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ADESSO! Dalle paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale 2. Gli spazi Contiene I.P. - I.R.

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ADESSO!Dalle paure al coraggio civile,per una cittadinanza glocale

2. Gli spazi

Cont

iene

I.P.

- I.R

.

copertina_cem_agosto-settembre 2010_Layout 1 19/07/2010 17.40 Pagina 1

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Direttore:Brunetto Salvarani - [email protected]

Condirettori: Antonio Nanni - [email protected] Lucrezia Pedrali - [email protected]

Segreteria:Michela [email protected]

Redazione: [email protected] Tagliaferri (caporedattore)Monica Amadini, Daniele Barbieri, Carlo Ba-roncelli, Davide Bazzini, Giuseppe Biassoni,Silvio Boselli, Luciano Bosi, Patrizia Canova,Azzurra Carpo, Stefano Curci, Marco Dal Cor-so, Lino Ferracin, Antonella Fucecchi, AdelJabbar, Sigrid Loos, Karim Metref, RobertoMorselli, Nadia Savoldelli, Alessio Surian,Aluisi Tosolini, Rita Vittori, Patrizia Zocchio

Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Caliga-ris, Andrea D’Anna, Mariantonietta Di Capita,Alessandra Ferrario, Francesca Gobbo, Cri-stina Ghiretti, Piera Gioda, Stefano Goetz,Grazia Grillo, Mimma Iannò, Renzo La Porta,Lorenzo Luatti, Francesco Maura, MariaMaura, Oikia Studio&Art, Roberto Papetti, Lu-ciana Pederzoli, Carla Sartori, Eugenio Scar-daccione, Oriella Stamerra, Nadia Trabucchi,Franco Valenti, Gianfranco Zavalloni

Direttore responsabile: Marcello Storgato

Direzione e Redazione:Via Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax [email protected]. n. 11815255

Amministrazione - abbonamenti:Centro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3774965 [email protected]

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria -CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 - 25121 Bre-scia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127 in data19/02/1993.

Quote di abbonamento:10 num. (gennaio-dicembre 2010) Euro 30,00Abbonamento triennale Euro 80,00Abbonamento d’amicizia Euro 80,00Prezzo di un numero separato Euro 4,00

Abbonamento CEM / estero:Europa Euro 60,00Extra Europa Euro 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

EditorialeOmaggio alle donne d’Africa 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

lettere in redazione 3

A scuola e oltre

rifare gli italianiChiesa cattolica e unità d’Italia 4A. Nanni, A. Fucecchi

bambine e bambiniPer una nostalgia del mare infinito 6Lucrezia Pedrali (prima parte)

ragazzi e ragazzeGli spazi dei saperi 8Giuseppe Biassoni

generazione yLo spazio virtuale dei ragazzi 10Stefano Curci

in cerca di futuroProve di comunità nei giardini 12di ManhattanDavide Zoletto

che aria tira a scuolaL’asino, ovvero il popolo umile, 13paziente, bastonato...Patrizia Zocchio

buone pratiche di resilienzaLa diversità fa paura... 14come interagire?Oriella Stamerra, Alessandra Ferrario

la pedagogia della lumacaA proposito di lentezza e... 16Eugenio Scardaccione

Il «restodelmondo»

agenda interculturaleL’integrazione secondo i Centri 33interculturaliAlessio Surian

prati-careProgetto Madeleine 34Massimo Novi

scor-dateNove gli immigrati linciati 35a cura di Dibbì

dudal jamUna grande estate per la 36campagna Dudal JamClelia Minelli

saltafrontieraL’importanza di dire no 38Lorenzo Luatti

pixelIl bandito e il bersagliere 39Roberto Alessandrini

nuovi suoni organizzatiThe Rhythmatis, i colori del ritmo 40Luciano Bosi

zero povertyLe parole della povertà 41Maria Luisa Damini

crea-azioneSulla scena la poesia delle donne 42Candelaria Romero

spaziocem2° Memorial Milani 43La convivialità delle differenze 44Rosaria Ammauro

Presentato il kit «Zero Poverty» 45Mediamondo 46

i paradossiPietro e Cecilia 47Arnaldo De Vidi

la pagina di... r. alvesLa parola è l’inizio di tutto 48

Sommarion. 6 / giugno-luglio 2010

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

E-mail: [email protected]

www.cem.coop

ADESSO! DALLE PAURE AL CORAGGIO CIVILE, PER UNA CITTADINANZA GLOCALE2. GLI SPAZI

Gli spazi 17Rita Roberto

Profeti di glocalità Nelson Mandela 19Stefano Curci

LuoghiUna gita al centro commerciale 20Davide Bazzini

Cinema. The village 31Lino Ferracin

Religioni e intercultura 23seconda puntata

a cura di Lucrezia Pedrali

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agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 1

brunetto salvarani | direttore [email protected]

Omaggio alle donned’Africa

P romosso dal CIPSI, coordinamento di 48 associazioni di solidarietà internazionale, e da Chiama l’Africa, enato in Senegal, a Dakar, durante il seminario internazionale per un Nuovo patto di solidarietà tra Europa eAfrica svoltosi a fine dicembre 2008, l’appello per assegnare alle donne africane il premio Nobel per la pa-

ce del 2011 rappresenta davvero un’idea bellissima. Non più solo a una, come pure è avvenuto in passato, ma a tuttee tutte insieme! Sarebbe un Nobel collettivo che riconosce la fatica e insieme dà forza. È nell’utero di queste donneche si nasconde il futuro, il riscatto e la liberazione di un continente che paga il prezzo più alto dell’egoismo del norddel pianeta. Anche se non dovesse chiudersi con un successo, il buon esito dell’appello sarà averci costretti a riflet-tere sul loro ruolo essenziale nel continente nero, che quest’estate haavuto una vetrina internazionale di enorme rilevanza mediatica comei Mondiali di calcio in Sudafrica (per quanto mi riguarda, l’invito èdunque a visitare la pagina del CIPSI e Chiama l’Africa:http://www.noppaw.org/, e a sottoscrivere la richiesta). Scrive benesuor Eugenia Bonetti, che ha conosciuto - in tanti anni di servizio mis-sionario in Kenya ma anche nelle periferie torinesi - un gran numerodi africane: «Oggi come ieri, la donna in Africa vive in condizioni dipovertà e di inferiorità rispetto all’uomo, più o meno sottomessa, se-condo i luoghi, ma mai del tutto libera, più o meno dominata ma maidel tutto padrona della propria vita e del proprio destino, più o menoattiva nella sfera sociale, familiare e religiosa, ma pur sempre in se-conda linea. Eppure la costruzione di un’Africa nuova, vera, libera ericca di tutte le sue espressioni culturali passa attraverso la mente, ilcuore e le mani di tante donne africane che vogliono plasmare unasocietà nuova basata sul rispetto reciproco, sull’uguaglianza, sul ri-conoscimento della propria dignità e del proprio ruolo. Tutto questoè ciò che vive e che chiede la donna africana...». Un appello del genere (anzi, di genere…) non può che risultare caroal CEM Mondialità, perché le abbiamo viste e conosciute, le donneburkinabé impegnate con noi nel progetto di Dudal Jam. Ma ancheperché lo scorso 13 giugno a Parma, durante il II Memorial Milani de-dicato a padre Domenico, abbiamo riflettuto un’intera mattina su Donne in Africa, donne d’Africa. Coraggio, azione,fratellanza. Quando abbiamo ascoltato, commossi e partecipi, fra le altre, la voce squillante di Ernestine, o meglio,di Katirisa Kahindo, mediatrice culturale rifugiata politica in Italia dal 1997, presidentessa dell’associazione Societàcivile congolese d’Italia e già coordinatrice della promozione della donna a Goma nella Repubblica democraticadel Congo. Che ci ha raccontato di sofferenze e ingiustizie infinite, ma altresì di una forza di volontà e di una resi-lienza altrettanto infinite. Con passione e intelligenza. Fino a dare ragione, se fosse stato necessario, alle parole chesuor Teresina Caffi ha scritto come Omaggio alle donne d’Africa, che avevamo ripreso nella cartolina del Memorial:«Rendo omaggio alle donne d’Africa. Rendo omaggio alla loro intelligenza volta a proteggere la vita, al loro provve-dere a ogni cosa, omaggio alla loro bellezza luminosa, regale, ignorata, che la fatica spegne presto, ma solo in ap-parenza». Shukrani, grazie, allora, a Katirisa e a tutte le Katirise africane. Ma anche perdono, se potete perdonarci,per tutta la miseria, la stupidità e l’insensibilità di troppi maschi (africani e non). Come intuì l’allora Segretario Ge-nerale dell’ONU Kofi Annan, quando disse, ispirato, in uno dei suoi discorsi: «Se vogliamo salvare l’Africa, per primacosa dobbiamo salvare le donne dell’Africa, giacché il salvagente dell’Africa sono le sue donne. E perché l’Africadiventi più forte, abbiamo bisogno che le sue donne rimangano forti». q

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Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Questo numero di CEM Mondialità apre l’annata 2010-2011 della rivista, dedicata a «Adesso! Dal-

le paure al coraggio civile, per una cittadinanza glocale». Il «dossier» monografico, a cura di Rita

Roberto, intitolato «Gli spazi», ci offre un’approfondita riflessione e un’originale interpretazione

del termine «spazio». Scrive l’autrice: «Viviamo nell’epoca dello spazio dove il presente non viene

più percepito come il punto centrale tra i due poli del passato e del futuro, ma come un continuo “qui ed ora” che

indica e garantisce una precisa realtà spaziale nella quale muoverci ed agire. Il tempo, quindi, si è “spazializzato”,

dando all’uomo la possibilità di accorgersi del mondo, proprio attraverso la percezione di uno spazio o la defini-

zione di un luogo, riconoscendo quel legame di reci-

procità e di appartenenza tra noi stessi e i luoghi

che ci accolgono». L’autrice si sofferma, in particola-

re, sul significato dello spazio simbolico e sacro, for-

nendoci un’ampia panoramica sul mandala, di cui si

mostra raffinata conoscitrice. All’interno del «dos-

sier», Lino Ferracin ci parla del film The Village, che

narra la vicenda immaginaria di una comunità che

vive completamente isolata dal mondo, circondata

da creature mostruose che abitano il bosco che cir-

conda il villaggio, in cui molti hanno visto un’effica-

ce metafora sull’America assediata di oggi.

Nell’inserto centrale, dedicato a «L’ora delle religio-

ni», Lucrezia Pedrali ci offre un una preziosa sintesi

espositiva dei rapporti esistenti tra religioni e inter-

cultura, dove esiste un ambito nel quale l’incontro

diventa possibile: non sulle verità di fede, ma sulla

cultura, anzi sulle culture.

Nella sezione «Resto del mondo», segnaliamo l’arti-

colo di Rosaria Ammaturo La convivialità delle diffe-

renze. Immigrati problema o risorsa? per la rubrica

«CEM Sud», in cui, dopo la relazione sulla parte teo-

rica svolta in classe, si riferisce della coinvolgente

partecipazione di una studentessa sedicenne a un pranzo sociale con gli immigrati africani. Due pagine sono ri-

servate all’iniziativa Dudal Jam, la campagna che si propone, in collaborazione con l’Ong LVIA, di progettare e ge-

stire una scuola di coeducazione alla pace in Burkina Faso. Grazie all’impegno di Clelia Minelli, vi potrete leggere

le ultime iniziative a sostegno della Campagna, una parte importante della mission di CEM! q

2 | cem mondialità | agosto-settembre 2010

Federico Della PuttaLe illustrazioni che corredano questo numero sono state realizzate daFederico Della Putta, che ringraziamo. Ecco un suo breve profilo:

Nato a Milano nel 1986, Federico Della Putta predilige la matita aigiocattoli e si diverte a inventare esseri che non può vedere. Disegnodopo disegno, esce dal Liceo artistico Caravaggio e frequental’Accademia di belle arti di Brera, dove si diploma in Pittura nel 2008.Partecipa alla fondazione di «Mammafotogramma», uno studio dianimazione che ha già all’attivo produzioni importanti e impegnative.Non contento si concentra sull’illustrazione, frequentando illaboratorio della Scuola superiore d’arte applicata epubblicando alcuni testi per l’editoria scolastica. Oggilavora a progetti di animazione per lo studio, eprosegue l’attività di disegnatore, cullando tral’altro l’idea di un grande libro illustratoche raccolga alcune delle piùaffascinanti leggendeprovenienti da ogni parte delglobo terrestre.

e-mail: [email protected]: 339.1730040

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agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 3

Chiara BulgarelliModena

UN GRAZIE DI CUOREA CEM MONDIALITÀ

Carissimo Brunetto,desidero ringraziare di cuore te etutta la redazione di CEMMondialità per il lavoro che svolgetee che trovo molto utile einteressante non solo a livellopersonale ma anche a livelloprofessionale, cioè per la realtàscolastica in cui opero comeinsegnante di Religione.

Federica SpinozziSenigallia (An)

PARTI UGUALITRA DISUGUALI

Cara Maria Stella Gelmini, non è la prima volta che le scrivo,anche se il mio nome le èsconosciuto, sono una dei tantiinsegnanti di scuola secondaria diprimo grado che giovedì 17 giugnoha assistito alle prove nazionaliINVALSI per il superamentodell’esame di Stato. Prove difficili, inalcuni quesiti anche discutibili, conrisultati nel complesso molto lontanidal curriculum scolastico dei nostri

ragazzi. Desidero condividere con leialcuni dubbi e perplessità nellasperanza di avere dei chiarimenti etrovare risposte. Anzitutto non riesco a comprenderecome si possa definire oggettivauna prova d’esame del genere, cheil ministero dell’istruzione reputanecessaria per valutare la scuolaitaliana e per compararla con quelleeuropee. Come si può ipotizzare cheil livello di preparazione di unragazzo di tredici anni di famigliacolta e benestante, con frequentiopportunità extrascolastiche diformazione, sia lo stesso di un suocoetaneo che vive nella periferiadegradata di una grande città, privadi servizi, con situazioni di disagio,di emarginazione, didisoccupazione? Come può far fintadi non sapere che in Italia tra lescuole del Nord e quelle del Sud c’èuna differenza abissale? Come sipuò proporre la stessa prova ad unalunno italiano e al suo compagnogiunto da poco da un altro paese,non ancora in grado dicomprendere la nostra lingua? Saràoggettivo il voto d’esame? Il dirittoallo studio e all’istruzione è solo unabella teoria!In secondo luogo, il principio dioggettività non ha senso nellascuola dell’obbligo, in particolareall’esame finale. È un principiovalido nel mondo aziendale, dove siproducono pezzi che debbonoavere tutti le stesse caratteristiche edove si scarta quello mal riuscito,

ma nel mondo scolastico è fuoriluogo: noi non produciamo pezzi,formiamo i giovani! È come se leipretendesse che tutti i ragazzi ditredici anni indossassero scarpenumero 40: è impossibile, assurdo,sciocco. Chi insegna sa bene cheogni ragazzo ha la sua storia, ha lasua maturazione, ha i suoi punti diforza e le sue fragilità.Perché proporre tali prove propriodurante un esame, determinando lavalutazione finale e facendoemergere in un voto le differenze?Quali saranno i benefici che lascuola italiana ne ricaverà? Gli stessidati si potrebbero desumere inqualunque altro momentodell’ultimo anno della scuolasecondaria di primo grado, cosìcome avviene nella primaria, senzapenalizzare nessuno. I dati hannovalore nella misura in cui sonoaccompagnati da scelte concrete,da soluzioni ai problemi. Lei e ilgoverno di cui fa parte sinora avetesolo pensato a risparmiare, non ariformare!Per concludere, vorrei farle unaconfidenza: la prova INVALSI del 17giugno mi costringerà ad esseremolto meno «oggettiva» del solito enei prossimi giorni, alla prova orale,sarò molto «buona», perché ora piùche mai devo aiutare chiingiustamente e suo malgrado sitrova in difficoltà. Mi dispiace se leconfonderò un po’ i dati sinoraraccolti. La saluto e le auguro buonlavoro!

[email protected]

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I vescovi italiani oggi:l’unità d’Italia è un tesoro per tutti

Aprendo l’assemblea ge-nerale dei Vescovi italia-

ni, nello scorso maggio, ilpresidente della CEI, cardi-nale Angelo Bagnasco, haespresso la piena adesionedella Chiesa e il desiderio di«contribuire a far sì che i150 anni dell’Unità d’Italia sitrasformino in una felice oc-casione per un nuovo inna-moramento dell’essere ita-liani, in un’Europa saggia-mente unita e in un mondoequilibratamente globale».Bagnasco ha aggiunto che icattolici italiani sono parteintegrante e «soci fondatori»dello Stato Italiano. Ha affer-mato inoltre che l’Unità re-sta per tutti una conquista eun ancoraggio irrinunciabili:ogni auspicabile riformacondivisa, a partire da quellafederalista, dovrà pertantostoricizzare il vincolo unita-rio e farlo evolvere per il be-ne comune del paese. Ha

poi osservato che l’attualeanniversario è significativonon perché l’Italia sia un’in-venzione di quel momento,ossia del 1861, ma perché inquel momento, per una se-rie di combinazioni, veniva acompiersi anche politica-mente una nazione che daun punto di vista geografi-co, linguistico, religioso, cul-

turale e artistico era già dasecoli in cammino. Infine, ilpresidente della CEI ha pro-nunciato parole di grandeequilibrio: la storia che seguìè a tutti nota, così come tut-ti conoscono le annose tra-versie che si è soliti conden-

Chiesa cattolicae unità d’Italia

4 | cem mondialità | agosto-settembre 2010

Ritenere che il federalismo possa mettere a rischio l’unità del paeseè indice di miopia politica. Al contrario, il federalismo è la formaistituzionale che meglio può favorire l’unità di un’Italia da semprearticolata e ricca di diversità.

sare nella «questione roma-na». Si potrebbe dire, tutta-via, che mai come in quellastagione la Provvidenza gui-dò gli eventi. È vero: a nes-sun altro popolo è stato do-mandato, in termini storici,ciò che è stato richiesto alpopolo italiano. Ma anchenessun altro popolo ha rice-vuto, in termini spirituali eculturali, quello che ha rice-vuto e riceve l’Italia.

La Breccia di porta Piae la mano della Provvidenza

Il 20 settembre 2010 ricor-rono 140 anni esatti dallaBreccia di Porta Pia. Quelgiorno segnò la fine del po-tere temporale della Chiesa(o almeno dello Stato Ponti-ficio) e fece emergere in tut-ta la sua complessità la«questione romana». Daquel momento Roma potevafinalmente diventare capita-le d’Italia e il Papa doveva la-sciare il Palazzo del Quirinaleper andare a risiedere nellaCittà del Vaticano. Lo storicoFrancesco Traniello sostieneche sarebbe sbagliato vede-re ed enfatizzare la presenzadi moventi anticattolici nelprocesso risorgimentale,poiché tanti cattolici, comeAlessandro Manzoni, aveva-no operato attivamente perl’unificazione dello Stato ita-liano. Al contrario, altri stori-ci propongo una visione di-versa: Angela Pellicciari, adesempio, afferma che «la di-struzione del potere tempo-rale del Papa era l’obiettivodi un movimento massoni-co-protestante internaziona-le che puntava a sradicare ilcattolicesimo».

antonella fucecchi - antonio [email protected] - [email protected]

rifaregli italiani

Up

Nea Rso«Udeprnedoelail fsp

La visione di un «terzo

Risorgimento»può funzionare

in questoperiodo di crisi

come una levadi futuro,

capace di generare

nel paese la passione

giusta per affrontare

un compitocertamente

non ordinario

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fu firmato dal cardinale Ga-sparri e da Benito Mussolini.Ma soltanto con GiovanniXXIII nel 1961, in occasionedel centenario dell’unità d’Italia, si ascolteranno pa-role veramente nuove chefaranno «benedire» quel-l’evento e vedere finalmentenell’Unità d’Italia «la manodella Provvidenza».

agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 5

Fatto sta che dopo la Brecciadi Porta Pia (una battagliache durò poco più di quattroore causando 56 morti tra isoldati italiani e 20 fra letruppe pontificie) la Chiesaha reagito con il celebre Nonexpedit (non conviene, nongiova), che significava in so-stanza Non licet, ossia re-spingere ciò che era avvenu-to come una cosa illecita.Purtroppo il Non expedit haimpedito ai cattolici d’impe-gnarsi nella vita pubblica fi-no al patto Gentiloni (1913)e sarà abrogato solo nel1918, dopo l’incontro tradon Luigi Sturzo e il cardinalGasparri, segretario di Stato.Bisognerà attendere l’11febbraio 1929 per giungerealla «conciliazione» tra laChiesa e lo Stato italiano conlo storico «concordato» che

I cattolici oggi per un«terzo Risorgimento»

I cattolici per primi sonoconsapevoli di avere allespalle un passato problema-tico nei rapporti con lo Statoitaliano. Nella Settimana sociale del1993 che si tenne a Torino siparlò significativamente del-la necessità di un «terzo Ri-sorgimento» per rilanciareun’identità nazionale unita-ria, piena e condivisa.Ci sembra che proprio la vi-sione di un «terzo Risorgi-mento» possa funzionare inquesto periodo di crisi comeuna leva di futuro, capace digenerare nel paese la pas-sione giusta per affrontareun compito certamente nonordinario. Occorre una scel-ta culturale e politica chemetta al primo posto il benecomune dell’Italia e favorireil consenso di tutti coloroche condividono la cultura

della responsabilità e l’eticadel futuro.Se si parla di un «terzo Risor-gimento» è perché il primo eil secondo furono due Risor-gimenti dimezzati. Infatti,nel primo Risorgimentovenne a mancare soprattut-to l’apporto dei cattolici, co-me abbiamo visto, mentrenel secondo Risorgimento,quello della Resistenza alladittatura fascista, venne amancare la partecipazionedelle forze di destra piùcompromesse con il regime. Ecco perché oggi serve unnuovo Risorgimento. Ciòche è richiesto a tutti - Norde Sud, destra e sinistra, laicie cattolici, autoctoni e «nuo-vi italiani» - è agire come cit-tadini capaci di alimentare lasperanza in un evento di ca-rattere emotivo, partecipati-vo e nazionale in vista di unaripartenza e di un nuovo ini-zio. q

Un’agenda di speranzaper l’Italia

Nei giorni 14-17 ottobre 2010 si terràa Reggio Calabria la 46ma Settimanasociale dei cattolici sul tema«Un’agenda di speranza per il futurodel Paese». Nel documentopreparatorio è scritto: «Da cattolici,nell’Italia di oggi, abbiamo ritenuto didover affrontare e proporre la fatica dielaborare “un’agenda di speranza peril futuro del paese”. Con questospirito, e nella memoria di

centocinquanta anni di storia unitaria,torniamo ad affrontare “senzapregiudizi, né preconcetti” laquestione nazionale. Compreso ilproblema del Mezzogiorno e laprospettiva del Federalismo»..Un’associazione importante di cattoliciimpegnati nel sociale, come le Acli, nelmese di settembre 2010 haorganizzato il suo annuale incontro distudi sul tema «Italiani si diventa.Unità, federalismo, solidarietà».Il futuro si affronta non con la paurama con il coraggio civile che è fatto diforza d’animo, di lungimiranza e difiducia nella collettività. Noi siamoconvinti che il federalismo possadiventare la nuova frontiera per ilmeridionalismo, non solo per leregioni del Nord. Ritenere che il

federalismo possa mettere a rischiol’unità del paese è indice di miopiapolitica. Al contrario, il federalismo èla forma istituzionale che meglio puòfavorire l’unità di un’Italia da semprearticolata e ricca di diversità.Siamo certi che passerà ancora nonpoco tempo prima che il federalismoentri in vigore nel nostro paese.Quando questo avverrà è compitodegli educatori non schierarsipregiudizialmente né con il Nord nécon il Sud ma con il primato del «benecomune» di tutti gli italiani,impegnandosi a non fare sconti anessuno quando sono in gioco i valorifondativi della Costituzione, comel’Unità nazionale, l’uguaglianza deicittadini, l’universalità dei diritti e lacoesione sociale.

