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1°/ 1°/ 1°/ 1°/2010-11 Don Franco Mosconi DAL TEMPO DAL TEMPO DAL TEMPO DAL TEMPO DI DI DI DI GESù GESù GESù GESù AL AL AL AL TEMPO TEMPO TEMPO TEMPO DELLa DELLa DELLa DELLa CHIESA CHIESA CHIESA CHIESA Lettura spirituale degli ATTI DEGLI APOSTOLI Atti 1,1-26 Villa Elena - Affi, 16 ottobre 2010

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1°/1°/1°/1°/2010-11

Don Franco Mosconi

DAL TEMPO DAL TEMPO DAL TEMPO DAL TEMPO DIDIDIDI GESùGESùGESùGESù

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Lettura spirituale degli ATTI DEGLI APOSTOLI

Atti 1,1-26

Villa Elena - Affi, 16 ottobre 2010

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N.B.

Il testo risente del linguaggio parlato, essendo tratto direttamente dalla registrazione e non è stato rivisto dal relatore.

Stampato in proprio ad uso interno

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Don Franco Mosconi Affi, 16 ottobre 2010

Iniziamo con il canto e con una preghiera del IX secolo:

Donami la tua presenza,

Signore, Padre Santo e buono. Concedimi un’intelligenza che ti conosca,

un cuore che ti senta, uno spirito che ti gusti, un ardore che ti cerchi,

una sapienza che ti trovi, un’anima che ti comprenda,

occhi del cuore che ti vedano, una vita che ti sia gradita,

una perseveranza che ti attenda, una morte santa.

Donami la tua presenza, la santa resurrezione,

una buona ricompensa, la vita eterna.

Amen.

Benvenuti a tutti.

Da circa quindici anni portiamo avanti questi incontri, per cui la prima cosa da fare è veramente

ringraziare il Signore, che ci fa ritrovare assieme: è un suo dono.

Dobbiamo leggere anche questi eventi concreti in una visione di fede: è un suo dono l’essere stati assieme per quindici anni e aver compreso un po’ di più la sua Parola. Quest’anno ho pensato di proporre gli Atti degli Apostoli. Invochiamo lo Spirito perché ci insegni a cogliere nella sua Parola Lui stesso.

Stamani sarà, specialmente la prima parte, un saggio di ciò che ci attende negli incontri futuri. Questo primo incontro è proprio di tipo introduttivo, ma ci dà tante informazioni per comprendere il seguito. L’inizio di un testo come gli Atti richiede anche una serie di informazioni utili, essenziali per comprenderlo in profondità, poi via, via, ne coglieremo la straordinaria ricchezza.

Questo testo del Nuovo Testamento, molto importante per la comunità cristiana perché è il libro della vita primitiva della Chiesa, è il libro delle nostre radici cristiane. Potremmo dire che gli Atti degli Apostoli è un po’ l’album di famiglia della nostra comunità più antica, per cui leggere tale Libro è un po’ come tornare a casa, scoprire gli antenati, riscoprire la nostra fisionomia spirituale, cioè andare alle radici della nostra vita di Chiesa oggi.

Quindi non leggiamo semplicemente un testo dal punto di vista culturale ma, come sempre, vogliamo fare insieme un’esperienza di vita cristiana attraverso l’ascolto della Parola di Dio.

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1-Introduzione generale Leggerò i primi versetti introduttori.

Atti 1, 1-26

1Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio

2fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli

fu assunto in cielo.

3Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta

giorni e parlando del regno di Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non

allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre «quella,

disse, che voi avete udito da me: 5Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in

Spirito Santo, fra non molti giorni».

Vorrei leggere anche una preghiera, che fa parte del capitolo quarto, iniziando questo nuovo corso. E’

una formula già presente negli Atti degli Apostoli (cap.4): è una preghiera della comunità in un momento di pericolo, di difficoltà. Noi la facciamo nostra unendoci alla loro voce:

[Atti 4,24] «tutti insieme levarono la loro voce a Dio dicendo:

«Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi,

tu che hai parlato per mezzo dello Spirito Santo, Signore, volgi lo sguardo alla nostra situazione,

concedi ai tuoi servi di annunciare con tutta franchezza la tua parola.

Stendi la mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del tuo santo servo

Gesù».

E’ la preghiera di questi nostri fratelli di duemila anni fa, ma è anche la nostra preghiera, come è stata la

preghiera dell’antica comunità; ecco: “volgi lo sguardo alla nostra situazione”. 2-Perché leggere gli Atti degli Apostoli? � Perché leggere gli Atti degli Apostoli? Noi leggeremo gli Atti come comunità cristiana, come Chiesa, la Chiesa di oggi in cammino in questo tempo. Certamente Chiesa molto diversa da quella delle origini: duemila anni non sono passati invano, hanno lasciato il loro segno, ed è giusto che sia così. � Perché noi cristiani del duemila leggiamo un testo di venti secoli fa? Certamente non per un gusto di arcaicità, non perché amiamo le cose vecchie e neanche perché vogliamo tornare a usi e costumi che erano di quei tempi; come chiesa, come corpo ecclesiale non siamo chiamati a tornare indietro negli anni; siamo chiamati piuttosto ad andare avanti. � Ed allora perché leggiamo questo libro antico che ci presenta una comunità antica? Il terzo Vangelo, quello di Luca, e il libro degli Atti, in principio erano un’unica opera. Gli Atti degli Apostoli, infatti, continuano la narrazione evangelica e mostrano come siamo giunti dalla predicazione del Cristo alla realtà storica della Chiesa. Non a caso ho dato questo titolo: DAL TEMPO DI GESÙ AL TEMPO DELLA CHIESA

Il finale aperto del Vangelo di Matteo non racconta la reazione dei discepoli al mandato missionario. Anche il finale di Marco offre una formula di esecuzione molto generale e sintetica: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava

la parola con i prodigi che l’accompagnavano». [Mc 16,20]

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Per conoscere i primi passi della comunità cristiana e il difficile inizio della missione apostolica, dobbiamo rivolgerci a Luca e leggere la sua opera storico-teologica: lo facciamo per trovare in quella comunità gli elementi essenziali, fondamentali, della nostra vita cristiana di oggi.

Negli Atti degli Apostoli noi cerchiamo un’esperienza di Chiesa capace di aiutare la nostra Chiesa di oggi: questo è l’intento di fondo. Vogliamo scoprire le radici, gli elementi essenziali della comunità cristiana, tutto il resto è parte della storia. Noi come Chiesa siamo radicati in questa storia di oggi.

Quindi non leggiamo il testo da curiosi in cerca di informazioni, ma meditiamo il testo da credenti desiderosi di informazione. Allora, ripeto, il motivo per cui è evidente quanto sia importante il libro degli Atti nella vita del cristiano è il fatto che esso contiene la risposta che hanno dato i primi discepoli alla vocazione ricevuta da Cristo.

Noi viviamo la stessa testimonianza; dobbiamo vivere la loro medesima vita; dobbiamo rendere agli uomini lo stesso servizio che essi hanno reso. Ci troviamo nella stessa situazione in cui essi si trovavano, non solo perché come loro viviamo l’apparente abbandono del Cristo (Cristo è salito al cielo), ma perché anche la situazione storica in cui oggi ci troviamo pare ripetere la condizione in cui si trovava il mondo greco-romano all’apparire del cristianesimo: le antiche religioni sembravano svanire nel nulla e in quel vuoto risuonò l’annuncio di una salvezza. Tutte le nostre ideologie sono passate: potrebbe essere il tempo propizio per l’annuncio della salvezza. Oggi pare venir meno ogni fede in un nuovo intervento di Dio, sembra venir meno anche la fede nel Signore Gesù, sembra che gli uomini non abbiano più nemmeno la capacità di accogliere il messaggio di Dio. � La parola e la testimonianza apostolica potranno oggi riaprire al mondo una nuova via? Qui c’è una grande responsabilità per tutti noi! � La parola degli Apostoli e la nostra testimonianza possono ridonare agli uomini il senso di Dio? Il cristianesimo aspetta davvero una nuova Pentecoste. Lo si diceva quando ci fu il Vaticano II. Oggi si ha l’impressione che ci sia un’insabbiatura, un allontanarsi anche da quello. � Il cristianesimo aspetta davvero una nuova Pentecoste? Non tanto un magnifico rifiorire di opere, quanto piuttosto un ascolto da parte del mondo di una Parola che abbia ancora oggi la forza di rompere la sordità degli uomini, di operare un rinnovamento della storia.

Purtroppo sembra anacronistico ogni messaggio religioso. Il mondo sembra essere vuoto. Gli stessi che debbono portare l’annuncio a volte sembra che si vergognino di farlo.

Come Chiesa è più facile parlare di impegno, di giustizia sociale, di impegno culturale, che sono importanti, che non parlare del Dio vivente. � Può davvero la Chiesa conoscere una nuova primavera? Noi dobbiamo credere che è possibile, ma dobbiamo imparare dagli Atti degli Apostoli quali sono le condizioni di queste possibilità perché Dio può far tutto, ma Dio ha anche scelto l’uomo quale strumento delle sue operazioni. Se l’uomo non risponde alle condizioni poste, volute da Lui, questa Pentecoste si farà aspettare e gli uomini vivranno soltanto l’agonia del cristianesimo. Sì, possiamo assistere all’agonia del cristianesimo, ma essa non è l’agonia di Dio, non è la morte di Dio; Lui non muore! Può essere dunque l’agonia del cristiano, un illanguidirsi della fede, un venir meno della speranza. � Quali sono le condizioni perché noi cristiani diveniamo strumento di una nuova primavera per il

mondo che deve accogliere questa divina parola? Ecco gli Atti degli Apostoli ce lo indicheranno, ce lo insegneranno.

Dobbiamo essere i testimoni del Cristo come lo furono i primi discepoli, portare il messaggio della salvezza come loro lo portarono. A volte dobbiamo anche saper so. Dobbiamo rivolgerci a lui e non aver paura di “offendere” anche i potenti di oggi, cioè la potenza della stampa, della pubblicità, dei partiti, del capitale, che spesso manovrano le leve della storia, imbrigliano gli uomini (forse nemmeno se ne accorgono). Sembra impossibile oggi alla verità di parlare, di trovare un ascolto.

