. Un altro fonte caldissimo è poi quello dei trasporti. A novembre 2014

in un solo mese sono piovute su Roma richieste di informazioni per sette diversi dossier due per quanto

riguarda i porti, due sugli aeroporti e tre relativi alle autostrade. Proprio il dossier sulle proroghe autostradali

del gruppo Gavio, di Autovie Venete e Autobrennero, sembra essersi avviato a conclusione la scorsa

settimana, quando con la Commissione sarebbe stata trovata un'intesa di sorta. Le richieste di

prolungamento avanzate dall'Italia sono state di molto ridimensionate ma pare che alla fine, almeno questa

volta, Roma l'abbia spuntata. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 16 del 23/05/2015

INCHIESTA

Previdenza

Cantiere pensioniDigerita la sentenza della Consulta, ora il tema dominante è la maggiore flessibilità in uscita. Ma in ballo c'èanche il rebus disoccupati over 55 e la rivoluzione da attuare all'Inps, dove regnano inefficienza e scarsa trasparenza. Parola di presidente

di Luisa Leone

L'Inps da rivoltare come un calzino, la legge Fornero da riformare e una soluzione da trovare per i disoccupati

over 55. Tutto lavoro per il governo e il nuovo presidente dell'Inps, Tito Boeri, alle prese con il cantiere senza

fine delle pensioni. Appena archiviata la questione Consulta, trovando una soluzione minimale (costo 2,2

miliardi) per i rimborsi dovuti per la mancata indicizzazione nel 2012-2013, si è infatti subito aperto un altro

fronte, quello della maggiore flessibilità da concedere a chi voglia lasciare in anticipo il lavoro, rispetto ai

paletti rigidissimi fissati dal governo Monti nel 2012. Sulla necessità di intervenire, per una volta, tutti sono

d'accordo: dal premier Matteo Renzi,

che nel suo stile ha subito dipinto il

problema con l'immagine di una

nonna 62enne che voglia rinunciare a

qualche decina di euro per godersi il

nipotino; al ministro del Lavoro,

Giuliano Poletti, alle forze di

maggioranza e d'opposizione, fino

allo stesso Boeri. Strada in discesa

allora? Niente affatto. Perché come sempre quando si apre il delicato capitolo pensioni, bisogna fare i conti

con le esigenze di bilancio, ancor più se si pensa che, secondo i calcoli di Ragioneria e Inps, le uscite

anticipate potrebbero costare fino a 45 miliardi, senza mitigazioni.

Il punto allora è quali meccanismi introdurre per rendere la flessibilità sostenibile. Renzi si è limitato a dire

che il governo ha intenzione di intervenire con la legge di Stabilità entro il prossimo autunno, mentre Poletti

non ha escluso nessuna ipotesi al momento. Un po' più circostanziato è stato l'intervento del sottosegretario

all'Economia Pier Paolo Baretta, che ha fatto riferimento alla possibilità di utilizzare il sistema delle

penalizzazioni per chi decide l'uscita anticipata rispetto ai 66 anni, senza aver maturato il requisito minimo di

oltre 40 anni di contributi previsti dalla Fornero. D'altro canto il sottosegretario è tra i firmatari, insieme al

presidente della commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano (minoranza Pd), di una proposta di legge

che prevede appunto la possibilità di lasciare il lavoro con almeno 35 anni di contributi, tra 62 e 70 anni d'età,

con una penalizzazione del 2% sull'assegno per ogni anno d'anticipo, per un massimo dell'8% complessivo.

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cosiddetta «Opzione donna», che consente alle lavoratrici ancora fino alla fine di quest'anno di andare in

pensione con 57 anni di età e 35 di contributi ma accettando il ricalcolo dell'intero assegno pensionistico con

il sistema contributivo invece che retributivo. Il che comporterebbe una sforbiciata tra il 20 e 30%: tanto,

troppo per chi ha a disposizione assegni già bassi. Eppure secondo Poletti al momento nessuna ipotesi può

essere esclusa, neanche questa. Vale allora la pena ricordare che tra le ipotesi circolate in passato c'è anche

quella del prestito pensionistico, che era stato studiato dal predecessore di Poletti, Enrico Giovannini, che

consiste sostanzialmente nella possibilità di andare in pensione con un assegno di circa 700 euro al mese,

corrisposti come una sorta di contributo statale che poi sarà rimborsato in piccole rate dal lavoratore una

volta ottenuta la pensione piena. Un'altra ipotesi che circola sottotraccia è quella di finanziare, almeno in

parte, la flessibilità in uscita con un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte. Una norma di equità

secondo molti, soprattutto per quelle pensioni che sono state calcolate con il metodo retributivo e quindi

superano anche di diverse volte la cifra versata durante la vita lavorativa, ma che aprirebbe un altro vaso di

Pandora: qual è la soglia oltre la quale una pensione può considerarsi ricca? Finora le cifre in ballo quando si

è trattato di individuare penalizzazioni, come la mancata o ridotta indicizzazione, sono state davvero basse:

dai 1.440 euro lordi per lo stop previsto dalla legge Fornero per il biennio 2012-2013 ai 3 mila euro stabiliti dal

governo Renzi come limite entro il quale non si avrà diritto a nessun rimborso per quel mancato

adeguamento bocciato dalla Consulta.

In questo senso un assist al governo potrebbe comunque venire dall'operazione trasparenza lanciata da

Boeri. Ormai da qualche tempo l'Inps pubblica sul suo sito i conti delle categorie che più si avvantaggiano del

calcolo retributivo delle proprie pensioni. Finora sotto la lente sono finiti il Fondo Speciale Ferrovie dello

Stato, quello dei dirigenti ex Inpdai, quello per il Trasporto aereo, il Fondo dei telefonici e l'omologo degli

elettrici e quello del trasporto pubblico. Secondo indiscrezioni, in base ai calcoli dell'istituto di previdenza, da

un aggiustamento su queste pensioni generose si potrebbero ottenere circa 2 miliardi di spesa da utilizzare,

per esempio, per garantire gli over 55 che perdono il lavoro e non ne trovano un altro. Un problema legato al

rischio povertà, molto sentito da Boeri, che la settimana scorsa nel corso di un'audizione alla Camera, ha

assicurato che entro un mese l'istituto presenterà una proposta «chiavi in mano» per risolvere il problema.

Come pure, entro giugno, l'Inps presenterà la sua idea per la modifica in senso più flessibile della legge

Fornero: «Nel farla serve guardare al sistema contributivo. Perché se avessimo usato il sistema pro rata per

tutte le pensioni retributive nel 1995, la situazione oggi sarebbe molto diversa», ha detto in merito il

presidente dell'istituto.

Qualunque sarà alla fine la scelta dell'esecutivo per dare maggiore libertà ai lavoratori alla fine della loro

carriera, già da ora si può dire che un'Inps in piena forma sarà fondamentale per la buona riuscita di tutta

l'operazione. Il che richiederà a sua volta molto lavoro, visto che il suo neo-presidente l'ha descritta come un

malato quasi terminale. La requisitoria di Boeri sull'istituto che è stato di recente chiamato a dirigere, fatta

sempre in un'audizione in Parlamento, lo scorso 20 maggio, è stata infatti impietosa e ha tracciato un quadro

desolante. Per l'economista l'organizzazione dell'apparato dell'Inps, e in particolare della dirigenza, si basa su

molteplici progetti di «dubbia rilevanza» che sembrano avere ragione d'esistere solo per dare un incarico a

tutti i 48 dirigenti risultati dalla fusione di Inps, Inpdap ed Enpals. Ancora Boeri ha denunciato procedure poco

trasparenti per le consulenze, tanto che nel bilancio 2015 non c'è traccia di spese per questa voce,

nonostante i molti contratti in essere. Il che d'altronde non meraviglia se si pensa che il presidente definisce il

bilancio Inps come «poco trasparente» e non leggibile neanche da «supertecnici». Ancora emerge che

sull'istituto pendono indagini dell'Autorità Anticorruzione per fatti rilevanti, come rapporti con società esterne

all'istituto affidati senza gara. Infine un appunto anche alla scarsa attenzione alla gestione dei crediti, lievitati

alla cifra monstre di 94 miliardi, e una gestione diretta degli immobili che porta solo inefficienze. Insomma,

non resta che decidere da che parte cominciare. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 17 del 23/05/2015

INCHIESTA

Commento

Quell'emergenza tirannaLa sentenza della Consulta sulle pensioni ha smascherato un'insostenibile strategia di politica economica: ilrigore nei conti non può rappresentare una scorciatoia per confiscare i diritti dei cittadini

di Guido Salerno Aletta

«Ce n'est qu'un début, continuons le combat». Neppure è stato pubblicato il decreto legge con cui il governo

Renzi ha disciplinato il blocco dell'adeguamento delle pensioni superiori a tre volte l'importo minimo

dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, che già si preannunciano nuovi ricorsi alla Consulta. Si

ingrossa il drappello di irriducibili che si sono opposti al rigore

finanziario imposto all'Italia dall'Ue e dai mercati finanziari a

partire da metà 2011. La mannaia della Corte era già calata

sulla Robin Tax e più di recente sulla tassa sulle e-cigarette,

viziate dall'insussistenza della capacità contributiva e dall'uso

abnorme dello strumento tributario. In vista c'è la sentenza

sulla cristallizzazione delle retribuzioni del pubblico impiego,

decisione assai più penalizzante del blocco della

contrattazione. Non è solo la nostra Corte Costituzionale a

mettere in riga i governi: è stata la Corte di Giustizia Ue a

condannare l'Italia per non aver assunto stabilmente un insegnate precario che aveva prestato servizio

ininterrottamente per più di 36 mesi. Se ora si discute finalmente dell'immissione in ruolo di oltre centomila

precari, è solo per una decisione giurisdizionale. Attivata da uno solo, vale per tutti. Si rimedierà, ma intanto

nessuno ha fatto i conti di quanto costoro hanno già perduto in termini di carriera retributiva e contributi

previdenziali. Si sta aprendo un vaso di Pandora: la Corte Costituzionale ha dimostrato che i governi non

danno piena contezza al Parlamento delle decisioni che assumono e meno ancora delle conseguenze cui

vanno incontro.