Il futuro siaffronta noncon la paura

ma con il coraggio

civileche è fatto

di forzad’animo, di

lungimiranza e di fiducia

nella collettività

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PRIMA PARTE

Se vuoi costruire una nave,non radunare gli uomini perfare loro raccogliere illegno, e distribuire i compitie suddividere il lavoro, mainsegna loro la nostalgia delmare ampio e infinito.Antoine de Saint-Exupéry

Certo, per insegnarla, lanostalgia del mare am-

pio e infinito, bisogna cono-scerla. Bisogna sentire lapassione e persino la nostal-gia di quel mare, desiderarlocome fosse ragione di vitasenza la quale, appunto, lavita ha meno senso o non neha affatto. Metafora del-l’educazione e del ruolo de-gli adulti nei confronti dellegiovani generazioni, ma at-tualmente difficile persinoda delineare sul piano teori-co. Partendo ancora unavolta dalla conclusione, sipuò tentare di giustificaretale affermazione svolgen-do alcune considerazioniche tengano conto dei se-guenti elementi critici:

viviamo tutti, adulti ebambini, in un contesto glo-bale «liquido» (come diceBauman) e segnato dallacondizione d’incertezza; ci sentiamo sempre menoparte di un corpo sociale vi-vente e quindi sempre menoimpegnati al rispetto di unethos comunitario; fatichiamo tutti a ricon-durre il linguaggio alla suafunzione essenziale di co-municazione trasparente esiamo immersi in una linguaopaca e ambigua che ci im-pedisce di comprendere e dirappresentare la realtà cononestà, almeno sul pianodella ricerca; abbiamo tutti, più o me-no, paura delle passioni edelle compromissioni che es-se comportano, soprattuttoquando devono tradursi inimpegni duraturi e severi, instili di vita coerenti e in scel-te responsabili.

La supremazia del mercato

La condizione esistenzialegenerata dalla globalizzazio-

che li regolano è, di fatto, ilvalore condizionante chedetermina o indirizza ogniscelta. La ricerca di espe-dienti più o meno precariche possano permettere lavita quotidiana è diventatala condizione normale permolte persone che hanno ri-nunciato a progettare il pro-prio futuro come prospettivaa lungo termine: esso appa-re per lo più come un gran-de punto interrogativo, lar-gamente rimosso. In questo contesto anche lerelazioni interpersonali sonodiventate più fluide e menodefinite; i legami sociali sisono allentati e uno degliesiti è la società «senza padrie senza madri» nella qualesi cresce disorientati e incer-ti. La rapidità e la leggerez-za, almeno apparente, conla quale si affrontano e siconsumano situazioni, lega-

Per una nostalgiadel mare infinito

Non è possibile occuparci dei bambini senza tenereconto dello scenario sul quale agiscono gli adulti. Non possiamo invocare per loro ciò che noi, in largaparte, non riusciamo a realizzare.

6 | cem mondialità | agosto-settembre 2010

bambinee bambinilucrezia [email protected]

L’educazioneappare sempre

più come unaserie di

tecniche per losviluppo di

competenzeutili al

mantenimentodell’attuale

assettoeconomico

Lad

In radi dasdeprpecocoecDa

d

creaprmlegNocoponoLacanonotesco

ne è caratterizzata dalla mu-tata concezione del tempo edalla ragione di essere delsoggetto in rapporto al pro-prio futuro: il carpe diemnon si pone come scelta fratanti possibili scenari, macome l’unica condizione divita, soprattutto per le gene-razioni dei più giovani. L’in-discussa supremazia delmercato, dell’accumulazio-ne economica e delle norme

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educativo, questo significadi fatto la rinuncia alla pro-posta di modelli etici, salvoribadirne il valore nella folladei documenti prodotti in-torno all’educazione.

La perdita di sensodelle parole

Proprio le parole che affolla-no i documenti riportano adun’altra questione: si assistead uno slittamento, se non aun disfacimento, del sensodelle parole, che perdonocosì il loro significato (sia pu-re già in origine complesso estratificato). Nell’ambito diuno stesso sistema culturalele parole hanno assunto si-gnificati diversi, legati alla lo-ro spendibilità immediata, equesto fatto le rende opachee ambigue: cosa significaparlare di democrazia, liber-tà, etica, vita, morte, corag-gio, responsabilità, paura, si-curezza? Quali immaginarimuovono nelle persone equale senso producono? Sia-mo abituati alle parole, lediamo per scontate, ma chi,bambino, comincia a rappre-sentarsi il mondo nel qualevive, operazione che si com-pie eminentemente attraver-so il linguaggio, come puòorientarsi all’interno di unarealtà la cui straordinariacomplessità è pero masche-rata da un’apparente sempli-ficazione linguistica? Se puòvalere il detto popolare parlacome mangi, mangiamo, al-la lettera e metaforicamente,sempre più quello che i mo-delli di mercato ci propongo-no e viene da sé che anche leparole hanno significati pro-dotti e manipolati secondo lamedesima logica.

quanto più possibile nel mi-nor tempo possibile, sta ge-nerando soggetti semprepiù ipertrofici, ma sempremeno in grado di percepirsinella relazione di interdipen-denza con altri; la mancanzadi questo senso d’interdi-pendenza, il non riuscire aleggersi legati al destino co-mune, rafforza il bisogno diipertutela del sé e comportal’allentamento del senso diresponsabilità condivisa;non fa eccezione la relazionedegli adulti con i bambini: igiovani patiscono l’assenzadi adulti responsabili e signi-ficativi capaci di conteni-mento e nel contempo dipromozione delle potenziali-tà. Nella prassi di vita indivi-duale e pubblica le regolecomuni sono sempre piùpercepite come un limiteall’espansione di se stessi (odell’impresa) e, sul piano

La scomparsa del principiodella responsabilità

In un contesto nel quale l’idea di futuro è messaradicalmente in crisi dalla precarietà permanente, anchei desideri sono preconfezionati e edulcorati; valgonoassai più i principi economicisti legati alle categoriedell’utile e dell’efficiente; è venuto meno anche ilprincipio della gratuità, della bellezza e della passioneper la conoscenza; l’educazione appare sempre piùcome una serie di tecniche per lo sviluppo dicompetenze utili al mantenimento dell’attuale assettoeconomico.Da un lato si coltiva l’idea dell’illimitata possibilità

dell’essere umano e dall’altro lo si fa agire entroschemi e modelli predefiniti: il risultato è soventeuna complessiva immaturità che relega l’individuoalla solitudine dei suoi pensieri di onnipotenza non

contenuti entro i limiti dell’esperienza d’incontroreale con gli altri. Senza questo incontro, viene meno ilprincipio della responsabilità, perché non s’impara amisurarsi con gli altri, non s’impara a riconoscere illegame di interdipendenza che ci unisce. Non è possibile occuparci dei bambini senza tenereconto dello scenario sul quale agiscono gli adulti. Nonpossiamo invocare per loro ciò che noi, in larga parte,non riusciamo a realizzare. La speranza per un futuro degno di essere vissuto, lacapacità di vivere insieme e per gli altri, oltre che pernoi stessi, la passione per la verità e la conoscenzanon si possono insegnare: possono solo esseretestimoniate e proprio in questa testimonianzaconsiste la sfida dell’educazione.

mi, rapporti nuovi e mutevo-li (il modello più evidente èquello degli incontri da con-nessione web), quali esiti hacirca la capacità del mondoadulto di prendersi cura deipiccoli, cioè di educare? Inaltre parole, l’accelerazionetemporale e la stabile preca-rietà che sembra contrasse-gnare larga parte dell’espe-rienza umana contempora-nea, quali esiti produce neiprocessi educativi?

La rinuncia alla proposta di modelli etici

Il peso crescente assegnatoa valori individuali, di tipoevasivo e legati essenzial-mente alla necessità indottadal mercato di consumare

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Voltando la pagina deiprimi dieci anni del due-

mila, cercando di immagina-re quali modelli di sviluppo siandranno delineando nelprossimo futuro, diventa ar-duo ragionare attorno ai sa-peri necessari per affrontareil domani. Tuttavia un tenta-tivo d’intercettazione è dafare. Partiamo da ieri.Nel secolo scorso la possibili-tà d’accesso all’istruzione harappresentato un fronte dilotta democratico e di supe-ramento della divisione /ghettizzazione in classi so-ciali. Dalla scuola di Barbia-na alle riforme dell’istruzio-ne susseguitesi a suon di

battaglie politiche, si è riu-sciti in parte ad ottenerepossibilità d’emancipazioneche hanno rotto il concettodi sapere come forma elita-ria e quindi come gestione

oligarchica del potere. Stu-diare ed impegnarsi eranoinvestimenti per il futuro,portavano al divenire medi-co, avvocato, insegnante;era l’epoca delle scuole sera-

li, per recuperare opportuni-tà di crescita, per migliorarela posizione, per fare carrie-ra. Era l’epoca dei molti pri-vatisti che si presentavanoall’esame di terza media peraccedere alla licenza di am-bulante, commerciante, bi-dello…«L’operaio conosce centoparole, il padrone mille, perquesto lui è il padrone». Cosìnel 1975 Dario Fo intitolava

Gli spazi dei saperi

Per molti aspetti scolastici il XXI secolo non è cambiato,rispetto al secolo precedente, avendo ancora come priorità la formazione quale opportunità di crescita e sviluppo sia personale sia sociale. Sono tuttavia mutate le attenzionipolitiche e le tipologie di soggetti coinvolte nei processi.

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ragazzie ragazzegiuseppe [email protected]

Inutile spendere parola su quantoavviene nel nostro paese, su quanto s’investein formazione ed informazione. I risultati

sono sotto gli occhi di tutti, tranne di chinon vuol vedere

Caro lettore, cara lettrice, conquesto articolo ha termine la miacollaborazione con la rivista CEMMondialità. Per questo l’articoloche seguirà ha per me un saporespeciale: vorrei evitare i compendiautocelebrativi ma lasciare unbuon ricordo di me. Ci proverò.

Apprendere ad apprenderee l’essenzialità

In un processo formativo, individuarel’essenzialità è un’azione prioritaria. Non sipuò imparare tutto e vi è una relazione(qualcuno si è anche cimentato ad indicarlacome un’equazione matematica) tra il tempodisponibile e le abilità acquisite, perassumere talune posizioni (lavorative,politiche, sociali, ecc.). Sotto questo profilorimane un esempio magistrale l’art. 3 dellanostra Costituzione, Carta scritta da giganti,speriamo non per piccoli soggetti futuri maper continuatori degni di proseguireun’eredità così importante. La strategia diLisbona relativa alla formazione ed

all’istruzione in generale1 segnalamolteplici punti strategici in relazione aicompiti futuri. Sarebbe arduo darneconto nel presente articolo, invito perciò

il lettore a documentarsi in propositoper comprendere cosa sta cambiando,quali obiettivi non siamo stati in

grado di perseguire, a cosacondanniamo le future generazioni se noi

per primi non ne terremo conto.

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una sua opera. Ottima sinte-si, che ben rappresenta losforzo di molti insegnantidemocratici tesi a fornire op-portunità ai soggetti più de-boli, ad impedire le facilibocciature che non valoriz-zavano il saper fare dei sog-getti ma rinforzavano solo laghettizzazione. Era la ricercacontinua di nuovi metodi di-dattici, di utilizzo di molte-plici linguaggi che motivas-sero alla crescita della consa-pevolezza, alla maturazionedel sé; l’epoca della ricercaglobale nell’interdisciplina-rietà. Per molti aspetti scola-stici il XXI secolo non è cam-biato, avendo ancora comepriorità la formazione qualeopportunità di crescita e svi-luppo sia personale sia so-ciale. Sono tuttavia mutatele attenzioni politiche e le ti-pologie di soggetti coinvoltenei processi.

Due punti chiave delProcesso di Lisbona

«La società dei saperi è lachiave per la strategia di Li-sbona. Il contributo appor-tato dall’istruzione e dallaformazione è pertanto fon-damentale in quanto […] es-se costituiscono l’indispen-sabile fondamento dellecompetenze e del potenzialecreativo».«Si possono conseguire gliobiettivi di competitività solose i giovani che si presentanosul mercato del lavoro di-spongono degli strumentiadeguati grazie all’istruzione-formazione di qualità in lineacon l’evolvere della società».«Competenze» e «potenzialecreativo». Due termini checambiano il centro d’interes-se del nuovo secolo.

senziale non avere musicistiche suonino per la strada co-me impone la polizia per or-dinanza comunale? A Bar-cellona, Parigi, Berlino, ecc.,respiri aria d’innovazione, ri-cerca d’identità attraverso lamoda, la pittura, la musica,l’arte… invece le nostre cittàsono impegnate a trasfor-mare in «salotto buono» lecreative agorà.Evoluzioni formative: lascuola non può rimanerel’unica agenzia formativa; bi-sogna aprirsi al territorio, allesocietà sportive, ai teatri, allestrutture identitarie (Cral,parrocchie, circoli, ecc.). A voi sembra che qualchesocietà sportiva sia all’altez-za di questo compito? Sape-te che questa indicazione ècontenuta in una nota mini-steriale? Le famiglie sonoconsapevoli del mutamentodel panorama dell’offertaformativa e sono in grado discegliere il modello educati-vo più adatto al futuro dei fi-gli? Oppure tutto il dibattitoda noi si ferma a scuola pri-vata sì/no?Qui mi fermo. Rimane chiaro,almeno per me, che l’igno-ranza ieri come oggi non èuna virtù. È altrettanto chiarocome sia estremamente im-portante non solo imparare,ma anche come imparare…il fine non giustifica i mezzi echi apprenderà l’obbedienza,la sudditanza, la repressione,non sarà mai creativo, esube-rante attore del proprio edaltrui futuro. Grazie e buonacontinuazione.

1 Nella riunione di Lisbona del Consi-glio e del Parlamento europeo del 23-24 marzo 2000 venne definito il pro-gramma integrato dell’Unione euro-pea nel settore dell’istruzione e dellaformazione.

«Potenziale creativo». Vorreifare lo scrittore, il musicista, ilpittore… erano frasi che ge-neravano scappellotti e musilunghi in famiglia nel secoloscorso; ora sono consideratiin Europa qualità su cui basa-re la crescita… la creativitàcome abilità che consente larealizzazione di sé anche inambito economico.«Competenze». L’uomo nonè forgiato a svolgere unafunzione, non è specializza-to in poche modalità ma,nell’epoca della mobilità edella globalizzazione, si do-vrebbe attrezzare ad avereabilità come frecce spendibi-

li pronte all’uso del proprioarco. Inutile spendere parolasu quanto avviene nel nostropaese, su quanto s’investe informazione ed informazio-ne. I risultati sono sotto gliocchi di tutti, tranne di chinon vuol vedere.Tuttavia alcuni ragionamentidevono essere svolti.

Modelli di sviluppo

Pensiamo seriamente che larisposta alla globalizzazionesia il modello Pomigliano?Sfruttare maggiormente i la-voratori e riduzione dei lorodiritti per aumentare la com-petitività? Chi pagherà i co-sti sociali di una riqualifica-zione delle persone quandola fabbrica cambierà paese,strategia, scelte d’investi-mento? È guardare al futu-ro? Il futuro dell’Italia è inqueste forme d’industria?

Scelte di vita sociale

L’involuzione sociale portatadalla politica (si pensi a Mila-no, città chiusa) ha inibitopossibilità di crescita edespansione. Davvero è es-

e

po

,

ai

iòoo,

i

Vedrai com’è bello

M’hanno detto a quindici annidi studiare elettrotecnicaè un diploma sicuro,d’avvenire tranquillo,

con quel pezzo di cartanon avrai mai problemi,non avrai mai padroni,avrai sempre il tuo lavoro.

Vedrai com’è bellolavorare con piacerein una fabbrica di sognotutta luce e libertà!

Gualtiero Bertelli, Nina, Edizioni del gallo, 1977

Rimane chiaro,almeno per me,che l’ignoranza

ieri come ogginon è una virtù.

È altrettantochiaro come sia

estremamenteimportante nonsolo imparare,

ma anche comeimparare

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10 | cem mondialità | agosto-settembre 2010

Se parliamo di spazio ri-ferendoci ai nostri ra-

gazzi, non possiamo nonconstatare, ancora una vol-ta, che il virtuale ed il digita-le la fanno da padroni. Unesempio di vita scolasticaquotidiana, fresco fresco: dapoco sono stati diffusi (da si-ti gestiti da studenti addirit-tura prima del sito istituzio-nale del Ministero dell’Istru-zione) i nomi dei professoriche saranno commissariesterni per gli Esami di Stato2009-2010. La rappresen-tante di classe, Eleonora, ècorsa ad informarmi sui loronomi. Mentre io - da profes-sore dei vecchi tempi - ripe-tevo quei nomi per vedere semi ricordavano qualcosa,Eleonora - da alunna deinuovi tempi - aggiungevaparticolari di vario genere sudi loro: «avete forse trovatoil modo di contattare i lorostudenti?» - ho chiesto iosmarrito - «ma no prof, ab-biamo visto i loro profili suFacebook!».Ora, nella concezione dello

spazio pre-digitale una cosadel genere non sarebbe sta-ta possibile: il nome sarebberimasto misterioso, a menodi non recarsi nell’Istituto diprovenienza del docente perfare domande ai suoi stu-denti. Invece i ragazzi hannocambiato il loro concetto dispazio, traslocandolo da di-mensione fisica limitata a di-mensione virtuale illimitata:

Lo spazio virtualedei ragazzi

L’attenzione per il presente diventa l’unica dimensione. La conseguenza più immediata, a livello educativo, è che i ragazziperdono la capacità di progettare: se lo spazio dell’immaginario è costruito attorno al presente in modo quasi esclusivo, che sensoha affannarsi a studiare in vista del futuro?

questo ovviamente a dannodella prossimità, che non èpiù evidentemente una di-mensione indispensabile.Siamo sempre più nell’evo-luzione (?) della società li-quido-moderna: «i legami,invece, diventano semprepiù fragili e volatili, difficilida alimentare per periodiprolungati, bisognosi di unavigilanza continua, inaffida-bili. I network prendono ilposto delle “strutture” (diamicizia, affinità, comunità);la “fedeltà/devozione” vienesostituita dalle “connessio-ni” (la lingua stessa ci mo-stra la differenza tra i duetermini: l’idea della connes-sione - connection - procedeparallela a quella di discon-nessione -disconnection -mentre la devozione - com-mitment - non ha un contra-rio linguistico diretto […] lafragilità dei legami rende ilghiaccio su cui noi tutti pat-tiniamo sempre più sottile epericoloso come mai in pas-sato»1.

La «spazializzazionedel tempo»

Recentemente Mario Polloha parlato di una dilatazionedella temporalità sociale cheè il prodotto della «spazializ-zazione del tempo», cioè diuna supremazia delle coor-dinate spaziali su quelletemporali. C’è in giro unasorta di anestetizzazionedell’idea del tempo e dellastoria che va a vantaggiodella dimensione spazialesincronica, che è un modoun po’ complesso per direche ai ragazzi interessa mol-to di più ciò che è di imme-diato consumo rispetto a ciò

stefano curci

generazione y

Ai ragazziinteressa moltodi più ciò che è

di immediatoconsumo

rispetto a ciòche richiede

tempo e faticaper maturare

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Giustificazione immediata,niente sacrifici

È proprio la situazione che riscontriamo quando iragazzi ci dicono che passano i sabati e le domenicheal centro commerciale o all’outlet: lo spazio delpresente è l’unico che interessa, quindi non siconsidera di passeggiare nella zona del centro storicodel proprio comune, perché è qualcosa che ha a chefare con le radici e con il passato, quindi non è nécool né trendy. Si deve frequentare un posto

attraente, che sia in grado di dare suggestioniall’immaginario giovanile sempre più povero di valori:ecco l’orizzonte delle vetrine che veicolano marchi emodelli di riferimento. Questo spaziodell’immaginario inchiodato al presente è il nemicodella capacità di progettare degli adolescenti, e lacoscienza della propria responsabilità, sia personalesia sociale, è progressivamente intorpidita: moltiragazzi circoscrivono il proprio senso di responsabilitàsolo a se stessi e alle persone più prossime. I valoriscelti sono limitati ad una pregiudiziale di tipoutilitaristico e manca la capacità di sacrificarsirinunciando alla gratificazione immediata perinvestire su un proprio futuro impegnato. Se non c’èun progetto di vita definito manca anche il criterioper decidere se le cose che capitano quotidianamente- come anche le varie tentazioni - siano coerenti omeno con quanto si vuole perseguire. A noi educatoriil compito di scuotere i ragazzi, cercando intanto direstringere la loro concezione dello spazio su unpiano virtuale, e poi di allargarla sul piano temporale:ad un presente esteso all’infinito, con il numero dicontatti su Facebook come unità di misura, i ragazzidevono poter sostituire uno spazio diacronico chenon dimentichi le loro radici, e sia orientato verso illoro progetto di vita.

a livello educativo, è che i ra-gazzi perdono il contatto conla capacità di progettare: selo spazio dell’immaginario ècostruito attorno al presentein modo quasi esclusivo, chesenso ha affannarsi a studia-re in vista del futuro? Ma così«la vita priva del tessuto delprogetto e della storia appa-re sempre di più come uncaotico susseguirsi di oppor-tunità a volte positive ed avolte negative, piacevoli o

spiacevoli ma in cui comun-que il paradigma del consu-mo compensatorio e conso-latorio si manifesta come do-minante»3.

che richiede tempo e faticaper maturare: «immersi inquesto tempo spazializzato,gli individui perdono la co-scienza della propria appar-tenenza alla storia e, quindi,anche la propria capacità diprodurre storia e divengonodelle comparse prive di me-moria e di sogni di futuro.Questo fa sì che solo ciò cheè immediato e simultaneovenga vissuto come reale. Ledimensioni del passato e delfuturo sono espulse dalla co-scienza, la memoria e il so-gno sono esiliati. L’istante di-viene un punto nello spazioin cui non vi è durata ma so-lo l’appartenenza atempora-le ad un insieme spaziale»2.Spazio e tempo si confondo-no dunque e non in sensokantiano (il senso per cui iltempo «prevale» perché for-ma del senso interno, quindifiltro anche delle percezioninello spazio), ma nel sensoche lo spazio viene completa-mente occupato dall’atten-zione per il presente che di-venta l’unica dimensione. Laconseguenza più immediata,

Molti ragazzicircoscrivono il

proprio senso diresponsabilità solo

a se stessi e allepersone più

prossime

1 Z. Bauman, Una nuova condizioneumana, Vita e Pensiero, Milano 2003,pp. 67-68.2 M. Pollo, I temi negati dell’educazio-ne, in «Note di pastorale giovanile»,1/2010, p. 31.3 Ibidem.

