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149 ‘Io son venuto’: l’impotenza di Amore JUAN V ARELA-PORTAS DE ORDUÑA Com’è senz’altro logico, i lettori di Io son venuto al punto della rota si sono sentiti affascinati dalle descrizioni della natura nella canzone, nelle quali precisione scientifica e suggestione poetica raggiungono un’altis- sima connessione. Come ha scritto Enrico Fenzi: La scienza come tale in Io son venuto non è la cosa più importante, e non vale perchè insegna nozioni difficili e rare, ma perchè svela quel che c’è di miracoloso nella natura, cioè il suo perpetuarsi in un ritmo vitale che investe ogni cosa, e le dà un senso, un movi- mento a cui l’uomo partecipa solo in parte, quale attore e spettatore insieme (Fenzi 1966: 255). Questo fascino, però, potrebbe portare a enfatizzare eccessivamente il ruolo della natura come specchio delle emozioni umane, tralasciando il ruolo conflittuale che nella canzone si manifesta fra il mondo naturale e il mondo umano. Anna Zembrino, nella sua introduzione alla canzone nell’edizione spagnola della serie delle canzoni (Alighieri 2014), riassume questa identificazione:

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‘Io son venuto’: l’impotenza di Amore

JUAN VARELA-PORTAS DE ORDUÑA

Com’è senz’altro logico, i lettori di Io son venuto al punto della rotasi sono sentiti affascinati dalle descrizioni della natura nella canzone, nellequali precisione scientifica e suggestione poetica raggiungono un’altis-sima connessione. Come ha scritto Enrico Fenzi:

La scienza come tale in Io son venuto non è la cosa più importante,e non vale perchè insegna nozioni difficili e rare, ma perchè svelaquel che c’è di miracoloso nella natura, cioè il suo perpetuarsi inun ritmo vitale che investe ogni cosa, e le dà un senso, un movi-mento a cui l’uomo partecipa solo in parte, quale attore e spettatoreinsieme (Fenzi 1966: 255).

Questo fascino, però, potrebbe portare a enfatizzare eccessivamente ilruolo della natura come specchio delle emozioni umane, tralasciando ilruolo conflittuale che nella canzone si manifesta fra il mondo naturale eil mondo umano. Anna Zembrino, nella sua introduzione alla canzonenell’edizione spagnola della serie delle canzoni (Alighieri 2014), riassumequesta identificazione:

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La concepción científica y la calidad sublime del paisaje invernalhan dejado de ser simple término de comparación, como en la pro-ducción lírica anterior a Dante, para convertirse en espejo de lasemociones humanas, imagen refleja en que la pasión encuentra suequivalente en la magnitud y la violencia de los fenómenos natu-rales (Zembrino in Alighieri 2014: 273).1

Vero è che, già nel primo lavoro, diciamo, ‘moderno’ sulle petrose,Fenzi stabilì che, insieme al contrasto fra la natura invernale e lo statoamoroso del poeta, «esiste, intrecciato al primo ed esattamente opposto,il tema della corrispondenza tra la condizione personale e l’ordine naturaledelle cose che lo conferma» (Fenzi 1966: 255); e che, su questa scia,hanno svolto le loro indagini altri importanti studiosi, come Durling eMartinez, per cui

in each stanza part d [quella che tratta dello stato del poeta] juxta-poses2 the state of the lover to the situation in nature in a way thatis both syntactically parallel from stanza to stanza and also inte-grally related to the preceding description of nature. The governingtheme is readily identifiable as the paradoxical combination inhuman experience of embeddedness in nature with independencefrom it (Durling 1975: 102; vd. anche Durling-Martinez 1990: 96).

Comunque, è innegabile, e non trascurabile, il rapporto di opposizioneche il poeta-personaggio mantiene con il mondo invernale, forse, come in-dica Durling, dovuto alla congiunzione astrale che segna tutto il poema:

All the systems of inversion in “Io son venuto” can be referred toand summed up to what seems to be a governing idea: that the as-trological situation described in the poem is some kind of inversionof the situation of Dante’s birth. Here it is sufficient to note that themoment is conceived as one of intense negativity in which thelover is pitted against the season, against the unnaturally stonylady, against his own stars as possibly lethal, against the negativityinherently a function of his own nature (Durling 1975: 113; corsivodell’autore).3

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È senz’altro importante che ci sia una certa somiglianza fra gli effettiprodotti nel poeta dalla persistenza in lui dell’azione dell’amore (conge-lamento, pietrificazione) e gli effetti prodotti nella natura e nella donnadalla causa contraria, cioè l’assenza dell’azione dell’amore,4 ma ciò nonpuò far dimenticare l’idea – e principio costruttivo – cardinale del poema,che ci è ricordata con didattica chiarezza da Domenico De Robertis nelsuo cappello introduttivo:

L’elemento di fissità tematica, così formalmente compendiata, ècostituito dalla riproposta, ad ogni strofa e per i primi 9 versi, dellarappresentazione dello stato invernale secondo la varietà dei ‘regni’della natura (configurazione astrale; aria e clima; uccelli e altri ani-mali; mondo vegetale; regime delle acque), a cui è opposto, con erigorosamente avversativo, lo stato contrario del proprio immuta-bile innamoramento (De Robertis in Alighieri 2005: 120).

Il contrasto è chiaramente esplicitato nei versi 69-70 della canzone,che caratterizzano la condizione invernale della natura come mancante diamore: «quando per questi geli / amore è solo in me e non altrove». Nonsi deve quindi dimenticare, per quanto affascinanti siano le rappresenta-zioni della natura, il principio della canzone, cioè la descrizione di una na-tura senza amore, in contrasto con la situazione del poeta-personaggio,unico essere – vivente e non vivente – che ancora continua a ricevere lavirtù dell’amore.

2. Ora, nella concezione dell’amore che contrassegna la serie delle can-zoni degli anni ’90, non ricevere la virtù dell’amore ha delle conseguenzeben precise. Ricordiamo i fondamentali versi della canzone 5, Amor chemovi, in cui si spiegano le conseguenze del ‘disamore’:

da te convien che ciascun ben si movaper lo qual si travaglia il mondo tutto,sanza te è distruttoquanto avemo in potenza di ben fare:

(Amor che movi 9-12).

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Possiamo così iniziare le nostre riflessioni affermando che con la de-scrizione di una natura «d’amor disciolt(a)» (cfr. v. 34), Io son venuto mo-stra un mondo in cui gli esseri naturali – vegetali e animali – non possonosviluppare ‘quanto hanno in potenza di ben fare’, ragion per cui si trovanoin uno stato vicino alla distruzione e alla morte. Si badi alla ripetizione dellessema –morte nelle strofe terza e quarta: «e tutti gli animali, che songai / da lor natura, son d’amor disciolti, / però che ’l freddo lor spirtoamorta» (vv. 33-35); «e morta è l’erba» (v. 42); «e tanto è la stagion forteed acerba / c’ha morti li fioretti per le piagge» (vv. 47-48). Animali e ve-getali si trovano in uno stato latente, potenziale, che viene caratterizzatocome una pre-morte, in cui le loro potenzialità naturali non hanno la spintanecessaria – quella che dà l’amore – per passare ad atto, e gli esseri sonoquindi tramortiti, fermi o bloccati nel loro sviluppo, nella loro realizza-zione come essere viventi. Tecnicamente si direbbe che né la virtù forma-tiva, nel caso delle piante –quella «che trasse la vertù d’Arïete» (v. 41) –,né il principio generativo, nel caso degli animali, agiscono per garantirela riproduzione del ciclo vitale.

Ma che succede in questa situazione di generale ‘disamore’ agli esserinon viventi, agli esseri solo materiali? Come si manifesta nel caso dellamateria senza anima – sensitiva o vegetativa – la mancanza di amore?Quello che si ripete nelle strofe seconda e quinta, riferite entrambe a ele-menti materiali, è la continua mutazione delle singole ‘nature’, cioè dellecongiunzioni di materia e forma. Nella seconda strofa la sabbia del desertodiventa vento (vv. 14-16), il quale diventa a sua volta nebbia (vv. 17-19),e questa si converte in neve e in pioggia (vv. 20-22):

Sabbia > vento > nebbia > neve > acqua.

Queste mutazioni sono conseguenza di una causa agente esterna allapropria sostanza naturale: il vento nasce dall’arena del deserto a causadel riscaldamento prodotto dal sole (v. 16), e si converte in nebbia perl’azione agente del mare che lo raffredda (v. 17); la nebbia si trasforma inneve a causa dell’effetto del freddo e questa in acqua per il caldo.5 A lorovolta, producono conseguenze, come agenti, in altri elementi materiali

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della natura, come mostrano i verbi di azione o di processi dei quali sonosoggetti grammaticali: «il vento [...] l’aere turba» (v. 15); la nebbia «que-sto emisperio chiude e tutto salda» (v. 19); la pioggia ‘rattrista’ l’aere fa-cendolo più umido (‘piagne’) (v. 22).