Il decreto Salva Italia fu presentato come l'ultima spiaggia per evitare il baratro finanziario, costringendo i

parlamentari ad approvarlo. Furono, e sono ancora, tempi di inaudita violenza politica e mediatica nei

confronti delle istituzioni, prima nei confronti del Parlamento e ora della stessa Corte: chi doveva fare i conti

non li ha fatti e se li ha fatti li ha tenuti nascosti. Non si spiegherebbero altrimenti il caotico affastellarsi di cifre

e stime sugli oneri derivanti dall'eliminazione del blocco delle pensioni, le incertezze sull'entità degli arretrati,

le accuse rivolte alla Corte di non essersi fatta carico delle conseguenze devastanti sui conti pubblici e le

critiche per la scarsa efficacia della difesa dell'Avvocatura dello Stato. Sono considerazioni, queste ultime,

assolutamente ingenerose: i dati dovevano essere forniti dal governo citato in giudizio, che si è ben guardato

dal farlo, così come già nulla risultava dagli atti parlamentari relativa alla discussione del blocco delle

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pensioni. Se il principio del pareggio di bilancio veniva messo in pericolo, visto che nel complesso il costo del

ripristino dell'indicizzazione delle pensioni potrebbe arrivare a 20 miliardi, è ben vero che «non erano dati di

cui disponevamo», come ha candidamente ammesso lo stesso presidente della Corte Alessandro Criscuolo,

anche se poi ha aggiunto: «Noi non facciamo valutazioni di carattere economico». La Corte Costituzionale ha

dichiarato illegittimo il blocco delle pensioni perché violava il criterio di ragionevolezza: la norma era stata

decisa senza alcuna giustificazione e senza che nessuno si peritasse di chiarire di quanti soldi si trattasse né

a che cosa servisse il risparmio. E difatti nella relazione tecnica al decreto non veniva fornito alcun impatto

migliorativo sul deficit dello Stato. Neppure risultava l'impatto prospettico, in termini di minor deficit del

complesso delle pubbliche amministrazioni, rilevante ai fini del Fiscal Compact. In conclusione, il blocco

comportava un risparmio sulla spesa previdenziale di cui non si chiarivano la ragione, l'ammontare e la

finalità.

Ricostruendo l'iter parlamentare, la Corte ha ricordato che inizialmente il decreto prevedeva il blocco dei

trattamenti pensionistici di importo superiore a due volte il trattamento minimo, pari quindi a 946 euro, e che il

ministro competente chiarì che la misura non confluiva nella riforma pensionistica ma era un «provvedimento

da emergenza finanziaria». Il blocco fu portato a tre volte il minimo, ma poteva tranquillamente salire a otto

volte: fu una discussione senza fondamento metodologico e senza obiettivo di risparmio da conseguire. Ma

così è andata avanti per mesi, con l'Italia presa a badilate, fingendo di avere gli occhi chiusi: questo emerge

dalla sentenza. Secondo la Corte, invece, il blocco dell'adeguamento delle pensioni al costo della vita è ben

possibile, e difatti è stato più volte disposto, ma deve essere chiaramente motivato. E, soprattutto devono

essere palesi i nessi tra i sacrifici disposti e lo squilibrio previdenziale. Risulta quindi strano che ora di tutto si

discuta tranne che del bilancio dell'Inps e delle relazioni tra finanza pubblica e gestioni previdenziali. Occorre

chiarezza sui contributi previdenziali che ciascuno ha versato, come ha chiesto su queste colonne Paolo

Savona, per far emergere l'entità dei benefici pubblici di cui ciascuno eventualmente usufruisce. Lo stesso

presidente dell'Inps Tito Boeri si sta impegnando a tal fine. Ma serve ancor più chiarezza nelle decisioni

pubbliche, vista l'opacità con cui sono state assunte le misure fiscali che hanno inciso sulla vita dei cittadini

italiani con conseguenze devastanti: dal 2011 al 2014 il pil reale è caduto del 4,3%, la disoccupazione è

salita dall'8,4 al 12,8%, il rapporto debito-pil dal 116,4 al 132%. Non viene detta tutta la verità, ora come

allora: veniva perseguita la recessione come strumento di recupero della competitività esterna, aumentando

le tasse e tagliando le pensioni, per far crollare la domanda interna. La disoccupazione di massa rappresenta

un obiettivo di politica economica, per far abbassare salari e prezzi: non è una casualità né un mero incidente

della Storia. Mentre per la crescita servivano e servono più investimenti in innovazione, per continuare a fare

profitti senza investire basta tagliare stipendi e dipendenti. È stata adottata e si continua ad adottare la

deflazione competitiva, fallita dappertutto, visto che la Bce ha dovuto avviare il Qe per evitare il tracollo dei

prezzi. Dopo le ire del mercato, che nel 2011 bastonava l'Italia con lo spread per un debito pubblico al

116,4%, ora che siamo al 132% paghiamo interessi a tassi mai così esigui. Il debito è salito, abbiamo lo

stesso rating, ma paghiamo un premio al rischio di 500 punti base inferiore per una crescita ancora tutta da

venire.

Sono finiti gli anni in cui in Italia prevaleva la solidarietà tra le categorie sociali e i territori, in cui si poteva

dare un po' a tutti. Il Meridione beneficiava dei trasferimenti a carico di un Nord più ricco, mentre nel settore

pensionistico non c'è stata quella radicale riforma universalistica introdotta nella sanità con il Servizio

nazionale. Mentre le mutue sanitarie sono sparite, sono rimasti i fondi previdenziali su base corporativa. Ci

sono fenomeni storici, economici e tecnologici che rendono assurdi la mancanza di cooperazione tra le

diverse gestioni o il diniego del sostegno della fiscalità generale: l'odierna forza lavoro nelle campagne non

può sostenere da sola il peso dei contadini in pensione. Ora però c'è il rischio opposto, quello di togliere

anche il giusto, in omaggio a una malintesa solidarietà intergenerazionale. I giovani, sempre più disoccupati,

sono fomentati a inveire contro i padri o i nonni perché con le loro pensioni ruberebbero loro il lavoro. Serve

nuova occupazione e nuovo reddito. C'è già stato un furto di verità, che la Corte ha smascherato, ma che si

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cerca nuovamente di occultare. Se fosse stato indicato il risparmio per la spesa dell'Inps, certamente sarebbe

stata meglio stimata anche la riduzione della domanda interna che ne è derivata e che nessuno aveva

dichiarato. La Corte ha mandato un messaggio preciso: nelle decisioni legislative servono chiarezza e

razionalità, motivazioni ineccepibili e presupposti concreti. Ogni giorno si allunga la lista dei balzelli: sulle

pensioni siamo partiti con il tetto alla retribuzione pensionabile, si è aggiunto il blocco della rivalutazione

all'inflazione e infine si è imposto il contributo di solidarietà; sui redditi, oltre alle aliquote statali, ci sono le

addizionali regionali e comunali; sulla casa non si sa più quali e quante siano le tasse. L'equità, soprattutto

quando ci sono sacrifici da chiedere, deve essere misurabile: il rigore non può essere una scorciatoia per

confiscare i diritti dei cittadini, i loro redditi, i loro beni. Ecco perché la confusione mediatica e il decisionismo

politico devono farla da padroni: perché, quando finalmente si capisce che cosa si è deciso, è tardi per

rimediare. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 18 del 23/05/2015

Welfare

La flessibilità al potereL'ex ministro del Lavoro, Giovannini, dà un giudizio positivo sul decreto che vara i mini rimborsi dopo la sentenza della Consulta. Intanto rilancia l'idea dell'autoprestito. E risponde per le rime a Orfini sui tecnici

di Carla Signorile Class Cnbc

La consegna della campanella da Enrico Letta a Matteo Renzi è stato il passaggio di consegne più glaciale

della storia. Ma in politica, si sa, bisogna essere pragmatici. Così al momento di rimediare al blocco

dell'indicizzazione delle pensioni, definito illegittimo dalla Corte Costituzionale, il premier ha deciso di

adottare uno schema che, guarda caso, si ispira a quello varato dal governo Letta. Alla trasmissione di Class

Cnbc I vostri soldi, la prima dedicata

alla finanza personale, l'allora ministro

del lavoro, Enrico Giovannini, ha

commentato il decreto legge varato

dal governo in seguito alla storica

sentenza della Consulta. È stata

anche l'occasione per riflettere sulla

flessibilità in uscita dal mondo del

lavoro, con l'ennesima riforma delle

pensioni che si delineerà tra giugno e la prossima legge di stabilità.

Domanda. L'indicizzazione adottata dall'esecutivo Letta, di cui lei era ministro del Lavoro, è stata presa a

modello dalla Corte Costituzionale. Come giudica la risposta del governo?

Risposta. Il decreto dovrebbe rispettare i criteri fissati dalla Corte. In effetti il decreto che firmai, insieme al

governo Letta, è stato approvato dalla Consulta perché graduava l'intervento a seconda del valore delle

pensioni.

D. È stato corretto, quindi, non restituire tutto a tutti?

R. Credo che in questa fase dobbiamo stare attenti ai conti pubblici perché le debolezze restano notevoli,

non siamo fuori dall'emergenza e mi dispiace molto sentire dal governo che dopo l'utilizzo del cosiddetto

tesoretto per restituire i soldi ai pensionati non si potrà fare l'intervento sulla povertà che, secondo me, è

assolutamente prioritario. Spero che il governo, magari con il miglioramento dell'economia, possa trovare

anche lo spazio per occuparsi di chi è in enorme difficoltà, anche usando lo schema del

Sostegno all'inclusione attiva (Sia) che proposi quando ero ministro.

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D. Torniamo a quando lei era ministro. Aveva capito subito che non funzionava quel blocco

dell'indicizzazione firmato dal suo predecessore, Elsa Fornero?

R. C'erano preoccupazioni forti. La principale era legata al fatto che ci fosse una soglia al di sotto della quale

scattava l'adeguamento e poi, magari per un euro in più, il pensionato si trovava decurtato in maniera

significativa. Per questo abbiamo preferito operare per scaglioni anticipando il giudizio della Corte perché, in

questo modo, tutte le pensioni sono indicizzate anche se in misura diversa.

D. Ha ancora senso mettere mano, per l'ennesima volta, alle pensioni, magari con un contributo di solidarietà

a carico di chi ha l'assegno pensionistico liquidato con il più generoso sistema retributivo rispetto a quello

contributivo? La Consulta, ancora una volta, sembra proteggere i diritti acquisiti

R. Segnalo la presenza di tre problemi diversi. Il primo è che nella Costituzione non abbiamo il concetto di

equità intergenerazionale. La Corte deve decidere, secondo la Carta, nell'ambito della generazione corrente.

Questo è un elemento che dovrebbe essere ripensato perché, nel passato, abbiamo scaricato sulle

generazioni future il benessere di oggi. E questo in qualche modo va riequilibrato.

D. Un'anomalia tutta italiana?

R. Sì, tra l'altro proprio a settembre tutti i Paesi del mondo firmeranno l'impegno di rispettare gli obiettivi di

sviluppo sostenibile. Il concetto di sostenibilità va inserito nella Costituzione non solo dal punto di vista

finanziario, come fatto con la modifica dell'articolo 81. Finché questo non verrà fatto, sarà difficile che la Corte

possa giudicare diversamente.

D. Quali sono gli altri due problemi?

R. Il secondo aspetto riguarda la possibilità di fare un calcolo preciso, a ritroso, di ciò che ognuno ha

contribuito a versare. Questo è sostanzialmente impossibile, tant'è vero che nei sistemi attuali, per esempio

quelli che si usano per l'opzione donna, ci sono meccanismi forfettari. Ma io non credo che un giudice

accetterebbe una valutazione approssimativa per ricalcolare le pensioni a ritroso.

D. Da ultimo, che cosa bisogna considerare?

R. Il terzo problema riguarda il futuro delle pensioni. Sappiamo che con il sistema contributivo, soprattutto per

vite lavorative discontinue, ci saranno molte persone che otterranno livelli molto bassi di pensioni. Per cui

abbiamo bisogno di guardare a medio e lungo termine. Per questo, ribadisco, il tema della povertà è

fondamentale perché solo con un sistema come il Sia (cioè un reddito minimo condizionato a comportamenti

virtuosi del beneficiario, ndr) si possono davvero tutelare i diritti dei più deboli come accade in quasi tutti i

Paesi europei, eccetto l'Italia e la Grecia.

