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Giovanni Anceschi Basic Design, fondamenta del design La domanda intorno alla quale ruota questo intervento è “a che cosa serve il Basic Design?”. Cercheremo di mostrare che rispondere alla domanda implica l’oggettivazione di questa branca della disciplina del design che si occupa del suo insegnamento, implica, insomma, la presentazione delle ricerche svolte dai designer quando insegnano, nonché le metodologie e gli approcci pedagogici che stanno e sono state alla base dell’insegnamento. E ovvio che la domanda “a che cosa serve” coincide praticamente con quella che suona: che cos’è il Basic Design? Basic Design” non è una espressione del linguaggio comune come la parola “arte” o, ormai, la parola “design” da solo. E certamente non è una nozione notissima. Se si dovesse fare un inchiesta presso gli studenti di molte università e scuole di design italiani io ho l’impressione che sarebbe più facile che dimostrerebbero di conoscere quello che si chiama Design primario piuttosto che la tradizione del vero e proprio Basic Design. Il che risulta davvero abbastanza curioso se i pensa che Alain Findeli in Rethinking Design education for the 21st Century è proprio al basic che affida il ruolo centrale e riequilibratore delle relazioni fra componente estetica, tecnologica e scientifica nella disiciplina e nella professione. Ai designer italiani, si potrebbe dire che il Basic Design è la disciplina centrale del design. E’ una disciplina estremamente particolare e originale come statuto, in quanto intreccia intimamente propedeutica, (cioè la pratica dell’insegnamento di un saper fare) e fondazione disciplinare (cioè il pensiero teorico e metodologico che le sta alla base). In altri termini il Basic Design è il luogo ideale dove convergono e si concatenano di fatto ricerca formale e 1

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La domanda intorno alla quale ruota questo intervento è “a che cosa serve il Basic Design?”. Cercheremo di mostrare che rispondere alla domanda implica l’oggettivazione di questa branca della disciplina del design che si occupa del suo insegnamento, implica, insomma, la presentazione delle ricerche svolte dai designer quando insegnano, nonché le metodologie e gli approcci pedagogici che stanno e sono state alla base dell’insegnamento. 1 espressiva, progetto e, appunto, insegnamento. 2 3 4

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Giovanni AnceschiBasic Design, fondamenta del design

La domanda intorno alla quale ruota questo intervento è “a che cosa serve il Basic Design?”. Cercheremo di mostrare che rispondere alla domanda implica l’oggettivazione di questa branca della disciplina del design che si occupa del suo insegnamento, implica, insomma, la presentazione delle ricerche svolte dai designer quando insegnano, nonché le metodologie e gli approcci pedagogici che stanno e sono state alla base dell’insegnamento.

E ovvio che la domanda “a che cosa serve” coincide praticamente con quella che suona: che cos’è il Basic Design?“Basic Design” non è una espressione del linguaggio comune come la parola “arte” o, ormai, la parola “design” da solo.E certamente non è una nozione notissima.Se si dovesse fare un inchiesta presso gli studenti di molte università e scuole di design italiani io ho l’impressione che sarebbe più facile che dimostrerebbero di conoscere quello che si chiama Design primario piuttosto che la tradizione del vero e proprio Basic Design.Il che risulta davvero abbastanza curioso se i pensa che Alain Findeli in Rethinking Design education for the 21st Century è proprio al basic che affida il ruolo centrale e riequilibratore delle relazioni fra componente estetica, tecnologica e scientifica nella disiciplina e nella professione.Ai designer italiani, si potrebbe dire che il Basic Design è la disciplina centrale del design.E’ una disciplina estremamente particolare e originale come statuto, in quanto intreccia intimamente propedeutica, (cioè la pratica dell’insegnamento di un saper fare) e fondazione disciplinare (cioè il pensiero teorico e metodologico che le sta alla base).In altri termini il Basic Design è il luogo ideale dove convergono e si concatenano di fatto ricerca formale e

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espressiva, progetto e, appunto, insegnamento.

