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11-07-2014 60 PER CENTO DI TUMORI IN PIÙ?UNA NOTIZIA POSITIVA La spiegazione degli esperti: non solo una crescita dei casi, ma la percentuale indica che una volta ammalati è sempre più probabile vivere, e a lungo, con la malattia Siamo un Paese di anziani, abbiamo uno dei più elevati tassi d’invecchiamento in ambito europeo e internazionale e lo si vede anche dal tipo di malattie più diffuse fra gli italiani. Non a caso, dall’indagine Istat «Tutela della salute e accesso alle cure» emerge che nel 2013 circa un connazionale su due (46,9 per cento) ha indicato di soffrire di almeno una patologia cronica, come artrosi, artrite, ipertensione, osteoporosi o diabete, solo per citarne alcune: tutte tipiche dell’età che avanza. Negli ultimi 30 anni la vita media in Italia è aumentata di 6,5 anni per le donne e di 8 per gli uomini, e la speranza di vita alla nascita ha raggiunto nel 2012 gli 84,5 anni per le donne ed i 79,4 per gli uomini. Il progressivo allungamento della vita media è correlato, oltre che allo stile di vita, al progresso della scienza e della ricerca negli ultimi decenni, che ha permesso di contrastare molte importanti malattie e anche di migliorare la qualità della vita dei pazienti. I dati sulla patologia oncologica, tra gli altri, mettono bene in luce come sia costantemente in crescita la quota di pazienti che sopravvivono, e sempre più a lungo, alla malattia. Cresce il numero di persone che guariscono o convivono con un tumore È anche in questo contesto che s’inserisce la «sorprendente» crescita del 60 per cento dei tumori fra il 2005 e il 2013: «Dai dati Istat si evidenzia una crescita del 60 per cento degli italiani che hanno avuto una diagnosi di cancro, sia nella popolazione generale che fra gli over 65 - commenta Stefano Cascinu, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia medica -. Questo significa da un lato che c’è un aumento dei casi, dovuto anche all’invecchiamento (la probabilità di ammalarsi di una neoplasia sale con l’avanzare dell’età) e alla maggiore adesione agli screening che favoriscono la scoperta della malattia in fase precoce, sia che cresce il numero di persone che convivono a lungo con una patologia oncologica, tanto da cronicizzarla. In particolare che cresca il numero di ultra 65enni che dichiarano di aver avuto una neoplasia è un dato positivo, perché dimostra i successi ottenuti con le terapie proprio in questa fascia d’età più “critica”, fino a pochi anni fa più difficile da curare». Positivo anche il commento di Emanuele Crocetti, segretario nazionale dell’Associazione Italiana Registri tumori : «La questione importante - spiega Crocetti - è chiarire che un aumento dei tumori nella popolazione nel tempo (eliminando l’effetto dell’invecchiamento), riconosce due cause: o aumentano le nuove diagnosi oppure migliora la sopravvivenza dei casi. I dati Airtum stimano che nel 2006 ci fossero 2.250.000

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11-07-2014

60 PER CENTO DI TUMORI IN PIÙ?UNA NOTIZIA POSITIVA

La spiegazione degli esperti: non solo una crescita dei casi, ma la percentuale indica che una volta ammalati è sempre più probabile vivere, e a lungo, con la malattia

Siamo un Paese di anziani, abbiamo uno dei più elevati tassi d’invecchiamento in ambito europeo e internazionale e lo si vede anche dal tipo di malattie più diffuse fra gli italiani. Non a caso, dall’indagine Istat «Tutela della salute e accesso alle cure» emerge che nel 2013 circa un connazionale su due (46,9 per cento) ha indicato di soffrire di almeno una patologia cronica, come artrosi, artrite, ipertensione, osteoporosi o diabete, solo per citarne alcune: tutte tipiche dell’età che avanza. Negli ultimi 30 anni la vita media in Italia è aumentata di 6,5 anni per le donne e di 8 per gli uomini, e la speranza di vita alla nascita ha raggiunto nel 2012 gli 84,5 anni per le donne ed i 79,4 per gli uomini. Il progressivo allungamento della vita media è correlato, oltre che allo stile di vita, al progresso della scienza e della ricerca negli ultimi decenni, che ha permesso di contrastare molte importanti malattie e anche di migliorare la qualità della vita dei pazienti. I dati sulla patologia oncologica, tra gli altri, mettono bene in luce come sia costantemente in crescita la quota di pazienti che sopravvivono, e sempre più a lungo, alla malattia.

