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Università degli Studi di Bologna FACOLTÀ DI INGEGNERIA Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria delle Telecomunicazioni Propagazione LS-B ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING APPLICABILI ALLA RADIOASTRONOMIA E STUDIO DELL’IMPLEMENTAZIONE DELLA KLT (KARHUNEN-LOÈVE TRANSFORM) PER SCHIERE DI ANTENNE Tesi di Laurea di: Relatore: GIOVANNI NALDI Chiar.mo Prof. Ing. GABRIELE FALCIASECCA Correlatori: Dott. Ing. MICHELE BOSCHI Dott. Ing. STELIO MONTEBUGNOLI Anno Accademico 2005-2006

ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

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Page 1: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Università degli Studi di Bologna

FACOLTÀ DI INGEGNERIA

Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria delle Telecomunicazioni Propagazione LS-B

ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING APPLICABILI ALLA

RADIOASTRONOMIA E STUDIO DELL’IMPLEMENTAZIONE DELLA KLT (KARHUNEN-LOÈVE TRANSFORM) PER

SCHIERE DI ANTENNE

Tesi di Laurea di: Relatore: GIOVANNI NALDI Chiar.mo Prof. Ing. GABRIELE FALCIASECCA Correlatori:

Dott. Ing. MICHELE BOSCHI Dott. Ing. STELIO MONTEBUGNOLI

Anno Accademico 2005-2006

Page 2: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

PAROLE CHIAVE

Radio astronomia

Beamforming

Array di antenne

MVDR (Minimum Variance Distortionless Response)

KLT (Karhunen-Loève Transform)

Page 3: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

259

RINGRAZIAMENTI

Eccomi giunto alla fine di questo lungo e faticoso percorso che ha portato al

completamento della mia, speriamo interessante, tesi di laurea.

Eh sì, sembra difficile da credere, ci ho lavorato per ben 10 mesi!!

Non mi resta quindi che ringraziare le persone che mi hanno aiutato e sostenuto in

questo periodo. Il primo grazie mi sembra doveroso esprimerlo alla mia famiglia

che forse troppo spesso mi dimentico di ringraziare, ma che mi è stata vicina in

tutti questi anni di studio credendo sempre nelle mie capacità. Adesso basta

altrimenti poi mi commuovo.

Un ringraziamento particolare spetta al direttore del radiotelescopio di Medicina,

Stelio Montebugnoli, che mi ha concesso l’opportunità di svolgere una tesi così

stimolante ed appassionante, seppur non priva di difficoltà.

Ringrazio il prof. G. Falciasecca dell’Università di Bologna per aver accettato la

proposta di diventare relatore per questa tesi.

Grazie anche al mio tutor Michele che mi ha seguito durante la realizzazione della

tesi fornendomi costantemente utili suggerimenti ed osservazioni: scusa Michele

se ti ho fatto tribolare per la correzione degli ultimi capitoli, specie la sera prima

della consegna!

Ringrazio anche tutto lo staff di Medicina per aver creato sempre un clima sereno

e amichevole: in particolare Federico, Germano, Marco e Luca.

Un sentito grazie a Salvo per la sua disponibilità e gentilezza, per aver dedicato

tempo alle preziose discussioni sulla KLT; senza il tuo supporto non so come

avrei potuto concludere la tesi.

Desidero ringraziare tutti i miei compagni di laboratorio: un grazie speciale a

Ilaria con la quale ho condiviso tanti bei momenti, grazie per avermi fatto sentire

meno il peso della fatica per lo studio.

Page 4: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Ringraziamenti

260

Grazie a Luca “Caparezza” e ad Alice, in bocca al lupo per la vostra laurea, se

sarò ancora disoccupato vi verrò a vedere!!

Grazie anche ai miei compagni di università: grazie Giova per il portatile, con cui

ho potuto scrivere la tesi quando mio padre doveva lavorare al computer; grazie

Francesco, grazie Moro per il vostro sempre vivo interessamento e supporto

morale.

Ringrazio anche Luca e Guido, che, grazie alla loro esperienza acquisita (hanno

svolto la tesi a Medicina prima di me), mi hanno saputo dare tanti validi consigli.

Un saluto anche a tutti i miei amici! Non li posso citare tutti, sarebbe troppo lungo

ed è ora che vada a letto!

Bè, spero di non essermi scordato di qualcuno, se così fosse chiedo vivamente

perdono.

Page 5: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

INDICE INTRODUZIONE ................................................................................................. I

CAPITOLO 1

LA STAZIONE RADIOASTRONOMICA DI MEDICINA ........................... 1

1.1 Introduzione .................................................................................................... 1

1.2 I parametri fondamentali di un radiotelescopio: accenni ................................ 2

1.3 La parabola VLBI ........................................................................................... 4

1.4 Il radiotelescopio “Croce del Nord” .............................................................. 6

1.5 Principi di funzionamento della “Croce del Nord” ...................................... 10

1.6 Il progetto LOFAR (LOw Frequency ARray) ............................................... 16

1.6.1 Introduzione .......................................................................................... 16

1.6.2 Configurazione del sistema LOFAR..................................................... 20

1.6.3 Applicazioni.......................................................................................... 23

1.6.4 Possibile realizzazione del sistema LOFAR

al radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina ............................... 25

1.7 Il progetto SKA (Square Kilometer Array) .................................................. 28

1.7.1 La “Croce del Nord” e SKA ................................................................ 32

1.8 La tesi ............................................................................................................ 40

CAPITOLO 2

METODI DI BEAMFORMING ....................................................................... 43

2.1 Generalità ...................................................................................................... 43

2.2 Beamforming come filtraggio spaziale.......................................................... 46

2.3 Operatori statistici del secondo ordine: richiami ........................................... 54

2.4 Classificazione dei beamformers .................................................................. 57

Page 6: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Indice

2.5 Beamforming data-independent .................................................................... 58

2.5.1 Beamforming classico........................................................................... 58

2.5.2 Beamforming data-independent generalizzato ..................................... 60

2.5.3 Analogie e differenze tra i metodi

classico e generalizzato ........................................................................ 61

2.6 Beamforming ad ottimo statistico ................................................................. 62

2.6.1 Multiple Sidelobe Canceller (MSC) ..................................................... 63

2.6.2 Utilizzo di un segnale di riferimento (REF SIGNAL)

e massimizzazione del rapporto segnale/rumore (MAX SNR)............ 64

2.6.3 Linearly Constrained Minimum Variance (LCMV)

beamforming ........................................................................................ 65

2.6.4 Generalised Sidelobe Canceller (GSC)................................................. 68

2.6.5 La cancellazione del segnale desiderato nel

beamforming ad ottimo statistico......................................................... 71

2.7 Algoritmi adattativi per il beamforming ....................................................... 71

2.8 Algoritmi di beamforming parzialmente adattativi ...................................... 75

2.8.1 Cancellazione delle radiointerferenze e gradi di libertà ....................... 77

2.9 Riassunto ...................................................................................................... 80

CAPITOLO 3

ALGORITMO MVDR ADATTATIVO ........................................................... 83

3.1 Algoritmi di beamforming adattativo ........................................................... 84

3.2 MVDR beamforming deterministico .............................................................88

3.3 MVDR beamforming adattativo ................................................................... 91

3.3.1 Velocità di convergenza della matrice di covarianza ........................... 97

3.3.2 Iniezione di rumore artificiale e calcolo di -1R̂ ................................... 98

3.4 Creazione di un modello di simulazione dinamico

attraverso l’uso di Simulink ......................................................................... 100

3.4.1 Considerazioni introduttive................................................................. 102

3.4.2 Modello dinamico con Simulink ......................................................... 107

Page 7: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Indice

3.5 Simulazioni........................................................................................... 115 3.5.1 Caso statico ......................................................................................... 115

3.5.1.1 Esempio 1................................................................................... 115

3.5.1.2 Esempio 2................................................................................... 118

3.5.1.3 Esempio 3................................................................................... 122

3.5.1.4 Esempio 4................................................................................... 125

3.5.1.5 Esempio 5................................................................................... 127

3.5.1.6 Esempio 6................................................................................... 131

3.5.1.7 Esempio 7................................................................................... 132

3.5.2 Caso dinamico..................................................................................... 134

3.5.2.1 Esempio 8................................................................................... 134

3.5.2.2 Esempio 9................................................................................... 138

3.5.2.3 Esempio 10................................................................................. 140

CAPITOLO 4

ALGORITMO LCMV ADATTATIVO NEL DOMINIO

DELLA FREQUENZA..................................................................................... 145

4.1 Formulazione nel dominio del tempo ......................................................... 146

4.2 Formulazione nel dominio della frequenza ................................................. 148

4.3 Algoritmo adattativo vincolato nel dominio della

frequenza (Frequency Domain-LCMV, FD-LCMV).................................... 151

4.4 Implementazione dell’algoritmo su calcolatore........................................... 153

4.5 Esempi numerici mediante MATLAB ........................................................ 161

4.5.1 Caso statico ......................................................................................... 161

4.5.1.1 Esempio 1................................................................................... 161

4.5.1.2 Esempio 2................................................................................... 165

4.5.1.3 Esempio 3................................................................................... 167

4.5.1.4 Esempio 4................................................................................... 168

4.5.1.5 Esempio 5................................................................................... 169

4.5.2 Caso dinamico..................................................................................... 171

4.5.2.1 Esempio 6................................................................................... 171

Page 8: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Indice

CAPITOLO 5

ANALISI AGLI AUTOVALORI ED AUTOVETTORI

DELLA MATRICE DI COVARIANZA ........................................................ 173

Autostruttura della matrice di covarianza ......................................................... 174

5.2 Prove su autovalori ed autovettori .............................................................. 175

5.2.1 Esempio 1 ........................................................................................... 176

5.2.2 Esempio 2 ........................................................................................... 180

5.2.3 Esempio 3 ........................................................................................... 183

5.3 Null Steering beamforming adattativo ........................................................ 185

5.3.1 Implementazione................................................................................. 186

5.3.2 Esempio di simulazione in ambiente statico....................................... 187

5.3.3 Esempio di simulazione in ambiente dinamico .................................. 190

5.4 LCMV beamforming adattativo .................................................................. 192

5.4.1 Esempio di simulazione in ambiente statico....................................... 193

5.4.2 Esempio di simulazione in ambiente dinamico .................................. 195

CAPITOLO 6

KLT E BEAMFORMING................................................................................ 199

6.1 Considerazioni introduttive ......................................................................... 200

6.2 Approccio analitico ..................................................................................... 203

6.3 Progetto del beamformer ............................................................................ 209

6.3.1 Implementazione................................................................................. 210

6.3.2 Prove di simulazione........................................................................... 211

6.3.2.1 Esempio di simulazione in ambiente statico .............................. 211

6.3.2.2 Esempio di simulazione in ambiente dinamico.......................... 213

APPENDICE A

IL SISTEMA BEST-1....................................................................................... 217

A.1 Equivocazione spaziale e lobi di grating .................................................... 218

A.2 Caratterizzazione del beampattern del sistema BEST-1 ............................. 221

A.2.1 Beampattern del singolo dipolo di BEST-1........................................ 222

Page 9: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Indice

Beampattern di una singola antenna della schiera di BEST-1 ..................... 224

A.2.3 Beampattern di BEST-1...................................................................... 225

APPENDICE B

COMUNICAZIONI SATELLITARI ............................................................. 233

CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI ....................................................... 249

BIBLIOGRAFIA ...................................................................................... 253

RINGRAZIAMENTI ....................................................................................... 259

Page 10: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

I

INTRODUZIONE

Una delle problematiche che hanno costantemente segnato la storia delle

comunicazioni via radio, a partire dal momento in cui hanno subito un forte

sviluppo, è senza dubbio quello legato alle interferenze: quando più sorgenti

trasmettono contemporaneamente dei segnali nello spazio, diventa impossibile

una corretta ricezione del segnale desiderato se non si adottano opportune

contromisure.

Nel caso in cui i vari segnali che si propagano nel mezzo radio viaggiano su

portanti a frequenze diverse, le interferenze vengono efficacemente soppresse

mediante l’applicazione della tecnica del filtraggio spettrale. Quest’ultima si

dimostra però totalmente inefficiente qualora i segnali interferenti ed il segnale

voluto occupano contemporaneamente la stessa banda di frequenze. Tale

situazione costituisce un problema decisamente rilevante, in quanto, da una parte

coinvolge qualunque sistema di telecomunicazione wireless, dall’altra presenta un

trend che, da alcuni anni a questa parte, è in forte crescita. Infatti, lo sviluppo

tecnologico e la continua ricerca di servizi innovativi in grado di soddisfare le

richieste di un’utenza sempre più esigente hanno portato allo sviluppo di una

grande quantità di sistemi operanti su una risorsa, quella radio, per sua stessa

natura limitata.

La questione introdotta non risparmia certo il mondo della radioastronomia, anzi

la colpisce in maniera ancor più profonda e decisiva. I segnali che si vogliono

osservare in radioastronomia hanno un’intensità di molti ordini di grandezza

inferiore a quella di qualsiasi segnale di origine terrestre. Ciò fa sì che, anche

segnali raccolti dai lobi secondari delle antenne, armoniche di ordine superiore,

intermodulazioni e quant’altro possa capitare alle frequenze di un radiotelescopio

possono causare gravi danni all’osservazione fino ad invalidarla completamente.

Page 11: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Introduzione

II

Nasce quindi la necessità di trovare un metodo valido, in grado di fronteggiare in

maniera alternativa il problema delle interferenze. A tal proposito si candida in

maniera preponderante la tecnica del beamforming: quest’ultima rappresenta la

realizzazione di un filtro spaziale in ricezione che, sfruttando la diversità spaziale

delle sorgenti che emettono segnali nello spazio, riesce a isolare il segnale

desiderato da quelli interferenti. Più nello specifico, si tratta di combinare i segnali

provenienti da un array di piccole antenne non direzionali per formare una grande

antenna direzionale che riceva il segnale proveniente da una direzione ben precisa,

eliminando (o limitando) il contributo di segnali che provengono da altre

direzioni. L’antenna risultante può essere puntata elettronicamente, senza

compiere quindi alcun movimento fisico.

Il radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina (BO) possiede proprio le

caratteristiche ideali per diventare un ottimo banco di prova in cui testare sul

campo gli algoritmi di beamforming. Esso infatti mette a disposizione un numero

estremamente elevato di ricevitori e permette di verificare la validità di tali

algoritmi in un ambiente decisamente ostile e difficile, in modo da svilupparli

verso un funzionamento ottimo.

Da alcuni anni è sorto l’interesse, da parte dell’Istituto di RadioAstronomia (IRA),

di coinvolgere il radiotelescopio nell’ambito di due progetti radioastronomici di

livello mondiale, entrambi estremamente ambiziosi: LOFAR (LOw Frequency

ARray) e SKA (Square Kilometer Array); andando in ordine cronologico, già da

alcuni anni si stanno effettuando ricerche in ambito SKA, mentre solo da qualche

anno è emersa l’intenzione di entrare nel consorzio LOFAR.

Il primo mira alla costruzione di un grande radiotelescopio per osservazioni a

bassa frequenza, il secondo si pone l’obiettivo di realizzare un radiotelescopio di

proporzioni gigantesche, mai raggiunte fino ad ora: esso, come suggerisce il nome

stesso, dovrebbe avere un’area efficace pari a circa 1 Km2.

Risulta allora evidente che, per la messa in opera di questi due grandi progetti,

occorre compiere una serie di studi e ricerche volti allo sviluppo di nuove

tecnologie e sistemi dai quali poter ottenere le massime prestazioni. In particolar

modo questo discorso è valido a proposito del beamforming: occorre infatti, da un

Page 12: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Introduzione

III

lato sperimentare gli algoritmi già conosciuti, in modo da verificarne

l’applicabilità e la reale efficacia in ambito radioastronomico; dall’altro ricercarne

dei nuovi, che possibilmente offrano risultati migliori.

Il presente lavoro di tesi, realizzato presso la stazione radioastronomica di

Medicina, si inserisce proprio in questo contesto. In particolare esso si articola nel

seguente modo: dapprima verrà eseguito uno studio approfondito (in fase di

simulazione) di un algoritmo già utilizzato nel campo delle telecomunicazioni

tradizionali, l’MVDR (Minimum Variance Distortionless Response), allo scopo di

saggiarne le prestazioni sia in ambiente statico (con interferenti in posizioni

fissate dello spazio), sia in ambiente dinamico (con interferenti in movimento).

Successivamente verranno ricercati, partendo da un’attenta indagine bibliografica,

e poi implementati al calcolatore altri possibili algoritmi da analizzare e valutare

in riferimento alle applicazioni radioastronomiche.

Da ultima, verrà presa in esame la possibilità di applicare al beamforming lo

stesso principio di funzionamento dell’algoritmo che realizza l’analisi di segnali

radioastronomici tramite KLT (Karhunen-Loève Transform): questo allo scopo di

trovare, se possibile, un modo alternativo e innovativo per realizzare il filtraggio

spaziale.

Page 13: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

CAPITOLO 1

LA STAZIONE RADIOASTRONOMICA DI

MEDICINA

1.1 Introduzione

La stazione radioastronomica di Medicina (Bologna) è gestita dall’Istituto di

RadioAstronomia (IRA) dell’Istituto Nazionale di AstroFisica (INAF) (fig. 1.1).

Fig. 1.1: veduta aerea della stazione di Medicina con il radiotelescopio “Croce del Nord” e la

parabola VLBI

Page 14: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

2

Nella stazione sono attivi due grandi radiotelescopi:

1. un’antenna parabolica di diametro pari a 32 m

2. l’interferometro “Croce del Nord”, che consta di due bracci disposti lungo

le direzioni Nord-Sud ed Est-Ovest.

Numerosi sono gli studi ed i progetti nei quali tali strumenti sono coinvolti: i

maggiori impulsi scientifici riguardano la continua osservazione del cielo e la

possibilità di elaborare mappe radio, con particolare attenzione ai fenomeni di

transito (ad esempio la Croce si adatta molto bene alla ricerca ed alla misura del

periodo di oscillazione delle pulsar), nonché applicazioni di spettroscopia a bassa

frequenza, come l’identificazione della riga di ricombinazione del carbonio.

La stazione, con la sua parabola, fa inoltre parte dell’European VLBI Network,

lavorando quindi in rete con i maggiori siti di ricerca radioastronomica europei e

mondiali; come verrà meglio illustrato nel paragrafo 1.5, la stazione stessa ha

recentemente acquistato ulteriore importanza grazie alla possibilità di divenire un

ottimo banco di prova per il progetto SKA (Square Kilometer Array).

1.2 I parametri fondamentali di un radiotelescopio:

accenni

Un radiotelescopio viene caratterizzato principalmente da due parametri: la

sensibilità e la risoluzione (o potere risolutivo) ([1]).

Per sensibilità di un radiotelescopio si intende l’intensità della più debole

radiosorgente rilevabile dallo strumento; in termini fisici essa rappresenta la

minima variazione di potenza o di flusso per unità di banda rilevabile.

Per poterne fornire un’espressione matematica occorre esprimere la densità di

potenza ricevuta dallo strumento in termini di temperatura equivalente: in questo

modo la sensibilità si può definire come la minima variazione di temperatura di

rumore rilevabile dal radiotelescopio minT∆ :

Page 15: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

3

nB

TkT sysr

min τ∆ = (1.1)

dove:

• rk è una costante adimensionale di sensibilità che dipende dal tipo di

architettura del ricevitore e può variare tra 0.6 e 2;

• sysT è la temperatura equivalente di rumore dell’intero sistema;

• B è la larghezza di banda del ricevitore;

• τ è il tempo di integrazione;

• n è il numero di osservazioni.

Si può dunque affermare che, affinché una radiosorgente sia rilevabile, occorre

che porti una variazione della temperatura d’antenna che sia maggiore o uguale a

minT∆ .

Ci si riferisce alla risoluzione, invece, per indicare la capacità di distinguere due

sorgenti adiacenti; più precisamente essa è definita come l’angolo minimo che

deve esserci tra due oggetti affinché siano distinguibili.

Ad alta risoluzione corrisponde alta direttività di un’antenna, cioè un diagramma

di radiazione con il lobo principale angolarmente molto stretto. Ciò, unitamente a

lobi secondari molto ridotti, consente una buona precisione nell’individuazione di

una sorgente.

L’estensione angolare del lobo principale (detta anche fascio o beam) viene

convenzionalmente descritta dall’ampiezza del fascio o BWFN (BeamWidth

between First Nulls): questa è la distanza angolare tra i due zeri ai lati del lobo

principale (fig. 1.2).

E’ possibile definire la risoluzione di un radiotelescopio come:

HPBW2

BWFN≅ dove

DHPBW λ

∝ (1.2)

Page 16: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

4

HPBW (Half Power Beam Width) è l’ampiezza angolare a metà potenza del lobo

principale, λ è la lunghezza d’onda d’osservazione e D è il diametro dello

specchio primario. La precedente relazione si ottiene considerando che l’HPBW è

approssimabile all’angolo compreso tra il picco del diagramma di potenza ed il

primo zero.

Fig. 1.2: diagramma di potenza in dB in funzione di una sola coordinata angolare (θ).

1.3 La parabola VLBI

L’antenna parabolica è stata costruita nel 1983 secondo il progetto della ditta

americana TIW, per partecipare alle osservazioni VLBI (Very Long Baseline

Interferometry), tecnica mediante la quale si è in grado di aumentare il potere

risolutivo dell’antenna ([2], [3]).

Essa è basata sul principio dell’ottica secondo il quale, per ottenere la massima

risoluzione possibile da uno specchio di un dato diametro, non è necessario

utilizzare tutta la superficie ma bastano due punti diametralmente opposti; tale

principio è applicabile anche in campo radio, l’unica differenza è rappresentata

dalla diversa frequenza. Nella radioastronomia la tecnica interferometrica

permette l’utilizzo di due o più radiotelescopi di dimensioni ridotte posti anche a

grande distanza, al posto di uno singolo e di grandi dimensioni.

Page 17: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

5

L’antenna parabolica è formata da uno specchio primario di 32 m di diametro ed è

completamente orientabile in ogni direzione: essa è quindi in grado di puntare ed

inseguire una qualunque sorgente sopra l’orizzonte, compensando il suo moto

apparente causato dalla rotazione terrestre (fig. 1.3).

Fig. 1.3: la parabola VLBI

A seconda del funzionamento, può essere utilizzata avvalendosi anche di un

secondo specchio di forma iperbolica, detto specchio secondario o subriflettore ,

del diametro di 3.2 m (sistema ottico di tipo Cassegrain).

Quando lo specchio secondario è in funzione, le onde elettromagnetiche vengono

convogliate sul fuoco secondario, dove risiede il sistema di ricezione; in certi casi

è invece sufficiente un sistema ottico più semplice: il subriflettore viene spostato e

come sistema di ricezione viene utilizzato quello posto sul fuoco primario.

L’antenna può funzionare a frequenze comprese tra 1.4 GHz e 22 GHz, ovvero

per lunghezze d’onda comprese tra 21.5 cm e 1.37 cm.

Essa è coinvolta in diversi progetti, in rete o in single dish, che è la modalità

operativa in cui compie le sue osservazioni singolarmente, non cooperando con

radiotelescopi di altre nazioni; in particolare, come già accennato, l’antenna

parabolica di Medicina fa parte dell’European VLBI Network.

Page 18: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

6

1.4 Il radiotelescopio “Croce del Nord” La “Croce del Nord” è un interferometro radioastronomico costituito da due serie

di antenne disposte a T secondo la direzione Est-Ovest (E-W) e Nord-Sud (N-S).

La sua costruzione è iniziata nel 1960, per poi concludersi nel 1967, sebbene in

una versione ridotta rispetto al progetto originario. Problemi tecnici alle antenne

hanno suggerito un parziale rifacimento dello strumento, oltre ad un suo

ammodernamento dal punto di vista elettronico e nel 1976 la “Croce del Nord”

ha iniziato una nuova fase di attività ([2], [3]).

Questo array di antenne è stato progettato per operare alla frequenza di 408 MHz

(λ = 73.5 cm) ed attualmente viene impiegata con una banda di circa 2.5 MHz.

Si tratta di uno strumento di transito, ovvero in grado di ricevere le onde

elettromagnetiche provenienti da un punto dello spazio quando questo, per effetto

della rotazione terrestre, si trova sul meridiano celeste locale; il sistema di

movimentazione elettromeccanica prevede, quindi, il solo puntamento in

declinazione.

La “Croce del Nord” ha un’area collettrice geometrica di più di 31025 m2 (quella

effettiva è di circa 20000 m2), tra le più vaste dell’emisfero settentrionale, ed è

noto per aver prodotto accurate mappe del cielo (B1, B2 e B3) alla frequenza di

408 MHz.

Essa è comunque sensibile alla sola polarizzazione del segnale incidente parallela

all’asse focale, per cui viene raccolta mediamente circa la metà della potenza della

radiazione in arrivo.

Il ramo E-W

Il ramo E-W è costituito da un’unica grande antenna con uno specchio di forma

cilindrico-parabolica lungo 564 m e largo 35 m (fig. 1.4). Lungo l’asse focale,

parallelo all’asse di rotazione e a distanza di circa 20 m da esso, si trovano 1536

dipoli, allineati ed equispaziati di circa 36 cm: essi trasformano le onde radio

incidenti in tensioni elettriche misurabili.

Page 19: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

7

Fig. 1.4: il ramo E-W

Il profilo dello specchio è particolare, in quanto non contiene il vertice della

parabola, e questo permette di non avere lobi secondari dovuti al bloccaggio

dell’apertura.

In prossimità dei dipoli è inoltre stato posto uno specchio a forma d’angolo

(corner reflector, vedi fig. 1.5), realizzato con fili metallici, che, nonostante riduca

in parte l’efficienza d’antenna illuminando solo la porzione centrale dello

specchio, consente l’eliminazione del fenomeno di illuminazione oltre il bordo

(spill over), causa di ricezione di segnali spuri non provenienti dallo specchio.

Fig. 1.5: il corner reflector

corner reflector

Page 20: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

8

Il ramo N-S

Il ramo N-S è costituito da un array di 64 antenne, anche queste di forma

cilindrico-parabolica, lunghe 23.5 m e larghe 7.5 m, disposte parallelamente a 10

m l’una dall’altra; sull’asse focale di ognuna di esse, posto a meno di 6 m da terra,

sono disposti, ad uguale distanza gli uni dagli altri, 64 dipoli a mezz’onda (36 cm)

per un totale di 4096 dipoli nel ramo complessivo (fig. 1.6).

Fig. 1.6: il ramo N-S

La forma cilindrico-parabolica per il riflettore delle antenne (fig. 1.7) è stata scelta

per unire la semplicità costruttiva della forma cilindrica alle proprietà

matematiche della parabola, che consentono di:

far convergere sul fuoco tutte e sole le onde radio provenienti da una

direzione ortogonale alla direttrice;

ottenere che tutti i punti del fronte d’onda (in fase), provenienti da tale

direzione, si trovino ancora in fase nel fuoco.

Page 21: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

9

Fig. 1.7: schema esemplificativo del profilo parabolico del riflettore delle antenne, in cui vengono

evidenziati i parametri fondamentali e le proprietà della parabola.

La precisione meccanica della struttura non è da considerarsi in senso assoluto,

ma relativamente alla lunghezza d’onda alla quale lo strumento lavora (73.5 cm).

Se la forma del riflettore non differisce da un profilo parabolico per più di un

sedicesimo della lunghezza d’onda (tolleranza che comprende gli effetti di

deformazione meccanica, degli agenti atmosferici, etc.), si può ritenere che le

imperfezioni non influenzino in modo significativo il rendimento dello strumento.

Il riflettore è stato realizzato non a superficie completamente piena, ma con una

serie di fili d’acciaio di 0.5 mm di diametro, paralleli alla linea focale e distanziati

fra loro di circa 2 cm, per una lunghezza complessiva di circa 2000 Km (fig 1.8).

Fig. 1.8: particolare del riflettore di una delle antenne che compongono il ramo N-S

Page 22: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

10

Alla lunghezza d’onda di lavoro il rendimento di riflessione cala in modo

ridottissimo, ma risultano molto più agevoli sia la costruzione, sia la

manutenzione e si è ottenuta una maggiore resistenza agli agenti esterni, quali il

clima e la gravità.

1.5 Principi di funzionamento della “Croce del Nord”

La conversione dell’energia elettromagnetica in tensione elettrica viene effettuata

ad opera dei dipoli. Tale segnale deve poi essere trasportato nella sala centrale di

elaborazione dei dati seguendo alcune specifiche:

1. limitare il più possibile l’attenuazione del segnale rispetto al rumore, cioè

amplificare il segnale fino a renderlo accettabile come input per

l’elettronica che dovrà elaborarlo, massimizzando quindi il rapporto

segnale-rumore;

2. fare in modo che i punti in fase di una superficie d’onda si trovino ancora

in fase, ma come tensione elettrica, all’ingresso della stanza di

elaborazione e in tutti i punti intermedi in cui vengono a sommarsi.

I 1536 dipoli del braccio E-W sono divisi in 6 sezioni da 256 dipoli ciascuna.

All’interno di ogni sezione si opera una somma progressiva dei segnali

raccolti con un sommatore detto ad albero di Natale (fig. 1.9), che permette di

passare da 256 segnali elementari ad un unico segnale, mantenendo le

specifiche citate in precedenza.

Fig. 1.9: schema del sommatore ad albero di Natale impiegato nel ramo E-W

Page 23: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

11

All’interno di ogni sottosezione, costituita ognuna da 64 dipoli, il segnale elettrico

si muove lungo una linea cava di alluminio, mentre dalle sottosezioni fino alle

cabine si muove su cavo coassiale rigido. La prima parte è quella più critica, in

cui occorre mantenere possibilmente costanti le condizioni atmosferiche ed in

particolare l'umidità. Per questo motivo sia i dipoli sia il primo percorso in cava

originariamente erano racchiusi in un involucro in polietilene ad alta densità,

trasparente alla radiazione elettromagnetica, riempito di aria secca.

Il segnale radio a 408 (± 1.25) MHz viene convertito, giunto in cabina, a 30 (±

1.25) MHz per ridurre le perdite nel portare il segnale dalle cabine alla sala di

elaborazione: il trasporto su cavo, infatti, comporta delle perdite per effetto "pelle"

proporzionali alla radice quadrata della frequenza. I segnali a frequenza

intermedia giungono quindi alla stazione di elaborazione tramite cavi coassiali

interrati a circa 1.20 m di profondità, per sottrarli alle rapide variazioni termiche

giornaliere che potrebbero alterare le delicate relazioni di fase ed ampiezza fra i

segnali provenienti dalle 6 cabine (6 canali). Le variazioni termiche lente

(stagionali) non comportano causa di errore poichè vengono eliminate con le

calibrazioni giornaliere.

Le 64 antenne che costituiscono il braccio N-S sono divise in 8 sezioni che

raggruppano ciascuna 8 antenne. All’interno di ciascuna antenna si trovano 64

dipoli e, anche in questo caso, con lo stesso metodo ad albero di Natale, ma in

modo un po' meno rigoroso, i segnali dai dipoli vengono successivamente

sommati fino ad avere un singolo segnale per ogni antenna (fig. 1.10); questo allo

scopo di raggiungere un compromesso tra una buona efficienza ed un disegno

relativamente semplice dal punto di vista costruttivo.

Fig. 1.10: schema quasi ad albero di Natale impiegato nel ramo N-S

Page 24: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

12

Si deve evidenziare come la situazione per il ramo N-S sia differente dal

caso E-W: come si vede dalla fig. 1.11, i punti equifase (P1, P2,….., P8) in genere

non arrivano in fase sulle singole antenne poiché sono differenti i percorsi in aria

(L1, L2,….., L8); si noti inoltre che tali percorsi variano con l’angolo di

puntamento δ.

Fig. 1.11: vengono mostrate le posizioni relative fra le antenne di una qualunque sezione del ramo

N-S ed il fronte d’onda elettromagnetico ricevuto per diversi valori dell’angolo di puntamento δ:

in a) si ha un puntamento allo zenith, il fronte d’onda arriva in fase su tutte le antenne; mentre in

b) e in c) si ha un puntamento a declinazioni differenti, con conseguenti differenti sfasamenti fra le

singole antenne.

Occorre quindi un sistema di rifasamento, variabile con l’angolo di puntamento δ,

per rifasare i segnali provenienti dalle singole antenne prima di sommarli a

formare il segnale singolo. Attualmente il rifasamento viene ottenuto impiegando

Page 25: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

13

dei cavi coassiali riempiti parzialmente di kerosene. La lunghezza del tratto

riempito dal fluido, che, per via della maggiore costante dielettrica del mezzo,

determina una velocità di propagazione minore per il segnale che lo attraversa, è

controllato da un sistema elettro-idraulico: al variare dell’angolo di puntamento, il

sistema provvede automaticamente ad impostare il giusto livello di kerosene nei

cavi. Questo sistema è concettualmente semplice, seppur meccanicamente

elaborato, ma non consente di raggiungere la massima efficienza dello strumento.

Per tale motivo è in fase di studio presso l’istituto un nuovo sistema basato

sull’impiego di moderni e flessibili phase shifters.

Giunto in cabina, il segnale viene convertito alla media frequenza di 30 MHz

(analogamente a quanto accade per il braccio E-W) e tramite cavi coassiali viene

trasportato nella stanza di elaborazione.

Prima di essere analizzati, i 14 segnali (6 E-W + 8 N-S, si veda la fig. 1.12)

vengono fatti passare attraverso opportune linee di ritardo per equalizzare i diversi

percorsi tra le 14 cabine e la stanza di elaborazione.

Fig. 1.12: schema riassuntivo della composizione dei segnali forniti dalla “Croce del Nord”

singolo elemento (riflettore)

singolo canale N-S (8 riflettori per canale)

Page 26: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

14

A questo punto tutto ciò che si è fatto è stato semplicemente convertire in tensioni

elettriche misurabili l’energia elettromagnetica proveniente da una zona di cielo e

concentrarla in 14 segnali distinti. Le cross-correlazioni tra questi 14 segnali

forniscono a loro volta 6×8 segnali indipendenti.

Sommando in fase i segnali provenienti dalle 6 sezioni del braccio E-W si ottiene

poi quello che viene chiamato fascio B. Ritardando progressivamente i segnali

elettrici che arrivano dalle 6 sezioni del braccio E-W, prima di sommarli, si

ottengono ulteriori fasci ed agli effetti pratici questa operazione equivale ad

osservare zone di cielo circostanti il meridiano locale: con un anticipo sul

meridiano si ottiene il fascio A, mentre con un ritardo si ottiene il fascio C.

Cosicché, per via di un semplice artificio di natura elettrica, è come disporre di tre

antenne puntate in direzioni progressive, invece di una singola antenna puntata

verso il meridiano (fig. 1.13). La sorgente, in moto apparente a causa della

rotazione terrestre, attraverserà prima il fascio A, poi il fascio B ed infine il C.

Un eventuale disturbo generato in prossimità del radiotelescopio (ovvero di

origine terrestre) entrerà invece contemporaneamente nei 3 fasci. In questo

metodo si può avere, oltre a 3 misure per ogni radiosorgente, anche un primo

criterio di separazione tra radiosorgenti e radiointerferenze.

Fig. 1.13: in alto – formazione dei 3 fasci del ramo E-W; come si vede, il fascio A risulta essere in

anticipo sul fascio B, mentre il fascio C risulta essere in ritardo. In basso – raffigurazione del

transito di una radiosorgente e della ricezione di una interferenza sui 3 fasci.

Page 27: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

15

Analogamente si può operare con i segnali che arrivano dalle 8 sezioni N-S,

ottenendo così 5 fasci (F, G, H, I e J) puntati elettricamente in 5 direzioni

progressivamente spostate da Nord verso Sud (ma tutte alla stessa ascensione

retta, quella del meridiano). In questo caso l’artificio permette di esplorare

contemporaneamente una zona di cielo più estesa durante la stessa osservazione.

Una volta trasformato in segnale elettrico dai dipoli, quindi, il segnale

radioastronomico viene convogliato, dopo essere stato amplificato e ripulito

dalle eventuali interferenze radio-contigue alla banda, nella stanza del ricevitore

(fig. 1.14). Qui viene ulteriormente amplificato e filtrato per eliminare eventuali

residui di interferenze presenti in prossimità della banda operativa dello

strumento. Si equalizzano in fase ed ampiezza tutti i 14 contributi relativi ai 14

canali (6 per il ramo E-W e 8 per quello N-S) prima di elaborarli singolarmente od

effettuarne la cross-correlazione con un banco di 48 correlatori complessi.

Dopo l’elaborazione analogica i segnali vengono campionati ed acquisiti da un

calcolatore, che ne effettuerà la post-elaborazione e la relativa memorizzazione su

Hard Disk.

Fig. 1.14: La stanza del ricevitore della “Croce del Nord”: in essa convivono apparecchiature

realizzate negli anni ’60 e ’70 (lettore a carta, sistema di calibrazione,…) e nei giorni nostri

(spettrometro digitale, sistema PULSAR,…).

Page 28: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

16

A seconda dell’utilizzo dei segnali, la “Croce del Nord” può essere fatta lavorare

in differenti modalità, riconducibili alle tecniche di indagine radioastronomia total

power e interferometrica.

Nella prima si sommano i vari segnali in modo da realizzare un’unica antenna

equivalente, la cui area di raccolta risulta pari alla somma delle superfici di

raccolta delle singole antenne. Questo viene fatto con i segnali dei tre fasci del

ramo E-W e dei cinque fasci del ramo N-S, presi singolarmente.

Svolgendo invece un’operazione di correlazione tra i segnali, cioè una

moltiplicazione ed una successiva integrazione, si può far lavorare lo strumento

come un interferometro a correlazione; i segnali correlati possono essere sia quelli

degli 8 fasci d’antenna, nella modalità cosiddetta “multifascio”, sia quelli di ogni

singola sezione dei due rami, nella modalità “interferometri sciolti”.

1.6 Il progetto LOFAR (LOw Frequency ARray)

1.6.1 Introduzione Sin dagli albori della radioastronomia si è sempre cercato di operare a frequenze

elevate, in modo da riuscire a realizzare antenne di dimensioni ragionevolmente

ridotte, mantenendo un potere risolutore e una sensibilità sufficientemente elevati.

Si ricordi a tal proposito (vedi paragrafo 1.2) che la capacità di risoluzione di

un’antenna è inversamente proporzionale al rapporto Dλ , dove λ è la lunghezza

d’onda d’osservazione e D il diametro dello specchio primario.