Non è mai stato facile, ma oggi è spaventosa la schiavitù in cui l’uomo si trova. Ci libererà da essa solo la fede: una fede, però, che si potrà conservare solo nella misura in cui fin dall’inizio uno è povero e vuol rimanere tale, vuol essere servo e figlio di Dio. Figlio perché possiede questa umile confidenza di chi vive nelle mani di Dio… “nulla nuoce a chi si fida di Colui che l’ha chiamato…”.

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3-Il cammino storico della Parola di Dio

Noi siamo stati mandati nel mondo come testimoni della potenza della Parola. Dio ci ha scelto come un giorno ha scelto gli Apostoli: povera gente che non aveva alcun potere, per dar loro il potere di annunciare la sua Parola, che è Parola che crea.

Dio non ha bisogno di ricchezza, di potenza, di potere. A noi importa rendere conto che non abbiamo e non vogliamo altro potere che quello di essere

testimoni di Cristo e, per essere tali, dobbiamo conservare la libertà che ebbero gli Apostoli: nella loro libertà poterono sfidare il Sinedrio, sfidare la potenza di Roma: umili pescatori, annunciarono ai potenti del mondo la Parola di Dio.

Noi viviamo nel mondo; dobbiamo rimanere nel mondo. Il Cristo fece presente Dio in mezzo agli uomini. Se noi dobbiamo vivere nel deserto, il nostro deserto forse è la città di oggi dove vi sono sì gli uomini, ma spesso è assente Dio. Siamo debitori di portare Dio, di annunciarlo, di comunicarlo con la nostra medesima vita, nella semplicità della nostra esistenza, senza pretese, senza nemmeno umane speranze.

Avremo compiuto la nostra missione quando avremo ridato agli uomini la fede in un Dio che ci ama. Il libro degli Atti allora deve diventare la nostra medesima storia. Gli Atti iniziano con la riunione, nella camera alta del Monte Sion, dei dodici, dei fratelli del Signore, di alcune donne con Maria, madre di Gesù: più di centoventi persone in attesa dell’effusione dello Spirito (cap. 2). Con tale effusione questi poveri saranno mandati al mondo a portare il Vangelo.

Anche noi siamo mandati: invocando lo Spirito, anche noi vivremo l’umiltà serena dell’attesa che lo Spirito discenda su di noi e ci rinnovi.

Che ambizione grande la nostra! Pretendere che proprio attraverso il nostro rinnovamento possa avvenire un rinnovamento di tutta la terra e, prima di tutto, di tutta la Chiesa.

Chi rinnova la terra è lo Spirito Santo! Ma lo Spirito Santo può servirsi di noi, vuole usare noi se veramente viviamo da discepoli; la nostra

debolezza non è un ostacolo alla potenza di Dio; anzi, se Dio opera, Egli che è Creatore, non sceglie come strumento che il nulla….dei poveri pescatori ignoranti….per questo Egli ci ha scelto.

La nostra debolezza e la nostra miseria non possono essere un ostacolo alla Sua onnipotenza creatrice: la misura dell’onnipotenza di Dio è semplicemente la fedeltà dell’uomo. Sono alcuni excursus che avviano a questa introduzione generale. Questo discorso introduttivo ha senso proprio perché già l’autore del testo degli Atti si trovava in una situazione simile alla nostra. 4-L’Autore degli Atti

Luca non è un apostolo della prima generazione, né un testimone diretto dei primi fatti, ma è un uomo di Chiesa della seconda o addirittura della terza generazione.

Il titolo del libro è stato aggiunto col tempo dagli antichi commentatori. Il grande Vescovo Ireneo di Lione, verso l’anno 180, lo definisce: “Testimonianza di Luca sugli Apostoli”

(così la traduzione). Tertulliano lo chiama semplicemente: “Il commentario di Luca”. Il titolo di uso comune deriva invece dagli antichi codici greci che, a partire dal IV secolo, ponevano l’inizio del libro con questa iscrizione: “Azioni di (o degli) Apostoli”.

Questo titolo non è dunque originario. É diventato necessario solo quando l’opera è stata staccata, scissa, dal Vangelo di Luca (quando si parla dell’opera Lucana, si parla del Vangelo e degli Atti), quando hanno stabilito il canone di quattro Vangeli.

Il titolo “Atti degli Apostoli” corrisponde ormai ad un uso comune nella letteratura ellenistica. “Atti” indica il suo contenuto. Non dice neppure il nome dell’autore, ma quello dei protagonisti. Di fatto, però, non si tratta di tutti gli apostoli, ma quasi esclusivamente di Pietro, la prima parte, e poi di Paolo dopo la conversione, seconda parte. Quindi l’opera riguarda gli Atti di alcuni Apostoli.

La tradizione antica considera autore degli Atti Luca, lo stesso autore del terzo Vangelo.

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Iniziamo ora la presentazione degli Atti a partire dall’autore del libro e ci domandiamo: Chi era? Che cosa faceva nella vita questo autore? Soprattutto perché ha deciso di scrivere un libro del genere? Cercherò di dare una risposta a questi interrogativi. � Chi è questo autore degli Atti? Cerchiamo di ricostruire la vita, la figura, le intenzioni dell’evangelista Luca.

Come per i Vangeli, anche per gli Atti, non troviamo l’indicazione dell’autore all’interno del testo, ma la tradizione ecclesiastica più antica è concorde nell’attribuire questa opera all’autore del terzo Vangelo, cioè Luca.

Tornando al grande Vescovo Ireneo, nella sua opera in difesa della tradizione cattolica, cita per due volte l’autore del terzo Vangelo, ma senza molti particolari:

“Luca (scrive Ireneo), compagno di Paolo, annotò in un libro, il Vangelo, che questi predicava. Questo Luca era inseparabile da Paolo e suo collaboratore nel Vangelo”.

Oltre al nome, l’unica notizia che viene data dall’autore è la sua familiarità con l’apostolo Paolo. Questa nota viene sempre ripetuta in tutti gli antichi documenti e sta a dimostrare la grande importanza

che i Padri attribuivano alla apostolicità di questi testi; sottolineavano sempre, infatti, che essi furono scritti dagli apostoli o dai discepoli degli apostoli.

La testimonianza diretta e la tradizione fedele erano ritenuti condizioni fondamentali perché questi scritti avessero valore.

Unico testo latino scritto nel II secolo conserva altre notizie su Luca: “Luca è un Siro di Antiòchia, medico di professione, discepolo degli apostoli.

In seguito seguì Paolo fino al suo martirio, seguendo Dio in modo irreprensibile.

Quando erano già scritti dei Vangeli: Matteo in Giudea, Marco in Italia a Roma,

mosso dallo Spirito Santo scrisse in Grecia questo Vangelo”.

Quindi le testimonianze patristiche su Luca confermano questi dati, segno che la tradizione ecclesiastica conservava solo il patrimonio sicuro, senza indulgere a fantasticherie o a leggende.

Confrontando i dati della tradizione patristica e le informazioni desunte nel N.T. possiamo trovare alcune conferme sicure.

Innanzi tutto, tutta la Tradizione attribuisce allo stesso Luca la composizione del terzo Vangelo e degli Atti. Attraverso l’analisi, curata dal punto di vista linguistico e teologico, si può affermare con certezza che uno stesso autore ha composto le due opere: è una stessa lingua, stesso vocabolario, stesso stile, stesso destinatario Teofilo, come conferma il prologo del libro degli Atti che rinvia esplicitamente al primo libro.

Abbiamo letto: «Nel mio primo libro (che è il Vangelo) ho già trattato, o Teòfilo» (questo nome è un po’ simbolico), quindi, in secondo luogo, è certo che l’autore degli Atti è stato compagno di Paolo in alcuni viaggi.

A questo punto, possiamo accettare tranquillamente il dato tradizionale che riconosce in Luca, e non in altri, l’autore del Vangelo e degli Atti. In base ai dati del N.T. dell’antica tradizione patristica, possiamo ricostruire la sua vita e la sua personalità.

� Cosa faceva nella vita questo autore degli Atti?

Luca era un medico di Antiòchia di Siria che era una grande città, una metropoli del mondo antico, una delle città più grandi, più colte, più ricche del bacino del Mediterraneo: una città che noi chiameremmo ‘universitaria’, di alta cultura, un crocevia dell’economia, della politica, della scienza del mondo antico. Antiòchia era così!

Luca è un greco, un uomo che ha studiato e che ci fa presupporre fosse anche di nobile famiglia, con una notevole possibilità economica. Ha una sua posizione rispettabile perché, oltre lo studio, svolge anche il ruolo sociale del medico. Quindi Luca ha conosciuto la predicazione di Cristo, ma da adulto, forse verso i trent’anni.

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Dal punto di vista sociale ed umano è un uomo realizzato: ha una buona posizione, vive in una città di notevole prestigio, ha una sua cultura e religione. Evidentemente Luca, in quanto greco, è anche di religione pagana: conosce la mitologia classica, condivide più o meno le credenze degli antichi Greci. Ad un certo momento della sua vita quest’uomo sente parlare di un personaggio chiamato Gesù e ne sente parlare da un gruppo di Greci provenienti da Gerusalemme. Erano in realtà degli Ebrei, di lingua greca, che erano stati mandati via da Gerusalemme e che abitavano ad Antiòchia. Erano ebrei che credevano in questo Gesù che chiamavano “il Messia”. Secondo il testo greco, “il Christòs’” cioè “l’unto, il consacrato di Dio”. � Chissà come Luca, uomo di cultura, si sia interessato a questo annuncio?

Non lo sappiamo. Forse, intelligentemente curioso, ha voluto sapere chi fosse, che cosa insegnasse, perché queste persone credessero in lui. Così, piano piano, Luca è entrato nel mondo cristiano, ha conosciuto anche i responsabili di questo gruppo, anzitutto Bàrnaba, appunto ad Antiòchia.