Anche nella quinta strofa assistiamo a processi di mutazione anche sein questo caso non formano un ciclo completo. Il vapore sotterraneo («chela terra ha nel ventre», v. 54) si converte in acqua ‘fumifera’ (vv. 53-55);il cammino diventa fiume (vv. 56-57); la terra, pietra (‘smalto’); e l’acquastagnante (anch’essa, significativamente, ‘morta’), ghiaccio (‘vetro’).6

Allo stesso tempo tutti questi processi di mutazione – che, come dice-vamo, provocano incessanti azioni e reazioni: ‘turba’, ‘chiude’, ‘salda’,atrista’, ecc. – comportano processi di spostamento spazio-temporale, dimovimento fisico: ‘Levasi’, ‘passa’, ‘conduce’, ‘cade’, ‘tira’, ecc.

Ora, per considerare bene le implicazioni di questi processi di moto emutazione non dobbiamo dimenticare che tecnicamente si tratta di pro-cessi di ‘tras-formazione’, nei quali una forma sostanziale ‘informata’nella materia si perde per lasciare posto all’‘informazione’ di un’altraforma sostanziale, in un processo la cui concezione continua a produrreserie difficoltà ideologiche in un mondo ancora dipendente dalla sacraliz-zazione feudale. Ricordiamo quel celebre – e bel – verso dell’ ultimocanto del Paradiso in cui si descrive lo scioglimento della neve in acqua:«così la neve al sol si disigilla» (Paradiso XXXIII 64). Il cambiamentoda neve ad acqua si concepisce come la perdita della forma sostanziale (il‘sigillo’) ‘neve’ e la susseguente adozione della forma sostanziale ‘acqua’,cioè come la perdita di una ‘natura’ e la conversione in un’altra ‘natura’differente.7 Il mondo materiale di Io son venuto soffre ripetutamente que-sto processo di ‘tras-formazione’, di ‘dissigillamento’ e ‘sigillamento’ diforme sostanziali. La cosa importante, a nostro parere, è che questi pro-cessi vengono provocati da agenti esterni che producono situazioni di ca-lore e freddo estremo. Non si tratta cioè di processi in cui la sostanzasviluppi sé stessa da potenza ad atto ma di processi che – in un senso chesubito cercheremo di spiegare – provocano la ‘trasformazione’ per mezzo

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di una certa violenza sulla materia che la blocca o fa cambiare la sua na-tura in un senso quasi metamorfico.

In altre parole, in questa canzone la materia – gli esseri non viventi –mostra una speciale fluidità, una particolare tendenza al cambiamento, almoto, alla ‘trasformazione’, in un movimento che, a causa appunto dellamancanza di amore, ha perso la sua ‘teleologicità’ verso il principio, versola forma esemplare perfetta che risiede nella mente divina. Si tratterebbequindi di uno stato dell’universo completamente opposto a quello idealeche descrive Beatrice nel primo canto del Paradiso:

e cominciò: «Le cose tutte quantehanno ordine tra loro, e questo è formache l’universo a Dio fa simigliante.Qui veggion l’alte creature l’ormade l’etterno valore, il qual è fineal quale è fatta la toccata norma.Ne l’ordine ch’io dico sono acclinetutte nature, per diverse sorti,più al principio loro e men vicine;onde si muovono a diversi portiper lo gran mar de l’essere, e ciascunacon istinto a lei dato che la porta.Questi ne porta il foco inver’ la luna;questi ne’ cor mortali è permotore;questi la terra in sé stringe e aduna;né pur le creature che son fored’intelligenza quest’arco saetta,ma quelle c’hanno intelletto e amore.

(Paradiso I 103-120)

L’universo descritto da Beatrice, a causa della somiglianza con Dio, èun ordine e perciò tutte le nature, tutte le congiunzioni di materia e forma,comprese quelle schiettamente materiali, hanno un’inclinazione, un‘istinto’ (v. 114), che le porta naturalmente, come sviluppo interiore, al«principio loro» (v. 111). Questo ‘istinto’ fa sì che nature materiali come

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il fuoco (v. 114), la terra (v. 117) o il fiume (vv. 137-138) abbiano un mo-vimento che potremmo qualificare come ‘naturale’, «a loro dato»: il fuocoverso l’alto, la terra verso la compattezza, il fiume verso l’‘imo’.8 E que-sta, come si vede, è una situazione appunto contraria a quella di Io son ve-nuto, in cui, senza amore, gli esseri viventi, ma anche la materia nonvivente, hanno perso l’‘istinto’ che li porta, «per lo gran mar de l’essere»verso il loro porto (potremmo parlare di un universo naufrago). Nella can-zone, le ‘nature’ mostrano un ‘comportamento’ che può essere definito‘antinaturale’, nel senso che non sviluppano le proprie potenzialità e ilproprio movimento ‘naturale’, ma, per mancanza di amore, si sottomet-tono a ‘tras-formazione’, a processi di ‘dissigillamento’ e ‘sigillamento’,alla perdita della loro forma sostanziale e, con essa, del loro moto ‘istin-tivo’ verso il loro principio e fine. Si tratterebbe quindi di un universoche, mancante di amore, non è più un ‘ordine’ e, persa la sua somiglianzacon Dio, diventa violento e protocaotico (petroso e invernale).

A questo punto, è utile ricordare, con le parole di Juan Carlos Rodrí-guez, la differenza fra ‘movimento naturale’ e ‘movimento violento’ inquesta concezione del mondo:

En consecuencia la noción de Movimiento (y en tanto que con ellael feudalismo transcribe directamente esa idea clave de finalidad:no hay movimiento “puro”, sino siempre movimiento “hacia”… –el teleologismo es indisociable de la lógica feudalizante) la nociónde “Movimiento” aparecerá únicamente aquí concretada en los dostipos de finalismo posibles: finalismo natural (id est: movimientohacia el lugar “propio”) y finalismo (o “movimiento”) violento (oartificial, o falso, etc.).

Dentro de tal lógica, pues, el elemento esencial (tanto por loque respecta al hombre como por lo que respecta a las demás cosassublunares, de los vegetales a las piedras o los astros) de todosellos será obviamente la peculiar finalidad inscrita en su interior.Esa finalidad es en estricto la “sustancia”, la verdad propia de cadacosa: todas están “ordenadas a un fin” y tal “ordenamiento” es la“verdad” de sus vidas (como la verdad de la vida humana es ver

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“finalmente” a Dios, etc.). Pero fijémonos: aceptar esto es aceptarconsiguientemente que la “verdad” de cada cosa (o de cada “hom-bre”) consiste simplemente en el “lugar” que ocupa, en tanto quela noción de “lugar” está sostenida siempre por tal finalismo debase. […] la permanencia en el lugar propio (en la propia “ver-dad”) constituye un elemento básico dentro del orden divino: el“hombre” no puede “usurpar” el lugar del animal; el siervo nopuede usurpar el lugar del señor; el noble no puede usurpar el lugardel obispo, etc. Cada lugar tiene una “finalidad” propia, cada fina-lidad responde a un lugar preciso en el orden divino, y todas lascosas están construidas según la finalidad básica: la necesidad delhombre de servir a Dios en esta vida y (gozarle) en la otra. Porconsiguiente, si el lugar propio “es” la verdad de cada individuo yde cada cosa, el Reposo es el lugar propio (o la tendencia a ese re-poso, cuando el lugar propio se ha perdido) constituirá el estatusverdadero por excelencia para toda esta sistemática ideológica feu-dalizante. A partir de aquí es como el organicismo feudal enunciaránecesariamente al “Reposo” como situación idóneamente verda-dera (tanto para los individuos como para las “cosas”. Y por su-puesto: tanto para los “siervos” como para los “nobles” o“señores”) mientras que, con igual necesidad, tendrá que enunciaral Movimiento (en esencia: al cambio de lugar) como algo que,cuando no responde a la propia finalidad sustancial (por ejemplo;el cambio de lugar del hombre cuando pasa de la “tierra” al“cielo”) tiene que ser visto como una alteración en cierto modosiempre violentadora que exige, por tanto, una explicación. De ahíla dicotomía: movimiento natural es aquel que los hombres o lascosas hacen hacia su lugar natural (así los graves poseen una ten-dencia a moverse hacia el centro de la tierra –que lo era, por tanto,también del universo– concebido como su lugar natural), mientrasque cualquier otro movimiento en otro sentido tenía forzosamenteque considerarse como movimiento violento, etc. (Rodríguez 1990:214-215; corsivi dell’autore).

Il mondo di Io son venuto, dal nostro punto di vista, è un mondo di ‘fi-nalismo violento’, di abbandono del ‘luogo naturale’ e del ‘riposo’ so-stanziale, un mondo ‘alterato’ che non risponde alla propria ‘finalità

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sostanziale’. Le sue ‘trasformazioni’ rispondono tutte alla definizione diviolenza del terzo libro dell‘Etica aristotelica: «Violentum – spiega Tom-maso – autem dicitur, cuius principium est extra, nil conferente eo quivim patitur, ut dicitur in III Ethic.» (Summa Theologica II-II q. 175, a. 1,resp.).9 Le cose naturali si muovono violentemente, non verso il loro prin-cipio interno spinti dalla loro tendenza interna, ma in direzione diversa,a esso spinti da principi esterni e quindi soffrendo la loro stessa forza(«vim patitur»). E tutto ciò, si deve aggiungere, perché una precisa con-giunzione astrale ha provocato la totale mancanza di amore nel mondo.

