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Abusivi

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È stata la mia ragazza a farmeli piacere, i parcheggiatori abusivi.Non tutti, perché fra loro ci sono delle vere canaglie; ma qualcuno a

posto ancora si trova, qui a Salerno. Quelli di piazza Sant’Agostino,per esempio: Matteo e Oreste. I nomi li conosciamo perché li ab-biamo sentiti chiamare: non siamo mai diventati così intimi da farele presentazioni.

Prendono servizio la sera, verso le nove, quandoufficialmente non si paga più la sosta. Matteo lo trovi nei fine settimana, Orestegli altri giorni. Non so nemmeno se si conoscono, perché fannosempre gli stessi turni, e non si accavallano mai. Forse all’inizio eradiverso, e poi si sono messi d’accordo, oppure qualcuno li ha messilà con i turni già fatti. Io propendo per la seconda ipotesi: per certilavori, solo la camorra è in grado di gestire le risorse umane.

Oreste avrà una cinquantina d’anni, forse meno. Scuro di car-nagione e di capelli, ha un viso squadrato e malinconico, a trattispaurito, come di cane bastonato. Matteo non ha più di trent’anni,capelli biondi ricci e corti, e occhi chiari, in fondo ai quali ci leggi un

po’ di noia per la vita. Matteo è smilzo, Oreste appena più robusto.Bassini entrambi, hanno aspetto e movenze da acrobati, diversi nel-lo stile, ma di uguale bravura. Il paragone non è così temerario, se siaccetta che quella piazza sia solo la pista di un circo sgangherato,dove non sono i soli ad esibirsi.

La tariffa è fissa: due euro per tutta la serata. Soltanto a Matteo,il sabato, spetta un euro in più. Forse perché di sabato si è più di-sposti a scialare, e anche il parcheggiatore ha diritto alla sua fetta.

Fatto sta, che ogni sabato cacciamo i tre euro, senza fare la facciastorta. Se il parcheggio lo pago io, lei mi paga la birra, e viceversa.Siamo una coppia davvero moderna.

*

Non c’è paragone fra gli abusivi e quelliufficiali , padroni della piazzadurante il giorno. Poveri diavoli anche loro, ma iscritti al colloca-

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mento e meglio ammanicati. Non c’è paragone perché questi se nefottono di te; tanto lo stipendio, a fine mese, lo prendono lo stesso.

Per dire: quando svolti nella piazza, venendo da via Duomo, non tidicono mai se c’è un posto e dove. A volte nemmeno li vedi. Tupercorri una due volte il breve circuito della piazza, poi ti fermi easpetti. Quando si libera un posto, ti deve andar bene che nessunofa il furbo, uno che magari è appena arrivato e vuole infilarsi al po-sto tuo. A quel punto puoi solo suonare il clacson e metter la testafuori dal finestrino, come quando ci si tira su le maniche prima difare a botte. Insomma, se aspetti che quelli vengano a farti da testi-mone, stai fresco.

I parcheggiatoriufficiali indossano un giubbino giallo, di quelliad alta visibilità, così puoi trovarli subito, quando scendi dalla mac-china. Perché il principio è questo: sei tu che devi muovere il culo eandare da loro, dove stanno stanno. Che poi in genere stanno daun’altra parte, nascosti alla vista come soldatini imboscati. E andareper cosa, poi? Per comprare il grattino da due euro l’ora.

Un sabato mattina ne chiesi tre, per fare spese in santa pacecon la mia ragazza, e il tizio, senza nemmeno guardarmi in faccia,biascicò che li andassi a comprare dal tabaccaio, perché glien’eranorimasti solo due. Ma come, niente grattini il sabato mattina? Il saba-to mattina! E una volta finiti quei due, cosa avrebbe fatto?

Mentre andavo dal tabaccaio di via Duomo pensavo: ma per-ché non mettono le macchinette? Magari sono più educate, non fi-niscono i grattini, non s’imboscano. Delle belle macchinette gialle,

che puoi vederle dall’altro lato della piazza.Il tabaccaio, al solito, fumava, come se la sua speciale attività loesentasse dal rispetto della legge. In un angolo vidi un giubbino gial-lo ad alta visibilità, che conteneva un tizio, collega di quell’altro ti-zio, che con una moneta grattava un gratta e vinci . Avrei voluto dirgliqualcosa di veramente brutto, ma l’aria impestata mi invogliava soloa uscire al più presto. Chiesi i grattini per il parcheggio, pagai i seieuro e mi avviai fuori. Feci in tempo a sentire il tizio nel giubbino

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giallo biascicare lamentosamente, rivolto al tabaccaio: “Mannaggia ’amorte, nun è asciuto niente, rammenne ’n ato”.1