Da alcuni anni a questa parte molti enti, tra cui ASTRON (ASTRonomisch

Onderzolk in Nederland), si stanno impegnando per rivalutare la radioastronomia

a bassa frequenza, che risulta essere un campo non ancora esplorato e che può

fornire informazioni utili sull’origine dell’universo e non solo.

Infatti uno dei vantaggi legato ad operare a bassa frequenza è l’elevata intensità

della radiazione proveniente dalla maggioranza delle sorgenti celesti (dovuta a

meccanismi non termici), e alle buone caratteristiche in sensibilità dei ricevitori;

tuttavia si registrano gli svantaggi dovuti al limitato potere risolutivo dell’antenna,

Page 29: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

17

che diminuisce all’aumentare della lunghezza d’onda operativa, e all’aumentata

possibilità di disturbi causati da radiointerferenze terrestri naturali (essenzialmente

di tipo atmosferico) ed artificiali (emissioni man-made).

Il problema relativo alla bassa risoluzione è stato superato grazie alla tecnica

interferometrica applicata, per esempio, agli attuali sistemi a grandissima base

(VLBI), di cui si è già discusso in precedenza. Grazie a questa tecnica si possono

realizzare virtualmente antenne di dimensioni enormi, con un elevato potere

risolutivo, grazie all’interazione tra più antenne, disposte in varie parti del globo

terrestre.

Un esempio di questa tipologia di sistema è LOFAR (LOw Frequency ARray), il

cui progetto, tra i più innovativi in campo radioastronomico, è attualmente in

corso di sviluppo.

LOFAR, seppur ancora in fase di costruzione ad opera dell’istituto di

radioastronomia olandese ASTRON, costituirà un nuovo potente radiotelescopio,

il quale, tramite le sue considerevoli prestazioni, dovrebbe consentire di osservare

il cosmo nella sua fase iniziale di evoluzione, offrendo la possibilità di effettuare

nuove sorprendenti scoperte. Inoltre dovrebbe fornire mappe dettagliate su come

si sono formate le prime stelle, e informazioni per comprendere meglio le

tempeste magnetiche che avvengono sul sole, il vento solare ed il loro effetto sul

clima terrestre.

I concetti tecnologico-costruttivi su cui si basa LOFAR rappresentano un punto di

rottura con il passato e si traducono in una consistente riduzione dei costi: i

radiotelescopi tradizionali, infatti, combinano i segnali elettronici raccolti da

enormi parabole mobili che risultano estremamente costose da costruire e,

comunque, troppo piccole per mettere a fuoco le elevate lunghezze d’onda

necessarie per osservare la formazione delle galassie. Più della metà dei costi

legati allo sviluppo di questi radiotelescopi è da attribuire alla struttura meccanica

per il sostegno e il puntamento meccanico. Se la stessa tecnologia fosse utilizzata

anche per LOFAR, i costi della sua realizzazione sarebbero enormi (decine di

miliardi di dollari).

Page 30: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

18

LOFAR invece sfrutta una nuova tecnologia: esso è in grado di rilevare i segnali

provenienti dal cielo, utilizzando un array di semplici ed economiche antenne

omni-direzionali (in grado cioè di captare segnali provenienti da qualunque

direzione), ciascuna a forma di piramide cava e realizzata con stecche di metallo

(fig. 1.15).

Fig. 1.15: esempio di antenne impiegate nel sistema LOFAR

Per poter fornire una mappa dettagliata del cielo, tali antenne sono raggruppate in

clusters estesi su un’ area di 350 km di diametro.

Le onde elettromagnetiche ricevute vengono campionate ed inviate tramite

collegamenti digitali a larga banda (cavi in fibra ottica) ad un nuovo apposito

supercomputer, denominato IBM Blue Gene/L, che ha raggiunto la velocità di

calcolo di 70 TFlops/s, diventando il più potente elaboratore d’Europa, ed in

grado di sintetizzare immagini radio in tempo reale.

Il particolare disegno delle antenne, unitamente alle proprietà del concetto di

array, consente tanto di poter disporre di field of view multipli, cioè di poter

puntare contemporaneamente più punti nel cielo, tanto di poter utilizzare tecniche

di beamforming digitale adattativo per la soppressione di interferenze radio,

problema molto sentito a queste frequenze.

Page 31: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

19

In poche parole, il sistema LOFAR (fig. 1.16) può essere considerato come una

rete estesa di antenne (array di sensori), distribuite geograficamente su larga

scala, connesse, tramite una rete indipendente (in parte wireless), basata su una

dorsale in fibra ottica ad altissima velocità, ad un supercomputer per formare

complessivamente un unico radiotelescopio (che non ha parti in movimento);

quest’ultimo opera in una banda di frequenze che va da 10 MHz a 250 MHz,

suddivisa in due sottobande: la prima va da 10 MHz a 80 MHz (“LOFAR basso”),

la seconda da 110 MHz a 250 MHz (“LOFAR alto”).

Fig. 1.16: rappresentazione di LOFAR realizzata mediante simulazione virtuale al calcolatore

Il suo costo è pertanto legato solo al costo delle apparecchiature elettroniche che,

come sappiamo, segue la legge di Moore e decresce sempre più con l’evoluzione

della tecnologia, permettendo di incrementare le dimensioni di questo nuovo

radiotelescopio.

Oltre a tali antenne il sistema LOFAR è dotato anche di piccoli sensori per il

monitoraggio atmosferico e del sottosuolo.

Il luogo adatto dove costruire il cuore del sistema LOFAR si trova nella provincia

olandese di Drenthe, in cui è già presente una piccola area di test costituita da un

centinaio di antenne, che rappresentano le basi per uno sviluppo futuro del

Page 32: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

20

progetto. Tali antenne sono disposte lungo cinque bracci immaginari che si

dipartono dal nucleo centrale (fig. 1.17).

Fig. 1.17: collocazione del sistema LOFAR

1.6.2 Configurazione del sistema LOFAR Si è detto in precedenza che LOFAR rappresenta, seppur ancora in linea teorica,

un sistema in grado di svolgere molteplici funzioni: esplorazione dello spazio

profondo, monitoraggio del sottosuolo terrestre e analisi meteorologiche.

Il tutto avviene attraverso l’utilizzo di un ingente numero di piccoli sensori a

basso costo (antenne omni-direzionali, sensori di vibrazione e microbarometri).

I principali sottosistemi che costituiscono LOFAR sono:

• rete di sensori: piccoli, distribuiti in aree chiamate “stazioni remote” e in

un’area centrale chiamata “core”;

• rete a banda larga, per il trasporto dei dati e delle informazioni di

controllo;

Page 33: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

21

• sistema centrale di elaborazione;

• sistema software, che include i software di controllo e le interfacce con

gli utenti.

LOFAR, nella sua prima fase di attività, è costituito da un nucleo centrale (core) e

da 45 stazioni remote. I sensori nelle stazioni remote e nel nucleo centrale sono

costituiti da 100 antenne caratterizzanti il cosiddetto “LOFAR alto”, 100 antenne

caratterizzanti il “LOFAR basso”, 13 sensori di vibrazione, 3 microbarometri e

parecchi altri sistemi ausiliari.

In definitiva è possibile classificare questi sensori in varie categorie:

- low band antennas: sono ottimizzate per operare in un range di

frequenze da 10 MHz a 80 MHz (vedi fig. 1.18 a sinistra);

- high band antennas: esse operano in una banda da 110 MHz a 250 MHz

(vedi fig. 1.18 a destra);

- sensori geofisici: sensori di vibrazione e microbarometri (fig. 1.19). I

sensori di vibrazione vengono piazzati a 10 m sotto la superficie terrestre;

i microbarometri vengono incapsulati in tubi da 0.5 m di diametro.

I segnali provenienti dalle due categorie di antenne (low e high) vengono rilevati

da un ricevitore a banda larga; ogni ricevitore è connesso a due antenne (una

appartenente al gruppo low e una appartenente al gruppo high), ma ne viene resa

attiva solo una per volta.

Il nucleo centrale ha un diametro di 2 Km ed è costituito da 3200 high band e da

3200 low band antennas dislocate in 32 sottostazioni.

Fig. 1.18: esempi di low band (sinistra) e high band antennas (destra).

Page 34: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

22

Fig. 1.19: esempi di sensore di vibrazione (sinistra) e microbarometro (destra).

La rete che permette di connettere ogni stazione remota con il sistema di

elaborazione centrale ha una capacità di 10 Gbit/s.

Questo sistema di trasporto dati è basato su una comunicazione digitale a fibre

ottiche. Il metodo, con il quale i dati vengono codificati e trasmessi, è funzione

della capacità della rete, della distanza percorsa e delle caratteristiche

dell’infrastruttura a fibra ottica (fibra già esistente in commercio oppure

sviluppata per il progetto LOFAR).

Questa rete viene implementata utilizzando la tecnologia Ethernet a 10 Gb, che

rappresenta la scelta ottimale sino ad una distanza di 40 Km utilizzando solo una

coppia Tx/Rx, ma può essere estesa anche a distanze superiori senza enormi costi

aggiuntivi.

Il sistema di elaborazione centrale (CEP) combina ed elabora i segnali provenienti

dalla rete di sensori; esso è progettato per gestire un gran numero di dati in modo

semplice ed efficiente. Il cuore del sistema di elaborazione centrale è costituito dal

supercomputer Blue Gene/L sviluppato da IBM, di cui si è già parlato in

precedenza.

L’interfaccia tra gli utenti e il sistema LOFAR avviene attraverso un avanzato e

distribuito sistema di monitoraggio e controllo. LOFAR è dotato anche di un

sistema di gestione autonoma in grado di eseguire auto-diagnosi e, ove possibile,

anche auto-riparazioni. Il sistema produce un enorme quantitativo di dati,

specialmente nelle applicazioni astronomiche (6 Tb di dati grezzi per 8 beam in 4

Page 35: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

23

ore di osservazioni); si pensi che un mese di osservazioni di questo tipo produce

un PetaByte di dati.

LOFAR adotta un sistema di elaborazione in cui i dati finali prodotti dalle

osservazioni di routine sono accessibili agli utenti in qualsiasi momento.

Il post-processing di LOFAR può avvenire sia dove si trova l’utente, sia

nell’elaboratore centrale. Il tutto vincolato ad una disponibilità di banda

sufficiente per il trasporto dei dati raccolti dall’elaboratore centrale all’utente.

Viceversa si può ricorrere ad ulteriori stadi di elaborazione e riduzione dei dati

sfruttando l’elaboratore centrale.

1.6.3 Applicazioni Risulta chiaro, dalla trattazione precedente, che LOFAR non è soltanto un

radiotelescopio adibito alle osservazioni astronomiche, ma un vero e proprio

sistema globale in grado di fornire molteplici informazioni anche in altri campi

come la geofisica. Infatti grazie a LOFAR potrà essere realizzato, per esempio, il

monitoraggio dell’attività sismica naturale collegando semplicemente i sensori di

vibrazione alla rete. Si potrà inoltre osservare anche la sismicità indotta da

eventuali operazioni prodotte dall’uomo, come ad esempio l’estrazione di gas dal

sottosuolo. Utilizzando sensori ad infrasuoni connessi al sistema LOFAR, si sarà

in grado di monitorare i processi che generano queste onde, quali ad esempio

eruzioni vulcaniche o esplosioni nucleari. Collegando microbarometri e sensori

termici alla rete si sarà in grado di rilevare la pressione e la temperatura in luoghi

critici, come ad esempio pozzi di trivellamento. Infine LOFAR permetterà di

risolvere il problema del controllo dell’innalzamento del livello delle acque

specialmente nei Paesi Bassi, ove il problema risulta critico.

L’istituto meteorologico olandese reale (KNMI) sta partecipando proprio

all’applicazione di LOFAR in quest’ambito.

Numerose, evidentemente, sono anche le applicazioni in ambito astronomico.

LOFAR rappresenterà il primo strumento capace di rilevare e forse anche di

tracciare la struttura dell’universo fin dall’ “Epoca di Re-ionizzazione”, la cui

conoscenza potrebbe risolvere le tante questioni sulla formazione del cosmo.

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

24

Infatti, in accordo con la presente visione dell’universo, la ricombinazione

dell’idrogeno al suo stato neutro avvenne circa mezzo milione di anni dopo il Big

Bang, quando la materia primordiale si raffreddò sino ad una temperatura di 3000

K. L’universo entrò poi in un periodo di "oscurità" in cui la sua temperatura andò

via via diminuendo a causa della sua espansione. Questa “Era Oscura” (Rees

1996) terminò molte centinaia di anni dopo quando si formarono le prime stelle.

La radiazione ionizzata proveniente da queste stelle iniziò a scaldare l'universo,

producendo radiazioni visibili. Quando un numero sufficiente di sorgenti si furono

create, la temperatura e la frazione ionizzata dell’universo aumentarono

rapidamente e la maggior parte dell’idrogeno neutro scomparve. Questo periodo,

in cui l’universo si portò in una fase in cui quasi tutto l’idrogeno neutro passò in

uno stato ionizzato, prende il nome di epoca di Re-ionizzazione.

Una delle più importanti applicazioni di LOFAR sarà legata all’esplorazione delle

radiosorgenti extragalattiche. Queste indagini si legano molto bene alle

caratteristiche di LOFAR e rappresentano uno dei punti cardine che hanno

caratterizzato l’inizio del progetto. L’esplorazione della volta celeste in un range

di frequenze molto ampio (LOFAR possiede infatti una banda maggiore di 4

ottave) permetterà di creare una mappa delle radiosorgenti per lo studio di

innumerevoli fenomeni come buchi neri, galassie ecc.; inoltre, siccome LOFAR

andrà a sondare lo spazio inesplorato, sarà in grado di scoprire nuove entità che

potranno essere studiate, come ad esempio la presenza di galassie al di fuori della

Via Lattea o la nascita di nuovi corpi celesti.

LOFAR contribuirà direttamente anche allo studio dei raggi cosmici, attraverso

una rilevazione efficiente dei raggi ed un’accurata determinazione della loro

direzione di provenienza e quindi della loro sorgente. I raggi cosmici sono

costituiti da un flusso di particelle provenienti dallo spazio, quasi tutte dotate di

carica elettrica. Si tratta per lo più di ioni di elementi leggeri (idrogeno, deuterio,

elio, litio, ecc..) ed elettroni, che si muovono a velocità altissime, prossime a

quella della luce. Essi possiedono energie molto superiori a quelle ottenibili

attraverso acceleratori di particelle sulla Terra. I raggi cosmici vengono emessi

dalle stelle durante alcuni fenomeni che liberano molta energia, come le

Page 37: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

25

esplosioni di supernove. Alcuni hanno origine nel Sole, altri da sorgenti nella Via

Lattea, altri ancora da sorgenti esterne alla nostra galassia. Lo studio dei raggi

cosmici permetterà di indagare il cosmo attraverso segnali ad alta energia, di

studiare la fisica fondamentale ad energie irraggiungibili dagli acceleratori sulla

Terra, e di ottenere preziose indicazioni sulle prime fasi di evoluzione

dell’Universo.

Grazie ad un ampio lobo principale, LOFAR sarà in grado di monitorare un’ampia

porzione di cielo, permettendo un’indagine approfondita delle radiosorgenti in

transito nella volta celeste. Utilizzando una media dei dati ricavati, esso fornirà le

informazioni per una grande varietà di scale temporali, da pochi secondi a molti

giorni. La risoluzione raggiunta sarà sufficiente per l’operazione di identificazione

dei raggi X ed ottici.

1.6.4 Possibile realizzazione di una stazione LOFAR al

radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina Una volta completata la realizzazione della prima fase di LOFAR, si passerà

all’estensione geografica delle stazioni in maniera tale da poter ottenere una

baseline di un certo livello per migliorare sensibilmente le prestazioni dello

strumento in termini di potere risolutore.

A tal proposito anche il radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina ha deciso

di partecipare alla realizzazione di questo grande strumento, in quanto permetterà

di ottenere enormi vantaggi sotto il profilo della ricerca in campo europeo.

Il progetto italiano, in fase di elaborazione, prevede due fasi distinte, che

potrebbero essere tanto una successiva all’altra quanto portate avanti in parallelo.

La più semplice ed immediata è rappresentata dall’acquisto del kit di installazione

di una stazione LOFAR da attivare a Medicina, la seconda, più complessa ma dai

grandi ritorni in termini di prestazioni, prevede l’aggiornamento del ramo Est-

Ovest del radiotelescopio “Croce del Nord”, in modo che possa funzionare alle

frequenze di LOFAR.

Il consorzio LOFAR mette a disposizione la strumentazione necessaria per

l’installazione di una stazione remota. Si parla quindi dei sensori (200 antenne

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

26

complessivamente), dell’elettronica direttamente installata sulle antenne e della

rete di collegamento fra le stesse.

Per quanto riguarda il sito adatto dove collocare la stazione remota LOFAR, sito

che poi dovrebbe essere collegato attraverso link a larga banda alla rete di

trasporto dati nazionale, la stazione di Medicina presenta condizioni decisamente

favorevoli, dal momento che, essendo uno dei nodi della rete europea VLBI, è

collegata tramite rete a larga banda Gb Ethernet alle dorsali nazionali.

Questo rappresenta una grossa facilitazione per l’installazione della stazione

LOFAR, i cui dati potrebbero anch’essi viaggiare su questa struttura.

Inoltre la stazione di Medicina è proprietaria di un’ampia area di terreno attorno ai

radiotelescopi, area piatta e stabile, sufficientemente lontana da centri abitati e

linee dell’alta tensione, fonti di forti disturbi, quindi idonea ad ospitare la stazione

LOFAR. Sarebbe quindi sufficiente studiare un’adeguata rete di alimentazione e

di trasferimento dati fra il sito scelto e il nodo della rete ad alta velocità e la

stazione potrebbe essere immediatamente installata.

Un grosso salto da un punto di vista scientifico, per quanto riguarda la ricerca

radioastronomica, è rappresentato da quello che è stato battezzato “progetto

super-station”. Sfruttando le potenzialità offerte da una struttura importante come

quella della “Croce del Nord”, l’idea è quella di cercare di ottimizzare le capacità

dell’antenna (in particolare del ramo Est-Ovest), oltre che per il suo normale

range di frequenze di funzionamento (attorno a 408 MHz), anche per le frequenze

di osservazione di LOFAR.

Uno studio svolto di recente ha messo in evidenza le buone capacità in termini di

prestazioni di un’antenna cilindrico-parabolica, come la croce, per una banda che

va da 100 MHz a 700 MHz. Sarebbe ovviamente necessario sostituire i sensori,

che nella fattispecie sono dei dipoli a mezz’onda ottimizzati per i 408 MHz.

In sostanza, l’obiettivo potrebbe essere quello di aggiungere (previo studio

meccanico) dei sensori idonei alla parte alta della banda di osservazione di

LOFAR (120-240 MHz).

Sfruttando anche le tecnologie in fase di studio per il progetto BEST

(realizzazione di un dimostratore per SKA, di cui si parlerà in seguito),

Page 39: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

27

attualmente in corso (collegamenti ottici analogici, elaborazione digitale dei dati

tramite poly-phase filter bank ecc..), si collegherebbero i ricevitori alla stanza di

elaborazione dati e si effettuerebbe la prima elaborazione dati in vista della

successiva in ambito LOFAR.

Le ragioni di effettuare un’opera di questo genere sono tanto semplici quanto

valide: si riuscirebbe ad ottenere un’antenna da inserire nella rete LOFAR con

un’area efficace estremamente superiore a quella di ogni stazione remota, area che

potrebbe arrivare vicino all’intera area del ramo Est-Ovest (20000 m2). Ciò

consentirebbe un notevole salto in termini di prestazioni (in particolare in termini

di sensibilità dello strumento).

Lo sforzo tecnologico-logistico, anche in questo caso, risulterebbe minimo se

comparato ai risultati ottenibili, sia per i ricercatori italiani, che si troverebbero a

disposizione uno strumento dalle prestazioni considerevoli, sia per il consorzio,

che di colpo avrebbe in un unico strumento l’area efficace che normalmente

potrebbe ottenere con ben 20 stazioni.

La prima fase di upgrade ipotizzata è quella di illuminare 5000 m2 geometrici del

cilindro parabolico per mezzo del fuoco primario (efficienza stimata del 40%),

che corrisponde a sostituire 6 linee focali, per un totale di circa 110 m di linea.

Le suddette linee da smontare e rimpiazzare con i nuovi sistemi sarebbero quelle

più esterne dell’E-W escludendo la prima e l’ultima linea (3+3), per minimizzare

l’effetto di spill-over del terreno e avere fra i due gruppi la massima distanza, al

fine di ottenere la più lunga baseline possibile (fig. 1.20).

Fig. 1.20: foto del ramo E-W con indicazione delle linee focali da sostituire

Page 40: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

28

In tal caso, considerando la dimensione dell’illuminatore pari a circa 60 cm, sul

totale delle nuove linee focali verrebbero installati fino a 220 sistemi

illuminatore + LNA + TX ottico + fibra.

Un’ulteriore considerazione, anch’essa di estrema rilevanza, va fatta a proposito

dell’eventualità di installare tanto la stazione remota LOFAR quanto la super-

station. Utilizzando singolarmente uno strumento come il ramo Est-Ovest adattato

alle frequenze di LOFAR, ci si aspetta di ottenere un fascio di puntamento

piuttosto grande (circa 10 arcmin a 150 MHz). In questo modo lo strumento da

solo non sarebbe in grado di operare per le applicazioni astrofisiche standard nel

range di frequenze di LOFAR. Al contrario, installando anche la stazione remota

LOFAR, opportunamente collocata, sarebbe possibile ottenere una baseline di

circa 1.5-2 Km, sufficiente a ottenere uno strumento complessivo in grado di

portare a importanti e sorprendenti nuove scoperte astronomiche. Quindi, da un

lato con il ramo Est-Ovest (avente una baseline ridotta del complesso), dall’altro

con una o due stazioni LOFAR distanziate di 2.5 Km dalla croce, si otterrebbe

uno strumento dalle potenzialità considerevoli con un’area efficace complessiva

di circa 22000 m2, che, per fare un confronto, sarebbe circa 3-4 volte più grande

del Synthesis Radio Telescope di Westerbork.

1.7 Il progetto SKA (Square Kilometer Array)

Negli ultimi decenni in molte nazioni sono sorte diverse discussioni su quale fosse

il logico sviluppo della radioastronomia dopo la costruzione del telescopio ALMA

(Atacama Large Millimeter Array).

E’ così emersa l’intenzione di sviluppare il progetto di un radiotelescopio in grado

di fornire un incremento di due ordini di grandezza in sensibilità rispetto agli

strumenti esistenti, per lunghezze d’onda dal metro al centimetro.

Per raggiungere questo scopo occorre un radiotelescopio con un’area collettrice

molto elevata, di circa un chilometro quadrato, ovvero cento volte maggiore di

quella del radiotelescopio VLA (Very Large Array) situato in New Mexico (fig.

1.21).

Page 41: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

29

Fig. 1.21: Very Large Array (VLA)

Questo progetto, concepito dalla comunità radioastronomica mondiale, è

comunemente identificato con l’acronimo SKA (Square Kilometer Array, vedi []),

che pone l’accento proprio sull’area efficace che dovrà avere questo

radiotelescopio, cioè circa (1 Km)2.

Grazie alla maggiore sensibilità potranno essere ricevuti segnali molto più deboli,

cioè emessi da oggetti celesti più distanti o di minore intensità; uno degli obiettivi

di SKA sarà addirittura ricevere segnali provenienti da oggetti così lontani da

poter essere temporalmente collocati in un’età primordiale dell’universo,

rispondendo così a domande fondamentali sull’origine e l’espansione dello stesso.

Tali segnali sono molto deboli e dunque richiedono, per essere rilevati, un

telescopio molto sensibile e perciò di dimensioni enormi.

Per fornire un’apertura di un milione di metri quadrati ad un costo accettabile, la

tecnologia di SKA sarà rivoluzionaria rispetto a quella degli attuali radiotelescopi;

in questi anni i diversi istituti che concorrono al progetto stanno ideando e

realizzando prototipi, a partire dai quali saranno determinate anche le tecnologie

di base da utilizzare; l’inizio della costruzione dello Square Kilometre Array è

previsto per il 2014 e si pensa possa essere completamente operativo intorno al

2020.

Il concetto di SKA a cui si è giunti prevede la sua realizzazione tramite una

schiera interferometrica di stazioni-array (fig. 1.22), ciascuna delle quali è in

pratica una schiera di antenne elementari, tra le quali sarà distribuita l’area

Page 42: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

30

collettrice dell’ordine del chilometro quadrato; sono allo studio diverse

configurazioni, che includono un diverso numero di stazioni: ad esempio 150

stazioni ognuna con area pari a quella di un telescopio di 30 m di diametro

oppure 30 stazioni, ognuna equivalente ad un telescopio del diametro di 200 m.

Una singola stazione-array potrà consistere di un numero più o meno elevato di

antenne, disposte su una superficie di 100-200 m di diametro. Il numero delle

stazioni-array richieste, almeno 100 ma possibilmente fino a 1000 più piccole,

dipenderà dai risultati degli studi sulle configurazioni delle antenne e dalle risorse

finanziarie disponibili.

Fig. 1.22: immagine realizzata al computer di come potrebbe apparire una stazione-array

Si ritiene che approssimativamente il 50% dell’area collettrice sarà fornita da una

densa schiera interna e centrale di circa 5 Km di diametro, per disporre di

un’elevatissima sensibilità su una risoluzione dell’ordine dell’arcosecondo, il che

renderà possibile lo studio di deboli tracce di righe spettrali di strutture risalenti

alle origini dell’universo. Un altro 25% dell’area collettrice sarà collocato in un

diametro di 150 Km, e la parte rimanente al di fuori di esso, fino a una distanza

dal centro di 3000 Km e più.

Questa elevata accuratezza nella risoluzione angolare permetterà la rilevazione di

deboli emissioni dal mezzo interstellare di lontane galassie, così come l’indagine

della superficie delle stelle e dei nuclei attivi delle galassie.

Per quanto riguarda la tecnologia realizzativa delle singole antenne, si stanno

considerando sia strutture planari, sia riflettori; in ogni caso, la scelta dovrà anche

consentire di applicare tecniche di multibeaming, ovvero di osservazione

Page 43: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

31

simultanea in più direzioni di ampie porzioni di cielo, con la possibilità di

selezionare certi campi di vista in modo indipendente.

Il technical concept di SKA è attualmente in fase di studio presso l’ATNF

(Australia Telescope National Facility) e ci sono varie candidature a livello

mondiale per ospitare SKA, la più forte delle quali, sia per caratteristiche

geografiche favorevoli, sia per la presenza di molte zone ove lo spettro è

abbastanza libero da segnali di origine terrestre (fonte di forte disturbo per le

osservazioni radioastronomiche), è l’Australia (fig. 1.23).

Fig. 1.23: immagine dell’Australia con un possibile schema della dislocazione delle stazioni; il

nucleo centrale si trova collocato presso il sito di Mileura, a circa 300 Km dalla costa occidentale

Tra i progetti più validi per la realizzazione delle antenne si può citare quello

americano, che nasce dalla collaborazione tra il SETI Institute e il Laboratorio di

Radioastronomia dell’Università di Berkeley e che prende il nome di ATA (Allen

Telescope Array): esso prevede l’utilizzo di antenne di tipo gregoriano, disassate

o classiche, con un riflettore primario parabolico di 6.1 m di diametro e un

subriflettore secondario ellittico di 2.4 m (fig. 1.24).

Fig. 1.24: antenne utilizzate nel progetto ATA

Page 44: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

32

Un’altra proposta di elevata importanza è quella olandese, sostenuta

dall’ASTRON (ASTronomisch Onderzolk in Nederland), che ha portato alla

realizzazione del Phased Array THEA (THousand Element Array), costituito da

1024 antenne di tipo Vivaldi, distribuite su una griglia regolare di 16 metri

quadrati (fig. 1.25).

Fig. 1.25: Thousand Element Array

Esso è organizzato secondo una gerarchia a due livelli di beamforming; la sua

struttura consente di lavorare ad una frequenza compresa tra 750 MHz e 1500

MHz e di avere beam multipli guidati in modo digitale.

I benefici legati alla realizzazione dello Square Kilometer Array, comunque, non

sono soltanto legati al mondo della radioastronomia; essendo esso un progetto

estremamente innovativo, SKA porta infatti con sé notevoli vantaggi dovuti alla

ricerca e allo sviluppo di nuove tecnologie di larga applicazione nel mondo delle

telecomunicazioni, nell’information technology e nei settori attigui.

1.7.1 La “Croce del Nord” e SKA L’Istituto di RadioAstronomia costituisce uno degli organi istituzionali che

collaborano al progetto SKA.

Page 45: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

33

Date le sue grandi dimensioni (564 m x 640 m) e l’elevato numero di dipoli

(5632) posti sulla sua linea focale, la “Croce del Nord” rappresenta il banco di

prova ideale per le tecnologie che dovranno essere sviluppate nell’ambito del

progetto SKA; avendo infatti un’area collettrice pari a circa quella di una

sottostazione SKA, può essere considerata come un “reduced scale SKA” ed

utilizzata per investigare molti punti cruciali nella definizione del progetto.

A questo proposito è attualmente sotto studio un upgrade globale della Croce, che

consenta di acquisire utile esperienza nel progetto di ricevitori a basso costo, nella

realizzazione di beamforming analogico e digitale e di multibeaming, nella

mitigazione delle interferenze e nella trasmissione di dati su fibra ottica, tutte

caratteristiche essenziali in un radiotelescopio di ultima generazione quale è

quello del progetto SKA.

Il primo passo di questo progetto consiste nell’implementare diverse centinaia di

ricevitori solo sul ramo Nord-Sud; in un secondo momento ne verranno installati

un certo numero anche sulla linea focale del ramo Est-Ovest.

Prima dell’upgrade complessivo, è attualmente allo studio un progetto di re-

ingegnerizzazione della “Croce del Nord” per trasformarla in un vero e proprio

dimostratore per SKA, che ha preso il nome di BEST (Basic Element for SKA

Training) e si suddivide in tre fasi:

BEST-1: prevede la re-ingegnerizzazione di un cilindro parabolico del

ramo Nord-Sud della “Croce del Nord”, tramite l’installazione di 4 Front

End sulla linea focale (1 ogni 16 dipoli) connessi via collegamenti ottici

analogici alla sala di elaborazione dati, dove il segnale verrà convertito ad

una frequenza media di 30 MHz, digitalizzato e filtrato tramite un banco di

filtri polifase implementato grazie ad una FPGA. L’elaborazione dei dati

così ottenuti avverrà in un cluster di PC. In questo modo sarà possibile

testare tecniche di beamforming e mitigazione delle interferenze (fig. 1.26)

BEST-2: prevede l’estensione del progetto a 8 cilindri del ramo Nord-Sud

per un totale di 32 ricevitori installati (fig. 1.27)

Page 46: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

34

BEST-3: prevede l’installazione di 4 ricevitori su 14 cilindri del ramo

Nord-Sud e di 4 su 6 segmenti del ramo Est-Ovest, per un totale di 4×14

+ 4×6 = 80 ricevitori complessivi (fig. 1.28).

Fig. 1.26: schema di implementazione del progetto BEST-1

Fig. 1.27: schema di implementazione del progetto BEST-2

BEST-1

BEST-2

Page 47: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

35

Fig. 1.28: schema di implementazione del progetto BEST-3

BEST-1

I 64 dipoli situati sulla linea focale del cilindro parabolico del sistema

sperimentale BEST-1 (fig. 1.29) non hanno subito modifiche; inoltre è stata

conservata la struttura originale (in guida cava) che realizza il raggruppamento dei

segnali.

Fig. 1.29: la linea focale con i 64 dipoli viene preparata per l’installazione dei LNA

Page 48: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

36

I dipoli sono pertanto raggruppati a gruppi di 16, dando così origine ad un array di

sole 4 antenne spaziate di 8λ.

Come verrà illustrato in maniera approfondita nell’Appendice A, questa notevole

spaziatura tra i sensori genera problemi di non poco conto (equivocazione

spaziale con conseguenti lobi di grating) che rendono talune tecniche, ritenute

tradizionali nella teoria dell’array signal processing, difficili se non addirittura

impossibili da impiegare. A tal proposito si sta valutando la possibilità di adottare

una configurazione leggermente diversa: 8 antenne da 8 dipoli ciascuna con

spaziatura reciproca ridotta (4λ). Sebbene la situazione migliorerebbe dal punto di

vista del beamforming, si avrebbero anche una serie di svantaggi: un notevole

incremento dei costi in quanto occorrerebbe modificare la meccanica della guida

cava, un minor guadagno nei confronti del segnale radioastronomico (8 dipoli

anziché 16), una maggiore complessità hardware ed un maggiore afflusso di dati

da gestire.

I 4 segnali vengono immediatamente amplificati con dei LNA (Low Noise

Amplifier, vedi fig. 1.30) posti direttamente lungo la linea focale.

Fig. 1.30: uno dei 4 LNA di BEST-1. Questi amplificatori sono stati progettati e costruiti presso

l’Istituto di RadioAstronomia

Page 49: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

37

Una volta amplificati, i segnali RF vengono trasportati direttamente nella stanza

del ricevitore mediante un link analogico in fibra ottica (Fig. 1.31).

Fig. 1.31: i 4 ricevitori analogici in fibra ottica ed i 4 mixer utilizzati per la conversione dei segnali

a frequenza intermedia

Il motivo di questa scelta risiede nella necessità di semplificare quanto più

possibile l’elettronica esterna, riducendo le probabilità di guasto e facilitando

l’assemblaggio e la manutenzione dell’impianto.

Diversamente sarebbe stato necessario dotare i singoli front-end di un oscillatore

locale (comune a tutti i mixer di conversione, per avere la coerenza di fase

necessaria al beamforming) ed, eventualmente, di stadi ADC (Analog to Digital

Converter) esterni per una trasmissione digitale. In questo modo, invece, nella

stanza di elaborazione giungono direttamente i segnali in banda base provenienti

dai 4 amplificatori, con perdite di trasmissione ridotte rispetto alla trasmissione su

cavo coassiale.

In seguito i segnali vengono convertiti ad una frequenza intermedia di 30 MHz,

per essere poi in parte elaborati dal sistema originario ed in parte campionati ad 80

MS/s da un nuovo sistema di acquisizione digitale (fig. 1.32), composto da 4 ADC

da 14 bit AD6645 (Analog Devices) e 4 DDC (Digital Down Converter) AD6634.

Page 50: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

38

Fig. 1.32: Le evaluation board di Analog Device utilizzate per provare gli ADC ed i DDC

Questi ultimi effettuano una conversione digitale della banda utile nell’intorno

della frequenza nulla. Il segnale diviene così di natura complessa e, pertanto,

all’uscita ne vengono fornite le componenti in fase ed in quadratura I e Q. Inoltre i

DDC provvedono ad effettuare un filtraggio ed una decimazione del segnale

acquisito (fig. 1.33).

Fig. 1.33: schema a blocchi dello stadio DDC. Il segnale digitale viene demodulato numericamente

mediante un oscillatore numerico (NCO), il quale provvede a fornirne le componenti in fase ed in

quadratura. Segue un filtro passa-basso (LPF) ed un decimatore (↓M).

Page 51: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

39

Il flusso dati viene acquisito mediante una scheda PCI7300A installata all’interno

di un calcolatore Xeon multiprocessore e, da questo punto in poi, ogni trattamento

del segnale viene condotto per via software.

E’ probabile che in futuro vengano installati sul front-end (in prossimità degli

LNA) dei phase shifters, allo scopo di sostituire il vecchio sistema di rifasamento

a kerosene adottato dalla “Croce del Nord” (vedi paragrafo 1.4) e consentire

contemporaneamente un beamforming a livello RF.

Si ritiene che l’upgrade, a cui verrà sottoposta la Croce, porterà quest’ultima ad un

livello operativo attualmente unico nell’osservazione radioastronomica a bassa

frequenza, e la farà diventare un punto fermo per la ricerca orientata a SKA;

verranno seguiti due filoni: da un lato saranno sfruttate le tecnologie già testate

per il progetto BEST per studiare algoritmi di mitigazione delle interferenze e

tecniche di beamforming, e dall’altro verranno ricercate nuove tecnologie a basso

costo che possano essere utilizzate nello SKA finale.

Poiché SKA è pensato per dare importanti risposte all’astrofisica di oggi e di

domani, si cerca di fare in modo che questa attività di sviluppo venga realizzata

attraverso la più vasta collaborazione possibile con altri istituti di ricerca

astrofisica internazionali e con le Università italiane ed estere, coinvolgendo

anche il settore industriale.

Page 52: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

40

1.8 La tesi

Un aspetto di primaria importanza per entrambi i progetti (LOFAR e SKA) è

rappresentato dalle tecniche di beamforming e di mitigazione delle interferenze.

I segnali che si vogliono osservare in radioastronomia sono meno potenti di molti

ordini di grandezza rispetto a qualsiasi segnale di origine terrestre.

Ciò fa sì che anche segnali raccolti dai lobi secondari delle antenne, armoniche di

ordine superiore, intermodulazioni e quant’altro possa capitare alle frequenze di

un radiotelescopio, possano causare gravi danni all’osservazione, fino ad

invalidarla completamente. Tutto ciò era già fonte di problemi quando

generalmente si osservava a frequenze in bande riservate alla radioastronomia.

Le cose peggioreranno molto, da adesso in avanti, dal momento che, allargando

enormemente lo spettro di lavoro, si entrerà inevitabilmente “in casa d’altri”,

andando a scontrarsi con le moltitudini di segnali trasmessi dall’uomo (radio FM,

televisioni, ponti radio, radar ecc.). Allargare il range di frequenze di

osservazione è estremamente importante per un radioastronomo, perché gli

consente sia di poter effettuare un maggior numero di ricerche (in ambito

cosmologico significa caratterizzare la storia dell’universo), sia di ottenere una

migliore sensibilità dello strumento. Il tentativo sarebbe futile se non fossero state

concepite tecniche di mitigazione o annullamento dei segnali indesiderati.

Argomento già di estremo interesse in ambiti commerciali, come quello della

telefonia cellulare, diventa di primaria importanza in campo radioastronomico.

Il lavoro di questa tesi si inserisce proprio in questo contesto applicativo:

analizzare dal punto di vista teorico e poi testare sul campo algoritmi di

beamforming e tecniche di mitigazione, avendo a disposizione uno strumento

estremamente adatto a tal proposito come il radiotelescopio “Croce del Nord”.

In questo modo sarà possibile verificarne la validità in un ambiente decisamente

ostile e difficile, in modo da svilupparli verso un funzionamento ottimo.