Cresce il numero di persone che guariscono o convivono con un tumore

È anche in questo contesto che s’inserisce la «sorprendente» crescita del 60 per cento dei tumori fra il 2005 e il 2013: «Dai dati Istat si evidenzia una crescita del 60 per cento degli italiani che hanno avuto una diagnosi di cancro, sia nella popolazione generale che fra gli over 65 - commenta Stefano Cascinu, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia medica -. Questo significa da un lato che c’è un aumento dei casi, dovuto anche all’invecchiamento (la probabilità di ammalarsi di una neoplasia sale con l’avanzare dell’età) e alla maggiore adesione agli screening che favoriscono la scoperta della malattia in fase precoce, sia che cresce il numero di persone che convivono a lungo con una patologia oncologica, tanto da cronicizzarla. In particolare che cresca il numero di ultra 65enni che dichiarano di aver avuto una neoplasia è un dato positivo, perché dimostra i successi ottenuti con le terapie proprio in questa fascia d’età più “critica”, fino a pochi anni fa più difficile da curare». Positivo anche il commento di Emanuele Crocetti, segretario nazionale dell’Associazione Italiana Registri tumori: «La questione importante - spiega Crocetti - è chiarire che un aumento dei tumori nella popolazione nel tempo (eliminando l’effetto dell’invecchiamento), riconosce due cause: o aumentano le nuove diagnosi oppure migliora la sopravvivenza dei casi. I dati Airtum stimano che nel 2006 ci fossero 2.250.000

italiani affetti da un tumore maligno e che nel 2013 questo numero sia salito a 2.800.000. Quello che emerge distintamente è nella sostanza un miglioramento della prognosi che porta alla guarigione o alla cronicizzazione della malattia.

Numero di tumori in crescita in tutto il mondo: a rischio un italiano su tre

L’incidenza dei tumori è in continua crescita in tutto il mondo. Dall’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc, l’ente dell’Organizzazione mondiale della sanità specializzato in oncologia con sede a Lione), emerge che nel 2012 14,1 milioni di persone si sono ammalate di una forma di cancro e 8,2 milioni sono morte a causa della malattia, mentre le statistiche di quattro anni fa (relative ai dati 2008) riportavano 12,7 milioni di nuovi casi e 7,6 milioni di decessi. Le statistiche più recenti non lasciano dubbi: oggi una persona su tre in Italia è a rischio di ammalarsi di cancro nel corso della vita e la consapevolezza dell’importanza della diagnosi precoce è sempre più diffusa. Spesso scoprire la malattia agli stadi iniziali è fondamentale per poter avere maggiori probabilità di guarire e su questo fronte i dati Istat confermano una buona notizia: gli italiani sono più attenti alla prevenzione e alla diagnosi precoce dei tumori.

Migliora l’adesione agli screening di prevenzione

I programmi di screening segnano una progressiva (anche se lenta) diffusione, per cui complessivamente crescono sia l’offerta sul territorio nazionale sia la partecipazione dei cittadini, ma il Sud resta indietro. Aumenta la prevenzione dei tumori femminili rispetto al 2005, grazie alla diffusione dei programmi pubblici di screening. La quota di donne di 25 anni e oltre che si è sottoposta a mammografia, passa dal 43,7 per cento al 54,5, mentre il 73,6 ha effettuato un pap test, con un netto miglioramento rispetto al 2005 ( più 9 punti percentuali). Gli incrementi maggiori si registrano tra le donne ultrasessantacinquenni e interessano anche i segmenti di popolazione meno istruita e le residenti nel Mezzogiorno. La prevenzione femminile sale anche tra le straniere, che tuttavia non recuperano il gap rispetto alle italiane. Per la prevenzione del tumore del colon, invece, il primo semplice screening poco invasivo è l’esame della ricerca di sangue occulto nelle feci, la cui promozione è stata ormai avviata in molte regioni d’Italia dal Servizio sanitario pubblico (prevalentemente al Nord e al Centro). Dai risultati, disponibili per la prima volta per questa edizione dell’indagine, si rileva che il test è stato eseguito almeno una volta nella vita dal 28 per cento delle persone di 45 anni e più. Nella fascia d’età raccomandata per lo screening, tra i 50 e i 70 anni, la quota è però ancora bassa (lo ha fatto solo il 26,9 per cento degli italiani): il Mezzogiorno (11,6 per cento) ha una prevalenza quattro volte più bassa di quella osservata nel Nord-ovest (45,1). Vera Martinella