A dire il vero questa connessione stringente fra insegnamento e teoria è connaturata con il modo in cui - forse da sempre e dappertutto - è avvenuto e avviene che nascono le disciplineIl sapere si forma e cioè si formula laddove c’è bisogno di trasmetterlo.Nasce quando la trasmissione è indiretta, e allora nasce l’opera di Vitruvio o di Hogart nella forma di quel libro che è il manuale.Ma nasce ancor prima quando si pratica la trasmissione diretta (cioè si fa scuola). Si pensi che De Saussure - il fondatore della semiolinguistica - non ha mai scritto una riga e solo a posteriori - a partire dagli appunti dei suoi allievi - è nata la dispensa che diventerà il Traité.

Nel design ci sono antefatti del Basic Design già a partire dalla fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, che prendono la forma del manuale in un contesto industriale tessile e manufatturiero che chiede di sistematizzare la decorazione: Walter Crane, Lewis Foreman Day, Eugene Grasset . [Cfr. Qui di seguito l’intervento di Isabella Simonini]Ma la grande novità nell’insegnamento di quel tipo di competenze che si definiscono definire comunemente come le competenze creative e progettuali è rappresentata senza equivoci dal Bauhaus.E’ presso il Bauhaus che assistiamo alla nascita della disciplina del design: La disciplina, si badi bene, e non attività, che ovviamente è nata molto prima, e cioè con la nascita di sistemi produttivi determinati con la rivoluzione tipografca di Gutemberg o con la rivoluzione industriale di Watt.E invece la nascita del Design in quanto disciplina avviene in quel settore propedeutico che si chiamava Grundkurs a Weimar e Dessau, che si chiamò Grundlehre a Ulm e che e che fu tradotto nei paesi anglosassoni con l’espressione Basic Design(Grund=base)

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I pionieri del Bauhaus avevano le idee chiare e giustamente pretenziose: si permisero di scegliere come docenti fondatori del Grundkurs (fra gli altri) due personaggi di livello superiore. A proporre un azzeramento dei pregiudizi formativi che ciascun allievo si portava dietro e a proporre una concezione nuova del fare progettuale, furono chiamati Wassili Kandinsky, in cui questo processo culminerà nella formulazione di Punto Linea e Superficie; ma soprattutto Paul Klee con il suo compiutamente consapevole Teoria della forma e della figurazione.“Forma”, nel titolo italiano, traduce la parola Gestaltung, ma forse oggi si potrebbe dire meglio configurazione e configurare, che appaiono come buone approssimazioni. In tedesco dunque “gestalten” e “Gestaltung “contrapposte a “darstellen” e “Darstellung”, e in italiano un “configurare” ben distinto da “raffigurare”. Un “plasmare, disporre, comporre, montare e modulare” nettamente distinto da un “rappresentare e disegnare”.In inglese abbiamo solo “to design” che tende a mettere l’accento sull’aspetto di raffigurazione, notazione, prefigurazione e forse pianificazione, in altre parole sulle procedure e non sui risultati. E appare significativa questa prospettiva operazionalista implicita nel pensiero pragmatico anglosassone.Seguendo l’avvio dei corsi di Kandinskij e soprattutto di Klee al

Bauhaus ci è dato di assistere a uno spettacolo unico e favoloso:

assistiamo in presa diretta al passaggio dalla trasformazione della

poetica personale di un artista nello sforzo di una oggettivazione

e formulazione disciplinare. Alla metamorfosi di un sapere

implicito e ineffabile (il segreto del mestiere) nella fiducia in un

sapere trasmissibile.