Bàrnaba era un’autorità della Chiesa di Gerusalemme. Era un uomo eloquente, perciò soprannominato Barnaba, cioè “figlio dell’esortazione”, proprio perché sapeva esortare bene, e, quando parlava, convinceva le persone che lo ascoltavano.

Conobbe anche un altro cristiano, un tipo molto più piccolo e gracile, di nome Paolo, anche lui dotto, grande professore di scrittura, abile nelle disquisizioni e nelle dimostrazioni.

Luca, probabilmente, resta affascinato dalle figure di Bàrnaba e di Paolo, e conosce Gesù perché Bàrnaba e Paolo gliene parlano. Così anche Luca aderisce a Gesù: lo considera il Cristo, l’unto, e si impegna a conoscere meglio le Sacre Scritture.

Forse, da uomo colto, conosceva già le scritture ebraiche, le aveva già lette in greco, oppure le legge adesso, perché, attraverso i predicatori di Gesù, viene a conoscenza anche di quelle e, divenuto cristiano, Luca diventa un uomo di studio nell’ambito della comunità cristiana.

Conoscere il Cristo lo ha appassionato, gli ha messo la voglia di saperne di più, di capire meglio perché Gesù ha detto certe cose, come le ha dette, qual è il senso delle sue parole. E qui c’è la curiosità del dotto che lo ha portato a ricercare notizie maggiori e più precise. Per molti anni poi Luca vive all’ombra di Paolo accompagnandolo nei viaggi apostolici.

Possiamo collocare l’incontro di Luca con il cristianesimo ad Antiòchia intorno agli anni 40-45: anche se sono date ipotetiche, risultano fondate.

In quel tempo Luca doveva avere già una trentina d’anni e per oltre vent’anni, fino al 67, vive con Paolo, quasi alla sua ombra: lo segue, lo ascolta, lo interroga, annota mentalmente, forse anche con appunti personali scritti, riscrive parole che dice Paolo, che ascolta da Paolo.

In quegli anni Luca incontra anche molte altre persone, cioè discepoli che hanno avuto modo di conoscere Gesù o di ascoltarne la tradizione. Sicuramente a tutti chiede qualche cosa di Gesù e raccoglie un dossier personale di informazioni, di dati preziosi: li conserva, li medita, li ripensa, li predica.

È chiaro che Luca ormai non è solo un cristiano qualsiasi, ma diventa un ministro della comunità cristiana, un ‘servo della Parola’, cioè anche lui diventa un predicatore.

E quando nell’anno 61 Paolo arriva a Roma prigioniero, Luca è con lui. In quegli anni a Roma, insieme con Luca, ci fu un notevole gruppo di personalità cristiane. Vi si

trovavano infatti: Pietro, oltre che Paolo, l’evangelista Marco, Sila, detto anche Silvano, grande collaboratore di Paolo e di Pietro, Timoteo, Bàrnaba e altri collaboratori.

Sono proprio questi gli anni in cui gli uomini della comunità apostolica stanno componendo gli scritti che formeranno il N.T. e, dalla loro predicazione, dallo scambio delle loro idee, dal confronto delle loro interpretazioni su Gesù Cristo e dalla valutazione delle comunità che conoscevano, nascono le opere del Nuovo Testamento.

In quegli anni:

- Marco a Roma scrive il suo Vangelo; - Paolo, che ha già scritto ai Romani l’anno precedente, manda le lettere ai Colossesi e agli Efesini; - Silvano mette per iscritto la prima lettera di Pietro raccogliendo la predicazione dell’apostolo.

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Luca, per adesso, sta solo pensando di scrivere qualcosa; rimane con Paolo negli ultimi anni difficili, lo accompagna durante l’ultimo viaggio in Grecia e lo assiste durante l’ultima prigionia nell’anno 67. Noi leggiamo nella 2 Timoteo 8 (ultimo testo di Paolo): «tutti mi hanno abbandonato, solo Luca è con me».

Di tanti discepoli, nel momento estremo del bisogno, Paolo può contare solo su Luca; solo lui è con Paolo nel momento estremo quando l’apostolo affronta il martirio.

E, dopo la morte di Paolo, avvenuta nell’anno 67, Luca probabilmente si allontana da Roma. Ma da questo momento non ci sono più delle fonti sicure per poterlo seguire e ricostruire le sue vicende. Dalla Tradizione sappiamo che Luca si trasferì in Grecia e divenne la guida delle comunità.

Non avendo informazioni sicure evitiamo di fare ipotesi che ci possono tenere solo nel vago. Luca trascorre l’ultima parte della sua vita, forse come pastore, come ministro di una comunità cristiana. � Qual era questa comunità?

Le informazioni desunte dalla tradizione patristica dicono che Luca scrisse in Grecia. Il grande Padre della Chiesa Origene precisa che: “il suo Vangelo fu scritto per coloro che provenivano dalle

genti”.

Quindi noi sappiamo che Luca ha scritto a dei cristiani che provenivano dal mondo pagano, dal mondo ellenistico, dalle genti, cioè per i greci pagani convertiti. L’analisi della seconda opera lucana conferma senz’altro questa opinione: Luca scrive per una comunità di lingua, di cultura greca, in grandissima parte provenienti dal paganesimo.

Per la data della composizione degli Atti bisogna far riferimento al terzo Vangelo, perché certamente ne è posteriore. Le tradizioni antiche non sono molto precise: pongono la stesura del Vangelo in stretta relazione con l’apostolo Paolo, e, non precisando la data, permettono due opinioni diverse: durante la vita di Paolo cioè prima del 67, oppure dopo la sua morte. Possiamo solo dire che gli Atti degli Apostoli furono scritti da Luca dopo il Vangelo tra gli anni 70 e gli anni 80.

5-La comunità ecclesiale per cui Luca scrive

Luca non è uno scrittore di professione che compone un’ opera per motivi personali. Egli vive in una Chiesa, anzi è un uomo di Chiesa, un pastore, un responsabile della comunità e, quando scrive il Vangelo e gli Atti, lo fa per la sua Chiesa.

Dobbiamo sempre tener presente questo aspetto, contestualizzare questo fatto: gli Evangelisti, gli autori del N.T. scrivono per le loro comunità. Luca, quando scrive il Vangelo e gli Atti lo fa per la sua Chiesa; non sta pensando a tutto il mondo, ma si rivolge particolarmente alla sua comunità. La struttura della sua opera e i temi che privilegia sono determinati dalla situazione ecclesiale in cui Luca si trova.

Il terzo Vangelo, quindi, e gli Atti degli Apostoli nascono come catechesi mirata e dalla loro lettura noi possiamo ricostruire i lineamenti della Chiesa di Luca. Si nota un desiderio nell’evangelista di creare un collegamento con gli inizi, cioè la sua opera serve proprio per ancorare la vita cristiana della sua gente alle origini del cristianesimo.

Evidentemente c’era già un allontanamento dalla sorgenti, forse anche una perdita di entusiasmo (qui siamo negli anni 70-80). La comunità di Luca poteva vivere un indebolimento dell’attesa (in quegli anni si aspettava che il Signore ritornasse quanto prima). Ormai la comunità non attende più come imminente la venuta gloriosa del Cristo, quindi rischia di lasciarsi andare.

Luca vuol dare alla sua comunità fiducia per il futuro sulla base del passato, della storia. Il suo racconto tende a dimostrare che le promesse dell’ A.T. si sono realizzate in Gesù Cristo e la Sua

parola si è compiuta nella missione degli apostoli. Ciò che risulta importante è la testimonianza degli apostoli e il modo con cui essi hanno piantato la Chiesa.

Luca dà poca importanza al compimento definitivo, escatologico, ma piuttosto all’impegno presente di evangelizzazione, di testimonianza.

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È quello che dovremmo fare anche noi: non sappiamo quando tornerà il Signore, soltanto il Padre lo conosce. A noi è richiesto l’impegno presente di evangelizzazione, di testimonianza.

Se la Chiesa ha uno spazio importante nel progetto salvifico di Dio, significa che ad essa Dio ha affidato un impegno e una missione.

Luca scrive per la sua comunità proprio con l’intento di evidenziare tale impegno e tale missione ed anche con lo scopo di incitare e incoraggiare i suoi cristiani ad una realizzazione generosa di tali compiti.

Un altro elemento fondamentale che caratterizza la comunità di Luca è l’esperienza del peccato fra gli stessi cristiani. Deve essere stata un’esperienza amara il constatare che i salvati dopo un po’ si comportavano come prima e come gli altri.

Luca reagisce a questo stato di cose e vuol far reagire anche la sua comunità. Scrive, perciò, per scuotere la sua Chiesa dal torpore, dal conformismo. Inoltre Luca intende difendere la missione e la teologia paolina con molta chiarezza, con molta insistenza: vuole mostrare che tutta l’opera di Paolo si è svolta in piena comunione con le autorità della Chiesa di Gerusalemme.

Quindi la sua teologia non è un’opinione personale, ma l’autentica rivelazione di Gesù Cristo. Certo c’erano delle diatribe anche a quei tempi. Basta pensare al tema della ‘giustificazione per grazia,

per fede’ che noi troviamo nella Lettera ai Romani e nel Vangelo: Luca è fedelissimo a questa tesi paolina. La situazione di fine secolo richiedeva anche di precisare il rapporto tra giudaismo e cristianesimo:

anche questo era un tema fondamentale, importante. Luca sembra ricordare con insistenza che i problemi alla predicazione cristiana sono sempre venuti più dai giudei che dai romani (qui nasce la rottura in qualche modo con la sinagoga).

Per quanto riguarda i destinatari, possiamo dire che Luca destina l’opera innanzi tutto alla comunità cristiana con un intento di edificazione. Non è escluso che egli pensi anche di indirizzarsi a dei simpatizzanti, ai timorati di Dio (come li chiama lui) per un’ opera di convincimento.