http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/14_luglio_10/60‐cento‐tumori‐piu‐notizia‐positiva‐32f9049c‐

0831‐11e4‐9d3c‐e15131ae88f3.shtml

 

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Cancro, i nuovi farmaci costano troppo Chi li vuole se li deve comprare da solo Il governo cerca di risparmiare sulla spesa sanitaria, così nove prodotti arrivano sul mercato, ma non vengono coperti dal Ssn. E solo chi è ricco può permetterseli di Daniela Minerva

Il diavolo si nasconde nei dettagli. Nessuno aveva fatto caso a un recondito comma del

decreto 158 scritto dal ministro della Salute del governo Monti, Renato Balduzzi,

convertito in legge l’8 novembre del 2012. Un codicillo agghiacciante che oggi tutti

chiamano Cnn, e consente la messa in commercio di costose medicine anticancro non

dispensate dal Ssn, che devono quindi essere pagate direttamente dai pazienti. Non era

mai accaduto che per legge si potesse discriminare tra i malati ricchi e quelli poveri: oggi

si fa, e con conseguenze drammatiche.

Che lasciano intravedere uno scenario che non piace a nessuno: le cure più costose e

più nuove che escono pian piano dal prontuario per essere destinate solo a chi ha i soldi in banca o una buona assicurazione che gliele fornisce.

Il fatto è che una nuova generazione di medicine, oncologiche ma non solo, ha fatto

saltare il banco. Costano moltissimo (spendiamo ogni anno in farmaci anti cancro oltre un

miliardo e mezzo di euro). La buona notizia è che spesso funzionano. Le cattive notizie

sono due: è difficilissimo stabilire in che misura saranno capaci di arrestare l’avanzata di

quello specifico cancro che affligge quello specifico paziente, e spesso lo fanno solo per

pochi mesi se non poche settimane. Così a fare da sfondo alla vergogna di quanto è

accaduto in Italia c’è un dilemma bioetico che è al centro di un colossale dibattito

internazionale: qual è il prezzo della vita?

Se ne parla da anni nelle maggiori assise oncologiche mondiali, ne sono piene le riviste

scientifiche. Tutti a chiedersi: qual è il “giusto” prezzo che i servizi sanitari possono

pagare per un farmaco che allunga la vita di pochi mesi o, a volte, di poche settimane?

Che valore hanno quei “pochi mesi” per il malato e la sua famiglia? Non solo: quel “pochi”

definito statisticamente, vuole dire che per qualcuno sono molti di più, magari anche

anni, e per altri meno. Perché l’efficacia delle nuove medicine, e in genere la prognosi di

un cancro, variano enormemente da persona a persona; se è vero che per alcuni farmaci,

con appositi test genetici, si può vedere se funzioneranno o meno, per altri non c’è nulla

capace di prevedere cosa accadrà.

Insomma il dilemma è tecnico e bioetico insieme. Come l’ha risolto l’Agenzia italiana del

farmaco (Aifa)? Mettendo tutto in stand by. Col mandato preciso, tutti sospettano, di non

aggiungere nuove voci di costo ai già precari bilanci della Sanità. Commenta Francesco

Cognetti, direttore della divisione di Oncologia Medica del Regina Elena di Roma e

presidente della Fondazione Insieme contro il cancro: «Le regole di efficacia purtroppo

possono essere carenti e fallaci. Gli organi regolatori valutano il “costo - beneficio” e

cercano di monetizzare il valore di un farmaco. La motivazione principale che muove le

scelte della nostra agenzia regolatoria è il risparmio».