Disporre di un numero così elevato di ricevitori rappresenta un ottimo banco di

prova per le tecniche di beamforming, ovvero le tecniche che consentono di

orientare il fascio di puntamento di una schiera di antenne, in modo tale da

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Capitolo 1 La stazione radioastronomica di Medicina

41

posizionare, quando possibile, i nulli di ricezione in corrispondenza delle direzioni

da cui sono ricevuti i segnali interferenti (in maniera sia deterministica, quando la

statistica dei segnali sia nota a priori, che adattativa, quando invece non lo sia).

In pratica sono tecniche di filtraggio spaziale. E’ necessario implementare questi

algoritmi, testarli sul campo, verificarne l’efficacia pratica in ambito radio

astronomico ed eventualmente apportare delle modifiche per migliorarne il

funzionamento.

Lo stesso discorso può essere ripetuto per quanto riguarda le tecniche di

mitigazione delle interferenze, tecniche che entrano in gioco quando il

beamforming non possa da solo eliminare il problema dei segnali indesiderati.

Ne esistono di vari tipi; in ambito radioastronomico non esiste un metodo

universalmente adottabile: le tecniche diventano più o meno efficaci a seconda

della tipologia di osservazione. Anche questi metodi sono ancora da verificare sul

campo in questo tipo di applicazioni.

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Page 55: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

CAPITOLO 2

METODI DI BEAMFORMING

2.1 Generalità

Per introdurre efficacemente il concetto di beamforming, è opportuno descrivere

lo scenario in cui si trovano a dover lavorare gli apparati di ricezione nella

maggior parte delle applicazioni dei tradizionali sistemi di telecomunicazione

(comunicazioni radiomobili, sistemi radar, comunicazioni satellitari, ecc…), e

che coinvolge, in particolare, anche il mondo della radioastronomia.

Spesso, infatti, si è di fronte alla situazione in cui una molteplicità di segnali,

provenienti da direzioni spaziali distinte, ma sovrapposti tra loro sia nel tempo che

nella frequenza, viene ricevuta da una schiera (array) di sensori. L’obiettivo

naturalmente è stimare, il più accuratamente possibile, un determinato segnale

proveniente da una certa direzione dello spazio (segnale di interesse), il quale però

è immerso in vari segnali interferenti e nel rumore (fig. 2.1).

Fig 2.1: due segnali incidenti sull’array di sensori che provengono da direzioni diverse

Page 56: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

44

Quando il segnale desiderato ed i segnali interferenti occupano

contemporaneamente la stessa banda di frequenze, non è certamente possibile

sfruttare il solo filtraggio temporale per isolare il segnale utile; tuttavia, dal

momento che il segnale voluto e quelli interferenti hanno solitamente origine da

regioni spaziali differenti, questa diversità spaziale può essere sfruttata per il

sopra citato scopo, utilizzando in questo modo un filtro spaziale in ricezione.

Con il termine beamforming si indica quindi la tecnica mediante la quale si

realizza di fatto una forma versatile di filtraggio spaziale, per separare segnali che

si sovrappongono spettralmente ma che provengono da direzioni diverse dello

spazio. La parola beamforming deriva dal fatto che, in origine, i filtri spaziali

venivano progettati per generare dei pencil beams, cioè dei diagrammi di

radiazione che ricevessero nel miglior modo possibile il segnale irradiato da un

punto specifico dello spazio, ed attenuassero il più possibile eventuali segnali

provenienti da altri punti (fig. 2.2).

Fig. 2.2: apertura spaziale continua di un’antenna a riflettore parabolico e relativo diagramma di

radiazione (di tipo “pencil beam”)

Anche se nella definizione precedente di beamforming si faceva riferimento

all’applicazione di questa tecnica solamente nell’ambito della ricezione dei

segnali, in realtà essa, come si può intuire dal nome stesso, può essere

equivalentemente definita per la trasmissione; in seguito, comunque, si parlerà

esclusivamente di beamforming come metodo di realizzazione del filtraggio

spaziale in ricezione.

Page 57: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

45

Occorre a questo punto fare un’ulteriore precisazione: un beamformer è, in

generale, un sistema utilizzato in combinazione con una schiera di sensori che,

come si è detto, compie un filtraggio di tipo spaziale e può essere, a seconda di

come viene implementato, digitale o analogico; in questa trattazione ci si

occuperà solo di beamformers digitali.

Se da una parte l’implementazione di un filtro temporale richiede l’elaborazione

dei dati raccolti in una finestra temporale, dall’altra, in maniera del tutto analoga,

l’implementazione di un filtro spaziale richiede l’elaborazione dei dati raccolti in

una finestra spaziale.

Il sistema costituito dalla combinazione tra array di sensori e beamformer

presenta due vantaggi molto importanti, di cui verrà dato un breve accenno di

seguito.

E’ noto che la capacità di risoluzione spaziale di un’antenna migliora al crescere

delle dimensioni della sua apertura spaziale, in rapporto alla lunghezza d’onda.

Un’antenna singola (apertura spaziale continua), capace di fornire la richiesta

risoluzione, viene generalmente impiegata solo per frequenze molto elevate, dove

le lunghezze d’onda in gioco risultano essere sufficientemente piccole. Mentre,

quando si è interessati a segnali con frequenze minori, una schiera di sensori

riesce spesso a sintetizzare meglio un’apertura spaziale.

Un secondo grande vantaggio, questa volta valido ad ogni frequenza, è la

versatilità del filtraggio spaziale offerta dal campionamento spaziale discreto.

In molti settori applicativi è spesso necessario aggiornare la funzione di filtraggio

spaziale in tempo reale per mantenere efficace la soppressione dei segnali

interferenti. Questo aggiornamento può essere implementato facilmente in un

sistema campionato discretamente, cambiando semplicemente il modo in cui il

beamformer combina linearmente i dati provenienti dai sensori.

Non è invece possibile modificare la funzione di filtraggio spaziale di un’antenna

ad apertura continua.

Page 58: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

46

2.2 Beamforming come filtraggio spaziale

Si consideri ora un generico beamformer tipicamente utilizzato per l’elaborazione

dei segnali a banda stretta, schematizzato in fig. 2.3.

Fig. 2.3: beamformer a banda stretta

L’array di sensori effettua un campionamento spaziale discreto dell’onda

incidente, producendo l’insieme [x1(k), x2(k), …, xN(k)] di dati provenienti dagli N

sensori all’istante temporale k. Questi campioni (spaziali) vengono poi combinati

linearmente dal beamformer, secondo i coefficienti ∗nw , ad ogni istante di tempo,

per cui l’uscita y risulta essere:

)(1

kxwy(k) n

N

nn∑

=

∗= (2.1)

dove (*) rappresenta l’operatore complesso coniugato. Sia i coefficienti sia i dati

sono numeri complessi, in quanto per ogni sensore viene utilizzato un ricevitore

in quadratura (demodulazione IQ).

Un classico beamformer tipicamente impiegato in presenza di segnali a larga

banda effettua un campionamento sia nello spazio che nel tempo (fig.2.4).

Page 59: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

47

Fig. 2.4: beamformer a banda larga

In questo caso l’uscita y può essere espressa come:

)k(xw)k(y n

N

1n

1J

0,n ξ

ξξ −= ∑∑

=

=

∗ (2.2)

dove J-1 è il numero di blocchi di ritardo presenti in ognuno degli N sensori

(canali).

Dal momento che il segnale proveniente da ogni sensore altro non è che un

ingresso del beamformer, quest’ultimo può essere classificato come sistema

MISO (Multi Input Single Output).

E’ possibile riscrivere sia la 2.1 che la 2.2 in forma compatta:

)()( kky xw H= (2.3)

purché si definisca opportunamente un vettore dei coefficienti (pesi) w ed un

vettore di dati x(k).

Page 60: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

48

Con H si indica l’operatore hermitiano (trasposto coniugato). Supponendo che w

e x(k) siano D-dimensionali, si ha che D = N quando ci si riferisce alla 2.1,

mentre D = N · J quando ci si riferisce alla 2.2.

Da qui in avanti l’indice temporale k verrà sottinteso, di conseguenza la 2.3 può

essere riscritta nella forma:

(2.4)

Molte delle tecniche di beamforming che verranno descritte in questo capitolo

sono applicabili, infatti, sia al caso tempo-continuo che al caso tempo-discreto.

Risulta naturale, a questo punto, domandarsi se esiste una relazione tra il

beamforming ed il ben noto filtraggio FIR (Finite Impulse Response).

Si ricordi che la risposta in frequenza di un filtro FIR, con coefficienti ∗nw per

Nn ≤≤1 ed un ritardo di T secondi per coefficiente, è data da:

)1(

1

*)( −−

=∑= nTj

N

nnewr ωω (2.5)

che in forma compatta diventa:

)()( ωω dw H=r (2.6)

dove

(2.7)

e

HTNjTjTj eee ]...1[)( )1()2()( ωωωω −=d (2.8)

xw H=y

]...[ **2

*1 Nwww=Hw

Page 61: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

49

)(ωr rappresenta la risposta del filtro ad una sinusoide complessa di frequenza ω

mentre )(ωd è un vettore che descrive la fase della sinusoide complessa ad ogni

presa del filtro FIR, rispetto alla fase del coefficiente w1, che viene dunque

considerata come riferimento.

La risposta del beamformer alla sollecitazione di un’onda piana, d’altra parte, è

funzione della frequenza e della posizione dell’array rispetto alla sorgente

dell’onda. La posizione, in genere, è una grandezza tridimensionale, ma spesso si

ha a che fare con direzioni di arrivo (DOA, Direction Of Arrival: grandezza

angolare che esprime la direzione di provenienza di un segnale) di una o due

dimensioni; inoltre in questa trattazione non si terrà mai conto della distanza tra

array e sorgente.

Si assuma che il segnale incidente sull’array di sensori sia un’onda piana

complessa, con DOA θ e frequenza ω. Si prenda come riferimento a fase nulla il

segnale sul primo sensore. Questo implica che:

kj

1 e)k(x ω= (2.9)

Mentre:

[ ])(kj

nne)k(x θ∆ω −= (2.10)

per Nn2 ≤≤ . ∆n(θ ) rappresenta il ritardo temporale dovuto alla propagazione tra

il primo sensore e l’n-esimo.

Sostituendo rispettivamente nella 2.1 e nella 2.2, all’uscita del beamformer risulta

),(reewe)k(y kjN

1n

)(jn

kj n ωθωθ∆ωω == ∑=

−∗ (2.11)

[ ] ),(reewe)k(y kjN

1n

1J

0

)(j,n

kj n ωθω

ξ

ξθ∆ωξ

ω == ∑∑=

=

+−∗ (2.12)

Page 62: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

50

dove in entrambi i casi ∆1(θ )=0. r(θ,ω) è la risposta del beamformer e può essere

espressa comodamente in forma vettoriale come:

),(),(r ωθωθ dw H= (2.13)

Gli elementi del vettore d(θ,ω) corrispondono, rispettivamente, agli esponenziali

complessi )(jne θ∆ω− (nella 2.11) e [ ]ξθ∆ω +− )(j ne (nella 2.12), che in genere hanno la

forma:

H)(j)(j)(j D32 eee1),( ][ θωτθωτθωτωθ K=d ( 2.14)

dove i τi(θ), per Di2 ≤≤ sono i ritardi temporali dovuti alla propagazione.

d(θ,ω) è il vettore risposta dell’array, denominato steering vector o vettore

direzionale.

Le caratteristiche non ideali dei sensori possono essere inglobate in d(θ,ω),

moltiplicando ogni salto di fase per una funzione ai(θ,ω) che descriva la risposta

del sensore associato, in funzione della direzione e della frequenza temporale.

E’ possibile definire il beampattern come:

2),(r ωθ (2.15)

Si osservi che ogni coefficiente di w incide sia sulla risposta temporale che su

quella spaziale del beamformer.

Esiste dunque una forte analogia tra un beamformer ed un filtro FIR: il primo

combina linearmente le sequenze temporali in uscita da ogni sensore (derivanti

dal campionamento spaziale) per ottenere in uscita una nuova sequenza

(temporale); il secondo combina linearmente i campioni temporali al suo ingresso.

Tuttavia la corrispondenza tra filtraggio FIR e beamforming è esatta solo quando

il beamformer è di tipo a banda stretta (opera ad una singola frequenza ω0), i

Page 63: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

51

sensori sono omnidirezionali (non privilegiano nessuna direzione) e la geometria

dell’array è lineare ed equispaziata (fig. 2.5).

Fig. 2.5: illustrazione della corrispondenza tra un filtro FIR (a) ed un array lineare, equispaziato

con beamformer omnidirezionale e a banda stretta (b)

Ci si può rendere conto di questo anche intuitivamente: un’onda piana, che incide

sui sensori dell’array, risulta sfasata progressivamente (e in egual misura)

all’ingresso di ciascun moltiplicatore del beamformer, così come l’onda ricevuta

dal filtro FIR viene ritardata mano a mano che attraversa le linee di ritardo z-1.

Si consideri un array lineare; sia d la distanza reciproca tra i sensori, c la velocità

di propagazione e θ la DOA del segnale rispetto al versore normale alla direzione

di allineamento dei sensori.

(b)

(a)

Page 64: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

52

Si ha che:

)sin(cd)1n()(n θθτ −= (2.16)

In questo caso identifichiamo la relazione tra la frequenza temporale ω in d(ω)

(filtro FIR) e la direzione d’ arrivo θ in d(θ,ω0) (beamformer) in:

)sin(cd

0 θωω = (2.17)

Pertanto la frequenza temporale in un filtro FIR corrisponde al seno della

direzione in un beamformer lineare, equispaziato e a banda stretta. Una completa

corrispondenza tra beamforming e metodi di filtraggio FIR è possibile solo per

questo caso particolare, definita la corrispondenza tra frequenza e direzione.

Esistono inoltre vari elementi che differenziano lo studio del filtraggio spaziale

attraverso la tecnica del beamforming dallo studio del filtraggio temporale FIR.

Per esempio, nel beamforming una sorgente di energia ha diversi parametri che la

possono caratterizzare: distanza, angoli di azimuth ed elevazione, polarizzazione,

contenuto spettrale. Segnali differenti, in genere, sono mutuamente correlati a

causa della propagazione a cammini multipli. Il campionamento spaziale è spesso

non uniforme e multidimensionale. Per di più bisogna includere incertezza nella

caratterizzazione della posizione e risposta dei singoli sensori. Queste

considerazioni portano a sviluppare tecniche robuste di beamforming e tecniche

di calibrazione degli array.

La notazione vettoriale introdotta nella 2.13 suggerisce un’interpretazione

geometrica per il beamforming; questo punto di vista è utile sia per l’analisi che

per la sintesi. Il vettore dei coefficienti w ed il vettore risposta dell’array d(θ,ω)

sono contenuti in uno spazio D-dimensionale. Gli angoli tra w e d(θ,ω)

determinano la risposta r(θ,ω). Per esempio, se per alcuni valori di (θ,ω) l’angolo

tra w e d(θ,ω) è 90° (cioè w risulta ortogonale a d(θ,ω)), allora la risposta è nulla.

Page 65: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

53

Se l’angolo invece è prossimo a 0°, allora il modulo della risposta sarà

relativamente grande. L’abilità di risolvere spazialmente sorgenti a diverse

posizioni e/o frequenze, per esempio (θ1,ω1) e (θ2,ω2), dipende dall’angolo tra i

vettori risposta, d(θ1,ω1) e d(θ2,ω2).

L’equivocazione spaziale corrisponde ad una ambiguità nelle posizioni delle

sorgenti. Questo vuol dire che sorgenti a posizioni diverse generano lo stesso

vettore di risposta dell’array, cioè per sorgenti a banda stretta si ha:

d(θ1,ω0) = d(θ2,ω0) (2.18)

Questo può succedere se i sensori vengono posizionati ad una distanza reciproca

troppo elevata. D’altra parte, se i sensori sono troppo vicini, viene meno la

risoluzione spaziale per la minore apertura che ne consegue, il che equivale a dire

che i vettori risposta non sono ben distribuiti nello spazio vettoriale a

D-dimensioni. Un altro tipo di ambiguità si ha per segnali a banda larga, quando

una sorgente ad una certa posizione/frequenza non può essere distinta da una

sorgente a posizione/frequenza diversa, cioè quando:

d(θ1,ω1) = d(θ2,ω2) (2.19)

In un array lineare ed equispaziato, ad esempio, questo capita ogni qualvolta si ha:

ω1sin(θ1) = ω2 sin(θ2) (2.20)

Questa particolare ambiguità può essere risolta andando a considerare anche altri

campioni temporali.

Un punto fondamentale di questa trattazione è la sintesi della risposta del sistema

array di sensori e beamformer mediante la scelta di opportuni coefficienti,

sebbene la 2.13 affermi che la risposta è anche una funzione della geometria della

schiera considerata (e delle caratteristiche del sensore, qualora non sia più valido

il modello a sensore omnidirezionale ideale).

Page 66: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

54

A differenza del filtraggio a canale unico dove i convertitori A/D forniscono un

campionamento uniforme nel tempo, non c’è una motivazione particolare per

pensare ad uno spaziamento uniforme tra i sensori. Anzi l’allocazione dei sensori

fornisce un ulteriore grado di libertà nella sintesi della risposta desiderata e può

essere sfruttata in modo tale che, in un range (θ,ω) di interesse, i vettori risposta

dell’array non siano ambigui e siano ben distribuiti nello spazio vettoriale

D-dimensionale. Lo sfruttamento di questo grado di libertà può diventare

complicato a causa della natura multidimensionale del campionamento spaziale e

della relazione non lineare tra r(θ,ω) e le posizioni dei sensori.

2.3 Operatori statistici del secondo ordine: richiami

La valutazione delle prestazioni di un beamformer generalmente coinvolge la

potenza o la varianza, pertanto gli operatori statistici del secondo ordine giocano

un ruolo fondamentale.

Si supponga, senza perdere di generalità, che i dati forniti dai sensori siano a

media nulla. La varianza (o potenza attesa) all’uscita del beamformer è data da:

[ ] [ ]wxxw HH EyE 2 = (2.21)

Se i dati sono stazionari in senso lato, la matrice di covarianza

[ ]Hx xxR E= (2.22)

è indipendente dal tempo.

Sebbene nella pratica si abbia frequentemente a che fare con fenomeni non

stazionari, l’ipotesi di stazionarietà in senso lato viene spesso adottata per

sviluppare beamformers ottimi in senso statistico (si veda a tal proposito il

paragrafo 2.7).

Page 67: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

55

Si supponga che x rappresenti una sequenza di valori campionati uniformemente

nel tempo, avente densità spettrale di potenza S(ω) e che tale densità sia nulla

oltre la banda [ωa , ωb]. Rx può essere espressa in funzione della densità spettrale

di potenza dei dati mediante la trasformata di Fourier:

∫=b

a

d)()()(S21 ω

ω

ωωωωπ

Hx ddR (2.23)

con d(ω) definito come nella 2.8.

Supponendo che il vettore di dati x sia quello generato da una sorgente posta in

direzione θ, in modo analogo alle sequenze temporali possiamo ricavare la

matrice di covarianza del vettore di dati come:

∫=b

a

d),(),()(S21 ω

ω

ωωθωθωπ

Hx ddR (2.24)

Una sorgente si dice a banda stretta (e a frequenza ω0) se Rx può essere riscritta

come:

),(),( 002s ωθωθσ H

x ddR = (2.25)

dove 2sσ è la varianza (o la potenza) della sorgente.

Le condizioni sotto le quali una sorgente può essere considerata a banda stretta o

meno dipendono sia dalla banda della sorgente sia dalla durata temporale

dell’osservazione. Se l’estensione spettrale del segnale è piccola in rapporto alla

frequenza centrale (cioè se ha una banda relativa stretta) e gli intervalli temporali

nei quali il segnale viene osservato sono brevi rispetto all’inverso della banda del

segnale, ogni forma d’onda osservata avrà l’andamento di una sinusoide. Si

osservi che, se l’intervallo di osservazione temporale viene aumentato, la banda

del segnale deve diminuire per conservare l’aspetto sinusoidale.

Page 68: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

56

Ne risulta che il prodotto tempo-banda (TBWP, Time BandWidth Product) è il

parametro fondamentale per capire quando una sorgente può essere considerata a

banda stretta o meno.

Un array fornisce un’efficace apertura temporale nella quale la sorgente viene

osservata. Chiaramente il TBWP dipende dalla DOA della sorgente. Un array

viene considerato a banda stretta (relativamente alle caratteristiche spettrali del

segnale proveniente da una sorgente) se la sorgente può considerarsi a banda

stretta per ogni sua possibile direzione di provenienza.

Il beamforming a banda stretta è concettualmente più semplice di quello a banda

larga, dal momento che è possibile ignorare la variabile frequenza temporale.

Questo fatto, in aggiunta all’interesse di certe applicazioni per la frequenza

temporale, ha motivato l’implementazione di beamformers a larga banda con una

struttura a scomposizione in sottobande, come illustrato in figura 2.6.

Fig. 2.6: schema di una possibile realizzazione di beamforming nel dominio delle frequenze (usato

per lo più quando si ha a che fare con segnali a larga banda).

La scomposizione in sottobande viene spesso realizzata prendendo la trasformata

discreta di Fourier (DFT) dei dati in uscita dai sensori.

Per ogni frequenza di interesse i dati dell’array vengono processati dal

beamformer corrispondente. Questo metodo viene spesso chiamato beamforming

in frequenza. Le uscite del beamformer in frequenza possono essere pensate

equivalenti alla DFT dell’uscita del beamformer a larga banda, schematizzato in

Page 69: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

57

fig. 2.4, mediante una scelta opportuna dei coefficienti ed un’attenta ripartizione

dei dati. Questa equivalenza corrisponde all’implementazione dei filtri FIR

mediante convoluzione circolare con la DFT.

2.4 Classificazione dei beamformers

I beamformers possono essere classificati in base al criterio con cui vengono

calcolati i coefficienti w complessi. Si possono distinguere due grandi categorie:

• beamformers data-independent

• beamformers ottimi in senso statistico

In un beamformer data-independent i coefficienti non dipendono dai dati e

vengono scelti per presentare a priori una risposta dell’array all’intero scenario di

segnale + interferenze.

In un beamformer ottimo in senso statistico, invece, i coefficienti vengono scelti

in base alla statistica dei dati ricevuti, cercando di ottimizzare la risposta

dell’array. In genere un beamformer ad ottimo statistico piazza gli zeri della

funzione d(θ,ω) in direzione delle sorgenti di interferenze, nel tentativo di

massimizzare il rapporto segnale/rumore alla sua uscita.

Le tecniche di sintesi dei beamformers data-independent vengono poi spesso

usate nell’ambito del beamforming ad ottimo statistico.

In genere non è nota la statistica della sequenza dei dati ed oltretutto questa può

cambiare nel tempo, per cui, tipicamente, si impiegano algoritmi adattativi per la

scelta dei coefficienti.

L’algoritmo adattativo viene progettato affinché la risposta del beamformer

converga ad una soluzione statisticamente ottima.

I beamformers parzialmente adattativi riescono a ridurre il carico computazionale

degli algoritmi adattativi, a spese di una (piccola) perdita di ottimalità statistica.

Page 70: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

58

2.5 Beamforming data-independent

In un beamformer data-independent i coefficienti vengono scelti affinché la

risposta del beamformer approssimi una risposta desiderata nota a priori,

indipendentemente dalla sequenza di dati o dalla statistica degli stessi. Questo

obiettivo progettuale è lo stesso che si incontra nella progettazione classica dei

filtri FIR. La prima parte di questo paragrafo tratta la costruzione di beams in

senso classico, cioè approssimando una risposta massima nella direzione

desiderata e nulla altrove; nella seconda parte vengono poi presentati metodi più

generali per la progettazione di beamformers aventi forme di risposta desiderata

del tutto arbitrarie. Entrambi i metodi che verranno presentati hanno il pregio di

adattarsi abbastanza bene alle applicazioni radioastronomiche, ma hanno come

grave difetto il fatto di consentire la realizzazione di beamformers solamente di

tipo deterministico: possono cioè essere utilizzati con buoni risultati solamente in

scenari statici, ossia quando si conoscono le direzioni di arrivo dei segnali e

queste sono fisse.

2.5.1 Beamforming classico Si consideri il problema di separare un segnale proveniente da una certa direzione

nota θ0 dagli altri segnali ricevuti. Se si suppone che il segnale sia a banda stretta

(a frequenza ω0), la risposta desiderata (idealmente) è unitaria per (θ0 , ω0) mentre

è nulla altrove. Una soluzione comune a questo problema consiste nel prendere il

vettore risposta dell’array d(θ0 , ω0) come vettore w. Si può dimostrare che questa

è la scelta ottima in termini di minimizzazione dell’errore quadratico tra la

risposta effettiva e quella ideale. La risposta effettiva è caratterizzata da un lobo

principale (main lobe), detto anche beam, e da molti lobi secondari (sidelobes).

Essa, in generale, è tanto migliore quanto più stretto è il beam e quanto più basso

è il livello dei lobi secondari.

L’array/beamformer che ne risulta viene detto array rifasato, dal momento che

l’uscita di ogni sensore viene sfasata prima della somma.

Page 71: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

59

Dal momento che:

),( 00 ωθdw = (2.26)

ciascun elemento di w ha modulo unitario.

Di conseguenza è possibile finestrare il vettore w (modificando le ampiezze dei

suoi elementi) per ottenere il migliore compromesso tra i livelli del lobo

principale e dei lobi laterali; tuttavia questa operazione porta inevitabilmente ad

una certa perdita di risoluzione, riscontrabile da un lieve allargamento del beam.

In figura 2.7 viene mostrato come il finestramento può essere sfruttato per

controllare la forma della risposta del beamformer: a sinistra viene riportato un

esempio di beamformer a banda stretta ottenuto con un angolo di puntamento

elettronico del fascio pari a –50°; a destra è presente invece la risposta di un

beamformer a banda stretta puntato a +20° con finestramento di Hamming; in

entrambi i casi si sono considerati 16 sensori ideali omnidirezionali ed

equispaziati di λ/2, inoltre la frequenza temporale di funzionamento è stata fissata

a 400 MHz. Si noti come siano stati notevolmente abbassati e “livellati” i lobi

secondari grazie al finestramento del modulo dei coefficienti del vettore w

mediante l’algoritmo di Hamming, ma anche come ciò abbia portato ad un

leggero allargamento del lobo principale.

Fig. 2.7: andamento del beampattern per due diversi beamformers (con coefficienti scelti

utilizzando il criterio classico) a banda stretta; il modulo dei coefficienti del secondo beamformer

sono stati finestrati secondo l’algoritmo di Hamming.

Page 72: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

60

2.5.2 Beamforming data-independent generalizzato I metodi che appartengono a questa categoria si applicano tipicamente alla

progettazione di beamformers in grado di approssimare una risposta desiderata

del tutto arbitraria. Questo è interessante per diversi aspetti: per esempio si

potrebbe desiderare di ricevere ogni segnale proveniente da un certo range di

direzioni, in tal caso la risposta desiderata sarebbe unitaria nell’intero range. In

aggiunta si potrebbe sapere a priori che è presente una forte sorgente di

interferenza che arriva da un certo range di direzioni, la risposta desiderata allora

sarebbe nulla nel range considerato.

Questi esempi sono analoghi al filtraggio FIR passa-banda ed elimina-banda.

Sebbene in questo caso non si tratti più esattamente di beamforming, è prassi

comune riferirsi ancora a questo tipo di filtraggio spaziale come ad un

beamforming.

Si consideri la scelta di w tale che la risposta effettiva:

),(),(r ωθωθ dw H= (2.27)

approssimi la risposta desiderata ),(rd ωθ . Per la scelta di w possono essere

impiegate tecniche ad hoc, simili a quelle impiegate nella progettazione dei filtri

FIR; tuttavia qui si prende in considerazione solo la scelta di w che minimizza la

norma pesata Lp:

( ) p1

pdp dd),(r),(rL ∫∫ −= ωθωθωθ (2.28)

della differenza tra la risposta desiderata e la risposta effettiva. L’approssimazione

a Lp pesata è utilizzata in diverse tecniche di progettazione dei filtri FIR. Le

norme più comunemente utilizzate sono L∞ (minmax) e L2 (Least Square).

Nell’ambito del beamforming, comunque, metodi basati su L∞ non sono

applicabili, mentre in genere è applicabile la procedura che minimizza la norma

Page 73: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

61

L2, usando i minimi quadrati pesati linearmente con campionamento della risposta

in frequenza (con ω discreta).

Per illustrare la progettazione dei beamformers data-independent mediante

ottimizzazione di L2, si consideri il caso di dover minimizzare l’errore quadratico

tra la risposta effettiva e la risposta desiderata in P punti (θi , ωi), con Pi1 ≤≤ .

Se P > D, dove D si ricordi essere il numero delle dimensioni dello spazio

vettoriale che contiene i vettori w e d(θ,ω), allora otteniamo un problema ai

minimi quadrati sovradeterminato:

2

min dH

wrwA − (2.29)

dove: [ ]),(),(),( PP2211 ωθωθωθ dddA K= ;

[ ] HPPd22d11d ),(r),(r),(r ωθωθωθ K=dr

Purché AAH sia invertibile (cioè A abbia rango massimo), la soluzione della 2.29

è data da:

drAw += (2.30)

dove:

AAAA H 1)( −+ = (2.31)

è la pseudo-inversa di A.

2.5.3 Analogie e differenze tra i metodi classico e generalizzato Per entrambi questi due metodi (di tipo deterministico) si suppone che la

direzione di provenienza del segnale desiderato sia sempre nota a priori, ovvero

che si conosca sempre in che direzione puntare il main beam per osservare la

radiosorgente. Si suppone inoltre che tale informazione, espressa in forma

Page 74: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

62

angolare, venga fornita dall’esterno, da un sistema di puntamento appositamente

concepito.

La caratteristica fondamentale che li differenzia risiede nel fatto che il metodo

generalizzato, diversamente dal metodo classico, richiede la conoscenza delle

DOA delle RFI principali. La tabella 2.1 riassume il confronto tra i due metodi

descritti sino ad ora.

METODO DOA NOTE FUNZIONAMENTO

CLASSICO segnale desiderato la fase dei coefficienti viene calcolata in modo che il main beam punti nella direzione voluta

GENERALIZZATO segnale desiderato + RFI i coefficienti vengono determinati affinché il beampattern presenti il suo massimo in direzione del segnale desiderato ed uno zero in direzione delle RFI

Tabella 2.1: schema riassuntivo dei beamformers data-independent

2.6 Beamforming ad ottimo statistico

Nel beamforming ad ottimo statistico i coefficienti sono scelti in base alla

statistica dei dati ricevuti dall’array. L’obiettivo è ottimizzare la risposta del

beamformer affinché l’uscita contenga il minimo contributo dovuto al rumore ed

ai segnali provenienti da direzioni diverse da quella del segnale desiderato. Per

tutto il paragrafo si farà l’ipotesi che i dati siano stazionari in senso lato e che i

corrispondenti descrittori statistici del secondo ordine siano noti. La

determinazione dei coefficienti quando la statistica dei dati non è nota a priori,

oppure è tempo-variante, viene discussa nel paragrafo successivo, dedicato agli

algoritmi adattativi.

Page 75: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

63

2.6.1 Multiple Sidelobe Canceller (MSC) L’MSC dal punto di vista storico è il primo beamformer ad ottimo statistico.

Un MSC consiste in un canale principale ed uno o più canali ausiliari, come

schematizzato in figura 2.8 (a).

(b) (a)

Fig. 2.8: schema di principio del beamformer MSC (a) ed esempio di risposta all’ingresso di

segnale utile + interferenza (b).

Il canale principale può essere sia un’antenna singola ad alto guadagno che un

beamformer data-independent. Esso ha una risposta altamente direttiva puntata

nella direzione del segnale desiderato. Si suppone inoltre che i segnali interferenti

entrino attraverso i lobi laterali del canale principale ed attraverso i canali

ausiliari. L’obiettivo è scegliere i coefficienti wa da attribuire ai canali ausiliari in

modo tale da cancellare la componente interferente dal canale principale. Questo

implica che la risposta agli interferenti del canale principale e di una

combinazione lineare dei canali ausiliari deve essere identica. Un esempio di

risposta del sistema complessivo è rappresentata schematicamente in fig. 2.8 (b).

Page 76: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

64

I coefficienti vengono generalmente scelti per minimizzare il valore atteso della

potenza complessiva in uscita. Questo criterio di scelta può causare una

cancellazione del segnale desiderato al crescere della potenza ad esso associata: in

questo caso, infatti, il segnale stesso contribuisce per una frazione sempre

maggiore alla potenza complessiva in uscita e, conseguentemente, la

cancellazione percentuale aumenta.

L’MSC è molto comodo nelle applicazioni dove il segnale desiderato è molto

debole (in rapporto alle interferenze), come in radioastronomia, dal momento che

verrà completamente ignorato dai coefficienti ottimi; oppure quando il segnale

desiderato è assente durante periodi di tempo noti: i coefficienti possono essere

adattati qualora è assente e usati poi durante la sua presenza.

2.6.2 Utilizzo di un segnale di riferimento (REF SIGNAL) e

massimizzazione del rapporto segnale/rumore (MAX

SNR) I due metodi in questione non sono applicabili in campo radioastronomico,

tuttavia si preferisce menzionarli per completezza, in quanto risultano interessanti

ed applicabili in ambiti ordinari.

Per certe applicazioni potrebbe essere sufficientemente nota l’informazione sul

segnale desiderato da generare un segnale che lo rappresenti piuttosto bene:

questo segnale è detto segnale di riferimento. I coefficienti vengono scelti per

minimizzare l’errore quadratico medio tra l’uscita del beamformer ed il segnale di

riferimento.

Il vettore dei coefficienti dipende dalla cross-covarianza tra il segnale desiderato

presente nei dati ricevuti ed il segnale di riferimento. Si ottengono prestazioni

accettabili purché quest’ultimo approssimi con se stesso la covarianza del segnale

desiderato (e non noto). Si assume inoltre che il segnale di riferimento sia

incorrelato con i segnali interferenti presenti nei dati ricevuti. Il fatto che non sia

necessario conoscere la direzione di arrivo del segnale desiderato è una

caratteristica che contraddistingue questo metodo.

Page 77: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

65

Il beamformer che si basa sulla massimizzazione del rapporto segnale/rumore

sceglie i coefficienti appunto per massimizzare direttamente il rapporto SNR.

Una soluzione generale per il calcolo del vettore w dei coefficienti richiede la

conoscenza sia della matrice di covarianza del segnale Rs sia di quella del rumore

Rn. La disponibilità di questa informazione a priori dipende dall’applicazione in

esame e la natura incognita di Rs nel caso radioastronomico scoraggia l’uso di

questo metodo.

2.6.3 Linearly Constrained Minimum Variance (LCMV)

Beamforming In alcuni casi nessuno degli approcci visti in precedenza potrebbe risultare

soddisfacente. Il segnale desiderato, ad esempio, potrebbe essere sempre presente

o potrebbe essere di potenza sconosciuta: questo comporterebbe, rispettivamente,

una cancellazione del segnale nel MSC oppure una difficoltà nella stima delle

matrici di covarianza di segnale e rumore nel metodo del massimo SNR.

Questi limiti possono essere superati attraverso l’applicazione di vincoli lineari

sul vettore dei coefficienti. L’utilizzo di vincoli lineari è un approccio generale

che permette un controllo esteso sulla risposta adattata del beamformer.

L’idea alla base del LCMV beamforming consiste nell’esprimere dei vincoli sulla

risposta del beamformer, cosicché i segnali provenienti dalle direzioni volute

vengano lasciati passare con certe fasi e certi guadagni. I coefficienti vengono

scelti per minimizzare la potenza (o la varianza) in uscita, sotto certi vincoli della

risposta. Questo ha l’effetto di preservare il segnale desiderato e,

contemporaneamente, di minimizzare i contributi all’uscita dovuti al rumore ed ai

segnali interferenti, provenienti da direzioni diverse da quella di interesse.

Nel paragrafo 2.2 si è messo in evidenza che la risposta del beamformer ad una

sorgente con DOA θ e frequenza temporale ω è data dalla 2.13.

Vincolando linearmente i coefficienti a soddisfare:

g),( =ωθdw H (2.32)

Page 78: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

66

dove g è una costante complessa, si garantisce che qualunque segnale,

proveniente da un angolo θ con frequenza ω, si ritrovi in uscita con risposta g.

La minimizzazione dei contributi delle interferenze, che hanno frequenza ω ma

non arrivano da θ, viene ottenuta scegliendo i coefficienti in modo tale da

minimizzare il valore atteso della potenza (o varianza) in uscita:

[ ] wRw xH=2yE (2.33)

Il problema LCMV per la scelta dei coefficienti viene pertanto ridefinito come la

ricerca del:

wRw xH

wmin (2.34)

sotto il vincolo:

∗= g),( wd H ωθ (2.35)

Per risolvere la 2.34 con la 2.35 si può usare il metodo dei moltiplicatori di

Lagrange, ottenendo il risultato fondamentale:

),(),(

),(g

ωθωθωθdRd

dRw 1-

xH

-1x∗= (2.36)

Si noti che, nella pratica, la presenza di rumore incorrelato assicura l’invertibilità

di Rx.

Se g = 1 la 2.36 corrisponde all’equazione per il calcolo del vettore dei

coefficienti del beamformer Minimum Variance Distortionless Response

(MVDR).

Il singolo vincolo lineare espresso in 2.35 può essere facilmente esteso a più

vincoli lineari per un maggiore controllo sul beampattern. Per esempio, se c’è una

Page 79: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

67

sorgente di interferenza fissa ad una direzione nota φ , potrebbe essere

desiderabile forzare a zero il guadagno in quella direzione al fine di mantenere la

risposta g per il segnale desiderato. Questo si esprime dicendo:

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=⎥

⎤⎢⎣

⎡ ∗

0g

),(),(

wdd

H

H

ωφωθ

(2.37)

Se ci sono L < D (D è sempre la dimensione dello spazio vettoriale che contiene i

vettori w e d) vincoli lineari su w, li scriviamo nella forma:

fwC H = (2.38)

dove la matrice C di LD× elementi ed il vettore f L-dimensionale vengono detti

matrice dei vincoli e vettore risposta. Si suppone che i vincoli siano linearmente

indipendenti, in modo tale che C abbia rango massimo L.

Progettazione dei vincoli

Si possono seguire diverse filosofie per la scelta della matrice dei vincoli e del

vettore risposta. Di seguito ne sono illustrate solo alcune. In molte applicazioni si

ricorre ad una combinazione di differenti tipi di vincoli per questioni pratiche.