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Loisaida è il nome di unpiccolo quartiere di New

York. Il suo nome è una deri-vazione ispano-inglese daLower East Side, una zonadell’isola di Manhattan chesi trova a pochi passi daigrattacieli del Financial Di-strict, e della quale fannoparte, oltre a Loisaida, anchequartieri più noti al grandepubblico come Little Italy eChinatown. Loisaida è un quartiere che èstato sempre al centro dellavita culturale e sociale diNew York. Fra le molte storieche ha da raccontarci c’èquella dei suoi communitygarden: piccoli giardini chela popolazione del quartierericava da lotti di terreno in-colto e ingombro di maceriefra un palazzo e l’altro, làdove il processo di disinvesti-mento immobiliare abban-dona vecchi edifici al lorodestino di ruderi. Sono giar-dini molto informali dovepiante e fiori sono spessoquelli che crescono sponta-neamente a Manhattan, edove le aiuole sono realizza-

te con i mattoni dei vecchiedifici e i laghettiornamentali conpezzi di vecchi corni-cioni e vecchi giocat-toli di plastica. Ciò che caratterizza questigiardini è la modalità infor-male di rioccupare gli spazidel quartiere, riutilizzandonon solo i luoghi, ma anchei materiali di cui è fatta unacittà. Soprattutto, ciò che licaratterizza è la creativitàdegli abitanti che li ri-colo-nizzano, ri-creano e ri-abita-no.La storia di questi communi-ty garden viene raccontatada un bel libro di MichelaPasquali: I giardini di Man-hattan. Storie di guerrillagardens. Con passione, masenza ingenuità il libro cimostra la storia di questigiardini in tutte le sue luci ele sue ombre. Raccontando-ci come la pratica di ricavareorti e giardini negli spazipubblici delle grandi città siastata spesso una pratica inbilico fra propaganda calatadall’alto e tentativi nati dal

basso di ricavare spazi disussistenza e di libertà. Nonnasconde le difficoltà e iconflitti che questi spazi ver-di «improvvisati» hannospesso incontrato di fronteagli appetiti degli speculato-ri, ma racconta anche i modiconcreti e non violenti concui la popolazione è spessoriuscita a difenderli. In più, a mostrare il carattereconcreto di queste esperien-

ze, alla fine del libro il lettoretroverà un elenco delle pagi-ne web di alcune delle orga-nizzazioni (pubbliche e pri-vate, più istituzionalizzate oancora prevalentementespontanee) che assistono icittadini-giardinieri di Loisai-da nel loro lavoro di ognigiorno: sia quando sono alleprese con sementi e terreni,sia quando fronteggiano au-torità e costruttori non sem-pre collaboranti.

Loisaida è un quartiere che è stato sempre al centro della vitaculturale e sociale di New York. Fra le molte storie che ha daraccontarci c’è quella dei suoi «community garden».

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in cercadi futurodavide [email protected]

Per saperne di più

M. Pasquali, I giardini diManhattan. Storie diguerrilla gardens, BollatiBoringhieri, Torino 2008.http://www.criticalgarden.com

Prove di comunità nei giardini di Manhattan

Il libro è istruttivo, fral’altro, per una ragio-

ne precisa: ci rac-conta infatti, rea-

l i s t i camente ,che molti di

questi informali giar-dini di quartiere (così comealcune organizzazioni che lidifendono) finiscono poi perscomparire o per cambiaregiardiniere. Ma ci raccontaanche, altrettanto realistica-mente, che da qualche altraparte nel quartiere qualchealtro giardiniere, magari convissuti culturali e sociali di-versi, sta iniziando a coltiva-re un nuovo appezzamento.E questa, in tempi in cui tan-ti nostri tentativi di costruireconcreti percorsi di cittadi-nanza ci sembrano spessoinfruttuosi, mi sembra unalezione importante e di uncerto pur moderato ottimi-smo.

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Ancora una volta tuttosulle nostre spalle!

Siamo alle solite, anchel’ultima finanziaria, co-

me le precedenti, del resto,ha azzerato i fondi per ilfunzionamento sia didatticosia amministrativo dellescuole statali. La manovra fi-nanziaria dell’estate 2010ha peggiorato, rendendoloquasi impossibile, il lavoroquotidiano nelle scuole e ilmantenimento dell’offertaformativa. Eppure la scuolaè uno dei fondamentali pun-ti di contatto tra famiglia esocietà, istituzioni e vita pri-

vata, presente e futuro. Manon per tutti nei tagli si èusato lo stesso criterio. Altrotrattamento è stato riservatoalla scuola non statale cheha beneficiato di 130 milionidi euro provenienti dalloscudo fiscale.Nell’autunno 2010 iniziere-mo un nuovo anno scolasti-co, il terzo di una serie checompleterà il disegno Gelmi-ni-Tremonti di riorganizza-zione della scuola. Le inno-vazioni richieste dall’UnioneEuropea a Lisbona (23-24marzo 2000) erano chiare,puntavano a un migliora-mento degli investimenti so-ciali nella scuola, invece inItalia abbiamo avuto tagli difinanziamenti e diminuzionedel personale, con una sen-sibile riduzione dell’offertaformativa a tutti i livelli. Do-po dieci anni di revisioni delsistema scuola effettuati acosto zero, quest’ultimo in-tervento è addirittura a quo-ta sotto zero, con riduzionidi organico e di tempo-scuola, con un riordino deicicli scolastici attuato senza

provvedimenti definitivi, néin tempi rispettosi delle ne-cessità della scuola e deglialunni, né con la possibilitàdi verifica sul campo. Le imposizioni d’autorità pri-ma dell’avallo degli organi dicontrollo e senza il coinvol-gimento dei soggetti inte-ressati sono la cifra di unascialuppa alla deriva più chedi un piano organico dicambiamento. Al confrontocon l’oggi, ci toccherà chie-dere la beatificazione del mi-nistro Berlinguer, quello del-le infinite discussioni nei col-legi dei docenti sul tema del-l’autonomia scolastica..

Un esempio emblematico diquanto il caos regni sovranoè la riorganizzazione deiprogrammi e degli indirizzidelle scuole secondarie, av-venuta con semplici circolari,prima ancora che la Cortedei Conti desse l’avallo ai de-creti interministeriali, senzapreparare il passaggio dallasecondaria di primo grado aquella di secondo grado,senza attrezzarsi con l’orien-tamento. Che esempio di legalità han-no ricevuto le famiglie deglialunni delle classi terze mediedello scorso anno scolastico?Dov’è finito il decreto Brunet-ta sull’efficienza, efficacia,trasparenza, risparmio? Solol’ultimo echeggia comeun’eco in una persa valle.Si farebbe un buon eserciziopratico di «Cittadinanza eCostituzione» (materia fanta-sma nella scuola italiana)dando il buon esempio a mi-lioni di studenti, ma anchealle loro famiglie, rispettandocon rigore e puntualità lenorme e i principi della Costi-tuzione, l’iter dei passaggiistituzionali, la coscienzadell’essere cittadini e nonsudditi. D’altronde, anche gli ultimiprovvedimenti governativinon sono un esempio di sanademocrazia: la decisione diporre la fiducia al voto dellamanovra in parlamento haeliminato ogni possibile di-scussione in aula. O tornere-mo a riappropriarci dei nostridiritti (legge elettorale conpossibilità di esprimere lepreferenze, per esempio) op-pure continueremo ad esserecome l’asino, il popolo umile,paziente e bastonato.

L’asinoovvero il popolo umile,paziente, bastonato...

Si farebbe un buon esercizio pratico di «Cittadinanza eCostituzione» dando il buon esempio a milioni di studenti e alle loro famiglie, rispettando le norme e i principi della Costituzione, l’iter dei passaggi istituzionali,la coscienza dell’essere cittadini e non sudditi.

agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 13

che aria tiraa scuolapatrizia [email protected]

Che esempio di legalità hannoricevutole famiglie degli alunni delle classi terzemedie dello scorsoanno scolastico?

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N el numero programma-tico di giugno-luglio

chiudevamo così la propostadi continuare questo spaziodedicato alle buone pratichedi resilienza: «nella speranzadi contribuire ancora a modi-ficare le lenti con cui si osser-vano i fenomeni, imparandoa dialogare con le parti na-scoste, con le luci e le ombreinsite in ognuno di noi». Ciha fatto molto piacere, dun-que, poco dopo la pubblica-zione del nostro articolo, ri-cevere la lettera di un’asso-ciazione di Roma dai conno-tati fortemente sociali1.Ivana Allegra, che ci ha in-viato il resoconto di un pro-getto ormai pluriennale rea-lizzato coi bambini di unascuola primaria romana dal-la sua associazione, unita-mente ad un altro gruppo disolidarietà internazionale, cipropone un’esperienza ches’inserisce perfettamente nelfilone che curiamo: attivitàformative di resilienza. Atti-vità tanto più necessarie og-gi, quando un certo modello

di far scuola che ci vieneproposto dall’alto, megliosarebbe dire imposto, tentadi convincere tutti - inse-gnanti, genitori, bambini,amministratori scolastici -che non è più necessario oc-cuparsi di diversità a 360gradi!Noi pensiamo che non siacosì, forse perché continuia-mo a porci domande: «Chi eche cosa la scuola consideradiverso? L’istituzione scola-stica come gestisce il rappor-to con le diversità con cuiviene a contatto? E ancora,la realtà della scuola, neisuoi diversi gradi d’istruzio-ne, quale connotazione didiversità esprime come pre-valente?»2.Per noi «la scuola si confron-ta con la diversità ogni voltache si chiede non solo checosa insegnare, ma anche achi e come. Oggi, per di più,la scuola non si muove dasola: l’intera società sta “fa-cendo i conti” con la diversi-tà [...] sempre più spesso ciconfrontiamo concretamen-

La diversitàfa paura...come interagire?

Per noi «la scuola si confronta con la diversità ogni voltache si chiede non solo che cosa insegnare, ma anche achi e come. Oggi, per di più, la scuola non si muove dasola: l’intera società sta “facendo i conti” con ladiversità [...] sempre più spesso ci confrontiamoconcretamente con differenze razziali e culturali fino apochi anni fa impensabili [...]».

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buone pratichedi resilienzaoriella stamerra - alessandra [email protected] - [email protected]

questo contesto costruire re-silienza viene a significare ilcreare occasioni concreted’incontro, affinché «la di-versità fuori da noi serva aprender coscienza che la di-versità è dentro di noi, anzi èil tratto distintivo di ognuno:sono proprio le differenze acontraddistinguere ogni es-sere vivente!»5

Lasciamo dunque la parolaad Ivana.

1 Associazione LA.VA. onlus, via D.Marvasi, 2A, 00163 Roma.2 A. Capovilla, O. Stamerra, Per unascuola diversa. Un’esperienza di inte-grazione con l’handicap, Città NuovaEditrice, Roma 2001.3 Ibidem.4 Ibidem.5 Ibidem.

te con differenze razziali eculturali fino a pochi anni faimpensabili [...]. Valorizzarela differenza attraverso unapedagogia che elabori nuovisignificati a queste trasfor-mazioni planetarie diventaquindi un imperativo impro-rogabile»3.Se questi obiettivi «costitui-scono oggi non solo unareale questione di sopravvi-venza per il genere umano,ma anche la sfida educativadi questo millennio»4, in

OghoSig«OgSigfcora«Sigraccti glucitue «…esseproessestrapienQuedellbamquiScudi RSigfuombisoin sdopl’abil brquasupspofamha uunadig

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Sensibilizzare i bambini

Stiamo parlando di due ca-tegorie ben distinte: bambi-ni di una scuola pubblica ro-mana da una parte, i cosid-detti «diversi» dall’altra. Afare da ponte, un progettoiniziato nel 2006 dall’asso-ciazione di volontariatoLA.VA. (Lavoro Vagabondo)e dal G.S.I. (Gruppo Solida-

rietà Internazionale), dellaComunità di San Leone, Ro-ma. L’associazione LA.VA. sioccupa dell’integrazione la-vorativa dei senza fissa di-mora dal 1995, articolandoil suo intervento in moltepli-ci direzioni, come un Centrodi Igiene personale, un Gior-nale di strada, Il barbone va-gabondo, una colazione set-timanale, un Centro di ascol-to, la distribuzione di vestia-rio... Da quasi vent’anni nelquartiere lavora anche ilG.S.I, per interessare le per-sone ai problemi dei paesi invia di sviluppo, oltre che perattivare e sostenere realtà bi-sognose in quelle stesse areecon progetti e campi di lavo-ro estivi. Proprio con il G.S.I.è nata la collaborazione, alfine di promuovere una cul-tura della solidarietà nellescuole del nostro quartiere.L’obiettivo è quello di sensi-bilizzare i bambini al rispettodelle diversità e all’interazio-ne multietnica.Ci siamo interrogati sul per-ché la diversità faccia pauraed abbiamo riflettuto su co-me queste paure, in parte ir-razionali e fisiologiche, sianoin realtà sostenute da unacultura che favorisce le bar-riere, predilige l’individuali-smo, trascura la conoscenzae l’approfondimento dellerealtà, specie di quelle lonta-ne dalla nostra esperienza. Ecosì siamo partiti quattroanni fa, con un interventonelle classi, articolato in cin-que incontri.Il primo incontro è prelimi-nare: s’informano i docenti ei genitori degli obiettivi chesi vogliono perseguire, deicontenuti che verranno pro-posti e della metodologia

e/o da una famiglia che nonsa allargare i propri orizzon-ti, dar loro un respiro mag-giore. L’ultimo incontro è in-vece dedicato agli insegnantie alle famiglie, per attuareinsieme la verifica del percor-so ed avere un riscontro diciò che i bambini hanno ri-portato in classe e a casa.

Un bilancio positivo

A quattro anni dall’inizio diquesta esperienza, il risulta-to è stato positivo ed inco-raggiante. I bambini sonofelici di fare esperienze altreed incursioni in un altroveche difficilmente avvicine-rebbero. I docenti ritengonomolto positivo questo rinfor-zo esterno su temi cheanch’essi trattano, ma chevengono assorbiti meglioladdove c’è un punto di vistanuovo. I genitori, seppurpresenti con una piccolarappresentanza in rapportoai bambini coinvolti, si sonodimostrati non solo incurio-siti, ma positivamente colpitidalle domande che i figli ri-portano in famiglia.Noi? Noi ci emozioniamo ditutto ciò…

Ivana Allegra

che si utilizzerà. Veniamo anostra volta messi a cono-scenza dei problemi presentinel gruppo-classe o riguar-danti singoli alunni.I tre incontri successivi sisvolgono in classe, con lavorie giochi di gruppo, che mi-rano a far sì che i bambini ri-flettano e si esprimano susentimenti ed emozioni, sufiducia e collaborazione epiù in generale sul concettodi «diversità», che viene esa-minata attraverso alcune fi-gure: il barbone, l’uomo dicolore, il rom, il diversamen-te abile...Questo fare esperienza, toc-care, sentire, emozionarsi,capire favorisce nei bambiniquel legante indispensabilefra l’offerta teorica/esperien-ziale dei giochi e dei lavori digruppo e la possibilità dicontattare una o più personeche e li porta ad accorgersiche con l’ascolto attento,partecipato e sicuramente al-l’interno di una situazioneprotetta, si possono abbas-sare le difese generate dauna sottocultura imperante

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Oggi ho conosciutoSigfrido…«Oggi ho conosciutoSigfrido come uomocoraggioso e dolce…»,«Sigfrido, mentre ciraccontavi la tua storia, ioti guardavo, avevi gli occhilucidi per l’emozione e letue mani tremavano…»,«….non immaginavo cheessere abbandonato dallapropria famiglia, oppureessere un ragazzo distrada fosse così terribile epieno di difficoltà…».Queste sono solo alcunedelle riflessioni scritte daibambini delle classi diquinta elementare dellaScuola Comunale Manettidi Roma.Sigfrido, invece, è unuomo di 72 anni, personabisognosa che ha vissutoin strada per tanti anni,dopo aver conosciutol’abbandono della madre,il brefotrofio e la fame. Inqualche modo hasuperato tutto ciò: si èsposato, ha costruito unafamiglia con tre figli e oraha un nipote. Conduceuna vita difficile, madignitosa.

Una storia che dà coraggioAnche noi riprendiamo coraggio da storie come questa,convinte che esse... «abbiano ancora gambe percamminare, oggi come domani. A fornir loro motore edenergia sono quegli insegnanti, quegli animatori che non siarrendono di fronte al limite, ma proprio da lì costruisconoil loro “far scuola”. Più in generale sono tutte le personeche hanno voglia di andare incontro senza paura allapropria e alle altrui diversità! Cosa significa, infatti,realizzare pienamente la propria umanità, se non questo?».

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Da qualche anno si è sviluppata una vasta letteratura a favore dellalentezza e di tutto quello che lo «slow» (il lento) comporta. Ma è giunta l’ora di liberarsi dalle prigioni mentali di chi predica benee razzola male.

pedagogiadella lumacagianfranco [email protected]

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Il sorriso, il respiro, la medi-tazione, l’abbraccio, le rela-zioni, una passeggiata a pie-di o in bicicletta, il piacere diprendersi il «potere» di fer-

mare le lancette del-l’orologio, è tutto anostro vantaggio. Cifa del bene. Provare

per credere!E perché non dedicare il

giusto tempo a sé e agli al-tri? Senza farsi perseguitaredalla ferocia di un tempodeciso dagli altri e dalle cir-costanze. Rendiamoci contodel male che ci facciamo,quando si forzano i ritmi e icicli naturali del creato. Ac-corgiamoci in tempo che inostri sogni, a occhi chiusi eaperti, possono essere accol-ti e anche realizzati, quandonon siamo schiavi dei ritmidettati dall’esterno.Le relazioni autentiche, pro-fonde, che ci segnano positi-vamente e danno senso e si-gnificato alla nostra esisten-za, sia a scuola sia nella vita,sono capaci di sprigionareumanità, professionalità,impegno, benessere, se nonossessionati dall’impazienzae dalla nevrotica fretta. Nonè forse vero che le esperien-ze più felici sono vissute al-l’insegna di sensazioni noninfluenzate dall’ansia deltempo che passa? L’arcoba-leno non ci regala forse atti-mi meravigliosi senza guar-dare l’orologio?Ognuno faccia un elenco diciò che gli è capitato di posi-tivo quando ha applauditoal percorso lento, costante,tenace della tartaruga e del-la lumaca che, diciamolo pu-re, lascia una scia discreta,flebile ma sensata. E poi?Iscriviamoci al PIL, il Partitodegli Incontri Lenti!

alla scuola italiana, e non so-lo, si offrono una serie di uti-li suggerimenti per viveremeglio, riconciliarci con noistessi e con gli altri, valoriz-zare le soste, vivere l’oziocreativo, realizzare le neces-sarie pause. Da qualche an-no si è sviluppata una vastaletteratura a favore della len-tezza e di tutto quello che loslow (il lento) comporta. Maè giunta l’ora di liberarsi dal-le prigioni mentali di chi pre-dica bene e razzola male. Il«perdere tempo» per cono-scere i ragazzi in realtà èsempre tempo guadagnato,in grado di trasformare l’ap-prendimento in un’utile eduratura esperienza di vita.

Gianfranco ZavalloniLa pedagogia della

lumaca. Per unascuola lenta

e non violenta 2a ed., EMI,

Bologna 2010, pp. 160, euro 12.00

A propositodi lentezza e...di Eugenio Scardaccione

Spesso i giorni sonoscanditi in maniera da

rovinarci l’esistenza, perchéla velocità e la frenesia c’im-pediscono di assaporare labellezza della nostra unica eirripetibile vita. Meglio darsiuna regolata, per diffondereidee e pratiche in grado divalorizzare la lentezza,l’ozio, la poesia, la musica,l’arte, in compagnia dellacreatività, del sorriso e delbuon umore […]. Per questimotivi, Gianfranco Zavallonici invita a non smarrirci, per-dendoci nel labirinto dellosbrigare le faccende in fret-ta, contando i minuti e leore, ossessionati a casa, ascuola, a tavola, per strada,in famiglia, tra amici. A cosaci serve questa folle corsa?Rincorriamo ritmi disumani,giustificando tutto. Per lostanco ritornello che «non sipuò mai perdere tempo», di-ventiamo vittime sacrificalidella tirannia mentale che ciporta a considerare ogni mi-nuto perso un reato.Grazie a quest’originale libro(di cui è stata pubblicata laseconda edizione ampliata),

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

GLI SPAZI2

AGOSTO-SETTEMBRE 2010

Nomadi del presente, cittadinidel futuro

AGOSTO-SETTEMBRE 2010

Gli spazi

OTTOBRE 2010

I tempi NOVEMBRE 2010

I saperi

DICEMBRE 2010

Passioni ecompassioni

MAGGIO 2011

Adesso!

APRILE 2011

L’economia

MARZO 2011

FEBBRAIO 2011

La politica

GENNAIO 2011

Identità e culture

Il sacro, i sacri

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Il cambiamento culturale dal pensiero modernoal postmoderno ha sancito un profondo mutamentoantropologico, che ha registrato il passaggio dal prima-to del tempo lineare e della storicità del tempo in diveni-

re (passato, presente e futuro) alla contingenza stabile dellospazio dove tutti i tempi sono contemporanei. Viviamonell’epoca dello spazio dove il presente non viene piùpercepito come il punto centrale tra i due poli del passato edel futuro ma come un continuo «qui ed ora» che indica e ga-rantisce una precisa realtà spaziale nellaquale muoverci ed agire. Il tempo, quindi,si è «spazializzato», dando all’uomo la pos-sibilità di accorgersi del mondo, proprio attraver-so la percezione di uno spazio o la definizione diun luogo, riconoscendo quel legame di reci-procità e di appartenenza tra noi stessie i luoghi che ci accolgono. Lo spa-zio, così come il tempo, è quindiun’invenzione della nostra menteche cerca di comprendere e descrivere sia il cosmo sia l’uni-verso personale.Ogni epoca ha sviluppato un proprio modo di rappresentarelo spazio, che può essere inteso come la «forma simbolica»di quella cultura. Noi riusciamo a capirlo e a percepirlo attra-verso il nostro corpo e i nostri sensi, ma anche grazie a rego-le e valori con i quali ci rapportiamo con esso. Ad esempio,nello spazio fisico usiamo «parametri spaziali», cioè le di-mensioni dell’altezza, larghezza e profondità (aggiungereiquelle del suono/vibrazione/colore), ma anche senso-percet-tivi-proiettivi se ci riferiamo allo spazio come area relaziona-le/psicologica/sociale, «parametri» grazie ai quali possiamo

stabilire come interagiamo con glielementi che abbiamo intorno e dise-gnare una mappa mentale del nostro «spazio vitale». Muo-versi, incontrare, sostare, scoprire, toccare, ascoltare sonoazioni che comprendono una dimensione spaziale nella qua-le la mobilità dell’individuo presuppone un’immagine struttu-rata dell’ambiente, attraverso schemi sviluppati allo scopo diprocedere in modo adeguato. Lo spazio è come la tessituradi un intreccio di piano bidimensionale, tridimensionale e diproprietà che ho cercato di racchiudere in uno schema circo-lare, organizzando quanti più aspetti possibili per arrivare aduna visione interconnessa attraverso il simbolismo del man-dala.