Ma negare ai malati i farmaci utili è l’unico modo per risparmiare? L’American Society of

Clinical Oncology sposta l’asse e si chiede quali siano i farmaci che vanno veramente

registrati. Suggerendo che alcuni, forse molti, sono così marginali da poter essere lasciati

fuori dal prontuario. Perché nel moltiplicarsi incessante dei cosiddetti proiettili biologici,

le prove cliniche indicano che quelli davvero capaci di cambiare la sorte dei malati non

sono tanti. E che, invece, si registrano molte molecole purtroppo marginali, che

assicurano solo qualche settimana di vita in più a volte al prezzo di effetti collaterali

pesantissimi.

Ancora Cognetti: «Non possiamo affermare che tutti i farmaci innovativi devono essere

immediatamente inseriti nel prontuario nazionale. Solo quelli che realmente impattano

sulla storia naturale della malattia devono esserlo con rapidità. Non mi pare che l’Aifa in

questo momento sia molto attenta a fare questo tipo di distinzione. In realtà, oggi, i tempi

di approvazione e i sistemi di rimborso sono abbastanza simili per i farmaci importanti e

per quelli di utilità marginale». Ecco allora la prima voce di risparmio: scegliere. Sulla

base della rilevanza clinica.

Le scelte, è vero, rischiano di generare polemiche, e ogni volta che un’agenzia esclude un

farmaco molti malati insorgono. Giustamente, dal loro punto di vista anche pochi giorni

sono una conquista, ma la sintesi del dibattito che impegna clinici e bioetici su questa

materia è terribile quanto ineluttabile: la società deve scegliere perché l’obiettivo nobile di

preservare fino all’ultimo giorno di vita si scontra con la sostenibilità dei sistemi sanitari e

apre la strada ai tagli alla cieca, alle restrizioni non discriminate sulla base dell’utilità. E

quanto accaduto in Italia sta lì a dimostrarlo.

Ma la rivoluzione dei biologici che ha cambiato il passo e alzato il prezzo delle terapie

anticancro è iniziata diversi anni fa. E i brevetti delle prime molecole commercializzate

stanno scadendo. Farmaci importanti come il rituximab di Roche utilizzato nei linfomi

non-Hodgkin al prezzo di circa 2000 euro per ciclo di trattamenti (ogni tre mesi) scaduto

nel 2013; come il cetuximab di Merck Serono usato per il carcinoma del colon-retto al

prezzo di oltre 300 euro a iniezione che scadrà nel 2014. Così come il blockbuster

miliardario di Roche trastuzumab, l’Herceptin, attivo contro il tumore del seno al costo di

oltre 30 mila euro l’anno; e per il quale l’indiana Biocon e la sudcoreana Celltrion hanno

già pronta una copia equivalente che costa circa il 25 per cento in meno.

No. Non si può dire “copia equivalente”. Lo abbiamo detto per i farmaci generici: scaduto

il brevetto ci sono in farmacia delle copie equivalenti sul piano terapeutico. Per i farmaci

biologici non è proprio così: almeno stando al can-can che si sta scatenando in questi

giorni, alimentato in gran parte dalle aziende farmaceutiche che in questa partita hanno

tutto da perdere.

È un film che abbiamo già visto coi generici: alimentare la paura che non abbiano proprio

la stessa efficacia dei farmaci di marca. Una paura che è costata all’Italia miliardi e ci

mette in coda alla classifica europea dei paesi che riescono in questo modo a risparmiare

soldi sulle medicine vecchie con la possibilità di reinvestirli in quelle innovative. La storia

si ripete: con la scadenza del brevetto di questi tre importanti farmaci si potrebbero

risparmiare circa 200 milioni di euro nel 2015 e oltre 500 milioni nel 2020 (quando

andrà in scadenza anche l’altro blockbuster Roche, l’Avastin), come ha mostrato il

bocconiano Claudio Jommi su “PharmacoEconomics”. Ma le premesse ci sono tutte

perché nulla accada.