D. Non a caso sono i due Paesi con il rapporto debito pil alle stelle

R. In verità, la Grecia sta introducendo questo meccanismo. Io avevo provato a introdurlo, ma ricevetti

soltanto 40 milioni dal Parlamento, mentre sarebbero serviti circa 7 miliardi per azzerare la povertà. E noi non

li avevamo.

D. Soldi di cui neppure questo governo ha la disponibilità.

R. Diciamo che sono stati usati per gli 80 euro, senza peraltro ottenere gli effetti di spinta sui consumi che si

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attendevano.

D. Allora c'erano le elezioni europee alle porte. Non ha condiviso la scelta di Renzi sugli 80 euro?

R. È stata una misura coerente con la speranza di far ripartire i consumi. In realtà, le analisi mostrano che in

condizioni di incertezza, cioè se si ha paura del futuro, molte persone tendono a risparmiare. Questo non

sarebbe stato il caso per i poveri proprio perché il meccanismo che avevamo disegnato imponeva, attraverso

una carta di credito, la spesa di queste somme. Però è inutile discutere del passato, anche se il tema è

ancora all'ordine del giorno, visto che in Italia abbiamo 6 milioni di poveri assoluti e di questi 1,3 milioni sono

minori.

D. Il presidente dell'Inps, Boeri, sta studiando la possibilità di dare un reddito agli over 55 che perdono il

lavoro e che sicuramente, ha detto l'economista, non sarebbero in grado di trovarne un altro. L'ex ministro

Treu a I vostri soldi aveva detto che 55 anni è un'età troppo bassa per andare in pensione. Chi ha ragione?

R. Il problema esiste, visto che l'età pensionabile si avvicinerà a 67 anni. Le imprese non desiderano avere

persone troppo anziane soprattutto per certi tipi di attività. D'altra parte, non si può negare che l'allungamento

della vita lavorativa è una necessità proprio perché si allunga la vita complessiva.

D. Ogni volta che si parla di flessibilità in uscita torna in auge la sua proposta dell'autoprestito. Come

funzionava?

R. Era un meccanismo, non costoso sul piano finanziario, che però poteva rispondere alle necessità di molte

persone e delle imprese. Volevo sperimentarlo gradualmente, proprio perché dovevamo capire quante

persone potevano essere interessate ad accedere a questo meccanismo. Constato che, ultimamente, più

volte, questo tema è stato sollevato nelle discussioni pubbliche e questo mi fa piacere.

D. Oltre all'autoprestito, ci sono altre proposte come quella Damiano della penalizzazione del 2%

sull'assegno pensionistico per ogni anno di anticipo rispetto ai 66 anni. Costa meno l'auto-prestito rispetto

alle penalizzazioni?

R. Se improvvisamente centinaia di migliaia di persone andassero in pensione, mentre avrebbero dovuto

andarci scaglionate in futuro, si genererebbe immediatamente un carico sul bilancio pubblico che, secondo le

regole europee, farebbe saltare i conti, indipendentemente dal meccanismo tecnico con cui si realizza.

Quindi il vero problema è che non può essere un'operazione di massa perché i costi sarebbero davvero

insostenibili.

D. Quindi come si affronta il problema?

R. Io avevo già fatto un testo di legge, che aveva avuto anche l'ok della Ragioneria Generale, per fare una

sperimentazione su diverse decine di migliaia di persone, al fine di testare il meccanismo. Tra l'altro c'era

l'idea per cui, se l'impresa avesse voluto incentivare l'uscita del lavoratore, avrebbe potuto aggiungere una

somma variabile a quello che il lavoratore prendeva attraverso il meccanismo del prestito, proprio per

incoraggiarlo a lasciare il lavoro. In sostanza era un meccanismo molto flessibile.

D. Come valuta l'andamento del mercato del lavoro?

R. Vediamo dai dati che, nonostante la crisi, il tasso di occupazione in età adulta aumenta: le persone stanno

di più al lavoro. E questo, visto l'andamento negativo o, solo recentemente, leggermente positivo del pil,

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blocca l'ingresso delle giovani generazioni.

D. In conclusione, come risponde al Presidente del partito democratico, Orfini, che ha dichiarato che i tecnici

al governo non sono poi così bravi, per usare un eufemismo?

R. Pensare che una sola persona possa risolvere i problemi è scorretto. Il ministro lavora sempre con uno

staff; anzi, c'è il concerto di più ministri. Senza contare che poi, in Parlamento, ci sono i partiti che votano

quello che il governo propone. Quindi se ci sono stati degli errori, ammesso che ce ne siano stati, le

responsabilità sono state molto condivise.

D. L'ex ministro Fornero ha detto che non rifarebbe l'esperienza di ministro del Lavoro. Lei?

R. Sì, mi piacerebbe rifarlo perché non c'è nulla di più importante che cercare di aiutare i disoccupati, i poveri,

i giovani e gli anziani in difficoltà, cioè i più deboli della nostra società, ma naturalmente non sta a me

decidere. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 19 del 23/05/2015

Morando: non temiamo nuovi ricorsi

«La Corte costituzionale non ha mai detto che dovevamo restituire tutto a tutti. Chi ha detto il contrario ha

equivocato clamorosamente». Enrico Morando, vice ministro Economia, non ha dubbi: il bonus una tantum

varato dal governo che restituisce ai pensionati da 278 a 750 euro (lordi) rispetta in pieno la sentenza,

rendendo vani i futuri ricorsi.

Da dove nasce la sicurezza del vice ministro? «Dalla valutazione della sentenza», spiega Morando alla

trasmissione I vostri soldi di Class Cnbc, «l'abbiamo letta, invece di commentarla prima di leggerla, e in

secondo luogo abbiamo ipotizzato di intervenire rispettando la Costituzione che, all'articolo 81, prevede che il

bilancio si definisca conseguendo l'obiettivo di equilibrio tra le entrate e le spese. Coloro che hanno ipotizzato

che la sentenza imponeva di pagare tutto a tutti hanno equivocato clamorosamente

sul senso di questa sentenza. Noi, infatti, abbiamo deciso un intervento che, sulle

pensioni più basse, realizza un recupero rispetto al blocco del 2012/2013 e

introduce un criterio di progressività per consentire alle pensioni appena sopra tre

volte il minimo l'adeguamento massimo possibile, compatibilmente con la

disponibilità finanziaria».

Nessun timore di nuove bocciature. «Rispetto la volontà di coloro che vorranno fare

ricorso, ma la sentenza della Corte ha dichiarando l'illegittimità dell'intervento del

dicembre 2011 per due precise ragioni: perché ha durata biennale e perché è un

blocco non progressivo», precisa il vice ministro. «Entrambe le criticità sono state affrontate».

Morando smentisce che le fasce di reddito siano state determinate partendo dalla disponibilità del cosiddetto

tesoretto. L'obiettivo è stato adeguare all'inflazione le pensioni immediatamente superiori a tre volte il minimo.

Le conseguenze della decisione del governo si sentiranno anche negli anni successivi per il cosiddetto effetto

trascinamento, ovvero l'innalzamento della base di calcolo che produrrà un incremento anche dopo il 2015.

«In sostanza, abbiamo tentato di realizzare un intervento che fosse compatibile con l'esigenza di mantenere

l'equilibrio di bilancio, ma contemporaneamente fosse in grado di risolvere entrambi i problemi fondamentali

sollevati dalla Corte», puntualizza il vice ministro.

Pensionati insoddisfatti e che approfittano dell'imminente voto regionale per esprimere la delusione di non

ricevere il gruzzoletto ipotizzato sui giornali (da 1.700 a 3 mila euro)? Gli occhi sono puntati su Liguria e

Veneto, le regioni in bilico secondo i sondaggi. Morando sembra fiducioso: «Non riesco a capire per quale

ragione la decisione che abbiamo preso sarebbe impopolare: ci sono più di tre milioni e mezzo di pensionati

che non avevano avuto alcun adeguamento e che invece, adesso, grazie a questo intervento, ce l'avranno.

La sentenza della Corte non stabilisce che dovevano recuperare tutto l'adeguamento. I cittadini liguri e veneti

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sono adulti e sanno che il 31 maggio andranno a votare per un buon governo regionale. Sono molto fiducioso

e penso che le buone performance del governo di centrosinistra in Liguria, e le non brillantissime

performance di governo della regione Veneto (governata da Zaia–Lega, ndr), abbiano aperto ampie

possibilità a un nostro successo. Semmai, l'intervento che abbiamo realizzato in termini di equità, tenendo

conto della sentenza della Corte sulle pensioni, ci aiuterà a vincere meglio. Non capisco perché dovrebbe

danneggiarci».

Alle critiche di chi sostiene che il governo avrebbe potuto aumentare il bonus ai pensionati attingendo alla

spending review, Morando rivendica i risultati ottenuti. «Non è vero che la revisione della spesa, nel corso

degli ultimi anni, anche prima dell'arrivo del governo Renzi, non abbia dato risultati», ribatte il vice ministro.

«Sono stati utilizzati metodi a dir poco brutali e discutibili, come i tagli lineari, che qualche risparmio l'hanno

prodotto sul fronte della messa sotto controllo della spesa. La sfida vera che non abbiamo vinto, per ora, ma

che vogliamo vincere, è semmai quella di collegare, più stabilmente, l'attività di revisione della spesa con una

più radicale riforma della pubblica amministrazione. Ci stiamo lavorando in Parlamento con la legge delega

ma che è lontana dall'essere realizzata».

Intanto, sul fronte delle pensioni si torna a parlare dell'ennesima riforma, per consentire una maggiore

flessibilità in uscita dal mondo del lavoro. «Dobbiamo organizzare interventi di correzione delle regole

fondamentali del sistema previdenziale che non comportino aumenti ulteriori della spesa previdenziale ma, al

massimo, una sua diversa distribuzione nel tempo», conclude Morando. (riproduzione riservata)

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Milano Finanza

Numero 100, pag. 20 del 23/05/2015

INCHIESTA

Pensioni

Le ragioni del retributivoRitorna la tentazione di colpire i cosiddetti privilegiati del sistema precedente rispetto all'attuale metodocontributivo Sulla base di un mucchio di inesattezze e di errori di matematica

di Pier Luigi Piccari

Alla sentenza della Consulta che ha annullato il blocco della indicizzazione delle pensioni più alte (oltre tre

volte il minimo) ha fatto seguito una tempesta: applicabilità automatica, immediata o graduale, completa o

parziale? Un vortice di parole (retributivo e contributivo, giovani e vecchi, equità e privilegi, pensioni ricche e

povere, diritti acquisiti e sostenibilità, operazioni verità e buste arancione ecc.) anima le interviste dei politici e

i dibattiti dei talk show. Far chiarezza non è facile in una materia complessa, ricca di normativa e densa di

interessi, consapevoli o rappresentati

che siano, ma qualche tentativo è

possibile.