3. Ritornando al discorso di Beatrice, è chiaro che in esso devono esserespiegati i movimenti ‘violenti’ che troviamo nella natura, come ad esem-pio «cadere / foco di nube» (Paradiso I 133-134), i quali vengono attri-buiti a un difetto della materia, che è sorda e incapace di rispondere a«l’intenzion de l’arte» («Vero è che, come forma non s’accorda / moltefïate a l’intenzion de l’arte, / perch’ a risponder la materia è sorda», Pa-radiso I 127-129), in modo che, allo stesso tempo, essa è non solo il sup-porto – il soggetto – necessario per il ‘sigillamento’ della formasostanziale, ma risulta essere anche un ‘impedimento’ (Paradiso I 140)per lo sviluppo dell’‘istinto’ prodotto dalla forma sostanziale.10 Crediamoche la concezione della materia che soggiace a Io son venuto sia alquantodiversa, per quanto la ‘sordità’ della materia non è una caratteristica pro-pria ed essenziale di essa – una resistenza originale alla forma – ma con-seguenza della mancanza dell’azione in essa della virtù dell’amore.Essendo comunque d’accordo con Vasoli quando afferma che «non è sem-pre agevole indicare con esattezza i rapporti tra le concezioni accettateda D[ante] e le varie dottrine proprie di questo o quel filone della culturascolastica alle quali attinse con notevole libertà e senza la preoccupazionedi una precisa e rigorosa osservanza di ‘scuola’» (Vasoli 1971: 861), pen-siamo che in Io son venuto la rappresentazione di una natura piena di mo-vimenti violenti e in processo di ‘trasformazione’, causati dall’assenza diamore, implichi una concezione della materia che, se amore fosse presentenel mondo, avrebbe il suo sviluppo teleologico naturale e sarebbe piena

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di ‘appetito formale’, cioè sarebbe non solo soggetto passivo della formama agente attivo, spinta da amore, nella realizzazione del suo proprio ‘ap-petito’. Se lo sviluppo della materia verso la perfezione della sua formasostanziale si blocca solamente per l’assenza di amore, questo implicache, retta da amore, la materia non sarebbe ‘impedimento’ ma coadiuvantedel processo ‘naturale’ verso la forma (quello che succede in primavera esotto altre congiunzioni astrali), come lo sono gli altri esseri dotati di‘anima’. In altre parole, la materia non risponderebbe passivamente a‘l’intenzion dell’artista’ ma piuttosto aiuterebbe attivamente la sua (in)for-mazione perché ha di per sé una particolare tendenza verso la forma – piùprecisamente verso un determinato tipo di forma e non altro – ma che,«d’amore disciolt(a)» non ha più la spinta naturale per tendere verso larealizzazione di questa inclinazione. La concezione è diversa da quelladescritta da Beatrice perché in essa l’‘istinto’ degli esseri verso la perfe-zione è conseguenza della forma sostanziale specifica sigillata nella loro‘(in)formazione’. In Io son venuto la forma sostanziale non è sufficientedi per sé a garantire questo ‘istinto’ ma ci vuole l’azione dell’amore chespinga gli esseri alla conservazione e all’evoluzione naturale della forma,compresa la materia non viva. In questo modo, le ‘trasformazioni’ ‘vio-lente’ della natura, le mutazioni da una forma sostanziale a un’ altra – cheimplicano cambiamenti spaziali – degli esseri materiali, indicano unostato ‘disamorato’ del mondo in cui la materia non desidera più la forma,ha perso il suo appetito naturale verso la forma – quello che nella conce-zione di Beatrice della materia come ‘impedimento’ sembra non esistereo non avere importanza teorica.

Come spiega Nardi, «di un appetito da parte della materia verso laforma aveva già parlato Aristotele [Phys. I 9 192a 16ss]», e di esso ave-vano discusso i commentatori (Nardi 1960: 84). Per Tommaso questo ap-petito è semplicemente un altro modo di denominare la pura potenza dellamateria, che «è ordinata alla forma dalla quale attende d’essere attuata»(Nardi 1960: 84), ma per Alberto Magno – e in generale l’aristotelismopiù platonizzante – è una caratteristica della materia diversa dalla sua purapotenzialità e che serve a spiegare la regolarità del cambiamento naturale

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e del divenire, perché non si tratterebbe di un appetito indeterminato –come quello della pura potenza – in cui la materia appetirebbe a qualsiasiforma. Questa concezione implica una materia di per sé desiderante primadel ‘sigillamento’ della forma sostanziale, cioè previamente indirizzatadall’interno verso un determinato tipo di ‘informazione’. Ci vuole cioèuna certa direzione originale nell’appetito della materia per poter conce-pire il mutamento nella natura, e questa direzione è conseguenza del fattoche la materia non è pura potenza ma, possiamo dire, potenza indirizzataverso una determinata forma e non altra, perché in essa si dà originaria-mente la mancanza o ‘privazione’ di quel tipo di forma che è quella chela materia appetisce.11 Si tratta quindi di una materia specialmente neces-sitata dall’azione dell’amore e che garantisca l’evoluzione in senso rettodella sua capacità desiderante, del suo appetito. A nostro parere, Io son ve-nuto descrive un mondo in cui, per mancanza di amore, la materia perdeil suo appetito verso la forma, non desidera più la conservazione e la per-fezione della forma sostanziale dei composti, implicando di conseguenzauna concezione della materia come entità attiva e coadiuvante del suorapporto con la forma, vicina a quella di Alberto Magno e di altri autoriche, senza perdere una concezione aristotelica della natura, mostrano ten-denze platonizzanti.12

Dopo aver spiegato che, per Alberto, «se qualcosa della forma nonfosse già nella materia, questa non appetirebbe quella»13 (Nardi 1960:84), Bruno Nardi cita un passo della Physica molto illustrativo:

Et ideo verissime dicendum est, quod nihil appetit aliud nisi per si-militudinem incompletam quam habet ad ipsum: et ideo appetitcompleri per transmutationem ad ipsum quod appetit... Et ideo talisappetitus <qui> est materiae per mixturam privationis cum ipsaformae habet inchoationem, ad quam transmutari desiderat (Al-berto Magno, Phys. I, tr. e, c. 16; citato da Nardi 1960: 84).

La materia quindi desidera ‘naturalmente’ trasmutarsi in quella formaconfusa o forma imperfetta che porta in sé in modo mancante, come ‘pri-vazione’. Ancora con parole di Nardi:

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Prima dell’attuazione della forma completa, v’è dunque nella ma-teria aliquid perfectionis, aliquid formae; e questo aliquid è ap-punto una inchoatio formae. Ma nell’ultimo passo citato, Albertoaggiunge un’altra cosa: l’appetito costituisce un incominciamentodella forma per mixturam privationis cum materia (Nardi 1960:85).

Così, questa ‘privazione’ originaria della forma genera un desiderioche produce l’inizio o il cominciamento della forma (inchoatio formae):

Privatio, the lack of the form that will be the terminus of motion,is not mere non-being. It is, in fact, an aptitude for form, and thisaptitude for form is something formal that is already in matter […]the aptitude for form is an “imperfect form”, the perfect form beingthe species realized in an individual. The aptitude for form is nota “disposition”, because dispositions are accidental inclinationsthat direct something toward one form rather than toward another.An aptitude for form is rather a generic and imperfect form […].Albert’s point is that this aptitude is something formal already inmatter. This aptitude for form is also called by Albert the “begin-ning of form” (inchoatio formae) […]. And Albert will use otherterms for privation: “imperfect form” (forma imperfecta), “con-fused form” (forma confusa), “power” (potestas), and so forth(Baldner 2013: 174-175).