La prima ragione è che il prodotto di un processo biotecnologico presenta sempre degli

elementi di variabilità. Per questo i tecnici dicono che le copie dei prodotti di marca sono

biosimilari, non equivalenti. E per questo le linee guida delle agenzie sanitarie americana

ed europea chiedono che vengano fatte delle prove cliniche per dimostrare la stessa

efficacia terapeutica del farmaco che il bioequivalente vuole sostituire. Ma si può fare, e

molte industrie si stanno attrezzando a farlo: persino la numero uno al mondo, Pfizer,

sta allestendo il suo biosimilare dell’Herceptin Roche. Basta non credere alla manfrina del

“ma non è la stessa cosa”. Perché, come ha commentato Silvio Garattini: «Quando hanno

l’autorizzazione a entrare in commercio, i biosimilari hanno superato tutti i controlli

necessari. Sono stati verificati, e non presentano per il paziente problemi nel loro

utilizzo».

Vedremo mai i biosimilari sostituire al prezzo di circa il 25 per cento in meno i costosi

oncologici? Le aziende fanno il loro mestiere e mettono i bastoni tra le ruote, usando

metodi analoghi a quelli esercitati per decenni contro i generici: Roche ad esempio ha

messo in commercio una nuova formulazione di Herceptin, sottocutanea. Nuova modalità

di somministrazione ma vecchia molecola. Man mano gli oncologi si affezioneranno a

quella nuova e continueranno a usarla anche dopo che sarà scaduto il brevetto: stesso

meccanismo di marketing usato da tutte le aziende per decine di farmaci in procinto di

perdere il brevetto (nimesulide, omeoprazolo, e altri).

La paura che non siano uguali, la messa in commercio di variazioni della molecola, e

il rapido sviluppo di formulazioni davvero più efficaci (come è accaduto con la seconda

generazione di rituximab Roche): il marketing ripropone le armi messe in campo contro i

generici. Sta ai medici e alle autorità sanitarie non crederci.

Insomma, bisogna scegliere e risparmiare usando i generici. Non traccheggiare come ha

fatto fino a oggi l’Aifa.

Perché l’allarme sui salvavita a pagamento lo ha lanciato proprio “l’Espresso on line”

esattamente un anno fa : “Cancro, chi è povero muore”, scrivevamo dando notizia di due

farmaci oncologici a carico dei malati e dell’esistenza di una nuova categoria di medicine,

la famigerata fascia Cnn. Che ha bisogno di due parole per essere spiegata: l’Aifa impiega

anni a registrare un nuovo prodotto, che poi deve passare anche al vaglio delle Regioni

che, per renderlo disponibile, ci mettono altro tempo inutile. In totale si arriva a un

ritardo di due anni e tre mesi, e nel frattempo i malati muoiono.

L’allora ministro Balduzzi decise per questo di tagliare i tempi stabilendo che, dopo

essere stati approvati dall’Agenzia nazionale, i farmaci salvavita devono essere

automaticamente dispensati in tutti gli ospedali del paese. Con un codicillo: in attesa che

l’Agenzia definisca il prezzo che il Ssn è disposto a pagare trattandolo con le industrie, le

medicine sono registrate e vendute a chi se le può pagare al prezzo di riferimento europeo.

Balduzzi creò così la fascia di prezzo Cnn (fascia C, ovvero a carico del cittadino, non

negoziata), e le industrie che, a norma di legge, misero in vendita i loro prodotti. A

comprarli potevano essere i malati così come le aziende ospedaliere, ma con i chiari di

luna e i bilanci in rosso fisso degli ospedali sono stati pochissimi quelli che lo hanno fatto.

La denuncia dell’“Espresso” scatenò l’inferno. Molte le interrogazioni parlamentari e

molte le dichiarazioni di sdegno. Risultato: nell’agosto 2013 il ministro Beatrice

Lorenzin, con un emendamento al Decreto del fare, impegna l’Aifa a esaminare i dossier

e decidere entro cento giorni dalla richiesta dell’industria se un farmaco oncologico deve o

non deve essere registrato in Italia e dispensato gratuitamente ai malati. A oggi non è mai

successo. I cento giorni passano senza che nulla accada. L’Agenzia è inceppata, e le

aziende commercializzano i loro prodotti al di fuori del Ssn.