In merito alla dialettica sui metodi di

determinazione della pensione

(retributivo a fronte del contributivo) e

sulla loro equità si può riflettere sulle

valenze tecniche dei due metodi e

delle dinamiche storiche che ne

hanno determinato la nascita e le

successive modificazioni.

Può sembrare astratto, ma sul piano

tecnico-attuariale si può dimostrare

che i due sistemi possono dare, sotto

determinate condizioni, eguali prestazioni e costi. È quindi disinformazione quella che vuole il sistema

contributivo bello ed equo, a fronte del retributivo frutto di iniquità e privilegi.

Per il confronto tra retributivo e contributivo è sufficiente definire una identità che renda eguali le pensioni di

vecchiaia, acquisibili dopo 40 anni di anzianità e di contribuzione, determinate secondo i due sistemi.

A tal fine è utile un modello finanziario che, a fronte della legge di sopravvivenza attualmente prevista

dall'Inps dopo il 70esimo anno d'età e del già stabilito tasso di attualizzazione delle future rate di pensione,

che insieme determinano i coefficienti di trasformazione, del montante dei contributi versati nella pensione

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spettante, permette di delineare diverse ipotesi dell'aliquota contributiva necessaria per determinare un dato

valore della pensione, in funzione di alternative misure sia della crescita della linea salariale, sia del tasso di

capitalizzazione dei contributi versati.

Sulla base di tali ipotesi alternative è possibile determinare un coerente quadro di aliquote contributive

sufficienti a garantire una misura della pensione di vecchiaia dopo 40 anni, determinata con il sistema

retributivo nella misura dell'80% della retribuzione media dell'ultimo decennio, eguale a quella data dal

sistema contributivo, sulla base del coefficiente di trasformazione applicato al montante contributivo

accumulato.

Nella tabella in pagina sono riportati i valori dell'aliquota contributiva, corrispondenti a ciascuna coppia di

valori del tasso di crescita della linea salariale e del tasso di capitalizzazione dei contributi, sufficiente a

garantire una pensione esattamente uguale, sia se essa sia di vecchiaia, determinata con sistema

contributivo a 70 anni dopo 40 anni di contributi capitalizzati, sia se essa venga calcolata con il sistema

retributivo sulla base dell'80% del valore medio delle ultime dieci retribuzioni annue opportunamente

rivalutate.

Come si vede, esiste comunque un'aliquota contributiva di equilibrio che garantisce identiche prestazioni

nell'uno e nell'altro dei metodi. È ovvio che la coerenza tra i due sistemi chiede che a tale aliquota d'equilibrio

nel caso del sistema retributivo debba corrispondere la stabilità del rapporto tra valore delle pensioni vigenti e

massa salariale sottoposta a contribuzione.

È interessante notare che una diagonale della tabella, quella che corrisponde a valori del tasso di

accumulazione dei contributi inferiori di mezzo punto a quello della crescita della linea salariale, riporta

misure dell'aliquota contributiva di equilibrio, pari al 32,8%, non dissimili dall'aliquota attualmente in vigore:

sembra altrettanto chiaro che innalzare il tasso di capitalizzazione permetterebbe di diminuire l'aliquota

contributiva e, di conseguenza, il costo del lavoro.

E a proposito di questo tasso, si può porre una questione di iniquità: lo Stato da un lato riconosce

all'assicurato il tasso medio di crescita nominale del Pil dell'ultimo quinquennio mentre lucra, a suo vantaggio,

la differenza dal tasso del debito pubblico emesso nell'anno; oppure, in alternativa, dal vigente tasso medio

espresso dal Rendistato. Occorre invece riconoscere all'assicurato il più banale tasso di redditività, quello di

un investimento senza rischio nel mercato dei capitali, e direttamente legato, oltre che alla crescita

economica implicita, alla redditività reale del denaro, al tasso di inflazione e al rischio paese.

Tornando al confronto tra retributivo e contributivo, sono le dinamiche storiche a privilegiare l'una o l'altra

soluzione. Non si giustifica quindi la posizione di coloro che avversano il sistema retributivo come iniquo per

natura, commiserando il destino dei giovani che non potranno più godere dei privilegi dei loro padri, per

trovare (come sembra voler fare il presidente dell'Inps, Tito Boeri) finanziamenti con esazioni sulle differenze

tra gli attuali trattamenti retributivi e quelli virtuali contributivi dagli attuali pensionati.

La ricerca delle iniquità sono nelle dinamiche storiche che hanno condotto alla situazione attuale. La crisi

economica e monetaria seguite alla fine della seconda guerra mondiale avevano minato la tenuta finanziaria

del sistema contributivo a capitalizzazione che vigeva allora: era infatti impossibile realizzare rendimenti

superiori all'inflazione e quindi difendere dalla svalutazione i patrimoni mobiliari accumulati. L'insostenibilità

della situazione portò dopo circa 20 anni (legge 153/69) a sostituire il sistema contributivo con quello

retributivo, basato sull'ultima retribuzione e in parallelo ad abbandonare il sistema di gestione a

capitalizzazione per abbracciare quello retributivo a ripartizione. Il sistema entrò successivamente in crisi a

causa per l'ampliamento dei livelli di protezione sociale, per il maturarsi di posizioni assicurative sempre più

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onerose, per gli aumenti della durata media di vita e del numero delle pensioni di anzianità, per la dinamica

demografica e del sistema di produzione, nonché per la crescita del rapporto pensionati-contribuenti.

Nel 1992 la riforma Amato (legge 503/92) cercò di contenere e dilazionare la spesa, ma la riforma Dini (legge

335/95) impostò un nuovo sistema con il pensionamento flessibile, tra 57 e 65 anni (uomini e donne), una

prima armonizzazione dei trattamenti diversi per categorie e settori, lo sviluppo della previdenza

complementare e l'introduzione progressiva della pensione contributiva (con gestione a ripartizione), che

dovrebbe garantire l'eguaglianza tra il montante dei contributi capitalizzati, con il tasso medio nominale di

crescita del pil, e il valore attuale della pensione determinato attraverso appositi coefficienti di trasformazione

sulla base della dinamica della sopravvivenza.

Nel 2011 la riforma Monti-Fornero (legge 214/11) decretò il passaggio al contributivo per tutti e, in pro rata,

anche per coloro che, con almeno 18 anni di anzianità alla fine del 1995, in base alla precedente riforma Dini,

avevano ancora diritto al retributivo. Tale riforma ha spostato progressivamente in avanti la soglia della

vecchiaia, ha abolito la pensione di anzianità e bloccato per le pensioni in essere l'adeguamento

all'inflazione. Tutto ciò è stato giustificato delle drammatiche paventate insufficienze di cassa, ma oggi si può

considerare comunque le conseguenze di quanto si è stati costretti a decidere, in fretta e per necessità, e a

rivedere la situazione attuale, che comunque porta ancora segni di squilibri e di sostanziali iniquità.

L'attuale sistema Inps soffre di iniquità strutturali conseguenti all'accumularsi dei diversi fondi di categoria che

hanno apportato tutto il peso delle differenze dei trattamenti e dei loro disequilibri finanziari: il Fondo pensioni

lavoratori dipendenti in senso stretto è costretto a sostenere, con il suo avanzo di gestione, le pensioni

erogate dagli altri fondi confluitivi (ex Fondi Trasporti, Elettrici, Telefonici, Inpdai).

Se si guarda all'insieme più ampio dei fondi gestiti dall'Inps, anche qui si ha un panorama di squilibri. Sono in

perdita infatti tutte le altre gestioni: Enti creditizi, Esercenti attività commerciali, Artigiani e agricoltori, e

altrettanto avviene per quelle sostitutive dell'Ago (Fondi Volo, Clero, Spedizionieri doganali, Fs e Poste

Italiane ecc.), con l'esclusione della gestione Parasubordinati.

La storia del passaggio di Ferrovie e Poste Italiane all'Inps e la più recente fusione con l'Inpdap, confluito con

3,3 milioni di attivi e 2,79 milioni di pensionati, andrebbe peraltro approfondita per evidenziare quali oneri,

attuali e prospettici, il regime della ripartizione abbia comportato all'atto del passaggio di così larghi insiemi di

attivi e pensionati, sino allora curati con la normativa dello Stato.

Andare oggi a stimare le differenze tra pensione retributiva e virtuale pensione contributiva, o distinguere tra

pensioni d'oro e pensioni minime, senza misurare chi è stato privilegiato e di quanto, per esigere contributi di

solidarietà ovvero per restituire soltanto, in parte o per nulla che sia, l'indicizzazione negata, è solo facile

populismo. (riproduzione riservata)

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PRIMA PAGINA 23 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

SPENDING REVIEW

Le società partecipate e i tagli da fareLe società partecipate dagli Enti Locali e i servizi pubblici locali vanno razionalizzati per contribuire al rilancio

della nostra economia. Questa è una delle recenti raccomandazioni del Fmi all’Italia di cui si apprezzano le riforme

in corso. Il tema della riforma delle partecipazioni degli enti locali, già presente nella legge finanziaria del 2008,

diventa un programma organico del Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, nell’agosto del 2014.

Infine entra nella Legge di stabilità 2015 e nel disegno di legge delega per la riorganizzazione della Pubblica

amministrazione di recente approvato dal Senato ed ora approdato alla Camera. Pare che dal 2008, malgrado il

divieto di detenere o costituire partecipazioni in società non necessarie ai fini istituzionali delle Pa, ne siano state

invece costituite od acquisite 1264 nuove. I fatti sono dunque andati nella direzione opposta agli intendimenti dei

governi. Perciò il disegno di legge di riforma della Pa, in linea con la legge di stabilità 2015, può e deve essere il

passaggio risolutivo.

Le unità partecipate pubbliche (Upp). Con riferimento a quelle locali si è parlato spesso del capitalismo o del

socialismo o del consociativismo o dell’anarchia municipale. Anche per questo è difficile parlare di imprese. Ogni

denominazione mette in evidenza un problema a cominciare da quello che è persino arduo contare e caratterizzare

le diverse forme di Upp. Comunque Istat arriva a censire un totale (sull’anno 2012, comprese anche le non locali)

di 11.024 unità e di 977.792 addetti. La partecipazione può essere prossima, indiretta o tramite controllate, può

essere di uno o più soggetti pubblici con diverse quote di partecipazione al capitale. Impossibile addentrarsi in tutte

queste specificità e perciò ci limitiamo a tre caratteristiche.

La prima riguarda la distinzione tra imprese attive (pari a 7.685 per 951 mila addetti) e non attive (pari a 1.454), tra

unità varie (agricole, non profit, ecc. pari a 994 unità per 16.500 addetti) e unità residuali (non classificabili pari a

891 unità pari a 9963 addetti).

Continua pagina 2 Alberto Quadrio Curzio

Continua da pagina 1 La seconda caratteristica sono le aree di attività delle Upp che vanno dai servizi pubblici di

rilevanza economica a rete (elettricità, acqua, gas, rifiuti, trasporto pubblico locale ove opera il 10,3% delle Upp

attive con il 37% degli addetti) fino al commercio all’ingrosso, al dettaglio e alla riparazione di autoveicoli e

motocicli (7,3% delle Upp attive). L’elenco è davvero impressionate.