Ogni vincolo lineare usa un grado di libertà nel vettore dei coefficienti, pertanto

con L vincoli restano solo LD − gradi di libertà per la minimizzazione della

varianza.

I vincoli puntuali condizionano la risposta del beamformer in specifiche

direzioni spaziali e frequenze temporali anch’esse puntuali. L’equazione 2.37

rappresenta un esempio di due vincoli puntuali su w. Il numero massimo di punti

nei quali la risposta può essere vincolata è limitato a D. Se si usano D vincoli

allora non restano ulteriori gradi di libertà per la minimizzazione della potenza e

si ricade nel caso di beamformer data-independent.

I vincoli derivativi vengono usati per influenzare la risposta in un insieme di

direzioni e/o frequenze forzando a zero la derivata della risposta del beamformer

in certe direzioni e frequenze. Solitamente vengono impiegati in combinazione

Page 80: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

68

con i vincoli puntuali. Un esempio di quando i vincoli derivativi risultano utili si

ha quando la direzione del segnale desiderato è nota a priori solo in maniera

approssimativa: se il segnale proviene da una direzione prossima a quella che è

stata stimata (e per la quale potrebbe essere posto un vincolo puntuale), l’utilizzo

di un vincolo derivativo in quel punto, in realtà, cautela il beamformer dalla

sintesi di uno zero in direzione del segnale desiderato.

I vincoli sugli autovettori si basano sull’approssimazione ai minimi quadrati

della risposta desiderata e tipicamente vengono usati per controllare la risposta del

beamformer in un insieme di direzioni e frequenze.

Vincolando la risposta del beamformer (nel senso dei minimi quadrati) si assicura

che l’errore quadratico medio tra la risposta del beamformer desiderato e quello

effettivo, su una certa regione, venga minimizzato per un certo numero di vincoli.

In questo senso i vincoli sugli autovettori sono molto efficienti.

2.6.4 Generalised Sidelobe Canceller (GSC) Il GSC rappresenta una formulazione alternativa ma equivalente al problema

LCMV: esso trasforma un problema di minimo vincolato in un problema di

minimo assoluto. Questa tecnica è utile per l’analisi del beamformer e in taluni

casi può semplificare la sua implementazione mediante LCMV. Serve inoltre ad

illustrare meglio la relazione esistente tra beamforming MSC e beamforming

LCMV.

Si supponga di scomporre il vettore dei coefficienti w in due componenti

ortogonali w0 e –v (w = w0 – v) poste rispettivamente nello spazio delle colonne di

C e nel suo corrispondente spazio nullo in modo che questa scomposizione possa

essere usata per rappresentare qualunque w.

Dal momento che:

0=vC H (2.39)

deve essere:

Page 81: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

69

fCCCw H0

1)( −= (2.40)

se w deve soddisfare i vincoli.

Il vettore v è una combinazione lineare delle colonne di una matrice Cn

(cioè v = Cn wn) di dimensioni )LD(D −× , purché le colonne di Cn formino una

base per lo spazio nullo di C.

Cn può essere ottenuta da C utilizzando una qualsiasi procedura di

ortogonalizzazione (ad esempio Gram-Schmidt, QR decomposition o SVD).

Il vettore dei coefficienti:

nn0 wCww −= (2.41)

è rappresentato in forma di diagramma a blocchi in figura 2.9.

Fig. 2.9: schema a blocchi semplificato del beamformer GSC.

La scelta di w0 e Cn implica che w soddisfi i vincoli indipendentemente da wn e

riduce il problema LCMV al problema senza vincoli:

( ) ( )[ ]nn0xnn0wwCwRwCw

n

−− Hmin (2.42)

la cui soluzione risulta essere:

( ) 0xHnnx

Hnn wRCCRCw 1−

= (2.43)

Page 82: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

70

Il vantaggio principale che si ottiene da questa formulazione sta nel fatto che i

coefficienti wn sono svincolati e ciò permette di impiegare algoritmi adattativi

molto più semplici. Inoltre un beamformer w0 data-independent viene

implementato come parte integrante del beamformer adattativo e questo risulta

molto utile in situazioni dove si verifichi una cancellazione del segnale (si veda a

tal proposito il paragrafo successivo).

A titolo di esempio si faccia l’ipotesi che i vincoli dati siano come quelli in 2.35.

La 2.40 implica che:

[ ]),(),(),(gωθωθ

ωθdd

dw H0

= (2.44)

Cn soddisfa la:

0),( =nH Cd ωθ (2.45)

cosicché ogni colonna [ ]inC per LDi1 −≤≤ può essere vista come un

beamformer data-independent con uno zero in direzione θ alla frequenza ω:

[ ] 0),( i =nH Cd ωθ . Perciò qualunque segnale a frequenza ω e direzione θ che

arrivi sull’array sarà bloccato o annullato dalla matrice Cn.

In genere se i vincoli sono progettati per presentare una certa risposta ai segnali

caratterizzati da un certo insieme di direzioni e frequenze, le colonne di Cn

bloccheranno tali segnali. Questa caratteristica ha portato alla definizione

dell’espressione matrice di blocco per Cn. I segnali sottoposti ai vincoli sono

processati quindi solo da w0 e, dato che w0 soddisfa i vincoli, sono presentati con

la risposta desiderata indipendente da wn. Segnali da direzioni e a frequenze sulle

quali la risposta non è vincolata passeranno attraverso entrambi i rami dello

schema di fig. 2.9; il ramo inferiore sceglie wn in modo tale che una combinazione

lineare dei dati all’uscita della matrice di blocco approssimi quanto meglio

possibile i segnali all’uscita di w0. Tale operazione è simile a quanto visto

Page 83: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

71

nell’MSC, dove i coefficienti sono applicati all’uscita dei sensori ausiliari al fine

di stimare l’uscita del canale principale (vedi fig. 2.8 (a)).

2.6.5 La cancellazione del segnale desiderato nel

beamforming ad ottimo statistico Il beamforming ottimo in senso statistico richiede qualche informazione a priori

sul segnale desiderato, che può essere: la sua statistica (per i metodi del segnale di

riferimento e del massimo SNR), la sua direzione (per l’MSC) o il vettore risposta

dell’array ),( ωθd (nel caso di beamformer LCMV). Se l’informazione a priori

richiesta risulta non accurata, il beamformer ottimo attenua il segnale desiderato

come se si trattasse di un’interferenza. La cancellazione del segnale desiderato è

spesso significativa, specialmente se l’SNR del segnale stesso risulta elevato

(non è certo il caso della radioastronomia ma si preferisce riportare queste

considerazioni solo per completezza).

Una seconda possibile causa di cancellazione del segnale desiderato è la

correlazione che può esistere tra quest’ultimo ed uno o più segnali interferenti.

Ciò può accadere per esempio nel caso di propagazione a cammini multipli del

segnale desiderato (in radioastronomia questo non avviene mai).

Quando interferenze e segnale desiderato sono incorrelati, il beamformer attenua

gli interferenti per minimizzare la potenza in uscita. Tuttavia, con un’interferenza

correlata, il beamformer minimizza la potenza in uscita trattando il segnale

interferente in modo tale da cancellare il segnale desiderato. Se l’interferente è

parzialmente correlato con il segnale desiderato, allora il beamformer cancellerà

la sola porzione correlata all’interferenza.

2.7 Algoritmi adattativi per il beamforming

Le equazioni per il calcolo del vettore dei coefficienti nel caso dei beamformers

ottimi richiedono la conoscenza a priori dei descrittori statistici del secondo

ordine. Questi operatori in genere non sono noti ma, con l’ipotesi di ergodicità del

Page 84: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

72

segnale, tali descrittori (e dunque i coefficienti ottimi) possono essere stimati dai

dati disponibili. Inoltre tali parametri possono variare nel tempo, ad esempio con

il moto delle sorgenti interferenti.

Per risolvere questi problemi i coefficienti, di solito, sono determinati mediante

algoritmi adattativi.

Fondamentalmente esistono due strategie:

1. adattività a blocchi dove i parametri statistici vengono prima stimati

da un blocco temporale di dati e poi vengono utilizzati nell’equazione

per il calcolo dei coefficienti ottimi;

2. adattività continua dove i coefficienti vengono aggiornati ad ogni

passo di campionamento affinché il risultante vettore dei coefficienti

converga alla soluzione ottima.

In caso di ambiente non stazionario si può utilizzare l’adattività a blocchi, purché

i coefficienti vengano ricalcolati periodicamente. L’adattività continua, invece, è

preferibile solitamente quando i parametri statistici sono tempo-varianti o, per

ragioni computazionali, quando il numero di coefficienti adattativi risulti

modesto.

Si consideri ora il problema standard del filtraggio adattativo, riportato in figura

2.10.

Fig. 2.10: configurazione standard del filtro adattativo.

Page 85: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

73

I coefficienti vengono scelti per stimare il segnale desiderato dy da una

combinazione lineare degli elementi del vettore dati u. Scegliamo Mw per

minimizzare l’errore quadratico medio (Mean Squared Error, MSE):

MuHMM

Hudud

HM

HMM wRwwrrwuww +−−=⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ −= 2

d

2

dyE)(J σ (2.46)

dove [ ]2d

2d yE=σ , [ ]∗= dyE urud e [ ]H

u uuR E= .

Si può dimostrare che la 2.46 è minimizzata da:

ud-1uopt rRw = (2.47)

E’ necessario precisare che il problema standard del filtraggio adattativo può

essere ricondotto ai problemi dei beamformers visti in precedenza, se si seguono

particolari accorgimenti.

L’approccio per blocchi risolve la 2.47 usando degli stimatori per uR e udr ,

formati da K campioni di u e dy : u(k), )k(yd , 1Kk0 −≤≤ .

Gli stimatori più comuni sono la matrice di covarianza campionaria:

∑−

=

=1K

0k

)k()k(K1ˆ H

u uuR (2.48)

e il vettore di cross-covarianza campionario:

∑−

=

∗=1K

0kd )k(y)k(

K1ˆ urud (2.49)

Gli algoritmi di adattività continua si sviluppano facilmente nei termini di fig.

2.10 e dell’equazione 2.46.

Si noti che )(J Mw è una forma quadratica che esprime l’errore.

Page 86: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

74

Dal momento che l’Hessiano uR della superficie quadratica è la matrice di

covarianza dei dati affetti da rumore, questa è definita positiva. Ciò implica che la

superficie ha la forma di una valle. La forma a valle è determinata

dall’autostruttura di uR .

Il vettore dei coefficienti ottimi optw si ha in corrispondenza del fondo di tale

valle. Un’interpretazione del filtraggio adattativo consiste nell’immaginare un

punto sulla superficie che corrisponda al vettore attuale dei coefficienti )k(Mw .

Scegliamo il nuovo vettore dei coefficienti )1k( +Mw in modo da scendere lungo

la superficie.

Il vettore gradiente:

)k(Mw∇ )k(22)(J

)k(Muud

wwM

M wRrww

MM

+−=∂

∂=

=

(2.50)

esprime la direzione lungo la quale correggere il vettore dei coefficienti.

E’ il cosiddetto metodo del gradiente, che prevede la correzione del vettore dei

coefficienti nella direzione negativa del gradiente stesso e che porta all’algoritmo

adattativo dei minimi quadrati (Least Mean Square, LMS).

L’algoritmo LMS sostituisce )k(Mw∇ con un suo stimatore istantaneo:

[ ])k()k()k()k(y)k(2ˆd)k( M

Hw wuuu

M−−=∇ ∗ (2.51)

Indicando con )k()k()k(y)k(y d uw HM−= , si ottiene:

)k(y)k()k()1k( ∗+=+ uww MM µ (2.52)

La costante di guadagno µ controlla le caratteristiche di convergenza delle

sequenze di vettori casuali )k(Mw .

Page 87: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

75

Il primo vantaggio che si ottiene dall’algoritmo LMS è la sua semplicità.

Le sue prestazioni sono accettabili in molte applicazioni; tuttavia le sue

caratteristiche di convergenza dipendono dalla forma della superficie e quindi

dall’autostruttura di uR . Quando gli autovalori sono fortemente dispersi, la

convergenza può essere lenta e dovrebbero essere presi in considerazione altri

algoritmi adattativi, con caratteristiche migliori di convergenza. In aggiunta agli

algoritmi basati sui minimi quadrati e al filtro di Kalman, sono state proposte

procedure alternative per la ricerca della superficie d’errore. In pratica questi

algoritmi cercano un compromesso tra i requisiti computazionali e la velocità di

convergenza per optw .

Un’alternativa all’LMS è l’algoritmo RLS (Recursive Least Square) a pesatura

esponenziale; al k-esimo passo, )k(Mw viene scelto per minimizzare una somma

pesata dei precedenti errori quadratici:

∑=

− −k

0i

2

dik

)k(w)i()i()i(ymin uw H

MM

λ (2.53)

λ è una costante positiva minore di uno che determina quanto velocemente

debbano essere smorzati i dati precedenti. L’algoritmo RLS si ottiene dalla 2.53

sviluppando il modulo quadro e applicando le proprietà delle matrici inverse.

2.8 Algoritmi di beamforming parzialmente

adattativi

Negli algoritmi adattativi il carico computazionale ad ogni aggiornamento può

essere proporzionale alle dimensioni M del vettore dei coefficienti o al suo

quadrato ( M2 ). Se M è grande, il carico è piuttosto considerevole e nella pratica,

per implementazioni in tempo reale, spesso è necessario ridurre M.

L’espressione “gradi di libertà” si riferisce al numero di coefficienti non vincolati,

cioè “liberi”. Per esempio un beamformer LCMV con L vincoli su D coefficienti

Page 88: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

76

ha LD − gradi di libertà; l’implementazione GSC li distingue nel vettore dei

coefficienti svincolati nw ; ci sono M gradi di libertà nella struttura di fig. 2.10.

Un beamformer completamente adattativo usa tutti i gradi di libertà disponibili,

mentre un beamformer parzialmente adattativo ne sfrutta un insieme ridotto.

Se da un lato la riduzione dei gradi di libertà abbassa il carico computazionale e

spesso migliora il tempo di risposta adattativa, dall’altro c’è un prezzo da pagare

nelle prestazioni per il minor numero di gradi di libertà a disposizione: infatti un

beamformer parzialmente adattativo non può convergere alla stessa soluzione

ottima del caso di beamformer completamente adattativo. L’obiettivo nella

progettazione del beamformer parzialmente adattativo è la riduzione dei gradi di

libertà senza una degradazione significativa delle prestazioni: da qui nasce la

ricerca del compromesso migliore.

Quanto si vuole evidenziare in questa sezione è applicabile a diversi tipi di

beamformers, sebbene si utilizzi in modo predominante la notazione del GSC.

Si supponga che il beamformer sia descritto dalla struttura adattativa di fig. 2.10,

dove il segnale desiderato dy è ottenuto come:

xw H0=dy (2.54)

e il vettore dei dati u come:

xTu H= (2.55)

dove T rappresenta la matrice che stabilisce quanti gradi di libertà utilizzare

nell’algoritmo parzialmente adattativo tra i D totali.

Perciò l’uscita del beamformer è:

xw H=y (2.56)

Page 89: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

77

dove:

M0 wTww −= (2.57)

Al fine di distinguere tra implementazioni completamente e parzialmente

adattative, scomponiamo T nel prodotto di due matrici: MnTCT = . La

definizione di nC dipende dal particolare beamformer, mentre MT rappresenta la

maschera che riduce i gradi di libertà.

L’MSC e il GSC si ottengono come caso particolare di questa rappresentazione.

Nell’MSC w0 è un vettore a D componenti che seleziona il sensore primario, nC

è una matrice )1D(D −× che seleziona i 1D − possibili sensori ausiliari

dall’insieme completo di D sensori e MT è una matrice M)1D( ×− che sceglie

gli M sensori utilizzati nella pratica. In termini di GSC, w0 e nC sono definiti

come nel paragrafo 2.6.4, mentre MT è una matrice M)LD( ×− che riduce i

gradi di libertà )LDM( −< .

2.8.1 Cancellazione delle radiointerferenze e gradi di libertà I risultati di questo sottoparagrafo dipendono da T ma sono indipendenti dai

singoli termini nC e MT . Supponiamo che il beamformer non cancelli il segnale

desiderato (vedi paragrafo 2.6.5) e che i coefficienti ottimi incidano solo sulle

interferenze e sul rumore incorrelato. Questo semplifica l’analisi permettendoci di

escludere considerazioni a priori sul segnale desiderato.

Si supponga di avere una sorgente di interferenza a banda stretta (a frequenza ω0)

che incida sull’array dalla direzione θ1. La risposta del ramo 0w è:

),(g 011 ωθdw H0= (2.58)

Page 90: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

78

Una cancellazione perfetta di questa sorgente richiede 0),( 01 =ωθdw H , cosicché

dobbiamo scegliere Mw che soddisfi:

101H g),( =ωθdTw HM (2.59)

Si assuma che ),( 01 ωθdT H sia non nulla, la 2.59 rappresenta un sistema di una

equazione in M incognite (gli elementi di Mw ) per il quale esiste sempre almeno

una soluzione (ne esistono infinite). Per cancellare simultaneamente una seconda

interferenza nella direzione θ2, Mw deve soddisfare:

[ ] [ ]210201 gg),(),( =ωθωθ dTdTw HHHM (2.60)

dove ),(g 022 ωθdw H0= . Assumendo che ),( 01 ωθdT H e ),( 02 ωθdT H siano

linearmente indipendenti e non nulli e che 2M ≥ , allora esiste almeno un Mw

che soddisfa la 2.60. Estendendo questo ragionamento, si nota che Mw può essere

scelto per cancellare M interferenti a banda stretta (assumendo che i

),( 0i ωθdT H siano linearmente indipendenti e non nulli) e indipendenti da T.

La cancellazione totale si ha se Mw viene scelto in modo tale che la risposta di

MwT coincida esattamente con la risposta del ramo 0w agli interferenti.

Per quanto riguarda il rumore incorrelato, esso è sempre presente in ogni sistema

reale e contribuisce alla potenza totale in uscita. In un beamformer ottimo, come

si è detto, Mw è scelto per minimizzare la potenza complessiva in uscita. Si tenga

presente che la potenza in uscita dovuta al rumore incorrelato è proporzionale al

quadrato della norma L2 dell’intero vettore dei coefficienti w. La norma di w può

diventare elevata quando Mw viene scelto per fornire una cancellazione totale

delle interferenze, a seconda della scelta di T e della posizione degli interferenti.

Perciò, sebbene in principio sorgenti di energia puntuali in direzione e frequenza

possano essere cancellate completamente con un coefficiente per interferenza

Page 91: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

79

indipendente da T, la presenza di rumore incorrelato risulta nel grado di

cancellazione essere dipendente dalla corrispondenza descritta da T.

Fino ad ora sono stati considerati solo interferenti puntiformi a banda stretta.

Si considerino ora interferenti che sono spazialmente puntuali ma a larga banda,

in un range di frequenze ba ωωω ≤≤ . La risposta del ramo 0w ad un interferente

a θ1 è espresso dalla 2.58. Per raggiungere la cancellazione totale, Mw deve

essere scelto tale da soddisfare:

ba11 )(g),( ωωωωωθ ≤≤=dTw HHM (2.61)

Si definisca la risposta di ogni colonna di T come:

[ ] Mi1),()(f 1Hii ≤≤= ωθω dT (2.62)

dove [ ] iT indica la i-esima colonna di T. La 2.62 richiede che )(g1 ω venga

espressa come una combinazione lineare di )(f i ω con Mi1 ≤≤ su

ba ωωω ≤≤ . In generale questo non è possibile, per cui escludiamo la

cancellazione di interferenti a larga banda, che quindi non può essere ottenuta.

La potenza in uscita dovuta all’interferente a larga banda può essere espressa

come l’integrale in frequenza del modulo quadro della differenza tra il ramo 0w e

le risposte dei rami adattativi pesate dallo spettro di potenza dell’interferente.

Il grado di cancellazione può variare drasticamente e dipende criticamente dalla

direzione dell’interferente, dal suo contenuto spettrale e dalla scelta di T.

Si può ottenere una buona cancellazione in certe situazioni, dove 1M = , mentre

in altre, anche grandi valori di M producono una scarsa cancellazione. Queste

conclusioni sono valide anche per sorgenti a banda stretta ma a largo range di

direzione (radiazione spazialmente distribuita).

Page 92: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

80

2.9 Riassunto

Un beamformer è un sistema che forma alla sua uscita un segnale scalare come

una combinazione pesata dei dati ricevuti da una schiera di sensori.

I coefficienti (o pesi) determinano le caratteristiche di filtraggio spaziale del

beamformer e consentono la separazione di segnali sovrapposti spettralmente ma

provenienti da differenti posizioni spaziali.

I coefficienti in un beamformer data-independent vengono scelti per fornire una

risposta fissa del beamformer, indipendentemente dai dati ricevuti.

Nei beamformers ad ottimo statistico la scelta dei coefficienti è tale da ottimizzare

la risposta del beamformer in base alla statistica dei dati.

Spesso però la statistica dei dati non è nota a priori ed inoltre può essere

tempo-variante, di conseguenza vengono utilizzati algoritmi adattativi per

ottenere coefficienti che convergono alla soluzione statisticamente ottimale.

Considerazioni computazionali obbligano l’uso di beamformers parzialmente

adattativi, con schiere composte da un grande numero di sensori.

In tabella 2.2 vengono ricapitolate le varie tecniche di beamforming viste, accanto

alle quali vengono riportati vantaggi e svantaggi insieme alle loro principali

caratteristiche.

Page 93: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 2 Metodi di beamforming

81

Metodo

Tipo

Criterio

VANTAGGI

SVANTAGGI

Applicabilità alla Radioastronomia

Classico

Deterministico

I pesi vengono scelti affinché la risposta del beamformer sia massima in direzione del segnale desiderato

Semplice - minimizza l’MSE tra risposta effettiva e quella ideale - finestrabile - si può estendere facilmente al caso 2 D

La risposta spaziale e quella temporale sono dipendenti - richiede la DOA del segnale desiderato

Buona a livello deterministico

Generalizzato

Deterministico

I pesi vengono scelti affinché la risposta del beamformer approssimi la risposta desiderata nota a priori (massima nella direzione del segnale desiderato e nulla in direzione delle RFI)

Soppressione efficace delle RFI - direzionalità programmabile -per array lineari equispaziati si possono usare le tecniche di progettazione dei filtri FIR

Può essere rumoroso - non sono disponibili criteri di progettazione per funzioni di pesatura degli errori - richiede le DOA del segnale desiderato e delle RFI

Molto buona a livello

deterministico

MSC

Deterministico e adattativo

I coefficienti adattativi vengono scelti sulla base di un canale ausiliario in modo da cancellare le RFI dal canale primario

Metodo consolidato - semplice - non sono necessarie le DOA - i coefficienti effettuano un filtraggio sul segnale ausiliario e non sul canale principale, dove invece si ha il transito del segnale radioastronomico

Talvolta può cancellare il segnale desiderato (quando di intensità elevata) - il segnale desiderato non deve entrare nel canale ausiliario

Buona

REF SIGNAL

Deterministico e adattativo

I coefficienti vengono scelti per massimizzare la verosimiglianza tra il segnale ricevuto ed un segnale dato, detto di riferimento

Non sono necessarie le DOA

Occorre generare un segnale di riferimento e le prestazioni dipendono fortemente dalla sua validità

Non applicabile

MAX SNR

Deterministico e adattativo

I coefficienti vengono scelti per massimizzare il rapporto segnale/rumore

Vera massimizzazione dell’SNR - non sono necessarie le DOA

Richiede la conoscenza delle matrici di autocorrelazione Rs e Rn – richiede la risoluzione di un problema agli autovalori

Scarsa

LCMV

Deterministico e adattativo

I coefficienti vengono scelti in modo da minimizzare la varianza del segnale in uscita sotto vincoli lineari

Flessibile - sperimentato - non sono necessarie a priori le DOA o le matrici di autocorrelazione - può gestire efficientemente le RFI con DOA nota - vincoli arbitrari

Pesante dal punto di vista computazionale

Buona

GSC

Deterministico e adattativo

Il vettore dei coefficienti viene scomposto in due componenti ortogonali riducendo il problema LCMV (minimo vincolato) in un problema di minimo assoluto (non vincolato)

Possibilità di impiegare algoritmi adattativi semplici - utile in situazioni dove si verifichi una cancellazione del segnale

Richiede una procedura di ortogonalizzazione della matrice C

Buona

Tabella 2.2: tabella riassuntiva delle varie tecniche di beamforming

Page 94: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …
Page 95: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

CAPITOLO 3

ALGORITMO MVDR ADATTATIVO

In questo capitolo viene presentata un’ampia ed accurata trattazione di uno degli

algoritmi di beamforming più diffusi ed apprezzati nel mondo delle

telecomunicazioni, l’algoritmo MVDR, e, in particolare, si cerca di

caratterizzarne il funzionamento nell’ambito specifico delle applicazioni

radioastronomiche.

Dopo alcune brevi considerazioni, di carattere del tutto generale, sugli algoritmi

di beamforming adattativo, viene portato avanti uno studio analitico utile al

calcolo del vettore dei coefficienti relativamente ad un contesto di tipo

deterministico, ovvero nell’ipotesi in cui la statistica dei segnali in gioco sia

completamente nota a priori. Il caso adattativo, che è quello di maggior interesse,

viene preso in esame nella parte successiva.

Sono state condotte, inoltre, diverse simulazioni mediante MATLAB (MATLAB

versione 7.0.0.19920 (R14), ® - The MathWorks Inc.), in cui sono stati riprodotti

vari tipi di scenari, cambiando il numero ed il tipo di interferenti, per testare

l’efficacia del metodo nella soppressione dei segnali indesiderati.

In particolar modo all’inizio sono state considerate sorgenti di interferenza fisse

nello spazio, mentre in un secondo momento si è ipotizzato che queste fossero in

movimento: a tale scopo è stata impiegata Simulink, un’applicazione che si basa

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Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

84

su MATLAB e che permette di creare dei modelli per simulare un sistema

dinamico (anche Simulink è un marchio registrato da The MathWorks, Inc.).

3.1 Algoritmi di beamforming adattativo

Nell’ambito delle telecomunicazioni tradizionali sono stati sviluppati diversi

algoritmi per il beamforming adattativo, ma la loro efficacia in campo

radioastronomico non è stata ancora del tutto chiarita. Un caso emblematico viene

offerto dai satelliti LEO (Low Earth Orbit) per telecomunicazioni (quelli, ad

esempio, dei sistemi Globalstar ed IRIDIUM), i quali talvolta operano su bande di

frequenze particolarmente interessanti per le osservazioni radioastronomiche:

sono satelliti artificiali caratterizzati da una quota orbitale media relativamente

bassa e dunque da un’elevata velocità angolare (per ulteriori approfondimenti si

consulti l’Appendice B). In questo caso le interferenze satellitari possono essere

più problematiche di quelle terrestri perché non hanno una direzione di

provenienza fissa e possono in breve tempo attraversare sia il main beam del

radiotelescopio, sia i suoi lobi laterali. Tali interferenze, in combinazione con

quelle terrestri, contribuiscono alla creazione di uno scenario non stazionario, che

pertanto richiede un approccio adattativo per un’efficace mitigazione.

A differenza delle telecomunicazioni tradizionali, la radioastronomia soffre di:

1. SNR estremamente bassi, anzi quasi sempre il segnale utile risulta essere

immerso (buried) nel rumore di sistema e, per essere rilevato, necessita di

lunghi periodi di integrazione (anche dell’ordine di diverse ore);

2. lobi di gratings dovuti all’eccessiva spaziatura (maggiore di λ/2) tra gli

elementi che compongono l’array;

3. elevata direttività dei sensori che compongono l’array, mentre la teoria del

beamforming ne richiede una certa omnidirezionalità;

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Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

85

4. interferenze significative raccolte anche dai lobi secondari dell’antenna;

5. necessità di conoscere il guadagno assoluto del sistema ricevente

(calibrazione), al fine di certificare le misurazioni effettuate

(es. temperatura di brillanza di una radiosorgente o estensione angolare

della stessa).

Numerosi studi ([6],[7],[8],[9]) sono stati effettuati per capire quali algoritmi

potessero essere più consoni ad un uso in campo radioastronomico. I criteri di

selezione sono stati: la capacità di reiettare/mitigare le RFI ed il livello medio di

distorsione introdotto sul beam.

I principali algoritmi presi in considerazione sono stati:

1) MVDR (Minimum Variance Distortionless Response);

2) GSC (Generalised Sidelobe Canceller);

3) MSC (Multiple Sidelobe Canceller);

4) Max SNR (Max Signal to Noise Ratio).

Gli algoritmi MVDR e GSC pongono dei vincoli sulla risposta spaziale del

beamformer, in modo tale che i segnali provenienti dalle direzioni di interesse

vengano lasciati passare con determinati guadagni (e fasi, eventualmente). Gli

zeri del beampattern si formano dinamicamente, in corrispondenza dei segnali

interferenti che provengono da direzioni diverse da quelle specificate nei vincoli.

In particolare l’approccio del GSC consiste nel trasformare il problema di calcolo

di minimo vincolato del MVDR in un problema di calcolo di minimo assoluto.

In tal caso con un array da N elementi possono essere cancellati fino ad N-1

interferenti e non viene richiesto l’inseguimento meccanico (tracking) della

radiosorgente interferente. L’MSC invece usa un’antenna singola ad alto

guadagno per osservare la radiosorgente astronomica ed uno o più canali ausiliari

caratterizzati da un alto rapporto interferenza/segnale.

Tale metodo richiede che le antenne ausiliarie vengano orientate in direzione delle

RFI e ciò costituisce il principale limite di applicabilità di questo metodo, in

Page 98: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

86

particolare quando le DOA delle RFI non sono note a priori, sono di difficile

stima o, come nel caso dei satelliti LEO, risultano essere variabili.

Per tali ragioni, sebbene la tecnica MSC sia in grado di notevoli prestazioni

([10]), viene generalmente preferita una tecnica blind, come appunto l’MVDR.

In ultimo si distingue il metodo Max SNR, che però richiede la stima delle matrici

di covarianza del rumore (correlato e non) nini RRR +=+ e del segnale

radioastronomico sR . Tale stima potrebbe risultare particolarmente ardua o

richiedere delle ipotesi a priori non sempre corrette riguardo la natura dei segnali

in gioco.

Gli algoritmi sopra citati sono stati sottoposti a diverse simulazioni statistiche

([7]), nelle quali i dati riproducevano l’osservazione di una debole radiosorgente

che emetteva sulla riga dell’OH e veniva disturbata dal passaggio di un satellite

GLONASS. E’ stata usata una grande varietà di geometrie e di livelli di emissione

per le sorgenti di RFI per determinare quali algoritmi avessero le migliori

prestazioni in ogni situazione. La matrice di covarianza e gli altri parametri

statistici richiesti dagli algoritmi sono stati tutti stimati dai dati osservati.

In sintesi i risultati ottenuti in merito alle varie problematiche in gioco sono i

seguenti:

attenuazione delle RFI in prossimità dei lobi di grating. In tale condizione

porre uno zero in direzione dell’interferenza causa anche un’inevitabile

soppressione del segnale desiderato. Per affrontare tale tipologia di

problema, l’MSC ([10]) è risultato essere l’algoritmo migliore, in quanto è

quello che si lascia influenzare meno dai lobi di grating, mentre gli

algoritmi MVDR, GSC e Max SNR hanno riportato tutti praticamente le

stesse prestazioni. Questi ultimi tre algoritmi consentono un

miglioramento anche fino a 100 dB del SINR (Signal to Interference and

Noise Ratio) all’uscita del beamformer ma, come si può ben capire, non

sono in grado di apportare alcun miglioramento quando la direzione di

provenienza dell’RFI cade proprio in corrispondenza di un lobo di grating;

Page 99: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

87

sensibilità agli errori di calibrazione. Gli errori di calibrazione (sia di fase

che di guadagno) sono inevitabili. Algoritmi come l’MVDR ed il GSC

richiedono accurate condizioni di calibrazione per funzionare

correttamente; le ricerche hanno mostrato che, sebbene gli errori di

calibrazione possano compromettere il livello di attenuazione delle

interferenze, il miglioramento complessivo del SINR risulta comunque

notevole;

distorsione del lobo principale. Un punto essenziale per la

radioastronomia è la consistenza di forma del beam, al fine di evitare

polarizzazioni nelle misure. Con l’MVDR, il GSC ed il Max SNR la

forma del lobo principale può essere notevolmente distorta, se

l’interferenza entra dal beam stesso o da un lobo di grating. Questo

succede perché l’algoritmo tenta di porre uno zero sull’interferente,

ignorando il beampattern finale che se ne ottiene, affinché comunque il

SINR in uscita raggiunga il suo massimo.

L’algoritmo MSC sembra essere quello in grado di fornire le prestazioni migliori

in termini di reiezione alle RFI. Tuttavia, per via della sua necessità di possedere

un sistema di osservazione ausiliario costantemente puntato in direzione della

sorgente (o, peggio ancora, delle sorgenti) di RFI, ed eventualmente di un sistema

di tracking nel caso di sorgenti mobili, non risulta essere la soluzione più

conveniente. Il miglior compromesso in termini di costo/prestazione viene dunque

fornito dall’MVDR, che tuttavia richiede un’accurata calibrazione del complesso

ricevente.

Un buon algoritmo adattativo deve avere le seguenti proprietà:

1. guadagno costante nella direzione di osservazione 0θ ;

2. zeri orientati in direzione di tutti gli altri segnali interferenti 1θ ,

2θ ,…

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Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

88

L’algoritmo MVDR non ha la capacità di reiettare le interferenze che hanno altri

metodi come l’MSC ma, in compenso, è semplice e diretto da implementare e

soddisfa i due requisiti espressi sopra.

Sono stati compiuti notevoli sforzi per cercare di risolvere il problema

dell’accuratezza della calibrazione. In [11] ed in [12] vengono descritte delle

versioni robuste di MVDR, che cercano di smorzare gli effetti dovuti agli errori di

puntamento ed alle perturbazioni casuali sui parametri dei sensori.

3.2 MVDR beamforming deterministico

Si consideri un array lineare composto da N sensori equispaziati a distanza d e sia

dn la distanza tra l’n-esimo sensore dell’array ed il primo, che quindi ha la

seguente forma:

d)1n(dn −= (3.1)

Una sorgente posta a grande distanza dalla schiera trasmette un segnale

monocromatico:

tf2j

000es)t(s π= (3.2)

la cui ampiezza 0s è una variabile aleatoria con varianza [ ] 20

20sE σ= .

Supponendo che la sorgente sia in campo lontano rispetto alla schiera, il fronte

d’onda alle antenne può essere assunto piano. Essendo la sorgente a grande

distanza e le antenne riceventi vicine tra loro, si può ritenere trascurabile la

differenza di ampiezza tra i segnali ricevuti alle singole antenne. Sotto queste

ipotesi, il segnale ricevuto dall’n-esimo sensore è uguale a quello ricevuto dal

primo (che viene preso come riferimento) a meno di un ritardo nτ , cioè a meno di

un tempo di propagazione:

Page 101: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

89

0

0n0nn f

sindc

sindλ

θθτ == (3.3)

dove 0θ rappresenta la DOA della radiosorgente (rispetto alla normale all’array) e

c la velocità della luce (fig. 3.1).

Fig. 3.1: schiera lineare uniforme composta da N sensori equispaziati ad una distanza pari a d

l’uno dall’altro.

In base a queste considerazioni, il segnale )t(xn ricevuto dall’n-esimo sensore

vale:

0n00

sind)1n(2j

0f2jtf2j

0n e)t(sees)t(xθ

λπτππ −

== (3.4)

Omettendo per semplicità l’indice temporale t e rappresentando con il vettore

[ ]TN21 xxx K=x i segnali ricevuti dagli N sensori, si ha:

0dx 0s= (3.5)

dove 0d rappresenta la risposta della schiera al segnale a banda stretta

proveniente dalla direzione 0θ (steering vector):

T

sind

)1N(2jsind

2j

000 ee1)(⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡==

− θλ

πθλ

πθ Kdd 0 (3.6)

Page 102: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

90

Nel beamforming di tipo MVDR il vettore dei coefficienti optw viene calcolato

allo scopo di minimizzare la potenza complessiva in uscita dal beamformer

( wRw H=yP ), sotto il vincolo lineare di guadagno unitario ( 1=0H dw ) nella

direzione del segnale desiderato ( )( 0θdd0 = ).

Ovvero si vuole risolvere il problema:

[ ] [ ] 1.v.s)(minarg)P(minarg y === 0HH

wwopt dwwRww (3.7)

con la solita notazione introdotta nei capitoli precedenti. Si tratta di un problema

di minimo vincolato che si risolve mediante i moltiplicatori di Lagrange:

[ ]{ })1(minarg −+= 0HH

wopt dwwRww λ (3.8)

Il punto di minimo si ricava uguagliando a zero le derivate parziali

dell’argomento della 3.8 rispetto a w e λ:

⎩⎨⎧

==+1

0

0H

0

dwdwR λ

(3.9)

da cui si ricava:

⎪⎩

⎪⎨⎧

=

=

01-H

0

0-1

dRd

dRw1λ

λ (3.10)

ottenendo dunque la soluzione:

0

1-H0

0-1

opt dRddR

w = (3.11)

Page 103: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

91

Si osservi che il termine al denominatore è un valore scalare che serve

semplicemente a soddisfare il vincolo 1=0H dw , cioè ad avere guadagno unitario

in direzione 0θ .

L’effetto del beamformer MVDR è una risposta unitaria in direzione della

radiosorgente 0θ ed un’attenuazione in corrispondenza degli interferenti kθ ,

Kk1 ≤≤ con K = n° di segnali interferenti.

3.3 MVDR beamforming adattativo

In questo paragrafo viene illustrata, in maniera dettagliata, la procedura necessaria

all’implementazione su elaboratore elettronico dell’algoritmo MVDR in regime

adattativo. I passi da seguire sono i seguenti:

1. Viene definita la direzione di osservazione 0θ (look direction) e si

recupera lo steering vector )( 0θd ad essa associato. Si noti come non a

caso sia stata utilizzata l’espressione “si recupera” in merito al calcolo

dello steering vector: infatti se l’array, come capita nella realtà, non è

composto da sensori ideali (cioè omnidirezionali) ma da sensori con una

propria risposta specifica, gli steering vectors effettivi differiscono da

quelli ideali, rappresentati per esempio dall’eq. 3.6. Il loro valore effettivo

può tuttavia essere stimato a partire dalla matrice di covarianza.

