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LET LET LET LET LETTERA TERA TERA TERA TERATURA TURA TURA TURA TURA - 24 - - 24 - - 24 - - 24 - - 24 - AGORÀ n. 27-28/2006 AGORÀ n. 27-28/2006 AGORÀ n. 27-28/2006 AGORÀ n. 27-28/2006 AGORÀ n. 27-28/2006 CORRADO ALVARO Il cantore della gente in Aspromonte di Fernando Mainenti In alto: Corrado Alvaro. C orrado Alvaro è calabrese e come tutti i suoi conterranei consapevoli, sente che il popolo infelice al quale egli è legato per nascita, costume e sentimenti, merita la solidarietà spirituale di tutti i suoi figli. La Calabria è terra di povertà tradizionale e questa povertà, talvolta tragica, pesa sulla coscienza dei migliori figli di quella terra in cui non vi è giustizia, e nella quale il forte si tempra nell’animo ed il debole soccombe in dolore senza fine. Tragica terra di poveri, disperato l’animo dei Calabresi; la vita non è bella ma feroce come un doloroso calvario di cui non ci si rende perfettamente conto. Giustizia? C’è in Corrado Alvaro, nella sua opera, latente o palese, un grido di dolore che invoca giustizia per la sua terra e che costituisce il tono lirico, sommesso talvolta, alto e patetico talaltra, della sua arte. Migliore sorte egli chiede attraverso la sua opera per i suoi umili, oppressi dall’ingiustizia e dalla fatalità. E non è privo di significato il grido di Antonello, figlio del pastore Argirò, che chiude opportunamente Gente in Aspromonte . Questi, colpito sempre dall’ingiustizia e dalla sopraffazione del potente, è divenuto fuorilegge per forza; quando alla fine «…vide i berretti dei carabinieri e i moschetti puntati su di lui di dietro gli alberi, buttò il fucile e andò loro incontro... e finalmente… disse ‘potrò parlare con la Giustizia. Che ci è voluto per poterla incontrare e dirle il fatto mio!’…». Alvaro è nato a San Luca, sulle pendici dell’Aspromonte orientale, in uno di quei villaggi annidati su quei ripidi monti dalle caratteristiche alpestri, in una cornice di dense e cupe selve, in quel clima particolare caratterizzato da inverni rigidi e da freschissime estati. Gli abitanti dell’Aspromonte sono gli stessi della fanciullezza dell’Alvaro; non c’è progresso esteriore che riesca a cambiarli. Sono nati pastori, col vestito da pastore, con il mondo istintivamente poetico dei pastori e non si adattano al nuovo lavoro delle industrie e dell’agricoltura razionale. Ardimentosi e primitivi, i pastori dell’Aspromonte sono pronti alla lotta per la vita delle loro mandrie, pronti al sacrificio più duro e disperato ma altrettanto incapaci nell’adattamento al nuovo meccanismo della vita moderna. Ad una prima osservazione, l’arte dell’Alvaro ci riporta immediatamente alla considerazione della Calabria, alla constatazione di una realtà della sua terra particolarmente dolorosa; il regionalismo del nostro Autore consiste nel fatto che egli ricorre sovente, per i temi, al mondo della propria esperienza in quanto: ciò che la letteratura storica esprime sotto forma di tempo ed età, la letteratura regionale riflette sotto forma di spazio e di luogo. Ma va anche tenuto presente quello che è l’Alvaro minore: l’Alvaro osservatore del mondo della grande città, l’Alvaro della desolazione urbana nella quale la vita sociale si fa più complicata ma pur sempre gravida di incertezze e di errori. Tuttavia, questo resta un mondo acquisito, non posseduto come quello della sua terra d’origine, e in ciò vanno ricercati i limiti dell’Alvaro minore, il quale non sempre riesce a trasformare la realtà in momento lirico appunto perché la poesia del ricordo e la forza della tradizione vengono meno e talvolta si esauriscono. Corrado Alvaro nel 1926 iniziò la sua collaborazione alla rivista Novecento, diretta da Massimo Bontempelli, che divenne l’insegna del Fernando Mainenti, Corrado Alvaro, www.editorialeagora.it - E-mail: [email protected]

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CORRADO ALVAROIl cantore della gente in Aspromonte

diFernandoMainenti

In alto: CorradoAlvaro.

Corrado Alvaro è calabrese e come tuttii suoi conterranei consapevoli, senteche il popolo infelice al quale egli è

legato per nascita, costume e sentimenti, meritala solidarietà spirituale di tutti i suoi figli.