La terza caratteristica, ricavabile dalla analisi di Cottarelli, sono le perdite (stimate per l’anno 2012) delle Upp

locali pari a 1,2 miliardi a cui andrebbero aggiunte altre derivanti da costi latenti gravanti sulle amministrazioni

locali o sui cittadini per inefficienze varie. Impressionano anche 37mila cariche in consigli di amministrazione per

450 milioni annui. Secondo i dati Istat a commento in sede parlamentare del Def sulle circa 3.000 società

controllate dagli enti locali si rileva che due terzi hanno un utile di esercizio per un totale 900 milioni e un terzo ha

registrato una perdita di quasi 1,1 miliardi. Solo una analisi specifica evidenzierebbe quali Upp locali (e ce ne sono)

risultano efficienti.

In conclusione, per Cottarelli la riduzione delle Upp locali dalle circa 8.000 da lui stimate a 1.000 genererebbe

risparmi almeno per 2-3 miliardi di euro all’anno.

Le direttrici di razionalizzazione. Con la Legge di stabilità del 2015 e con il disegno di legge delega per la

riforma della Pa si fanno dei passi avanti molto importanti per mettere ordine nella Upp locali con particolare

riferimento a quelle detenute da Regioni, Province, Comuni ed altre Amministrazioni locali. A noi pare perciò il

lavoro del Commissario Cottarelli possa trovare qui un sbocco normativo importante. Senza entrare nel dettaglio

dell’impianto normativo (si veda l’ottima analisi del “Laboratorio Ref ricerche”) sottolineiamo l’importanza di

quattro criteri di evidente rilevanza economica e gestionale per ridurre le perdite e migliorare i servizi resi dalle

Upp locali.

Il primo riguarda l’eliminazione delle società e delle partecipazioni non indispensabili al perseguimento delle

finalità istituzionali degli enti partecipanti; di quelle composte da soli amministratori o con un numero di

amministratori superiore a quello dei dipendenti.

Il secondo criterio riguarda sia fusioni delle partecipazioni “ridondanti” in società che svolgono attività

sovrapponibili a quelle di altre partecipate o di altri enti pubblici strumentali sia l’aggregazione delle società dei

servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Il terzo criterio prescrive per le società che gestiscono attività strumentali all’ente pubblico, criteri per la scelta del

modello societario, procedure e limiti per l’assunzione e il mantenimento delle partecipazioni, tenendo conto anche

del numero dei dipendenti, del fatturato e dei risultati di gestione.

Il quarto criterio prescrive per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale, si

dovranno individuare strumenti e criteri di gestione per assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico evitando

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distorsioni della concorrenza (disciplina dei contratti di servizio e delle carte dei diritti degli utenti, controllo sulla

gestione e sulla qualità dei servizi) nel rispetto della disciplina dell’Unione europea.Aspetto su cui insiste anche il

Fmi.

Una conclusione. Può essere che nei processi di razionalizzazione delineati ci siano ancora troppi gradi di

discrezionalità degli Enti Locali detentori delle partecipazioni nelle Upp. Tuttavia i progressi ci sono sia perché

sono previsti incentivi e sanzioni per adempimenti ed inadempimenti sia per il coinvolgimento maggiore della

Corte dei Conti. Più in generale è importante che il riordino delle Upp locali proceda in coerenza con la spending

review, la Legge di stabilità 2015, il citato ddl delega. Speriamo adesso che sui decreti delegati non prevalga

qualche consociativismo municipale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Alberto Quadrio Curzio

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PRIMO PIANO 23 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’ATTUAZIONE?DEL?

JOBS?ACT La riforma della Cassa attesa ai primi di giugno in Consiglio dei ministri. Mercoledì Poletti incontra le parti sociali per illustrare i contenuti

Contributi Cig con il «bonus-malus»

Nel decreto in arrivo anche un tetto alla durata e l’ipotesi di ampliare la platea

ROMAUn aumento progressivo delle addizionali fino al 15% per le imprese che faranno effettivo ricorso alla cassa integrazione. La re-introduzione del “quinquennio mobile” per mettere un tetto alla durata delle prestazioni, ed evitare così possibili abusi nell’utilizzo dello strumento. E l’ipotesi di ampliare la platea delle imprese che potranno accedere al sussidio: si sta ragionando se ricomprendervi anche le piccole aziende (sotto i 15 dipendenti), a cui però verrebbe chiesto un contributo ad hoc (oggi praticamente non pagano nulla) in funzione di un allargamento delle tutele per i lavoratori (la contribuzione richiesta, in assenza di fondi di solidarietà bilaterali, finirebbe nel fondo residuale). I tecnici di palazzo Chigi e ministero del Lavoro stanno mettendo a punto il Dlgs attuativo del Jobs act con il riordino della cassa integrazione, atteso sul tavolo del Consiglio dei ministri i primi di giugno (prima, mercoledì 27 maggio, Giuliano Poletti incontrerà le parti sociali). Il principio che verrà introdotto, spiega il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, «è chi più usa, più paga. Un meccanismo assicurativo, tipo il bonus/malus nell’Rc auto, per avvantaggiare le aziende virtuose e scoraggiare comportamenti opportunistici». Il nuovo regime dovrebbe funzionare così: per la cassa integrazione ordinaria, la Cigo, si prevede uno “sconto” del 10% sui contributi ordinari. Oggi le aziende industriali pagano l’1,90% della retribuzione lorda mensile, che sale al 2,20% se hanno più di 50 dipendenti (con la riduzione ipotizzata dall’esecutivo si scenderebbe, quindi, a 1,71% e a circa 2%). Il vantaggio sarebbe maggiore per le imprese del settore Edilizia: attualmente versano il 5,20%, pagherebbero circa 4,70%. Non sarebbe invece modificato il contributo ordinario della Cigs (0,90%) perché ritenuto già piuttosto contenuto. Ci sarà, come detto, un aggravio sui contributi addizionali: l’incremento fino al 15% sarebbe progressivo all’interno del nuovo quinquennio “mobile” di durata degli ammortizzatori. Questa è un’altra novità allo studio. Attualmente la Cigo dura 12 mesi (52 settimane). Non si modifica questa durata, ma si fissa un limite massimo di 24 mesi per la fruizione di Cigo e Cigs nell’arco di 5 anni. Oggi i 5 anni sono “fissi” (il quinquennio fisso scade il 10 agosto), e tale meccanismo consente di “ricaricare” il sussidio, alla scadenza. Da domani, con l’entrata in vigore del Dlgs, il quinquennio tornerà “mobile” (come era prima del 1996). E?ci sarà un regime transitorio. Con l’entrata in vigore del nuovo quinquennio “mobile” il contatore ripartirà da zero: cioè «non si contano le durate già prese fino all’entrata in vigore del provvedimento». La bozza del Dlgs conferma anche che il ricorso alla cig deve essere preceduto dall’attivazione di contratti di solidarietà: verranno privilegiati quelli difensivi, legati alla riduzione oraria per crisi momentanee. Solo una volta esauriti i contratti di solidarietà, si dovrebbe attivare la cig (si ipotizza un premio “temporale” alle imprese che fanno ricorso alla solidarietà - si allungherebbe la durata poi della cassa). «Con i nuovi limiti all’utilizzo della cigs - spiega Maurizio Del Conte, Bocconi, Milano, e consigliere giuridico del premier Renzi - si supera finalmente l’arbitrarietà delle proroghe concesse caso per caso, mentre si incentivano imprese e sindacati ad utilizzare i contratti di solidarietà al posto della cassa a zero ore». Per Marco Leonardi (Statale di Milano), «la riforma della cig va fatta, ed è corretto il nuovo principio che si vuole introdurre del pagamento in base all’utilizzo». Le imprese industriali sono però preoccupate per il possibile aggravio dei costi dell’intera operazione. E?poi «imporre obbligatoriamente una sequenza tra solidarietà e cig appare non funzionale alle finalità dei due istituti - spiega Arturo Maresca (Sapienza, Roma)-. Diverso sarebbe, come dice la delega, subordinare la cig al preventivo accordo sindacale su un orario flessibile che cresce o diminuisce per fronteggiare temporanee eccedenze di personale». «È positiva l’estensione

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universalistica della cig - dice Guglielmo Loy (Uil) -. Serve più gradualità, e non ci convince l’idea che a un’impresa già in sofferenza venga chiesto di pagare di più». © RIPRODUZIONE RISERVAT AGiorgio PogliottiClaudio Tucci

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Corriere della Sera Domenica 24 Maggio 2015 POLITICA 11

La no stop di Renzi con le tv localiIl rush finale in vista del votoMartedì sfilata di troupe a Palazzo Chigi. Sabato sarà al Festival dell’Economia di Trento

ROMA Un’intera giornata chiusoa Palazzo Chigi, come a suotempo faceva Berlusconi. Do-podomani. Renzi si tuffa nel-l’ultima settimana di campa-gna elettorale anche con unano stop di interviste alle televi-sioni locali: martedì dovrebbe-ro varcare il portone di PalazzoChigi almeno una quindicinadi troupe, quasi tutti quelli chehanno fatto richiesta hanno ri-cevuto il via libera sperato.

Comunque finisca, domeni-ca prossima, se il con suo ago-gnato 6 a 1, o con un risultatopiù stringato, comunque Renzice la metterà tutta. Non che le-ghi le sorti della sua maggio-ranza al risultato delle Regio-nali, ha già detto che se anchesi dovesse perdere in Liguria, comunque la linea del Pd noncambierebbe, «visto che permodificarla occorre un con-gresso. E poi le Regionali sonocome la Coppa Italia, non cari-chiamole troppo». Eppure ilpremier è consapevole dell’im-

portanza del test, «dal risultatodipendono le sorti dei prossi-mi cinque anni», è il suo pen-siero, e dunque nelle prossimeore farà di tutto per ottenere unpunteggio finale tennistico.

L’agenda della settimana lovede in giro per l’Italia comeuna trottola, al netto della gior-

nata di martedì. Domani sarà alcimitero americano di San Ca-sciano, promessa che ha fattoad Obama, un omaggio al me-morial day degli Stati Uniti, poisi sposterà a La Spezia dove iltradizionale comizio potrebbeessere soppiantato da un pran-zo con i volontari che tengonoaperto il campetto dei Limoni,spazio di verde pubblico chel’amministrazione locale ha de-ciso di chiedere, subendo leproteste di FI e dei cittadini.Magari Renzi riuscirà a risolve-re, con la sua visita, la bega lo-cale. Ma le tappe della settima-na sono molteplici: ci sarà spa-zio per una visita agli stabili-menti della Fiat a Melfi, peruna puntata doppia in Sarde-gna, da Oristano a Olbia, ancheper inaugurare un ospedale fi-nanziato anche con i denaridella Qatar Foundation, chenell’isola, e in particolare inCosta Smeralda, sta investendomassicce risorse. Una tappa èprevista anche nelle Marche,

per dare una mano al candida-to del Pd, Luca Ceriscioli, e unappuntamento al momentoconfermato è previsto persinoa campagna elettorale chiusa,sabato, a Trento, per partecipa-re al festival dell’economia.