Quindi, proprio per formare queste persone, Luca utilizza tutte le informazioni che era riuscito ad avere nei lunghi anni di ministero accanto a Paolo. 6-La duplice opera lucana

Ad un certo momento ritiene che sia venuto il momento di organizzare letterariamente tutto il patrimonio della fede che ha predicato per lunghi anni, così compone una splendida opera in due volumi: -il primo volume che chiamiamo il Vangelo secondo Luca

-il secondo volume che chiamiamo gli Atti degli Apostoli.

Oggi gli studiosi preferiscono utilizzare una parola unica e chiamano questi due testi l’opera lucana, proprio per sottolineare l’unitarietà.

Quando i cristiani del II secolo raccolsero insieme i libri apostolici per compilare il canone del N.T., separarono la prima parte dalla seconda per raccogliere insieme i quattro Vangeli, e quindi fra il Vangelo di Luca e gli Atti venne inserito poi il Vangelo di Giovanni, ma il terzo Vangelo e gli Atti sono un'unica opera, nata in un tempo unitario, con un unico intento.

Dal principio stesso dell’opera riusciamo a capire questo collegamento. L’autore, infatti, inizia gli Atti con un esplicito riferimento al Vangelo.

I primi due versetti : 1Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio

2fino

al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto

in cielo.

Quindi Luca non parla propriamente di libro ma di un discorso; fa riferimento alla sua opera come a due

discorsi concatenati, di cui il primo tratta di Gesù fino alla sua Ascensione, e il secondo riprende la narrazione da questo punto. Gerusalemme è il centro di tutta l’opera lucana.

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Nel Vangelo tutto tende a Gerusalemme e negli Atti tutto parte da Gerusalemme. L’opera dello Spirito Santo è fondamentale in entrambe le opere e, con finezza letteraria e teologica, mostra lo Spirito all’opera all’inizio della vita del ministero di Gesù, così come opera all’inizio della vita del ministero della Chiesa.

Anche la dedica a Teòfilo lascia intendere che gli Atti sono un’ opera secondaria rispetto al Vangelo, ma

in stretta continuità con esso; come era usanza per gli scrittori ellenistici, anche Luca dedica la sua opera ad un illustre personaggio di cui ignoriamo tutto.

Possiamo ipotizzare che si tratti di un importante funzionario dell’amministrazione greco-romana, che ha già ricevuto degli insegnamenti, è già stato catechizzato, ma sembra non sia troppo sicuro della istruzione ricevuta.

Qualcuno ha voluto vedere nella figura di Teòfilo semplicemente un simbolo: può essere anche così. Ciò non riduce la portata, ma l’ allarga notevolmente.

La parola “theo philos” vuol dire “amico di Dio”, quindi è possibile immaginare che, dietro a un

personaggio di tale nome, Luca voglia rivolgersi anche ad ogni possibile Teòfilo, ad ogni amico di Dio, al cristiano in genere che, in quanto tale, è amico di Dio.

Forse giocando sulla terminologia greca del “filosofo - amico del sapere”, Luca lo sostituisce con “Teòfilo

- amico di Dio”, per dire che si rivolge ad ogni persona che è interessata a Dio, che vuole una relazione personale con Dio, che desidera rendersi conto della solidità del messaggio cristiano. Il fine cercato dall’autore degli Atti sta nella dimostrazione della solidità che aveva la predicazione orale.

L’evangelista intende ritornare su dati della tradizione con un’ opera seria, storica, mostrandone tutta l’attendibilità, la fondatezza e la continuità storica.

A questo punto qual è l’insegnamento che Luca vuol trasmettere alla Chiesa? 7-L’insegnamento che Luca vuol trasmettere alla Chiesa

Gli Atti degli Apostoli hanno la forma di una storia composta da tante storie, un lungo racconto che segue un filo cronologico e narra le vicende di personaggi e situazioni diverse, ma legate insieme dalla missione affidata da Gesù Cristo ai suoi discepoli dopo la resurrezione. Una storia fatta di storie.

Luca ha bilanciato i vari racconti. Stando accanto a Paolo ha conosciuto tante situazioni, per cui vuole bilanciare le varie storie ed anche gli interventi dei vari personaggi.

Luca ama presentare le sue narrazioni in modo che si corrispondano a due a due bilanciando, per esempio: -le gesta di Pietro (nella prima parte) e di Paolo( 2^ parte); -ad entrambi attribuisce un importante discorso inaugurale; -i miracoli a loro attribuiti sono descritti in modo simile, corrispondente; -entrambi si scontrano con un mago, risanano entrambi uno storpio, risuscitano un morto; -entrambi sono incarcerati e miracolosamente liberati da un intervento divino.

Un altro tipo di parallelismo letterario è pensato da Luca fra gli Atti e il Vangelo: alcuni racconti che riguardano la prima comunità cristiana sono narrati in modo strettamente corrispondente ad episodi che riguardano la vita di Gesù.

C’è un parallelismo anche tra il Vangelo e gli Atti: -l’inaugurazione del ministero di Gesù nella sinagoga di Nazareth (…lo Spirito è sopra di me… mi ha mandato a portare la buona novella….ecc.) richiama da vicino la prassi apostolica della predicazione nella sinagoga; -per esempio la morte di Stefano richiama con forza il modo in cui è morto Gesù (dice Gesù:…Padre perdona loro.., dice Stefano:…non imputar loro questo peccato…); -i miracoli di guarigione del paralitico Enea e la resurrezione di Tabità, corrispondono in pieno agli analoghi racconti del Vangelo.

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Quindi l’intento di Luca a questo proposito sembra evidente: far riflettere il lettore sul legame stretto che intercorre tra il ministero di Gesù e la continuazione dell’opera apostolica. 8-Luca teologo della Storia della Salvezza

Secondo gli studiosi, oggetto della ricerca e dello studio di Luca non sono tanto i fatti, ma il loro susseguirsi. E’ lo svolgimento di una storia: collegando strettamente il suo Vangelo agli Atti Luca delinea un ampio tratto della Storia della Salvezza di cui Gesù Cristo è il centro.

Luca, grazie alle sue precise ricerche e attente riflessioni sulla storia di Gesù e della Chiesa, è arrivato a maturare un’idea di storia, una Storia della Salvezza.

Luca è veramente il teologo della Storia della Salvezza. Grazie alle sue ricerche e ai suoi studi è arrivato a maturare l’idea di Storia della Salvezza articolata in tre momenti: -l’evento Gesù Cristo è il centro di questa storia, -l’Antico Testamento è la preparazione e grande novità, -la Chiesa cristiana è la continuazione, fino alla venuta gloriosa del Signore.

A noi sembra un’idea scontata, elementare, ma così non era nei primi tempi dopo Cristo. Dapprima, infatti, la comunità cristiana di Gerusalemme pensava di essere il gruppo definitivo nell’imminenza della fine di tutto; col tempo questa opinione teologica subì una serie di trasformazioni: i cristiani compresero poco alla volta di avere ancora una storia davanti (che è anche la nostra storia, che continua ancora), di avere un compito da svolgere in questa storia proprio come Chiesa di Cristo.

Quindi, se in un primo tempo si pensava che la Storia della Salvezza fosse articolata in due momenti: “attesa” e “compimento”, nella Chiesa di Luca si comprende che i momenti decisivi sono tre: -l’attesa d’Israele, -il compimento in Cristo, -la continuazione della sua opera nella Chiesa.

E questo ci coinvolge tutti, anche noi. Ecco perché dobbiamo sentirci coinvolti personalmente. Un versetto del terzo Vangelo è molto chiaro a questo proposito: «la legge e i profeti fino a Giovanni, da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza di

entrarvi»

L’importanza della riflessione lucana sta proprio nell’aver compreso e mostrato che il progetto di Dio si è compiuto in Gesù e, attraverso i suoi discepoli, questo progetto realizzato continua ad essere disponibile per ogni persona di ogni tempo, purché abbia la buona volontà di accoglierlo.

Quindi, innanzi tutto, Luca insegna che Dio ha un progetto (è l’autore del N.T. che maggiormente usa questo termine), inoltre precisa che si tratta di un progetto predeterminato: «il Figlio dell’uomo se ne va

secondo quanto è stabilito». Il mistero pasquale si è compiuto secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio ed è un progetto benevolo, frutto della buona volontà di Dio nei confronti dell’umanità.

Luca precisa ancora che si tratta di un progetto già promesso e annunziato, quindi è inevitabile che si realizzi. Se il tema è ben evidenziato nel terzo Vangelo, è negli Atti che il disegno teologico si sviluppa pienamente mostrando la stretta connessione tra la promessa e il compimento.

C’è un altro aspetto da sottolineare: il cristianesimo come via. 9-Il cristianesimo come via

Per Luca il discepolo è una persona che si mette in viaggio, non da solo e non senza una meta: il discepolo è in cammino con Gesù verso la pienezza dell’incontro.

Questo è consolante! Il discepolo cammina nella storia, attraverso le vicende comuni dell’umanità; condivide le esperienze degli altri uomini, ma si caratterizza per due fatti importanti: -è con Gesù, -ha una méta.

Per sviluppare questa tematica, che a Luca sta molto a cuore, crea una caratteristica sessione nel suo

Vangelo dove mostra Gesù in viaggio con i suoi discepoli verso Gerusalemme (cap.9).

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Questo viaggio letterario diventa un viaggio spirituale, un’esperienza di condivisione con il Cristo. Per esempio il racconto dei discepoli di Emmaus, che è un capolavoro della narrativa di Luca, mostra appunto il viaggio del Cristo Risorto con i suoi amici, la sua presenza, la sua parola, il suo pane trasformano il cuore dei discepoli, li rende capaci di missione: appena succede questo fatto, corrono a Gerusalemme: divengono testimoni pieni di gioia.

Il discepolo è chiamato a mettersi in viaggio con Gesù e a lasciarsi trasformare dalla sua parola. Noi come discepoli non siamo soli: siamo in viaggio con Gesù e ci lasciamo trasformare dalla sua

parola.

Negli Atti degli Apostoli, dunque, Luca ci presenta la continuazione del viaggio iniziato da Gesù. Lo schema e il contenuto della sua seconda opera infatti è: la Chiesa in viaggio (gli Atti degli Apostoli, cioè la Chiesa in viaggio).