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/10/news/cancro-i-nuovi-farmaci-costano-troppo-chi-li-vuole-se-li-deve-comprare-da-solo-1.172897

 

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Giovedì 10 LUGLIO 2014

Patto Salute. Siglata l'intesa. Lorenzin: “Messo in sicurezza Ssn per generazioni future”. Pronti anche i nuovi standard ospedalieri Dopo momenti di tensione, con alcuni presidenti di Regioni che accusavano l'Esecutivo di aver modificato il testo su cui giovedì scorso si era raggiunta l'intesa, grazie ad un lavoro di mediazione è arrivato il via libera definitivo al Patto. Introdotte misure per consentire maggiore flessibilità nelle assunzioni del personale. Lorenzin: "Ora possibile nuova programmazione sanitaria". Ecco il testo del PATTO PER LA SALUTE oggi all'esame della Stato Regioni, a cui però saranno apportate alcune modifiche concordate oggi nel corso della Conferenza, e il testo sui nuovi STANDARD OSPEDALIERI. “È una grande giornata per la sanità italiana”, così il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha commentato il via libera della Conferenza Stato-Regioni al Nuovo patto per la Salute. Un sì arrivato dopo una lunga giornata non priva di momenti di tensione (il testo arrivato oggi all’attenzione dei governatori conteneva modifiche che non rispettavano i desiderata delle regioni, e sembrava potesse bloccare l’entrata in porto del provvedimento) ma che grazie ad un lavoro di mediazione ha consentito la svolta definitiva. “Abbiamo messo in sicurezza il sistema sanitario italiano per le prossime generazioni, affrontando grandi temi come quello della longevità, la riorganizzazione del territorio e del personale, la garanzia di una maggiore efficienza dei servizi e nuovi sistemi di controllo ed efficientamento sia della qualità che della quantità”, ha detto il ministro, sottolineando che “il patto rimette al centro le politiche sanitarie che guardano alla qualità dell'assistenza ed alla prevenzione dopo anni in cui avevamo solo l'ossessione del costo”. Certo, come ha aggiunto il ministro, “questo non vuol dire che non si debbano tenere in equilibrio i bilanci, ma che si può cominciare a fare di nuovo programmazione sanitaria. Inoltre passa il principio che quello che si risparmia viene reinvestito in sanità”. E questo è solo l’inizio, perché tra l’inserimento nel Ddl Madia della proposta targata Lorenzin per la riforma della governance per la scelta dei direttori generali sanitari e dei primari, e la riforma dell'Aifa e dell'Agenas, che dovrebbe andare in discussione i primi di settembre, si potrà avere “una macchina efficiente in grado di rendere competitivo il sistema italiano, di continuare ad erogare prestazioni di alto livello ai cittadini e di avere anche nuove misure che consentono di aiutare le Regioni in Piano di rientro”. “Abbiamo affrontato - ha aggiunto il ministro - anche il problema dello sblocco del turn over. Abbiamo ricevuto a questo proposito la collaborazione da parte del Mef, pur rimanendo nei paletti di invarianza di spesa, ha permesso l’apertura verso strumenti più elastici che permetteranno di rispondere al fabbisogno di personale in tutte le Regioni, comprese quelle in Piano di rientro. Chi ha equilibrio di bilancio, ha tutti i parametri a posto e ci dimostra di aver bisogno di personale per garantire i livelli