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

Rita Roberto

Gli spazi

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Un posto nella nostra galleria ditestimoni del glocale spetta

sicuramente a Nelson Mandela, nonsolo per la sua straordinaria lotta control’apartheid in Sud Africa, ma anche peraver appoggiato la straordinariaintuizione dell’arcivescovo DesmondTutu di istituire una commissione cheavrebbe offerto il perdono della nazionea tutti coloro che avessero accettato dirivelare i crimini commessi in nome delrazzismo, la commissione «Verità eRiconciliazione», con cui «il Sudafricacompì il miracolo di usciredall’apartheid senza il bagno di sangueannunciato da tutti i profeti di sventura.Una transizione pacifica ed esemplareportò il paese della repressione edell’ingiustizia alla democrazia, alla

libertà e all’uguaglianza. Fu un’impresasenza precedenti nella storia dei conflittifra gli uomini» (Dominique Lapierre). Seil leader sudafricano è statogiustamente celebrato per la lottaall’apartheid, nel futuro sarà sempre piùimportante studiare questa esperienzapopolare di purificazione dellememorie, vero esempio da esportare intutti i luoghi della terra dove sonoaperte le ferite di un lungo odio.Mandela è diventato un eroe proprioquando i suoi nemici pensavano diaverlo neutralizzato. Pur apprezzando lalezione dei maestri di nonviolenza,Mandela non escludeva che potesseronon bastare armi come disobbedienzacivile, scioperi, marce di protesta,boicottaggi e manifestazioni: «gliattacchi delle bestie feroci non possonoessere respinti a mani nude». Laviolenza esercitata con gli atti disabotaggio, cercando di non colpire lepersone, era la prima fase di unprogetto più ampio, che aveval’obiettivo di mettere in fuga i capitalistranieri dalla Repubblica Sudafricana. Arrestato nel 1962, all’età di 44 anni,Mandela è condannato nel 1964 persabotaggio (accusa da lui riconosciutacome fondata), e cospirazione tesa arovesciare con mezzi rivoluzionari ilgoverno Sudafricano (accusa che invecedisconobbe): sembrava destinato afinire i suoi giorni in un carcere dimassima sicurezza. Eppure, nonostantela forzata immobilità, il prigioniero n.46664 Nelson Mandela divenne peropera di tanti attivisti non solo ilsimbolo dell’opposizione all’apartheid,ma anche il leader dell’opposizionedotato di maggiore autorevolezza. Ilmassacro di Soweto nel 1976 dimostròche mantenere l’apartheid avrebbecomportato brutalità sempre più feroci.Intanto un altro leader di grandestatura cominciò a far sentire la sua

voce contro il regime, il vescovoanglicano Desmond Tutu, che ribadivacon forza l’incompatibilità del razzismocon il Vangelo. La grande borghesiasudafricana cominciò a pensare chemantenere il regime di separazioneavrebbe portato, alla lunga, piùsvantaggi che vantaggi, perché nonsarebbe stato più possibile conciliare ilparadosso del Sud Africa conun’economia da paese sviluppato el’80% della popolazione da paesesottosviluppato. A difendere l’apartheidrimanevano i cosiddetti «piccolibianchi», quelli delle classi medio-basse,che temevano la fine dei loro piccoliprivilegi rispetto alla manodopera nera:ciò rallentò ancora la fine del regime,ma nel 1990 il primo ministro Frederikde Klerk liberò Mandela (che ormaiaveva 71 anni!). il muro dell’apartheidsi riempì di crepe, con l’abolizione dellaseparazione dei luoghi di svago, laparità razziale nelle iscrizioni nellescuole, l’abolizione del Native Land Act,che significava abolire le residenzecoatte dei neri in luoghi fissi, da cuiprima potevano uscire solo esibendo ilpass book (lasciapassare). Nel 1994 le prime elezioni a suffragiouniversale consacrarono Mandelapresidente. In seguito, non si èaccontentato di una pensione dacelebrità, ma, sfruttando la suapopolarità ormai universale, si èimpegnato ancora per anni, a variotitolo, per i diritti umani e civili.

NelsonMandela

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STEFANO CURCI

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

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Una gita al centro commercialeDAVIDE BAZZINI

Succede che ci culliamo con le parole. Le ripetiamo, a volte,come rituali mantra destinati ad accrescere la nostra sicurez-za o l’orientamento della nostra comunicazione, incuranti

della loro complessità e del loro inevitabile - anche se lento- tra-sformarsi.Nonluogo è una di queste parole. Introdotto originariamente daMarc Augé1, indicava la progressiva trasformazione del concetto diluogo, così come si era configurato nelle società precedenti. Augèrilevava che un luogo ha tre caratteristiche: è identitario, quindi in-dica l’identità di chi lo frequenta; è relazionale, nel senso che sta-bilisce tra gli individui che lo frequentano comuni appartenenze; èstorico perché porta con sé la capacità di rinnovare la memoria del-le proprie radici. Queste caratteristiche mancherebbero nelle strut-ture che nella contemporaneità sono adibite al trasporto, al transi-to, al commercio, al tempo libero. Aeroporti, tangenziali, grandispazi aggregativi, stazioni, centri commerciali sarebbero contras-segnati dalla puntiformità, dall’anomia, dall’a-relazionalità.Insomma, testimoni della pervasività del presente che distrugge lastoria e blocca il futuro, i nonluoghi hanno però finito per subireuna deriva semantica, una trasposizione di significato che li ha por-tati, nell’uso comune, ad indicare semplicemente i luoghi giudicatibrutti o privi di significative relazioni. Un uso direi quasi ideologico

del termine e del concetto, che lo cristallizza nell’espressione di ungiudizio negativo sui luoghi e lo costringe a perdere invece quellacapacità di indicare le trasformazioni in atto sui luoghi stessi.

UN NUOVO SGUARDO AI NONLUOGHI

Bisogna dunque provare a ri-osservarli questi nonluoghi, liberan-doci dalla negatività del giudizio che li circonda. Eccomi in gita alcentro commerciale. Si, in gita, come se fosse un monumento davedere o un posto da visitare, pronto a farmi sorprendere da quelche vedrò. Trovarlo, non è difficile. La geografia non è importante,diciamo che siamo a metà strada tra Torino e Milano. Vederlo, l’hovisto crescere. Anzi sarebbe meglio dire «spuntare»: un ipermerca-to nuovo fiammante, un pezzo al giorno, mentre percorrevo lastrada vicina. Abbandonata l’autostrada, ci arrivo da una stradache è un’esibizione di capannoni, una sfilata di cemento grigio avolte interrotto da tinte gialle o da mattoni rossi. Nomi ed insegnefantasiose inneggiano alla modernità della produzione e della di-stribuzione. Proprio tra due capannoni, una casa. La fattura è re-cente, i finimenti costosi, il giardino curato. Nel giardino, una vec-chia ruota di carro; lasciata con ricercata noncuranza. Arrivo in vista parcheggio. Organizzato. Troppo. È un’iperbole diortogonalità, un accampamento romano per sole auto. Fuori dal-l’auto, il primo sguardo svela... un castello! Un castello della Legoperò, quello dei mattoncini ad incastro per i bambini, gonfiato, in-gigantito. Mi viene da cercare il ponte levatoio, quello con la cor-dicina così difficile fa far funzionare. Invece del ponte si sporgonograndi vetrate triangolari dal corpo centrale. La scritta «Domenicasiamo aperti» è rassicurante. Attorno, gli sguardi sono attenti adessere assenti. Veloci passi verso l’ingresso. Entrare uscire caricarepartire. Con un certo ordine e una certa grazia, devo dire. Nessunavariante. Solo un «fai attenzione ad attraversare» rivolto ad unbambino che si arrischia a fare il bambino. Una donna esce con ilcarrello troppo pieno. I figli, uno per lato, assicurano il carico. Gliordini della mamma sono secchi e decisi. Il carico raggiunge inco-lume il capace portabagagli dell’auto da traversata del deserto, nelquale scompare con evidente soddisfazione del nucleo familiare.Cammino lungo il muro. La musica, genere post buddhista con ef-fetti rilassanti/lassativi, è diffusa già a partire dall’esterno. Le porteautomatiche sanciscono la modernità del luogo. Sono dentro.«Dentro» è proprio la parola giusta. È un risucchio, non un’entrata.La luce, il rumore, i colori, la temperatura… tutto cambia veloce-mente, una volta dentro. Alte vetrate con battenti in legno illumi-nano un corridoio sul quale si affacciano vari piani di attività com-merciali. Piastrelle colorate segnalano il passeggio possibile. Oltreil passeggio casse e cancelletti delimitano lo spazio destinato a filedi scaffali, disposte all’orizzonte come macchine di industriale me-moria. Oltre casse e cancelletti, sul pavimento questa volta biancosi riflette un vociare sordo, attutito, lontano. Presso una sorta diedicola interna un signore legge un giornale, poi lo rideposita. Unaragazza passa veloce con carrello in resta, vuoto. Lo lascia tra duecorridoi, compie un’esplorazione mirata, obiettivi minimi subitoraggiunti e già depositati nel carrello. Vi cadono uova , focaccia epezzi di formaggio protetti come reliquie da metri di plastica tra-

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LO SPAZIO SIMBOLICO E SACRO. IL MANDALA COME COSMOGRAMMA E PERMACULTURA

Uso il mandala perché rappresenta una «geometria universa-le» che regola i ritmi della creazione e può essere come unabussola, uno strumento per esplorarsi ed esplorare. Per defi-nirne meglio il concetto, prendo in prestito le parole del-l’orientalista Giuseppe Tucci, grande esperto in materia: «Ilmandala è di fatto un cosmogramma, è l’universo intero nelsuo schema essenziale, nel suo processo di emanazione eriassorbimento». Si potrebbero aggiungere le parole dellopsicanalista Carl Gustav Jung: «Il mandala è uno “psicoco-smogramma” che serve per ritrovare l’unità della coscienza

e fornisce lo schema, per procedere senza perdersi, della di-sintegrazione dall’uno al molto e della reintegrazione dalmolto all’uno». Tramite le figure mandaliche (cerchio, qua-drato, triangolo equilatero, sfera, ovale, croci…), grafiche, ar-chitettoniche, urbanistiche, artistiche, rituali, culturali e di vi-ta, l’uomo, da sempre, ha creato luoghi, immagini o riti sim-bolicamente sacri che avvicinano il macrocosmo (piano uni-versale, divinità, il principio divino centro di tutti i mondi) almicrocosmo (piano materiale, uomo, il principio divino cherisiede nell’uomo). Il simbolismo del mandala, nel suo signi-ficato di macrocosmo e di microcosmo (universo-uomo), è ri-scontrabile nelle tradizioni spaziali sacro-costruttive di ognireligione e cultura, dei templi e delle chiese, nelle piante del-le città e dei villaggi, nelle vetrate delle cattedrali gotiche co-me nei labirinti unicursali, ma anche nelle «architetture dellapsiche», come dice Jung. Ampliando lo sguardo possiamoscorgere geometrie mandaliche in certe danze popolari o

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agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 21

Davide BazziniSociologo dell’ambiente e del territorio,

Davide Bazzini è dottore di ricerca pressol’Università di Torino. Si occupa di processi di

sviluppo locale sostenibile e di riqualificazioneurbana. Mediattivista, è collaboratore della

Free Software Foundation ed èamministratore di ToPIX, (Torino Piemonte

Internet Exchange, consorzio per la diffusionedella connettività a banda larga). Tra le sue

ultime pubblicazioni: Il senso delle periferie -Un approccio relazionale alla rigenerazione

urbana, Eleuthera, Milano 2008.

sparente. Un bambino invece gira intorno, quasi ipnotizzato.Lunghe iperboli, evidenti «8» segnati sul pavimento trascinandoun carrello da spesa formato mignon con bandiera colorata perevitare di sottrarsi allo sguardo vigile dei genitori.

«L’ERA DEI CONSUMI È L’ERA DELL’ALIENAZIONE RADICALE»

Dalle scale mobili la vista sulle merci si fa imponente. Viene inmente Baudrillard2: «Essendo il compimento storico dell’interoprocesso di produttività accelerata sotto il segno del capitale,l’era dei consumi è altresì l’era dell’alienazione radicale. La logicadella merce si è generalizzata, governando oggi non solo i pro-cessi lavorativi e i prodotti materiali, ma anche l’intera cultura, lasessualità, le relazioni umane, e persino le ossessioni e le pulsioniindividuali. Tutto è preso da questa logica, non soltanto nel sen-so che tutte le funzioni e tutti i bisogni sono oggettivizzati e ma-nipolati in termini di profitto, ma nel senso più profondo chetutto è spettacolarizzato, cioè evocato, provocato, orchestratoin immagini, segni, modelli consumabili». Su e giù per le scale miperdo tra montagne di merci posizionate con cura. Vedo perso-ne che si aggirano, divise in gruppi dell’acquisto. Ma come maivengono fin qui da metropoli e da borghi, da campagne e città?Se venissero qui per vedere altre persone? E per farsi vedere? No-nostante tutto, nonostante le spinte continue del pensiero unicoall’individualismo, tutti questi fenomeni rimandano ad un mo-dello non moderno, arcaico, di socializzazione: il relazionale pre-vale sul razionale, l’affettivo sul cognitivo, il gruppo sull’indivi-duo, l’immaginario sul calcolo3. Domande e risposte provvisorie.

MOTO E CARRELLI

Fuori. Ragazzi con motorini colorati stazionano ridacchianti at-torno alla mia auto, buttati sulle selle. Mi azzardo: «Scusate -chiedo -, perché venite qui?». Superato l’imbarazzo di avere da-vanti un altro prof, la voce arriva nitida: «…perché c’è il rettili-neo. Si possono provare le moto. La mia “spiombata” arriva a95». Di lato, ammanettati l’uno all’altro, i carrelli riposano sottopensiline trasparenti, guerrieri stanchi della loro quotidiana bat-taglia. Il vuoto tra due capannoni lascia vedere la strada, con ilsole e il cielo dipinti sui muretti di separazione tra le corsie.Quand’ero ragazzo io, rugosa striscia di provvisorio asfalto inmezzo alla campagna , era quella che usavamo per correre coni motorini. Una volta mi ci sono fermato e sdraiato, che le autoquasi non ci passavano…

1 M. Augé, Non luoghi. Introduzione ad un’antropologia della surmodernità,Elèuthera Editrice, Milano 1993.2 J. Baudrillard, La società dei consumi, Il Mulino, Bologna 1976.3 Sin dal suo primo saggio del 1976, dedicato a La logica del dominio, Michel Maf-fesoli si è prefisso di descrivere la persistenza di questo stare insieme, le sue formeeterne, i suoi legami discreti e le sue molteplici espressioni.

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nel radunarci a parlare intorno ad un fuoco o in un girotondodi bambini: questo significa che l’uomo ha bisogno del man-dala per esprimere concetti molto profondi quali spazio sa-cro, centratura, cooperazione, unione, compresenza, circola-rità di idee ed energie, mettere a fuoco… Tutte queste parolecomunque non si avvicinano abbastanza alla definizione delmandala, poiché credo che per conoscerlo bisogna ricono-scerlo, praticarlo, viverlo, rendendoci conto di quanti signifi-cati ci giungano contemporaneamente nel profondo sempli-cemente osservandolo. Possiamo quindi definire il mandala,inteso come «spazio sacro», come un archetipo che, guarda-to da vicino e in profondità, consente di esplorare spazi chefanno vedere/percepire realtà e assunzioni di coscienza chea parole, fonetizzate o trascritte, non si possono descrivere.

UN GIGANTESCO «MANDALALABIRINTO»

Giordano Bruno, nel Rinascimento, ideò una serie di manda-la che riteneva capaci di indurre cambiamenti positivi in chili utilizzava. Le sue figure rappresentano forme perfette, ap-partenenti a un piano ideale. Egli era convinto che, immagaz-zinando con la pratica le immagini nella memoria, l’immagi-nazione dell’individuo sarebbe stata modellata da queste for-me ideali. Sulla stessa linea di pensiero, nel 1999 AlessandroVezzosi ha ricostruito a Vinci, nel «Giardino di Leonardo»1, unmandalalabirinto di 60 metri di diametro con le piante di sali-ce, i «vinci», che rappresentano il nodo etico-emblematico disaperi e civiltà. Lo spazio mandalalabirinto è stato concepitocome percorso simbolico della ricerca e della conoscenza ecome una realizzazione permanente di arte-natura-scienza,destinata a crescere nel tempo e ad arricchirsi di ulteriori im-plicazioni concettuali, poetiche ed estetiche. Per l’identicomotivo nel 1994 ho ideato il percorso mandalavita® che por-ta il mandala e il labirinto unicursale in ambiti educativi, so-ciali, familiari, ricreativi e culturali come metafora dellospazio vitale e cammino della vita2.Nessun simbolo ha una storia tanto condivisa come il manda-la e, seppure con esiti ed usi differenti, in ciascuna cultura ilsuo scopo è quello di ristabilire unione e benessere psico-fi-sico-spirituale tra l’essere umano e il cosmo in cui egli è inse-rito. Non sorprende perciò che il mandala, come campo cir-colare di forze, entri a far parte, in tutto il mondo, dei riti fina-lizzati a contenere o evocare esperienze del sacro ma anchea rappresentare visivamente l’armonia in sé e nel mondo.

LA PERMACULTURA

Riassumendo si può dire che la visione mandalica della co-struzione dello spazio vitale interno/esterno, privato/pubbli-co, simbolico/sacro non è solo una serie di teorie, metodi eschemi grafici ma è un’integrazione pacifica che abbracciatutti i campi della conoscenza umana,uno spazio linguistico-

relazionale, comunicante e codificante, un modo di pensareche si riflette nell’agire, non violento per eccellenza, chiama-to anche permacultura. Questo pensiero si può applicare intutti i campi della vita: alla famiglia e alla società, alle struttu-re sociali e psicologiche, alle strategie economiche e all’agri-coltura, basandosi sui seguenti principi:

avere cura delle persone prendersi cura della terra limitare il nostro consumo alle nostre necessità per condi-

videre in maniera equa e solidale lo spazio e le risorse del-la terra

sentire, pensare, inventare e progettare il proprio essereintegrati nel mondo

«disegnare» il proprio sistema/spazio di vita, la casa, il ter-ritorio che la circonda, in modo armonico e consapevole

non permettere che il proprio «essere nella vita» sia pensa-to e progettato da altri

sostituire la pace alla violenza, l’ascolto al dominio, la cu-riosità all’indolenza, la speranza alla fretta e alla rinuncia.

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

Nessun simbolo ha una storiatanto condivisa come il mandala

e, seppure con esiti ed usidifferenti, in ciascuna cultura ilsuo scopo è quello di ristabilire

unione e benessere psico-fisico-spirituale tra l’essere umano e ilcosmo in cui egli è inserito. Nonsorprende perciò che il mandala,

come campo circolare di forze,entri a far parte, in tutto il

mondo, dei riti finalizzati acontenere o evocare esperienze

del sacro ma anche arappresentare visivamente

l’armonia in sé e nel mondo.

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Il rapporto fra le religioni e lʼinterculturalità poneuna serie di questioni rilevanti e complesse apartire dalla prima e dalla più ovvia: né lʼintercul‑turalità, intesa come atteggiamento di vita e di

pensiero, né tantomeno la prospettiva intercultura‑le delle religioni, sono date come originariamentecostitutive dellʼesse‑re umano. Per affer‑marsi, per esserescelte fondative del‑la propria visione delmondo, devono es‑sere intenzional‑mente assunte, devecioè essere esplicita‑ta la loro dimensio‑ne culturale e quindieducativa: si può di‑ventare capaci di in‑tercultura, così come si può imparare a riconoscerenelle religioni la valenza interculturale. Per chiarire quali siano i termini del rapporto valeforse la pena di richiamare alcuni elementi essen‑ziali che definiscono cosa sʼintenda per educazioneinterculturale.

PER EDUCAZIONE INTERCULTURALE SʼINTENDE QUELLA CHE SI PONE LE SEGUENTI FINALITÀ:

Insegnare ai futuri cittadini, senza distinzioni in me‑rito alle loro origini e al loro status, come confrontarsicon le differenze culturali e la diversità a livello socia‑le e nella loro vita privata; fornire loro le abilità, le co‑noscenze e gli atteggiamenti necessari ad acquisirequesta competenza (comunicazione interculturale,risoluzione dei conflitti, modi di lavorare in una so‑cietà multiculturale, analisi dei propri valori culturali,delle proprie idee, decostruzione degli stereotipi; promuovere il rispetto e la comprensione reci‑proca, lʼapertura verso individui e gruppi prove‑nienti da un contesto diverso quanto a cultura, et‑nia, religione, lingua, stili di vita; combattere pregiudizi, discriminazione, xenofo‑bia, razzismo; favorire lʼacquisizione della mobilità cognitiva ne‑cessaria alla comprensione della pluralità; generare atteggiamenti empatici nei confrontidelle persone che si incontrano nelle relazioni au‑tentiche.

a cura di LUCREZIA PEDRALI

RELIGIONI E INTERCULTURA

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Lucrezia PedraliInsegnante, condirettrice e responsabiledella formazione di CEM Mondialità. Da

anni impegnata in progettiinterculturali e d’integrazione, con

particolare attenzione alle questioniculturali e identitarie connesse

all’acquisizione della seconda lingua.

[email protected]

LʼEDUCAZIONE INTERCULTURALE HA LE SEGUENTI CARATTERISTICHE:

Non è una disciplina dʼinsegnamento e non si ri‑duce a contenuti specifici; è una prospettiva inter‑disciplinare, un principio che riguarda tutto il per‑corso formativo, una forma della mente per legge‑re e comprendere il mondo; è una parte normale dellʼeducazione; si rivolgesenza eccezioni a tutti gli alunni, a tutti gli inse‑gnanti e a tutte le scuole, a tutte le altre agenzieeducative, a tutti i cittadini. La presenza di immigra‑ti non costituisce condizione necessaria per attiva‑re percorsi di educazione interculturale; è un processo dinamico di apprendimento carat‑terizzato da specificità metodologiche; va aldilà dellʼeducazione degli «stranieri» o delleminoranze etniche, cioè non è necessariamente le‑gata alla categoria della stranierità; ciò significa, adesempio che il miglioramento dei risultati scolasticidegli alunni stranieri non costituisce obiettivo pri‑mario dellʼeducazione interculturale; comprende una dimensione internazionale: nonsi limita alla società multiculturale del singolo, ma siconcentra sulla diversità culturale e sugli scambi alivello mondiale, sulle realtà degli altri, sul mondocome «villaggio glocale»; richiede una particolare attenzione e indaginecritica su alcune parole chiave quali: identità, cultu‑ra, differenza, mediazione, cittadinanza, etica, reli‑gione, laicità.

In questa prospettiva lʼeducazione interculturale ri‑chiede un ri‑orientamento complessivo della pro‑

pria visione del mondo, perché va intesa come unostile e una forma di pensiero intorno al mondo cheparte dal riconoscimento della propria apparte‑nenza culturale e giunge al riconoscimento dellapluralità delle culture; tale pluralità viene postulatacome legittima, degna di rispetto e di attenzione,in costante cambiamento, richiedendo uno sforzodedicato alla sua conoscenza.