All’inizio viene espresso il programma: l’impegno della testimonianza da Gerusalemme agli estremi confini della terra. Nel corso dell’opera incontriamo tutti i personaggi in cammino fino all’arrivo di Paolo a Roma, quando Luca interrompe il racconto perché ormai ha esaurito il compito che si era prefisso.

Un altro elemento particolarmente molto importante è l’uso del termine “via” o “strada” o “dòs” (dal greco) per indicare il cristianesimo: il cristianesimo non è una dottrina, non è una ideologia, è una via, è una strada. In diversi passi degli Atti, Luca dice espressamente la sua visione cristiana: credere in Cristo non è

tanto condividere una dottrina, ma seguire una persona. Purtroppo i traduttori spesso hanno reso in italiano con il termine “dottrina” quel che Luca indica come

“strada”. Questi passi, ne leggo qualcuno, correggendo la traduzione:

-seguaci della via di Cristo (Atti 9), non della dottrina di Cristo; -era stato ammaestrato nella via del Signore (quando parlano dopo la conversione di Paolo); -gli esposero con maggior accuratezza la via di Dio; -dicendo male in pubblico di questa nuova via; -scoppiò un gran tumulto riguardo a questa nuova via; -io perseguitai a morte questa nuova via (dice Paolo); -adoro il Dio dei miei padri secondo quella via (diceva sempre dottrina) che essi chiamano setta.

Il cristianesimo per Luca non è una teoria, ma una vita in cammino. La sua storia è essenzialmente dimostrativa: vuol mostrare il corso vittorioso della predicazione cristiana, la corsa della parola di Dio che da Gerusalemme raggiunge gli estremi confini della terra. L’ultima parte è una storia esortativa. 10-Una storia esortativa

Gli Atti degli Apostoli non sono un trattato di teologia, ma un libro narrativo. Non si può cercare in esso una sintesi della dottrina dei primi cristiani.

Uno degli scopi principali che ha mosso l’autore alla comunità dell’opera è quello esortativo nei confronti della propria comunità. Era mirato: attraverso il racconto voleva comunicare importanti valori dottrinali e presentare il modello ideale della comunità apostolica (quando ci saranno i famosi sommari: erano un cuor solo e un’anima sola e mettevano tutto in comune… con essi voleva presentare il modello ideale della comunità cristiana).

L’evento centrale di tutto l’insegnamento apostolico sarà la Resurrezione di Gesù Cristo che è il “centro”. Nei discorsi degli apostoli viene presentato il Kerigma cioè l’annuncio primitivo e fondamentale, base di ogni teologia cristiana: Dio ha reso partecipe Gesù della sua gloria. Tutta l’esaltazione di Gesù coincide con la venuta del Regno definitivo. Questa venuta è attesa per il futuro, mentre nel presente il compito della Chiesa è la predicazione del Vangelo a tutte le genti. Il dono dello Spirito abilita gli apostoli a questo compito di testimonianza.

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E’ molto chiaro Luca: -compito della Chiesa è l’annuncio del Vangelo e questo si può fare solo attraverso il dono dello Spirito, -è lo Spirito che abilita gli apostoli a questo compito di testimonianza, che produce i suoi frutti nella nascita di numerose e cospicue comunità di fedeli, -coloro che aderiscono alla fede degli apostoli e ricevono il battesimo, ottengono il perdono dei peccati ed entrano in comunione con Gesù Cristo, grazie proprio allo Spirito, segno dei tempi messianici.

Questo Spirito è descritto continuamente in azione nella diffusione della Chiesa e, proprio per tale insistenza, gli Atti sono chiamati anche:

“il Vangelo dello Spirito Santo” – “gli Atti dello Spirito Santo”. Alcune formule sono caratteristiche di Luca per qualificare le persone cristiane: -essere pieni di Spirito Santo (quando parla del martirio di Stefano «pieno di Spirito Santo»), -ricevere lo Spirito Santo, -essere battezzati nello Spirito Santo.

L’autore vede lo Spirito come il compimento del progetto di Dio (aveva detto Gesù : «verrà lo Spirito

Santo e vi insegnerà quello che non capite adesso»), la pienezza della rivelazione che riempie coloro che accettano Gesù Cristo come Salvatore.

Lo Spirito è il dono per eccellenza. È una forza potente che produce opere nuove, grandi: la profezia, la rivelazione della volontà di Dio, i carismi.

La Chiesa è legata strettamente allo Spirito e dipende dalla Sua azione non dalle potenze del mondo; dobbiamo continuamente sottolineare questo aspetto.

La Chiesa è legata strettamente allo Spirito, dipende da lui. Quando Luca dice: «di queste cose siamo

testimoni noi e lo Spirito Santo», si tratta di un modo di notare come la scelta della Chiesa è la scelta dello Spirito.

In Atti, durante il primo Concilio di Gerusalemme, c’è questa formula: «abbiamo deciso noi e lo Spirito

Santo», cioè “lo Spirito ci ha illuminato perché abbiamo cercato sinceramente la volontà di Dio”: è un modo di dire.

L’opposizione allo Spirito è un peccato gravissimo e consiste nell’opposizione alla Chiesa. Il caso di Ananìa e Saffira è eloquente: costoro hanno ingannato la comunità, perciò sono accusati di essere menzogneri e di tentare lo Spirito. All’interno di questo annuncio Luca inserisce la forza esortativa che è il modello delle primitive comunità apostoliche. Le caratteristiche della vita comunitaria dei primi cristiani sono: -la docilità all’azione dello Spirito, -l’obbedienza agli apostoli, -l’impegno nella preghiera, -l’esigenza di una giusta ripartizione dei beni materiali, -la gioia nelle persecuzioni, -l’apertura universale senza alcuna preclusione,

Sono presentate da Luca come parte del disegno salvifico organizzato da Dio. Non si tratta semplicemente di un modo di vita. L’autore intende dimostrare il modo in cui la Chiesa di ogni tempo si pone sul cammino che è stato di Cristo.

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DAL TEMPO DI GESÙ AL TEMPO DELLA CHIESA (che è il passaggio da Gesù agli Apostoli) Cercherò di sviluppare Cap 1,11 ss. 11-Il passaggio da Gesù agli Apostoli

Leggiamo la prima parte degli Atti per entrare nella tematica teologica di Luca e troviamo l’indicazione del collegamento con il Vangelo.

1Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio

2fino

al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in

cielo.

Nei pochi versetti letti si può notare che l’attenzione è portata sulle istruzioni date agli apostoli, i quali

non sono stati lasciati allo sbando, ma sono stati istruiti: erano stati scelti nello Spirito; verranno confermati nello Spirito; hanno avuto delle istruzioni precise.

L’inizio degli Atti serve per fare l’aggancio con il Vangelo e quindi Luca fa un passo indietro e riprende cose già raccontate nell’ultimo capitolo del Vangelo.

3Egli si mostrò ad essi vivo, (pensate ad Emmaus) dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro

per quaranta giorni e parlando del regno di Dio.

Quindi Luca sottolinea che gli apostoli dopo la resurrezione di Gesù hanno avuto momenti significati di incontro con il Risorto, momenti formativi, educativi, in cui il Cristo risorto ha fatto capire agli apostoli quello che non avevano ancora compreso. Cioè non era sufficiente l’esperienza terrena: il fatto di aver mangiato e bevuto con Gesù per alcuni anni in Galilea non aveva chiarito le idee agli apostoli,ma hanno dovuto mangiare e bere con Gesù dopo la resurrezione.

È un modo di dire che l’esperienza del Risorto è determinante: gli Apostoli hanno maturato la loro fede solo avendo incontrato il Risorto. L’ incontro col Risorto è possibile anche per tutti gli altri cristiani, anche per noi.

L’elemento fondamentale nella vita di Pietro non è stato aver visto, aver vissuto con Gesù nella Galilea, ma aver incontrato Gesù risorto. Paolo dirà: io l’ho incontrato, come l’ha incontrato Pietro, tuttavia con una certa differenza: Paolo non l’ha mai visto durante la sua vita terrena, l’ha incontrato solo come Risorto sulla via di Damasco.

Paolo racconterà la propria vocazione, il grande evento di Damasco in cui Cristo gli è apparso. «Mentre si trovava a tavola con essi», cioè dopo la resurrezione c’è ancora un mangiare insieme, e il mangiare con Gesù risorto si chiama Eucaristia. Significa che in una celebrazione eucaristica gli apostoli fanno l’esperienza del Risorto e questo vale anche per noi. Celebrare l’Eucarestia è fare esperienza del Risorto in modo profondissimo, evidentemente molto più intenso di come possiamo farlo noi oggi, perché forse allora c’era bisogno di una spinta iniziale. Ma tale esperienza non cambia rispetto alla nostra.

4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere

che si adempisse la promessa del Padre «quella, disse, che voi avete udito da me: 5Giovanni ha battezzato

con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».

(e il capitolo secondo sarà il capitolo della Pentecoste)

Notiamo che all’inizio degli Atti compare la figura del Battista: è il parallelismo con l’inizio del Vangelo di Luca: “lo Spirito e la Parola scese su Giovanni il Battista”: viene ricordato il tema del battesimo e viene annunciato un nuovo tipo di battesimo: un battesimo nello Spirito Santo. Anche al battesimo di Gesù c’era stata la presenza dello Spirito Santo: quando il Battista battezza Gesù nel Giordano, si apre il cielo e scende lo Spirito.

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Il collegamento è voluto: ciò che è avvenuto per Gesù, adesso avviene per gli apostoli. Siamo veramente ad un nuovo inizio.

La prima cosa che si rileva dalla lettura di questi primi versetti è che il libro degli Atti è inseparabile dal terzo Vangelo: l’inizio unisce strettamente il libro degli Atti al terzo Vangelo così che il libro degli Atti è in continuità con quello.