La Calabria è terra di povertà tradizionale equesta povertà, talvolta tragica, pesa sulla coscienzadei migliori figli di quella terra in cui non vi ègiustizia, e nella quale il forte si tempra nell’animoed il debole soccombe in dolore senza fine.Tragica terra di poveri, disperato l’animo deiCalabresi; la vita non è bella ma feroce come undoloroso calvario di cui non ci si rendeperfettamente conto.

Giustizia? C’è in Corrado Alvaro, nella suaopera, latente o palese, un grido di dolore cheinvoca giustizia per la sua terra e che costituisceil tono lirico, sommesso talvolta, alto e pateticotalaltra, della sua arte. Migliore sorte egli chiedeattraverso la sua opera per i suoi umili, oppressidall’ingiustizia e dalla fatalità. E non è privo disignificato il grido di Antonello, figlio del pastoreArgirò, che chiude opportunamente Gente inAspromonte. Questi, colpito sempredall’ingiustizia e dalla sopraffazione del potente,è divenuto fuorilegge per forza; quando alla fine«…vide i berretti dei carabinieri e i moschettipuntati su di lui di dietro gli alberi, buttò il fucilee andò loro incontro... e finalmente… disse ‘potròparlare con la Giustizia. Che ci è voluto perpoterla incontrare e dirle il fatto mio!’…».

Alvaro è nato a San Luca, sulle pendicidell’Aspromonte orientale, in uno di quei villaggiannidati su quei ripidi monti dalle caratteristichealpestri, in una cornice di dense e cupe selve, inquel clima particolare caratterizzato da inverni

rigidi e da freschissime estati. Gli abitantidell’Aspromonte sono gli stessi della fanciullezzadell’Alvaro; non c’è progresso esteriore che riescaa cambiarli. Sono nati pastori, col vestito dapastore, con il mondo istintivamente poetico deipastori e non si adattano al nuovo lavoro delleindustrie e dell’agricoltura razionale. Ardimentosie primitivi, i pastori dell’Aspromonte sono prontialla lotta per la vita delle loro mandrie, pronti alsacrificio più duro e disperato ma altrettantoincapaci nell’adattamento al nuovo meccanismodella vita moderna. Ad una prima osservazione,l’arte dell’Alvaro ci riporta immediatamente allaconsiderazione della Calabria, alla constatazionedi una realtà della sua terra particolarmentedolorosa; il regionalismo del nostro Autoreconsiste nel fatto che egli ricorre sovente, per itemi, al mondo della propria esperienza in quanto:ciò che la letteratura storica esprime sotto formadi tempo ed età, la letteratura regionale riflettesotto forma di spazio e di luogo.

Ma va anche tenuto presente quello che èl’Alvaro minore: l’Alvaro osservatore del mondodella grande città, l’Alvaro della desolazioneurbana nella quale la vita sociale si fa piùcomplicata ma pur sempre gravida di incertezzee di errori. Tuttavia, questo resta un mondoacquisito, non posseduto come quello della suaterra d’origine, e in ciò vanno ricercati i limitidell’Alvaro minore, il quale non sempre riesce atrasformare la realtà in momento lirico appuntoperché la poesia del ricordo e la forza dellatradizione vengono meno e talvolta si esauriscono.

Corrado Alvaro nel 1926 iniziò la suacollaborazione alla rivista Novecento, diretta daMassimo Bontempelli, che divenne l’insegna del

Fernando Mainenti, Corrado Alvaro,www.editorialeagora.it - E-mail: [email protected]

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movimento letterario intitolatosi “ilNovecentismo”; ebbe amichevoli rapporti con lospagnolo Gomez de La Serna e con l’inglese JamesJoyce, l’influenza del quale finì con il contaminarela nascente prima opera narrativa del Nostro ecioè L’uomo nel labirinto.

Alvaro va definito soprattutto scrittoremeridionale, interessato alla vita delle gentimeridionali, in quanto ha saputo innestare allavita la letteratura e riuscendo in buona parte dellasua opera a fare entrare perfettamente il Bellonel Bene. Quella dell’Alvaro può e deve essereconsiderata una letteratura di combattimento:sono stati gli scrittori come Alvaro a imporre ilproblema umano del Sud, ad impostare unproblema morale laddove non esisteva che unproblema economico e sociale.