IL RAPPORTO TRA INTERCULTURA E RELIGIONI

È su questo preliminare riorientamento che sʼinne‑sta la questione del rapporto tra intercultura e reli‑gioni: la valenza interculturale delle religioni va mi‑surata sullʼaderenza delle stesse ai criteri sopraesposti. Le religioni influenzano i comportamenti ele relazioni fra le persone, determinano aspettative;la natura fortemente affettiva della maggior partedellʼapprendimento della religione fa sì che essanon possa mai essere percepita come neutrale ri‑spetto alle grandi questioni della vita. Si aderisce adun complesso di verità ritenute definitive che, inquanto tali, si pongono come date per sempre eimmodificabili. La modalità con la quale si è realiz‑zata nella storia questa adesione, in condizioni spa‑zio‑temporali differenti, ha prodotto esiti tra loroopposti: una stessa religione ha espresso in molteoccasioni un volto fondamentalista e violento, cosìcome in altre circostanze è divenuta promotrice dipace e di giustizia. Proprio nella certezza del possesso delle Verità con‑siste lʼirriducibile impossibilità della interculturalitàdelle religioni: le Verità, per definizione, non si con‑frontano, non possono relazionarsi, o meglio, non sirelativizzano, non si possono contaminare e metic‑ciare, non ammettono trasformazioni, si sottraggo‑no alla storia. Ma il corpus delle Verità ultime nonesaurisce il dato religioso: la religione è anche cul‑tura, cioè libera attività produttrice della menteumana che costruisce i propri oggetti culturali at‑traverso la negoziazione e lo scambio fra individui esocietà e ha un carattere essenzialmente storico.Questo è lʼambito nel quale lʼincontro diventa pos‑sibile: non sulle verità di fede, ma sulla cultura, anzisulle culture. Certo, la preliminare indagine critica,allʼinterno del proprio sistema di cultura religiosa,

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va svolto proprio dalle varie comunità di credenti,che devono assumere la prospettiva intenzionaledi rilettura della propria storia, delle proprie produ‑zioni culturali, al fine di recuperare gli elementi ditrasversalità che caratterizzano lʼesperienza del sa‑cro nelle varie forme e che costituiscono la baseper il confronto prima e il dialogo poi.

ALCUNE FONDAMENTALI QUESTIONI

La possibilità di esprimere in prospettiva intercultu‑rale le religioni è direttamente connessa a questaindagine, che dovrebbe comportare la riflessionesu alcune fondamentali questioni:

le Verità sono assolute, ma loro interpretazione ecomprensione sono parziali e si collocano nella sto‑ria; queste interpretazioni si determinano in oggetticulturali che possono trasformarsi, entrare in dialo‑go ed essere appresi; la visione antropologica che le religioni esprimo‑no, e lʼetica che ne consegue, costituiscono gli am‑biti che rendono possibile la dimensione intercul‑turale; lʼetica e la visione antropologica delle singole reli‑gioni hanno bisogno di una cornice ampia, condi‑visa e accolta, che definisca alcuni principi comunia partire da quello fondamentale della pari dignitàe del diritto alla vita di ogni essere umano1; la laicità, intesa come separazione fra legge civilee legge religiosa, diventa il fondamento della liber‑tà di espressione religiosa; la stessa laicità trae la sua legittimazione dal rico‑noscimento, fra lʼaltro, del pluralismo religioso2.

Se il pluralismo religioso è un fatto naturale (sonosempre esistite religioni differenti) ciò che è cam‑biato nel nostro tempo è la coscienza di questa di‑versità e soprattutto lʼesperienza diretta che ciascu‑no di noi ne fa. Il confronto reale, concreto e tangibile per molti,potenziale per altri, con un altro universo simboli‑co, richiede il possesso di strumenti sia sul pianocognitivo che su quello esistenziale perché lʼintera‑zione non si trasformi in rifiuto e intolleranza. E quisi colloca la funzione dellʼeducazione: lʼassunzioneconsapevole della prospettiva interculturale deveessere coniugata ai percorsi di conoscenza e dicomprensione del pluralismo religioso attraversoforme di apprendimento diffuse, coerenti, trasver‑

sali, istituzionalmente definite, al di fuori della pro‑spettiva confessionale. La messa tra parentesi della confessionalità non si‑gnifica affatto negare o svalorizzare il diritto diadesione individuale a un credo religioso, significaal contrario sottolineare lʼimportanza di una gene‑rale alfabetizzazione circa le dimensioni religioseche impegna tutti sul piano culturale, e solo cia‑scuno, per scelta libera generata allʼinterno dellapropria famiglia o comunità, sul piano confessio‑nale. Già in questa separazione fra scelta persona‑le e bisogni collettivi si legge la differente naturadelle ragioni che spingono molti a credere e a tro‑vare le ragioni di senso nella religione e di chi in‑vece, pur non credendo, è comunque impegnatoa comprendere il significato che tali ragioni rive‑stono per unʼinfinità di esseri umani: il senso valesolo per alcuni, il significato deve essere compre‑so da tutti.

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LA PROSPETTIVA ESPRESSA DA RAIMON PANIKKAR

Il primo e più trasversale degli aspetti interculturali(o meglio transculturali) delle religioni è dato pro‑prio dalla loro funzione originaria di risposta radica‑le al bisogno di senso degli esseri umani. Questamatrice originaria ha generato una molteplicità dicredi, ma mantiene intatta la sua forza unitaria; lapluralità non indebolisce le singole religioni, ma, alcontrario, enfatizza il ruolo di scelta e di libera ade‑sione che rende più significativa e impegnativalʼappartenenza. La prospettiva interculturale non sipropone di gerarchizzare le religioni per dati quan‑titativi o di osservare il fenomeno secondo le cate‑gorie sociologiche: ciò che importa è lavorare allacomprensione dellʼuniverso di significati che esserappresentano attraverso le loro forme visibili, ecioè i prodotti culturali al fine di produrre compor‑tamenti eticamente accettabili. Vale la pena sottolineare che questa prospettiva,lungi dallʼessere neutrale o imparziale, richiede unascelta che vada nella direzione espressa da RaimonPanikkar: «La mia tesi si potrebbe così riassumere:non cʼè unʼetica globale. E il suo corollario è chenon ci può essere, perché se ci fosse ridurrebbe gliuomini ad unʼuniformità totale, e lʼetica ad unʼeticadi deduzione dei principi. Lʼetica, invece, è qualcosa

di vissuto e non soltanto frutto di una deduzione diprincipi. Non si può attuare eticamente costruendosillogismi e traendone conseguenze. Lʼetica è unaspinta personale, che viene più dal cuore che dallamente. Non è soltanto una deduzione ragionevoledi principi sublimi. Trovare una struttura formale ocomune per fondare unʼetica è impossibile. Tuttisiamo dʼaccordo che si deve fare il bene: il proble‑ma comincia quando si vuol delimitare cosa è il be‑ne e cosa è il male.Unʼetica unica, in un mondo multiculturale e mul‑tietnico, implicherebbe che lʼetica in quanto tale èsovra‑culturale, e sovra‑religiosa, mentre il fonda‑mento che ogni cultura ed ogni religione pongonoalle rispettive etiche è diverso. Per alcune culture ledifferenze tra quelli che noi chiamiamo uomini e glialtri animali non sono così essenziali. Ragione percui unʼetica mondiale dovrebbe essere al di sopra diqualsiasi altro fondamento etico che hanno le diver‑se culture e le diverse religioni. Ma ciò coincide conil colonialismo che è, appunto, la credenza secondocui è possibile avere, con parametri sufficientemen‑te depurati e cesellati, una percezione e una solu‑zione a tutti i problemi dellʼumanità. Dopo le lusin‑ghe coloniali occorre passare al disarmo di una sif‑fatta cultura che si autoproclama universale e chepretende anche di fondare unʼetica universale.Lʼunica forma di etica che abbia qualche forza, oggi,devʼessere unʼetica interculturale. Lʼimperativo èpragmatico, perché non è fondato su un “a priori”,ma semplicemente sul fatto che se non ci fosseunʼetica alternativa per il mondo attuale si andreb‑be alla mutua distruzione dellʼumanità, allo stermi‑nio tra gli uomini e ai disastri ecologici.Non ci facciamo illusioni: il mondo, anche politica‑mente parlando, non tollererà più per molto tempoqueste ingiustizie istituzionalizzate: e se uno dovràfar ricorso allʼincendio dei pozzi di petrolio o al ricat‑to atomico, lo farà. Quindi lʼimperativo è pragmati‑co, perché lʼalternativa è la distruzione. Non è lʼim‑perativo a priori: “perché così deve essere”. Lʼeticanon può essere globale: ma deve essere oggi unʼeti‑ca accettata nel mondo attuale e si costituisce sol‑tanto ‑ o si scopre ‑ nel dialogo interculturale»3. 1 P. De Stefani (a cura di), Codice internazionale dei diritti umani, Cleup,Padova 2009.2 Nadia Urbinati, Le religioni nella sfera pubblica in società con un debolepluralismo religioso, in «Italianieuropei», 3/2010.3 R. Panikkar, Dallʼetica mondiale allʼetica condivisa, in «Adista», 26 febbraio1994.

LʼORA DELLE RELIGIONI 2010‑2011Perché educare alle religioni

1. Giugno‑Luglio 2010Insegnare le religioni fa bene alla società. I principi guida di Toledo

2. Agosto‑Settembre 2010Religioni e interculturalità

3. Ottobre 2010La scuola affronta la sfida della diversità religiosa

4. Novembre 2010Lʼeducazione interreligiosa in Italia. Oltre il «muro di vetro»

5. Dicembre 2010Religioni a scuola. Educare alle identità plurali

6. Gennaio 2011Religioni a scuola. Lʼapporto del web

7. Febbraio 2011Per un insegnamento della religioni in unʼottica pluralista

8. Marzo 2011Il contributo ecumenico allʼinsegnamento delle religioni

9. Aprile 2011Questione di metodi. La didattica cooperativa per lʼinsegnamentodelle religioni

10. Maggio 2011Verso una pedagogia interreligiosa. Il principio di ospitalità

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LO SPAZIO ORIGINARIOIL CORPO COME FONTE DELLE DIREZIONI E DI ORIENTAMENTO

L’essere umano nasce in uno spazio vitale intorno al qualeruotano, come in una danza, lo spazio fisico, quello percepi-to, quello abitato e interorganizzato, lo spazio sociale e gerar-chico, e, ancora, quello psicologico, linguistico comunicantee codificante, come pure quello simbolico e sacro. A confer-

ma di ciò possiamo pensareall’Uomo Vitruviano di Leo-nardo, che ci mostra il corpocome fonte delle otto direzionima anche del centro, rappre-sentato da se stessi, comeuna direzione in più per orien-tarci. Credo profondamenteche i «luoghi» reali e simbolicidove nasciamo e viviamo ciregolano, armonizzano o vice-versa ci destrutturano e disar-monizzano. Lo spazio, cosìcome il tempo, viene percepi-to dagli esseri umani graziealla posizione del proprio cor-po rispetto ad altri corpi equindi il primo spazio che tut-ta l’umanità incontra è il pro-prio corpo nel corpo della ma-dre. Qui, nel corpo gravidodella madre, nei misteri e mi-racoli della nascita, nel primospazio che conosciamo, fac-ciamo esperienza di armoniao disarmonia: esperienza so-nora che filtra dal mondo inter-

no ed esterno della madre e che raggiunge il feto che cre-sce. Il battito ritmico del cuore in relazione con quello dellamadre, il suo respiro, le sue emozioni, la sua voce e quelladel padre filtrano ed echeggiano nella primordiale «caverna»e arrivano fino al feto che cresce secondo precise sequenzespazio temporali di geometria sacra e di suono. Non a casol’orecchio interno, con la sua chiocciola labirinto, è completodopo quattro mesi e mezzo di vita uterina ed è paragonabilead un orecchio adulto nel pieno delle sue funzioni di organoacustico, recettore di vibrazioni sonore, e di organo statico,che regola in senso dell’equilibrio. Udiamo il battito del cuore materno come un canto fermoche ci allinea e genera la vita. Nell’utero quindi viene a crear-si uno spazio sonoro che accudisce il corpo che cresce e isensi si sviluppano ruotando intorno alla matrice dell’orec-chio che, come afferma il dottor Branford Weeks, «precede ilsistema nervoso». Alla nascita la nostra percezione dello spa-zio si espande attraverso l’intera superficie corporea nel pas-saggio del parto. La pelle, che è l’organo più esteso del cor-

po, è come un’estensione dell’orecchio che ci permette di«sentire» e strutturare una mappa del nostro corpo sonoro. Isuoni del parto s’imprimono nella nostra memoria prima an-cora di venire al mondo, prima di respirare, e ci permette-ranno di orientarci una volta nati. Voci udite dall’interno delcorpo della madre e attraverso il liquido amniotico e poi udi-te nell’aria al di fuori del corpo della madre, ci rendono piùfacile l’adattamento nel mondo: la madre definisce così il no-stro senso dello spazio. Tutta la vita si espande e «respira»per spirali e cerchi concentrici: nasce in una cellula femmini-

le rotonda fecondata dal seme maschile, si sviluppa all’inter-no dell’utero, cresce nell’abbraccio della madre e del padre,si sviluppa in una comunità… in un continuo passaggio di vi-ta-morte-rinascita che procedendo chiede l’apertura delprecedente spazio circolare per potersi espandere. La condizione umana è caratterizzata da un’immersione fisi-ca nello spazio-tempo del mondo, dove la materia dell’uomoe quella del mondo si confondono costantemente, istante peristante, e l’individuo prende coscienza di sé attraverso le ri-sonanze sensoriali e percettive che lo attraversano e gli do-nano riferimenti necessari alla sua esistenza. La percezione,però, non è coincidenza con le cose ma interpretazione: tuttigli uomini si muovono in uno spazio sensoriale legato alla lo-ro storia personale, partendo dall’educazione. Come affermal’antropologo David Le Breton, nella percezione non c’è alcu-na verità ma solo la consapevolezza che l’oggetto percepitodiventa un «immenso test proiettivo» che permette di raccon-tare la storia personale, le risorse culturali di una persona e lasua affettività del momento: il mare di chi passeggia non è ilmare di chi naviga o pesca e nemmeno di chi si bagna al tra-monto o del bambino che gioca sulla spiaggia […]. Non vi èpossibilità di restare neutri ed obiettivi di fronte alle cose chesi muovono nello «spazio del mondo», in quanto ogni perso-na viene comunque permanentemente cambiata e trasfor-

gli spazi 2

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Lo spazio, così come iltempo, viene percepito dagli

esseri umani grazie allaposizione del proprio corpo

rispetto ad altri corpi e quindiil primo spazio che tutta

l’umanità incontra è il propriocorpo nel corpo della madre.

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mata dall’influsso sensoriale che l’attraversa. Per Le Breton«il mondo è l’emanazione di un corpo che a sua volta lo tra-duce in termini di percezione e di significato, l’uno non po-tendo esistere senza l’altro. Il corpo è un filtro semantico. Lenostre percezioni sensoriali, mescolate inestricabilmentecon i significati, disegnano i limiti fluttuanti dell’ambito in cuiviviamo».

SPAZIO PSICOLOGICO

Jung fu il primo ad affermare che lo spazio psicologico del Sépuò essere raffigurato con il mandala, dove il cerchio esternosimboleggia i confini dell’Io e le parti interne la totalità dellapersonalità. Egli scrive: «[…] è l’idea d’un centro della per-sonalità, di una sorta di punto centrale all’interno dell’anima,al quale tutto sia correlato, dal quale tutto sia ordinato e ilquale sia al tempo stesso fonte di energia. L’energia del pun-to centrale si manifesta in una coazione pressoché irresistibi-le, in un impulso a divenire ciò che si è: così come ogni orga-nismo è costretto, quali che siano le circostanze, ad assume-re la forma caratteristica della propria natura. Questo centronon è sentito né pensato come Io ma, se così si può dire, co-me Sé». Altro concetto di spazio psicologico è quello del setting dellarelazione d’aiuto e della psicoterapia, così come lo definisceUmberto Galimberti, che «delimita un’area spazio-temporalestrutturata da regole che determinano ruoli e funzioni tali dapoter accogliere il significato affettivo dei vissuti del pazientein una situazione appositamente costruita per questa rileva-zione». Per Galimberti il setting è come uno «spazio fisico ementale» limitato nello spazio e nel tempo interagenti fra loro

dove si delinea «un luogo sacro» entro il quale si svolge la ri-tualità di una «relazione che cura». La dimensione simbolicaed archetipica del setting permette, come nella scena teatra-le, di esplorare, sperimentare e vivere determinate esperien-ze relazionali, emozionali, comportamentali, immaginative, edi poterle riportare alla «vita reale», conservando tutto il signi-ficato dell’esperienza realizzata nello spazio simbolico.

SPAZIO SOCIALE

Secondo la sociologia, lo spazio sociale è più importante diquello fisico in quanto al suo interno hanno luogo tutte le in-terazioni ed i processi di cui essa si occupa. Luciano Gallinolo definisce «l’universo delle relazioni fornite di senso tra in-dividui, gruppi, categorie, strati e classi sociali ed elementiculturali» e questo ci fa pensare lo spazio sociale come un«campo di forze» dovecoesistono ed operanopressioni psicologicheinterne e pressioni socialiesterne. Queste forze siorganizzano secondo di-namiche e leggi omolo-ghe a quelle dello spazioempirico reale e possonoessere tradotte in disegnie diagrammi esplicativi.Lo spazio sociale, quindi,è un universo relazionaleche si sovrappone all’am-biente geografico nelquale ci muoviamo abi-tualmente e dal quale,più o meno consciamen-te, traiamo le coordinatee le direttrici d’azione cheorientano i nostri compor-tamenti. L’uso umano eantropico dello spazio èsia strumentale, siaespressivo, funzionale esimbolico, cognitivo edemotivo, e per questo l’in-dividuo, interiorizzando l’ordine sociale che il suo gruppo diappartenenza ha costruito nel tempo, interiorizza sia l’ordinesociale sia la struttura cognitiva ed etica che ordinerà la suavita psichica e corporea. Ciascuno di noi occupa, nella vitaquotidiana, una posizione nello spazio che è definita dallasocietà di cui fa parte e questa è determinata da una serie diparametri che traggono la loro ragion d’essere dalla culturae dal sistema di valori vigenti. Le singole posizioni sono indi-viduabili attraverso coordinate di carattere culturale e valoria-le, come anche le distanze che le separano. Queste posizioniesistenziali/spaziali partecipano alla sofisticata costruzione

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

Rita RobertoLaureata in pedagogia, già docente

di materie umanistiche, Rita Robertoha svolto corsi presso varie

organizzazioni, istituzioni e centriprivati in campo nazionale. Studiosa

di storia delle donne, conduce gruppiMandala e labirinto per sole donnesulla riscoperta della femminilità e

della sorellanza e gruppi mistid’incontro maschile-femminile.

Collabora con associazioni nel campodella promozione della cultura della

pace, tra cui CEM e l’associazioneByakko per la diffusione del mandala

di pace. È presidentedell’Associazione consulenti della

coppia e della famiglia www.mandalavita.org

[email protected]

La condizione umana ècaratterizzata da un’immersione

fisica nello spazio-tempo delmondo, dove la materia

dell’uomo e quella del mondo siconfondono costantemente,

istante per istante, e l’individuoprende coscienza di sé

attraverso le risonanze sensorialie percettive che lo attraversano e

gli donano riferimenti necessarialla sua esistenza.

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gli spazi 2

Il sognodel progettoAuroville

Auroville è una città internazionalein costruzione nel sud dell’India,nello Stato del Tamil Nadu,destinata ad ospitare unapopolazione di 50 mila abitanti ditutti i paesi del mondo. Il progettodi una città ideale fu elaborato daMère (La Madre) fin dal 1930,insieme a Sri Aurobindo, conl’intenzione di realizzare l’unitàumana nella diversità. Nel 1966l’Unesco e il governo indianoapprovarono il progetto,ritenendolo determinante per ilfuturo dell’umanità. Oggi Aurovilleè riconosciuta come il primo edunico esperimento internazionalefunzionante di città ideale, protesoverso l’unità umana e latrasformazione della coscienza,interessato anche alla ricerca di unaforma di vita sostenibile e allefuture necessità culturali,ambientali, sociali e spiritualidell’umanità.

Al centro della città si trova l’Areadella pace, con il Matrimandir, cherappresenta la Madre universale, edi suoi giardini, l’Anfiteatro conl’Urna dell’Unità Umana contenenteil terreno proveniente da 121nazioni e 23 Stati dell’India. Lazona industriale ospiterà aziende«verdi»,di piccole e mediedimensioni, centri diaddestramento, laboratori di arti emestieri, nonché l’amministrazionecittadina, che le consentirà di essereuna città autonoma. La zonaresidenziale offre un habitatintegrato tra abitazioni individuali ecollettive. La zona internazionalecon padiglioni nazionali e culturali,raggruppati per continenti, vuoledimostrare concretamente l’unitàumana nella diversità attraversol’espressione della genialità e delcontributo di ogni nazioneall’umanità. La zona culturale saràdedicata alla ricerca applicataall’educazione e all’espressioneartistica. In questa zona sisitueranno le strutture per attivitàculturali, educative, artistiche esportive. La città sarà circondata dauna «cintura verde» che sarà fontedi cibo, legname, medicine ecc.,oltre che da una zona ricreativa,esempio di trasformazione di unterritorio desertico in un vibranteeco-sistema. (www.auroville.org)

Oggi Auroville èriconosciuta come il primo

ed unico esperimentointernazionale funzionante

di città ideale, proteso versol’unità umana

e la trasformazione dellacoscienza, interessato anche

alla ricerca di una forma divita sostenibile e alle future

necessità culturali,ambientali, sociali

e spirituali dell’umanità

Area della pace, zone della città e cintura verde

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del senso comune, della naturalità che ha fini securizzanti inogni società. Il nostro senso dell’orientamento nella vita non è solo legatoa status sociali e a posizioni esistenziali, ma anche alla pre-senza di spazi pubblici, centri di riferimento per la collettività,che ci danno sicurezza. Questi luoghi generalmente sono ilsimbolo delle libertà civili: libertà di manifestazione, di paro-la, d’espressione, di raccolta, di appartenenza. Luoghi sim-

bolici regolati da leggi, che costituiscono il terreno delle li-bertà democratiche e che consentono di regolare i conflittisociali e politici ed il confronto con i poteri costituiti. Va notatoperò che nell’era contemporanea, per la perdita di spazipubblici significanti, si stanno progressivamente affermandoi non-luoghi come spazi pubblici-relazionali. I supermercati,i centri commerciali stanno diventando punti di riferimentoper trascorrere il tempo libero, dove la possibilità relazionale

è inserita nel contesto di una stimolazione ossessivadel possesso. Questo crea un distorto senso

di aggregazione valoriale e inoltre creaesclusione per chi può acquistare pocoo nulla. Allora, per un migrante o per unindigente, gli spazi relazionali sono di-ventati le stazioni, i luoghi di passaggio,quasi di confine, ai margini dello spazio

sociale. La globalizzazione ha portatocon sé i fenomeni migratori che con-

tribuiscono a configurare gli spa-zi urbani come un intenso mix dirazze e culture non ben colloca-te, per le quali occorre ridefinire

i diritti/doveri di cittadinanza, fa-vorire i processi di integrazione, redi-

gere nuovi e inediti statuti dello spazio siapubblico sia privato, ma anche disegni

/progetti per lo spazio di vita, spazio abita-to, che sia inclusivo delle differenze.Quello che serve sono interventi imme-diati volti a costruire un senso di realiz-zazione, di appartenenza e valori con-divisi e questo intento deve necessa-riamente partire da ognuno di noi:adesso!