Qualcuno forse avrà qualco-sa da obiettare, dirà che Renziviola il silenzio elettorale, ma ilcapo del governo la pensa inmodo diverso: non è candidatoe sarà presente all’appunta-mento in veste di presidentedel Consiglio, e pazienza per leeventuali critiche.

L’obiettivo di Renzi è un testelettorale regionale che spianila strada al governo sino al2018, visto che ormai a suo giu-dizio il Pd è un partito maggio-ritario, e che l’obiettivo del me-dio periodo, per le prossimePolitiche, è «quello di governa-re da soli». Con buon pace del-la minoranza interna del Pd edel centrodestra.

Marco Galluzzo© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’agenda

Settimana fitta di impegni per il premier Matteo Renzi. Domani sarà prima al cimitero americano di San Casciano e poi a La Spezia

Giovedì è prevista una visita alla Fiat di Melfi in mattinata e a Olbia nel pomeriggio. Venerdì Renzi chiuderà la campagna elettorale a Genova, sabato sarà a Trento

17le Regioni amministrate dal centrosinistra di cui 5 (Puglia, Marche, Umbria, Liguria, Toscana) al voto a maggio

3le Regioni amministrate dal centrodestra: oltre a Veneto e Campania, al voto a maggio, c’è anche la Lombardia

di Marco Demarco

Quanto contala scelta del viceper De Luca

L’analisi

N essuno ne parla più.Tutti presi dallaquestione morale e

dunque dall’inserimento degli impresentabili nelle liste, nessuno pone più la questione istituzionale. Che per molti versi è ben più seria, visto che i candidati passano ma lo Stato resta. E che in Campania vuol dire questo. Posto che vinca Vincenzo De Luca, il candidato di Renzi e del Pd; posto che De Luca è condannato alla sospensione dalla carica per effetto della legge Severino; posto che il nuovo governatore sospeso ricorra al Tar per ottenere la sospensione della sospensione; e posto che il Tar accolga la sua richiesta; posto tutto questo e omesso molto altro per evitare vertigini, chi governerà nel frattempo?

Probabilmente, in un paese normale un dubbio del genere non sarebbe mai affiorato. O, se si fosse

palesato, qualcuno lo avrebbe già sciolto. Tuttavia, nel nostro caso gli interessati fanno finta di non sentire. O, se sentono, fanno finta di non capire. Eppure il problema è molto semplice. Per un giorno o per un anno e mezzo, perché questo è il tempo limite della sospensione previsto del legge, De Luca dovrà parcheggiare fuori dal palazzo regionale. Non ci sono santi. Il passaggio delle consegne non è una eventualità, ma una certezza, come l’alba dopo la notte. Ecco perché il quesito resta: chi al suo posto di De Luca?

Da aggiungere che qui lariservatezza preelettorale sulla futura squadra di governo non c’entra affatto. La riservatezza dietro cui si nascondono sindaci e governatori per non compromettere le alleanze politiche o per non frustrare le aspettative di molti è fuori luogo proprio perché siamo di fronte a un atto dovuto. E dunque? Niente. Silenzio assoluto. Col risultato che, per certi versi, quello campano sarà il primo voto al buio nella storia delle elezioni dirette.

In compenso, fiorisconole ipotesi. Dalle più fantasiose alle più realistiche. Tra le prime, quella di Antonia De Mita, figlia d’arte, addirittura indicata come la ragione vera dell’improvviso accordo tra De Mita senior e De Luca. Tra le seconde, quella di Fulvio Bonavitacolo, 57 anni, salernitano, avvocato e più volte parlamentare. Di Bonavitacola De Luca su fida come di se stesso. Come Nero Wolfe di Archie Goodwin.

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La parola

SILENZIOELETTORALE

Il silenzio elettorale è disciplinato dall’articolo 9 della legge 212 del 1956: il giorno prima e il giorno stesso del voto sono vietati comizi, riunioni di propaganda diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, el’affissione di manifesti.

L’affondo Un caso le parole del premiersul «sindacato unico»La Cgil: roba da regimi totalitari

di Alessandro Trocino

ROMA «Mi piacerebbe arrivareun giorno al sindacato unico, auna legge sulla rappresentanzasindacale e non più a sigle susigle su sigle». Matteo Renzi,ospite di Bersaglio Mobile suLa7, smuove le acque ma il suoauspicio provoca una dura ri-sposta dei confederali, a co-minciare dal segretario dellaCgil Susanna Camusso: «Pensoche il tema sia quello del sinda-cato unitario. Il sindacato uni-co è invece una concezione cheesiste solo nei regimi totalitari.Le parole del premier sonoconcettualmente sbagliate».

Il pd Dario Ginefra interpre-ta le parole del segretario inmodo più articolato: «Nonpenso che il presidente Renzivolesse far riferimento a unsoggetto unico di rappresen-tanza sindacale, ma a quell’uni-tà sindacale che non solo non èuna novità, ma che fu la ban-diera di Bruno Trentin, tra glialtri». Anche il sottosegretario,ex presidente delle Acli, LuigiBobba, la vede così: «Non cre-do che Renzi avesse in menteun modello sovietico di sinda-cato. Forse pensava a qualcosadi più vicino a noi, come allaGermania. A un sindacato chenon sia solo antagonista, mamoderno, protagonista dellacreazione di reddito e lavoro. InGermania c’è un’organizzazio-ne sindacale nettamente mag-gioritaria che ha sviluppato la funzione di partecipazione e diindirizzo strategico-gestionale.E comunque è una strada che,per esempio, si sta seguendo inItalia con l’alleanza delle coo-perative, che vede convergererappresentanze politicamentediverse».

Più critico l’ex ministro Ce-sare Damiano: «Bisogna che ilpremier distingua bene tra sin-dacato unico, unito e unitario.In Italia esiste il pluralismo sin-dacale. I tentativi di rendereunitario il sindacato sono falliti

negli Anni 70. Per disboscare lapluralità di sigle non rappre-sentative, basta una legge sullarappresentanza che applichi icriteri dell’accordo interconfe-derale siglato tra sindacati econfindustria. Che fissano unasoglia di rappresentatività del 5per cento sul piano nazionale,desunta dal censimento degliiscritti e dal numero dei voti ri-portati dalle rappresentanze

sindacali». E in effetti uno deipunti sui quali il governo inten-de muoversi è proprio quelladella legge sulla rappresentan-za sindacale, sul quale sonostati presentati diversi progettidi legge. Già a marzo da PalazzoChigi era trapelata l’intenzionedi procedere in quella direzio-ne, provocando la reazione irri-tata e di diffidenza delle orga-nizzazioni sindacali. Un tavolo

con il ministro Giuliano Polettie le diverse sigle sindacali èconvocato per mercoledì, maall’ordine del giorno ci sono idecreti attuativi della legge de-lega sul lavoro, tra i quali la ri-forma degli ammortizzatori so-ciali.

Se la Camusso è critica, i col-leghi non sono da meno. Car-melo Barbagallo, leader Uil,spiega che «Renzi continua a rappresentare un Paese con unuomo solo al comando». La se-gretaria Cisl Annamaria Furlanusa toni diversi: «Non serve aniente alzare polveroni o butta-re benzina sul fuoco. Il governosi occupi dei problemi veri».

L’ormai ex Pippo Civati resta«senza parole»: «Sono stupe-fatto». L’ex ministro del LavoroMaurizio Sacconi ritiene «la

proposta di Renzi incompatibi-le con la nostra tradizione ».Non è d’accordo, però, il suocollega di partito (Ncd) Fabri-zio Cicchitto: «Mi pare fuoriluogo l’indignazione: in Inghil-terra e in Germania esistono ungrande sindacato unitario e ungrande partito laburista senzache si ipotizzino tentazioni dit-tatoriali». L’esponente di Ncdricorda inoltre che, «fino allasecessione di Marchionne ilmondo industriale ha sempreavuto una organizzazione uni-taria». E dunque, «siccomenon pensiamo che Renzi vogliarealizzare il sindacato unicoper legge, buona parte dellepolemiche suscitate dalla suabattuta ci sembrano esercita-zioni estemporanee»

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Roma Protesta anche Sel

Confederali in piazza contro Marino«Marino svegliati. Impara a governare». Cgil, Cisl e Uil uniti in piazza contro il sindaco di Roma. Le tre sigle si sono ritrovate ieri in piazza dell’Esquilino a Roma — «Siamo in 5mila», hanno detto gli organizzatori

— e hanno poi sfilato nelle vie del centro. Protesta anche Sel, che sottolinea come «in due anni sono stati commessi tanti errori». Replica di Marino: «Stiamo cambiando la città. Non ci fermeremo» (Ansa)

La legge

Da tempo è allo studio del governo una legge sulla rappresentanza sindacale. Una norma che fissi regole e procedure per le trattative fra le parti: quanti iscritti bisogna avere per sedersi di diritto al tavolo del negoziato, quali sono le sigle che entrano in campo quando la legge chiama in causa i sindacati più rappresentativi per la firma dei contratti collettivi, come vengono divise le ore di assemblea

A gennaio il consigliere economico di Renzi, Yoram Gutgeld, aveva annunciato il provvedimento su cui si sta lavorando con 9 professori universitari

Levata di scudiReazione dura anchedi Cisl e Uil. Il pd Ginefra smussa: si riferiva all’unità sindacale

Chi governeràSe vince, per un certoperiodo, in virtù della Severino, sarà il vice a governare

italia: 5050545355555254

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la Repubblica6 DOMENICA 24 MAGGIO 2015ECONOMIA

Il lavoro

ROMA. Matteo Renzi infiamma il dibattito sullavoro. Venerdì sera, intervistato da La7, il premieraveva attaccato: «Spero che tra i sindacati si possatornare a discutere e che prima o poi si arrivi a unsindacato unico e a una legge sulla rappresentanzasenza sigle su sigle, su sigle». Poi un frontale con illeader della Fiom, Maurizio Landini: «Marchionnedimostra che la scommessa della Fiom è unasconfitta. Ha riaperto le fabbriche e batte Landini 3a 0». Frasi destinate a far divampare la polemicaalla vigilia del nuovo incontro tra il ministro dellavoro, Giuliano Poletti, che mercoledì haconvocato le parti sociali per discutere sui decretiattuativi del jobs act. Nella stessa giornata èprevista la visita dello stesso Renzi a Melfi,accompagnato dall’ad di Fca, Sergio Marchionne.Una scelta di campo, alla luce delle ultimedichiarazioni del premier.L’idea del sindacato unico provoca reazionidurissime nei tre sindacati confederali: «Cose chesi vedono nei regimi totalitari», commenta illeader della Uil, Carmelo Barbagallo. Altrettantodura Susanna Camusso: «La concezione delsindacato unico è tipica dei regimi totalitari, èconcettualmente sbagliata perché presuppone chei diversi soggetti del mondo del lavoro siano ridottia un pensiero unico che non è certo indice dimodernità. Al contrario - conclude il segretariodella Cgil - il tema da affrontare è quello di un

sindacato unitario», in sostanza un sistema in cui ledifferenti sigle trovino una linea di azione comune.Polemico Barbagallo: «Anche nel fronteimprenditoriale, dove c’è una pletora diassociazioni, Renzi pensa a un unico sindacato.Sembra che il premier voglia far prevalere anchenel sindacato l’idea dell’uomo solo al comando».Più cauta ma non meno critica la posizione dellaCisl. Anna Maria Furlan risponde a Renzi che «non

serve alzare polveroni o gettarebenzina sul fuoco. Piuttosto ilgoverno si occupi dei problemiveri, a partire da crescita elavoro». Nel mirino delle polemiche anchele dichiarazioni del presidentedella Bce, mario Draghi, che da

Sintra aveva invitato i Paesi europei a spingeresulla contrattazione aziendale: «La contrattazionein fabbrica - aveva detto Draghi - garantiscel’occupazione di più di quanto non abbia fatto ilcontratto nazionale». Frase che aveva provocatoreazioni anche perché in Italia molto spesso è solo ilcontratto nazionale a tutelare i lavoratori. La Cgilha giudicato la ricetta «una soluzione arretrata».Ieri Draghi ha precisato che «la Bce non intendedire ai governi che cosa devono fare».