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Con Itten le cose sono un poco diverse perché diverso è il suo modello di trasmissione del sapere. Posso propormi come testimone di questo atteggiamento avendo praticato (nel corso di Herbert Lindinger a Ulm) una importante esecitazione gestuale ideata a suo tempo da Itten. Il modello sono le disicpline orientali del corpo (come forse le arti marziali), basate sull’idea di un training in grado di “mettere in condizione di agire”, nello specifico di “sciogliere il polso”).Moholy Nagy svilupperà invece soprattutto le prospettive dell’intreccio fra la multisensorialità, se non addirittura sinestesia, e le – per allora - nuove tecnologie (elettriche, fotografiche e cinematografiche).A Ulm, dopo una prima fase guidata da Max Bill si ha la riforma della propedeutica ad opeara di Maldonado. Bill, il primo rettore di Ulm, si era limitato alla riproposizione fedele della formula bauhausiana. Come abbiamo visto, al Bauhaus il corso basico si caratterizzava come un unico corso indifferenziato, finalizzato all’azzeramento di ogni pre-giudizio, al training e alla ricerca/sperimentazione.Con Maldonado si ha l’abbandono del modello, per così dire, “montessoriano”, “steineriano” per non dire “catartico”, proprio dei pionieri del Bauhaus . Il discente non è più pensato come una figura di principiante, ma come il frequentatore di una scuola superiore.E la sua riforma si concentra su una serie di punti chiave:punto 1. differenziazione del basic a seconda della disciplina: un basic specializzato per il corso di laurea in informazione (esercitazioni, per esempio, di montaggio letterario, di cut in come avrebbe potuto dire Bourroughs), un basic specializzato per le comunicazioni visive (principalmente bidimensionale, e semiotico), per design del prodotto (principalmente tridimensionale e topologico), per architettura industrializzata (principalmente strutturale)punto 2. progressivo abbandono della formula della sperimentazione libera di estrazione artistica, per passare alla formula caratterizzata da una formulazione precisa degli elementi delle regole e dell’obbiettivo. (il basic – nella versione

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ultima - enfatizzerà poi molto questo aspetto che avvicina molto la formulazione dell’esercitazione a un autentico brief di progetto).punto 3. innesto sistematico delle discipline scientifiche nella determinazione, precisazione dei processi morfogenetici, compositivi, modulatori, ecc.

Essendo io stesso stato assistente pedagogico a Ulm, dispongo di una raccolta piuttosto estesa delle formulazioni delle esercitazioni. Cito alcune fra le principali aree tematiche esplorate:

- “Creazione di strutture” (studiata dalla Teoria della simmetria)- “Trapasso di forme” , e “Trapasso di trame” (in gran parte derivazioni di quella branca della simmetria detta “Singenometria”. Bill Huff svilupperà questa tematica intitolandola “Parquet deformations” e raggiungendo un livello di rigore fondazionale che gli meriterà la citazione di un matematico/epistemologo come Hofstadter in Metamagical Themas.- “Superfici non orientabili”(studiate dallaTopologia) - “Produzione di pattern per mezzo di sequenze lineari”(Calcolo combinatorio e anticipazione dei frattali, Curva di Peano, ecc.) - “Contrasti”, “Differenziazioni minime” e “Produzione di effetti spaziali apparenti” (studiati da Percettologia e Gestaltpsychologie, )- Infine il grande e sfaccettato tema del colore Al Bauhaus è fondamentale il contributo – ispirato a Goethe - di Itten.E poi soprattutto a Yale (e anche a Ulm) si hanno le ricerche e le elaborazioni di quel gigante della configurazione e della sua pedagogia che è Josef Albers. Albers era stato allievo e poi docente del Grundkurs al Bauhaus, e svilupperà la sua impostazione innovativa che va sotto il nome di Interazione del colore. Portando alle estreme conseguenze alcune osservazioni di Itten, Albers guiderà gli studenti, verso una prospettiva che vede il colore come realtà instabile, riuscendo però a elaborare un rapporto conoscitivo costruttivo con la cromatologia

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oggettiva. Non parla infatti di colori illusori, contrapposti ai colori reali, ma parla di realtà parallele: la realtà fattuale e la realtà attuale. Con l’esercitazione intitolata “4 colori con 3 colori”, ad esempio, Albers fa prendere coscienza del fatto che un tassello di colore è influenzato diversamente da due diversi colori di fondo: Si produce così l’apparenza di quattro diversi colori attraverso la presenza fisica di solo tre colori.Successivamente, con l’esercitazione chiamata “3 colori con 4 colori”, viene stimolata la capacità dei discenti di manipolare il colore fino a livelli di grande grande virtuosismo. Si chiede che, a partire dalle quattro realtà cromatiche apparenti, - in uno dei due tasselli - lo studente produca una correzione cromatico/percettiva tale da evocare l’apparenza di un solo colore, laddove ce ne sono fisicamente dueDa porre nel massimo risalto è, soprattutto poi, la novità della formula pedagogica, che si basa sul principio (fenomenologico) dell’intersoggettività: in questo ambito del “percepito” il vero è ciò che è vero per la comunità di senso rappresentata dalla classe di studentiIn un suo testo che si chiama Search versus re-search, un titolo che è un manifesto antelitteram contro il postmodern, Albers dice poi che arte e design sono qualcosa di contiguo ma di diverso, di diverso perché il design è un “attività finalizzata”ma contiguo perché la zona contatto se non di sovrapposizione è la questione formale.