1 Cfr. www.museoleonardo.com e www.galassicarlo.com/labirinto.htm

2 Cfr. www.mandalavita.org

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Adesso! Per una cittadinanza glocale, dalle paure al coraggio civile

Bibliografia

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gli spazi 2

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La storia. In un anno imprecisato sul finire dell’800, una co-munità vive completamente isolata dal mondo; a impedireogni contatto sono creature mostruose e innominabili cheabitano il bosco che circonda il villaggio. Attraverso riti e si-stemi difensivi gli abitanti del villaggio, guidati dagli anziani,tengono lontani i mostri fino a quando l’intenzione di un gio-vane, Lucius, di attraversare il bosco per recarsi in città acomperare medicine essenziali in caso di nuove malattie,scatena un attacco dei mostri alle case. Sarà Ivy, una ragazzacieca, spinta dal peri-colo di morte per Lu-cius, il suo amore, adottenere il permessodegli anziani di attra-versare il confine perrecarsi in città…Il regista sul film.«Vivo in una fattoria inmezzo agli alberi po-co lontana da Phila-delphia e sono felice.Le mie figlie si diver-tono molto ad inse-guire le rane dellostagno e io sono lìche le guardo e chenel frattempo scrivo imiei film. Mentre iovivo questa realtà, daqualche altra partedel mondo è in corso una guerra con gente che muore ognigiorno e autobombe che mietono centinaia di vittime. È duroda pensare. Per me è facile fare finta che il mondo sia soltan-

to un luogo meraviglioso, mentre sto a casa mia dove non ab-biamo una televisione collegata a nulla se non ad un lettore di

dvd. Vivo un meccanismodi autoprotezione in cui faifinta che il resto del mon-do non esista. È come vi-vere una splendida osses-sione. Leggere il consi-glio degli anziani comeuna metafora di Bush sa-rebbe sbagliato. In realtàqueste persone sono gen-te spaventata come noi eche è in fuga dalla socie-

tà. La bugia è un modo per proteggere gli altri dalle cosebrutte del mondo. Come le immagini dei bambini che abbia-mo ucciso in Iraq ogni giorno».Il film. Come anime raccolte da un comune strazio dell’ani-ma, quasi regrediti in un passato, come novelli padri pelle-grini attraversano il bosco e danno vita ad una comunità.Ognuno di loro è stato ferito da una violenza cieca e brutale,

cinema

Regia: M. Night Shyamalan

Interpreti: Joaquin Phoenix (Lucius Hunt), Bryce Dallas Howard (Ivy Walker), William Hurt (Edward Walker), Sigourney Weaver (Alice Hunt), Adrien Brody (Noah Percy).

USA 2004. 107 min. Buena Vista International Italia

THE VILLAGEdi Lino [email protected]

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Adesso! Per una cittadinanza glocale dalle paure al coraggio civile

sguardo da giudizio definitivamente emesso; immagini cheseguono i titoli di testa che scorrono su secchi rami che tra-mano di nero il cielo.Non sembra esserci vita in quel bosco perennemente autun-nale, non uccelli, non fronde, non frutti se non le rosse bac-che, tracce spaventose della paura. Durante il banchetto chechiude la sepoltura, alla fine della preghiera a ringraziare deltempo che è stato concesso, un ringhio satanico arriva dal

tutti sono convinti che non vi sia altra possibilità che andarse-ne a ricreare uno stato d’innocenza, lontano da tutto e da tutti.Con un giuramento, gli anziani fondatori hanno rescisso ognilegame con ciò che è stato. Per giuramento il bosco è terra dinessuno, limitato da alte fiaccole accese nelle notti, difeso dagialle bandiere e sorvegliato dall’alto di torrette di guardia dagiovani sentinelle protette da gialli mantelli. Per giuramento ilbosco è abitato da innominabili creature, incappucciate in

bosco e il folle buono del villaggio si risveglia dal silenzio eplaude, subito zittito.Poi nei giorni seguenti, segni evidenti della presenza dellecreature innominabili; la richiesta di Lucius di attraversare ilbosco per andare in città a procurarsi le medicine, perché al-tri bimbi non muoiano; matrimoni celebrati, altri rifiutati, altripromessi, scatenando folli gelosie.E in mezzo a tutti una giovane cieca, quasi veggente che sen-te il colore delle persone e vede l’aura del suo amore. Saràlei ad andare oltre il bosco, verso la città, ma nulla vedrà diquello che c’è aldilà del confine e tornerà senza nulla poterdire di nuovo. Sarà ancora possibile mantenere il segreto?Sottolinea Ezio Alberione come «The Village mette in luce al-cune linee di tendenza che sempre più prendono piede nellacontemporaneità: il rigurgito veterotestamentario, il rifiuto delmoderno, la nostalgia isolazionista e il miraggio della comu-nità pura, chiusa e impenetrabile, la paura artatamente indot-ta come forma di controllo». Molti hanno visto nel film unameditazione sull’America assediata di oggi. Un altro fruttodell’attacco alle Torri gemelle. Una metafora. È come se senza confini non potessimo vivere. È come sesenza un altro negativo non potessimo definirci. È come sesenza la paura non potessimo avere coraggio. Crediamo dipoterci isolare dal male del mondo, di poter attraversare ilmare lasciando indietro il cuore. Non abbiamo fantasmi senon creature da noi stessi partorite.

rossi mantelli, come rosse sono le bacche del bosco, comerosse sono le tracce che lasciano sulle porte delle case, co-me rosse di sangue sono le carcasse dei piccoli animaliscarnificati, lasciate vicini ai campi perché tutti avvertano laloro presenza e ne temano l’arrivo. Una campana sarà l’allar-me lanciato e subito gli unici rifugi saranno cantine sbarrateda botole. Gli anziani hanno giurato e la loro parola è decisiva, la lorolettura di ciò che accade è la verità, e la scuola è il tempo delradicamento della verità nel cuore dei fanciulli.Una religione dei padri, letteralmente creata dai padri, gover-na la comunità senza un dio, senza una chiesa, senza un Li-bro. Come Feuerbach affermava, gli dei o, se volete, le leggidivine, sono generati nel cuore dell’uomo: non è l’uomo fattoa immagine di Dio ma è Dio che è immaginato a immaginedell’uomo. Speculare ma perfetto, inconsciamente inventatoma purificato da ogni male, limite, difetto.Possiamo certo rinunciare al denaro e ai vantaggi della tecni-ca, possiamo tacitare le passioni, possiamo allontanare labestia che è in noi, possiamo fingere di aver ritrovato una pu-rezza originaria, ma nessun confine terrà lontane malattia,follia, violenza e morte. E la morte per malattia di un figlio in-crina il giuramento di un padre: la città oltre il bosco ha cer-tamente medicine che avrebbero allontanato la morte. Ilpianto straziato del padre sulla bara del figlio è la prima sce-na del film, con la cinepresa a perpendicolo quasi come

Il regista

M. Night Shyamalan è nato nel sud dell’Indianell’agosto del 1970. Figlio di due mediciindiani, che già prima della sua nascita si eranotrasferiti in Pennsylvania (Usa), è regista,produttore cinematografico e sceneggiatore(sua è la sceneggiatura di Stuart Little - Untopolino in gamba, del 1999). La sua passioneper il cinema inizia fin da piccolo, a 17 anni hagià realizzato 45 filmini in casa. Dopo gli studiin scuole cattoliche e ancor prima della laurea,realizza nel 1992 il primo lungometraggioPraying with Anger. Nel 1998 scrive e dirige Adocchi aperti. Il primo grande successo arrival’anno seguente con Il sesto senso, uno dei 40

maggiori successi commerciali di sempre; 6candidature all’Oscar, tra le quali quella allaregia. Nel 2000 esce Unbreakable - Ilpredestinato ma è con è Signs (2002) cheShyamalan centra un altro grande successo dipubblico. Dopo The village (2004), dirige Ladyin the Water nel 2006 e due anni dopo E venneil giorno (The Happening). Di prossima uscita asettembre L’ultimo dominatore dell’aria (The Last Airbender). Abile nel creare atmosfere suggestive, creatoredi storie dove la paura è elemento decisivo dicoesione narrativa e che si collocano al confinetra la realtà e la fantasia, Shyamalan ama i finaliad effetto che ribaltano l’intera lettura del film,obbligando lo spettatore a ripensare ilsignificato di quello che ha visto.

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aprile 2010 | cem mondialità | 33

L’integrazionesecondo i CentriInterculturaliAlessio [email protected]

agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 33

Agenda interculturale | PratiCare | Scor-date | Campagna Dudal Jam Saltafrontiera | Pixel | Nuovi suoni organizzati | Zero Poverty | Crea-azione

Èun’iniziativa nata nel 1998 che puntualmente si rinno-va ogni anno perché sa mantenere alto il livello di

scambio e d’interazione fra tanti operatori d’iniziative in-terculturali. Il XIII Convegno Nazionale dei Centri Intercul-turali mette al centro del dibattito il tema «Fare inte(g)ra-zione tra enti locali, scuola, comunità» e torna in Veneto,organizzato dall’Assessorato alle Politiche Scolastiche delComune di Padova in collaborazione con il Centro Comedi Milano, il Centro Interculturale della città di Torino e ilCentro di Documentazione città di Arezzo, il «trio» che ga-rantisce la continuità di questo incontro annuale.L’incontro si svolgerà a Padova nel Centro Altinate il 28 e29 ottobre 2010 e nelle intenzioni degli organizzatori af-fronterà l’«integrazione positiva», da realizzarsi in manierapartecipata e situata grazie alla collaborazione tra la scuo-la, gli enti locali, le associazioni e le comunità.L’incontro prevede una sessione plenaria (la mattina digiovedì 28 ottobre ), dedicata alle dimensioni dell’integra-zione, quattro sessioni parallele (nel pomeriggio dello

stesso giorno) di scambio econfronto tra le buone pratiched’integrazione e una tavola ro-tonda (la mattina di venerdì 29 ot-tobre) tra diversi enti locali sulle prospet-tive e i modelli d’integrazione.Il programma definitivo sarà diffuso agli inizi di settembree sarà consultabile tramite un sito web dedicato, raggiun-gibile dai siti degli enti promotori e dal sito del Comune diPadova (www.padovanet.it).Il protocollo d’intesa con cui nel 2007 undici organismihanno formalizzato la rete dei centri interculturali li impe-gna ad attuare nei rispettivi contesti «una positiva inclu-sione sociale e interazione culturale attraverso:

la realizzazione di percorsi formativi rivolti a giovani,adulti, operatori educativi, sociali, sanitari, volontari,educatori, animatori;

la promozione di opportunità e occasioni d’incontro edi reciproca conoscenza e scambio interculturale fra cit-tadini italiani e stranieri;

la disponibilità di spazi, occasioni di riflessione e auto-ri-flessione professionale sui temi legati all’integrazione eall’intercultura;

l’elaborazione e la diffusione di strumenti, materiali,pubblicistica (anche plurilingue) utili al lavoro educativo,sociale e culturale in contesti multiculturali;

la creazione di strategie volte a favorire la partecipazio-ne e i percorsi di cittadinanza dei nuovi cittadini;

la diffusione di idee e pratiche d’intercultura e d’intera-zione positiva atta a sostenere il lavoro degli operatoridei servizi per tutti».

Chi sono dunque questi centri? «In diverse città italiane sisono organizzati nuovi servizi, denominati Centri Intercul-turali, sorti grazie all’impegno delle amministrazioni localio delle associazioni del volontariato e del privato sociale.Tali centri hanno svolto un lavoro capillare e attento peraccompagnare i processi di trasformazione delle città insenso multiculturale. L’interazione positiva tra nuovi e vecchi cittadini non si ori-gina infatti dalla sola convivenza, ma è un programma dilavoro che deve vedere impegnati soggetti del pubblico edel privato sociale in azioni quotidiane volte a facilitare lerelazioni tra le persone, avviare progetti interculturali, pro-muovere la formazione degli operatori».

ilrestodelmondo

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Aun’esperienza formativa non sem-pre segue un’iniziativa sul territorio,

una concretizzazione del percorso pro-posto da un laboratorio indirizzato adoperatori socio-educativi. In occasione diuno dei convegni annuali promosso daCEM Mondialità, ho partecipato al labo-ratorio Festina Lente, centrato sulla me-todologia autobiografica che i condut-tori avevano acquisito tramite la LiberaUniversità dell’Autobiografia di Anghia-ri1. La partecipazione a questo laborato-rio mi ha dato la possibilità di avvicinar-mi a metodologie e tecniche di gestionedi gruppi per far scaturire narrazioni e

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Progetto MadeleineOgni anziano che muoreè una biblioteca che bruciadi Massimo [email protected]

scritture autobiografiche da gruppi dianziani. Al ritorno a casa, a Perignano(PI), ebbi la prova della bontà di questametodologia sperimentando un piccoloesercizio denominato «frammenti di vi-ta» con i miei nonni, chiedendo loro discrivere rapidamente su alcuni pezzettidi carta una frase che rappresentasse unmomento della loro esistenza. La provafu sorprendente e il passo dall’esperien-za alla fase progettuale breve.Raccogliere alcuni soggetti sensibili alletematiche, individuare un potenziale fi-nanziamento, lavorare sulla metodolo-gia e.... tanto entusiasmo.Il Progetto Madeleine è nato coinvol-

gendo un’associazione di volontaria-to legata al mondo degli anziani eun’associazione di promozionesociale per l’aggregazione giova-nile: l’Auser del Comune di Lari

(PI) e i ragazzi del Centro SocialeAutogestito Pinokkio di Perignano

(PI). Al fianco dei due soggetti del Ter-zo Settore c’è stato il partenariato dellalocale Lega del Sindacato PensionatiCGIL e l’amministrazione comunale.L’idea progettuale era stata elaborata e isoggetti erano stati individuati ma, come

spesso accade, il problema maggiore erarappresentato dal finanziamento. L’occa-sione per attingere a risorse straordinarieche non fossero già vincolate e potesserosupportare la realizzazione di un proget-to innovativo, per costruire narrazioni tragenerazioni differenti, fu il bando «Per-corsi di innovazione» del Centro ServiziVolontariato della Toscana. Atteso l’esitodel finanziamento, il progetto è statoavviato e realizzato potendo contare supoco personale professionale e, preva-lentemente, sul volontariato dei socidelle organizzazioni coinvolte.Il mio ruolo è stato quello di coordinaree gestire gli incontri narrativi promossitra gli anziani, coinvolgendo un giovaneper ogni incontro in veste di esperto perla registrazione, di fatto vero e proprioorecchio da prestare ai narratori; la partepiù importante l’hanno fatta tutte le per-sone che hanno deciso di partecipare aquesti incontri, organizzati in saloni par-rocchiali, circoli, bar; ma un contributofondamentale è stato dato dai volontaridell’Auser e dagli iscritti dello SPI chehanno fatto da mediatori con la popola-zione delle frazioni del Comune di Lari.Il risultato finale è stato un percorso du-rato sei mesi fatto di racconti e storiedense, emerse da un territorio apparen-temente muto, confluite in una pubbli-cazione rimasta a mostrare il segno delpassaggio di tante persone e un sito In-ternet2 per comunicare oltre i confini diun piccolo comune della provincia di Pi-sa le storie dei partecipanti agli incontri.Il tutto nello spirito africano di un pro-verbio, riferito da Mohamed Ba (un al-tro dei partecipanti a quel laboratorioviterbese che ha dato il via all’idea pro-gettuale), per cui le narrazioni che ognianziano si porta dentro sono un baga-glio inestimabile, destinato a perdersise non vengono trasmesse, meglio seattraverso il calore della voce umana.

1 Cfr. www.lua.it2 www.progettomadeleine.org

La partecipazione a questolaboratorio mi ha dato lapossibilità di avvicinarmi a

metodologie e tecniche digestione di gruppi per farscaturire narrazioni escritture autobiografiche da

gruppi di anziani

34 | cem mondialità | agosto-settembre 2010

Rubrica a cura di Gianni D’Elia

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agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 35

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Fra le molte «convenzioni di Ginevra»la meno citata è la prima: il 22 agosto1864 nasce la Croce Rossa. Al suo «pa-pà» (e primo Nobel per la pace nel1901). Franco Giampiccoli ha dedicatol’anno scorso un bel libro, pubblicatoda Claudiana: Henry Dunant, il fonda-tore della croce Rossa.Ogni anno, secondo quanto decretatoda Onu e Unesco, si commemora latratta: ma il 23 agosto in alcuni dei pae-si dove il vecchio schiavismo viene con-dannato con parole di fuoco molte per-sone vivono in condizioni di (nuova?)schiavitù.In una curva, fra Oria e Torre SantaSusanna, nel brindisino, un furgoneTransit sbanda: è il 25 agosto 1993. Tredonne muoiono: sono braccianti (Anto-

nia e due Maria i loro nomi) che vannoa lavorare 11-12 ore per 23 mila lire. Karaoshi è la definizione giapponeseper definire chi lavora troppo, sino amorirne. Casi niente affatto isolati nelloscorso decennio tant’è che, il 27 agosto1992, vengono aperti 347 centri mediciper far fronte a questa «patologia».La sua casa a Recife aveva i murisbrecciati per le raffiche di mitra, ma luirifiutava di abitare nel palazzo vescovi-le: il 27 agosto 1999 muore Helder Ca-mara, l’arcivescovo delle favelas. Il senatore Rockfeller consegna a Ni-xon (presidente degli Usa) un rapportoriservato secondo cui la Chiesa cattolicanon è più un alleato affidabile, anzi la-vora contro gli interessi Usa in Americalatina: è il 30 agosto 1969.Con un secolo (e più) di ritardo unalegge italiana definisce la mafia «un’or-ganizzazione criminale»: è il 13 settem-bre 1982.Alle 9 del mattino si prepara l’impic-cagione di Omar el Mukhtar, eroe dellaguerriglia contro i colonialisti italiani: èil 16 settembre 1931. Nel 1982 un filmhollywoodiano, Il leone del deserto, neracconta le gesta: milioni di persone lovedranno ma in Italia non sarà distri-buito. Indagava sulla mafia e in particolaresui suoi legami con il fascista-golpistaJunio Valerio Borghese: il 16 settembre1970 a Palermo il giornalista Mauro DeMauro scompare per sempre.Un segretario dell’Onu morì in un in-cidente aereo: stava volando sul Congo,il 17 settembre 1961, si chiamava DagHammarskjold, voleva fermare la guer-ra scatenata dalle compagnie minerariecontro il Congo appena divenuto indi-pendente. San Bernardino tiene a Perugia unapredica contro chi gioca a dadi, carte,scacchi «e simili cose»: è il 23 settembre1425. Per la cronaca solo nel 1609 laChiesa toglierà la «condanna» degliscacchi.

Nove gli immigratilinciatia cura di Dibbì

Nove gli immigratilinciati

erano italiani e accadde in Francia, ad Aigues-Mortes il 17 ago-sto 1893. Lo ricorda Enzo Barnabà nel libro Morte agli italiani!pubblicato da Infinito un anno fa.

Questa rubrica intende richiamare allamemoria eventi importanti ma scomodi chesi muovono sopratutto fra diritti e delitti

«Cronaca di un massacro che i libri distoria non hanno raccontato» è il sotto-titolo del film con cui, nel 1972, Flore-stano Vancini, ricorda la rivolta popola-re di Bronte il 2 agosto 1860 contro lepromesse mancate dei liberatori gari-baldini.Dopo 80 ore di contenzione, legatomani e piedi, alimentato solo con liqui-di, nell’ospedale di Vallo della Lucaniala notte fra 3 e 4 agosto 2009 muoreFrancesco Mastrogiovanni; diranno igiudici se vi fu colpa e di chi.Della libertà di stampa «non si avràmai abbastanza orrore» scrive GregorioXIV nell’enciciclica Mirari vos il 15 ago-sto 1823 dove condanna «il delirio delliberalismo» e la separazione fra Chiesae Stato.

Se volete leggermi sul mio blog:http://danielebarbieri.wordpress.com

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A Iseo, incontri e contatti

La scuola secondaria di primo gradodi Iseo, in provincia di Brescia, ha

proseguito con il suo impegno a soste-gno della campagna Dudal Jam. Oltre afar proseguire la corrispondenza con al-cuni alunni delle scuole del Sahel, le in-segnanti Alessandra Ravarini e AngelaSarti hanno organizzato due incontriper le classi coinvolte durante i quali glialunni hanno ulteriormente approfon-dito la loro conoscenza della regionedel Sahel ed in particolare della vita deiragazzi della loro età che vivono qui.Entusiasmante, per alunni ed insegnan-ti, è stato l’incontro con Mohamed Ba,che ha permesso loro non solo di am-mirarne le doti artistiche e narrative, maanche di sperimentarsi nelle attività la-boratoriali da lui proposte. Un partico-lare ringraziamento va agli insegnantiche sostengono e promuovono questoprogetto.

Ecco alcuni stralci delle lettere scritteagli alunni burkinabè:

«Cara amica Bathili, sono stata moltofelice di ricevere la tua risposta. Pur-troppo il mio francese non è perfetto.Hai fratelli o sorelle? Che cosa fanno ituoi genitori? Come si chiama la tuamigliore amica? Io ti mando le fotogra-fie delle mie amiche preferite: sono inclasse con me. Spero di ricevere anch’iouna tua fotografia».

«Grazie per avermi scritto. Anche seabitiamo così lontane, abbiamo dellecose in comune: anch’io amo la musicae gli animali».

Dudal Jam al Somenfest

Alcuni giovani del paese di Ome inFranciacorta (in provincia di Brescia) or-ganizzano ormai da sei anni un festivaldi tre giorni durante il primo fine setti-mana di luglio, la Somenfest, divenutaun atteso appuntamento dell’estatebresciana, con una pre-senza media di oltrecinquemila persone.Questa festa è nataper concretizzaretre obiettivi: aggre-gare i giovani delpaese nell’organiz-zazione dell’evento,proporre gratuitamen-te musica italiana diqualità e devolvere il rica-vato della manifestazione asostegno di progetti di solida-rietà o di promozione sociale edeconomica in aree dell’Africa e delSud America. Quest’anno si è scelto disostenere il progetto Dudal Jam, in col-laborazione con CEM Mondialità, per la

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Una grande estateper la campagna Dudal Jam!di Clelia Minelli

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Un immenso grazie ecomplimenti sinceri ai

membri dell’AssociazioneCulturale Somengroup per

il lavoro, la passione, lacompetenza e l’attenzione

con cui si dedicanoall’organizzazione

delle attivitàannuali e della

festa

gestione di una scuola di coeducazionealla pace nella regione del Sahel in Bur-kina Faso. Un immenso grazie e complimenti sin-ceri ai membri dell’Associazione Cultu-rale Somengroup per il lavoro, la pas-sione, la competenza e l’attenzione (inparticolare per la gestione dei rifiuti, vi-sto che l’obiettivo è quello di riuscire adorganizzare un evento ad impatto am-bientale zero, e per la riduzione dell’in-quinamento sonoro, con l’utilizzo diparticolari impianti audio) con cui si de-dicano all’organizzazione delle attivitàannuali e della festa.Al termine del Convegno di CEM Mon-dialità di quest’anno, il responsabiledell’UFC (Union Fraternelle des Cro-yants) di Dori, François Ramdé, parteci-perà ad un incontro pubblico a Omeper illustrare nel dettaglio le attività delcentro Dudal Jam e ringraziare per il so-stegno ricevuto.