Si osservi che nella nozione di inchoatio è implicita la dimensione tem-porale che permetterebbe di concepire nel rapporto materia-forma – nelmisterioso atto del ‘sigillamento’ o ‘informazione’ – la possibilità di cam-biamento e trasformazione: «Thanks to this privation, which is mixed inmatter (quae inmixta est materiae), motion and change are possible; wi-thout it the process and flow of some essence to its terminus would not beposible» (Baldner 2013: 177). Come spiega Anna Rodolfi:

La tesi fondamentale attorno a cui ruota il terzo trattato del com-mento di Alberto al primo libro della Physica è invece quella se-condo cui la materia, concepita come puro soggetto indeterminatodella forma, non potrebbe essere concepita anche come principio

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del mutamento e del divenire se non fosse “unita” alla privazione.[...] Essa lascia infatti nella materia una traccia, una aptitudo adformam, senza di cui sarebbe impossibile capire come la materiapossa essere soggetto del divenire. In questo senso la privazionepuò essere considerata come un principio del mutamento, e in par-ticolare un principio secundum quid, in quanto si applica alla ma-teria [...]. Se invece si assume la privazione nel senso più proprio,cioè come relativa a qualcosa che manca ma che per natura po-trebbe essere posseduto dal soggetto di cui si predica, allora essa,unita alla materia, è principio del moto in quanto lascia nella ma-teria una aptitudo, una disposizione, una tendenza verso la forma,in virtù della quale la materia diventa principio del divenire (Ro-dolfi 2004: 105-106).14

Si potrebbe dire quindi che, in questa concezione, il movimento e ilcambiamento sono possibili grazie alla natura desiderante della materia,dovuta al fatto che ha in sé una determinata mancanza originaria.15 Siamocosì davanti a una materia non pienamente passiva, ma che contribuisceattivamente col suo desiderio ai processi di ‘informazione’ e di ‘trasfor-mazione’. In altre parole, la materia non ha in sé solo potentia pura e in-determinata ma anche potestas, cioè, un’abitudine potenziale, unadeterminata attitudine che il termine avvicina a una specie di volontà pro-pria di ogni materia preparata già a una forma particolare, e perciò a unparticolare tipo di moto e mutazione:

In questa potentia habitualis e in questa aptitudo ad actum consistequella potestas la quale [...] è qualcosa di più della semplice poten-tia della pura materia, poiché la potentia della materia prima è in-differente ad esse et non esse, mentre la potestas è potentia stansper actus inchoationem. Alla pura potentia indifferente della ma-teria prima e identica con questa corrisponde appunto la privazioneintesa come semplice negazione pro ea parte qua nihil ponit; in-vece alla potentia habitualis o formalis, che è un’essenza diversadella materia, corrisponde la privazione pro ea parte qua relinquitaptitudinem in subiecto, quae est inchoatio formae in ipso. È gra-zie a questa inchoatio formae e alla privazione, intesa nel secondo

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modo, che la materia prima e comune diventa materia propria diogni forma particolare che viene all’esistenza (Nardi 1960: 88-89;vd. Paz Lima 2012: 49-52).

4. Questa concezione della materia con capacità o potere interno di di-rigere il proprio sviluppo a un fine predeterminato (potestas) avvicina ilsuo desiderio intrinseco a quello umano, nel senso che entrambi implicanouna tendenza verso la perfezione, una voglia di realizzazione e compi-mento, come conseguenza di una originaria mancanza o imperfezione in-teriore:

Quod autem quaeritur secundum quam causam sit illa potestas, di-cendum in veritate est, sicut Averroes dicit, quod est causae forma-lis confusae in materiae confusione: quae tamen similis estpotestari materiae, quae materia non est materia per hoc solumquod est nudum subiectum formae ab omni forma denudatum, sedpotius in materia ad formam per inchoationem formae in ipsa. Etideo dicitur quod materia desiderat formam sicut foemina deside-rat masculum, non inquantum est foemina, sed in quantum est im-perfecta. Nec imperfectum est, sed potens perfici imperfectum;nec perfici potest in quo non est aptitudo ad perfectionem. Aptitudoautem illa necessario aliquid est perfectionis, quia aliter non appe-teret ad perfectionem (Alberto Magno, De praedicabilibus, tr. V,c. 4; citato da Nardi 1960: 83-84; corsivo nostro).

D’altra parte, il desiderio della materia e il desiderio umano hannoanche interessanti punti in comune. Allo stesso modo in cui il desiderioumano è provocato dall‘immagine dell’essere amato nell’immaginazione,che è, allo stesso tempo, una somiglianza dell’essere amato all’amanteper la quale amante e amato si rassomigliano, e una carenza che si devecolmare, ugualmente nella materia le forme confuse o inchoatae sono dauna parte una privazione che si deve riempire, e d’altra parte un’imma-gine, una rassomiglianza confusa della vera forma sostanziale: «las for-mas que están en la materia son llamadas imágenes [imagines], porqueson ecos [imitationes] de las verdaderas formas en cuanto las [distintas]

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materias lo permiten, tal como dice Platón» (Alberto Magno, Met. 1.4.9,citato da Paz Lima 2016: 45). In altre parole, «las formas presentes en lamateria primera no son formas sustanciales ni accidentales, sino más bienimágenes o imitaciones de las verdaderas formas sustanciales que se en-cuentran, aún, fuera de la materia» (Paz Lima 2012: 49). In questo modoesseri umani e materia desiderano qualcosa che hanno in sé e che èun’ombra, una somiglianza di quello che è al di fuori, e che sentono comequalcosa che manca loro e che devono raggiungere.

Come si vede, questa materia (non) desiderante della nostra canzone –cioè intrinsecamente desiderante ma che si ferma, si blocca nel suo desi-derio a causa della non ricezione della virtù dell’amore che la spinge nelsuo desiderare – porta a un parallelismo che non è stato esplorato da unacritica più propensa a indagare il rapporto fra poeta e natura: il paralleli-smo fra natura e donna-pietra. A nostro parere, la donna-pietra, una ‘fem-mina’ che non desidera il ‘maschio’ perché la virtù dell’amore non agiscesu di essa, patisce un processo molto simile a quello sofferto in Io son ve-nuto dalla materia. Come abbiamo spiegato nel nostro lavoro su Al pocogiorno ed al bel cerchio d’ombra (Varela-Portas 2016: 148-153), e nellanostra introduzione al Libro de las canciones (Varela-Portas 2014: 54-64), la donna-pietra – inversione materiale della donna gentile sulla qualeAmore ragiona nella mente del poeta nelle canzoni 2 e 3 – è una donnacorpo che, per il fatto di non avere le anime sensitive e intellettive ‘benposte’ – cioè a causa della sua non nobiltà o ‘viltà’ –, non è in grado di ri-cevere la virtù dell’amore e perciò non riesce a sviluppare le sue poten-zialità intellettuali e sensitive, e rimane immatura, ‘acerba’, cioè non vaavanti nel cammino del proprio compimento e della propria realizzazionee regredisce invece verso la materia, da essere umano a animale, legno epietra. Non essendo capace di desiderare e amare, la donna materia nonsi può completare con il maschio forma, e non può soddisfare la sua im-perfezione originaria. Ora, allo stesso modo in cui la donna, a causa dellasua incapacità a ricevere la virtù amorosa, e quindi privata della possibilitàdi sviluppare la sua anima sensitiva, puro corpo insensibile, retrocedeverso la materialità – in un movimento psicologico tutto violento in

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quanto antinaturale –, così la materia, in Io son venuto, incapace, per man-canza dell’influsso di amore sul mondo, di sviluppare la sua forma con-fusa, incapace di completare la privazione che porta in sé, e cioè incapace,come la donna, di appetire, di desiderare la sua fine, la sua forma sostan-ziale, la sua realizzazione come sostanza, regredisce verso l’informità,verso uno stato, al di là del tempo e del moto teleologico, in cui lascia in-travedere il caos informe sito in fondo a essa. Questo parallelismo puòessere analizzato così:

donna – corpo – anima sensitiva – anima intellettivanatura – materia16 – forma confusa – forma sostanziale.

Questo parallelismo viene confermato per il fatto che per Dante, a que-sta altezza del suo percorso intellettuale, la generazione dell’anima umanae il suo rapporto con il corpo segue un processo simile a quello della ge-nerazione della forma sostanziale nella materia, e, come abbiamo spiegatoin Varela-Portas 2016: 159-162, alla produzione della vis mineralis nellapietra, tutti e tre processi derivanti dall’azione di una virtus formativa ori-ginaria. Secondo Nardi, Dante nel Convivio concepisce – albertianamente– la genesi dell’anima umana come una maturazione che la fa sviluppareda anima vegetativa, a sensitiva e a intellettuale: «la virtù che è nel seme(sia essa la virtù formativa [...] o altro germe da questa distinto) è quellache si fa anima, prima vegetativa, indi sensitiva ed infine intellettiva. Que-sta ritengo sia anche la tesi di Dante nel luogo del Convivio che stiamoesaminando [Convivio IV XXI 1-5]» (Nardi 1960: 41). Questo implica che,seguendo Alberto Magno, «la vegetativa sta alla sensitiva come la potenzaall’atto, nello stesso rapporto sta la sensitiva rispetto alla luce intellet-tuale» (Nardi 1960: 32). Si osservi che, così inteso, il rapporto fra le animeè simile a quello delle diverse forme nella materia: 17 la forma corporei-tatis (capacità della materia di essere corpo, cioè avere estensione, divi-sibilità e quantità) è potenza della forma confusa o privazione (capacitàdella materia di essere corpo di una determinata specie o genere), e questalo è della forma sostanziale che finalmente produce una ‘natura’.18