Non a caso la grande narrativa dell’Ottocentoitaliano fiorì nel Meridione, dove si affermaronole espressioni letterarie naturaliste e veriste. È fuordi dubbio che il fondo ideologico che determinòquelle espressioni non era un risultato della culturadel nostro Meridione; resta indiscutibile però chequelle idee fruttificarono in una determinata eparticolare situazione ambientale, in quanto nonvi è nulla di più penoso e dolorante della realtàdel nostro Meridione, nessun’altra materia piùdensa di suggestioni e di contrasti.

Alvaro iniziò la sua produzione letteraria conla poesia; il 12 agosto del 1915 su Il resto delcarlino di Bologna appariva una recensione diAldo Valori riguardante l’opera Poesie grigioverdidi uno sconosciuto calabrese. Il giudizio di AldoValori era notevolmente positivo; il critico trovavache l’opera era esente da ogni infiltrazioneletteraria, dotata di un sapore popolare edantiretorico e di un valore morale. A questa primaesperienza letteraria seguì immediatamente la suaproduzione narrativa che confermò, nel giro dipochi anni, la grandezza di Corrado Alvaro.Nacquero così le opere più importanti: La siepee l’orto, L’amata alla finestra, L’età breve,Mastrangelina. I sentimenti espressi in queste operesono resi con un linguaggio popolare che siimpernia sulla vita morale ed emotiva del mondoregionale e che tende ad una dimensione piùnaturale e certa. Comunque è indubbio che l’artepoetica dell’Alvaro parte dalla considerazione, piùattenta ed affettuosa, del mondo mitico dellaCalabria. Fin dal principio, fino dal nascere dellasua vocazione letteraria, ci fu in Alvaro l’aspirazionead un’arte che fosse anche rappresentativa dellasua gente: scrivere per sé, e secondo la poeticitàsua; ma, attraverso sé, scrivere anche per gli uominie in voce degli uomini della sua terra.

Negli anni che seguirono, l’Alvaro poeta,come si è accennato, attinse ad altre esperienze:la sua poesia si fece più ricca, artisticamente più

modulata. Il primo dopoguerra infatti riproposeal nostro Autore il problema di ciò che era ancoraspiritualmente vivo dell’eredità intellettuale delpassato, le antiche inquietudini trovarono il mododi ripresentarsi; molte cose si erano dissolte, ma inAlvaro le esigenze più profonde e gli eterni problemidel Sud rimanevano; era necessario un lavoro disutura, cioè bisognava riconciliare ciò che era ancoravivo del passato con la nuova realtà scaturita dallaprima guerra mondiale. Seguirono quindi le nuoveproduzioni: Vent’anni, Il ritratto di Melusina, edinfine il capolavoro Gente in Aspromonte.

Il mondo culturale ed etico dell’Alvaro vienecostituendosi in un periodo storicoparticolarmente incerto, caratterizzato datrasformazioni profonde che via via modificanole strutture interne ed esterne della nostra società.La giovinezza del nostro Autore si svolge nelperiodo giolittiano ed il giovane intellettualemeridionale finisce col rendersi conto di unagrande realtà, del grave squilibrio fra lo sviluppoeccezionale della grande industria del Nord e

In alto: La primapagina di unmanoscrittoinedito (coll.privata) di unanovella di CorradoAlvaro.

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che raramente noi troviamo nella narrativacontemporanea: «…non è bella la vita dei pastoriin Aspromonte, d’inverno, quando i torbiditorrenti corrono al mare e la terra sembra navigaresulle acque. I pastori stanno nelle case costruitedi frasche e fango e dormono cogli animali. Vannoin giro coi lunghi cappucci attaccati ad unamantelletta triangolare che protegge le spalle,come si vede talvolta raffigurato qualche dio grecopellegrino ed invernale. I torrenti hanno una voceassordante. Sugli spiazzi le caldaie fumano alfuoco, le grandi caldaie nere sulla bianca neve, legrandi caldaie dove si coagula il latte tra il sieroverdastro rinforzato d’erbe selvatiche. Tutti intornocoi neri cappucci, coi vestiti di lana nera, animanoi monti cupi e glialberi stecchiti,mentre la querciaverde gonfia leghiande pei porcineri…».