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giugno-luglio 2010 | cem mondialità | 37

In concerto per Dudal Jam

Grande successo di pubblico del concertotenuto a Brescia il 19 giugno scorso in favoredell’iniziativa Dudal Jam, («Centro per la pace»),promossa da CEM Mondialità. AlessandroAdami (voce), Matteo Pizzoli (chitarra) e EnricoMantovani (chitarra) hanno elettrizzato inumerosi presenti con la loro emozionante,

intensa e partecipata serata in ricordo diFabrizio De Andrè, di cui sono stati propostimolti brani, che hanno ricevuto sonori

applausi da parte di tutti e … riempito dicommozione molti di coloro che avevanosuperato gli «anta»! Dopo due ore di grandemusica, i numerosi bis reclamati dal pubblicohanno concluso il concerto, a cui era abbinatauna mostra fotografica sul Burkina e unmercatino di oggetti d’artigianato burkinabè.

Un grazie di cuore a Patrizia Canova, ChiaraFassina, Salvatore Leardi, Clelia Minelli perl’organizzazione dell’evento, e a don FabioCorazzina, parroco di S. Maria in Silva, perl’ospitalità nel Centro parrocchiale e … per lefotografie che pubblichiamo (F.T.).

STATO PATRIMONIALE

ATTIVO 31.12.2009 31.12.2008

A) CREDITI V/SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI:I. non richiamati 0 0II. richiamati 0 0

TOTALE A)

B) IMMOBILIZZAZIONI:I. immobilizzazioni immateriali 33.167 33.167

meno fondi di ammortamento 30.407 27.647immobilizzazioni immateriali nette 2.760 5.520

II. immobilizzazioni materiali 661.805 656.706meno fondi di ammortamento 625.259 609.949immobilizzazioni materiali nette 36.546 46.756

III. immobilizzazioni finanziarie 5.165 5.165

TOTALE B) 44.471 57.441

C) ATTIVO CIRCOLANTE:I. rimanenze 468.081 554.878II. crediti 385.459 440.339

di cui esigibili oltre l'esercizio successivo 0III. attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni 0IV. disponibilità liquide 163.517 96.935

TOTALE C) 1.017.057 1.092.152

D) RATEI E RISCONTI ATTIVI 320 1.063

TOTALE PATRIMONIALE ATTIVO 1.061.848 1.150.656

PASSIVO 31.12.2009 31.12.2008

A) PATRIMONIO NETTO:I. capitale sociale 325 300II. riserve da sovrapprezzo azioni 0 0III. riserve da rivalutazione 0 0IV. riserva legale 482.824 467.026V. riserva per azioni proprie in portafoglio 0 0VI. riserve statutarie 0 0VII. altre riserve 0 0VIII. utili (perdite) portate a nuovo 0 0IX: utile (perdita) dell'esercizio -217.424 16.286

TOTALE A) 265.725 483.612

B) FONDI PER RISCHI ED ONERI 65.088 80.319

C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO LAVORO SUBORDINATO 109.248 111.562

D) DEBITI 613.109 467.114di cui esigibili oltre l'esercizio successivo 347.595 157.595

E) RATEI E RISCONTI PASSIVI 8.678 8.049

TOTALE PATRIMONIALE PASSIVO 1.061.848 1.150.656

CONTI D'ORDINE:conto garanzie ricevuteconto garanzie prestateconto contributi decretati Enti ns. favoremerci nostre presso terzi

TOTALE CONTI D'ORDINE

CONTO ECONOMICO 31.12.2009 31.12.2008

A) VALORE DELLA PRODUZIONE:1. RICAVI DELLE VENDITE E DELLE PRESTAZIONI 1.097.045 1.215.0222. VARIAZ. RIM. PRODOTTI IN CORSO DI LAV., SEMIL., FINITI 0 03. VARIAZIONE DEI LAVORI IN CORSO SU ORDINAZIONE 0 04. INCREMENTI DI IMMOBILIZZAZIONI PER LAVORI INTERNI 0 05. ALTRI RICAVI E PROVENTI 177.646 181.456di cui contributi in c/esercizio 0 0

TOTALE A) 1.274.690 1.396.478

B) COSTI DELLA PRODUZIONE:6. PER MATERIE PRIME, SUSSIDIARIE, CONSUMO, MERCI 345.489 487.2167. PER SERVIZI 619.771 589.7038. PER GODIMENTO BENI DI TERZI 22.619 09. PER IL PERSONALE 316.282 315.0868. 9a) stipendi 249.780 247.5488. 9b) oneri sociali 51.590 53.2028. 9c) trattamento di fine rapporto 14.913 14.3368. 9d) trattamento di quiescenza 0 08. 9e) altri costi 0 010. AMMORTAMENTI E SVALUTAZIONI 18.069 23.94118. 10a) ammortamento immobilizz. immateriali 2.760 2.760

18. 10b) ammortamento immobilizz. materiali 15.309 21.18118. 10c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni 0 018. 10d) svalutaz. crediti comp. nell'attivo circ. e disp. liquide 0 011. VARIAZ. RIMAN. MAT. PRIME, SUSS., CONSUMO E MERCI 86.797 -123.18212. ACCANTONAMENTI PER RISCHI 0 12.47313. ALTRI ACCANTONAMENTI 0 014. ONERI DIVERSI DI GESTIONE 81.782 54.698

TOTALE B) 1.490.810 1.359.935

DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE (A-B) -216.120 36.543

C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI:15. PROVENTI DA PARTECIPAZIONI 0 016. ALTRI PROVENTI FINANZIARI 1.155 1.62418. 16a) da crediti immobilizzati 0 018. 16b) da titoli immobilizzati 0 018. 16c) da titoli iscritti nell'attivo circolante 0 018. 16d) proventi finanziari diversi dai precedenti 1.155 1.62417. INTERESSI PASSIVI E ALTRI ONERI FINANZIARI 1.941 2.099

TOTALE C) (15+16-17) -786 -475

D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITA' FINANZIARIE:18. RIVALUTAZIONI 0 018. 18a) di partecipazioni 0 018. 18b) di immobilizzazioni finanziarie 0 018. 18c) di titoli iscritti nell'attivo circolante 0 019. SVALUTAZIONI 0 018. 19a) di partecipazioni 0 018. 19b) di immobilizzazioni finanziarie 0 018. 19c) di titoli iscritti nell'attivo circolante 0 0

TOTALE D) (18-19) 0 0

E) PROVENTI ED ONERI STRAORDINARI:20. PROVENTI 224 9.24021. ONERI 542 520

TOTALE E) (20-21) -318 8.720

RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE (A-B+/-C+/-D+/-E) -217.224 44.788

22. IMPOSTE SUL REDDITO DELL'ESERCIZIO 200 28.50223. RISULTATO DELL'ESERCIZIO 16.28623. UTILE (PERDITA) DELL'ESERCIZIO -217.424 16.286

CENTRO SAVERIANO DI ANIMAZIONE MISSIONARIA C.S.A.M.BILANCIO D'ESERCIZIO AL 31.12.2009 - in forma abbreviata ex art. 2435 bis C.C.

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38 | cem mondialità | agosto-settembre 2010

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Quanti sono i «no» che hanno fattola Storia? Molti, moltissimi. Mai

troppi, comunque. Spesso il «no» è ilprimo passo verso l’affermazione di undiritto, di un rispetto, di una paritàtroppo a lungo negati. È il modo piùimmediato per dire «basta!» ad una so-praffazione umiliante e insopportabile.Allora il «no» diventa liberatorio, catar-tico, ci fa toccare con mano la possibili-tà di un mondo diverso e più giusto.Questo il senso del«no» pronunciato,oltre mezzo secolofa, da una giovanedonna americana.Era il 1° ottobre1955: Rosa Parks, ri-fiutandosi di cedereil suo posto a unbianco sull’autobus,apriva una nuovastagione per i neriamericani, quellache avrebbe portatoall’abolizione della segregazione razzia-le nel sud degli Stati Uniti. La sua storiaè ora narrata a beneficio dei giovani let-tori (e di tutti noi) da Paola Capriolo nelsuo recente libro No (EL, 2010, pp. 91,10,50 euro, da 12 anni). Una storia in-tensa dal ritmo incalzante, narrata conuna scrittura essenziale e precisa.Nel 1941 Rosa ottiene un lavoro in unabase militare vicino alla città di Mon-tgomery: un’esperienza molto stranaper una donna abituata alle continuediscriminazioni che il «Jim Crow» impo-neva in tutti gli stati del Sud. Il presi-dente F.D. Roosevelt aveva proibitoqualsiasi forma di segregazione razziale

L’importanza di dire nodi Lorenzo Luatti

porta anteriore per acquistare il bigliet-to; poi però le persone di colore, invecedi attraversare il corridoio, dovevanoscendere e risalire dalla porta posterioreper raggiungere i loro posti; 2) I passeg-geri di colore potevano sedere solo nel-le ultime file, a loro riservate, mentre leprime erano a uso esclusivo dei bianchi;3) Nelle file intermedie, i bianchi aveva-no il diritto di precedenza, mentre i neripotevano sedervisi solo se libere; 4) Unavolta seduto, il nero doveva comunquetenersi pronto, all’occorrenza, a cedereil posto a un bianco, persino se il nerofosse stato un vecchio di 80 anni o unadonna incinta e il bianco un aitante gio-vanotto pieno di energia; 5) Nel casoche un bianco si fosse seduto in una diqueste file intermedie, tutte le personedi colore che si trovavano in quella filaavrebbero dovuto alzarsi e cercare po-sto altrove, o rimanere in piedi, per evi-tare che un membro della «razza supe-riore» fosse stato costretto a viaggiarefianco a fianco con loro.Rosa non ce la fa più a sottostare a que-sta assurda umiliazione. Un giorno, allarichiesta dell’autista di alzarsi, risponde:«No! Sono stanca di essere consideratauna cittadina di seconda classe». Que-sta disobbedienza le costerà l’arresto,ma il suo gesto diventerà il motore diun movimento che porterà al riconosci-mento dei diritti civili. La notizia del suoarresto determinò scontri violenti nellacittà di Montgomery, ma fu ancheun’importante occasione di riflessionedei leader della comunità afroamerica-na su una nuova forma di ribellione: laresistenza passiva, la non violenza e ilboicottaggio. Dalla lettura dell’agile li-bricino della Capriolo resta impressa laforza morale della protagonista, il co-raggio e la voglia di reagire all’ingiusti-zia che riescono a cambiare la Storia. Rosa Parks muore nel suo appartamen-to di Detroit il 24 ottobre 2005. Tre an-ni dopo, un uomo dalla pelle nera, Ba-rak Hussein Obama, sarà eletto presi-dente degli Stati Uniti d’America.

nelle strutture dell’esercito americano:dunque Rosa poteva sedere tranquilla-mente accanto ai bianchi sui mezzi ditrasporto che circolavano all’internodella base militare; ma uscita di lì, perfare ritorno in città, doveva prendere unautobus «segregato», nel quale vigeva-no le regole seguenti: 1) Tutti i passeg-geri dovevano salire sull’autobus dalla

Nel 1941 Rosaottiene un lavoro in

una base militarevicino alla città di

Montgomery:un’esperienza

molto strana peruna donna abituata

alle continuediscriminazioni

che il «Jim Crow»imponeva in tutti

gli stati del Sud

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agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 39

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La foto è stata scattata nel settembre1863. Un bersagliere, in una posa che

esprime fierezza, mostra il cadavere del«brigante» Nicola Napoletano, capraio dimestiere, dopo le sevizie e la fucilazione.Il soldato si tiene distante dal cadavere,quasi a non volere sporcare i pantalonibianchi dell’uniforme, lo sfiora con la ma-no sinistra, appena tesa, come a mostrareun trofeo di caccia. Con la destra impu-gna il moschetto con il quale, presumibil-mente, ha appena sparato e ucciso. Il bri-gante Nicola Napoletano è seduto, con legambe leggermente divaricate; le bracciae la testa appena reclinata testimonianol’assenza di vita di un corpo vuoto. È ve-stito con abiti sporchi e strappati, i capellisono disordinati, la sua faccia è scavata equalcosa gli esce dalla bocca, i piedi sem-brano appena coperti da stracci sporchi.Il brigante morto è una preda catturata, èla resa del male nei confronti del bene.L’immagine fa parte di una progettataazione di propaganda che l’esercito e ilgoverno decidono di attuare dopo lo sto-rico incontro di Teano fra Garibaldi e Vit-torio Emanuele II. L’esercito piemontese,da poco diventato italiano, sta liberandol’ex Regno delle due Sicilie dai Borboni eritiene di portare pace e prosperità in unSud considerato arretrato, privo di inizia-tiva, povero. Si procede facendo ricorso aleggi speciali, alla dichiarazione dello sta-to d’assedio e all’impiego di circa 120mila uomini. Mi segnala questa immagine1 PasqualeNeri, educatore di Reggio Calabria, cor-redando l’invio con una riflessione chemerita spazio. «Esiste un’altra storia,quella nascosta sotto le piume del cap-pello del bersagliere, quella calpestata

Il banditoe il bersaglieredi Roberto Alessandrini

Durante larepressione del

brigantaggionell’Italia

meridionale,ufficiali e soldati

dell’esercitoitaliano mettono in

posa i fucilati,organizzano messe

in scena ecostringono i

contadini del Sudad affacciarsi in

modo macabro allastoria della

nazione

sotto i suoi calzari bianchi, che trasudadalla sporcizia e dal sangue sugli straccidel brigante», scrive. «La storia che si èvoluta cancellare dalla memoria collettivadi milioni di persone con la distruzione didecine di paesi, la fucilazione o deporta-zione di decine di migliaia di briganti, eloro parenti, donne, bambini, fiancheg-giatori e preti. Alcuni di quei paesi di-strutti non furono mai più ricostruiti, co-me Pontelandolfo e Casalduni, due co-muni del Sannio che si erano ribellati. Lecifre non ufficiali parlano di circa 500 mi-la meridionali uccisi dalle truppe “libera-trici”. Senza contare i milioni di disperatiche, costretti alla fame e alla miseria,hanno preferito emigrare nel secolo suc-cessivo a quegli eventi. E per me - prose-gue Neri - che non sono storico, giornali-sta, politico, per me che sono soltantoun educatore, cosa significa osservarequella foto e decine di altre ancora cheritraggono la stessa storia di violenza, disopruso, di umiliazione, di razzismo?».Quanti saranno i giovani studenti del Sudcoinvolti, più o meno direttamente, nellecelebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Ita-lia?, s’interroga Neri. «E come porsi, daeducatore, di fronte ai “minori a rischio”di San Luca, di Reggio Calabria, Napoli,Catania, Bari, Palermo, Caserta, di fronteai risultati di quella storia interrotta e poinegata, ai figli di quelle opportunità mairiconosciute, alle vite che avrebbero po-tuto essere e non sono mai state, al futu-ro già scritto sulle pietre insanguinate delpassato?». Domanda fondamentale. Chereclama risposte sincere.

1 Tratta dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Brigantaggio

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Ben ritrovate e ben ritrovati. Questoviaggio nelle terre sonore di mezzo

sarà dedicato a Copeland, una dellestelle assolute del firmamento rock epop. Stewart Armstrong Copeland,batterista e fondatore nel 1977 delgruppo anglo-americano The Police,nasce il 16 luglio 1952 ad Alexandria,Virgina, e a soli 9 mesi si trasferisce conla famiglia a Beirut. Il padre è un agentedella CIA, la madre, scozzese, fa partedella British Intelligence. All’età di 13anni inizia lo studio sotto la guida diuno dei più importanti batteristi del Li-bano. La sua ascesa artistica inizia neglianni ’70, prima con la band di rock pro-gressivo Curved Air, e poi con i Police. Ilsuo personalissimo ed innovativo mododi suonare la batteria ha influenzato lesuccessive generazioni di batteristi, enon solo quelli dell’area rock e pop. Il suo primo lavoro dopo la fine dell’eraPolice è la composizione e l’esecuzionedi tutte le parti strumentali della colon-na sonora del film Rumble Fish («Rusty ilselvaggio») di Francis Ford Coppola; in-discutibilmente un buon inizio. Ma ilnostro ascolto si andrà a focalizzare sulvero capolavoro di Copeland: The Rhy-thmatist, disco e colonna sonora dellosplendido film-documentario, entrambidatati 1985. L’album è impreziosito dal-la partecipazione di Ray Lema, musici-sta e compositore dello Zaire, oggi Re-pubblica Democratica del Congo. Piani-sta, tastierista, chitarrista, percussioni-sta e cantante, Lema era già famoso ne-gli anni ’70 come esponente di spiccodella Kinshasha’s rumba o rumba zaire-se: forse uno dei più importanti movi-menti musicali transoceanici, o meglio

transamericani. Qui componenti musi-cali africane, giunte nelle Americhe congli schiavi, meticciate con le culture eu-ropee, in particolare con quella ispani-ca, vengono recuperate per essere ri-meticciate e metabolizzate con espres-sioni musicali tradizionali e modernedell’africa contemporanea. Koteja (Ohbolilla), il primo brano, è un ottimo bi-glietto da visita del disco; qui l’incon-fondibile drumming di Copeland, carat-terizzato dal pulsare regolare e trainan-te della grancassa, continuamentespezzato da rapidi, funambolici e spiaz-

zanti fraseggi, eseguiti per lo più sultamburo rullante e su piccoli e leggeripiatti chiamati splash, si pongono comeoriginale contrappunto alle sonoritàsecche, veloci e di sapore reggae dellachitarra, e alla splendida voce di Lema,autore del pezzo.In Brazzaville, come in altri brani, com-paiono, ben integrati con sonorità rocke contemporanee, ritmi e giochi vocalitradizionali registrati nei villaggi incon-trati durante le riprese. Kemba è forse ilmomento più alto e intenso dell’incon-tro tra Lema, autore del brano, e il pul-sare travolgente di Copeland. La secon-da parte del disco, pur nelle differenzedei cinque pezzi che la compongono, sipresenta e si ascolta come una sorta diunico piano sequenza sonoro. Qui ilnostro ex poliziotto dà sfogo alla suageniale personalità musicale. SamburuSunset, che apre la sequenza, è una pic-cola colonna sonora; la sua strutturacompositiva è molto varia e ricca dicambi di atmosfera.In Franco il contesto sonoro si ammor-bidisce di nuovo, per sfociare, rinvigori-to, in Serengeti Long Walk, uno dei mo-menti più significativi del disco; qui lavoce narrante di Stewart fa da ponte adAfrican Dream: ottimo brano per con-cludere questo speciale viaggio tra imondi sonori. Buon ascolto, e perchéno buona visione, a tutte e a tutti.

40 | cem mondialità | agosto-settembre 2010

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The Rhythmatisti colori del ritmodi Luciano Bosi

Stewart CopelandThe Rhythmatist

A & M 395084-2, 1985

«I tamburi stanno ancora rullando,insistenti e immutabili. Il loro suono era diventato tutt’unocon la vita del villaggio. Era come il battito del suo cuore.Vibrava nell’aria, nel sole, nelle piante stesse, e riempiva di eccitazione il villaggio».

Chinua Achee, Il Crollo

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In questo momento storico, co-me sottolineato da don Vitto-

rio Nozza, direttore di CaritasItaliana, «dare speranza ai po-veri» e «educare i giovani a unavita di vera fraternità» sonodue processi che non possonoessere distinti l’uno dall’altro.Lo scopo di questa riflessione,già iniziata nel numero prece-dente di CEM Mondialità, saràquindi trovare modi nuovi per leg-gere il problema della povertà, pren-dendo spunto dai contenuti del kit mul-timediale Zero Poverty, agisci ora!, rivol-to a chi lavora a vario titolo con le realtàgiovanili, realizzato da Caritas Italianain collaborazione con CEM. I contenutidi questa rubrica possono essere consi-derati un primo «assaggio» di ciò chepuò essere ampliato e approfondito at-traverso quanto proposto dal kit.Partiamo quindi dalle parole che defini-scono la povertà. Quest’operazione ciimpone di selezionare pochi termini ca-paci di veicolare dei concetti chiave, chefanno riferimento a «contenitori di si-gnificato» attraverso i quali leggereproblematiche inerenti il tema povertà.Nel kit possiamo trovare molte «parole»della povertà. In questo spazio, sceglie-remo tuttavia di illustrare i quattro«contenitori» di piste di riflessione (dati,schede filmiche, proposte di attivitàanimative, narrazioni, riferimenti musi-cali e teatrali). Le «parole delle parole» sono quindi:esclusione sociale, Europa, cittadinanzaattiva, volontariato. La scelta non è ov-viamente casuale. Si tratta di parole cheracchiudono al loro interno miriadi di

Le parole della povertàQuando le parole servono ai fattidi Maria Luisa Damini

ovvero della possibilità di sentirsi prota-gonisti dei nostri diritti e dei nostri do-veri. Viviamo in un mondo che si è fattovillaggio, dove ognuno è responsabiledi tutti. Ecco, allora, il senso vero delvolontariato: il «volontario» non è chiper una non meglio identificata «bon-tà» verso un ancor non meglio identifi-cato «prossimo» dà il suo tempo e il suoimpegno per gli altri. Volontario è il cit-tadino (attivo) che si prende cura del-l’altro e ha a cuore la vita della polis.Assumersi una responsabilità versochi, in quel particolare frangente dellapropria vita, si trova in una condizio-ne di debolezza, rappresenta una ri-sorsa preziosa per tutta la cittadi-nanza e per tutta la democrazia.Vista in quest’ottica, la lotta alla po-vertà diventa un imperativo che ci

apre gli occhi e il cuore. Educarsi ededucare alla responsabilità significascegliere un modo diverso di stare nelmondo, un modo che c’impone diguardare in profondità noi stessi, la no-stra vita, chi condivide con noi pezzi distrada. Significa vedere al di là delle ap-parenze e sognare cose grandi, pian-tando ogni giorno piccoli semi di paceper farli diventare realtà.