Il Basic Design serve dunque ad insegnare concretamente a un pubblico di potenziali designer. Ma come si insegna a dar forma, a configurare, a gestalten?

--Secondo un modello che definiremo artistoide queste cose non

si insegnano e, per argomentarlo, si fa ricorso a nozioni come

l’ispirazione, o “la mano” che o si hanno o non si hanno.

Insomma il superdotato contrapposto al incapace innato. Si fa

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ricorso all’idea del talento, che potrebbe significare che non tutti

sono identicamente dotati, ma questo non vuol dire che a partire

dalla dotazione non si possa andare avanti. In fondo è un

modello molto datato, risalente al romanticismo.

- Il maestro coi suoi segreti è il perno del modello - più solido certamente - che potremmo chiamare medioevale (quello della della bottega, che viene poi sublimata nell’atelier delle Beaux Arts e poi ulteriormente nelle scuole di architettura che appunto nascono presso le Accademie di Belle Arti) L’allievo imitandolo quando gli sarà data l’occasione… O più tardi: l’allievo copiando le opere esemplari dei maestri .... O infine, ancora più di recente: l’allievo decostruendo le opere del canone, e poi ricostruendo ed adattando…- L’ultimo modello è quello dell’sapere universitario: L’università, più che la scienza, si erano strutturate secondo il modello di un sapere istituzionale organizzato secondo principi deduttivii. E allora la formula, che implica il programma delle lezioni e la lezione ex cathedra, è una metodologia pedagogica ispirata al pensiero deduttivo. E per il Basic Design abbiamo avuto modo di osservare lo sforzo oggettivante, avviato in modo inaugurale da Kandinskij e da Klee, e poi in modo già molto maturo, da Maldonado, per il quale il Gestalter non si deve inventare tutto, perchè ci sono pezzi di sapere, conoscenze scientifiche organizzate, già disponibili. Ma quella deduttiva è una strada che per la didattica o meglio per la pedagogia dell’invenzione e del design non è sufficiente. E Albers sceglie infatti la formula della verità dialogica, l’idea di una certezza che, come abbiamo visto, è di tipo intersoggettivo.

Nel Basic insomma è la didattica (e lo stesso il training del saper fare) che veicola e contemporaneamente genera il corpus delle conoscenze.Il corpus delle conoscenze si distilla nelle esercitazioni. Le esercitazioni sono letteralmente paradigmatiche, esemplari.

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Sono esempi semplificati, cioè consapevolmente ridotti della situazione effettiva di progetto.

L’esempio più esplicito è rappresentato da un’esercitazione ideata da Maldonado e intitolata “Antiprimadonna”. Al discente viene chiesto di ottenere un preciso effetto: fare sì che nessun elemento o parte del pattern risultante, “eserciti il ruolo della prima donna”. La “sacchiera” di questo “gioco con regole”, è rappresentata da un rettangolo allungato da suddividere in bande verticali. I “pezzi” del gioco,sono sette per la precisione, di cui cinque devono essere riempite di un colore piatto a piacere e due con due diverse trame isometriche in bianco e nero (retini di punti o linee, nero su bianco o bianco su nero). Si ottiene così di allenare i discenti a produrre pattern non gerarchizzanti, e questo, ovviamente, sviluppa l’ abilità a realizzare gerarchie percettive. Saper pilotare la percezione del destinatario, in modo che si renda subito conto che cosa è importante e che cosa lo è meno, rappresenta – si pensi a un manifesto, a un’intefaccia o a un oggetto d’uso – una delle competenze cruciali per ogni design e ogni designer.In altre parole il paradigma disciplinare che, in questo esempio, identifica come competenza fondamentale ed essenziale la capacità di far percepire gerarchie, è sotteso e non formulato. Ma lo studente lo pratica e se ne appropria, prima di formularlo (o di sentirlo formulare) secondo un approccio epistemologia ri-fondativo e induttivo.