(p.g.)

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Renzi sogna il sindacato unicorivolta di Cgil, Cisl e Uil“Come nei regimi totalitari”Camusso: un pensiero che non fa parte della modernitàScontro sui contratti. Draghi: Bce non dice ai governi cosa fare

LAGIOR

NATA

ha finanziato ogni assunzione con8.000 euro. Poi il job act ha cancel-lato lo statuto dei lavoratori. Il con-senso delle imprese è scontato. Lepolitiche sul lavoro di questo go-verno sono peggiori di quelle deigoverni di centrodestra».

Draghi chiede di spingere sui

contratti aziendali. Dice che

tutelano l’occupazione più di

quelli nazionali. E’ d’accordo?

«Quello di Draghi è un assist percancellare i contratti nazionali. Etra pochi giorni la Confindustriaannuncerà la morte di quei con-

tratti rincorrendo il modello volutoda Marchionne in Fiat».

Con quali conseguenze?

«Con due conseguenze. La pri-ma è che a parità di lavoro corri-sponderà disparità di condizioni.Tra una fabbrica e l’altra, tra norde sud. La seconda è che perderannoruolo i sindacati confederali.Avremmo una miriade di sindaca-ti aziendali e corporativi. L’idealeper le imprese».

Eppure Renzi vuole il sinda-

cato unico..

«Ah ecco, il modello del sindaca-

L’IDEA del sindacato unico «è la con-seguenza di un modello autorita-rio». Così reagisce il leader dellaFiom, Maurizio Landini, alle di-chiarazioni del premier. Per Landi-ni, Renzi «invece di disegnare mo-delli sindacali, che non è il suo me-stiere, dovrebbe varare la leggeche ripristini la democrazia in fab-brica dando ai lavoratori la possibi-lità di decidere sui contratti che liriguardano».

Landini, Renzi dice che in Fiat

Marchionne vi ha sconfitti 3 a

0. Come si vive dopo una simi-

le batosta?

«Intanto Renzi dovrebbe sapereche la partita non è finita. E poi an-che lui avrebbe perso la sua partitapolitica se gli avessero impedito dipartecipare alle primarie. Renzi èuno che si intende di calcio: se ti fan-no giocare in nove e senza il portie-re non ti devi stupire se vincono glialtri».

Usciamo dalla metafora. Che

cosa intende dire?

«Che per tre anni la Fiom è statacacciata dalla Fiat. Siamo statiesclusi dai diritti sindacali, messifuori dai cancelli e c’è voluta unasentenza della Corte Costituziona-le per riportare i nostri delegati inazienda. Il governo che Renzi pre-siede avrebbe dovuto ascoltare leindicazioni della Consulta (di cuifaceva parte allora Sergio Matta-rella) e varare una legge che ga-rantisse democrazia in fabbrica.Invece non lo ha fatto e ancora og-gi la libertà sindacale non è garan-tita in Fiat. Comunque Renzi sitranquillizzi. In questi giorni si co-minica a votare in Fca per i delega-ti della sicurezza. Lì la Fiom non puòessere esclusa, c’è una legge. E i pri-mi risultati sono positivi».

In questi giorni la Fiat sta

chiudendo la trattativa con i

sindacati del sì. Sono state fat-

te assunzioni e si parla di au-

menti in quattro anni fino a

diecimila euro. E’ forse a que-

sto che si riferiva la battuta di

Renzi?

«Se vogliamo essere onesti,quella che si sta facendo in Fiat nonsi può chiamare contrattazione.Marchionne ha proposto un mo-dello salariale totalmente legato airisultati dell’azienda e le altre or-ganizzazioni sindacali lo hannosottoscritto. Così è accaduto sul di-ritto di sciopero. Gli aumenti che sistanno firmando in Fiat sono total-mente legati ai bilanci, una mate-ria che i lavoratori non riescono acontrollare e non aumentano maila paga base oraria. E la limitazionedel diritto di sciopero viene incon-tro a un’esigenza che non mi sem-

bra il problema più grave da risol-vere in questi mesi alla Fiat».

Fino a tre anni fa Marchionne

e Renzi litigavano pubblica-

mente e lei incontrava il pre-

mier. Ora le parti si sono ca-

povolte. Perché?

«Dopo le elezioni europee Renziha fatto una scelta precisa. Non cer-ca il consenso delle persone che la-vorano, cerca il consenso delle im-prese».

Però le imprese assumono..

«Certo. Assumono perché c’è laripresa e anche perché il governo

Landini: premier autoritario, pensa solo

I LEADER

Il segretariodella Fiom, MaurizioLandini, insieme allaleader della Cgil,Susanna Camusso

L’INTERVISTA

PAOLO GRISERI

Il leader della Fiom,risponde al presidentedel Consiglio

“Invece di disegnaremodelli sindacali, ripristinila democrazia in fabbrica”

Spero che anchetra i sindacati si possatornare a discutere eche prima o poi siarrivi al sindacatounico, ad una leggesulla rappresentanzae non più a sigle susigle, su sigleMarchionne dimostrache la scommessadi Maurizio Landiniè una sconfitta. Hariaperto le fabbrichee batte Landini 3 a 0

PRESIDENTE DEL CONSIGLIOMATTEO RENZI

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la Repubblica 7DOMENICA 24 MAGGIO 2015

PER SAPERNE DI PIÙwww.fiom-cgil.itwww.repubblica.it/economia

to unico, quello dei regimi autori-tari. In ogni caso lo lasci decidere ailavoratori quale sindacato voglio-no. Per me serve invece un sinda-cato più democratico e quindi uni-tario e pluralista. Servirebbe ridur-re il numero di contratti nazionali,che oggi sono troppi: con cinque-sette contratti nazionali si sempli-ficherebbe il sistema senza toglie-re le tutele minime a chi non ha ilsindacato in azienda. Lasciare soloi contratti aziendali significa esclu-dere dai diritti l’80 per cento dei la-voratori italiani».

Anche la Consulta, dopo la

sentenza sulle pensioni, è nel

mirino del governo. Padoan

ha detto che si sarebbe dovu-

to tener conto delle conse-

guenze della sentenza. E’

d’accordo?

«A me hanno insegnato che lacorte Costituzionale deve tenereconto della rispondenza tra i prin-cipi della Costituzione e le leggi. Enon di altro. Mi sembra un po’ sur-reale che si cerchi di risparmiare ri-ducendo le pensioni a gente che halavorato 40 anni in fabbrica. Unavera riforma deve far pagare chi hai fondi in deficit, a partire dai diri-genti di azienda».

Gli altri sindacati vi accusano

di non voler mai firmare...

«Mentre il dottor Marchionneimponeva il suo modello in Fiat noiabbiamo firmato contratti alla Du-cati e alla Lamborghini ottenendoaumenti superiori a quelli Fiat, sen-za cancellare il contratto nazionalee aumentando la flessibilità. Comesi vede, trattare con la Fiom si può».

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Bruxelles gela le Regioni“Niente reddito minimocon i fondi comunitari”

LA LETTERA/UE: SOLDI VADANO A CHI CERCA DAVVERO LAVORO

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MATTEO PUCCIARELLI

MILANO. L’oggetto della missi-va inviata dalla CommissioneEuropea ai ministeri del Lavoroe delle Finanze è in gergo tec-nico: “Fondo sociale europeo —Inammissibilità delle misurepassive”. La traduzione praticaè che la Direzione generale perl’occupazione di Bruxelles diceno al reddito di cittadinanzatout court finanziato con i soldieuropei. Un messaggio rivoltoanche, se non soprattutto, alleRegioni che hanno lanciato laproposta di finanziare la misu-ra sociale attraverso i fondi Ue.Buon ultimo il governatore del-

la Lombardia Roberto Maroniche, spiazzando la sua stessamaggioranza di centrodestra ei sindacati, ha messo in cantie-re un provvedimento ad hoc.Che a questo punto dovrà tro-vare altri finanziamenti, o per-lomeno cambiare i connotatidella proposta.

La puntualizzazione dell’Eu-ropa arriva — si legge — a se-guito di «alcuni quesiti che ci so-no pervenuti». Nella lettera fir-mata dal capo unità Denis Gen-ton si spiega che «il sostegno alreddito attraverso il Fse do-vrebbe essere finanziato solonell’ambito di misure comple-mentari, in quanto parte di un

percorso integrato verso il mer-cato del lavoro, e dovrebbe es-sere limitato nel tempo alla du-rata di attivazione delle misu-re». E ancora, «tale misura di so-stegno al reddito, da conside-rare alla stregua di un rimbor-so spese per la partecipazione aun progetto», deve avere «unadurata e una platea di destina-tari limitata». La sostanza è chel’eventuale reddito di cittadi-nanza è ammissibile solo se vin-colato a delle politiche attive,cioè al fatto che il singolo stia se-guendo dei percorsi di ricollo-camento nel mondo del lavoro.