Per il momento si supponga che l’array sia composto da sensori ideali e

che dunque gli steering vectors effettivi coincidano con quelli ideali.

Ne consegue che:

T

sind)1N(2jsind2j

000 ee1)( ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=

− θλ

πθλ

πθ Kd (3.12)

il cui significato è già stato ampiamente discusso precedentemente.

Page 104: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

92

2. Si definisce l’asse spaziale che costituisce il dominio “angolare”

(discreto) per la rappresentazione del beampattern, mediante la

costruzione del vettore:

[ ]maxmin thetatheta K=theta (3.13)

che contiene tutti gli angoli compresi nel range delimitato da mintheta e

maxtheta ed equispaziati gli uni dagli altri di un valore scelto

arbitrariamente steptheta . I valori scelti per tutte le simulazioni effettuate

sono stati:

- °−= 90thetamin ;

- °+= 90thetamax ;

- °= 05.0thetastep .

3. Si costruisce una matrice avente per colonne gli steering vectors associati

agli angoli contenuti nel vettore theta :

D =

D servirà in seguito per il calcolo del beampattern.

1 2 length(theta)

1 2

N

Page 105: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

93

4. I dati provenienti dall’array vengono raccolti in una matrice X, detta

appunto matrice dei dati grezzi, la cui struttura viene schematizzata in

figura 3.2.

Fig. 3.2: struttura della matrice X dei dati grezzi

Si tratta di una matrice rettangolare contenente i segnali ricevuti dalla

schiera dal tempo 1t al tempo osst ; le righe della matrice, cioè

[ ])t(x)t(x)t(x ossn2n1n K con Nn1 ≤≤ , sono i vettori dei segnali

analitici (in funzione del tempo) provenienti da ogni singolo sensore.

D’altra parte le colonne, cioè [ ]TiNi2i1 )t(x)t(x)t(x K con

ossi1 ≤≤ (dove oss è il numero totale dei campioni di dati presi in

considerazione durante l’osservazione), sono i vettori delle istantanee

(snapshots) delle uscite dei ricevitori in quadratura.

E’ interessante rendersi conto che aspetto può assumere tale matrice. In

figura 3.3 viene rappresentata una matrice dei dati grezzi contenente solo

rumore termico a varianza unitaria: la matrice è composta da valori

complessi ma in questo, come nei successivi grafici, viene riportata solo

la componente reale, dal momento che la componente immaginaria

assume un aspetto analogo.

1x

2x

Nx

1t 2t osst

Page 106: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

94

Il rumore presente può rappresentare indifferentemente due contributi:

quello dovuto al sistema e quello dovuto alla radiosorgente, per

distinguere i quali sono state sviluppate diverse tecniche.

Fig. 3.3: matrice dei dati grezzi per un’osservazione radioastronomica corretta (i dati

non sono affetti da alcun disturbo).

Questo esempio, che rappresenta il risultato di un’osservazione corretta, è

stato ottenuto con i seguenti dati: 12n =σ , N = 8,

2d λ= , oss = 1000.

In figura 3.4, invece, viene riportato il risultato di un’osservazione affetta

da un’interferenza a frequenza c1 f01.0f = (

2

cfc λ= è la frequenza di

campionamento spaziale, vedi Appendice A, par. A.1) con °= 301θ e

dB3INR += . Nella figura 3.5 viene aggiunta una seconda interferenza

che ha: c2 f10.0f = , °−= 602θ e dB9INR += . Anche in questi due casi

si hanno 12n =σ , N = 8,

2d λ= e oss = 1000. Come si può notare dalle

figure, la presenza di RFI si ripropone nella matrice dei dati grezzi con

Page 107: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

95

delle striature oblique di intensità proporzionali all’INR, pendenza legata

alla direzione di provenienza e periodicità legata alla frequenza.

Fig. 3.4: matrice dei dati grezzi per un’osservazione radioastronomica affetta da una

radiointerferenza

Fig. 3.5: matrice dei dati grezzi per un’osservazione radioastronomica affetta da due

radiointerferenze

Page 108: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

96

5. Viene stimata la matrice di covarianza R.

Se le DOA dei segnali ed i parametri di calibrazione dell’array restano

costanti su un intervallo di tempo di K campioni, allora R(t) è costante nel

tempo e può essere stimata mediante una media temporale:

∑=

==K

1kkk )t()t(ˆ HH xxXXR (3.14)

In pratica si sta facendo l’ipotesi di stazionarietà in senso lato dei segnali

e l’ergodicità degli stessi: in altre parole si suppone che, nell’intervallo di

tempo descritto da K campioni, le DOA delle RFI non varino in modo

significativo. Si tratta di un’ipotesi ragionevole, poiché, in genere, si

considerano intervalli di tempo relativamente brevi.

Per un array composto da N sensori, R̂ è una matrice quadrata

Hermitiana di ordine N.

6. Vengono calcolati i coefficienti w del beamformer:

)(ˆ)(

)(ˆ)(

00H

00 θθ

θθ

dRddR

w1-

-1

= (3.15)

Il calcolo della matrice inversa -1R̂ può presentare delle difficoltà (vedi

par. 3.3.2 ). In ogni caso per un’implementazione computazionalmente

efficiente, si consiglia di non ricorrere all’inversione diretta della matrice,

R̂ ma di utilizzare la decomposizione di Cholesky, descritta in [13].

7. Infine viene calcolato il beampattern complessivo secondo la già nota

relazione:

2

0 )( Dwnbeampatter HMVDR θ= (3.16)

Page 109: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

97

Esso andrà poi normalizzato rispetto al suo valore massimo.

Si ottiene perciò un vettore i cui elementi rappresentano ciascuno il

guadagno del beamformer corrispondentemente ad ogni elemento del

vettore theta : a partire da questi due vettori è possibile visualizzare

l’andamento del guadagno su tutto l’asse spaziale.

3.3.1 Velocità di convergenza della matrice di covarianza Un punto essenziale per l’algoritmo MVDR adattativo consiste nel capire quanti

punti (snapshots) debbano essere impiegati per la stima della matrice di

covarianza e degli steering vectors effettivi per un certo livello di accuratezza.

Un metodo per studiare la convergenza di R̂ consiste nell’osservare l’andamento

della varianza media della matrice, cioè della media delle varianze di ogni suo

elemento. Si osserva una convergenza asintotica di R̂ al crescere del numero K di

punti usati per la stima: quanto più K è alto, tanto meglio R̂ approssima R . La

velocità di convergenza, d’altra parte, si dimostra (vedi [14]) essere proporzionale

al fattore:

BK1 (3.17)

dove B è la banda del sistema.

Gli steering vectors sono legati alla matrice R̂ da una relazione lineare. Pertanto

anche le loro ampiezze e fasi convergono con una velocità proporzionale al

fattore 3.17. La forma esatta della convergenza degli steering vectors dipende dal

numero di sensori: un numero maggiore di sensori produrrà stime più accurate. Il

valore ottimo di K è da determinarsi sperimentalmente ma generalmente assume

valori che vanno da qualche decina a qualche centinaio.

Page 110: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

98

3.3.2 Iniezione di rumore artificiale e calcolo di -1R̂ Nel caso ideale in cui i segnali che incidono sull’array non siano affetti da

rumore, la matrice di covarianza è singolare e, pertanto, non invertibile.

Quindi in tal caso non è possibile calcolare l’espressione dei coefficienti ottimi

del beamformer, indicata dalla 3.15. Si tratta tuttavia di un caso puramente teorico

(per quanto paradossale nella pratica): in realtà il rumore, seppur basso, è sempre

presente e questo fa sì che R̂ non sia mai singolare e dunque sia sempre

invertibile. Tuttavia talvolta può capitare che R̂ risulti essere malcondizionata.

Si ricordi che una matrice si dice malcondizionata quando ha un elevato numero

di condizionamento. Tale numero esprime il rapporto tra l’autovalore massimo e

l’autovalore minimo della matrice stessa e, se risulta elevato, vuol dire che tale

matrice è prossima alla singolarità. In tal caso l’inversione può portare a dei

risultati poco accurati.

Nel caso in cui la matrice R̂ si dimostri essere malcondizionata, è possibile

ricondizionarla sommando alla matrice stessa un contributo di rumore artificiale

I2aσ . Un esempio di come può essere migliorato il condizionamento della

matrice (e quindi anche il beamforming risultante), mediante l’aggiunta di rumore

artificiale, viene fornito in figura 3.6. Per questa simulazione sono stati adottati i

parametri seguenti: 8N = , 2

d λ= , puntamento: °= 100θ , RFI: °+= 501θ e

°−= 302θ . Nel primo caso (a) il rumore è praticamente assente: la matrice R̂ è

fortemente malcondizionata ed il beamformer inaccurato (si noti l’evidente

distorsione del beam in confronto al beamformer classico), tale da non rendere

possibile un’osservazione radioastronomica corretta. Nel secondo caso (b) si può

apprezzare un notevole miglioramento in quanto ora il beam risulta puntare nella

direzione voluta 0θ . Questo risultato è stato ottenuto aggiungendo ad R̂ del

rumore artificiale I2aσ con 12

a =σ .

Page 111: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

99

(a)

(b)

Fig. 3.6: esempio di miglioramento del beamforming mediante l’aggiunta di rumore artificiale

Se da un lato l’aggiunta di rumore migliora il condizionamento della matrice,

dall’altro, al crescere di 2aσ , si perde sempre più profondità negli zeri e

risoluzione nel beam. Al limite per ∞→2aσ il beamformer MVDR coincide con

il beamformer classico.

Page 112: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

100

3.4 Creazione di un modello di simulazione dinamico

attraverso l’uso di Simulink

Per saggiare l’effettiva capacità dell’algoritmo di beamforming MVDR nel

cancellare le interferenze in regime non stazionario, si è deciso di ricorrere

all’utilizzo di Simulink. Quest’ultimo è l’ambiente di programmazione grafico

associato a MATLAB: è particolarmente indicato per costruire schemi a blocchi

di sistemi dinamici lineari e non lineari e per eseguire la loro simulazione.

Mette a disposizione inoltre una grande varietà di moduli predefiniti, con la

possibilità per l’utente di crearne dei nuovi, eventualmente anche programmati in

C o in FORTRAN.

Per avviare Simulink occorre digitare

simulink

nella finestra dei comandi di MATLAB oppure cliccare il bottone che si

trova nel menu dei comandi in alto a sinistra.

Sullo schermo apparirà la finestra Simulink Library Browser (fig. 3.7): i blocchi

di Simulink si trovano nelle librerie che appaiono sotto la voce “Simulink” della

finestra stessa. A seconda di quali prodotti Mathworks sono installati nel

computer (per una descrizione completa di tutti i prodotti si veda [15]), si possono

vedere altri elementi in questa finestra, come Communications Blockset e Control

System Toolbox. Questi prodotti includono altri blocchi addizionali di Simulink,

che possono essere visualizzati facendo clic sul segno più a sinistra dell’elemento.

Ogni volta che vengono create nuove versioni di Simulink, alcune librerie

possono cambiare nome e alcuni blocchi possono essere spostati in altre librerie,

quindi le librerie qui specificate potrebbero cambiare nelle versioni successive. Il

sistema migliore per trovare un blocco, noto il suo nome, consiste nel digitare il

nome nel pannello Find in alto nella finestra Simulink Library Browser. Quando

viene premuto Invio, Simulink visualizza una breve descrizione del blocco nel

riquadro sottostante il pannello Find.

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Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

101

Fig. 3.7: la finestra Simulink Library Browser

L’obiettivo della presente trattazione non è tanto quello di fornire una guida

completa sull’utilizzo di Simulink: esistono infatti a tale scopo numerosi testi e

documenti facilmente reperibili ([16]), bensì spiegare in maniera chiara ed

essenziale i passi necessari alla costruzione del modello utilizzato nelle

simulazioni. Inoltre si vuole precisare che il percorso progettuale seguito non è

l’unico possibile, ma ne potrebbero esistere altri, anche meglio strutturati e più

ottimizzati. Oltretutto il modello creato, come si vedrà meglio più avanti, si basa

su alcune ipotesi semplificative che lo rendono non del tutto aderente al

complesso insieme di fenomeni che avvengono nelle situazioni reali. Si rimanda,

Page 114: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

102

quindi, a lavori futuri la ricerca di possibili miglioramenti ed eventuali

completamenti utili al perfezionamento dell’attività svolta.

3.4.1 Considerazioni introduttive Prima di entrare nel merito su come realizzare un modello di simulazione

dinamico mediante Simulink, è necessario svolgere alcune considerazioni sul

sistema che si intende ricostruire.

Il panorama delle comunicazioni via radio offre un vasto assortimento di esempi

di sorgenti in movimento che possono interferire con il segnale radioastronomico.

Basti pensare ai sistemi di telecomunicazioni satellitari, ai palloni sonda per

rilevamenti meteorologici, ai sistemi radar avionici e navali.

Fra tutti, sono comunque i numerosissimi satelliti lanciati in orbita attorno al

globo terrestre che costituiscono le maggiori fonti di disturbo per i radiotelescopi,

poiché capita frequentemente che i sistemi satellitari stessi vadano ad operare su

bande di frequenza già assegnate alla radioastronomia.

Il problema è destinato a crescere: infatti la tendenza è quella di aumentare

progressivamente le bande destinate alle osservazioni radio affinché queste diano

risultati più accurati e, nel contempo, affiancare i sistemi via satellite già esistenti

con altri più avanzati e sofisticati.

I satelliti geostazionari (GEO) non costituiscono un problema particolare, in

quanto, oltre ad essere ridotti in numero (ne bastano appena 3 per coprire quasi

tutto il pianeta, si veda l’Appendice B), si muovono di moto sincrono con la

rotazione terrestre. Essi, dunque, come suggerito dal nome stesso, appaiono, ad un

osservatore posto sulla Terra, in una posizione fissa nel cielo e possono così

essere assimilati a sorgenti interferenti immobili; per questa ragione non verranno

presi in considerazione nella presente trattazione.

Lo stesso non si può dire a proposito dei satelliti MEO (Medium Earth Orbit) e

LEO (Low Earth Orbit) che, al contrario, si muovono di moto relativo rispetto al

globo terrestre, rappresentando, questa volta, fonti di radiointerferenze in

movimento.

Page 115: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

103

Una delle differenze fondamentali tra questi due tipi di satelliti risiede nella quota

della loro orbita: i satelliti LEO gravitano attorno alla Terra ad un’altezza

inferiore a quella tipica dei satelliti MEO, di conseguenza, in accordo alle leggi di

Keplero, si spostano con una velocità angolare maggiore. Questa caratteristica li

rende potenzialmente più “dannosi” per le misurazioni radioastronomiche e,

perciò, è su di essi che verrà concentrata l’attenzione da qui in avanti.

Si prenda ora in esame un generico satellite appartenente alla costellazione del

sistema IRIDIUM (per servizi di comunicazione cellulare via satellite). Esso ruota

attorno alla Terra su un’orbita circolare a circa 780 Km da essa.

Poiché durante il moto del satellite la forza di gravità della Terra ha la funzione di

forza centripeta, per calcolare la velocità necessaria a rimanere su un’orbita

circolare intorno alla Terra è sufficiente eguagliare le espressioni delle due forze.

Si ricordi che la forza centripeta è quella forza che obbliga un oggetto a muoversi

su una circonferenza, altrimenti esso fuggirebbe per inerzia lungo la tangente.

Si ottiene dunque:

2Ts

2

s rmm

Gr

vm = (3.18)

dove sm è la massa del satellite, Tm la massa della Terra, v la velocità del

satellite (l’incognita), G la costante di gravitazione universale e r è il raggio

dell’orbita, cioè la distanza del satellite dal centro della Terra.

Risolvendo l’equazione precedente, si ottiene:

r

mGv T= (3.19)

Si osservi che nella formula non compare la massa del satellite: ciò significa che

la velocità necessaria per restare in orbita è la stessa per tutti i satelliti, non

importa se essi hanno massa grande o piccola.

Page 116: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

104

La velocità dipende invece dal raggio dell’orbita: quanto più è grande la distanza

r dal centro della Terra, tanto più v diventa piccolo.

Quindi, come si è già detto, più l’orbita è alta (cioè maggiore è r), più il satellite si

muove lentamente. Anche il periodo dell’orbita diventa sempre più grande, per

due ragioni: man mano che r aumenta, (1) l’orbita diventa sempre più lunga e (2)

viene percorsa sempre più lentamente.

Sapendo che:

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡ ⋅⋅= −

2

211

KgmN1067.6G

[ ]Kg1098.5m 24T ⋅=

[ ]m1016.71078.01038.6hrr 666T ⋅=⋅+⋅=+=

dove, evidentemente, Tr è il raggio della Terra e h è l’altezza del satellite dalla

superficie terrestre.

Dai calcoli si ottiene: ⎥⎦⎤

⎢⎣⎡=⎥⎦

⎤⎢⎣⎡=

hKm5.26869

sm75.7463v .

Si noti che quella appena calcolata rappresenta la velocità effettiva di un satellite

che percorre un’orbita circolare di raggio 61016.7 ⋅ metri intorno alla Terra. In

realtà un osservatore terrestre vede il satellite spostarsi ad una velocità diversa, a

causa del moto di rotazione della Terra stessa attorno al proprio asse. La velocità

percepita da terra dipende sia dal piano dell’orbita sia dal senso (orario o anti-

orario) di rivoluzione del satellite.

Si prenda, al solito, come esempio un satellite del sistema IRIDIUM; il piano

dell’orbita satellitare forma un angolo di 90° con il piano equatoriale (inclinazione

90°), come si può notare dalla fig. 3.8. Ciò significa che, da un qualunque punto

della superficie terrestre, il satellite sembrerà muoversi con una velocità

leggermente maggiore di quella calcolata in precedenza (a prescindere dal senso

di rivoluzione del satellite stesso). Dal momento che la differenza tra le velocità è

abbastanza piccola (si consideri che la Terra ruota attorno al proprio asse ad una

Page 117: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

105

velocità di circa ⎥⎦⎤

⎢⎣⎡

sm465 cioè 16 volte inferiore alla velocità effettiva di

rivoluzione del satellite), nel seguito si preferisce trascurarla.

Fig. 3.8: costellazione di satelliti del sistema IRIDIUM

Dalla formula della velocità del moto circolare uniforme:

T

r2v π= (3.20)

si può ricavare il periodo T dell’orbita:

v

r2T π= (3.21)

che in questo caso è: [ ] s5.27min40h1s5.6027T == .

Con una semplice relazione di proporzione si può ricavare che un satellite, con

tale periodo, in appena 1 minuto compie uno spostamento di 3.58°.

In precedenza si è detto che i satelliti non geostazionari possono essere assimilati

a sorgenti di RFI in movimento rispetto ad un utente sulla Terra: questo moto

relativo tra satellite e ricevitore è la causa dell’insorgere del cosiddetto effetto

Doppler. Esso si manifesta in uno scostamento di frequenza del segnale e, per

questo, condiziona in maniera significativa l’elaborazione dei segnali.

Page 118: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

106

In figura 3.9 è illustrata la situazione cui ci si trova di fronte: si supponga che il

satellite si trovi nel punto S e l’utente sia collocato in U. Lo spostamento di

frequenza per effetto Doppler (o Doppler Shift) è dovuto alla proiezione della

velocità del satellite sv sulla congiungente utente-satellite, vale a dire dv , che

può essere ricavata dalla relazione:

βsinvv sd ⋅= (3.22)

Fig. 3.9: schematizzazione della situazione in cui si origina l’effetto Doppler

Una volta calcolata la velocità Doppler dv , lo spostamento di frequenza dovuto a

tale effetto può essere valutato mediante la relazione:

cvf

f dcd

⋅= (3.23)

dove cf è la frequenza della portante mentre ⎥⎦⎤

⎢⎣⎡⋅=

sm1099792459.2c 8 è la

velocità della luce.

Page 119: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

107

Quando β assume i valori limite di °± 90 , dv raggiunge il suo valore massimo

sd vvmax

= , generando il massimo spostamento Doppler maxdf :

c

vff max

max

dcd

⋅= (3.24)

Nel modello di simulazione dinamico, che verrà illustrato nella sezione

successiva, non si terrà conto dell’effetto Doppler, in quanto la trattazione delle

contromisure da prendere per contrastare questo fenomeno non rientra nei limiti

preposti in questo lavoro.

3.4.2 Modello dinamico con Simulink Il modello che si intende realizzare deve rappresentare in maniera abbastanza

fedele (anche se, come si è visto, sono state introdotte alcune semplificazioni

pratiche) una sorgente di segnali in movimento, che nel caso in esame è un

satellite del sistema IRIDIUM.

Una volta avviato Simulink nel modo già spiegato precedentemente, occorre

creare un nuovo modello:

− o con un clic del mouse sull’icona che somiglia ad un foglio di carta

vuoto;

− oppure selezionando l’opzione New dal menu File del browser di

Simulink.

Si aprirà la finestra Untitled nella quale si può creare il nuovo modello. Nel

browser si selezioni la categoria di blocchi Sources (cliccando una volta): nella

parte destra della finestra saranno visualizzati i blocchi disponibili per la categoria

selezionata. Si clicchi sul nome o sull’icona del blocco Signal Builder e, tenendo

premuto il pulsante del mouse, si trascini il blocco nella finestra del nuovo

modello, infine si rilasci il pulsante del mouse.

Si noti che, quando si clicca sul nome di un blocco, nella parte superiore della

finestra del browser appare una breve descrizione della funzione svolta dal blocco

Page 120: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

108

selezionato. E’ inoltre possibile accedere alla guida on-line di un blocco, facendo

clic con il pulsante destro del mouse sul nome o sull’icona del blocco e

selezionando Help dal menu che appare sullo schermo.

Si clicchi due volte sul blocco Signal Builder che si trova nella finestra del nuovo

modello: apparirà una nuova schermata identificata dalla scritta “Signal Builder

(untitled/Signal Builder)” in cui viene rappresentato nel tempo un segnale di tipo

impulso rettangolare denominato “Signal 1”.

Si aggiunga al segnale presente di default un segnale costante: o si preme il

bottone nel menu generale dei comandi in alto a sinistra oppure bisogna

cliccare su Signal→New→Constant sempre nel suddetto menu.

Sotto a “Signal 1” si troverà un segnale che mantiene costantemente nel tempo un

valore pari a 0 e denominato “Signal 2”. Ora è possibile eliminare “Signal 1” che

non serve nel modello che si vuole creare: si posizioni il mouse all’interno del

grafico che rappresenta “Signal 1” e, dopo aver cliccato con il tasto destro del

mouse, si clicchi su Delete. In questo modo nella schermata del Signal Builder

sarà presente solo il segnale costante (“Signal 2”), che comunque si può

rinominare a piacimento (si clicchi una volta su Signal 2 (shown) in basso a destra

e si modifichi il nome nel campo Name in basso a sinistra).

E’ necessario a questo punto cambiare l’intervallo temporale (in secondi)

riportato sull’asse delle ascisse (Time (sec)), cliccando nel solito menu

Axes→Change time range.. e poi settando i valori corretti nei campi Min time e

Max time; nel caso in esame si è scelto di inserire Min time = 0 e Max time = 1000

in modo da poter definire successivamente l’andamento di un segnale nell’arco di

1000 secondi. In maniera simile si devono modificare i valori limite visualizzati

sull’asse delle ordinate: dopo aver premuto Axes→Set Y display limits.., si

possono settare i valori desiderati nei campi Minimum e Maximum; nel modello si

è considerato un range che va da -90 a +90.

Il segnale costante (precedentemente creato) può essere trasformato in un segnale

variabile linearmente nel tempo cambiando solo la posizione in ordinata dei suoi

punti estremi: questo si può fare cliccando il punto estremo che si vuole spostare

Page 121: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

109

e, tenendo premuto il pulsante del mouse, trascinandolo verticalmente nella

posizione desiderata. Nel modello si è preso in considerazione un segnale che

variasse tra -50 e 9.6667 in un tempo di 1000 secondi, come illustrato in fig. 3.10.

I valori in ordinata non sono stati scelti a caso: si consideri innanzitutto che il

segnale che si vuole generare nel modello deve rappresentare lo spostamento

continuo nel tempo di un satellite, in termini di variazione della DOA ( [°] ) del

segnale da esso emesso. La durata temporale del segnale creato nel modello è

stata stabilita arbitrariamente (1000 sec) e, ricordando la velocità di spostamento

di un satellite IRIDIUM, 3.58 °/min, si è calcolato che, in un tale intervallo

temporale (equivalente a 16 min e 40 sec), il satellite si spostasse di circa 60°; il

valore di partenza della DOA (-50°) è stato scelto anch’esso arbitrariamente.

Fig. 3.10: segnale che rappresenta la variazione lineare nel tempo della DOA del segnale di un

satellite IRIDIUM

Page 122: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

110

Per completare lo schema di simulazione, si segua questo procedimento, facendo

riferimento alla figura 3.11 (finestra del modello che si vuole creare):

Fig. 3.11: finestra del modello di Simulink

1. si selezioni e si inserisca il blocco Scope dalla libreria Sinks. Si

colleghi poi la porta di output del blocco Signal Builder alla porta di

input del blocco Scope. Per fare questo, si posizioni il cursore sulla

porta di input o di output; il cursore assumerà la forma di una freccia;

tenendo premuto il pulsante del mouse, si trascini il cursore sulla porta

dell’altro blocco. Simulink collegherà le porte con una freccia che

punta alla porta di input.

2. Si selezioni e si inserisca il blocco To Workspace dalla libreria Sinks e

il blocco Clock dalla libreria Sources.

3. Si selezioni e si inserisca il blocco Mux dalla libreria Signal Routing;

si faccia doppio clic su questo blocco e si imposti Number of inputs a

2; si faccia clic su Ok.

Page 123: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

111

4. Si colleghi la porta di input inferiore del blocco Mux alla porta di

output del blocco Clock e si colleghi la porta di input del blocco To

Workspace alla porta di output del blocco Mux. Per effettuare l’ultimo

collegamento, si posizioni il cursore sulla porta di input superiore del

blocco Mux e, tenendo premuto il pulsante del mouse, si trascini il

cursore sulla linea che collega il blocco Signal Builder al blocco

Scope. Il modello adesso dovrebbe essere simile a quello illustrato

nella figura 3.11.

5. Si clicchi 2 volte sul blocco To Workspace. Si può specificare

qualsiasi nome di variabile come output; la variabile di default è

simout. Si cambi il suo nome in y nel campo di testo Variable name. Si

specifichi Array come formato di salvataggio nello spazio Save

format. Si utilizzino i valori di default per gli altri parametri (che

devono essere inf, 1, -1, rispettivamente, per Limit data points to last,

Decimation e Sample time (-1 for inherited). Si faccia clic su Ok.

Tramite il blocco To Workspace si possono esportare i risultati della

simulazione nel workspace di Matlab, dove potranno essere utilizzati

come veri e propri dati di ingresso.

Prima di eseguire la simulazione è necessario impostare alcuni parametri.

Ciò che alla fine della simulazione interessa avere è un insieme discreto di valori

(raccolti poi in un array), ciascuno dei quali rappresenti l’angolo di arrivo del

segnale emesso dalla sorgente in movimento (in questo caso il satellite) in

corrispondenza di un insieme discreto di istanti di tempo.

La discretizzazione del segnale tempo continuo generato precedentemente

attraverso il blocco Signal Builder può essere raggiunta settando un determinato

valore in Sample time (dalla finestra del Signal Builder si clicchi in

File→Simulation options); nel modello sotto studio si è posto arbitrariamente un

Sample time pari a 20 [s].

Bisogna anche stabilire il tempo di inizio e il tempo di arresto della simulazione:

dalla finestra del modello si vada in Simulation→Configuration

Page 124: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

112

Parameters..→Solver e si settino i valori di Start time e Stop time. Si è stabilito di

fermare la simulazione ad un tempo di 980 s (Start time è ovviamente posto a 0),

in quanto si volevano avere 50 valori discreti di DOA (980/20 = 49 più il valore

all’istante 0). Inoltre vanno fissati alcuni altri parametri nella stessa finestra,

secondo l’indicazione di fig. 3.12.

Fig. 3.12: finestra in cui vengono settati i parametri del solutore numerico della simulazione

In generale, la variabile di output del blocco To Workspace sarà una matrice

avente tante righe quanti sono i passaggi della simulazione e tante colonne quanti

sono gli input del blocco.

La configurazione adottata per la simulazione da effettuare produrrà come uscita

del blocco To Workspace (la variabile di output y) una matrice con 2 colonne

(ciascuna colonna è un array di valori). La prima conterrà i valori discreti delle

DOAs (in questo caso sono 50 valori), la seconda i corrispondenti istanti di tempo.

Si noti che gli istanti di tempo presenti nella seconda colonna di y vengono

generati dal blocco Clock, che infatti è il secondo ingresso di To Workspace.

Clock ha un parametro: Decimation, che stabilisce ogni quanti step temporali

Page 125: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

113

della simulazione generare in output il tempo. Nel caso esaminato Decimation va

impostato a 20.

Ora è tutto pronto per avviare la simulazione: o cliccando su Simulation nella

finestra del modello e selezionando Start; oppure premendo il bottone nella

barra degli strumenti della stessa finestra.

La fine della simulazione sarà segnalata dal suono di una campana. Con un

doppio clic sul blocco Scope è possibile immediatamente rendersi conto se il

segnale prodotto è proprio quello cercato.

Dopo aver cliccato l’icona del binocolo di Scope per abilitare la scala automatica,

nel caso in esame si può osservare la seguente figura:

Fig. 3.13: visualizzazione, attraverso il blocco Scope, del segnale prodotto a seguito della

simulazione

Page 126: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

114

Aprendo la finestra del Workspace di Matlab, si può constatare la presenza

dell’array y, creato a seguito della simulazione e importato grazie al blocco To

Workspace del modello di Simulink; l’array stesso è direttamente visualizzabile

mediante un duplice clic: ciò che si ottiene è esattamente questo (fig. 3.14):

Fig. 3.14: visualizzazione dell’array y nel Workspace di Matlab

Qualunque programma di Matlab vede questo array come un dato di ingresso e,

perciò, può accedere agli elementi in esso contenuti.

Page 127: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

115

3.5 Simulazioni

In questo paragrafo vengono illustrate alcune simulazioni condotte in ambiente

MATLAB per saggiare le prestazioni dell’algoritmo MVDR adattativo in

situazioni emblematiche. Si introdurranno gradualmente prove di complessità

crescente aumentando il numero di interferenti, variando il numero di sensori e,

infine, valutando gli effetti prodotti dai lobi di grating nel caso particolare di

BEST-1.

3.5.1 Caso statico Per questo tipo di simulazioni verranno prese in considerazione solo sorgenti di

RFI in posizioni fissate dello spazio.

3.5.1.1 Esempio 1

Si faccia riferimento alla situazione riassunta in tab. 3.1

Tab. 3.1: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 1

Si hanno dunque 8 sensori ideali equispaziati ad una distanza di λ/2 in

corrispondenza della frequenza massima del segnale ( 2/ff cM = ).

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI -50° -10° +50° Ampiezze RFI 2 4 3 Frequenze RFI 0.10 cf 0.25 cf 0.30 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 128: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

116

L’osservazione dura complessivamente 1000 campioni e in figura 3.15 viene

visualizzata la matrice dei dati grezzi: si notano le striature oblique che indicano

la presenza di RFI.

Fig. 3.15: matrice dei dati grezzi per l’Esempio 1

In figura 3.16 viene visualizzato nel dominio del tempo il segnale in uscita dal

primo sensore dell’array: si vedono chiaramente i segnali sovrapposti al rumore di

sistema.

Fig. 3.16: segnale in uscita dal primo sensore (dominio del tempo) per l’Esempio 1

Page 129: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

117

Un quadro più chiaro dello scenario viene fornito in fig. 3.17, dove lo stesso

segnale di fig. 3.16 viene riportato nel dominio della frequenza. Si osservi la

presenza di 3 RFI nella banda di osservazione.

Fig. 3.17: segnale in uscita dal primo sensore (dominio della frequenza) per l’Esempio 1

I primi 200 campioni (contenuti nella matrice dei dati grezzi) vengono utilizzati

per effettuare una stima della matrice di covarianza (fig. 3.18).

Fig. 3.18: rappresentazione grafica della matrice di covarianza per l’Esempio 1

Page 130: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

118

Dal calcolo dei coefficienti ottimi, secondo la 3.15, risulta il beampattern di figura

3.19.

Fig. 3.19: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 1

3.5.1.2 Esempio 2

Si introduca una quarta interferenza nello scenario considerato nell’Esempio 1,

come specificato in tab. 3.2.

Tab. 3.2: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 2

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI -50° -10° +50° +5° Ampiezze RFI 2 4 3 5 Frequenze RFI 0.10 cf 0.25 cf 0.30 cf 0.40 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 131: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

119

Questa interferenza proviene comunque da una direzione che non cade all’interno

dell’apertura BWFN del main beam, che in questo caso è (si veda il paragrafo A.1

dell’appendice A):

[ ] °==⋅

=⋅

≅ 65.28rad5.0

218

2dN

2BWFNλ

(3.25)

Ciò è evidente dal momento che la “distanza angolare” che separa la DOA della

nuova interferenza dalla direzione di puntamento è maggiore di °= 32.142

BWBF .

La spaziatura esistente tra i due angoli di arrivo è tale da non generare problemi

nel puntamento della radiosorgente, come si può constatare dal beampattern

risultante (fig. 3.20).

Fig. 3.20: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 2

Se però la stessa interferenza proviene da una direzione che cade all’interno

dell’apertura BWFN del main beam, il beamformer MVDR adattativo porrà uno

zero in corrispondenza di tale DOA, producendo così gravi distorsioni al main

lobe. In questo caso non è possibile effettuare correttamente, mediante semplice

Page 132: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

120

filtraggio spaziale, un’osservazione astronomica senza che questa sia affetta da

disturbi. In fig. 3.21 viene riportato il beampattern che si ottiene qualora la DOA

della quarta interferenza passi da °+= 54θ a °+= 104θ e mantenendo le stesse

condizioni di prima.

Fig. 3.21: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 2 con °+= 104θ

Si noti dal dettaglio presente qui sotto (fig. 3.22) come il beam non risulti più

puntare la direzione voluta °+= 200θ .

Fig. 3.22: ingrandimento del beampattern di fig. 3.21

Page 133: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

121

La distorsione è tanto maggiore quanto più la DOA dell’interferenza si avvicina

alla direzione di puntamento (figg. 3.23 e 3.24 con °+= 154θ ).

Fig. 3.23: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 2 con °+= 154θ

Fig. 3.24: ingrandimento del beampattern di fig. 3.23

Confrontando le figg. 3.21 e 3.23 con la fig. 3.20, si può rilevare come

l’avvicinamento fra le due DOA produce anche un innalzamento dei lobi

Page 134: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

122

secondari, soprattutto per quanto riguarda quello a sinistra del lobo principale e

quelli agli estremi dell’asse spaziale.

3.5.1.3 Esempio 3

Nell’esempio precedente si è visto che, con N=8 sensori, si possono cancellare

quattro segnali interferenti senza alterare l’andamento del lobo principale, se

questi provengono da direzioni che non rientrano all’interno dell’apertura BWFN

del lobo stesso. Nasce spontaneo ora domandarsi quali siano gli effetti dovuti ad

un aumento del numero di RFI che giungono da direzioni esterne alla sopra citata

apertura (del beam).

Si considerino inizialmente cinque interferenze, come indicato in tab. 3.3.

Tab. 3.3: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 3

Dal beampattern che ne deriva (fig. 3.25) non si notano deformazioni del beam né

un particolare aumento di livello nei lobi secondari.

Aggiungendo un’altra RFI con angolo di arrivo °+= 806θ , ampiezza 2[V] e

frequenza cf35.0 , si ottiene il beampattern di fig. 3.26, in cui si comincia ad

osservare (vedi ingrandimento a fianco) un leggero spostamento del beam (poco

più di un grado).

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI -50° -10° +50° -30° +40° Ampiezze RFI 2 4 3 5 4 Frequenze RFI 0.10 cf 0.25 cf 0.30 cf 0.40 cf 0.20 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 135: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

123

Fig. 3.25: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 3

Fig. 3.26: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 3 con l’aggiunta di una

sesta interferenza con °+= 806θ , ampiezza 2[V], frequenza cf35.0 (sinistra) e relativo

ingrandimento (destra)

L’aumento progressivo di una e poi due sorgenti interferenti, allo scenario

considerato precedentemente, produce rispettivamente i seguenti risultati (fig.

3.27 e fig. 3.28). Nel primo caso è stata introdotta una RFI con °= 07θ , ampiezza

Page 136: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

124

1[V] e frequenza cf15.0 ; nel secondo, oltre a quest’ultima, ne è stata aggiunta

un’altra con °−= 708θ , ampiezza 3[V] e frequenza cf45.0 .

Fig. 3.27: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 3 con l’aggiunta di due

RFI con, rispettivamente, °+= 806θ , ampiezza 2[V], frequenza cf35.0 e °= 07θ , ampiezza 1[V],

frequenza cf15.0 (sinistra) e relativo ingrandimento (destra)

Fig. 3.28: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 3 con l’aggiunta di tre

RFI con, rispettivamente, °+= 806θ , ampiezza 2[V], frequenza cf35.0 , °= 07θ , ampiezza 1[V],

frequenza cf15.0 e °−= 708θ , ampiezza 3[V], frequenza cf45.0 (sinistra) e relativo

ingrandimento (destra)

Nel passaggio da 6 a 7 (lo stesso vale anche per 8) interferenti, si ha un lieve

peggioramento nell’andamento del lobo principale che si sposta di 2.5-3°.

Page 137: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

125

In ultima analisi, ci si può facilmente accorgere che, pur avendo ipotizzato di

avere 8 RFI all’ingresso del sistema, solamente 7 di queste vengono

effettivamente cancellate dal beamformer. Da questo si può dedurre che, con N

sensori, si possono eliminare fino a N-1 segnali interferenti; tale numero andrebbe

ridotto (N/2-N/2+1) se si vuole mantenere un allineamento perfetto del beam con

la direzione di puntamento.

3.5.1.4 Esempio 4

Quando la spaziatura tra i sensori è maggiore di 2λ , le DOA risultano essere

equivocate ed allo stesso steering vector possono essere associate più DOA

distinte. L’esempio che segue riproduce una di queste situazioni. In tab. 3.4

vengono riportati i parametri di simulazione.