D o p oquesto pezzo daantologia, in cuilo scrittore si èt o t a l m e n t eabbandonato allasuggestione delricordo, dopo lapresentazionedella mirabilescena popolatadai volti muti edespressivi deipastori, ecco chel’azione volge alpassato come ènella veranarrazione dicose e di fattir e a l m e n t eaccaduti; loscrittore – poetalascia il posto al narratore robusto. Il protagonistadel lungo racconto è il pastore Argirò, insieme alfiglio Antonello, figure duramente provate dallamalasorte e dall’ingiustizia e dalla quasipredestinazione di certi avvenimenti. Nelle paginesuccessive, con rapidi tratti descrittivi, sorgonovia via, dal fondo corale, gli altri protagonisti dellavicenda: Filippo Mezzatesta, il dispotico etirannico padrone della “roba” , delle mandrie ditutto il paese; Camillo Mezzatesta, meno riccodel fratello ma più subdolo e odioso; la Pirria,amante del signor Camillo, una donna avida chemira al denaro ed alla sistemazione dei suoi figliillegittimi; Ignazio Lisca, l’usuraio, chefrequentava la chiesa tutti i giorni cantando con

l’arretratezza permanente di un Sud condannatoad una economia tradizionale, in cui i rapportifra gli uomini rimanevano quelli di sempre, quasisotto il peso d’una legge immutabile ed eterna. Aitempi dell’Alvaro la decadenza dei piccoli centridi provincia era notevolissima, l’economia eraretta da una classe sociale di piccoli e mediproprietari, il più delle volte non coltivatori, iquali, ostacolati da una politica tributariasoffocante, privi del sostegno di una manodoperaqualificata, erano inoltre decisivamente strozzatidalla mancanza di capitali atti a poter sviluppareun disegno a largo respiro di trasformazionifondiarie, capaci di eliminare parte di queldistacco che si era ormai stabilito fra il Nord e ilMezzogiorno d’Italia. D’altra parte il pesoopprimente di un vasto sottoproletariato fatto dipastori miserabili e di contadini primitivi nonfavoriva certamente quella dinamica interna delleclassi, che è tanto necessaria perché un popolopossa evolversi civilmente e socialmente.

Quando uscì Gente in Aspromonte, il criticoSalinari, in un suo saggio, esaltò l’atteggiamentodell’Alvaro di quegli anni, poiché lo scrittoreaveva saputo cogliere nella realtà nazionale, sottola scorza dell’ottimismo ufficiale, quello che nonriuscivano a vedere molti storici e politici: unacarica potente di ribellione all’ingiustizia,all’oppressione, alla miseria mortificante. Questogiudizio del Salinari segna la validità di Gente inAspromonte e di una tematica in cui i poveripastori derelitti dell’Aspromonte diventano eroiverghiani sempre in lotta contro la malasorte el’ingiustizia.

Gente in Aspromonte si apre con alcunepagine di rappresentazione corale di grandissimoeffetto, dove le parole scandiscono la solennitàdella scena, che si presenta ai nostri occhi comeuno stupendo affresco popolato di figure d’uominie di animali, che paiono distaccarsi vivi ed evidentidal fondo delle selve. In queste prime paginel’Autore si abbandona ad una descrizione liricafra le più commosse di tutta la sua produzione, incui tornano ad affollarsi, mirabilmente pittoriche,scene, figure, situazioni dell’infanzia passata frale selve dell’Aspromonte a diretto contatto conuna natura selvatica a volte, ma profondamentericca di suggestione poetica. La prima parte diGente in Aspromonte può definirsi “poemetto”,ed è una parte che potrebbe benissimo esserestaccata dal testo, rappresentando un’armonica efusa composizione poetica vibrante di echiprofondi e sostenuta da immagini che hanno unsapore d’antica lirica greca; il periodare è lento emaestoso ed il verbo è al presente, come a daremaggior forza evocativa alle scene ed alladescrizione. Sono pagine di un artista il cuilinguaggio raggiunge una potenza rappresentativa

In alto: Lacopertina del librodi Alvaro piùfamoso: Gente inAspromonte.

Nella paginaprecedente: laprima paginamanoscrittainedita (coll.privata) dellaprima stesura dellafamosa novella diAlvaro Celina.

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voce di capra accanto all’organo; infine ipersonaggi minori: i ragazzi del contado, ledonnette del villaggio, gli animali – tutta una follaminuta di derelitti e diseredati che ruota, nel benee nel male, attorno al palazzo di pietra scolpitadei Mezzatesta che è come il simbolodell’economia feudale che soffoca il paese.