Il Vangelo sarebbe il primo, gli Atti degli Apostoli il secondo di una storia del cristianesimo che ha nella

vita di Cristo il suo insegnamento, nella Sua morte e resurrezione il suo inizio, la sua continuazione; continuazione che il libro stesso degli Atti ci fa riconoscere come non finita perché questa continuazione è tutta la vita della Chiesa finché Egli, che fu elevato nel cielo, non ritornerà e avrà fine il tempo presente.

È bello sentirci in continuità con gli Atti degli Apostoli! L’avvenimento al quale assistettero gli apostoli fu

una prova della glorificazione del Cristo, ma insieme volle preparare gli apostoli a ricevere, a vivere col Cristo un altro rapporto: se Egli non apparirà, è perché i discepoli hanno ricevuto lo Spirito e non hanno più bisogno di visioni per il loro rapporto con Lui. Il loro rapporto con Cristo è vero, è reale, anche se essi non lo vedono più. In fondo cos’è la vita cristiana?

Questa è la vita cristiana: non vedere con gli occhi carnali il Cristo Signore, ma vivere in comunione vera, intima, personale con il Figlio di Dio che ci ama. Essere amati e amare il Signore della gloria che rimane nostro fratello, che si è fatto uomo per me, è morto ed è risorto per me, è presente nella Chiesa ed è presente nel mio cuore. Questo ha operato la Resurrezione e poi l’Ascensione attraverso il dono dello Spirito Santo.

Quindi la presenza del Cristo è divenuta, per il dono dello Spirito Santo, una presenza che ci investe nell’intimo, ci penetra, ci riempie di sé.

Per il dono dello Spirito Santo si realizza quello che aveva annunciato Gesù nel discorso dell’ultima cena quando Egli diceva che tutta la vita era “rimanere in lui ed egli in noi; essere uno nell’altro”, a imitazione di quanto è il mistero trinitario.

Così è negli Atti la vita di Paolo di Tarso dopo la sua conversione: anche in Paolo c’è la dimora continua

nel Signore. Vivendo una vita reale col Cristo, anche quando il mondo si sottrarrà a noi, noi vivremo la salvezza perché la nostra vita è già raccolta in lui, il Figlio di Dio.

Con l’Ascensione Cristo si rende invisibile perché vive alla destra del Padre, ma anche i discepoli vivono

nascosti con Cristo in Dio, come scrive Paolo ai Colossesi. Ma è vero che Egli vive in noi. L’essere Gesù nel Padre non esclude che egli sia anche in ciascuno di noi. Il Cristo non può essere nel Padre senza essere in me.

12-Gli incontri con il Risorto

Gli Atti, prima di parlarci dell’Ascensione del Cristo, ricordano i quaranta giorni nei quali, dopo la Resurrezione, egli apparve agli apostoli, mangiò con loro e parlò loro del regno di Dio. Sono quaranta giorni che precedono l’inizio della vita della comunità, come i quaranta giorni del deserto precedettero l’inizio della vita pubblica di Gesù. Continua il parallelismo: gli Atti degli Apostoli sembrano ripetere lo schema del terzo Vangelo. Questi primi cinque versetti ci dicono, però, qualcosa di più.

La storia della Chiesa è in continuità con la vita che avevano vissuto i discepoli con il loro Maestro prima della sua morte perchè continuano ad avere ora con il Cristo lo stesso rapporto. Anche ora Gesù parla con loro, mangia con loro, li conforta. È il Signore, ma rimane il loro Maestro. Gli apostoli chiedono che Gesù dica loro se questo è il tempo in cui sarà restaurato il regno di Israele, ma Gesù non parla del regno di Israele, bensì parla del regno di Dio.

Non sembra che Gesù, parlando del regno di Dio, voglia riferirsi agli avvenimenti ultimi. Parla di un regno che anche ora è presente attraverso la Sua stessa presenza. La restaurazione di tutte le cose, la trasfigurazione dell’universo verrà nei momenti prestabiliti da Dio, ma il regno è Lui stesso assieme ai suoi discepoli.

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Il Regno era già presente prima della morte di Gesù: «il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc17), ma è Lui il regno di Dio che è in mezzo a voi , tanto più ora che Egli è risorto. Per il dono dello Spirito Santo abiterà nel cuore degli uomini e vivrà nei loro cuori. Che cosa hanno da aspettare ancora di più grande? La manifestazione gloriosa del Regno nella trasfigurazione dell’universo, cioè la fine dei tempi. La realtà definitiva è il Cristo Risorto che è presente anche adesso nella nostra storia. Israele aspettava il regno di Dio; noi non abbiamo da attenderlo. Il regno di Dio è la presenza di Cristo in mezzo ai suoi e avverrà, col dono dello Spirito, che Cristo sarà presente nel cuore di tutti gli uomini. Questo dovranno annunciare gli Apostoli, ma essi non ne sono ancora coscienti, perchè ci vorrà la Pentecoste.

6Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno

di Israele?».

Notiamo l’abilità letteraria di Luca: la domanda esplicita che pongono gli apostoli è proprio una

questione di attualità della sua comunità (ripetiamo lui scrive alla sua comunità). Ma quando viene il regno di Dio? Dicevano che doveva venire da un momento all’altro, siamo già negli

anni 80 (d.C.), sono già passati cinquant’anni dalla Sua morte e resurrezione, ma viene o non viene? Luca, teologo, ha ormai maturato l’idea che il regno di Dio sta venendo, ma con dei ritmi storici diversi

da quelli che gli uomini possono immaginare o prevedere. Non è compito della Chiesa determinare il quando. La Chiesa deve vivere il messaggio del Cristo e

svolgere la sua opera senza abbandonarsi alle fantasticherie delle previsioni. Gli apostoli chiedono a Gesù: «Ma è questo il tempo?»

7Egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta,

8ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la

Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra».

In queste tre indicazioni geografiche noi possiamo vedere degli indizi per determinare le tre parti in cui è divisa l’opera degli Atti.

Gesù annuncia: “avrete forza dallo Spirito la quale vi renderà testimoni, vivrete questa testimonianza

allargandovi rispetto al punto di partenza, comincerete a Gerusalemme”: una città. Difatti, la prima parte degli Atti fino a tutto il cap.5 è incentrata esclusivamente su Gerusalemme, poi ci sarà la persecuzione che determinerà la diaspora. “…poi andrete oltre la città di Gerusalemme, vi insedierete anche nel territorio circostante la Giudea, la

Samaria”. Dal cap.6 al cap.15 gli Atti presentano l’espansione della Chiesa nel territorio circostante Gerusalemme fino alla Samaria, leggermente più a nord della Siria, nei territori limitrofi. Giungeranno fino a Roma, il confine estremo della terra «fino agli estremi confini della terra».

Chi scrive è in Gerusalemme, quindi Roma è dall’altra parte del mondo, è la capitale dell’impero, è il punto più lontano. Quando il Vangelo arriva a Roma, giunge veramente dall’altra parte del mondo. Infatti, Luca terminerà la sua opera nel momento in cui Paolo arriva a Roma e non racconterà l’esito del processo. Dice che l’Apostolo è arrivato prigioniero in attesa di giudizio,ma non racconta come è andato a finire il processo. lnterrompe il libro ex abrupto, improvvisamente, proprio perché non intende scrivere una cronaca delle vicende degli apostoli, ma alcune tappe importanti di quella che egli chiama “la crescita della

Parola”. La storia degli Atti è anche la storia della corsa della Parola di Dio. È una terminologia tecnica e importante usata da Luca: “la parola di Dio cresceva”. Quante volte negli Atti troviamo questa espressione! É un ritornello che usa frequentemente: la Parola continua a crescere anche attraverso di noi!.

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Ma cosa vuol dire “la parola di Dio cresceva”? Come può crescere la Parola? Forse intende dire che cresceva il numero degli uomini e delle donne che accoglievano la Parola, dunque

può essere stata una crescita quantitativa. Forse vuol dire che cresceva la consapevolezza, cioè migliorava la vita di coloro che accoglievano la parola di Dio, quindi anche una crescita qualitativa.

Il grande Gregorio Magno, ma anche Agostino, diceva: “la Parola cresce con colui che la legge”. Ed è vero! Anche in noi cresce la Parola nella misura in cui la assimiliamo: “più tu assimili la Parola, più la capisci, più si allarga in te la capacità di comprensione”, per cui i Padri del deserto dicevano: “non verrà il tempo in

cui ci saremo stancati? No! Perché la dimensione della Parola di Dio è infinita come Dio”. È veramente un pozzo senza fondo. In questo senso la Parola cresce anche dentro di noi. Luca è convinto che l’annuncio della parola innesca un movimento dinamico di crescita. La Parola

annunciata non lascia le cose così com’erano, ma le fa diventare, le mette in movimento, le fa crescere. Non è una magia, ma è la forza della Parola di Dio, che non è parola di uomo. L’annuncio della parola fa non solo aumentare il numero dei credenti, ma fa migliorare la qualità della vita.

Quell’ annuncio, partito in ambiente molto ristretto, per mezzo di un gruppuscolo insignificante in Gerusalemme, nel giro di qualche anno è dilagato a macchia d’olio fino alla capitale dell’impero. Così le ultime parole del libro degli Atti: “Paolo a Roma annunciava la parola di Dio in piena franchezza, in piena

libertà”. Proprio nel cuore dell’impero romano viene annunciata la parola di Dio.

Luca è anche uno storico, ma soprattutto teologo della salvezza, teologo della parola di Dio, che scrive non tanto per i posteri, né per farsi un nome, ma per formare la sua comunità. Luca è un uomo di Chiesa, che vive in una Chiesa concreta e scrive per la sua gente: vuol formare una mentalità cristiana, una mentalità evangelica. I suoi sono stimoli che devono animare anche noi. 13-Gli intenti teologici del narratore

Nella nostra ottica di Chiesa il libro degli Atti ‘torna a pennello’, perché entriamo negli intenti che si era proposti l’autore: formare la gente della sua comunità, formare una mentalità evangelica di Chiesa.