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La nostra ipotesi – già enunciata nel nostro lavoro su Al poco giorno(Varela-Portas 2016) – è che la donna pietra non è capace di ricevere lavirtù – cioè l’influsso, l’azione – dell’amore – virtù che viene dal cielo –e quindi non sviluppa le sue capacità sensitive né accede a quelle intellet-tuali a causa di un difettoso impianto dell’anima sensitiva sul corpo, cioèa una difettosa sensitività – che si potrebbe attribuire a una azione imper-fetta della «vertù celestiale, che produce [...] l’anima in vita» (ConvivioIV XXI 4).19 In questo modo, non matura verso il suo principio – e fine –formale, ma si blocca nel cammino teleologico verso la propria realizza-zione. In modo similare, ma non identico, la natura di Io son venuto è fon-data su una materia che nel suo stato invernale – fredda come la donna –non matura verso le sue forme sostanziali e resta in uno stato di formaconfusa, soggetta ad agenti che la spingono in direzioni contrarie a quelle‘naturali’ o la bloccano nel suo divenire naturale, come la sabbia – seccae terrea – che finisce come pioggia – umida e acquosa –, o come acquache si ferma nel suo naturale fluire e si congela. Si tratta cioè di un uni-verso fermo o ruotante – ma che gira su sé stesso senza andare teleologi-camente avanti, un universo sregolato e metamorfico. Si ricordi che in ununiverso di forme sostanziali e luoghi naturali la metamorfosi è sempresintomo di disordine e male,20 ed è quindi comprensibile che per Dante lasabbia del deserto che finisce come pioggia in Europa, o i cammini chesi metamorfosizzano in fiumi, la terra in pietra, l’acqua in vetro, ecc.,siano sintomi dell’assenza dell’amore nel mondo.21

5. La situazione, però, come accennavamo, anche se molto simile, nonè identica a quella della donna, perché nella nostra canzone l’assenza diamore non è causata da una sordità intrinseca della materia naturale a ri-cevere la sua virtù, ma è dovuta a una particolare congiunzione astrale,quella descritta nella prima stanza, che allontana il mondo dalla stellad’amor (v. 4) e lo lascia in preda a influssi saturnini – o lunatici (vv. 7-9).22

In altre parole, la donna continuerà a essere acerba e fredda, crudele (cioèviolenta) e ‘pietrosa’ anche in primavera (vd. Al poco giorno 7-12) perchéla sua incapacità a ricevere la virtù dell’amore, per desiderare e amare, è

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intrinseca alla sua natura difettosa – cioè non nobile o ‘vile’ –, alla suaanima non ‘ben posta’, al suo corpo bellissimo e influente (potente, ca-pace di esercitare virtù) come una gemma, ma, come essa, privata dellacapacità di maturare. La natura, invece, non è per sé stessa difettosa epossiede in sé una capacità universale al desiderio – un’attitudine (apti-tudo) verso la forma –, ma nella concezione dantesca questa inclinazione– che dovrebbe garantire la regolarità teleologica della natura – si mettein moto solo grazie all’azione dell’amore nell’universo, il che non si pro-duce nella particolare situazione astrale in cui la canzone colloca ilmondo.

Anche sotto questo aspetto la creazione dantesca non è contraria, macrediamo vicina alla concezione albertiana, secondo la quale è l’influssodelle intelligenze celesti quello che garantisce il passaggio da potenza adatto delle forme inchoatae, cioè la loro conversione in forme sostanziali,e quindi la regolarità del mondo naturale:

El maestro dominico se refiere al proceso de actualización de lasformas incoadas o virtuales haciendo referencia principalmente ala acción de los astros. En efecto, el influjo de los cuerpos celestessobre la materia del mundo sublunar permite la actualización de laforma sustancial incoada, lo cual posibilita la generación del com-puesto. Más precisamente, la acción de actualización de la formaincoada está dada por el movimiento de las inteligencias (formasintelligentiae moventis) y por la acción de las formas puras (formasstellarum orbis) que, a través de los cuerpos, ponen en acto a la vir-tud formativa presente en la materia prima.

Alberto Magno expresa reiteradas veces el axioma opus naturaeest opus intelligentiae. Mediante esta premisa no solo se refiere ala inteligencia divina que crea el mundo, sino que alude más biena la inteligencia celeste que, con su movimiento, actualiza la inco-hatio formae [sic] y la virtus formativa latentes germinalmente enla materia primera (cf. Met. 11.1.8) (Paz Lima 2016: 44).23

Sembra quindi che Dante immagini una situazione astrale in cui i cielinon garantiscono la regolarità teleologica del movimento nel mondo per-

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ché – e questa è la sua invenzione filosofico-poetica – lo privano dell’in-flusso dell’amore e quindi della sua capacità desiderante,24 o, in altri ter-mini, che Dante con la canzone pretenda di indagare le conseguenzefisiche e biologiche della mancanza di amore – e quindi di desiderio, diappetito – nel mondo, che lo porta alla ‘violenza’ e alla irregolarità. Ilfatto è che, in ogni caso, ciò che abbiamo definito ‘l’impotenza di Amore’(Varela-Portas 2014: 50-55) arriva al suo estremo in quanto non è soloimpotenza sulla donna, ma impotenza su tutta la natura.

6. Questo è appunto l’effetto principale che viene provocato dal situarela canzone come ultima delle petrose invernali. Infatti, se consideriamol’ordinamento delle petrose nella serie – o Libro – delle canzoni ‘distese’come non casuale, ma voluto da una mente rettrice, possiamo vedere chel’effetto fondamentale che produce la successione è appunto quello di ac-centuare l’impotenza di Amore e i suoi effetti negativi nel poeta e nelmondo. A nostro parere, il passaggio dalla canzone 7, Al poco giorno, allacanzone 8, Amor tu vedi ben, intensifica da una parte, le caratteristiche ne-gative della donna, e, dall’altra, gli effetti perniciosi sul poeta. Al pocogiorno si sofferma innanzi tutto sull’insensibilità gelata di lei, sulla suabellezza ‘potente’ che domina la mente del poeta, e sull’ossessione amo-rosa di lui, sottomesso al potere – alla virtù – della ‘pietra’. Amor tu vediben, invece, descrive gli effetti fisici e psichici di questa ossessione pro-vocata dalla bellezza di lei, cioè l’inizio del suo stesso processo di pietri-ficazione, e mette in risalto non solo la freddezza della donna, come fa lacanzone 7, ma anche la sua crudeltà e oscurità, e specificatamente del suocuore. In questo modo viene dato un maggiore rilievo all’impotenza diAmore sulla donna, che si esplicita saldamente nei primi versi della can-zone («questa donna / la tua vertù non cura in alcun tempo», Amor tu vediben 1-2) e il cui luogo di maggiore manifestazione è il cuore della donna,«ove non va tua [dell’amore] luce» (Amor tu vedi ben 39). Ora il passag-gio dalla canzone 8 alla canzone 9 fa sì che l’impotenza di Amore si mo-stri su tutta la natura, animali, vegetali e materia formata, e diventi unaspecie di condizione universale, di male generale inevitabile. A questo si

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aggiunge l’annuncio, negli ultimi versi della canzone, dell’esito finaledella storia di disamore, della conseguenza finale dell’impotenza diAmore, che è la definitiva e totale pietrificazione del poeta-personaggio,convertito in marmo.

L’impotenza di Amore, inoltre, si accresce se consideriamo che Io sonvenuto, collocata, come canzone 9, proprio dopo Amor tu vedi ben, im-plica il fallimento della preghiera, della supplica, rivolta a Amore in que-sta canzone.25 Non si deve trascurare il fatto che Amor tu vedi ben ècostruita, come Amor che movi e con opposto parallelismo a essa, comeun’argomentata richiesta di favore a Amore. Lasceremo per il prossimolavoro su Amor tu vedi ben l’analisi delle differenze e delle similitudiniargomentative fra le due canzoni, ma vorremmo sottolineare qui chel’amore delle petrose non è solo l’ «Amor che movi tua vertù dal cielo»(Amor che movi 1), il «signor di sì gentil natura / che questa nobiltate /ch’aven qua giuso e tutt’altra bontate / leva principio della tua altezza»(Amor che movi 46-49), ma, ancora più ampiamente, è «Vertù che·ssèprima che tempo, / prima che moto o che sensibil luce» (Amor tu vediben 49-50). Questo appello ad Amore è capitale – e sorprendente – perchéimplica la teologizzazione dell’amore, la sua identificazione con Dio.26

Questi versi danteschi fanno riferimento, a nostro parere, all’iniziodella Genesi.27 Si osservi che l’espressione ‘prima che tempo’ è in se unossimoro, ma, leggendo il misterioso inizio della Genesi sembra infattiche ci sia stato un principio ‘prima’ del tempo:

In principio creavit Deus caelum et terram. Terra autem erat inaniset vacua, et tenebrae erant super faciem abyssi: et Spiritus Dei fe-rebatur super aquas.

Dixitque Deus: Fiat lux, et facta est lux. Et vidit Deus lucemquod esset bona: et divisit lucem a tenebris. Appellavitque lucemDiem, et tenebras Noctem: factumque est verpere et mane, diesunus.