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significati, tra loro strettamente correla-ti, in grado di suggerire percorsi e con-nessioni. Non esiste infatti povertà sen-za esclusione sociale. Chi è povero nonsolo è escluso, si sente escluso. E tuttisappiamo a quali conseguenze - talvol-ta persino pericolose - possa portare ilnon sentirsi parte di una realtà. Povertàed Europa: strano binomio del nostrotempo? Sicuramente un’associazione diidee che fa pensare, perché apre gli oc-chi su aspetti diversi di povertà. Poveroè, nell’immaginario collettivo, chi nascetale. Ma esistono altre forme di pover-tà: esiste, ad esempio, una povertà oriz-zontale che può colpire tutte quelle ca-tegorie professionali che la crisi econo-mica odierna ha reso fragili e bisognosedi aiuto. E ci sono altre forme di pover-tà, che resistono anche nei paesi ricchi:la solitudine, la mancanza di relazioni,l’incapacità di leggere il futuro con cuo-re aperto e pieno di speranza. Per que-sto non si dà lotta alla povertà senzapromozione di una cittadinanza attiva,

ZERO POVERTYKIT MULTIMEDIALEPercorsi di educazione alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale

Gruppo Editoriale Città Nuova 2 volumi - 80 e 64 pagine + dvdEuro 10,00

Disponibile pressoLibreria dei PopoliVia Piamarta 9 - 20121 Brescia Tel. 030.3772780 - Fax [email protected] www.saveriani.bs.it/libreria

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Agenda interculturale | PratiCare | Scor-date | Campagna Dudal Jam Saltafrontiera | Pixel | Nuovi suoni organizzati | Zero Poverty | Crea-azione

La Compagnia delle poetesse è natanell’estate del 2009, per iniziativa di

Mia Lecomte, poetessa italo-francese estudiosa di letteratura della migrazione. A comporla sono tutte poetesse stra-niere e italo-straniere, almeno in parteitalofone o residenti per un periodo del-l’anno in Italia. Si tratta finora di unaventina di poetesse provenienti da di-versi continenti, accomunate da unaparticolare storia personale di migrazio-ne e transnazionlità, affiancate nellarealizzazione degli spettacoli da artistepittrici, scultrici, fotografe, musiciste,ballerine e attrici che abbiano lavoratoin ambito internazionale, muovendositra esperienze differenti.L’idea è quella di una sorta di «orche-stra», sulla falsariga dell’esperienzadell’Orchestra di Piazza Vittorio a Ro-ma, che armonizzi la poesia di ciascunapoetessa, influenzata dalle diverse tra-dizioni linguistiche e culturali, in spetta-coli in cui la parola è sostenuta e am-pliata da molteplici linguaggi artistici.Gli spettacoli proposti seguono unastruttura «modulare», che a secondadelle occasioni di esibizione e delle poe-tesse in scena, si modifica. Obbiettivo è riportare la poesia al pub-blico, restituendola alla sua originariafunzione di oralità condivisa ed al con-tempo dar voce alla scrittura migrante,che all’oralità è legata più di ogni altraper quanto riguarda la tradizione di al-cuni paesi. Ne risulta un’interessante edinnovativa proposta dell’ibridazione edel meticciamento che contraddistin-guono la storia più vitale della culturadi questo secolo. Le poetesse che at-tualmente compongono la Compagnia

Acromazie è lo spettacolo diesordio della Compagnia,promosso dalla Compagnia diTeatro di Innovazione dell’Alberodi Minerva con la regia di DanielaDe Lillo. Il 29 marzo 2010 haesordito a Roma in primanazionale presso il Teatro CometaOff. In scena le poetesse LiviaBazu, Mia Lecomte, Sarah ZuhraLukanic, Helene Paraskeva,Candelaria Romero, insiemeall’attrice Vittoria Rossi e alladanzatrice Simona Pettinari. Ilracconto sonoro dal vivo è statocurato da Patrizia Battista, BiancaGiovannini, Lorenzo Mazzoni,Daniele Russo.

Per informazioni visitate il sitowww.compagniadellepoete.com

sono: Prisca Agustoni, Cristina Ali Fa-rah, Anahid Baklu, Livia Bazu, LaureCambau, Anilda Ibrahimi, Adriana Lan-gtry, Mia Lecomte, Sarah Zuhra Luka-nic, Natalia Molebatsi, Vera Lucia deOliveira, Helene Paraskeva, Lidia Palaz-zolo, Francisca Paz Rojas, Brenda Por-ster, Barbara Pumhösel, Sally Read, Me-lita Richter, Candelaria Romero, Jacque-line Spaccini, Eva Taylor.Il progetto è stato presentato all’inter-no di un programma di seminari creoli,pensati e coordinati dal professor Ar-

mando Gnisci dell’Università La Sapien-za di Roma, con il sostegno dell’Asses-sorato alle politiche culturali della pro-vincia di Roma, presso Palazzo Valentinie l’Università La Sapienza, ed è oggettodi tesi di laurea di studenti dello stessoateneo.

Per segnalare iniziative poteteinviare un’e-mail [email protected]

Sulla scena la poesiadelle donne di Candelaria Romero

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Secondo

Si è svolto con successo domenica13 giugno scorso presso la CasaMadre Missionarie di Maria -Saveriani di Parma il «SecondoMemorial padre Domenico Milani»,dedicato al tema Donne in Africa,Donna d’Africa. Coraggio, azione,sorellanza. All’incontro hannopartecipato gli amici di CEM

Mondialità e tutti coloro che hannoconosciuto e amato padreDomenico, che è stato tr i fondatori diCEM. Il tema dell’incontro è statoapprofondito da Rita Roberto, LuciaCitro ed Ernestine Kahindo Katirisa.

I materiali dell’incontro sono adisposizione sul sito www.cem.coop.

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Èrisaputo che nei periodi dicrisi economica il disagio

sociale aumenta e l’identifica-zione di un capro espiatorio di-venta un modo per scaricaretensioni e malesseri di un grup-po su di un altro, identificato co-me responsabile del malessere.È così che l’immigrato vieneidentificato colpevole di furti eviolenze di ogni genere, così co-me della mancanza del lavoro.Chi ha la responsabilità di gesti-re l’informazione e la culturadell’opinione pubblica, dovreb-be fornire dati veritieri sulle di-mensioni dei pericoli che mi-nacciano la vita sociale, aiutan-do l’opinione pubblica a discer-nere ciò che è veramente da te-mere da ciò che è marginale enon rappresenta un reale peri-colo. Invece i detentori del pote-re utilizzano ai loro fini la diffu-sione della paura, che vienestrumentalizzata e fortementeincentivata dall’influenza che imass media hanno sulla vita diciascuno di noi. I fatti avvenuti aRosarno sono un segnale allar-mante di quello che può succe-dere quando la paura prende glianimi e non lascia spazio alla ri-flessione e al dialogo. I nostri ra-gazzi crescono in questo clima,confrontandosi ogni giorno conatteggiamenti razzisti che ali-mentano pregiudizi e paure neiconfronti di chi proviene da cul-ture diverse. È così che la pre-senza di immigrati, soprattutto

Rosaria AmmaturoDocente di psicologia e scienze socialiLiceo delle Scienze Umane «G. Bianchi-Dottula», Bari

La convivialitàdelle differenzeImmigrati problemao risorsa?

Comeeducatori

nonpossiamorimanere

indifferenti,abbiamo il

doveremorale ecivile di

offrire allenuove

generazionioccasioni di

confronto

Un percorso di educazione interculturale

Il percorso di educazione inter-culturale che ho proposto ai mieialunni, una classe prima dell’in-dirizzo socio-psico-pedagogicoe una classe seconda dellescienze sociali, è stato caratteriz-zato dalle seguenti azioni:

lettura di articoli tratti da quoti-diani e riviste, con l’obiettivonon solo di raccogliere infor-mazioni, ma anche di porsi in-terrogativi su cui aprire unconfronto;

visione di film con momenti didibattito con testimoni o criticicinematografici;

incontri con esperti e immi-grati per ascoltare i raccontidelle loro storie;

approfondimenti in ambito let-terario grazie alla collabora-zione della docente di lettere,dato che io insegno psicologiae scienze sociali.

Centrale, per entrambi i gruppiclasse, il contatto diretto con gliimmigrati, l’ascolto delle loropersonali narrazioni che li rendepersone responsabili e li fa usci-re dall’anonimato, dal riferimen-to generico alla cultura di prove-nienza. Si rende così possibile ilpassaggio dall’approccio multi-culturale che accentuando ledifferenze culturali omologa eannulla le differenze individuali;all’approccio interculturale cheprivilegia il dialogo e l’incontrotra le persone. È successo cosìche, studiando atteggiamenti,stereotipi e pregiudizi, si riflet-tesse sui propri e si sperimen-tasse come il contatto diretto, lacondivisione di esperienze, lanarrazione autobiografica fosse-ro tra le migliori strategie persmontare atteggiamenti e pre-giudizi.

di colore, alle fermate dei mezzipubblici dei quartieri periferici,così come sugli autobus, ali-mentano in molte ragazze adole-scenti antiche e nuove pauremai sopite, senza la capacità didiscernere che forse il proble-ma della violenza contro le don-ne non è un problema culturale,ma di genere. Come educatori non possiamorimanere indifferenti, abbiamo ildovere morale e civile di offrirealle nuove generazioni occasio-ni di confronto, esperienze che liaiutino a superare il rischio diessere risucchiati in una recru-descenza razzista di stampo et-nocentrico. Questo è particolar-mente importante per ragazziche hanno scelto di frequentareun Liceo che, per sua vocazio-ne, ha un’attenzione specialeverso le problematiche psicolo-giche, pedagogiche e sociali.

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La testimonianza di un’alunna

Significativo in tal senso la parteci-pazione al pranzo sociale pressouna struttura che a Bari ospita immi-grati africani, per la maggior parte diorigine somala, tutti nello stato di ri-fugiati politici. Un’alunna ha scritto:«Quando ci è stata offerta la possibi-lità di partecipare al pranzo socialepresso il Ferrhotel, non so cosa miaspettassi prima di arrivare, ero solomolto contenta del fatto che ci sareistata anch’io. Quando poi mi sonotrovata lì, ho cominciato a guardarmiintorno, a guardare i loro occhi, i lorovolti, li ho trovati così belli, così sem-plici, in ogni cosa… Quante volte di-ciamo che le persone intorno a noisono costruite, false: beh, loro mihanno dato l’impressione di ragazzidolci. Bando alle ciance, abbiamofatto girare almeno dieci vassoi permille mani, e loro mangiavano, tiguardavano con quegli occhi colorcaffè, profondi, e dicevano “grazie!”.Ho sentito tante volte questa parola,ma mai con un significato così pe-sante, vera. Alla fine del pranzo, cihanno mostrato il Ferrhotel nel suocomplesso; siamo riusciti ad intrave-dere una stanza dove dormono alcu-ni dei ragazzi, così piccola, spoglia,con solo due letti, muri bianchi, nudi;i corridoi erano così stretti che ci sipoteva camminare solo in fila india-na, mettevano un senso di soffoca-mento, era tutto così buio, faceva sin-ceramente abbastanza paura, eppu-re per loro è già tanto poter avere untetto sotto il quale riposarsi. Pensoche questa esperienza mi abbia in-segnato davvero tanto, dal semplicerisparmio dell’acqua, al diminuire lospreco di corrente elettrica».

Sara, 16 anni

Presentato a «Terrafutura» ZERO POVERTYKIT MULTIMEDIALE

Brunetto Salvarani, direttore di CEM Mondialità e don LivioCorazza, direttore di Caritas Europa, hanno presentato nel corso dell’iniziativa «Terrafutura», tenuta nella Fortezzada Basso a Firenze dal 28 al 30 maggio scorso, il kit «Zero Poverty - Agisci ora!». Il kit multimediale nasce dallacollaborazione tra Caritas Italiana ed il CEM, i testi e il dvd sono stati realizzati da un gruppo di lavoro di CEM coordinato da Aluisi Tosolini.

ZERO POVERTYAGISCIORA

Quando poimi sonotrovata lì, hocominciato a guardarmiintorno,a guardare i loro occhi, i loro volti, li ho trovaticosì belli,cosìsemplici, in ognicosa…

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Vigil, J.M.- Tomita, L.E.- Barros, M.Per i molti cammini di Dio (vol. III). Teologia latinoamericana pluralista della liberazionePazzini Editore, Rimini 2010, pp. 282, euro 18

Al dibattito attorno al pluralismo religioso che interessa la sociologia non meno che l’antropologia,ma che investe di nuova responsabilità proprio la teologia, concorre il lavoro di ricerca avviato alcunianni fa dall’Associazione Ecumenica dei Teologi e Teologhe del Terzo Mondo (ASETT, ma conosciutaanche con l’acronimo inglese EATWOT). Dopo alcuni anni di silenzio1, infatti, anche il terzo volume(di cinque previsti) viene pubblicato in italiano grazie al coraggio di un piccolo editore (Pazzini) e alconcorso di alcuni traduttori volontari che hanno aderito all’iniziativa. Valeva la pena pubblicare initaliano lavori che, come recita un sottotitolo troppo lungo, si propongono all’interno di una «teolo-gia latinoamericana pluralista della liberazione»? In fondo, quale bisogno abbiamo, qui in Occiden-te, di conoscere quello che si dice, pensa e pratica nell’Altro Occidente che è l’America Latina?Crediamo che proprio il bisogno occidentale di un’ermeneutica dell’alterità che eviti l’imbarbari-mento e la tribalizzazione della politica e della vita sociale sostenga questa scommessa editoriale.In tempi di «pensiero unico» e di «identità reattive», di localismi e di fondamentalismi, abbiamoestremo bisogno di educare all’incontro con l’altro. Il concorso delle religioni in questa sfida edu-cativa e in questa ricerca ermeneutica è importante. Gli autori dei numerosi contributi che compon-gono il testo sono, poi, convinti di una cosa: che per soddisfare questo bisogno basti la fede cristia-na. Essa, cioè, dispone di categorie sufficienti per affrontare positivamente la sfida del pluralismoreligioso. Come ricorda Leonardo Boff nel prologo: la creazione, così come lo Spirito, il Regno e ilVerbo sono tutte «cifre» cristiane aperte al pluralismo. Perché questo sia sufficiente, occorre, però,ridiscutere, avverte Maurilio Guasco nella prefazione dell’edizione italiana, «l’essenza del cristiane-simo». Quando la teologia cristiana assume non solo «di fatto», ma anche «di principio», il plurali-smo religioso, è chiamata a ridiscutere le proprie categorie. Quello che ci offrono gli autori (tutti la-tinoamericani o operanti in America Latina, tranne il teologo Tissa Balasuriya dello Sri Lanka) è unesercizio di riapertura critica della riflessione teologica cristiana. Essi, ad esempio, invitano a ricom-prendere in chiave pluralista l’idea di rivelazione (Balasuriya) e di salvezza (Higuet), a scorgere Dioche si rivela anche in identità nascoste, quando non negate, come quelle espresse dalla teologia de-gli afrodiscendenti (Silvia Regina), dalla teologia india (Gonzales e Beriain), dalla riflessione teologi-ca delle donne (Deifelt e Gebara). Invitano a ridire il monoteismo tenendo insieme l’Uno e il Molte-plice (Barros e Tomita), a ridire l’unicità di Cristo oltre il cristianesimo (Comblin), a ripensare la Chie-sa ora come «esperta di dialogo» (Teixeira). Suggeriscono la necessità di indicare la spiritualità cheverrà quando «essere religioso» significherà sempre di più «essere interreligioso» (Vigil e ancora Bar-ros) e con essa l’etica religiosa chiamata a farsi critica e profetica (Garay). Indicano, infine, che ilcompito missionario delle Chiese è quello fondato sulla piccolezza e sulla povertà (Tauchner).Insomma, anche senza condividere sempre e comunque le riflessioni proposte, che in alcuni casi ri-chiedono ancora ricerca e maggior profondità, occorreva accogliere il lavoro dei teologi e delle teolo-ghe del sud del mondo. Tanto più ora che «Dio ha cambiato indirizzo» e il cristianesimo è sempre dipiù una religione del sud, abbiamo bisogno d’imparare, discutere e soprattutto praticare altre vie, altricammini per una fede cristiana all’altezza dell’incontro con le altre religioni, dopo le stagioni del-l’esclusivismo, ma anche oltre un inclusivismo apologetico. Ritengo che il testo che presentiamo deb-ba far parte di una biblioteca aggiornata sulla teologia delle religioni.

Marco Dal Corso

1 I primi due volumi della serie sono stati pubblicati dall’EMI con il titolo «I volti del Dio liberatore» (Voll. I e II) nel 2004-05.

I materiali segnalati (e non segnalati) possono essere richiesti allanostra Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, consconti del 10% per gli abbonati e pagamento in CPP a materiale giàricevuto (nelle richieste specifica che sei un abbonato di CEM)www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

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agosto-settembre 2010 | cem mondialità | 47

i paradossi arnaldo de vidi

Pietro e Cecilia

M anaus, Brasile. Per una celebrazione alternati-va della Pentecoste, avevo pensato a una sacra

rappresentazione con due scene: la Torre di Babele eil Cenacolo di Gerusalemme, ovvero la globalizzazio-ne e la mondialità. Il progetto non è andato in porto,ma adesso i due protagonisti, Pietro e Cecilia - come iSei personaggi in cerca di autore di Pirandello - nonmi lasciano in pace, vogliono recitare. Anche se la fe-sta di Pentecoste è passata, sarò obbligato a dar lorosoddisfazione. Il primo personaggio, Pietro Toesca, è professore di fi-losofia (Università di Parma, anni ‘60). Pietro è «mitico»:barba incolta e occhi sorridenti; la porta di casa sua èsempre aperta e c’è pane e salameper chi entra. Pietro vede la globa-lizzazione come la Torre di Babele eviceversa. Egli interpreta così la pa-gina biblica: i signori della Torre diBabele tolgono i poveri dalla cam-pagna e li comprimono nella cittàche diventa disumana e massifican-te. Dio allora confonde le lingue,perché Babele fallisca e i poveripossano tornare liberi nel loro am-biente. Pietro, epistemologo, de-nuncia che oggi il senso di parolenobilissime è stato distorto, renden-do impossibile la comunicazione.Denuncia che la città pecca di orgoglio ed egoismo; bi-sogna allora fuggire dalla città, anche fisicamente. Luifa come il nostro padre Abramo, che ha lasciato la cittàdi Ur ed è tornato al deserto. Pietro lascia l’università eva a vivere sui colli toscani, a San Giminiano (Si), doveapre uno studio-fattoria-cortile-ostello per tutti gli esclu-si e i sognatori. Un giorno gli avevo telefonato per chie-dergli un’intervista per CEM Mondialità. Mi rispose lasua voce registrata: «Telefona più tardi, siamo fuori acaccia di farfalle». Non c’è stata un’altra occasione, per-ché, nel 2005, mi giunse la notizia della sua morte. Il secondo personaggio, meno famoso, è Cecilia Silva,della periferia di Manaus. Nella sua semplicità, senzasapere, Cecilia rappresenta Gerusalemme e il Cenaco-lo dove è sceso lo Spirito Santo. È morta la settimana

successiva alla Pentecoste. Quando sono andato a «li-berare» il corpo, ho invitato i presenti a raccontare le vir-tù di Cecilia. Una donna di mezza età disse: «Cecilia èstata una grande mamma: ha adottato quattordici (!) fi-gli, e io sono una di loro. Chi viveva in strada, chi erapicchiato dai suoi... poteva entrare nella casa di mam-ma Cecilia a far parte della sua famiglia. Se poi i geni-tori di sangue reclamavano il figlio per sé, lei non si op-poneva, glielo consegnava, a patto che promettesserodi volergli bene. Oh, non ha avuto vita facile! Un figlio èmorto ammazzato, altri sono finiti in prigione, o l’hannofatta soffrire... Ma lei era così: ottimista, buona, ma pro-prio buona come un pezzo di pane!». Io ho capito che a

Cecilia piaceva vivere in città; non sognava neppure ditornare in campagna o nella foresta. Senza disdegnarel’urbanesimo del nostro tempo, rigettava la globalizza-zione e abbracciava la mondialità. Importante è che la città non si lasci prendere dallo spi-rito di orgoglio ed egoismo (come Babele), ma che sifaccia guidare dallo Spirito Santo, spirito di amore (co-me Gerusalemme). Penso che il messaggio di Ceciliasia ancora più importante di quello lasciato da Pietro:che cioè si può cristianamente accettare la sfida dellacittà grande, perfino della periferia violenta. Messaggiodecisivo per noi educatori angustiati di oggi! E, chissà,forse Pirandello ha ragione: mettendo in scena Pietro eCecilia, se noi riceviamo una lezione, essi ricevono unsupplemento di vita…

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la pagina di... rubem alves

La parola è l’iniziodi tutto

La parola è l’inizio di tutto. Con la parola l’universoebbe inizio. Con la parola noi abbiamo avuto inizio.Siamo poemi incarnati. Siamo le storie che abitanoin noi. Se le parole cha abitano in noi formasserobelle storie, saremmo belli e buoni. Alcune delle belle storie che abitano in noi sonostate raccontate dal «Signore delle Storie».

Eccone una…

Un uomo interrogò il Signore delle Storiecirca i comandamenti. Egli rispose:«Il primo comandamento è che dob-

biamo amare Dio molto di piùdi quanto amiamo le coseche possediamo. E il secon-do comandamento è chedobbiamo amare il nostroprossimo con lo stesso amo-re che abbiamo verso noistessi». «E chi è il mio prossi-mo?», chiese l’uomo. Questa,allora, è la storia che il Signo-re delle Storie raccontò: «C’erauna volta un cameriere che, dopouna sera di lavoro, stava tornando acasa con i pochi soldi che aveva ricevuto comemancia per aiutare la sua famiglia. Erano lequattro di mattina, le strade eranovuote e scure. Approfittandodell’oscurità, due ladri teseroun agguato al cameriere e,oltre a rubargli i soldi, lopicchiarono lasciandoloquasi morto sul ciglio dellastrada. Le ore passarono. Ilsole stava già annunciandol’alba… Passava da quellastessa strada un sacerdote,con la sua automobile, chesi stava dirigendo verso la

chiesa per celebrare la prima messa. Avendo visto l’uo-mo a terra, disse: “Se non fosse per la messa, mi ferme-rei per aiutarlo”. Recitò, quindi, un Padre Nostro eun’Ave Maria in favore del ferito e si diresse verso i suoiobblighi religiosi. Subito dopo, passava da quella stes-sa strada un pastore evangelico che si stava dirigendo,in auto, ad una riunione di preghiera che doveva presie-dere. Visto l’uomo ferito, egli si chiese: “Mio Dio, checosa avrà fatto quest’uomo perché il diavolo lo castigas-se in questa maniera?”. Preoccupato per i suoi obblighireligiosi, questi, da lontano, fece alcuni gesti di esorci-

smo e continuò in direzione della chiesa. Sorgendo il sole, la mattina era ormai avanzata,passava per di lì un travestito, con la sua motoci-

cletta, dopo una notte di festa. Vedendo l’uomocaduto, il suo cuore si commosse. Si fermò,

caricò l’uomo sulla moto e lo portò in unospedale vicino. Una volta lì, tirò fuo-

ri tutti i pochi soldi che aveva edisse: “Per pagare le spese ne-cessarie…”. E scomparve pri-ma che arrivasse la polizia. Finita la parabola, Gesù chie-se a coloro che ascoltavano:

“Di questi tre, chi è statocolui che ha messo in pra-tica il comandamento del-l’amore?”. Tutti rimaseroin silenzio ben sapendo larisposta giusta. Ma agli

uomini delle religioni nonpiacque...».

Traduzione di Marco Dal Corso

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Amare la Terra e tutti gli esseri viventi!

Il testo completodell’appello con la

possibilità di adesioni on-line, così come l’elenco

delle riviste promotricidella giornata e delle

adesioni pervenute sonoconsultabili sul sitowww.ildialogo.org

[email protected]

Cristiani e musulmani insieme vogliono interrogarsi ed impegnarsi contro la devastazione dell’ambiente, le guerre e le violenze che pervadono la società, rifiutando al contempo le crociate o la riduzione delle due più grandi religioni dell’umanità a semplici appendici di poteri economici e politici che stanno violentando irresponsabilmente la natura mettendo in discussione il futuro stessodell’umanità. Il tema della giornata si basa sulla convinzione che l’impegno per la salvaguardia del creato e per la pace è parte integrante della nostra fede di cristiani e musulmani.

Con un cordiale saluto di shalom, salaam, pace il dialogo.org

Il dialogo | Periodico di Monteforte Irpino | Via Nazionale, 51 - 83024 Monteforte Irpino (AV) | Tel. 339.4325220

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