Collegato a questo c’è un altro carattere di straordinaria originalità nel Basic Design e cioè la intrinseca plasticità del corpus dei saperi specifici che lo compongono. Il Basic col procedere del tempo porta - per così dire con sé il proprio orizzonte. Il Basic degli anni ’50 dell’altro secolo non è lo stesso degli inizi del 2000.In parole chiare alcune esercitazioni (e quindi alcuni punti focali disciplinari) decadono e ne nascono di nuovi, adattandosi alle circostanze e agli sviluppi del contesto, ad esempio quello tecnologico. Attualmente sta includendo sempre più

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esercitazioni cinetiche, sequenziali, interattive e multimodali in accordo con la presenza determinante nel nostro orizzonte esistenziale di quel Proteo mediatico che è il computer. Il Basic Design è insomma una disciplina rigorosa ma anche vivente e metamorfica.

E’ molto interessante infine farsi un’idea della situazione italiana del Basic Design.E, ricapitolando, abbiamo visto che in Germania col Bauhaus nasce la disciplina nel corso fondamentale; e poi, attraverso la diaspora, causata dall’avvento in Europa del Nazismo, con Chicago Yale, e nel dopoguerra con Ulm, ecc., il Basic Designsi diffonde in tutto il mondo.E in Italia? In Italia vige la totale leadership del modello architettonico(la Domina Architectura regna sulle altre discipline urbanistiva, design, grafica ecc., pensate come ancillae atque machanicae). In Italia infatti l’insegnamento resterà resterà in molti casi vincolato a quella che abbiamo chiamato la formula medioevale o forse orientale che si salderà con la prospettiva decostruzionista postmoderna. Una pedagogia questa che, nel suo complesso, crede poco alla possibilità della creazione di un disciplina autonoma e oggettiva elle questioni formali. E allora in Italia assistiamo al fenomeno di un basic senza l’insegnamento, complice la mancanza di un’univesità del design. Il basic si è allora realizzato nell’arte o più precisamente in quella zona intermedia fra il design e l’arte. E rappresenta il recupero di un ritardo.E’ Bruno Munari a incarnare questa posizione. E ad avviare una ricerca che si è realizzata nell’arte concreta e soprattutto nell’arte cinetica e programmata e nell’avanguardia gestaltica.

Sono abbastanza evidenti le parentele concettuali e formali che ci sono fra un risultato dell’arte cinetica come l’ Ipercubo di Davide Boriani e la Sfera topologicamente non orientabile del corso di Basic di Maldonado, oppure fra la struttura cinetica Tricroma di Giovanni Anceschi, artista cinetico prima di andare

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a Ulm e l’esercitazione ideata sempre da Maldonado, e intitolata “Concavo convesso ambiguo e piano”.Nel caso delle relazioni fra il lavoro di Walter Zeischegg, docente di morfologia a Ulm, e quello di Munari c’è poi, addirittura, qualcosa di più. Munari realizza l’opera “Tetracono”, ma, a pag. 25 dell suo libro Il cerchio, è pubblicata la “Conosfera” di Zeischegg.

Ma la cosa che l’arte cinetica e programmata aveva di davvero di originale e anticipatrore, e che non si può trovare nel Basic Design canonico, è stata: --- in primo luogo una attenzione molto intensa per la relazione del fruitore/utilizzatore con l’oggetto (activation du spectateur); --- e in secondo luogo 66, con l’avvento degli ambienti, di cui proprio il mio Gruppo, il gruppo T, è stato promotore e anticipatore, l’attenzione per l’inclusione dello spettatore nell’opera.Queste due cose si chiamano oggi interattività e immersività e sono due nozioni che pratichiamo continuamente quando progettiamo interfacce e ambienti virtuali (i siti).

Come sempre - come diceva Max Bense - la teoria implicita nell’attività artistica dimostra di avere delle lunghe antenne e deve aspettare che le condizioni circostanti siano mature per diventare condivisa.

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