Si osservi che, a un primo sguardo, sembra che ci sia nella creazioneun principio precedente alla creazione della luce sensibile,28 e con essa

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della distinzione giorno-notte, sera-mattina, e quindi del tempo e dellasua conseguenza, il moto. Uno stato in cui, anche se non si può ancora direche stia operando la voce di Dio, il Verbo, che inizia la sua azione creandoluce, tempo e moto, nel primo giorno, esiste già, secondo la Genesi, loSpirito di Dio che si muove sulle acque, e che, a nostro parere, Dantenella canzone identifica con Amore. Non ci soffermeremo qui sulla que-stione del tempo nella creazione, cioè sul dubbio se quel ‘prima’ deltempo implichi successione o precedenza cronologica, o soltanto logica,come voleva Agostino, ma presteremo attenzione a ciò su cui non c’eradubbio, cioè all’idea che quel momento o stato precedente, logicamenteo cronologicamente la luce, il tempo e il moto, era quello della materia in-forme e che quindi la creazione avrebbe avuto due momenti o stati, quellodella creazione della materia informe o pre-formata, e quello – o quelli –dell’informazione delle diverse nature dell’universo. Come spiega Ago-stino nel De Genesi ad litteram:

Haec enim consideratio suasit (quoniam manifestum est omne mu-tabile ex aliqua informitate formari) simulque illud et catholicafides praescribit, et certissima ratio docet, nullarum naturarum ma-teriam esse potuisse, nisi ab omnium rerum non solum formata-rum, sed etiam formabilium inchoatore Deo atque creatore, de quaetiam dicit et quaedam Scriptura, Qui fecisti mundum ex materiainformi [Sap. 11, 18], han materiam illis verbis, quibus quo spiri-tuali prudentia tardioribus etiam lectioribus vel auditoribus con-grueret, fuisse commemoratam, quibus ante dierum enumerationemdictum est, In principio fecit Deus caelum et terram, etc., donec di-ceretur Et dixit Deus, ut deinceps formatarum rerum ordo conse-queretur (Agostino, De Genesi ad litteram, I XIV 28; San Agustín1969: 492-493).

Anche se la maggioranza dei Padri della Chiesa concepiva che «al mo-mento della creazione, la materia era una sorta di massa caotica nellaquale erano contenuti in modo indistinto tutti gli elementi» (Rodolfi 2004:155), per i teologi principali del tempo di Dante, sulla scia di Agostino,questa materia della creazione porta in sé alcun tipo di forma. La versione

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più rilevante di questa preformazione della materia è quella di Alberto edi Tommaso, per cui questa è già una materia elementare, informata giàcon le forme degli elementi. La versione più debole sarebbe quella di Bo-naventura, per il quale la materia della creazione sarebbe preformata conla forma corporeitatis – come suggerirebbe la distinzione della Genesifra terra e cielo – e quindi avrebbe in sé un appetito interno che la inclinaverso l’acquisizione delle forme successive (vd. Rodolfi 2014: 158-164).In ogni caso, la cosa interessante per noi è che, secondo i teologi che ri-fiutano l’idea del caos primordiale, la materia che precede la luce, il tempoe il moto è, in qualche modo, già una materia desiderante la forma, unamateria con appetito verso la forma, sulla quale lo Spirito di Dio, l’Amore,ha agito dal principio («Spiritus Dei ferebatur super aquas»)29 e può – do-vrebbe – continuare a agire sempre.

In altre parole, quello che sta dicendo Dante a Amore col suo appella-tivo di Amor tu vedi ben 49-50 potrebbe parafrasarsi nel seguente modo:«Tu che, come Spirito di Dio, sei una virtù in grado di agire non solosull’universo formato o creato ma anche sulla materia informe o prefor-mata della quale questo universo è stato creato...» Lasceremo per l’analisidi Amor tu vedi ben la conseguenza immediata e necessaria di questi versi,che è l’identificazione del cuore della donna-pietra con la materia informeo preformata, base materiale della creazione dell’universo, e alla qualenon arriva la luce dell’Amore-Spirito di Dio, e ci limiteremo a indicaredue conseguenze secondarie, ma interessanti, di essi. In primo luogo, l’in-nalzamento di Amore da virtù cosmica a virtù precosmica enfatizza, e faancora più tragica, la sua effettiva impotenza. In secondo luogo, la collo-cazione di Io son venuto, come canzone 9, immediatamente dopo Amortu vedi ben, e cioè dopo la preghiera a una virtù precosmica che dovrebbeessere capace di agire sulla materia persino nelle più radicali condizionidi ‘disinformazione’, implica un fallimento di Amore – e del poeta nellasua supplica – di dimensioni e portata, diremmo, ‘esistenziali’. Ci tro-viamo davanti a un Amore che, teoricamente, pur capace di agire sullamateria informe o preformata, non riesce invece neanche a conservare laregolarità intrinseca – l’ordine – dell’universo formato perché non riesce

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a stimolare la capacità desiderante – autoformativa – della materia, nonriesce cioè a mantenere le fondamenta su cui si basa l’esistenza o sussi-stenza del mondo creato, che regredisce così a stati che insinuano o sug-geriscono la sua informità originaria.30 L’impotenza di Amore, in questomodo, arriva al punto di mostrare la debolezza o spaccatura non visibilesu cui è stato creato l’universo materiale. Con l’invenzione di una donnae di una natura radicalmente aliene all’Amore, e con la concezione del-l’Amore come una forza cosmica e precosmica ma in pratica impotentenella sua azione sul mondo, Dante porta la sua indagine poetica e filoso-fica sulla materia al cuore stesso della contraddizione di base che sostienela creazione dell’universo, o, per dirla con le parole del suo tempo, alcuore stesso del suo mistero.

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NOTE

1 La studiosa adduce come esempio le seguenti parole di Johannes Bartuschat:«il paesaggio acquista una concretezza quasi scientifica e una qualità sublimeche ne fa lo specchio delle emozioni umane: il paesaggio non è più semplice ter-mine di paragone, ma la passione trova il suo corrispondente nella grandezza enella violenza degli eventi naturali» (Bartuschat 2009: 25).

2 Il termine è significativo: non ‘oppone’ o ‘contrasta’, ma solo ‘giustappone’.3 Sulla congiunzione astrale opposta a quella della nascita di Dante, vd. Dur-

ling-Martinez 1990: 81-92.4 La nostra analisi della canzone sarà da questo punto di vista parziale. Lasce-

remo per altri lavori lo studio degli effetti psichici della situazione nel poeta-per-sonaggio e le conseguenze di questo interessante parallelismo prodotto da causeopposte.

5 Come spiegano Barbi e Pernicone, Dante non specifica «un particolare scien-tifico che è facile sottintendere: il raffreddamento del vapore acqueo prima disciogliersi in neve o in pioggia. Cfr. S. Tommaso, Comm. Meteor., l. 1, lect. 13:«Sic igitur, deficiente calore calefaciente et elevante vaporem aqueum, vaporaqueus redit ad naturam suam, coadiuvante etiam frigiditate loci; et sic infrigi-datur; et infrigidatus, inspissatur et inspissatus cadit in terram”» (Barbi-Perniconein Alighieri 1969: 547, ad locum).

6 Si badi come il procedimento metaforico metta in risalto il processo di mu-tazione: acqua > ghiaccio > vetro. Approfittiamo dell’osservazione per anticipareun’idea a nostro parere molto importante e che svilupperemo nel nostro prossimolavoro su Amor tu vedi ben (già esposto e dibattuto nell’incontro del gruppo Ten-zone del 2016): quello che in questa canzone sta succedendo con gli elementinaturali, il processo di cambiamento e mutazione, il moto continuo, è quanto siriproduce a livello di linguaggio poetico nella canzone precedente, in cui però sitratta di dare a quel moto metaforico delle parole rime un ordine teleologico dicui la natura di Io son venuto è carente, come vedremo subito.

7 «si disigilla, cioè perde la propria natura, l’impronta (il sigillo) che le dàforma, ritornando acqua» (Chiavacci Leonardi in Alighieri 2005b: 916, adlocum). Anche se, come interpretano alcuni, come Mattalia, dopo la perdita del‘sigillo’ resta «il nudo suggetto», «la materia elementare» (Mattalia in Alighieri

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19894: 636, ad locum), questa materia elementare è anche una congiunzione dimateria e forma – forma acqua – producendosi un processo di ‘tras-formazione’.

8 Questo fiume che «d’alto monte scende giuso ad imo» (Paradiso I 138) con-trasta fortemente con l’acqua morta della nostra canzone (v. 60). Per un’analisidella descrizione di Beatrice ci si consenta di rinviare a Varela-Portas 1997, di-sponibile in rete in open access sul sito web delle riviste complutensi (anche inacademia.edu):https://revistas.ucm.es/index.php/RFRM/article/view/RFRM9797220457A.

9 «Forzato è l’atto il cui principio è esterno, tale cioè che chi agisce, ovverosubisce, non vi concorre per nulla: per esempio se trascinati da qualche parte daun vento o da uomini che ci tengono in loro potere» (Aristotele, Etica Nicoma-chea III, 1, 1110a; Aristotele 2014: 111).