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essenziali di assistenza, potrà farlo”. La partita sul Patto della Salute è quindi chiusa e “rappresenta l’approdo di un grosso lavoro che ha registrato enorme dedizione di tutte le parti in causa”, ha sottolineato Luigi Marroni, assessore alla Salute in Toscana, al termine della Conferenza Stato-Regioni. “Il principale nodo, che siamo riusciti a sciogliere - ha spiegato l’assessore toscano - riguardava la gestione del personale. Le Regioni che ha raggiunto l’equilibrio economico-finanziario avranno maggiore libertà nella gestione del personale e del turn over, mentre quelle in Piano di rientro dovranno ovviamente attenersi a parametri più stringenti”. Marroni ha sottolineato che è stato questo il principale scoglio da superare, soprattutto per via di alcuni attriti col Mef. Sarà inoltre rafforzato il sistema di monitoraggio, affinché il Patto riceva piena attuazione. Saranno infatti istituiti dei tavoli che, con scansione periodica, coinvolgeranno Mef, Ministero della Sanità e Regioni. Tuttavia sono state messe a punto “alcune modalità affinché ci sia meno incidenza sulla gestione del personale anche nelle Regioni sottoposte a Piano di rientro”, ha precisato Catiuscia Marini, presidente dell’Umbria. “Il blocco del turn over, sino al raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario è stato infatti abbassato da due anni e mezzo a un anno e mezzo”. La definizione di questi aspetti ha costituito “il tema su cui ci siamo concentrati durante l’incontro odierno, cercando di garantire una maggiore flessibilità nella gestione del personale, sempre tenendo conto della sostenibilità economica. Le Regioni virtuose potranno infatti tornare ad assumere”. Nel complesso il Patto “affronta temi fondamentali - ha concluso Marini - che consentiranno di assicurare al sistema una solida programmazione sia a livello di servizi che per quanto concerne la capacità di garantire i Lea. Le Regioni sono state protagoniste di questo passaggio epocale che permetterà di salvaguardare e implementare il Ssn”. “Con l'intesa raggiunta oggi – ha spiegato Luca Coletto, assessore alla sanità del Veneto e coordinatore degli assessori in Conferenza della Regioni – sono stati sciolti i nodi sui tagli del Fondo sanitario. Questo significa che se il Governo decidesse per futuri tagli dovrà dirci dove saranno fatti, non saranno più le Regioni a sforbiciare. In questo modo il Governo si prende in carica anche la possibilità di rimodulare il fondo e il Patto stesso”. Ecco il testo del Patto per la Salute entrato in Stato Regioni. Pronti anche i nuovi Standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitavi per l'assistenza ospedaliera. Negli approfondimenti a fondo pagina la sintesi dei provvedimenti.

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Dir. Resp.: Marco Tarquinio

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11-07-2014

SANITÀ: TROPPE DIFFERENZE TRA ASL PER ESAMI E COSTI PATOLOGIE CRONICHE

Roma, 10 lug. (AdnKronos Salute) - Troppi esami al torace per l’artrite reumatoide, ma troppo pochi elettrocardiogrammi, Tac, spirometrie, ecografie e radiografie quando invece sarebbero necessari. Difficoltà nella presa in carico nelle fasi di' follow up' sia per la patologie a bassa che per quelle ad alta sopravvivenza. Consumi sanitari più elevati per i pazienti con più malattie rispetto a che soffrono di una sola patologia, forti scostamenti dei costi da un'Asl all’altra frutto di questo differente 'mix' dei consumi. E' quanto emerge dalla ricerca sui Pdta, ovvero i Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali per 5 patologie croniche (ictus, scompenso cardiaco, tumore al polmone, artrite reumatoide e Bpco) condotta dalla Fiaso (la Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) con il Cergas Bocconi. L’indagine ha coinvolto 11 Asl, con l'obiettivo di conoscere cosa viene erogato ai pazienti e fornire così le basi ai processi di cambiamento che le aziende del Ssn devono avviare per far fronte alla sfida della cronicità. Per quanto riguardo lo scompenso cardiaco, l'elettrocardiogramma (ecg) risulta essere eseguito meno di quel che sarebbe necessario: una media di 0,81 prestazioni per paziente con comorbidità contro almeno un Ecg ogni anno previsto dalle linee guida. Sull'appropriatezza delle prescrizioni per i pazienti con tumore al polmone gli esperti segnalano un dato largamente inferiore al previsto per le Tac del torace, esame invece essenziale per il 'follow up'. La ricerca fa emergere "problemi di appropriatezza per le radiografie alla mano per l'artrite reumatoide, che risultano essere in media 0,31 l’anno a paziente, ben al di sotto di una prestazione l’anno attesa, e nel caso della spirometria broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco). Quest'ultima risulta essere eseguita solo su 18 pazienti ogni cento senza comorbidità un dato largamente inferiore a quanto previsto dalle linee guida". "La stima dei costi dei Pdta – commenta Valerio Fabio Alberti, Presidente Fiaso – costituisce una condizione fondamentale per migliorare la programmazione delle attività aziendali. Lo studio non nasconde limiti e difficoltà incontrate nel suo cammino, ma incidere sui percorsi significa accogliere la sfida della riorganizzazione dei processi, avendo ben in mente che i Pdta sono soprattutto uno strumento per mettere insieme i professionisti e accelerare lo scambio di informazioni a favore dei pazienti". Secondo Paolo Cavagnaro, vicepresidente Fiaso e coordinatore della ricerca, "dall’analisi dei consumi stratificata su diversi livelli di complessità dei bisogni assistenziali si deduce che ogni intervento di modifica dei modelli di presa in carico o di funzionamento della rete di offerta dovrà prendere le mosse - conclude - dall’analisi di quello che effettivamente oggi si registra nella gestione dei Pdta".