Tab. 3.4: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 4

In questo esempio le DOA delle RFI ( °−= 331θ e °+= 142θ ) cadono all’esterno

dei lobi di grating e la soluzione si dimostra essere accettabile. In fig. 3.29 viene

mostrato il beampattern ottenuto dal calcolo dei coefficienti ottimi, assieme ai

suoi ingrandimenti in corrispondenza della DOA del segnale utile ( °+= 20θ ) e di

quelle delle radiointerferenze. Nei grafici degli ingrandimenti viene proposto

Parametro Valore

Numero sensori 4 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori 8λ @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI -33° +14° Ampiezze RFI 2 4 Frequenze RFI 0.10 cf 0.25 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 138: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

126

anche il beampattern ottenuto mediante beamformer classico per meglio rendersi

conto dell’effettiva posizione degli zeri rispetto ai lobi di grating.

Fig. 3.29: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 4 e relativi dettagli

nell’intorno della direzione di osservazione ( °+= 20θ ) e di quelle di provenienza delle due RFI

( °−= 331θ e °+= 142θ )

Nel caso in cui una RFI dovesse avere una direzione di arrivo che rientra

nell’apertura BWFN di un lobo di grating, si verrebbe a ricreare la stessa

spiacevole situazione descritta nell’Esempio 2 (con °+= 104θ e °+= 154θ ): il

posizionamento di uno zero causa una distorsione del main lobe e ciò rende

inaccettabile il beamformer trovato.

In fig. 3.30 viene riportato il beampattern che si ottiene nelle stesse condizioni di

prima, con la sola differenza che °+= 162θ anziché °+= 142θ ; vengono proposti

a fianco anche i dettagli in corrispondenza delle direzioni 0θ , 1θ e 2θ .

Page 139: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

127

Fig. 3.30: beampattern ottenuto mediante MVDR adattativo per l’Esempio 4 con °+= 162θ

anziché °+= 142θ e relativi dettagli nell’intorno della direzione di osservazione ( °+= 20θ ) e di

quelle di provenienza delle due RFI ( °−= 331θ e °+= 162θ )

3.5.1.5 Esempio 5

L’ultimo esempio trattato è particolarmente interessante per la configurazione

adottata: N=4 antenne equispaziate di d=8λ, la stessa esistente nel caso BEST-1.

Sebbene nell’esempio siano state considerate antenne ideali, le considerazioni

fatte possono essere estese facilmente anche a BEST-1, dal momento che i

beampattern mostrati non sono altro che i fattori di gruppo per BEST-1 (vedi

paragrafo A.2 dell’appendice A). Per calcolare i beampattern complessivi,

dunque, occorre tenere in considerazione anche la direttività delle singole

antenne, le quali non sono affatto omnidirezionali.

Page 140: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

128

L’esempio che viene ora illustrato riporta i diversi effetti che possono essere

originati dalle antenne non ideali.

I parametri di simulazione sono indicati in tabella 3.5.

Tab. 3.5: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 5

Si osservi il segnale ricevuto dalla prima antenna nel dominio della frequenza

(fig. 3.31).

Fig. 3.31: segnale in uscita dalla prima antenna nel dominio della frequenza per l’Esempio 5

(BEST-1)

Parametro Valore

Numero antenne 4 Tipo antenna array di 16 dipoli equispaziati di λ/2 Spaziatura antenne 8λ @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI +19° -50° +30° Ampiezze RFI 2 4 6 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.15 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.01

Page 141: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

129

Analizzando attentamente la figura di sopra si nota un’apparente anomalia: la

mancanza della terza interferenza, quella di maggiore intensità, a frequenza

0.15 cf . Questo fatto si spiega facilmente, andando ad osservare la sua DOA

( °+= 303θ ) ed il diagramma di direttività di una singola antenna di BEST-1 (fig.

3.32, per maggiori dettagli si rimanda ancora una volta all’appendice A).

Fig. 3.32: beampattern di una singola antenna dell’array di BEST-1

L’interferenza cade proprio in prossimità di uno zero naturale del beampattern

dell’antenna e, pertanto, viene abbattuta. E’ possibile fare anche un’altra

considerazione sempre osservando la fig. 3.31: l’interferenza di maggiore

intensità non è più la seconda ma la prima, infatti quest’ultima gode

maggiormente del guadagno offerto dall’antenna in direzione 1θ .

Dal calcolo dei coefficienti ottimi risulta il fattore di gruppo riportato in fig. 3.33,

in cui, attraverso opportuni ingrandimenti, si osserva il corretto puntamento del

beam a °+= 20θ ed il posizionamento degli zeri in °+= 191θ , °−= 502θ ed in

tutte le corrispondenti direzioni spaziali equivocate.

Il beampattern finale che se ne ricava, tenendo conto della direttività delle

antenne, è quello riportato in fig. 3.34 (a fianco sono presenti, come al solito, i

dettagli relativi alla DOA del segnale utile e a quelle delle RFI).

Page 142: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

130

Fig. 3.33: fattore di gruppo e relativi ingrandimenti ottenuti per l’Esempio 5 (caso BEST-1)

Fig. 3.34: beampattern finale e relativi ingrandimenti ottenuti per l’Esempio 5 (caso BEST-1)

Page 143: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

131

3.5.1.6 Esempio 6

Si consideri il caso schematizzato in tab. 3.6.

Tab. 3.6: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 6

In questo esempio un’interferenza risulta provenire da °+= 242θ , proprio in

corrispondenza di un lobo di grating del fattore di gruppo dell’array (fig. 3.35).

Il beamformer MVDR adattativo pone uno zero in corrispondenza di 2θ , ma

questo viene replicato anche nel main beam ( °+= 20θ ), il quale, esattamente

come nell’Esempio 4 (con °+= 162θ ), viene fortemente distorto (fig. 3.36),

rendendo impossibile un’osservazione radioastronomica corretta mediante sole

tecniche di filtraggio spaziale.

Si tenga presente che la coincidenza tra la DOA di un’interferenza e un lobo di

grating si può presentare tanto più frequentemente quanto maggiore è la

spaziatura tra i sensori.

Numero antenne 4 Tipo antenna array di 16 dipoli equispaziati di λ/2 Spaziatura antenne 8λ @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI +12° +24° Ampiezze RFI 2 4 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.01

Parametro Valore

Page 144: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

132

Fig. 3.35: dettaglio del fattore di gruppo per l’Esempio 6 (BEST-1)

Fig. 3.36: dettaglio del beampattern per l’Esempio 6 (BEST-1)

3.5.1.7 Esempio 7

Nell’ultima prova di simulazione in ambito statico, si desidera mostrare come

risponde l’algoritmo MVDR adattativo, in una situazione con tre segnali

interferenti (ciascuno dei quali proviene da una DOA esterna ai lobi di grating del

fattore di gruppo dell’array) e ancora nella stessa configurazione propria

dell’array BEST-1 (tab. 3.7).

Page 145: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

133

Tab. 3.7: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 7

Come si può verificare dalla figura 3.37, la presenza di 3 RFI causa un piccolo

spostamento (≈ 0.2°) del beam.

Fig. 3.37: beampattern e corrispondente dettaglio per l’Esempio 7 (BEST-1)

Se al set di valori relativi ai parametri dell’Esempio 7 si sostituisce °+= 272θ al

posto di °+= 282θ , quello che si ricava è rappresentato in fig. 3.38: la variazione

di un solo grado nella DOA di un interferente è causa di un’ulteriore traslazione

del beam (≈ 0.3°).

Parametro Valore

Numero antenne 4 Tipo antenna array di 16 dipoli equispaziati di λ/2 Spaziatura antenne 8λ @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI +6° +28° -2° Ampiezze RFI 2 4 6 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.15 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.01

Page 146: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

134

Questo fa capire quanto il sistema BEST-1 sia sensibile anche ai più piccoli

spostamenti degli angoli di arrivo dei segnali interferenti verso i più volte citati

lobi di grating del fattore di gruppo.

Fig. 3.38: beampattern e corrispondente dettaglio per l’Esempio 7 con °+= 272θ (BEST-1)

3.5.2 Caso dinamico

Le simulazioni che verranno da qui in avanti effettuate hanno come obiettivo

principale quello di testare e valutare le proprietà di adattività dell’algoritmo

MVDR in condizioni dinamiche: verranno prese in esame, infatti, nel contempo

sorgenti di RFI sia fisse che in movimento. Per poter rappresentare

realisticamente queste ultime, ci si appoggerà ad un modello di simulazione

dinamico realizzato mediante Simulink, come già riferito nel paragrafo 3.4.

3.5.2.1 Esempio 8

La prima prova eseguita fa riferimento allo scenario descritto in tab. 3.8.

Si è ipotizzato di avere 8 sensori ideali equidistanziati l’uno dall’altro di λ/2 alla

frequenza Mf e si è impostato un tempo di osservazione complessivo di 100000

campioni. D’altra parte, come già spiegato nella sezione 3.4.2, si è stabilito di

considerare, nel modello di Simulink, un tempo di simulazione pari a 1000 sec:

questo implica una velocità di campionamento di 100 campioni/sec.

Page 147: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

135

A due RFI in posizioni fissate dello spazio (rispettivamente con DOA di valore

°−= 801θ e °−= 602θ ), si è deciso di affiancare una sorgente di interferenza

mobile, delle cui caratteristiche si è già ampiamente discusso nella sezione 3.4.1.

Tab. 3.8: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 8

Inoltre si è scelto di utilizzare 2000 campioni per la stima della matrice R.

Di conseguenza, ricordando l’ipotesi di stazionarietà in senso lato dei segnali in

gioco nell’intervallo di tempo in cui R̂ viene calcolata (vedi paragrafo 3.3), si è

supposto implicitamente che il sistema ricevente non percepisse lo spostamento

angolare della terza RFI nell’arco temporale definito da 2000 campioni

(equivalente a 20 sec). Questa supposizione è peraltro ragionevole se si tiene

conto che in 20 sec un satellite di quelli considerati nel modello si sposta di

appena 1.19° .

Durante la simulazione, al termine di ogni iterazione in cui viene ricalcolata la

matrice R̂ , viene generato un grafico che rappresenta il beampattern complessivo

del sistema. Ciascun grafico mostra chiaramente come il beamformer MVDR si

adatti dinamicamente allo spostamento nel tempo della terza RFI, ponendo uno

zero proprio in corrispondenza della DOA da cui progressivamente essa proviene.

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 100000 Campioni usati per R̂ 2000 DOA puntamento +30° DOA RFI -80° -60° [-50° 9.6667°] Ampiezze RFI 2 4 3 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 148: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

136

Per ovvi motivi, di seguito (fig. 3.39) si riporta solamente un numero limitato di

grafici, quanto basta comunque per accertare l’adattività dell’algoritmo in

questione.

Fig. 3.39: sequenza dei beampattern dell’algoritmo MVDR adattativo per l’Esempio 8

Per evidenziare la notevole precisione con cui l’algoritmo insegue il terzo segnale

interferente, si fornisce il confronto tra i valori assunti dalla DOA di quest’ultimo

Page 149: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

137

(tab. 3.9), determinati attraverso calcoli analitici, e la posizione dello zero

corrispondente, via via piazzato dall’algoritmo, al variare del tempo (fig. 3.40).

1 10 20 30 40 50 -50 -39.26 -27.327 -15.393 -3.46 8.4733 0 180 380 580 780 980

Tab. 3.9: valori assunti dalla DOA del terzo segnale interferente in corrispondenza delle iterazioni

considerate

Fig. 3.40: ingrandimenti dei beampattern di fig. 3.39 in corrispondenza delle DOA di tab. 3.9

Iterazione n° DOA [°] Istante temporale [sec]

Page 150: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

138

3.5.2.2 Esempio 9

Una simulazione del tutto analoga a quella dell’esempio precedente può essere

compiuta nel caso di BEST-1.

Ai parametri principali di simulazione vengono attribuiti i valori indicati in tab.

3.10.

Tab. 3.10: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 9

Siccome il sistema BEST-1 è sottoposto al vincolo °≤ 59.30θ , per il puntamento

si è scelto un angolo di 2°. Inoltre, per la DOA del secondo segnale interferente

(quello in movimento), si è stabilito [-70° -10.3333°] come range di variabilità, in

modo tale che le direzioni di provenienza del segnale utile e dell’interferenza non

si andassero a sovrapporre tra loro. Il primo segnale interferente ha una direzione

di arrivo che non crea problemi al beam, in quanto non cade all’interno di un lobo

di grating del fattore di gruppo dell’array di antenne. Anche in questo caso si

mostrano i risultati della simulazione per un n° limitato di iterazioni (tab. 3.11).

Tab. 3.11: valori assunti dalla DOA del 2° segnale interferente per le iter. considerate nell’Es. 9

Parametro Valore

Numero antenne 4 Tipo antenna array di 16 dipoli equispaziati di λ/2 Spaziatura antenne 8λ @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 100000 Campioni usati per R̂ 2000 DOA puntamento +2° DOA RFI +6° [-70° -10.3333°] Ampiezze RFI 2 4 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.01

Iterazione n° DOA [°] Istante temporale [sec]

1 10 20 30 40 50 -70 -59.26 -47.33 -35.393 -23.46 -11.53 0 180 380 580 780 980

Page 151: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

139

Di seguito vengono riportati i grafici dei beampattern ottenuti

corrispondentemente alle iterazioni considerate; ognuno è associato al proprio

ingrandimento nell’intorno del beam, per rendere più evidente la sua

deformazione durante lo spostamento dell’interferente (figg. 3.41 e 3.42).

Fig. 3.41: beampattern e relativi ingrandimenti nell’intorno del beam per le prime 3 iterazioni

considerate nell’Esempio 9 (BEST-1)

Page 152: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

140

Fig. 3.42: beampattern e relativi ingrandimenti nell’intorno del beam per le ultime 3 iterazioni

considerate nell’Esempio 9 (BEST-1)

3.5.2.3 Esempio 10

Attraverso quest’ultima simulazione si vuole mettere alla prova l’algoritmo

adattativo, in presenza di un segnale interferente caratterizzato da una velocità di

spostamento angolare maggiore rispetto a quella considerata in precedenza.

Page 153: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

141

Si prenda, ad esempio, una velocità pari a 4.77°/min (anziché 3.58°/min); questa

volta, mantenendo sempre valida l’ipotesi che spostamenti inferiori a 1.19° non

sono rilevati dal sistema ricevente, è necessario ricalcolare periodicamente R̂

ogni 1500 campioni (o, equivalentemente, 15 sec). Con tale velocità, la sorgente

di RFI in movimento compie, in un tempo di osservazione ancora di 100000

campioni (1000 sec), un’escursione d’angolo di circa 80°.

Si utilizzino i valori indicati in tabella 3.12 per i principali parametri di

simulazione.

Tab. 3.12: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 10

I risultati conseguiti al termine della simulazione (fig. 3.43) dimostrano che il

beamformer MVDR adattativo non viene messo in crisi da una sorgente di RFI

con tale velocità di spostamento, dando prova di ottima capacità di reiezione di

RFI, anche in ambiente dinamico; a tal proposito si confrontino i valori in tab.

3.13 con i grafici in fig. 3.44.

Tuttavia, analizzando l’insieme dei beampattern ottenuti, si può notare un leggero

scostamento del lobo principale dalla DOA del segnale utile, al termine di alcune

iterazioni della simulazione, soprattutto nella parte iniziale.

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 100000 Campioni usati per R̂ 1500 DOA puntamento +50° DOA RFI -80° -60° [-50° 29.556°] Ampiezze RFI 2 4 3 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 154: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

142

Fig. 3.43: sequenza dei beampattern dell’algoritmo MVDR adattativo per l’Esempio 10

Page 155: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 3 Algoritmo MVDR adattativo

143

Tab. 3.13: valori assunti dalla DOA del 3° segnale interferente per le iter. considerate nell’Es. 10

Fig. 3.44: ingrandimenti dei beampattern di fig. 3.43 in corrispondenza delle DOA di tab. 3.13

Iterazione n°

DOA [°]

Istante temporale [sec]

1 10 20 30 40 50 60 66

-50 -39.26 -27.327 -15.393 -3.46 8.4733 20.407 27.567

0 135 285 435 585 735 885 975

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Page 157: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

CAPITOLO 4

ALGORITMO LCMV ADATTATIVO NEL

DOMINIO DELLA FREQUENZA

L’argomento di questo capitolo riguarda l’analisi di un algoritmo di beamforming

adattativo che si basa sulla minimizzazione della varianza associata

all’applicazione di vincoli lineari sul vettore dei coefficienti (LCMV);

l’implementazione dell’algoritmo stesso è stata effettuata nel dominio della

frequenza poiché ricerche approfondite [17] hanno dimostrato che, in questo

modo, è possibile ridurre la complessità computazionale a scapito di una

diminuzione della velocità di convergenza.

Nella prima parte si focalizza l’attenzione sulla descrizione analitica del metodo

in esame, dapprima tracciando le linee guida per la formulazione del problema

generale LCMV nel dominio del tempo, per poi passare alla formulazione in

frequenza dell’algoritmo considerato; in seguito viene studiata la sua

implementazione su elaboratore elettronico mediante simulazioni con MATLAB.

Come per l’algoritmo del capitolo precedente, le prime simulazioni sono state

effettuate in un contesto deterministico, cioè con sorgenti di intereferenza fisse,

mentre in un secondo momento è stato preso in considerazione il caso adattativo

(con un interferente in movimento), grazie all’utilizzo di Simulink.

Page 158: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

146

4.1 Formulazione nel dominio del tempo

Un beamformer di tipo LCMV (Linearly Constrained Minimum Variance)

realizza la minimizzazione della varianza del segnale di uscita in accordo con

alcuni vincoli spettrali e spaziali assegnati.

Si consideri un array lineare composto da N sensori equispaziati a distanza d ed

un beamformer a larga banda del tipo già discusso nel capitolo 2 e rappresentato

in fig. 2.4. Per ragioni di comodità si preferisce riportarlo di nuovo qui di seguito

(fig. 4.1).

Fig. 4.1: beamformer a banda larga con N sensori

Sulla base delle considerazioni generali già effettuate nel capitolo precedente e

mantenendo la stessa notazione di prima, si può esprimere il segnale )t(x ,n ξ ,

ricevuto dall’n-esimo sensore dopo che ha superato ξ blocchi di ritardo, come:

Page 159: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

147

]csind)1n[(2j

0f2jf2jtf2j

0,n0

0n00 e)t(seees)t(xξ

λθ

λπξπτππ

ξ

+−== (4.1)

dove Nn1 ≤≤ e 1J0 −≤≤ ξ .

Per mantenere la stessa notazione assunta nel capitolo 2, si indichi da qui in avanti

l’indice temporale discreto con k.

L’uscita del beamformer y(k), come si è già visto, è espressa come:

)()( kky xw H= (4.2)

con: [ ]TTN

T2

T1 wwww K=

[ ] T1J,n1,n0,n www −= Knw

[ ]T)k()k()k()k( TN

T2

T1 xxxx K=

[ ] Tnnn )1Jk(x)1k(x)k(x)k( +−−= Knx

Il problema LCMV può essere formulato come:

wRw xH

wmin soggetto ai vincoli linearmente indipendenti fwC H = (4.3)

dove: [ ]Hx xxR E= è la matrice di covarianza;

rNJ ×∈CC è la matrice dei vincoli;

rC∈f è il vettore risposta;

r è il numero di vincoli linearmente indipendenti che sono stati sfruttati;

C è il campo complesso.

Page 160: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

148

4.2 Formulazione nel dominio della frequenza

In questo paragrafo verrà adottata la seguente notazione: i vettori e le matrici nel

dominio della frequenza sono sottolineati, rispettivamente, una volta e due volte

per poterli distinguere dalle corrispondenti grandezze nel dominio del tempo.

Raccogliendo le uscite y*( kJ ), y*( kJ+1 ), …, y*( kJ+J-1 ) in un vettore )kJ(y ,

dove k rappresenta l’indice discreto dei blocchi di J campioni d’ingresso, si

ottiene:

∑=

=N

1n

H )kJ()kJ( nn wXy (4.4)

dove:

[ ])1JkJ()1kJ()kJ()kJ( −++= nnnn xxxX K (4.5)

Si possono sviluppare le matrici convoluzionali )kJ(nX in una forma

equivalente (“circulant”) ed esprimere l’uscita del beamformer come:

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅⎥

⎤⎢⎣

⎡=⎥

⎤⎢⎣

⎡ ∑= 0

wXXXX

yv n

Hn

Hn

Hn

Hn

N

1n )kJ(~)kJ()kJ()kJ(~

)kJ( (4.6)

dove: v è un vettore arbitrario composto da J elementi;

nX~ è una matrice di Toeplitz costruita usando gli elementi della matrice

nX eccetto per un elemento arbitrario lungo la diagonale principale.

Page 161: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

149

Si definisca un vettore errore nel dominio della frequenza J2)kJ( C∈e

attraverso la trasformazione discreta di Fourier (DFT, Discrete Fourier

Transform) utilizzando la matrice di trasformazione T, di dimensioni J2J2 × :

wYGwYG

0w

TTXXXX

TG

yv

TTI000

Ty0

Te

N

1nnn

nHN

1nHnn

Hn

Hn

n

H

JJJJ

JJJJ

n

)kJ()kJ(

)kJ(~)kJ()kJ()kJ(~

)kJ(

H

==

=⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅⎥

⎤⎢⎣

⎡=

=⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅⎥

⎤⎢⎣

⎡=⎥

⎤⎢⎣

⎡=

=

=

××

××

(4.7)

dove: H

JJJJ

JJJJ TI000

TG ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=

××

×× ;

HHn

Hn

Hn

Hn

n TXXXX

TY ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=

)kJ(~)kJ()kJ()kJ(~

)kJ( ;

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=

0w

Tw nn .

Si ottengono in questo modo matrici diagonali )kJ(nY , i cui elementi sulla

diagonale principale non sono altro che le trasformate di Fourier degli elementi

appartenenti alla prima colonna delle corrispondenti matrici in forma “circulant”.

Si consideri ora l’equazione che esprime i vincoli lineari. Nel dominio del tempo i

vincoli sono espressi come:

fwCwCN

1nn

Hn

H =⋅= ∑=

(4.8)

dove si è messo in evidenza come l’equazione originaria può essere scomposta in

N componenti additivi.

Page 162: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

150

Si noti che rJ ×∈CnC ha una forma arbitraria (in particolare non di Toeplitz).

Per passare al dominio della frequenza si effettuino i seguenti passaggi:

[ ] f0

w0C n

JrHn =⎥

⎤⎢⎣

⎡∑=

×

N

1n (4.9)

oppure:

[ ] fwCwT0C nH

JrHn ==∑

HN

1n (4.10)

in cui rJN2 ×∈CC è la nuova matrice dei vincoli, la cui espressione è:

HHH

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=

××

H

rJ

NH

rJ

1 T0C

T0C

C K (4.11)

e che viene applicata al vettore dei coefficienti nel dominio della frequenza w .

L’uscita quadratica media del beamformer nel dominio della frequenza è data da:

[ ] wRwee HH )kJ()kJ(E = (4.12)

dove [ ] [ ])kJ()kJ(E)kJ()kJ(E HH YGYYGGYR H == .

In questo modo la formulazione LCMV nel dominio della frequenza diventa:

wRww

Hmin soggetta ai vincoli fwC =H (4.13)

Page 163: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

151

4.3 Algoritmo adattativo vincolato nel dominio della

frequenza (Frequency Domain-LCMV, FD-LCMV)

Giunti a questo punto, l’obiettivo che ci si prefigge di raggiungere è quello di

ottenere un’equazione di aggiornamento iterativa del vettore dei coefficienti nel

dominio della frequenza, partendo dall’espressione 4.13.

Si applichi il metodo dei moltiplicatori di Lagrange per formare la nuova funzione

obiettivo )( wΦ :

)()()( TTHHH ∗∗ −+−+= fwCfwCwRww λλΦ (4.14)

dove rC∈λ è un vettore con moltiplicatori di Lagrange indeterminati.

Derivando la funzione )( wΦ rispetto a ∗w , si ha:

λcwRw

w+=

∂∂

)(Φ (4.15)

Il passo successivo per arrivare all’algoritmo voluto è inizializzare il vettore dei

pesi: si imposta q)J1( ww =⋅ , con fCCCw H 1q )( −= in modo che soddisfi i

vincoli espressi nella 4.10.

Ad ogni iterazione il vettore w è aggiornato nella direzione del gradiente

negativo, espresso nella 4.15, con un passo proporzionale ad un fattore di scala µ

in accordo a:

[ ])kJ()kJ()kJ()JkJ( λcwRww +−=+ µ (4.16)

Poiché )JkJ( +w deve soddisfare i vincoli, si può sostituire l’espressione 4.16

nella 4.10 e risolverla rispetto ai moltiplicatori di Lagrange )kJ(λ .

Page 164: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

152

Sostituendo poi )kJ(λ nell’equazione dell’iterazione 4.16 si trova che:

[ ][ ])kJ()(

)kJ()()kJ()JkJ(H1H

H1H

wcfCCC

wrcCCCIww

−+

+−−=+−

−µ (4.17)

Ponendo H1H )( CCCCIP −−= , la 4.17 può essere riscritta nel seguente modo:

[ ])kJ()kJ()JkJ( q wRwPww µ−+=+ (4.18)

Dal momento che non si conosce a priori la statistica del secondo ordine di R, la

matrice di covarianza può essere calcolata attraverso la sua semplice

approssimazione: )kJ()kJ(~ H YGYR = . Questo conduce alla minimizzazione

dell’uscita quadratica istantanea anziché di quella media, arrivando infine

all’equazione di aggiornamento cercata:

[ ])kJ()kJ()kJ()JkJ( Hq eYwPww µ−+=+ (4.19)

Page 165: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

153

Riassumendo, i passi fondamentali che portano alla realizzazione dell’algoritmo

considerato sono riportati sinteticamente nella tabella seguente (tab. 4.1):

Inizializzazione: fCCCww H 1

q )()J1( −==⋅ ;

H1H )( CCCCIP −−= ;

Iterazione per ogni blocco di J campioni d’ingresso:

1. [ ]{ }H)kJ()JkJ(diag)kJ( Tn

Tnn xxTY += ;

2. )kJ()kJ()kJ( wYGe = ;

3. )kJ()kJ(H eYµ ;

4. [ ])kJ()kJ()kJ( H eYwP µ− .

Tab. 4.1: passi necessari per arrivare all’equazione di aggiornamento iterativa del vettore dei

coefficienti (nel dominio della frequenza).

4.4 Implementazione dell’algoritmo su calcolatore

Viene ora illustrata passo per passo la procedura necessaria all’implementazione

dell’algoritmo adattativo FD-LCMV su elaboratore elettronico mediante il

software di simulazione MATLAB. Alcune operazioni sono del tutto analoghe a

quelle già descritte nel capitolo precedente, in merito all’algoritmo MVDR e, di

conseguenza, si ritiene opportuno semplicemente citarle senza scendere di nuovo

nei particolari, in quanto sarebbe inutile e ripetitivo.

I passaggi fondamentali da effettuare sono:

1. si costruisce T, la matrice DFT a 2J punti. Infatti, la trasformazione

discreta di Fourier (DFT) può anche essere rappresentata come

un’operazione matriciale. Si prenda ad esempio un generico vettore

colonna v di 2J elementi, l’i-esimo dei quali viene identificato con v(i).

Page 166: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

154

L’espressione generale della DFT:

∑∑−

=

=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛=

1J2

0i

1J2

0i J2ik2sin)i(vj

J2ik2cos)i(v)k(v ππ (4.20)

con k = 0, 1, 2 , …, 2J-1

può essere formulata equivalentemente attraverso l’operazione matriciale:

vTv ⋅= (4.21)

In forma estesa essa si scrive nel seguente modo:

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢

=

⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢

− −⋅−⋅−⋅−

−⋅⋅⋅

−⋅⋅⋅

)1J2(v

)1(v)0(v

TTT

TTTTTT

)1J2(v

)1(v)0(v

)1J2()1J2(1)1J2(0)1J2(

)1J2(11101

)1J2(01000

M

K

MMMM

K

K

M (4.22)

in cui il generico elemento )k(v può essere ricavato così:

∑−

=

⋅=1J2

0i

ik )i(vT)k(v (4.23)

e dove:

J2eT

J22j π

= (4.24)

Page 167: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

155

Il fattore di normalizzazione J2

1 non fa parte della definizione di

matrice DFT, ma viene comunemente impiegato al fine di rendere la

matrice T una matrice unitaria, cioè tale per cui ITT H = .

2. L’asse spaziale, necessario per la rappresentazione del beampattern, viene

definito in maniera del tutto analoga a quanto già visto in merito

all’algoritmo MVDR (paragrafo 3.3, passo n°2).

3. A differenza dell’algoritmo MVDR stesso però, in questo caso la matrice

degli steering vectors, utilizzata per il calcolo del beampattern, viene

costruita in modo diverso. Si parte innanzitutto con il vettore:

T

)1J(c))i(theta(sind)1n(2jc))i(theta(sind)1n(2j))i(theta(sind)1n(2jeee

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡=

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ −+−⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ +−⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ −

λλπ

λλπ

λπ

Kd_1

(4.25)

con N,,2,1n K= e )(length,,2,1i thetaK= . theta = vett. asse spaziale.

Poi si passa alla trasformazione in frequenza di questo vettore mediante la

matrice DFT T:

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=

×1J0d_1

Td_2 (4.26)

d_2 è dunque un vettore che appartiene a 12J ×C . Si arriva infine alla

matrice cercata:

ripetendo il calcolo del vettore d_2 per N,,2,1n K= (con l’indice

i fissato) e disponendo progressivamente questi vettori (via via

calcolati) in colonna. In questo modo si ottiene una generica

colonna della matrice.

Page 168: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

156

Il procedimento appena descritto va poi ripetuto facendo variare

l’indice di colonna i (della matrice) da 1 a length(theta).

La matrice degli steering vectors nel dominio della frequenza risulta

essere così strutturata:

D_2 =

4. Si raccolgono i dati provenienti dall’array in una matrice (X) nello stesso

modo descritto nel capitolo precedente (paragrafo 3.3); la matrice

risultante, chiamata ancora matrice dei dati grezzi, ha una struttura uguale

a quella riportata in figura 3.2.

5. Si definisce un vettore, DOA, che contiene le direzioni di arrivo dei

segnali su cui si vogliono porre i vincoli lineari. Le direzioni di arrivo

sono angoli compresi nell’intervallo [ ]°+°− 9090 . Il primo elemento di

questo vettore è l’angolo di arrivo del segnale desiderato, che in

radioastronomia è sempre noto. Gli altri elementi sono un ristretto

numero fra le direzioni di provenienza conosciute dei segnali interferenti.

Si parla di “ristretto numero” dal momento che esiste un numero di

vincoli massimo che è possibile sfruttare e che dipende dal numero di

sensori a disposizione N. Volendo mantenere la stessa notazione del

1 2 length(theta)

1 2

)J2(N ⋅

Page 169: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

157

paragrafo 4.1, da qui in avanti verranno considerati r vincoli lineari sul

vettore dei coefficienti. Il vettore DOA risulta avere la seguente forma:

[ ])r(DOA)2(DOA)1(DOA K=DOA (4.27)

6. Per poter applicare i vincoli lineari bisogna inizialmente costruire la

matrice dei vincoli nel dominio del tempo. Dal vettore c così definito:

T

)1J(c))i(DOA(sind)1n(2jc))i(DOA(sind)1n(2j))i(DOA(sind)1n(2jeee

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡=

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ −+−⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ +−⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ −

λλπ

λλπ

λπ

Kc

(4.28)

con N,,2,1n K= e r,,2,1i K= , si crea la generica colonna della matrice

in questione disponendo in colonna i vettori c ottenuti al variare di n da 1

a N e con i fissato.

Iterando le stesse operazioni sopra esposte al variare di i da 1 a r, si

ottiene la matrice dei vincoli:

C =

Per il fatto che 0)1(DOA θ= (direzione di arrivo del segnale utile), la

prima colonna di C esprime il vincolo sul segnale radioastronomico; le

1 2 r

1 2

JN ⋅

Page 170: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

158

altre colonne (identificate dall’indice di colonna r,,3,2i K= )

corrispondono invece ai vincoli imposti agli 1r − segnali interferenti

presi in considerazione.

7. La matrice dei vincoli nel tempo C appena costruita va poi trasformata

nel dominio della frequenza tramite la matrice DFT T seguendo il

procedimento già illustrato nella 4.11 e che viene qui sotto riportato:

HHH

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=

××

H

rJ

NH

rJ

1 T0C

T0C

C K (4.29)

dove nC con N,,2,1n K= è una sottomatrice della matrice dei vincoli

nel dominio del tempo C che ne racchiude tutte le colonne ma solo le

righe comprese tra la ( )[ ]1J1n +⋅− -esima e la Jn ⋅ -esima.

8. Si costruisce un vettore colonna (di dimensione 1r × ) che costituisce il

vettore risposta f dell’equazione 4.10. Esso infatti presenta come primo

elemento la risposta del beamformer al segnale desiderato (tipicamente

viene fissata ad 1). Gli altri elementi del vettore sono le risposte ai segnali

interferenti considerati e vengono settati a 0, in quanto si vuole forzare a

zero il guadagno verso le direzioni indesiderate.

9. Si procede all’inizializzazione dell’algoritmo eseguendo le stesse

operazioni matriciali riportate in tabella 4.1.

10. Si eseguono le iterazioni, ciascuna per ogni blocco di J campioni

d’ingresso, schematizzate sempre in tabella 4.1.

Page 171: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

159

Importante è capire come formare la matrice )kJ(Y ad ogni iterazione k

( ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −= 1

Jt

,,2,1k ossK ) dell’algoritmo. Si consideri la generica iterazione

k-esima e si prendano i due seguenti vettori:

[ ] Tnnn )1JkJ(x)1kJ(x)kJ(x)kJ( +−−= Knx

[ ] Tnnn ))1J(JkJ(x)1JkJ(x)JkJ(x)JkJ( −−+−++=+ Knx

(4.30)

con N,,2,1n K= , che contengono elementi appartenenti alla matrice dei

dati grezzi. Se si effettua la seguente moltiplicazione matriciale:

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡ +⋅

)kJ()JkJ(

n

n

xx

T (4.31)

ed il risultato, un vettore colonna di dimensione 1J2 × , lo si utilizzi

come diagonale principale di una matrice diagonale J2J2 × , si ottiene la

matrice )kJ(nY . Ripetendo lo stesso procedimento appena visto per

N,,2,1n K= e disponendo le matrici )kJ(nY , di volta in volta calcolate,

una di fianco all’altra, si trova la matrice )kJ(Y , cioè:

[ ])kJ()kJ()kJ()kJ( N21 YYYY K= (4.32)

Dopo la costruzione di questa matrice e il calcolo del vettore errore nel

dominio della frequenza:

)kJ()kJ()kJ( wYGe = (4.33)

Page 172: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

160

dove G si ricava a partire dalla formula sotto la 4.7, si può esprimere

finalmente l’equazione iterativa di aggiornamento del vettore dei

coefficienti:

[ ])kJ()kJ()kJ()JkJ( Hq eYwPww µ−+=+ (4.34)

11. Analogamente al caso dell’algoritmo MVDR (cap. 3), il beampattern

complessivo viene definito dalla relazione:

2H )kJ( D_2wnbeampatter LCMV-FD = (4.35)

Esso, prima di essere impiegato per graficare l’andamento del guadagno

su tutto l’asse spaziale, viene normalizzato rispetto al suo valore

massimo.

Page 173: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

161

4.5 Esempi numerici mediante MATLAB

Giunti a questo punto, non rimane che sottoporre l’algoritmo FD-LCMV ad

alcune prove di simulazione, per stabilire se quest’ultimo è effettivamente idoneo

al beamforming adattativo in ambito radioastronomico.

Proprio come è stato fatto nel capitolo 3, a proposito dell’algoritmo MVDR,

anche nel presente paragrafo verranno esaminati alcuni esempi ritenuti

significativi, proponendo costantemente il confronto con l’algoritmo già studiato.

Dapprima saranno considerate situazioni con sorgenti di interferenza posizionate

in punti fissi dello spazio, successivamente verranno casi più complicati con

interferenti sia fissi che mobili.

4.5.1 Caso statico Per questo tipo di simulazioni verranno prese in considerazione solo sorgenti di

RFI in posizioni fissate dello spazio.

4.5.1.1 Esempio 1

Si cominci con il considerare la situazione schematizzata in tabella 4.2.

La configurazione di riferimento è ancora quella che veniva presa in esame nei

primi esempi del capitolo 3, caratterizzata cioè da 8 sensori ideali, equispaziati di

λ/2 alla frequenza Mf . L’implementazione di questo algoritmo comporta

l’introduzione di due nuovi parametri: la lunghezza temporale delle linee di

ritardo J ( [sec] ) e la dimensione del passo di aggiornamento dei coefficienti µ .

Per quanto concerne il primo, è stato scelto il valore 10 in maniera arbitraria: ci si

è comunque orientati su una quantità che si mantenesse entro lo stesso ordine di

grandezza di quelle utilizzate nelle prove sperimentali di [17]; si tenga presente

che valori di ordini di grandezza superiori comportano un carico, a livello

computazionale, più elevato.

Riguardo al secondo parametro, µ , si è mantenuto lo stesso valore indicato in

[17], in cui, a seguito di varie prove, è stato determinato empiricamente.

Page 174: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

162

Tab. 4.2: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 1

Con i tre segnali interferenti di tab. 4.2, il beamformer FD-LCMV produce il

seguente andamento del guadagno (fig. 4.2).

Fig. 4.2: beampatterns ottenuti attraverso gli algoritmi FD-LCMV e MVDR per l’Esempio 1

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Lunghezza linee di ritardo [sec] 10 Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI -50° -10° +50° Ampiezze RFI 2 4 3 Frequenze RFI 0.10 cf 0.25 cf 0.30 cf Passo di aggiornamento coefficienti 6109.5 −⋅ Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 175: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

163

Dal confronto tra i beamformers FD-LCMV e MVDR, è evidente come il

beampattern si mantenga pressoché immutato, seppur con qualche lieve

differenza nei lobi secondari; si noti come, nel caso FD-LCMV, gli zeri abbiano

una profondità maggiore, dovuta all’imposizione dei vincoli lineari sul vettore dei

coefficienti per cancellare i segnali interferenti.

Si proceda ora all’aggiunta progressiva di due RFI: la prima è contraddistinta da

°−= 304θ , ampiezza 5 [V] e frequenza 0.40 cf ; la seconda invece da °+= 405θ ,

ampiezza 4 [V] e frequenza 0.20 cf .