10 La spiegazione di Beatrice si deve senz’altro mettere in rapporto con quelladi Paradiso XIII 67-78: «La cera di costoro [le cose generate] e chi la duce / nonsta d’un modo; e però sotto ’l segno / idëale poi più e men traluce. // Ond’elli av-vien ch’un medesimo legno, / secondo specie, meglio e peggio frutta; / e voi na-scete con diverso ingegno. // Se fosse a punto la cera dedutta / e fosse il cielo insua virtù supprema, / la luce del suggel parrebbe tutta; / ma la natura la dà semprescema, / similemente operando a l’artista / ch’a l’abito de l’arte ha man chetrema.» (Si veda anche Paradiso I 41-42 e VIII 128). Dobbiamo però chiarire chele due spiegazioni si riferiscono a momenti diversi: quella di Paradiso XIII al mo-mento della creazione; quella di Beatrice invece alla creatura già formata e nelsuo sviluppo verso la realizzazione. Si notino i diversi termini della similitudine:In Paradiso XIII Dio=artigiano; cieli=man dell’artigiano; creatura=prodotto ar-tigianale; in Paradiso I, Dio=artigiano; materia=materiale di lavoro dell’arti-giano; creatura=prodotto artigianale. Mentre in Paradiso XIII la maggiore ominore perfezione del ‛sigillamento’ formale si attribuisce allo stato della materia,da una parte, e all’azione celeste, dall’altra parte, nel discorso di Beatrice la dif-ficoltà del movimento teleologico imposto dalla forma sostanziale è tutto attri-buito alla resistenza della materia.

11 «La forma debe pre-existir en la materia para que, en efecto, la materia seincline hacia una forma determinada y no hacia otra, permitiendo que la materiadesee transmutarse en este compuesto y no en cualquier otro. Así, “la forma estáen la materia como potencia formal y efectiva… en la materia existen ciertosprincipios formales y efectivos [quaedam principia formalia et effectiva], que

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hacen que la materia sea materia de ‘esto’ o de ‘aquello’, según la analogía/ pro-porción que tenga [la materia] hacia ‘esta forma’ o ‘hacia aquella’”» (Paz Lima2012: 47).

12 Su questo aspetto, si veda Rodolfi 2004: 111, nota 45. Da una parte Albertorifiuta l’idea platonica e antiaristotelica di un dator formarum esterno alla materiae concepisce aristotelicamente la generazione della forma come una eductio for-marum interna alla materia. Ciononostante, come vedremo, in alcuni dei suoitesti accetta l’intervento astrale nella generazione della virtus formativa internaalla materia (Paz Lima 2016: 44-47; Rodolfi 2004: 112-120).

13 «Nisi aliquid formae esset intra materiam, non appeteret materia formam etfinem» (Phys. I, tr. 3, c. 9; citato da Nardi 1960: 84). Si badi che il testo albertianospecifica «formam et finem»: la materia non desidererebbe la sua forma e la suafinalità.

14 «et gratia illius privationis quae inmixta est materiae supra ostendimus quodmateria subiicitur motui et mutationi; quia aliter non salvaretur processus et flu-xus alicuius essentiae in terminum motus; omnis autem mutatio et motus est quo-dam ens formale fluens ad terminum qui est perfecti mobilis in quantum moveturad ipsum; substantia autem materiae non fluit, sed permanet […]. Ex omnibus hissequitur, quod materia non subicitur motui nisi in quantum inmixta est privationi,una numero cum ipsa» (Alberto Magno, Phys. I, 3, 9; citato da Rodolfi 2004:107). Si veda anche Nardi 1960: 90-93.

15 Ma, come spiega Rodolfi, non si devono confondere «sul piano dell’essere»materia e privazione (Rodolfi 2004: 109, nota 40). Ad esempio nei corpi celestila materia è senza ‘privazione’ e perciò essi sono immutabili.

16 Questo stato incipiente della materia porterebbe già in sé un primo barlumedi forma, la cosiddetta forma corporeitatis che segna la capacità della materia diessere divisa e quantificabile.

17 «Nel saggio su L’origine dell’anima umana secondo Dante, ho dimostratocome Alberto Magno fondasse la sua spiegazione ultima dell’origine dell’animasulla dottrina dell’inchoatio formae, accolta nell’opuscolo De natura et origineanimae. Secondo l’insegnamento di Alberto, “etiam in homine inchoatio vege-tativi est in materia et in esse primo substantiae animandae, et inchoatio sensibilisest in vegetativo, et inchoatio rationalis in sensitivo est”, di modo che “extensio-nes earum [potentiarum] ad formas erunt exitus inchoativae formae ad formamcompletam et distinctam”» (Nardi 1960: 95). Nel Convivio, le idee di Dante sulla

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materia non sono sufficientemente specifiche come per ascriverle a una conce-zione albertiana o tomista. In Convivio II XIII 7 usa la nozione di ‘privazione’ main un senso generico senza che si possa discernere se si riferisca alla privazioneassoluta o a quella di una forma incoata, anche se si può osservare che Dantemette questa nozione in rapporto con la questione del moto studiata dalla scienzanaturale. In Convivio II XIV 10, si fa una menzione molto generica delle «cose na-turali corruttibili, che cotidianamente compiono la loro via, e la loro materia simuta di forma in forma». In Convivio III IV 7 e III VI 6 si allude alla resistenza odisposizione della materia a ricevere la forma umana individuale ed essere quindisoggetto di bellezza.

18 Un’altra somiglianza potrebbe venire data dalla partecipazione degli astri,delle intelligenze celesti, alla generazione sia del corpo umano sia della materiapre-formata. Secondo Dante, nel passo già citato del Convivio, il corpo umano siforma per l’azione sulla complessione di una «vertù formativa», che producel’anima vegetativa, e una «vertù celestiale», che produce l’anima sensitiva(«l’anima in vita»). Alberto Magno è contraddittorio nella sua concezione del-l’origine delle formae inchoatae nella materia. Nella Summa theologiae (2. 1. 4)e nella Physica (1. 3. 11) «sostiene que la incohatio [sic] y la virtus formativa esintroducida (influxa) desde las estrellas y los cielos en la materia de los entes»(Paz Lima 2016: 44), in un processo di fecondazione simile alla formazione delcorpo umano, come spiega Anna Rodolfi (senza però far notare la contraddizionefra l’idea di una virtù formativa derivata dagli astri, di stirpe platonica, e la dot-trina della eductio formarum di radice aristotelica): «Per spiegare come avvienela generazione delle cose, Alberto segue dunque la dottrina della eductio forma-rum. All’originario impianto aristotelico di tale dottrina egli aggiunge un riferi-mento al sistema delle intelligenze celesti, di derivazione neoplatonica. Leintelligenze celesti, spiega il maestro tedesco nella Summa theologiae, fecondanocon la loro virtus formativa la materia, infondendovi forme allo stato iniziale (in-choatae) le quali poi si sviluppano con l’aiuto dell’agente estrinseco. Questi prin-cipia formalia et effectiva presenti nella materia risultano dalla cooperazione ditre principi. Nella materia, afferma Alberto, esistono dei principi formali che de-terminano la materia a divenire materia propria di una cosa piuttosto che di un’al-tra, in base alla proporzione che essa ha rispetto a una forma. Tali principi sonodovuti alla concomitanza di tre fattori: in primo luogo la virtù celeste, nella qualerisiede la virtù del primo motore e in base a cui i principi che sono nella materiala modificano all’attuazione verso questa o quella specie; in secondo luogo la

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virtù degli elementi, e infine la virtù del generante, ovvero del seme, da cui si rea-lizza la generazione [Summa theologiae II, tr. 1, q. 4]» (Rodolfi 2004: 116; vd.Nardi 1960: 89). La somiglianza con il processo di generazione umana descrittoda Dante nel Convivio è palese. Tuttavia, nel quarto capitolo del De Universali-bus, Alberto è chiaro nell’affermare che «todas las formas son educidas de la ma-teria y no son dadas por un dador externo [datore extrinseco]» e nel contrapporre«la tesis de la eductio formarum a la tesis del dator formarum y afirma que la in-coación no es infundida por ningún agente extrínseco, sino que proviene de lapropia potencialidad de la materia» (Paz Lima 2016: 44). Come conclude la stu-diosa argentina, «En suma, por un lado pareciera ser que la incohatio formae[sic] y su propiedad formativa provienen de la inteligencia universal celeste que,desde un principio, conoce las formas de todas las cosas e infunde la incoaciónen la materia primera. Por otro lado, en cambio, el maestro dominico sostiene quela incoación de la forma proviene de la propia potencialidad de la materia y node un agente extrínseco. Alberto no asume una posición definida respecto al ori-gen de esta formalidad en la materia del mundo sublunar. Sí, en cambio, es uní-voca su postura respecto a la actualización de las formas incoadas y de la virtusformativa, al sostener que son puestas en acto principalmente mediante el influjode los cuerpos celestes» (Paz Lima 2016: 47). È una questione chiave per deci-dere il grado di platonismo e di aristotelismo nella concezione di Alberto, e po-trebbe, sotto questo aspetto, essere trasferita anche a Dante e alla sua concezionedell’anima umana nel Convivio.