Quando Luca presenta i vari episodi, non vuole scrivere la storia della Chiesa; infatti, non parla di tutti gli apostoli. Non ci dice niente, per esempio, di Matteo, di Bartolomeo, di Giacomo, di Giovanni. Ad un certo momento dimentica anche Pietro e segue solo Paolo. Potremmo dire: non è una buona storia della Chiesa

perché dimentica tante cose. Ma Luca non voleva compilare uno schedario di dati, voleva scrivere la Storia della Salvezza, dimostrare la continuità e la fedeltà della predicazione iniziale.

Luca scrive una storia attendibile, ma non in modo asettico con la freddezza dello storico, bensì con

l’entusiasmo e il calore di un testimone, di un predicatore, di colui che vuol convincere. Scrive una storia catechistica per insegnare, per formare, per educare, per convincere. Non ha paura di utilizzare anche forme teologiche poco storiche quando ad un certo momento dice: «la comunità di Antiòchia, mentre era in preghiera, sentì lo Spirito che le diceva: riservatemi Bàrnaba e

Paolo».

Uno che legge questo testo dice: ma come hanno fatto a capire?

La voce dello Spirito che dice a una comunità che cosa fare è una espressione teologica, non storica. Bisogna tenerlo presente: per certi episodi che leggiamo anche nei Vangeli occorre fare una lettura teologica, spirituale, sapienziale, non storica.

Uno storico avrebbe detto: “la comunità dopo aver riflettuto attentamente prese questa decisione”. L’uomo di fede dice: “…questa decisione è stata frutto dell’ ispirazione di Dio”. Luca semplicemente dice: “…lo Spirito ha consigliato di fare così”. In questo caso Luca non è storico, è teologo a tutti gli effetti e mostra come la crescita della parola, la diffusione del messaggio di Cristo siano state guidate dallo Spirito.

Mi pare importante capire questo passaggio.

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Un’altra idea molto importante che Luca vuol trasmettere è derivata proprio dall’uso della parola “via”. Il cristianesimo per Luca è non una dottrina, non una teoria ma una strada, una via, un modo di essere.

Molte volte negli Atti utilizza proprio questa parola “la via” in modo assoluto: «i seguaci della via»; anche nel suo Vangelo Luca insiste molto su «Gesù in cammino, in cammino verso Gerusalemme». Pensiamo all’ultimo episodio del Vangelo “i discepoli di Emmaus”: due discepoli che camminano tristi e il Cristo Risorto cammina con loro e cosa fa? Spiega loro le Scritture. L’annuncio della parola fa ardere il loro cuore, lo riconoscono mentre mangiano con Lui e decidono di tornare indietro e di mettersi a loro volta in cammino per annunciare che il Signore è veramente risorto.

Quindi gli Atti degli Apostoli, essendo i discepoli di Emmaus l’ultimo capitolo del Vangelo,sono lo sviluppo parabolico dei discepoli di Emmaus: è la storia della comunità in cammino e del Cristo che cammina con i suoi e, lentamente, con l’annuncio della parola, trasforma i loro cuori, li cambia, fa cambiare loro direzione. Quante volte hanno cambiato direzione illuminati dalla Parola che camminava con loro! Mangiando con il Risorto gli apostoli hanno capito di più, si sono lasciati trasformare, sono cresciuti e hanno annunciato agli altri: “il Signore è Risorto”.

Questa è anche la nostra storia. Nella vicenda degli apostoli ci siamo anche noi: il Cristo continua a

camminare con la sua Chiesa. Ce ne rendiamo conto? A volte non Lo ascoltiamo ma ascoltiamo altri signori, altri poteri perché

abbiamo paura di sentirci minoranza. Ci aggrappiamo al potere, al carro dei potenti, ma lo Spirito ci rende coscienti che sbagliamo, che il Signore è sempre con noi per cui non dobbiamo temere, che il Cristo continua a camminare con la sua Chiesa.

Questo dovrebbe essere motivo di conforto! 14-Il Vangelo dello Spirito Santo

Negli Atti degli Apostoli Luca ha voluto dare il senso della continuità tra l’opera di Gesù e l’opera della Chiesa. L’A.T., la profezia, ha preparato la venuta di Gesù; la promessa si è realizzata fino al compimento in Gesù, che è un po’ la chiusura della storia, ma anche l’inizio di una storia nuova.

Luca, dunque, per la sua comunità scrive un testo storico che non vuole essere la storia della Chiesa, tanto meno la storia degli apostoli. Il testo non è incentrato sui singoli personaggi né non vuole fare un resoconto.

L’interesse fondamentale dell’autore degli Atti è la crescita della Parola e l’artefice di questa crescita è lo Spirito Santo. Per questo gli Atti degli Apostoli sono stati definiti “il Vangelo dello Spirito”.

Forse, mantenendo la struttura del titolo originale, potremmo intitolare “gli Atti dello Spirito” perché Luca non intende raccontare gli atti, cioè le azioni compiute dai singoli personaggi, quanto piuttosto le azioni dello Spirito attraverso alcuni personaggi fondamentali. In questo senso vorrei che entrasse veramente anche dentro di noi la presenza profonda, significativa, corposa dello Spirito.

L’opera mostra con grande evidenza come lo Spirito di Dio sia il contenuto della promessa antica e, grazie a Gesù Cristo e alla sua opera, questo dono promesso da Dio fin dalla creazione del mondo si è adesso realmente comunicato alla comunità e nella comunità cristiana che si lascia guidare dallo Spirito.

Dopo la dedica all’illustre Teòfilo, cui già aveva dedicato il Vangelo, Luca riassume il contenuto della sua prima opera e fa accenno al fatto che gli apostoli erano stati scelti da Gesù nello Spirito Santo.

Quando ripete il racconto dell’Ascensione di Gesù al v.4, Luca presenta la parola che il Signore rivolge ai suoi discepoli invitandoli ad attendere in Gerusalemme che si compia la promessa del Padre. Qual è la promessa? Il fatto di essere battezzati in Spirito Santo e sappiamo che la parola “battesimo” vuol dire “immersione” (come avviene ancora nel rito ortodosso: l’immersione). Essere battezzati è essere immersi nello Spirito Santo.

Ecco: anche per noi il battesimo è stata l’immersione nello Spirito Santo.

Sarete immersi non nell’acqua ma nello Spirito Santo, cioè entrerete in una dimensione nuova. Difatti al v.8 riprende lo stesso tema: «avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni». Già abbiamo visto questa parte che per Luca serve da struttura di tutto il suo libro: «Non spetta

a voi conoscere i tempi e i momenti».

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L’evangelista dice alla sua comunità: “io non scrivo per spiegarvi quello che succederà in futuro, scrivo

per confermarvi la continuità della Storia della Salvezza, per mostrarvi come la forza che ha portato quegli

uomini a fondare la Chiesa, è stata una forza divina”. E, dal v.9, inizia il racconto della vita degli apostoli dopo che Gesù si è allontanato: «avrete forza dallo

Spirito Santo». Se il Cristo rifiuta di rivelare i tempi e i momenti che il Padre ha riservato in suo potere per il

ristabilimento del regno, non per questo la missione dei dodici cessa di essere pubblica e universale. Nelle parole di Gesù si rivela proprio il carattere pubblico di quella storia che Luca intraprende con gli Atti. Non ci inganni l’apparente povertà degli avvenimenti che saranno narrati. Difatti, la storia del libro ha la dimensione dell’universalità, vuole insegnare quale sia il senso del tempo che decorre dalla resurrezione di Cristo alla sua seconda venuta.

«Mi sarete testimoni» dice Gesù. Una volta che la comunità dei discepoli ha ricevuto questa missione, Gesù sparisce, ma lsubentra la Sua

comunità, per cui non c’è rottura ma continuità nella rivelazione di Dio. La rivelazione divina non conoscerà un ulteriore progresso: in Cristo Dio si è rivelato in modo definitivo.

“Egli è la parola che misura l’infinito” diceva Ireneo. Se non vi è progresso nella rivelazione, rimane vera e necessaria la realtà di questa presenza viva e

visibile. Se Gesù risorto da morte sparisce agli occhi dei discepoli ed essi non debbono più cercarlo è perché essi stessi debbono andare ora nel mondo a portare agli uomini la loro testimonianza.

9Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo.

10E poiché essi

stavano fissando il cielo mentre egli se n’andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e

dissero: 11

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto in

cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

È una scena significativa, da grande inizio, una specie di ouverture dell’opera. Abbiamo degli apostoli incantati a guardare il cielo con la bocca aperta, un po’ spauriti, bloccati, con gli sguardi elevati in alto, e quei due uomini in bianche vesti sono affini a quegli altri del mattino di Pasqua che sedevano sulla pietra arrotolata all’ingresso del sepolcro. Nel Vangelo chiedono ai discepoli: «perché cercate tra i morti colui che

è vivo?» E qui la domanda è: «perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto in cielo,

tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». Possiamo notare come l’insistenza sull’attesa futura interessa a Luca e contemporaneamente evita di

dare informazioni “un giorno tornerà”. Queste figure angeliche non danno degli ordini né dei comandi agli apostoli, li fanno solo ragionare, poiché il comando è già stato dato da Gesù: «mi sarete testimoni».

È questa la cosa che devono approfondire: “non state lì a guardare in alto, mi sarete testimoni”.

15-Gli Apostoli in Gerusalemme

12

Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte degli Ulici, che è vicino a Gerusalemme quanto il

cammino permesso in un sabato.

A questo punto gli apostoli rientrano; rientrano prima in sé stessi e poi a Gerusalemme, lasciano il

monte degli Ulivi dove si pensa sia avvenuta l’Ascensione e tornano in città, all’interno delle mura, nella casa che li ospita. Dal monte degli Ulivi alla zona alta di Gerusalemme, dice Luca, c’è il cammino permesso in un sabato, un’oretta di strada, camminando adagio, son pochi chilometri.

13“Entrati in città salirono sul piano superiore dove abitavano”.

Questo certamente è il luogo, dove si pensa sia avvenuta l’ultima cena, il cenacolo. L’unica indicazione concreta che Luca ci offre è questa: il piano superiore dove abitavano. È poca cosa.