Mano a mano che vengono introdotte queste due interferenze, si ottengono i

risultati di fig. 4.3 (a fianco di ciascun beampattern viene mostrato

l’ingrandimento del relativo beam).

Fig. 4.3: beampatterns, e ingrandimenti dei relativi beams, ottenuti aggiungendo in sequenza 2 RFI

con: 1) °−= 304θ , amp. 5[V] e freq. 0.40 cf ; 2) °+= 405θ , amp. 4[V] e freq. 0.20 cf per l’Es 1

Page 176: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

164

In entrambi i casi, i beampatterns, prodotti dai due algoritmi, presentano

andamenti molto vicini fra loro in prossimità del puntamento; si osserva invece un

discreto scostamento in corrispondenza dei lobi alle due estremità dei grafici.

Continuando ad aggiungere altre due interferenze (sempre in sequenza),

caratterizzate da: °+= 806θ , ampiezza 2 [V], frequenza 0.35 cf e °= 07θ ,

ampiezza 1 [V], frequenza 0.15 cf , i beampatterns risultanti (da FD-LCMV e

MVDR), per tutte e due le situazioni considerate, assumono un aspetto

praticamente identico fra loro su tutto l’asse spaziale (fig. 4.4).

Fig. 4.4: beampatterns, e ingrandimenti dei relativi beams, ottenuti aggiungendo in sequenza altre

due RFI con: 1) °+= 806θ , ampiezza 2 [V], frequenza 0.35 cf ; 2) °= 07θ , ampiezza 1 [V],

frequenza 0.15 cf , oltre a quelle già aggiunte in fig. 4.3, per l’Es 1

Page 177: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

165

4.5.1.2 Esempio 2

Proprio come è stato fatto nell’Esempio 2 del capitolo 3 (par. 3.5.1.2), si vuole

controllare come viene distorto il lobo principale a causa di una RFI che proviene

da una DOA vicina a quella del segnale desiderato. Inizialmente vengono

considerate 4 interferenze che arrivano tutte da direzioni esterne all’apertura

BWFN del beam, come riportato in tab. 4.3.

Tab. 4.3: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 2

Dai grafici ottenuti (fig. 4.5), si rileva una notevole vicinanza tra i beampatterns

dei due algoritmi, sebbene il beamformer FD-LCMV presenti una maggiore

capacità nel cancellare le interferenze, per il motivo già menzionato.

Fig. 4.5: beampatterns (e ingrandimento dei relativi beams) ottenuti con i 2 algoritmi per l’Es. 2

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Lunghezza linee di ritardo [sec] 10 Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI -50° -10° +50° +5° Ampiezze RFI 2 4 3 5 Frequenze RFI 0.10 cf 0.25 cf 0.30 cf 0.40 cf Passo di aggiornamento coefficienti 6109.5 −⋅ Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Parametro Valore

Page 178: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

166

Successivamente, la quarta interferenza, indicata in tab. 4.3, viene sostituita prima

da una con DOA °+= 104θ (ha comunque stessa ampiezza e frequenza) e poi da

un’altra con DOA °+= 154θ (i risultati conseguiti a seguito di queste due

sostituzioni sono presenti in fig. 4.6).

Fig. 4.6: beampatterns, e ingrandimenti dei relativi beams, ottenuti sostituendo la quarta RFI di

tab. 4.3 con, dapprima, una avente °+= 104θ e poi con un’altra avente °+= 154θ , per l’Es 2

Innanzitutto, analogamente a quanto accadeva nel caso dell’algoritmo MVDR, si

riscontra, anche per il beamformer FD-LCMV, uno spostamento laterale del beam

di pari misura. Inoltre si può rimarcare, nel beampattern dell’algoritmo FD-

LCMV, un, seppur molto leggero, abbassamento dei lobi laterali in certi tratti

dell’asse spaziale, rispetto a quelli dell’algoritmo MVDR.

Page 179: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

167

I prossimi 3 esempi, che verranno presi in esame, ricalcano lo stesso modus

operandi seguito nel capitolo 3, rispettivamente negli esempi 5, 6, 7, per

analizzare e caratterizzare il comportamento del beamformer FD-LCMV nel

contesto specifico del sistema BEST-1, in varie situazioni particolari.

4.5.1.3 Esempio 3

I parametri di simulazione sono indicati in tabella 4.4.

Tab. 4.4: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 3

In fig. 4.7 è riportato il confronto tra i beampattern complessivi ottenuti tramite

l’algoritmo FD-LCMV e l’MVDR.

In generale non si evidenziano particolari differenze nei due casi; l’ingrandimento

presente in figura 4.7 mostra un livello del beam leggermente più alto per quel

che riguarda l’MVDR.

Parametro Valore

Numero antenne 4 Tipo antenna array di 16 dipoli equispaziati di λ/2 Spaziatura antenne 8λ @ Mf Lunghezza linee di ritardo [sec] 10 Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI +19° -50° +30° Ampiezze RFI 2 4 6 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.15 cf Passo di aggiornamento coefficienti 6109.5 −⋅ Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.01

Page 180: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

168

Fig. 4.7: beampatterns (e ingrandimento dei relativi beams) ottenuti con i 2 algoritmi per l’Es. 3

4.5.1.4 Esempio 4

Si consideri il caso schematizzato in tab. 4.5.

Tab. 4.5: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 4

In questo esempio l’interferenza che risulta provenire da °+= 242θ , proprio in

corrispondenza di un lobo di grating del fattore di gruppo dell’array, causa una

forte distorsione del lobo principale (di ugual misura) nei beampattern di entrambi

Parametro Valore

Numero antenne 4 Tipo antenna array di 16 dipoli equispaziati di λ/2 Spaziatura antenne 8λ @ Mf Lunghezza linee di ritardo [sec] 10 Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI +12° +24° Ampiezze RFI 2 4 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf Passo di aggiornamento coefficienti 6109.5 −⋅ Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.01

Page 181: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

169

i metodi esaminati: per essi è impossibile un’osservazione radioastronomica

corretta mediante sole tecniche di filtraggio spaziale.

4.5.1.5 Esempio 5

Si vuol mostrare ora come rispondono i due algoritmi adattativi, in una situazione

con tre segnali interferenti (ciascuno dei quali proviene da una DOA esterna ai

lobi di grating del fattore di gruppo dell’array) e ancora nella stessa

configurazione propria dell’array BEST-1 (tab. 4.6).

Tab. 4.6: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 5

Parametro Valore

Numero antenne 4 Tipo antenna array di 16 dipoli equispaziati di λ/2 Spaziatura antenne 8λ @ Mf Lunghezza linee di ritardo [sec] 10 Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI +6° +28° -2° Ampiezze RFI 2 4 6 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.15 cf Passo di aggiornamento coefficienti 6109.5 −⋅ Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.01

Page 182: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

170

Come si può verificare dalla figura 4.8, la presenza di 3 RFI causa un piccolo

spostamento (≈ 0.2°) del main lobe nei beampattern di entrambi gli algoritmi.

Fig. 4.8: beampatterns (e ingrandimento dei relativi beams) ottenuti con i 2 algoritmi per l’Es. 5

Cambiando la seconda interferenza con una dotata di DOA °= 272θ (al posto di

°= 282θ ) e mantenendo gli stessi valori degli altri parametri elencati in tab. 4.6,

ciò che si ottiene è presentato in fig. 4.9.

Fig. 4.9: beampatterns (e ingrandimento dei relativi beams) ottenuti con i 2 algoritmi per

l’Esempio 5, dopo la sostituzione della seconda interferenza con una avente °= 272θ

La variazione di un solo grado nella DOA di un interferente è causa di

un’ulteriore traslazione del beam (≈ 0.3°), sia per quanto riguarda il metodo FD-

LCMV che per l’MVDR..

Page 183: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

171

4.5.2 Caso dinamico In questa categoria di simulazioni verranno considerate radiointerferenze sia fisse

che in movimento.

4.5.2.1 Esempio 6

Questa prova fa riferimento allo scenario descritto in tab. 4.7.

Tab. 4.7: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 6

Con i parametri riportati in tab. 4.7, è stata avviata una simulazione che però non

ha dato i risultati attesi, in quanto ci si è accorti che l’algoritmo non era in grado

di convergere alla soluzione statisticamente ottima. Infatti, nell’arco dell’intera

simulazione, l’interferente in movimento non veniva dinamicamente cancellato,

dal momento che i nulli di ricezione rimanevano nelle stesse posizioni dal primo

all’ultimo istante della prova.

Più precisamente, ci si è accorti che, fin dalle prime iterazioni, il termine additivo

di aggiornamento dei coefficienti (si veda la formula 4.34) assumeva valori molto

prossimi a 0, rendendo di fatto inutile il calcolo ciclico dei coefficienti, i quali

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Lunghezza linee di ritardo [sec] 10 Tempo di osservazione [campioni] 100000 Campioni usati per R̂ 2000 DOA puntamento +30° DOA RFI -80° -60° [-50° 9.6667°] Ampiezze RFI 2 4 3 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf Passo di aggiornamento coefficienti 6109.5 −⋅ Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 184: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 4 Algoritmo LCMV adattativo nel dominio della frequenza

172

rimanevano pressoché inalterati al termine di ogni iterazione. Purtroppo a nulla

sono valsi notevoli sforzi profusi per correggere questo problema.

Quindi ci si è trovati costretti a scartare questo algoritmo e a considerarlo come

non idoneo per il beamforming adattativo in ambito radioastronomico.

Page 185: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

CAPITOLO 5

ANALISI AGLI AUTOVALORI ED

AUTOVETTORI DELLA MATRICE DI

COVARIANZA

L’obiettivo principale di questo capitolo è quello di stabilire se ed, eventualmente,

in quale misura gli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza R

possono essere sfruttati nel contesto del filtraggio spaziale.

La ragione che ha spinto a portare avanti questo tipo di indagine è nata dal

desiderio di sapere se esistono le condizioni per l’applicazione della trasformata

KLT (Karhunen-Loève Transform) anche al caso particolare del beamforming.

Sulla KLT, assieme al legame tra quest’ultima ed autovalori, autovettori, si

discuterà ampiamente nel capitolo seguente; inoltre, si precisa che (anche di

questo se ne parlerà diffusamente nel capitolo 6) attualmente la KLT viene

impiegata con ottimi risultati nel campo del filtraggio spettrale del segnale (anche

se ancora oggi è argomento di studio).

Dopo aver brevemente introdotto, dal punto di vista teorico, alcune proprietà della

matrice di covarianza, vengono riportate alcune prove significative che

testimoniano quanto sia importante analizzare gli autovalori ed autovettori di

quest’ultima. In seguito vengono proposti due metodi adattativi di beamforming

Page 186: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

174

che si basano sulle informazioni fornite dall’analisi agli autovalori ed autovettori

della matrice di covarianza.

5.1 Autostruttura della matrice di covarianza

In questo paragrafo viene spiegato il significato degli autovalori ed autovettori

della matrice di covarianza R.

Gli elementi jir , (con N,,2,1j,i K= ) della matrice di covarianza rappresentano

le uscite dei correlatori per le coppie di antenne i e j. Dal momento che ∗= i,jj,i rr ,

la matrice è Hermitiana. I valori della diagonale principale rappresentano le uscite

total power. Per lunghi periodi di osservazione R deve essere determinata

ripetutamente mediando i valori dei dati ricevuti su intervalli di tempo

sufficientemente brevi da pensare che le DOA delle interferenze non abbiano

subito variazioni notevoli (si ricordi la formula 3.14); nella pratica questo

intervallo di tempo ha un valore compreso tra pochi millisecondi e pochi secondi.

La matrice R può essere scomposta, tramite SVD (Singular Value

Decomposition), nel seguente modo ([13], [22]):

HUUR Λ= (5.1)

dove U è una matrice delle stesse dimensioni di R ( NN × ), le cui colonne sono

gli autovettori di R, mentre Λ è una matrice diagonale che ne contiene gli

autovalori, disposti in ordine decrescente. Si assume che, su intervalli di tempo

così brevi, i segnali astronomici all’uscita dei correlatori siano piccoli in rapporto

al livello RMS (Root Mean Square, valore quadratico medio) di rumore. Pertanto,

gli autovettori corrispondenti agli autovalori maggiori del livello RMS di rumore

rappresentano le interferenze. In teoria si potrebbe anche fare distinzione tra

interferenze e segnali astronomici mediante l’angolo di incidenza: ogni

autovettore, infatti, rappresenta una componente da una distinta direzione

spaziale.

Page 187: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

175

E’ chiaro che questo criterio, che stabilisce la corrispondenza tra autovettori e

interferenze o segnale astronomico (rumore), è valido fintanto che il numero delle

sorgenti interferenti rimane inferiore ad N.

Poiché R è Hermitiana, gli autovettori sono ortogonali tra loro e possono essere

estratti, formando in tal modo degli zeri nelle direzioni corrispondenti alle

sorgenti di segnale. Eliminando le colonne di U corrispondenti agli autovalori

maggiori del livello RMS del rumore, è possibile costruire una matrice NU . Le

colonne della matrice HNNUU descrivono il sottospazio occupato dal rumore e dai

segnali astronomici. Si può così ricavare una versione filtrata della matrice di

covarianza:

HNN

HNNN UURUUR = (5.2)

dalla quale sono state estratte le interferenze. Le stime di NR , ottenute su brevi

intervalli di tempo, includono i dati liberi dalle interferenze, dai quali può essere

ricavata l’immagine astronomica (imaging). Dal momento che, però, ogni

elemento di NR viene ottenuto da una combinazione lineare degli elementi di R,

non c’è più una semplice relazione di trasformata di Fourier tra NR e l’immagine

richiesta. Tuttavia i coefficienti della combinazione lineare sono noti e, pertanto,

sono ancora possibili delle procedure di imaging. Per ulteriori approfondimenti a

riguardo, si consultino i testi indicati in bibliografia ([18], [19], [20], [21]).

5.2 Prove su autovalori ed autovettori

In precedenza si è accennato al fatto che esiste una stretta relazione tra autovalori,

autovettori e le componenti del segnale ricevuto dovute a sorgenti dislocate in

punti diversi dello spazio (interferenze, rumore di sistema, sorgenti

astronomiche). Questo è possibile verificarlo direttamente attraverso qualche

semplice simulazione con MATLAB.

Page 188: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

176

5.2.1 Esempio 1

La situazione per l’Esempio 1 viene riassunta in tabella 5.1.

Tab. 5.1: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 1

L’array si compone di 8 sensori ideali (omnidirezionali) distanziati fra loro di λ/2

alla frequenza Mf . L’osservazione dura complessivamente 1000 campioni;

inoltre R viene stimata, attraverso una media temporale sui dati ricevuti (vedi cap.

3, eq. 3.14), utilizzando finestre (temporali) di 200 campioni.

Una volta che è stata calcolata la matrice R̂ , quest’ultima viene sottoposta ad una

decomposizione di tipo SVD ([22]), tramite cui si è in grado di risalire ai suoi

autovalori ed autovettori.

In figura 5.1 viene rappresentato l’andamento degli autovalori di R̂ , i cui valori

esatti, per maggior chiarezza, sono elencati in tabella 5.2.

Tab. 5.2: valori corrispondenti agli autovalori della matrice R̂ per l’Esempio 1

Come anticipato prima, gli autovalori, che si trovano lungo la diagonale

principale della matrice (diagonale) Λ , sono ordinati in modo decrescente.

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI 0° -20° +40° -40° Ampiezze RFI 2 5 3 4 Frequenze RFI 0.10 cf 0.25 cf 0.30 cf 0.40 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Autovalore n°

Valore corrispond.

1 2 3 4 5 6 7 8

42154 24076 14456 5707.6 0.26076 0.2211 0.21241 0.19814

Page 189: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

177

Fig. 5.1: andamento degli autovalori di R̂ per l’Esempio 1

Dalla figura di sopra appare evidente che vi siano tanti autovalori dominanti (di

valore molto superiore a quello degli altri) quante sono le RFI presenti, cioè 4.

Questo risultato assume ancor più rilevanza, se si osservano anche gli andamenti

degli autovettori corrispondenti ai primi 4 autovalori (dominanti) (figg. 5.2, 5.3,

5.4, 5.5).

Fig. 5.2: andamento del 1° autovettore di R̂ per l’Esempio 1

Page 190: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

178

Fig. 5.3: andamento del 2° autovettore di R̂ per l’Esempio 1

Fig. 5.4: andamento del 3° autovettore di R̂ per l’Esempio 1

Page 191: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

179

Fig. 5.5: andamento del 4° autovettore di R̂ per l’Esempio 1

Ogni autovettore dominante, proiettato sull’asse spaziale, presenta un profilo che

assume il proprio massimo assoluto in corrispondenza di una direzione angolare

ben precisa, quella di provenienza di una delle RFI.

In particolare, ad autovalori maggiori sono associati autovettori con massimo

assoluto in corrispondenza dell’angolo di arrivo di radiointerferenze tanto più

intense. In altre parole, un autovalore dominante è tanto maggiore quanto più

intensa è l’RFI legata ad esso. Grazie alla perfetta corrispondenza autovalore

(autovettore) dominante ↔ RFI, dall’analisi agli autovalori (autovettori) della

matrice R̂ , è possibile stimare (in generale senza ambiguità) la direzione di

provenienza delle RFI stesse.

La fig. 5.2 mostra l’andamento del primo autovettore che, essendo associato

all’autovalore maggiore, è anche quello che punta alla DOA dell’RFI più intensa

( °−= 202θ ). Un risultato analogo si ha anche per il 2°, il 3° e il 4° autovettore

(figg. 5.3, 5.4, 5.5), che “puntano”, rispettivamente, a °−= 404θ , °+= 403θ e

°= 01θ .

Page 192: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

180

Gli autovettori rimanenti (fig. 5.6) non descrivono lo spazio occupato dalle RFI,

ma dal rumore astronomico e di sistema: ad essi non viene attribuito un

significato particolare in termini di RFI.

Fig. 5.6: andamento del: 5°, 6°, 7° e 8° autovettore della matrice R̂ per l’Es. 1

5.2.2 Esempio 2

Come secondo esempio, viene riproposto il caso di 4 sensori ideali equispaziati di

8λ alla frequenza Mf : di fatto si è nuovamente di fronte al noto problema

dell’equivocazione spaziale. Con i parametri di simulazione presentati in tabella

5.3, si ottengono i seguenti autovalori di R̂ (tab. 5.4 e fig. 5.7).

Tab. 5.4: valori corrispondenti agli autovalori della matrice R̂ per l’Esempio 2

1 2 3 4 13004 2997.4 0.23186 0.20695

Autovalore n° Valore corrispondente

Page 193: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

181

Tab. 5.3: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 2

Fig. 5.7: andamento degli autovalori di R̂ per l’Esempio 2

Ancora una volta si registrano tanti autovalori dominanti quante sono le RFI

presenti nello scenario considerato, cioè 2.

Un’importante osservazione può essere fatta guardando gli andamenti degli

autovettori corrispondenti agli autovalori dominanti (si veda la fig. 5.8, in cui, a

Numero sensori 4 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori 8λ @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI -33° +14° Ampiezze RFI 2 4 Frequenze RFI 0.10 cf 0.25 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Parametro Valore

Page 194: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

182

fianco della rappresentazione di ciascun autovettore, viene riportato il relativo

ingrandimento in prossimità della DOA dell’interferenza associata).

Fig. 5.8: andamento dei primi 2 autovettori (dominanti) della matrice R̂ e loro ingrandimento

nell’intorno di °+= 142θ e °−= 331θ (DOA delle RFI ad essi associati), per l’Esempio 2

Quando la spaziatura tra i sensori è maggiore di λ/2, l’equivocazione spaziale si

rispecchia anche negli autovettori: ad uno stesso autovettore possono essere

associate più DOA distinte. In altri termini, si ha equivocazione (ambiguità) nella

determinazione della DOA delle RFI. Nel caso preso in esame, il primo

autovettore risulta puntare in direzione della RFI di maggiore intensità

( °+= 142θ ), ma anche in tutte le direzioni equivocate; questo vale, in maniera del

tutto analoga, anche per il secondo autovettore.

Page 195: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

183

5.2.3 Esempio 3

Quale ultimo esempio, si consideri quello che fa riferimento alla ben nota

configurazione caratteristica del sistema BEST-1 (tabella 5.4).

Tab. 5.4: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 3

La terza radiointerferenza, con direzione di arrivo °+= 303θ , viene cancellata

automaticamente, grazie ad uno zero naturale del beampattern della singola

antenna dell’array (fig. a.6 in appendice A; se ne aveva già parlato nell’Es. 5 del

cap. 3).

Di questo fatto ci si può rendere conto anche mediante una analisi agli autovalori

ed autovettori della matrice di covarianza. Infatti gli autovalori dominanti non

risultano essere 3, bensì due, come suggerito dalla tabella 5.5 e dalla figura 5.9.

Tab. 5.5: valori corrispondenti agli autovalori della matrice R̂ per l’Esempio 3

L’autovettore corrispondente all’autovalore maggiore è legato strettamente

all’RFI che si dimostra essere di intensità maggiore, anche in relazione

all’andamento del guadagno della singola antenna dell’array. Nel caso in esame,

per esempio, l’interferenza di maggiore intensità non è più la seconda ma la

Parametro Valore

Numero antenne 4 Tipo antenna array di 16 dipoli equispaziati di λ/2 Spaziatura antenne 8λ @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +2° DOA RFI +10° -23° +30° Ampiezze RFI 2 4 6 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.15 cf Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.01

Autovalore n° Valore corrispondente

1 2 3 4 145.46 17.791 0.31667 0.27267

Page 196: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

184

prima, la quale gode maggiormente del guadagno offerto dall’antenna in direzione

°+= 101θ .

Fig. 5.9: andamento degli autovalori di R̂ per l’Esempio 3

Tutto ciò trova conferma in fig. 5.10, dove il primo autovettore punta in direzione

°+= 101θ e nelle corrispondenti DOA equivoche, il secondo in direzione

°−= 232θ e nelle corrispondenti DOA equivoche.

Fig. 5.10: andamento dei primi 2 autovettori (dominanti) della matrice R̂ e loro ingrandimento

nell’intorno di, rispett., °+= 101θ e °−= 232θ (DOA delle RFI ad essi associati), per l’Es. 3

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Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

185

Il terzo autovettore, ad ulteriore dimostrazione che la 3ª RFI è stata abbattuta, non

risulta puntare verso °+= 303θ (fig. 5.11).

Fig. 5.11: andamento del terzo autovettore della matrice R̂ e suo ingrandimento nell’intorno di

°+= 303θ (DOA della RFI ad esso associata), per l’Esempio 3

5.3 Null steering beamforming adattativo

I risultati ottenuti mediante le prove di simulazione descritte nel paragrafo

precedente hanno messo in evidenza come, da una analisi agli autovalori ed

autovettori della matrice di covarianza, si possano stimare, ad eccezione di alcuni

casi specifici, le DOA delle RFI con buona precisione.

Più precisamente, si è visto che ciò è possibile grazie alla stretta relazione che

lega gli autovalori (autovettori) dominanti con le RFI: gli autovettori dominanti

contengono ciascuno al proprio interno l’informazione sulla direzione di arrivo di

una RFI. L’esatta corrispondenza tra autovettore dominante e DOA della

radiointerferenza viene stabilita, come si è visto, dall’autovalore (dominante)

corrispondente.

Da questa constatazione si è pensato di progettare un beamformer che, a partire da

una analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza, sfruttasse gli

autovettori dominanti per imporre vincoli sulle DOA delle RFI.

Usando altri termini, l’idea è quella di trattare gli autovettori dominanti alla stessa

stregua degli steering vector relativi alle RFI, potendo in questo modo generare

vincoli di annullamento della risposta del beamformer in corrispondenza delle

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Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

186

direzioni di arrivo delle interferenze stesse; questi vincoli vanno poi associati a

quello legato alla DOA del segnale utile, per assicurare sempre il guadagno

massimo nella direzione voluta.

Questo tipo di beamformer è di tipo blind, in quanto non richiede alcuna

informazione a priori circa la provenienza delle RFI.

L’adattività dell’algoritmo è garantita dal fatto che la matrice di covarianza viene

periodicamente stimata (dalla matrice dei dati grezzi) e successivamente

sottoposta all’analisi agli autovalori ed autovettori: questo permette di tenere

costantemente sotto controllo la situazione, per quel che riguarda le RFI presenti,

e quindi di inseguire eventuali interferenze che si spostano.

5.3.1 Implementazione Sinteticamente, i passi fondamentali necessari all’implementazione dell’algoritmo

su calcolatore sono i seguenti:

1. si eseguono esattamente nello stesso modo i primi 5 step riportati nel cap.

3 (par. 3.3) a proposito dell’algoritmo MVDR adattativi.

2. Occorre definire un valore di soglia opportuno per identificare

esattamente quali sono gli autovalori relativi alle RFI; questo valore serve

quindi per separare gli autovalori dominanti dagli altri.

Negli esempi che verranno mostrati successivamente la soglia sarà

determinata empiricamente.

Impostando un’operazione di confronto tra ciascun autovalore e questa

soglia, vengono considerati come dominanti solo quegli autovalori che si

dimostrano essere maggiori di essa.

3. Una volta stabiliti quali sono gli autovalori legati alle RFI, cioè

dominanti, si deve costruire una matrice C (matrice dei vincoli) così

strutturata: la prima colonna è costituita dallo steering vector associato

alla direzione di arrivo del segnale utile )( 0θdd0 = , le altre colonne sono

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Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

187

invece formate dagli autovettori corrispondenti a quegli autovalori che

sono stati precedentemente associati alle RFI, a seguito del confronto con

la soglia.

4. Si deve costruire un vettore colonna f (vettore risposta) avente come 1

primo elemento e tanti 0 quanti sono gli autovettori legati alle

interferenze.

5. Vengono calcolati i coefficienti w del beamformer:

( ) fCCCw H ⋅⋅=−1 (5.3)

6. Infine viene calcolato il beampattern complessivo secondo la già nota

relazione:

2

Dwnbeampatter HSTEERING-NULL = (5.4)

Dopo averlo normalizzato rispetto al suo valore massimo, è possibile

visualizzare l’andamento del guadagno su tutto l’asse spaziale.

5.3.2 Esempio di simulazione in ambiente statico In questa parte viene presentato un esempio che dimostra quali risultati si possono

ottenere in ambiente statico con l’utilizzo di questo algoritmo.

Si prenda in esame la situazione riassunta in tab. 5.6.

Per il caso considerato è stato assunto un valore di soglia pari a 1, che, come già

detto, è stato determinato empiricamente: infatti, a seguito di varie prove, tale

valore si è dimostrato utile ai fini preposti.

Page 200: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

188

Tab. 5.6: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 5.3.2

In fig. 5.12 sono mostrati i risultati che si ottengono sia mediante Null Steering

adattativo che con MVDR adattativo, adottando in entrambi i casi i parametri di

simulazione di tab. 5.6.

Fig. 5.12: confronto tra i beampattern ottenuti mediante Null Steering adattativo e MVDR

adattativo per l’Esempio 5.3.2

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI -10° -50° +50° +60° Ampiezze RFI 2 4 3 5 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf 0.10 cf Soglia 1 Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 201: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

189

Osservando la fig. 5.12 non si rilevano particolari differenze nei profili dei due

beampattern: si fa notare solamente come, per il caso MVDR, i lobi secondari

siano leggermente più alti, specie alle due estremità laterali del grafico e fra gli

angoli 50° - 60°; mentre si osserva un lievissimo allargamento del lobo principale

per quanto riguarda il Null Steering adattativo.

Se a quest’ultimo algoritmo si applica, peraltro senza grandi difficoltà,

un’operazione di “finestramento” dei coefficienti (per es. secondo l’algoritmo di

Hanning), ciò che si riesce ad avere è raffigurato qui di seguito (fig. 5.13).

Fig. 5.13: confronto tra i beampattern ottenuti mediante Null Steering adattativo, al quale è stata

applicata un’operazione di finestramento dei coefficienti secondo l’algoritmo di Hanning, e

MVDR adattativo per l’Esempio 5.3.2

Come era lecito aspettarsi, il finestramento causa un considerevole allargamento

del lobo principale nel beampattern del Null Steering adattativo, ma nel contempo

consente di abbassare notevolmente i lobi secondari, in certi casi anche di oltre 20

dB (es. -20°).

Page 202: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

190

5.3.3 Esempio di simulazione in ambiente dinamico Si cambi lo scenario di applicazione e si passi ad un ambiente di funzionamento

dinamico, che vede dunque la presenza di interferenti in movimento (tab. 5.7).

Tab. 5.7: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 5.3.3

La situazione presa in considerazione è la stessa di quella presentata nell’Esempio

8 del cap. 3 (par. 3.5.2.1). Va sottolineato il fatto che, per il caso qui analizzato, è

stato impiegato un valore di soglia pari a 10; esso è stato ricavato ancora una volta

per via empirica in seguito a varie prove di simulazione.

Si riportano in fig. 5.14 i confronti dei beampattern relativi agli algoritmi Null

Steering adattativo ed MVDR adattativo per alcune iterazioni significative

eseguite dai sopra citati metodi.

E’ stato effettuato anche un semplice confronto fra le tempistiche di calcolo

richieste dai due algoritmi comparati nelle condizioni espresse in tab. 5.7.

I tempi valutati (fanno riferimento ad una CPU Intel Pentium 4, 3.00 GHz, 1.00

GB di RAM) sono risultati essere molto vicini fra loro (tab. 5.8):

NULL STEERING ADATTATIVO MVDR ADATTATIVO

8.6094 sec 8.5781 sec

Tab. 5.8: confronto dei tempi di calcolo richiesti da Null St. adatt. ed MVDR adatt. per l’Es. 5.3.3

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 100000 Campioni usati per R̂ 2000 DOA puntamento +30° DOA RFI -80° -60° [-50° 9.6667°] Ampiezze RFI 2 4 3 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf Soglia 10 Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Parametro Valore

Page 203: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

191

Fig. 5.14: sequenza dei confronti fra i beampattern ottenuti mediante Null Steering adattativo ed

MVDR adattativo per l’Esempio 5.3.3

Dalla fig. 5.14 si vede come non vi siano differenze sostanziali tra i beampattern

ottenuti con i due algoritmi confrontati: entrambi i beamformer inseguono molto

bene l’interferenza che si sposta nel tempo, posizionando un nullo di ricezione in

corrispondenza della sua direzione di arrivo.

Page 204: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

192

5.4 LCMV beamforming adattativo

Lo stesso principio che regola il funzionamento del beamformer descritto

precedentemente può essere applicato per realizzare un beamformer di tipo

LCMV adattativo. Come prima infatti, partendo dalla corrispondenza biunivoca

tra autovalori (autovettori) dominanti ↔ RFI, si può costruire una matrice dei

vincoli ed un vettore risposta per forzare una risposta desiderata in corrispondenza

di angoli di arrivo ben precisi. A differenza del null steering beamforming, questo

algoritmo sceglie il vettore dei coefficienti non solo sulla base di vincoli lineari,

ma anche effettuando la minimizzazione del valore atteso della potenza (o

varianza) in uscita.

Anche questo, come il precedente, è un beamformer di tipo blind, la cui adattività

è raggiunta attraverso il calcolo ciclico di R̂ .

Per la sua implementazione bisogna seguire gli stessi passi indicati nel par. 5.3.1

(riguardo al null steering adattativo): cambia, come già detto, solamente il criterio

per il calcolo dei coefficienti ottimi, cioè il passo n° 5:

5. vengono calcolati i coefficienti w del beamformer:

fCRC

CRw1-H

-1

⋅= ˆˆ

(5.5)

Si ritrova il problema dell’inversione della matrice -1R̂ , che si era già

incontrato nel cap. 3 per l’algoritmo MVDR. Anche in questa sede si

consiglia di non ricorrere all’inversione diretta della matrice, R̂ ma di

utilizzare la decomposizione di Cholesky, descritta in [13].

Page 205: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

193

5.4.1 Esempio di simulazione in ambiente statico I parametri di simulazione sono riportati in tab. 5.9.

Tab. 5.9: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 5.4.1

Con tali valori dei parametri è stata eseguita una simulazione che confrontasse gli

andamenti dei beampattern relativi agli algoritmi LCMV adattativo ed MVDR

adattativo. Il risultato conseguito è riportato in fig. 5.15.

Fig. 5.15: confronto tra i beampattern ottenuti mediante LCMV adattativo ed MVDR adattativo

per l’Esempio 5.4.1

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI -10° -50° +50° +60° Ampiezze RFI 2 4 3 5 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf 0.10 cf Soglia 1 Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 206: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

194

L’esito della simulazione, apparentemente assurdo, in realtà non deve

sorprendere: infatti il principio di fondo che sta alla base del funzionamento dei

due algoritmi in esame è lo stesso. Precisamente, entrambi si avvalgono di

un’operazione di minimizzazione della varianza del segnale in uscita; l’unica

differenza risiede nel fatto che l’algoritmo LCMV sfrutta anche vincoli lineari sul

vettore dei coefficienti, per annullare la risposta in corrispondenza delle DOA

delle RFI. Questo evidentemente non porta a differenze osservabili dal grafico

riportato, ma solo un ingrandimento dello stesso può evidenziarle (fig. 5.16).

Fig. 5.16: ingrandimento della fig. 5.15 in corrispondenza della DOA del segnale desiderato

°+= 200θ per l’Esempio 5.4.1

Anche per quanto riguarda questo algoritmo si possono “finestrare” i coefficienti

(utilizzando ancora l’algoritmo di Hanning), ottenendo l’andamento del

beampattern rappresentato in fig. 5.17.

Tale strategia non porta però a sostanziali miglioramenti per quel che concerne i

lobi secondari, pur causando sempre un consistente allargamento del lobo

principale. A conclusione di questa prova non si consiglia di sottoporre questo

metodo ad alcuna operazione di finestramento.

Page 207: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

195

Fig. 5.17: confronto tra i beampattern ottenuti mediante LCMV adattativo, al quale è stata

applicata un’operazione di finestramento dei coefficienti secondo l’algoritmo di Hanning, e

MVDR adattativo per l’Esempio 5.4.1

5.4.2 Esempio di simulazione in ambiente dinamico Anche l’algoritmo LCMV adattativo è stato testato in condizioni di

funzionamento non stazionarie, analogamente a quanto fatto per il metodo Null

Steering adattativo. Lo scenario di simulazione è lo stesso di quello considerato

nell’Esempio 5.3.3 (tab. 5.10).

Tab. 5.10: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 5.4.2

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 100000 Campioni usati per R̂ 2000 DOA puntamento +30° DOA RFI -80° -60° [-50° 9.6667°] Ampiezze RFI 2 4 3 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf Soglia 10 Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 208: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

196

La simulazione pertanto fornisce i seguenti risultati (fig. 5.18).

Fig. 5.18: sequenza dei confronti fra i beampattern ottenuti mediante LCMV adattativo ed MVDR

adattativo per l’Esempio 5.4.2

Come ci si poteva aspettare, anche dalla simulazione in un contesto tempo-

variante i due beamformer posti a confronto presentano un comportamento

pressoché identico, ad ulteriore conferma di quanto rilevato nel caso statico.

Page 209: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 5 Analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza

197

Per completezza, anche nel presente esempio viene eseguito un raffronto dal

punto di vista dei tempi di calcolo fra i due algoritmi analizzati. (tab. 5.11).

LCMV ADATTATIVO MVDR ADATTATIVO

9.125 sec 9.3125 sec

Tab. 5.11: confronto dei i tempi di calcolo richiesti da LCMV adattativo ed MVDR adattativo per

l’Esempio 5.4.2

I tempi, come riscontrato anche nell’Esempio 5.3.3 a proposito di Null Steering

ed MVDR, differiscono di pochi decimi di secondo.

Page 210: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …
Page 211: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

CAPITOLO 6

KLT E BEAMFORMING Le prove descritte nel capitolo precedente hanno dimostrato che, attraverso

l’analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di covarianza R, si è in grado,

tranne in certi casi particolari, di pervenire alla conoscenza degli angoli di arrivo

delle radiointerferenze, pur non avendo alcuna informazione a priori su queste

ultime. Questo importante riscontro costituisce di fatto il primo passo verso lo

studio dell’applicabilità della trasformata di Karhunen-Loève (KLT) al

beamforming.

Nel presente capitolo si cercherà proprio di capire se il principio basilare su cui

poggia la formulazione della trasformata possa condurre ad un modo alternativo

di realizzare il filtraggio spaziale. Questo tipo di ricerca verrà portata avanti anche

seguendo la traccia del KLT signal processing ([23]), dal momento che esiste una

forte analogia tra filtraggio spaziale e filtraggio spettrale.

Nella prima parte verrà introdotta la KLT da un punto di vista puramente

concettuale, successivamente si passerà ad una breve descrizione analitica, infine

verrà proposto un possibile metodo per la realizzazione di un beamformer.

Page 212: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

200

6.1 Considerazioni introduttive

La KLT si inserisce fra le numerose tecniche di analisi dei segnali tuttora

conosciute: la trasformata di Fourier (FT), la trasformata Wavelet (WT), la

Discrete Cosine Transform (DCT), la Walsh Transform, la Hadamard Tranform

(HT), per citarne alcune.

La sua scoperta risale all’anno 1946 per opera di due matematici, il finlandese

Kari Karhunen e il francese-americano Maurice Loève, i quali vi giunsero

indipendentemente l’uno dall’altro ma quasi in contemporanea.

Nonostante la KLT fosse nota già a metà del secolo scorso, fino a pochi anni fa i

campi di applicazione di tale trasformata erano pochi se non addirittura nulli, per

il fatto che essa ha un costo computazionale molto elevato.

Da alcuni anni a questa parte, però, l’incremento della potenza di calcolo dei

moderni elaboratori elettronici ha reso di nuovo la KLT un argomento di estremo

interesse negli ambienti di ricerca.

L’ambito in cui oggi, mediante questo metodo, si stanno ottenendo i risultati più

brillanti è quello che riguarda la compressione dati (in particolare immagini).

Ulteriori studi di applicazione della trasformata riguardano l’estrazione di

caratteristiche da un oggetto preso in esame, in modo da poterlo riconoscere e

quindi classificare (pattern recognition).

Negli esempi appena accennati non si hanno vincoli temporali: una volta

memorizzata l’informazione da elaborare, non importa quanto tempo sia

necessario per il calcolo della trasformata.

Diversamente, alcuni contesti applicativi come la radioastronomia, soggetti a

ristretti vincoli sul tempo (operazioni in real time), richiedono l’utilizzo di

“trasformate veloci” nelle complesse elaborazioni dei segnali.

Per questo motivo la trasformata di Fourier è una delle più usate (non solo in

campo radioastronomico), per merito dell’algoritmo che la calcola in maniera

efficiente e veloce, la FFT (Fast Fourier Transform).