 

11-07-2014

Sanita': morti da sangue infetto, riparte processo. Fedemo parte civile

(ASCA) - Roma, 10 lug 2014 - La Federazione delle Associazioni Emofilici (FedEmo) decide di costituirsi parte civile nel processo penale per la strage da ''sangue infetto'', che riprende domani, venerdi' 11 luglio, a Napoli contro Guelfo Marcucci e altri 9 imputati, al tempo dei fatti Amministratore e manager dell'azienda italiana di prodotti emoderivati. ''La nostra scelta - afferma Alberto Garnero, Vice Presidente FedEmo - nasce dal fatto che non vogliamo dimenticare quanto e' successo e auspichiamo che la giustizia faccia celermente il suo corso individuando i responsabili di un disastro che ha coinvolto migliaia di persone e ha mandato in frantumi la vita di numerose famiglie''. Il 9 maggio scorso, al termine dell'udienza preliminare, il gup del Tribunale di Napoli, Francesco De Falco Giannone, aveva accolto le richieste del pm Lucio Giugliano rinviando a giudizio dieci persone per ''omicidio colposo plurimo aggravato''. Difetto di notifica, invece, per Duilio Poggiolini: per l'ex direttore generale del servizio farmaceutico del Ministero della Sanita' si dovra' procedere ad una nuova udienza preliminare. Domani, dunque, FedEmo ''torna a chiedere verita' e giustizia''. La vicenda risale al periodo tra la fine degli anni '70 e gli inizi degli anni '90: numerose le persone che ricevettero trasfusioni e farmaci emoderivati infetti con i virus dell'epatite B e C e dell'HIV. Tra queste, 2.500 emofilici - che per vivere erano costretti ad assumere prodotti emoderivati - contrassero i virus dell'epatite e 650 quello dell'HIV. Di questi ultimi, 500 sono deceduti. ''Il processo che si riapre domani a Napoli - aggiunge Garnero - riguarda nove emofilici che non ci sono piu'. Sappiamo che sara' un processo lungo e difficile, pieno di incognite e certamente non ci facciamo illusioni. Tuttavia noi vogliamo continuare a lottare per i nostri amici che non ce l'hanno fatta. Vogliamo essere la 'voce' di chi non puo' piu' parlare e sostenere coloro che sono stati costretti a convivere oltre che con l'emofilia, con il virus dell'HIV. Sono trascorsi 44 anni dall'inizio degli eventi ed oltre 20 dall'inizio del primo processo. Il nostro augurio - conclude il Vice Presidente FedEmo - e' che lo Stato si schieri al fianco dei danneggiati, costituendosi a sua volta come parte civile nei confronti degli imputati, per il danno arrecato ai pazienti, ai loro familiari e al Servizio Sanitario Nazionale. Nel frattempo non dimentichiamo che i pazienti infettati e le famiglie di quanti sono deceduti a causa delle infezioni, circa 7.000, stanno ancora aspettando di ottenere dallo Stato il risarcimento dei danni subiti, nonostante il fatto che ben due leggi (222 e 244) nell'ormai lontano 2007 abbiano previsto un percorso transattivo a favore di tutti i danneggiati dai contagi. Ad oggi, la maggioranza degli aventi diritto e' esclusa per l'adozione del principio della prescrizione''

http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/14_luglio_10/60‐cento‐tumori‐piu‐notizia‐positiva‐32f9049c‐

0831‐11e4‐9d3c‐e15131ae88f3.shtml

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