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Il piano superiore ci fa capire che è semplicemente una casa a due o più piani, ma che casa sia o dove sia non viene detto. Possiamo immaginarlo; però, a livello ipotetico e con una buona dose di probabilità, possiamo pensare che si tratti della stessa casa che ha ospitato Gesù e gli apostoli per l’ultima cena.

Noi abitualmente la chiamiamo ‘cenacolo’: altro termine non tradotto della lingua antica, questa volta dal latino. ‘Cenacolo’ vuol dire sala da pranzo. In Gerusalemme in quel tempo c’era il cenacolo, una sala da pranzo come nelle nostre case; tuttavia, tenendo conto della costruzione delle case al tempo di Gesù, una sala da pranzo era possibile solo in una casa nobile, poiché le altre casette di Gerusalemme erano tutte dei monolocali.

Chi era questa personalità importante che aveva al centro di Gerusalemme un palazzo grande che

ospitava Gesù e gli apostoli? Dagli indizi che troviamo nel N.T. possiamo parlare forse della casa di Marco, il futuro evangelista. La madre, di cui conosciamo anche il nome, Maria, era simpatizzante di Gesù; del padre non si sa nulla. Sappiamo che era una famiglia sacerdotale. Lavorando di fantasia possiamo dire un nobile sacerdote (la classe sacerdotale a Gerusalemme è tutta nobile) che ha anche forse una bella casa.

Pensiamo alla figura anche di Nicodemo, di Giuseppe di Arimatèa, che vedono di buon occhio questo

Maestro della Galilea, lo ascoltano volentieri, pensano che non sia così pericoloso, così colpevole come i loro colleghi ritengono, e gli danno ospitalità a Gerusalemme.

Sono delle ipotesi. Non dimentichiamo che sono tutti galilei, andati a Gerusalemme per la Pasqua in

pellegrinaggio. Come ebrei andavano a Gerusalemme per la Pasqua, ospiti da qualche parte per celebrare la cena pasquale. Gesù non è più tornato in quella casa, ma gli apostoli quella notte vi sono andati a dormire, così nei giorni seguenti. É tradizione evangelica che gli apostoli sono riuniti nel cenacolo il giorno di Pasqua.

Poi, otto giorni dopo, sono di nuovo nello stesso ambiente. Quaranta giorni dopo sono ancora in quella

casa, perché è la stessa dove avviene l’episodio della Pentecoste. Quindi questa casa fa pensare che deve essere stata una casa un po’ particolare: vi hanno mangiato la cena pasquale, poi si è trasformata in un luogo di incontro abituale. Dunque doveva essere una casa abbastanza capiente per ospitare per un lungo periodo gli Undici e parecchi altri.

Con gli eventi della Pasqua di Gesù quella casa si è trasformata in quartier generale per la comunità di

Gesù: è diventata la sede, perché coloro che venivano dalla Galilea non son più tornati a casa. Erano partiti, andavano a Gerusalemme per la Pasqua ebraica, pensavano di star fuori forse qualche settimana, invece poi si sono fermati lì degli anni. Non sono più tornati a casa, sono partiti da lì per andare nel mondo.

Immaginiamo dunque, ed è probabile che indoviniamo, che gli apostoli si trovassero nella casa forse di

un grande sacerdote di Gerusalemme, forse nel quartiere alto dove c’era la possibilità di vivere in questa casa appartata.

C’erano Pietro (dice il testo) e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo,

Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo. È interessante che all’inizio degli Atti Luca voglia riprendere l’elenco degli apostoli. Era già stato dato nel

Vangelo, ma è un ulteriore aggancio con il secondo libro. Sono gli stessi di prima, sono il gruppo degli amici di Gesù, quelli che han fatto l’esperienza storica con Gesù di Nazareth.

14Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre

di Gesù e con i fratelli di lui.

Con il ritorno degli apostoli a Gerusalemme si prepara l’inizio vero e proprio degli Atti. Fino all’Ascensione è il Cristo che domina: mangia con loro, dà loro le ultime consegne. Il libro non dice chiaramente il luogo dove avvenne l’Ascensione, ma si pensa al monte degli Ulivi, quindi si può presumere che Gesù sia asceso nel cielo da questo monte.

Il luogo dell’agonia è diventato anche il luogo del suo supremo trionfo.

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A Gerusalemme doveva concludersi la vita terrena di Gesù; a Gerusalemme doveva iniziare la vita della comunità, di coloro che crederanno in Lui. E la Pentecoste sarà proprio l’atto di nascita della Chiesa.

I discepoli, per attendere lo Spirito che scenderà su di loro, vanno a Gerusalemme e salgono al cenacolo.

«Tutti erano assidui», è il primo versetto in cui Luca ci dà un quadro sintetico della comunità primitiva, e l’unica indicazione che ci offre è il fatto di una assiduità e di una concordia nella preghiera : «erano tutti

assidui e concordi nella preghiera». Sono assidui, cioè continuano insieme una vita cementata dalla preghiera. Rientrano in Gerusalemme e l’episodio seguente deve essere quello della Pentecoste.

Il testo di Luca vi ha inserito un altro episodio: quello della sostituzione di Giuda. 16-La sostituzione di Giuda

Dal v.15 al v.26, troviamo un racconto interessante riguardante la sostituzione dell’apostolo traditore.

15In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli (il numero delle persone radunate era circa centoventi) e

disse: 16

«Fratelli, era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per

bocca di Davide riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù. 17

Egli era stato del nostro

numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. 18

Giuda comprò un pezzo di terra con i proventi

del suo delitto e poi precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. 19

La

cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel terreno è stato chiamato nella loro

lingua Akeldamà, cioè Campo di sangue. 20

Infatti sta scritto nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi

deserta, e nessuno vi abiti, e il suo incarico lo prenda un altro.

Il numero delle persone era di circa centoventi: sembra eccessivo per essere un gruppo iniziale ed anche per essere il gruppo che abita in quella casa. Può essere un’assemblea anche di quelli che non abitavano lì o dei simpatizzanti di Gerusalemme che si radunano assieme.

Quindi, nell’ottica di Luca, la sostituzione di Giuda segna ancora una volta l’aggancio con la storia evangelica. Notiamo alcuni particolari:

Pietro tiene un discorso, essendo ormai l’autorità: è lui che prende l’iniziativa, propone le scelte. Notiamo che il discorso inizia con un’affermazione di tipo teologico, filosofico: «Fratelli, era necessario che

si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo». Qui Luca intende sottolineare come ciò che si è verificato era già previsto: non è un caso quello che è

successo, ma è il compimento di una storia preordinata da Dio. Se rileggiamo l’ultimo capitolo di Luca, troviamo più volte il discorso di Gesù Risorto che spiega alla sua

comunità: «bisognava che il Cristo patisse. Ma non capite, non sapete, non ricordate che bisognava (ai

discepoli di Emmaus) che succedesse tutto questo». È un’idea teologica di Luca.

E qui Pietro dimostra di averla capita: «era necessario che si adempisse ciò che nella Scrittura fu predetto

dallo Spirito Santo». Quindi questa espressione di Pietro: “era necessario”, vuol dire che ha incominciato a capire che tutto

quello che è successo doveva capitare. E, difatti, spiega il fatto di Giuda con due citazioni tratte dal libro dei Salmi (Sal 69 e Sal 108): -“La sua dimora diventi deserta” – “ il suo incarico lo prenda un altro”. -È un esempio di come la comunità cristiana antica legge le Scritture cercando nelle Scritture se stessa. Le Scritture parlavano già della comunità. Gli antichi testi erano profezia della nostra vita. Già in quei primi giorni nella preghiera della comunità c’è questo impegno a rileggere i testi antichi come profezie che riguardano la comunità cristiana e in quelle parole gli apostoli hanno visto una profezia anche di un avvenimento negativo come il tradimento di Giuda. E al v.21 ritorna lo stesso concetto di dovere:

21«Bisogna (è necessario)dunque che tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore

Gesù ha vissuto in mezzo a noi, 22

incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra

noi assunto in cielo, uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione».

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Ci vuole veramente uno che ha camminato con Gesù in Palestina, in Terra Santa, un testimone della resurrezione. Quindi Pietro si fa interprete del progetto di Dio: “bisogna che uno si aggiunga”: significa il numero di dodici deve essere ripristinato. È un numero significativo, non è un numero casuale. Gesù ne ha scelti dodici e dodici devono essere. Se uno è venuto meno, bisogna sostituirlo. Il compito dell’apostolo viene spiegato con una formula semplicissima: “deve essere un testimone della resurrezione di Gesù”.

È il compito dei Dodici e le condizioni sono poste dallo stesso Pietro. Sono sostanzialmente due: la prima, essere stato con Gesù per tutto il tempo; la seconda pone i limiti cronologici: dal battesimo di Gesù fino al tempo dell’assunzione, cioè tutto il ministero pubblico.

23Ne furono proposti due, Giuseppe detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia.

24Allora

essi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato 25

a prendere il posto in questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto da

lui scelto». 26

Gettarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici

apostoli.

Solo due rispondevano a queste condizioni: Giuseppe, soprannominato Barabba, e Mattia. A questo punto la comunità non sceglie con propri criteri, ma lascia che scelga Dio. E qui c’ è un meccanismo molto interessante : innanzi tutto si prega che Dio mostri la sua volontà: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato»

Poi operano il sorteggio, un modo perché Dio stesso intervenga a indicare quale dei due doveva ricoprire il ruolo dell’apostolo, del testimone della resurrezione: «Gettarono quindi le sorti su di loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli».

Non possiamo ricostruire storicamente l’episodio. A Luca non interessa molto il fatto storico. Non dice se effettivamente è avvenuto nei pochi giorni fra l’Ascensione di Gesù e la Pentecoste o se è avvenuto dopo. Luca lo colloca qui perché vuole sottolineare la funzione apostolica che continua e soprattutto vuole presentare nel momento della Pentecoste il Collegio Apostolico al completo.

Ci fermiamo qui.