Le disgrazie del pastore Argirò inizianoquando egli perde una piccola mandria di buoiche teneva a metà col signor Filippo Mezzatestae che è andata a sfracellarsi in uno dei tantiburroni che costeggiano la montagna: la disgraziaè terribile, poiché il povero pastore perde di colpoil frutto di mesi e mesi di duro lavoro fatto difatiche e solitudine nel silenzio delle altemontagne; il figlio Antonello, nato in montagnacome gli agnelli, è accomunato a lui nelladisgrazia e non accetta la condizione di disastroin cui è caduto il padre. La perdita dei buoi faprecipitare l’Argirò nel dramma di un’assolutamiseria e sono inutili i suoi appelli affinché ilpadrone possa dargli un’altra occasione di lavoroe di riscatto. Ha quindi inizio la lotta del poveroArgirò contro l’indifferenza disumana del padrone;

è questa l’incontro fra due classi sociali cosìdissimili nella fortuna, pur tuttavia così legate allostesso mondo naturale.

Alla fine del racconto l’Argirò padreabbandona il suo ruolo di protagonista per cederlolentamente al figlio Antonello, a cui è affidata lavicenda sino alla sua drammatica fine: è come sealla crescita fisica del ragazzo corrisponda unapari importanza nell’armonia narrativa dell’opera;l’Antonello assume pertanto il suo posto e daquesto momento in poi verrà seguito dalla vivasimpatia del narratore che vede in lui il simbolodoloroso di una gente che passa dall’infanzia allamaturità piena della vita attraverso la catalizzatriceesperienza del dolore e della rassegnazione. Poil’azione precipita, le nuvole pesanti del fataledecadimento della famiglia si addensano sulla casadell’Argirò, le brevi speranze ed i sogni fugaci diriscossa dalla miseria morale e materiale sfumanosotto i colpi della malvagità umana; le maniincendiarie dei figli di Camillo Mezzatesta hannodato fuoco alla stalla dell’Argirò provocando lamorte dell’unico bene della famiglia: la mula; ladisgrazia è più grave ancora della perdita dei buoinel burrone dell’Aspromonte, ora che la vita venivasorretta dalla speranza nel futuro.

Antonello decide di vendicare le disgraziedel padre e della sua famiglia e dapprima incendiail bosco di Filippo Mezzatesta nel quale tutto vienedistrutto: gli alberi, le pecore, gli armenti chetrovano la loro fine in fondo ai burroni, sospintividalla furia demoniaca del giovane.

Nell’ultimo capitolo si respira già l’aria deldrammatico epilogo della rivolta: l’Antonello,

In alto: Ilquadernetto(inedito - coll.privata) dei primiappunti dell’operaBelmoro di Alvaro.

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divenuto fuorilegge per forza, attende in montagnache si compia il suo doloroso destino; egli nonha mutato il corso degli eventi: ecco il senso dellairrimediabile disfatta – di una disfatta eroica,grandiosa, come nel mondo del Verga la morte dipadron ‘Ntoni o il naufragio della “Provvidenza”.La figura del povero pastore è assurta quindi asimbolo di una schiera di vinti che trovano soloraramente, nella protesta cieca, la forza disopravvivere.

Gente in Aspromonte è dunque uncapolavoro della narrativa contemporanea,intessuto di vissute esperienze e di sensazionimaturate nella più antica Calabria, in uno sfondoche pare racchiudere ed imprigionare quasi glistessi personaggi. È un dramma accentrato neltormento di uomini primitivi, con un suosvolgimento lineare senza pretese di narcisismistilistici, i cui protagonisti son degni di guardareda vicino le creature di Giovanni Verga.

Dopo la sobria e forte narrazione di Gentein Aspromonte, meno vivaci e spontanee appaionole opere successive: La signora dell’isola, Itinerarioitaliano, Un treno nel Sud, L’uomo è forte,Belmoro.

Se della problematica e dell’arte dello scrittoreAlvaro noi volessimo cercare delle ascendenze, nonpotremmo trovarle che nella tradizione letterariameridionalistica nel suo complesso, nel sensoindicato dallo stesso Alvaro: «…se dovessi cercarei veri maestri meridionali, essi sono nella tendenzaumanistica meridionale… la strada era di arrivareda questi a un contenuto moderno ed aprire gliocchi sul mondo di oggi…».

In alto: La primapagina delquadernettoinedito con laprima stesura delromanzo Belmoro.In basso: nellapagina precedenteed in questa, altretre pagine dellostessoquadernetto.

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