19 Si ricordi che, come osserva Nardi, «Secondo la maggiore o minore puritàdell’anima ricevente, l’intelletto possibile, in essa ricevuto, è più o meno astrattoe libero delle ombre corporee e, quindi, più o meno atto e sufficiente a riceverela divina illuminazione» (Nardi 1960: 43). Un’anima sensitiva non pura produceun intelletto possibile – una capacità intellettuale – meno capace, con meno ‘pos-sibilità’.

20 «la metamorfosis resultaba muy difícil de pensar para el Organicismo. El tra-vestismo metamorfoseador, desde el vestido a los cuerpos, necesita una serie decondiciones básicas: en primer lugar que las formas “no” sean sustanciales;como ocurre igualmente respecto a la noción –correlativa a la metamorfosis– de“experimentación” o de “manipulación” de la naturaleza, etcétera. […] En el Or-ganicismo, en cambio, la manipulación, el travestismo, la metamorfosis, se hacenmuy difíciles: ¿cómo podría metamorfosearse una forma sustancial?» (Rodríguez1990: 201-202).

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21 Si ricordi che in Inferno XXV Dante usa la metamorfosi, intesa come de-gradazione fisica, come rappresentazione della degradazione etica e civile. Inquei versi, si mostra molto cosciente della difficoltà di concepire – e poetare – lametamorfosi all’interno di una concezione ilomorfista: «Taccia di Cadmo ed’Aretusa Ovidio, / ché se quello in serpente e quella in fonte / converte poetando,io non lo ’nvidio; // ché due nature mai a fronte a fronte / non trasmutò sìch’amendue le forme / a cambiar lor matera fosser pronte.» (Inferno XXV 97-102). Come spiega Mattalia: «L’originalità dell’invenzione dantesca è dunquenella formula filosofica da cui parte, per cui il “miraculum rei” non è tanto o solonel fatto in sé, quanto nel suo urtare contro quanto filosofia e scienza (ma i duetermini, effettualmente, si equivalgono in Dante) ammettono come possibile econcepibile.» (Mattalia, ad locum, in Alighieri 1975a: 504).

22 Da questo punto di vista, non cambia nulla sia che si identifichi il «pianetoche conforta il gelo» (v. 7) con la Luna sia (secondo noi più giustamente) con Sa-turno, visto che entrambi esercitano sul mondo influssi malefici o deformanti.Non ci soffermeremo qui sulla questione cronologica, ma vorremmo suggerireche usare la congiunzione astrale della prima stanza per la datazione della can-zone (e in questo senso l’inverno del 1296 sarebbe soltanto un terminus postquem) implica il concedere a essa un alto grado di valore autobiografico, cioè nonconcepirla come un’autofinzione ma come il risultato di un’esperienza veramenteaccaduta in quei termini a Dante autore.

23 «in nessun luogo della sua produzione il maestro tedesco sembra esprimeredubbi sul fatto che il mondo sublunare sia governato da influssi trasmessi dalleintelligenze preposte al movimento dei cieli, le quali, piene di forme, si servonodei movimenti celesti come di uno strumento per produrre nella materia quelleforme che esse contengono in sé come strutture esemplari. Il ruolo che Albertoriserva alle intelligenze è un modo per assicurare l’ordine degli enti e la regolaritàdei processi naturali: alla causalità delle intelligenze celesti si connette dunqueil senso dell’assioma opus naturae est opus intelligentiae coniato dal maestro diColonia e frequentemente ripetuto nella sua opera. [...] Nella Physica, poi, Al-berto precisa che le intelligenze esercitano un’influenza decisiva sulla realtà fi-sica, facendo passare all’atto, attraverso il movimento di stelle e pianeti, le formedi cui la materia ridonda [...]. La versione che Alberto dà della dottrina dell’in-choatio formae compone insomma in un quadro unitario due elementi distinti: dauna parte, l’idea che la materia possieda in modo intrinseco e in germe un ele-mento attivo e formale (aliquid formae) che spiega in concreto il processo di ge-

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nerazione e corruzione; dall’altra la necessità di supporre un principio di ordineche presiede in generale a tale processo e che Alberto individua nel sistema delleintelligenze celesti. Ma appunto tali intelligenze si limitano per lui a garantire laregolarità del mondo naturale e non sono affatti agenti di causalità esterna, nétanto meno elargiscono le forme alla materia (diversamente dal dator forma-rum).» (Rodolfi 2004: 117-118).

24 Si ricordi che anche in Poscia ch’Amor sono gli astri la causa dell’assenzadi leggiadria – e quindi di amore, visto che la leggiadria è composta di sollazzo,amore e opera perfetta – nel mondo: «Ancor che ciel con cielo in punto sia / cheleggiadria / disvia cotanto e più di quant’io conto» (Poscia ch’Amor 58-60).

25 Ma anche il fallimento – l’abbandono – della forma sestina, cioè dell’intentodi con-formare la materia poetica con una forma dipendente dal significato, comevedremo nel nostro prossimo lavoro, in preparazione, su Amor tu vedi ben.

26 «Invece per quanto riguarda la volontà, oltre ai termini diligere e amare,che stanno a indicare la relazione di chi ama con la cosa amata, non furono co-niate altre parole che esprimessero il rapporto esistente tra l’affezione, o impres-sione suscitata dall’oggetto amato, e il principio [interiore] da cui essa emana, oviceversa. Quindi per questa deficienza di vocaboli, tali rapporti vengono an-ch’essi indicati con i termini amore e dilezione; ed è come se uno desse al Verboi nomi di intellezione concepita; o di sapienza generata. Concludendo, se nei ter-mini amor e diligere si vuole indicare solo il rapporto alla cosa amata, essi si ri-feriscono all’essenza divina, come intellezione e intendere. Se invece usiamoquesti stessi termini per indicare i rapporti esistenti tra ciò che deriva o procedecome atto e oggetto di amore e il principio correlativo, in modo che amor sial’equivalente di amore che procede, e diligere l’equivalente di spirare l’amoreprocedente, allora Amore è nome di persona e diligere o amare è termine nozio-nale, come dire e generare.» (Tommaso, Summa theologiae I, q. 37, a. 1, sol.)

27 E ringrazio Carlos López Cortezo per avermi indicato le relazioni tra materiaprima e creazione, chiave per le sue indagini, ancora in corso, sulla selva oscuracome rappresentazione della materia prima.

28 Crediamo che la specificazione della luce come ‘sensibile’ risponda a unainteressante sottigliezza teologica, visto che questo principio della Genesi sem-brava contraddirsi con l’inizio del Vangelo di San Giovanni: «In principio eratVerbum, Et Verbum erat apud Deum, Et Deus erat Verbum. Hoc erat in principioapud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: Et sine ipso factum est nihil, quod fac-

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tum est. In ipso vita erat, Et vita erat lux hominum: Et lux in tenebris lucet, Et te-nebrae eam non comprehenderunt» (Giov. 1, 1-5). Dante sembra alludere all’esi-stenza della luce intelligibile, cioè il Verbo divino, fin dal principio, cioè primaancora che Dio lo usi per la creazione delle cose sensibili («Dixitque Deus»).

29 L’acqua, appunto per la sua capacità di cambiare forma, era rappresentazionedella materia informe, come spiega Agostino nel De Genesi ad litteram: «Sed sicredibiliter dicitur eam significari illis verbis, Terra autem erat divisibilis et in-composita, et tenebrae erant super abyssum: et Spiritus Dei superferebatur superaquam; ut excepto quod ibi positum est de Spiritu Dei, caetera rerum quidem vi-sibilium vocabula, sed ad illam informitatem, ut tardioribus poterat, insinuandamdicta intelligamus; quia haec duo alementa, id est terra et aqua, ad aliquid facien-dum operantium manibus tractabiliora sunt caeteris, et ideo congruentius istisnominibus illa insinuabatur informitas» (Agostino, De Genesi ad litteram I XV30; San Agustín 1969: 495; ma si veda anche, ad esempio, le Distinctiones diAlanus de Insula: «Aqua [...] Dicitur etiam primordialis materia, quia sicut humormateriam praestat omni rei corporeae, sic illa primordialis materia corpori omni.Et sicut aqua cujuslibet rei cui infunditur formam capit, sic illa materia apta eratrecipere omnes formas»; Alanus de Insula 1844-1891: 704). Non è quindi sor-prendente che nella nostra canzone le trasformazioni delle strofe seconda e quintacoinvolgano in un modo o nell’altro l’acqua. A nostro avviso è un modo di allu-dere all’informità intrinseca della materia che le ‘trasformazioni’ permettono diintuire.

30 Come spiega Dante nel Convivio, solo si può trattare della materia prima permezzo dei loro effetti, visto che è inconoscibile per l’intelletto umano: «Onde èda sapere che di tutte quelle cose che lo ’ntelletto nostro vincono, sì che non sipuò vedere quello che sono, convenevolissimo trattare è per li loro effetti: ondedi Dio, e de le sustanze separate, e de la prima materia, così trattando, potemoavere alcuna conoscenza» (Convivio III VIII 15). A nostro parere, Io son venutotratta dell’informità insita nella materia appunto attraverso i suoi effetti, più per-cepibili quando l’universo è ‘disamorato’.

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