*

La cosa bella, quando entri nella piazza di sera, è che stai tranquillo.Se c’è da aspettare lo capisci subito, dal numero di macchine inco-lonnate sotto il palazzo della Provincia a motore spento, con la gen-te dentro. Tu ti accodi, e sai già che Matteo ti ha visto, se c’è Matte-o. Oppure Oreste. E puoi anche baciarti con la tua ragazza o parlaredei fatti vostri, perché quando arriva il tuo turno non ci stanno san-ti: quelli ti chiamano e ti dicono a gesti e voce dov’è il posto che tispetta. Tu allora ti raddrizzi, metti in moto e vai. Nel caso mio, poi-ché la macchina era della mia ragazza e guidava lei, quando c’eraMatteo si sentiva l’inconfondibile richiamo: “Signovvvvvvinaaaaa-a!”, per via del suo spiccato rotacismo, volgarmente dettoerre moscia .

A volte la vita professionale di Matteo e Oreste s’intreccia con

quella privata. Capita infatti che passino a trovarli le loro donne, chesono le loro copie esatte. In genere per esporre qualche problema, agiudicare dalle espressioni serie e dal parlottio fitto. La donna diMatteo, di nome ignoto, si presenta quasi sempre come una ma-donna, col figlioletto in braccio, che si chiama Tonino e avrà sì e noun anno. Davanti a lui Matteo si squaglia dalla contentezza, e dalfondo degli occhi pare che venga fuori un poco d’interesse per la vi-ta; e mentre lei si lamenta di qualcosa, Matteo nemmeno la ascolta, e

fa le smorfie al figlio, e se lo bacia; ma con quegli occhi appena ria-nimati fa di continuo il giro della piazza, e non esita a congedare lafamiglia non appena la situazione s’ingarbuglia.

Oreste è ancora più duro con la sua donna, che pare si chiamiCarmela. Quando la vede arrivare le va incontro con certi passettini

1 “Mannaggia la morte, non è uscito niente, dammene un altro”.

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frettolosi, da piccione in fuga, come per porre fine a quell’incontroal più presto possibile. Le parla con fare paterno, e pare che le dica:

“Non vedi che sto lavorando? Su, fammi andare, ne parliamo a ca-sa”. Benevolmente accoglie qualche rimostranza, fa sì con la testa,mentre gli occhi s’avviliscono ancora di più, al pensiero di doversifar carico d’un’altra spiacevole incombenza; poi la saluta con unarapida carezza che non ammette repliche, e di cui si vergogna, per-ché non sta bene squadernare le faccende private in faccia ai clienti.Non l’ho mai fatto, ma vorrei rassicurarlo, dirgli che quella è unapiazza, un luogo fatto per incontrarsi e parlare, e che se ci tiene tan-to a quel decoro, doveva diplomarsi almeno ragioniere, e impiegarsiin un bell’ufficietto chiuso al pubblico.

*

Non appena ha pronto un posto per te, Oreste si sbraccia come un vigile d’altri tempi, muovendosi coi suoi passettini da piccione, e pu-

re quando ti è ben chiaro dove ti devi sistemare e come, continua asbracciarsi, rivelando tutto il suo pessimismo sulle capacità di com-prensione del genere umano. Mi è capitato a volte, conclusa la ma-novra, di vedermelo di fronte strabuzzare gli occhi, incredulo chetutto si fosse compiuto senza danni.

Quando scendi dall’auto e vorresti dare i soldi a chi dei due è diturno, non sono mai troppo lontani, ma nemmeno ti stanno appic-cicati addosso. Vagano lì intorno con distratta indolenza, e solo

quando fai qualche passo verso di loro sembrano accorgersi di te, efanno la mossa di venirti incontro, ma con l’occhio e la tensione delcorpo sempre da un’altra parte, a far finta di controllare le macchi-ne. La regola è che devi fare qualche metro più di loro, per una que-stione di dignità. Oreste, a dire il vero, pare che si sbracci anche congli occhi, per guidare i tuoi passi sgraziati e malfermi verso la suamano, che si alza solo a ricevere le monete, mai a chiederle.

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lerà “Signovvvvvvinaaaaaa!” ci metterà una punta di rimprovero,per avermi lasciato andare. Su Ivano, invece, non faccio affidamen-

to: per lui non siamo che ombre, e l’una vale l’altra, finché si paga.Ho le mani ficcate nelle tasche, come sempre. Nella destrastringo una moneta da due euro. Penso che il bar Eolo è a due passi,e mi viene voglia di una coppetta nocciola e zuppa inglese. Ancheperché la serata è afosa, e un buon gelato è quello che ci vuole. Epazienza se dovrò fare la fila spintonando, e alla cassa troverò comesempre il padrone sgarbato che non saluta, e nemmeno ti guarda infaccia, tutto preso com’è dalla foga di battere in fretta il tuo legalis-simo scontrino.