In passato ci fu uno strappodalla regola, quando parte dei

fondi europei in alcuni regionifurono dirottati al rifinanzia-mento della cassa integrazionein deroga, ma allora — spiega-no i tecnici del ministero — perogni euro speso in misure “pas-sive” ce ne doveva essere un al-tro in servizi di orientamento.Negli stessi termini la questio-ne legata ai pensionati: nel pro-getto di legge dei Cinque Stelleil reddito di cittadinanza di 700euro dovrebbe andare anche aloro, integrandone perlomenola pensione minima. E questo ilvincolo europeo non lo consen-te, visto che ovviamente unpensionato non può seguire un“percorso integrato verso ilmondo del lavoro”. In casa Sel,altro partito che ha presentatoun progetto di legge, non ci siscompone: «La nostra filosofiaè quella del “reddito minimo”— dice Marco Furfaro della se-greteria nazionale — ovveroche nessuno può avere meno diuna determinata soglia. Nel ca-so delle pensioni minime signi-fica automaticamente aumen-tarle, senza doverle integrarecon altri fondi».

agli industriali

Per tre anni siamostati cacciati dallaFiat, ma Renzi non haascoltato leindicazioni dellaConsulta

CACCIATI DALLA FIAT

Con la proposta diDraghi sullacontrattazione,si creerebbe disparitàdi condizionia parità di lavoro

DISPARITÀ

Lasciare solo icontratti aziendalisignifica escluderedai diritti l’80 percento dei lavoratoriitaliani

DIRITTI

Ecco la lettera dell’Uesul reddito di cittadinanza

IL PAPA“IL WELFARE NON È UN COSTO”

“E' una importante battagliaculturale considerare il welfareuna infrastruttura e non un costo.Un sostegno non solo economicoalle persone al di sotto della sogliadi povertà assoluta può portarebenefici a tutta la società”. CosìPapa Francesco alle Acli

IL DOCUMENTO

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la Repubblica 9DOMENICA 24 MAGGIO 2015ECONOMIA

PER SAPERNE DI PIÙwww.cortecostituzionale.itespresso.repubblica.itLe misure

Rientro dei capitali per colmare il “buco Ue”Governo ai ripari dopo il no europeo sull’Iva, che costa 728 milioni: per evitare il caro-benzina, clausola spostata al 30 settembreNel frattempo si punterà ad incassare le tasse sui soldi rimpatriati. Mattarella: “Non vedo scontri tra governo e Consulta”

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VALENTINA CONTE

ROMA. Spostare al 30 settembre il termine per far scat-tare l’aumento delle accise sul carburante. E poi neu-tralizzarlo con il gettito, a quel punto certo, del rientrodi capitali. «La clausola di salvaguardia non scatterà innessun caso», promette il premier Renzi. E usare la vo-luntary disclosure (lo sconto penale, non di tasse, per chiriporta in patria i denari evasi) potrebbe servire alla sco-po. E cioè a riempire il buco da 728 milioni - creato sta-volta dall’Europa che ha bocciato l’estensione del re-verse charge, l’inversione contabilesull’Iva alla grandedistribuzione - ed evitare così il rincaro della benzina.Una soluzione utile, a quel punto, a tamponare ancheun’eventuale seconda bocciatura di Bruxelles, sull’altromeccanismo anti-evasione inserito nella legge di Stabi-lità, lo split payment (la scissione dei pagamenti) ap-plicato alla Pubblica amministrazione, in base al qualela Pa non paga l’Iva ai propri fornitori, ma la versa diret-tamente al bilancio dello Stato. Bocciatura che a quel

punto dilaterebbe il buco a un miliardo e 716 milioni. Un altro bel guaio per i conti pubblici. Proprio ora che

il tesoretto è evaporato, mangiato dalla sentenza dellaConsulta sulle pensioni (a proposito della quale ieri ilpresidente Mattarella ha detto di non vedere «né scon-tri né tensioni tra governo e Corte Costituzionale»). Va-canze salve, però. Il pieno non costerà di più dal primoluglio, «in nessun caso». E il primo ottobre, quando i ter-mini per le domande di rimpatrio dei capitali evasi saràscaduto, il governo conoscerà gli incassi, per ora stima-ti simbolicamente a un euro, e tamponerà la falla, se que-sta sarà la soluzione scelta. Ma perché aspettare l’au-tunno? Perché fino ad allora quel gettito extra non èquantificabile, solo auspicabile. Si ipotizzano non menodi 5,6 miliardi, tanto quanto recuperò Tremonti con l’ul-timo scudo del 2009-2010. Si vedrà.

La voluntary disclosure non è però l’unica carta da gio-care. Governo e ministero dell’Economia si dicono certidi avere «margini» a sufficienza per evitare stangate fi-scali. Sul tavolo c’è la sempreverde spending review,

sebbene gli sforzi maggiori da un taglio selettivo allaspesa pubblica (almeno 10 miliardi) siano riservati alprossimo anno, per scongiurare un’altra terribile clau-sola di salvaguardia (l’aumento di Iva e accise). C’è poila spesa in deficit, ma qui l’Italia si muove già sul filo diuno sconto acquisito e blindato, costi quel che costi (il2,6% sul Pil per quest’anno), con Bruxelles poco inclinea riaprire la trattativa. Anche se, si osserva, quei 728 mi-lioni pesano in fondo solo per lo 0,05%. Infine il jolly, lacarta a sorpresa: il Pil. Se in autunno l’Italia fosse ripar-tita meglio delle attese e il superamento del dato di cre-scita previsto per quest’anno (lo 0,7%) alla portata, al-lora i conti ne beneficerebbero a tal punto da chiuderecon agilità anche i buchi, sempre che non si trasforminoin voragini. Nella legge di Stabilità per il 2016 poi le top-pe dovranno diventare strutturali, probabilmente irro-bustendo i tagli di spesa. Reverse chargee split paymentsono sì misure sperimentali, ma di durata quadrienna-le. Mentre il gettito dal rientro dei capitali è una tantum.

Incognite Consulta ed Eurolandia“ipoteca” da 26 miliardi sui conti

LUISA GRION

ROMA.Bocciato il blocco sulla ri-valutazione delle pensioni, boc-ciato il piano contro l’evasioneda Iva: di giorno il governo tessele toppe per coprire i buchi delbilancio pubblico, di notte lesentenze della Corte Costituzio-nale e i giudizi della Commissio-ne Europea le disfano. Alcunedelle misure varate dal premierRenzi e dai precedenti esecutiviper far fronte alla crisi non han-no passato l’esame di legitti-mità. E’ successo e potrebbe suc-cedere di nuovo perché sui tavo-li di Bruxelles e su quelli dellaConsulta ci sono altri provvedi-menti a rischio. Altre mine chepotrebbero esplodere e che, nel-la peggiore delle ipotesi, po-trebbero far lievitare il poten-ziale buco fino a 26 miliardi dieuro (considerati gli effetti so-stenuti quest’anno, ma anchequelli a valere nei prossimi).

Chiusa la vicenda sulla indi-cizzazioni delle pensioni (man-cato adeguamento all’inflazio-ne per il 2012 e 2013 di quelledai 1.400 euro lordi in su varatodal governo Monti) grazie al de-creto che ha fissato l’una tan-

tum d’agosto e aggiornato il cri-terio di rivalutazione a partiredal prossimo anno - misura co-stata 2,2 miliardi - nuove falle sipotrebbero aprire nei bilancidello Stato.

Le partite aperte sono quat-tro: tre in mano alla Consulta,una alla Commissione Ue. Neiprossimi mesi i giudici della Cor-te Costituzionale saranno chia-mati a decidere sulla legittimitàdel blocco applicato ai contrattidel pubblico impiego; dell’ag-gio fino all’8 per cento chiesto daEquitalia sulle cartelle esatto-riali; del contributo di solida-rietà applicato dal governo Let-ta alle pensioni superiori ai 91mila euro.

Delle tre questioni, la più pe-sante è la prima. Gli stipendi delpubblico impiego sono infatticongelati da ormai cinque anni,un blocco di 12 miliardi sul qua-le pesa un’accusa di illegitti-mità: la misura doveva esseretemporanea, ma temporaneanon è stata. La Corte, in passato,si era già espressa in materia so-stenendo il governo e stabilen-do che, in tempi di emergenza,dovevano considerarsi ammis-sibili sacrifici limitati nel tempo.Due anni dopo, fra poco più di unmese (il 23 giugno), la Consultaè però chiamata a decidere sulnuovo pacchetto di ricorsi pre-sentati dai sindacati. E questavolta le cose potrebbero andare

diversamente. Ma ancor prima -il 26 maggio - verrà al pettine ilnodo Equitalia: si tratterà di de-cidere sulla legittimità di unprelievo fino all’8 per cento chel’agenzia di riscossione applicaalle cartelle esattoriali. Se il ri-corso sarà accolto si stima che,nelle casse dello Stato, si apriràun buco di circa 3 miliardi.

Ultima partita nelle mani del-la Corte, quella del contributoversato dalle pensioni d’oro, sul-la quali la Consulta si esprimeràtra settembre e ottobre. Un con-tributo dalla storia travagliata:introdotto, una prima volta, nel2011 era già stato abrogato dal-la Consulta nel 2013. Il governoLetta lo riscrisse e ripresentò,

modulandolo in base a fasce direddito dai 91 mila euro in su elimitandolo al triennio 2014-2016. La misura in sé non valemolto (93 milioni l’anno, quindi

meno i 300 milioni in tutto), maha un forte valore simbolico, an-che perché serve, in parte, a co-prire il sostegno fornito agli eso-dati.

Quanto a Bruxelles, la Com-

missione Europea ha appenabocciato il “reverse charge” sul-l’Iva applicato alla grande di-stribuzione (un meccanismo didetrazione contabile che inver-tiva l’onere del versamento Ivasugli acquisti): misura non an-cora in vigore, ma prevista nellalegge di Stabilità, valutata - peril 2015 - 728 milioni di euro, maestesa anche al 2016-17. E non èfinita qui: ora sotto esame c’è unaltro provvedimento, semprelegato alla riscossione dell’Iva:lo “split payment”, inserito nel-la legge di Stabilità e già opera-tivo. Si tratta di una formula cheprevede la scissione dei paga-menti dell’Iva per evitare le “fro-di Carosello” (sarà la Pubblica

amministrazione a versare l’im-posta per gli acquisti fatti, non ifornitori). Misura che varrebbe988 milioni l’anno per il prossi-mo triennio. Secondo una stimadella Corte dei Conti, i due prov-vedimenti valgono, da qui al2017, 8 miliardi. Sommati allastima dei 12 dei contratti stata-li, ai 3 dell’aggio Equitalia, ai 2già messi in conto sulla indiciz-zazione delle pensioni e al mi-liardo “sottratto” ai conti delloStato dalla sentenza della Con-sulta che ha bocciato la Robintax (l’imposta sul reddito dellesocietà petrolifere ed energeti-che), ecco che si arriva al tettodei 26 miliardi.

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AL TIMONE

Il ministro dell’Economia,Pier Carlo Padoan. Il governoè alle prese con il “buco” neiconti pubblici creato dal noUe al reverse charge

Dopo la sentenza dellaCorte sulle pensioni e ilno Ue sull’Iva, in arrivoaltre verdetti “pesanti”

Grande attenzionesoprattutto sullaprossima decisionesui contratti pubblici

La Commissione Europea La Corte Costituzionale

3 41 2CONTRATTI PUBBLICI

A giugno, la CorteCostituzionale stabiliràse sia legittimo il bloccoal rinnovo dei contrattipubblici che dovevaessere temporaneoma dura da 5 anniIn ballo ci sono12 miliardi

CARTELLE ESATTORIALI

La Consulta - ancoraprima, forse già entroil mese - deciderà sulprelievo che Equitaliaapplica sulle cartelleesattoriali che arrivafino all’8%. Il bucopotenziale, in questocaso, è di 3 miliardi

PENSIONI D’ORO

Sentenza attesa persettembre-ottobreIl governo Letta hariproposto il prelievodopo una bocciaturainiziale della ConsultaL’impatto limitato a 300milioni (soldi serviti adaiutare gli esodati)

PAGAMENTI IVA

La misura, già operativa,introduce la scissionedei pagamenti Iva (perevitare le frodi carosello)L’Ue ne sta valutando lalegittimità. La bocciaturatoglierebbe allo Stato988 milioni l’anno peril prossimo triennio

I PUNTI