Page 213: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

201

La FT permette una analisi molto accurata dei segnali periodici, quelli cioè che

possono essere rappresentati come somma di sinusoidi, ma lo stesso non si può

dire se viene a mancare questa condizione: infatti, quando si ha di fronte un

segnale non periodico, la FT può portare ad una sua approssimazione imprecisa.

Per contro, la KLT non risente di questa restrizione: essa è in grado di estrarre dal

segnale basi ortogonali che sono in generale non periodiche (sono periodiche se il

segnale stesso è periodico). In questo risiede tutta la potenza e l’efficienza di

questa trasformata.

Il discorso che segue esula per certi aspetti dall’argomento affrontato sin qui, ma

è utile per capire qual è il concetto di base su cui si fonda la KLT.

Si consideri un oggetto, per esempio un libro, e un sistema di riferimento

composto dai tre assi cartesiani nello spazio. Per la meccanica classica, tutte le

proprietà del libro relative alla dinamica di rotazione possono essere descritte

mediante una matrice simmetrica 33× , chiamata “matrice d’inerzia”, i cui

elementi sono in generale diversi da zero. Gestire una matrice i cui elementi sono

diversi da zero è ovviamente più complicato che gestire una matrice in cui gli

unici elementi diversi da zero sono disposti sulla diagonale principale.

Quindi sorge quasi spontanea la domanda se esiste una qualsiasi trasformazione,

che cambia la matrice di inerzia in una matrice diagonale.

La meccanica classica aiuta in questo senso, dando prova che esiste un solo

sistema di orientamento privilegiato rispetto al libro. Il sistema a cui si sta

facendo riferimento è formato da quegli assi paralleli ai lati dell’oggetto in analisi,

in questo caso il libro; tali assi sono proprio gli autovettori della matrice di

inerzia. In altre parole, ciascun oggetto possiede un proprio sistema privilegiato

che descrive nel modo migliore la sua dinamica rotazionale.

Si torni nell’ambito dell’elaborazione dei segnali; è noto che l’analisi

dell’autocorrelazione conduce ad una buona tecnica per estrarre il segnale dal

rumore (si veda la sezione successiva, per ulteriori approfondimenti si rimanda a

[23],[24],[25],[26],[27]). Se, infine, si considera l’autocorrelazione come il libro

del precedente esempio, allora si possono cercare gli autovettori della matrice di

Page 214: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

202

autocorrelazione, per trovare la più semplice rappresentazione dei dati. Questa è

l’idea chiave del KLT signal processing.

Un’ulteriore proprietà che rende questa trasformata così interessante riguarda la

compressione. Si consideri una generica funzione f; si può dire che esistono

infinite serie che la decompongono in somma pesata di vettori: la serie di Fourier

e la serie (o espansione) di Karhunen-Loève (KL) (vedi 6.1) sono solamente due

esempi. Si supponga di voler approssimare la funzione f utilizzando solo i primi k

termini di una serie qualsiasi. Ebbene, la serie di KL è quella che, a parità di

termini considerati, restituisce la miglior approssimazione della funzione f

originale. Quest’ultima affermazione va a confermare quanto si era detto in

precedenza, a proposito dell’applicazione della KLT alla compressione dati.

Se fino a poco tempo fa la KLT non veniva quasi considerata in campo

radioastronomico, di recente ha cominciato a trovare posto anche in questo

settore. Infatti è stato da poco sviluppato, presso la stazione radioastronomica di

Medicina, un algoritmo per il calcolo della KLT di segnali stazionari ([25],[28]).

Lo studio che ha condotto all’implementazione di questo algoritmo è stato

supportato dal progetto SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence) Italia, il

quale, come suggerisce il nome stesso, è il programma che si occupa della ricerca

di eventuali segnali radio artificiali provenienti da civiltà extraterrestri.

L’algoritmo adottato per il calcolo della KLT (fig. 6.1) consente di ottenere una

buona approssimazione di un insieme ridotto di autovalori (quelli dominanti)

della matrice di autocorrelazione del segnale. Questa sua peculiarità, grazie anche

alla disponibilità di un sistema di elaborazione dati altamente potente (sistema

modulare multi-nodo MEDALT-1), porta ad una sensibile riduzione dei tempi di

calcolo. Sebbene dal punto di vista computazionale sia comunque più

svantaggioso rispetto alla FFT, l’algoritmo che implementa la KLT riesce a

rilevare segnali assai più deboli di quelli rilevati tramite FFT e indipendentemente

dalla larghezza di banda (la FFT si limita invece ad estrarre segnali a banda

stretta). Si può concludere asserendo che la KLT è di molto superiore alla FFT in

ambito SETI per la rilevazione di possibili segnali candidati ET.

Page 215: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

203

Fig. 6.1: diagramma a blocchi in cui viene schematizzato l’algoritmo che calcola la KLT per

processi stocastici stazionari, sviluppato a Medicina per SETI-Italia

6.2 Approccio analitico

Si consideri una funzione aleatoria (o processo stocastico) X(t) su un intervallo di

tempo finito Tt ≤≤0 ; essa può essere espressa sotto forma di combinazione

lineare di un insieme infinito di funzioni ortonormali ϕn(t):

)t(Z)t(X n1n

nϕ∑∞

=

= per Tt ≤≤0 (6.1)

Questa è la cosiddetta espansione di Karhunen-Loève (KL) di X(t) sull’intervallo

di tempo finito Tt ≤≤0 .

Le funzioni del tempo ϕn(t) soddisfano la condizione di ortonormalità espressa da:

mnn

T

0m dt)t()t( δϕϕ =∫ (6.2)

dove δmn è il simbolo di Kronecker.

Page 216: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

204

I coefficienti dell’espansione Zn sono variabili aleatorie (che quindi non

dipendono dal tempo).

Dunque si può affermare che l’espansione KL permette di esprimere la funzione

aleatoria X(t) come una quantità formata da due parti: la prima, rappresentata

dalle funzioni ortonormali ϕn(t), si riferisce al suo comportamento nel tempo; la

seconda, rappresentata dalle variabili aleatorie Zn, si riferisce al suo

comportamento dal punto di vista probabilistico.

Si supponga che la funzione aleatoria X(t) abbia media nulla (questa ipotesi non fa

perdere di generalità le considerazioni successive), cioè:

0)t(X ≡ (6.3)

Dal momento che si ha:

)t(Z)t(X n1n

n ϕ∑∞

=

= (6.4)

risulta immediatamente che:

0Zn ≡ (6.5)

Si ricordi che tutto ciò è valido per Tt ≤≤0 .

Poiché 0Zn ≡ , ne consegue che:

2n

2Z Z

n=σ (6.6)

Page 217: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

205

Se ora viene introdotta una nuova sequenza di numeri positivi λn, tali che ognuno

di essi sia proprio la varianza della corrispondente variabile aleatoria Zn:

0Z 2nn

2Zn

>== λσ (6.7)

è possibile, di conseguenza, dimostrare che le variabili aleatorie soddisfano la

seguente equazione:

mnnmn ZZ δλ= (6.8)

Si può quindi concludere che le variabili aleatorie sono statisticamente incorrelate

fra loro.

Per riassumere, attraverso l’espansione KL si è ottenuta una importante

generalizzazione delle serie di Fourier per segnali non deterministici.

Più precisamente, l’espansione KL può essere definita come l’unica possibile

espansione statistica in cui tutti i termini sono incorrelati gli uni dagli altri.

Si tenga presente la definizione di cross-correlazione tra due funzioni aleatorie del

tempo:

)t(Y)t(X)t,t(R 2121XY = (6.9)

In particolare, l’autocorrelazione di una singola funzione aleatoria X(t) è definita

come:

)t(X)t(X)t,t(R)t,t(R 2121X21XX == (6.10)

Dal momento che vale 0)( ≡tX per Tt ≤≤0 , allora:

)t,t(R)t(X)t(X)t(X X22

)t(X ===σ (6.11)

Page 218: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

206

Può essere dimostrato ([24], [27]) che le variabili aleatorie dell’espansione Zn,

che, come si è detto, sono incorrelate (per costruzione), sono anche

statisticamente indipendenti solamente se hanno una distribuzione di tipo

gaussiano.

Si trova inoltre, attraverso vari passaggi matematici ([24], [27]), che le funzioni

ortonormali del tempo ϕn(t) sono le autofunzioni dell’autocorrelazione

)t(X)t(X)t,t(R 2121X = e che i λn sono i corrispondenti autovalori.

Concettualmente, dato un generico processo stocastico (es. segnale+rumore),

quest’ultimo può essere descritto attraverso l’autocorrelazione, la cui matrice

assume quindi il ruolo di matrice descrittiva del processo stocastico rispetto ad un

generico “sistema di riferimento”. Se di questa matrice di autocorrelazione si

trovano gli autovettori e questi ultimi vengono utilizzati come nuovo sistema di

riferimento, allora si ottiene la migliore descrizione possibile del processo

stocastico.

In questo senso le autofunzioni ϕn(t), che formano una base ortonormale in quello

che viene comunemente chiamato spazio di Hilbert o spazio delle funzioni di

quadrato sommabile, rappresentano realmente la migliore base possibile per

descrivere il processo stocastico, molto più adatta, in particolare, della base

classica di Fourier composta solo da seni e coseni.

Matematicamente si può ricavare la seguente equazione integrale ([24], [27]):

)t(dt)t()t(X)t(X 2nn11

T

0n21 ϕλϕ =∫ (6.12)

Una volta nota l’autocorrelazione di X(t), da questa equazione integrale, la cui

soluzione è molto spesso complicata, si ottengono gli autovalori λn e le

corrispondenti autofunzioni ϕn(t2).

Successivamente si devono ordinare gli autovalori λn in ordine decrescente di

grandezza e, corrispondentemente, anche le autofunzioni associate ad essi, in

modo tale che ogni autofunzione si mantenga in corrispondenza del suo proprio

Page 219: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

207

autovalore. I primi autovalori, i più grandi, vengono solitamente chiamati

“dominanti”.

La KLT (Karhunen-Loève Transform) consiste proprio nel passare al nuovo

insieme di “auto-assi” per descrivere il processo X(t). Applicare la KLT diretta ad

un processo stocastico X(t) (rappresentato da un generico insieme di assi)

significa quindi rappresentare il processo stesso con questo nuovo insieme di

“auto-assi”; in altre parole la KLT non è altro che una trasformazione lineare di

assi. Concludendo, la KLT ha l’importantissima proprietà di adattarsi molto bene

alla forma del processo stocastico in esame, qualunque comportamento nel tempo

esso abbia, adottando, come nuovo sistema di riferimento nello spazio di Hilbert,

la base generata dalle autofunzioni dell’autocorrelazione di X(t).

Finora si è sempre fatto riferimento alla variabile temporale t continua; se però

questa variabile temporale è discreta, l’equazione integrale diventa un sistema di

equazioni algebriche di primo grado che possono essere sempre risolte. Il

problema è che questo sistema di equazioni lineari è spesso di dimensioni

elevatissime, poiché, per le applicazioni più comuni (elaborazione del segnale,

compressione di immagini, ecc…), la matrice di autocorrelazione è enorme. La

KLT sarebbe dunque impossibile da applicare numericamente, se non si facesse

ricorso ad alcune operazioni semplificative.

Tornando al significato statistico della KLT, bisogna sottolineare il fatto che,

riordinando in ordine decrescente di grandezza gli autovalori

dell’autocorrelazione λn, vengono automaticamente riordinati, in ordine

decrescente secondo la loro importanza statistica, anche gli auto-assi.

In pratica, quindi, il primo auto-asse è quello attorno al quale si concentra la

varianza più grande, il secondo auto-asse è quello con la seconda varianza più

grande e così via.

Di conseguenza più auto-assi si prendono in considerazione, maggiore è la parte

statisticamente significativa dei dati di cui si sta tenendo conto. Ma, dal momento

che le varianze attorno agli assi decrescono mano a mano che se ne prendono in

considerazione, si ottengono corrispondentemente parti, del set di dati sotto

esame, sempre meno significative dal punto di vista statistico.

Page 220: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

208

Diventa allora evidente come sia possibile applicare il filtraggio del rumore sui

dati iniziali applicando la KLT: questo procedimento è noto come “KLT noise

filtering”.

Infatti il filtraggio KLT consiste proprio nel considerare semplicemente un

numero ridotto di auto-assi dominanti dal loro insieme infinito, e poi trattare la

parte dei dati ottenuta come la parte statisticamente più significativa, con al suo

interno quindi il “segnale utile”. Il rumore invece lo si considera automaticamente

contenuto all’interno della parte dei dati che è stata “tagliata”.

Infine, per poter estrarre il segnale dal rumore è necessario semplicemente

applicare la trasformata KLT inversa (operazione ancora una volta lineare) sulla

parte dei dati statisticamente più significativa.

Dal confronto tra la trasformata classica di Fourier e la KLT emergono alcuni

vantaggi di quest’ultima:

è applicabile sia a segnali a larga banda sia a quelli a banda stretta,

mentre la FT è applicabile rigorosamente solo a segnali a banda

stretta;

è adatta sia a processi stocastici stazionari che non-stazionari, mentre

la FT può essere applicata teoricamente solo a processi stazionari;

non è condizionata da problemi di “finestramento” come la FT,

poiché la KLT è definita su un intervallo temporale finito Tt0 ≤≤ .

La KLT ha però uno svantaggio fondamentale: essa comporta una complessità

computazionale molto più elevata rispetto alla FFT.

Precisamente, se la matrice di autocorrelazione dei dati a disposizione ha

dimensioni NN × , allora la complessità di calcolo per trovare gli autovalori ed

autovettori cresce come 2N , mentre nel caso FFT si ha un carico computazionale

proporzionale a )Nlog(N ⋅ .

Purtroppo non c’è modo, in linea generale, di trovare un algoritmo di Fast KLT

(che cresca come )Nlog(N ⋅ ), dal momento che il nucleo della KLT non è

separabile.

Page 221: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

209

Infatti per un generico processo stocastico X(t) vale:

)t(X)t(X)t(X)t(X 2121 ≠ (6.13)

e non si ha mai:

)t(X)t(X)t(X)t(X 2121 = (6.14)

Esiste comunque un’eccezione, nel caso in cui X(t) abbia un’autocorrelazione

esponenziale del tipo:

12 tt21 Ce)t(X)t(X −= (6.15)

dove C è una costante. In questo caso l’autocorrelazione può essere calcolata

come il prodotto dei due termini: )t(X)t(X 21 e quindi si ha un notevole

abbassamento dei calcoli richiesti, analogamente alla FFT ( )Nlog(N ⋅ ).

6.3 Progetto del beamformer

A seguito delle prove riportate nel cap. 5, si è arrivati ad una importante

conclusione: alcuni autovettori della matrice di covarianza hanno un legame

particolare con le radiointerferenze, in un certo senso sono rappresentativi di

queste ultime; questi autovettori contengono infatti al loro interno l’elemento che

meglio di ogni altro le caratterizza nel dominio spaziale: cioè la direzione di

arrivo. Ma se alcuni autovettori portano con sé l’informazione spaziale relativa

alle RFI, è lecito pensare che gli altri autovettori siano rappresentativi (sempre dal

punto di vista spaziale) del segnale utile sommato al rumore di fondo.

Viene allora da domandarsi se si è in grado di formare un beam d’antenna che

punti la direzione voluta e cancelli il segnale prodotto dalle sorgenti interferenti,

Page 222: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

210

utilizzando solamente gli autovettori legati a segnale utile + rumore ed escludendo

quelli “dovuti” alle RFI.

Tenendo presente la teoria della KLT, sembra che questo interrogativo trovi

risposta affermativa: infatti, partendo dal set di autovettori della matrice di

covarianza e trascurando quelli legati alle RFI, si dovrebbe ottenere la migliore

stima statistica (dal punto di vista spaziale) del segnale + rumore.

Ma come utilizzare gli autovettori non associati alle RFI per rappresentare al

meglio (sempre dal punto di vista spaziale) il segnale utile immerso nel rumore?

Seguendo anche le indicazioni tratte dallo studio del KLT signal processing, è

ragionevole pensare di combinare linearmente questi autovettori (non legati alle

RFI). Rimane da stabilire in che modo. L’idea che è sembrata più fondata è stata

quella di utilizzare come pesi della combinazione lineare i prodotti scalari tra

ciascun autovettore (fra quelli che non sono in relazione con le RFI) e lo steering

vector dell’array relativo alla direzione del segnale utile. Concettualmente ciò

equivale a proiettare ortogonalmente ogni autovettore sullo steering vector d0 in

modo tale da stabilire in quale misura essi puntano in direzione 0θ .

6.3.1 Implementazione Per l’implementazione dell’algoritmo si effettuino questi passaggi:

1. si ripetano le stesse operazioni riferite ai passi 1 e 2 del par. 5.3.1 (cap. 5)

a proposito del beamformer null steering adattativi.

2. Una volta noti gli autovettori legati al segnale utile + rumore, si esegua

per ciascuno di essi il prodotto riga×colonna con )( 0θdd0 = . In tal

modo si ottengono tanti valori scalari quanti sono gli autovettori utilizzati

nei prodotti;

3. Si calcoli il vettore w dei coefficienti del beamformer, come

combinazione lineare degli autovettori relativi a segnale utile + rumore,

Page 223: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

211

impiegando come pesi della sommatoria i valori scalari trovati al passo

precedente.

4. Infine si calcola il beampattern complessivo con l’espressione più volte

riportata e presente anche al passo 6 del paragrafo 5.3.1 (cap. 3).

6.3.2 Prove di simulazione Sono state svolte alcune prove di simulazione per verificare l’attendibilità delle

precedenti considerazioni teoriche.

Ricalcando lo stesso modo di procedere sin qui adottato, dapprima sono stati presi

in esame scenari con sorgenti di interferenza fisse, successivamente si è passati

alla valutazione di situazioni più complesse, con interferenti mobili.

Da qui in avanti ci si riferirà all’algoritmo proposto con il nome di KLT

beamformer semplicemente per motivi di praticità d’uso, sebbene forse non sia un

nome strettamente appropriato.

6.3.2.1 Esempio di simulazione in ambiente statico

I parametri di simulazione sono stati impostati con i seguenti valori (tab. 6.1).

Tab. 6.1: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 6.3.2.1

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 1000 Campioni usati per R̂ 200 DOA puntamento +20° DOA RFI -10° -50° +50° +60° Ampiezze RFI 2 4 3 5 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf 0.10 cf Soglia 1 Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 224: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

212

La prima simulazione effettuata (fig. 6.2) ha consentito di accertare i

ragionamenti teorici sintetizzati nel par. 6.3.

Fig. 6.2: confronto tra i beampattern ottenuti mediante KLT adattativo ed MVDR adattativo per

l’Esempio 6.3.2.1

Come già notato a proposito del beamformer Null Steering adattativo, anche in

questo caso si osservano lobi laterali leggermente più bassi nel beampattern del

metodo KLT rispetto a quello del MVDR; come prima, inoltre, il lobo principale

ottenuto con il metodo MVDR risulta di poco più stretto rispetto a quello ottenuto

con KLT.

Si sono voluti così confrontare fra loro Null Steering adattativo e metodo KLT

(fig. 6.3).

Fig. 6.3: confronto tra i beampattern ottenuti mediante KLT adattativo e Null Steering adattativo

per l’Esempio 6.3.2.1

Page 225: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

213

La fig. 6.3 sembra mostrare un risultato apparentemente sconcertante: in realtà

dimostra che, per arrivare al beampattern finale, i due metodi seguono lo stesso

procedimento ma eseguendo le operazioni in ordine diverso; per questo motivo si

ottengono gli stessi risultati. Più precisamente, il metodo KLT modella il beam

d’antenna escludendo gli autovettori legati alle RFI: questo, concettualmente,

equivale ad imporre uno zero di ricezione in corrispondenza delle DOA associate

a questi stessi autovettori (metodo Null Steering).

6.3.2.2 Esempio di simulazione in ambiente dinamico

Quest’ultimo test, eseguito in un contesto dinamico, fa riferimento ai parametri di

simulazione di tab. 6.2.

Tab. 6.2: valori assunti dai parametri principali nell’Esempio 6.3.2.2

Parametro Valore

Numero sensori 8 Tipo sensore ideale Spaziatura sensori λ/2 @ Mf Tempo di osservazione [campioni] 100000 Campioni usati per R̂ 2000 DOA puntamento +30° DOA RFI -80° -60° [-50° 9.6667°] Ampiezze RFI 2 4 3 Frequenze RFI 0.05 cf 0.25 cf 0.30 cf Soglia 10 Varianza rumore naturale 2

nσ 0.001

Varianza rumore artificiale 2aσ 0.001

Page 226: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

214

La fig. 6.4 rappresenta il confronto tra il beampattern ottenuto con l’algoritmo

KLT e quello ottenuto con l’algoritmo MVDR per alcune iterazioni significative.

Fig. 6.4: sequenza dei confronti fra i beampattern ottenuti mediante metodo KLT adattativo ed

MVDR adattativo per l’Esempio 6.3.2.2

Page 227: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

215

L’andamento del beampattern relativo al metodo KLT adattativo si avvicina

molto a quello prodotto dall’algoritmo MVDR adattativo, come già sottolineato

per il caso stazionario.

Analogamente a quanto fatto negli esempi del cap. 5 riguardo ai metodi Null

Steering e LCMV, anche nella situazione qui considerata viene svolta una

valutazione sui tempi di calcolo richiesti dai due algoritmi confrontati per le

elaborazioni (tab. 6.3).

Tab. 6.3: confronto tra il tempo di calcolo richiesto dal metodo KLT adattativo e quello richiesto

dal metodo MVDR adattativo per l’Esempio 6.3.2.2

A conclusione di questo duplice raffronto in termini di andamento della risposta e

tempi richiesti per i calcoli, non risultano esserci evidenti differenze tra i metodi

esaminati.

Ma si rifletta su questo: il funzionamento del metodo KLT, per come è stato

implementato, si basa su una analisi agli autovalori ed autovettori della matrice di

covarianza, che quindi vengono calcolati.

In aggiunta, si consideri anche che la tecnica del beamforming rappresenta

solamente un primo stadio di elaborazione del segnale, ad essa seguiranno poi

ulteriori operazioni e trasformazioni al fine di estrarre l’informazione utile dai dati

ricevuti e scartare il rumore.

Questa operazione di “ricostruzione” del segnale utile è possibile, come insegnato

dalla teoria della KLT, partendo proprio dalla conoscenza di autovalori ed

autovettori.

Quindi, dal momento che il metodo di beamforming descritto in questa sezione

(indicato con il nome KLT) calcola già direttamente gli autovalori ed autovettori,

l’utilizzo di quest’ultimo rende di fatto non più necessario il calcolo di questi

autovalori ed autovettori nella fase successiva di ricostruzione del segnale.

KLT ADATTATIVO MVDR ADATTATIVO

9.0313 sec 9.1406 sec

Page 228: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Capitolo 6 KLT e beamforming

216

Questo tipo di ragionamento, frutto di valutazioni ad ampio raggio, assieme alle

considerazioni già svolte in merito al confronto di prestazioni, rendono

l’algoritmo studiato preferibile rispetto al metodo MVDR.

Page 229: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI

Attraverso questo lavoro di tesi è stato affrontato l’importante e delicato

argomento del beamforming, che grande rilevanza assume nel contesto delle

applicazioni radioastronomiche. Le tematiche sviluppate e riportate in questa

dissertazione di laurea si inseriscono nell’ambito di due progetti (LOFAR e SKA),

avviati dalla comunità radioastronomica mondiale, ai quali partecipa attivamente

anche il radiotelescopio “Croce del Nord” di Medicina (BO).

Inizialmente è stato preso in esame un algoritmo di beamforming (MVDR,

Minimum Variance Distortionless Response), già noto nel mondo delle

telecomunicazioni tradizionali, che era già stato studiato in un lavoro precedente

solamente in scenari deterministici. Di conseguenza è stata portata avanti

un’accurata analisi che ne mettesse in evidenza le proprietà di adattività in

condizioni di funzionamento dinamiche. In particolare, sono state effettuate

numerose prove, mediante il software di simulazione MATLAB, in cui venivano

riprodotte, in maniera quanto più aderente possibile alla realtà, situazioni che

prevedevano la presenza di sorgenti di segnale sia fisse che in movimento.

Si è potuto così constatare che tale algoritmo si prestava molto bene a cancellare

radiointerferenze con direzione di arrivo variabile nel tempo.

A questa è seguita una lunga ed intensa fase di ricerca bibliografica mirata a

trovare e poi selezionare nuovi algoritmi di beamforming particolarmente adatti

ad un utilizzo in campo radioastronomico. A tal proposito sono stati esaminati

numerosi papers reperiti sia dal web che dall’archivio delle pubblicazioni

dell’istituto IEEE. Una di queste letture ha suscitato l’interesse verso un

particolare algoritmo, di tipo LCMV (Linearly Constrained Minimum Variance)

nel dominio della frequenza. A seguito della sua implementazione su calcolatore,

Page 230: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Conclusioni e sviluppi futuri

250

varie simulazioni hanno permesso di metterlo alla prova in vari tipi di scenari,

caratterizzati ciascuno da un diverso numero di interferenti sia fissi che mobili.

I risultati ottenuti hanno mostrato che questo algoritmo offre buone prestazioni in

condizioni statiche, in taluni casi anche migliori del MVDR, ma viene messo in

crisi non appena si trova di fronte sorgenti di RFI che si spostano. Infatti è stato

verificato che l’algoritmo in questione non riusciva a convergere alla soluzione

statisticamente ottima nel corso delle iterazioni da esso prodotte. A questo

problema, anche dopo molteplici tentativi, non si è riusciti a porre rimedio.

L’esito di tali simulazioni hanno convinto a giudicare negativamente questo

algoritmo e a considerarlo non idoneo alle applicazioni radioastronomiche.

In seguito si è passati allo studio dell’implementazione di una tecnica di

beamforming che si avvalesse di un principio di funzionamento analogo a quello

alla base del KLT signal processing. Una prima attività di apprendimento e ricerca

è stata necessaria per capire le nozioni di base della teoria generale della KLT

(Karhunen-Loève Transform). A ciò è seguita una serie di prove di simulazione

riguardo al significato intrinseco degli autovalori ed autovettori della matrice di

covarianza. Le conclusioni a cui si è arrivati hanno portato alla formulazione di

due algoritmi di beamforming adattativi, le cui prestazioni poco si discostano da

quelle fornite dall’algoritmo MVDR. Si è potuto osservare infatti che, oltre ad

avere risposte nel dominio spaziale pressoché identiche (sia in ambiente statico

che stazionario), anche i tempi di calcolo rimangono praticamente equivalenti.

Essi inoltre ben si prestano ad un’operazione di finestramento dei coefficienti,

grazie alla quale si raggiunge, come prevedibile, un notevole abbassamento dei

lobi secondari del diagramma di radiazione, a scapito di un certo allargamento del

lobo principale.

Infine si è proposto un possibile metodo per la realizzazione di un beamformer,

che segue le indicazioni tratte dalla teoria della KLT.

Anche per questo tipo di beamformer sono state riscontrate prestazioni

perfettamente in linea con quelle offerte dal metodo MVDR, sia dal punto di vista

della cancellazione dei segnali interferenti (in scenari statici e non), che da quello

dei tempi richiesti per le operazioni computazionali.

Page 231: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Conclusioni e sviluppi futuri

251

Una valutazione più completa, che tiene conto anche delle operazioni necessarie a

filtrare il segnale dal rumore, ha spinto a considerare con interesse questo

algoritmo, anche come valida alternativa al più volte citato MVDR.

Questo lavoro, incentrato su un argomento complesso ed al tempo stesso in

continua evoluzione, è ben lungi dal voler essere considerato fine a se stesso, ma

vuole costituire un punto di partenza per ulteriori sviluppi futuri e

approfondimenti. A riguardo si segnala la possibilità di estendere le prove

effettuate con gli algoritmi presi in considerazione anche al caso di array planare.

In aggiunta va senza dubbio portato avanti lo studio della relazione tra KLT e

beamforming, che potrebbe portare in futuro a soluzioni ed idee innovative.

Page 232: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …
Page 233: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …
Page 234: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

APPENDICE A

IL SISTEMA BEST-1

La prima fase del progetto BEST, tramite cui si vuole rendere la “Croce Del

Nord” un valido dimostratore per SKA, ha portato alla realizzazione del sistema

BEST-1. Esso prevede l’upgrade (ammodernamento) di un cilindro parabolico del

ramo Nord-Sud (vedi figura a.1) tramite l’installazione, sulla linea focale, di 4

ricevitori equidistanziati di 162λ⋅ l’uno dall’altro alla frequenza di 408 MHz.

Ogni blocco di ricezione si compone essenzialmente di: un’antenna costituita da

16 dipoli disposti in parallelo e distanziati tra loro di 2λ , un front-end tri-stadio,

dei filtri ed un link analogico in fibra ottica (tramite cui il segnale arriva alla

stanza del ricevitore).

Fig. a.1: cilindro parabolico del ramo N-S impiegato nell’ambito del progetto BEST-1

Page 235: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

218

I parametri fisici di BEST-1 implicano delle considerazioni di non poco conto sui

limiti del suo beampattern, che sarà l’oggetto di studio in questa appendice.

Più precisamente verrà approfondito il già citato problema dei lobi di grating

(vedi cap.1) che, in certe situazioni, condiziona in modo estremamente negativo la

risposta del beamformer.

Per meglio analizzare le caratteristiche dei diagrammi di radiazione delle antenne,

verranno introdotti semplici esempi numerici grazie all’ausilio di MATLAB.

A.1 Equivocazione spaziale e lobi di grating

In via preliminare si ritiene opportuno riportare, sebbene in forma semplificata, il

principio enunciato dal teorema del campionamento spaziale: una spaziatura tra i

sensori pari a 2λ è la distanza massima alla quale questi ultimi possono essere

collocati senza che avvenga equivocazione spaziale (sarà chiarito più avanti il

significato di equivocazione spaziale); si noti una stretta analogia con il più noto

teorema del campionamento temporale.

Comunque nulla vieta di posizionare i sensori anche ad una distanza minore, che,

nel caso del campionamento temporale, è equivalente ad utilizzare una frequenza

di campionamento maggiore di quella minima. Tuttavia è sempre più vantaggioso

che l’array possieda la massima apertura possibile, perché a tale apertura

corrisponde anche la massima risoluzione spaziale.

Ma cosa succede al beampattern quando la spaziatura tra i sensori è maggiore di

2λ ? Questo caso è particolarmente interessante, in quanto è proprio quello che si

ha in BEST-1.

In maniera del tutto analoga al caso del campionamento temporale, si ha un

fenomeno di aliasing, anche se ora si tratta esclusivamente di aliasing spaziale e

non spettrale: in altre parole le DOA risultano ambigue, cioè a DOA differenti

vengono associati gli stessi steering vectors.

Questo è quello che si intende per equivocazione spaziale.

Page 236: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

219

Al fine di illustrare meglio questi concetti, verranno proposti qui di seguito alcuni

esempi, ottenuti applicando il metodo di beamforming classico (beamforming

deterministico), ma risultati del tutto analoghi si possono ottenere anche con altri

metodi. In figura a.2 si vogliono valutare gli effetti generati da spaziature

differenti tra 4 sensori omnidirezionali, sul beampattern.

Fig. a.2: effetti della spaziatura di d = 1λ, 2λ, 4λ, 8λ sul beampattern di 4 sensori omnidirezionali

Nel primo caso i sensori vengono distanziati di 1λ: il beam raddoppia ed appare

un nuovo beam (ghost beam) a ±90°, frutto del sottocampionamento spaziale.

Segnali provenienti da 0° risultano assolutamente indistinguibili da segnali

provenienti da ±90°. Nel secondo caso la distanza tra i sensori è 2λ ed il beam si

quadruplica.

Risultati analoghi si hanno anche per il terzo ed il quarto caso. L’ultimo esempio è

anche quello più interessante, poiché è proprio il caso di BEST-1, in cui si hanno

4 sensori distanziati di 162λ⋅ : il main beam risulta essere equivocato ben 16 volte.

Page 237: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

220

La figura a.3 analizza in modo più approfondito l’ultimo caso, andando a vedere

cosa succede per diversi angoli di puntamento.

Fig. a.3: effetti della spaziatura di 8λ sul beampattern di 4 sensori omnidirezionali per DOA = 20°,

40°, 60°, 80°. Si noti che si tratta del fattore di gruppo di BEST-1

Si osservi che, per via dell’equivocazione spaziale, le direzioni di puntamento

disponibili risultano essere effettivamente ridotte.

Le repliche equivocate del beam prendono il nome di lobi di grating e si può

dimostrare (vedi [28]) che, per una distanza tra i sensori pari a λd ( λd esprime la

distanza in [λ], quindi è una grandezza adimensionale), esse risultano essere

equispaziate di:

[ ]radd1arcsinG ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=

λ

φ (a.1)

Page 238: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

221

Se 1d >>λ vale l’approssimazione:

[ ]radd1

φ ≅ (a.2)

Inoltre i lobi principali si restringono e l’apertura del fascio a metà potenza

(HPBW, Half Power BeamWidth) si riduce a circa:

[ ]raddN

1HPBWλ⋅

≅ (a.3)

mentre la distanza tra i primi due zeri (BWFN, BeamWidth between First Nulls) a

circa:

[ ]raddN

2BWFNλ⋅

≅ (a.4)

dove N è al solito il numero di sensori che compone l’array.

A.2 Caratterizzazione del beampattern del sistema

BEST-1

Si è detto in precedenza che il sistema BEST-1 è composto da un array lineare e

uniforme di antenne. Una descrizione del suo diagramma di radiazione può essere

affrontata partendo dallo studio dei singoli elementi che compongono questa

schiera. Infatti, come insegna la teoria dei sistemi d’antenna (vedi [29]), la

funzione di radiazione di un array può essere ricavata dal prodotto tra la funzione

di radiazione del singolo elemento e la funzione di radiazione di gruppo (o fattore

di gruppo, che tiene conto degli effetti della composizione di un numero anche

Page 239: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

222

elevato di antenne semplici): questo principio è più comunemente noto come

pattern multiplication.

Quindi si ha:

),(f),(f),(f grel φθφθφθ ⋅= (a.5)

Si osservi che, quando il numero degli elementi che compongono un array è

sufficientemente elevato, la funzione di radiazione totale è approssimabile con la

funzione di radiazione di gruppo:

),(f),(f gr φθφθ ≅ per 1N >> (a.6)

In termini ingegneristici questo equivale a dire che, al crescere di N, il

comportamento di un array di antenne diventa sempre più indipendente dalle

caratteristiche dei singoli elementi che lo compongono.

Da qui in avanti i concetti del tutto generali finora esposti verranno applicati più

approfonditamente al caso di BEST-1.

A.2.1 Beampattern del singolo dipolo di BEST-1 Gli elementi di base che costituiscono una singola antenna dell’array sono dei

dipoli a mezz’onda. Si ricordi che la loro funzione di radiazione (vedi ad es. [29])

vale:

2

el cos

sin2

cos),(f

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

θπ

φθ (a.7)

Page 240: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

223

In figura a.4 viene riportato il diagramma polare della funzione di radiazione di un

dipolo a 2λ . In realtà si tratta di solo mezzo diagramma per via della presenza del

piano riflettore. La presenza di quest’ultimo altera la funzione di radiazione del

dipolo stesso ma, per quanto verrà detto successivamente, ciò influisce poco sulla

risposta complessiva del sistema.

Fig. a.4: beampattern polare del singolo dipolo che compone un’antenna della schiera di BEST-1

In figura a.5 è presente lo stesso beampattern, questa volta però in forma

cartesiana: è una rappresentazione meno comune ma più consona all’analisi della

direttività di BEST-1.

Fig. a.5: beampattern cartesiano del singolo dipolo che compone un’antenna della schiera di

BEST-1

Page 241: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

224

Si noti che entrambi i grafici sono stati normalizzati al guadagno massimo.

A.2.2 Beampattern di una singola antenna della schiera di

BEST-1 Una volta noto il beampattern del singolo dipolo, si è in grado di ottenere il

beampattern della singola antenna dell’array mediante l’espressione a.5 (vedi

figura a.6).

Fig. a.6: beampattern di una singola antenna dell’array di BEST-1

Il lobo principale ha un’apertura a metà potenza pari a circa:

°==≅ 18.7rad125.0D1HPBWλ

(a.8)

dove λD è l’apertura complessiva dell’antenna, espressa in lunghezze d’onda.

Il beampattern possiede 151N =− zeri: infatti, per via dell’equivocazione

spaziale, gli zeri posti in corrispondenza di °± 90 coincidono.

Si può dimostrare che (si veda ad es. [10]) in generale questi si trovano in:

K,2,1kN2ksinarcsin 0k ±±=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅+= θθ (a.9)

Page 242: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

225

dove 0θ è la direzione di osservazione.

In questo caso, essendo 00 =θ e 16N = , si ha che gli zeri del beampattern

risultano essere posizionati in:

(a.10)

e dunque l’apertura BWFN risulta essere:

°≅ 36.14BWFN (a.11)

A.2.3 Beampattern di BEST-1 Il ragionamento effettuato per calcolare il beampattern di una sola antenna può

essere ripetuto anche per calcolare il beampattern dell’array complessivo. Questa

volta si considera come funzione di radiazione dell’elemento quella della singola

antenna costituita da 16 dipoli (il cui diagramma di radiazione è rappresentato in

fig. a.6) mentre la funzione di radiazione di gruppo dipende dai 4 coefficienti di

beamforming. Nell’ipotesi che questi siano a fase nulla (ciò equivale ad un

puntamento di 0°), la direttività di gruppo è quella riportata in fig. a.7 (nello stesso

grafico viene ripresentato in linea tratteggiata il beampattern dell’antenna).

E’ immediato riconoscere la presenza dei lobi di grating dovuti alla spaziatura tra

le antenne di 162λ⋅ . Nel caso di BEST-1 per °= 00θ i lobi di grating si trovano

in:

(a.12)

°±°±°±°±°±

°±°±°±=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=

90,04.61,59.48,68.38,30

,02.22,48.14,18.78karcsinkθ

°±°±°±°±°±

°±°±°±=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=

90,04.61,59.48,68.38,30

,02.22,48.14,18.78karcsinkθ

Page 243: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

226

cioè coincidono con la posizione degli zeri dell’antenna (equazione a.10) ed il

beampattern complessivo è quello riportato in figura a.8.

Fig. a.7: beampattern di gruppo per BEST-1 nel caso di coefficienti a fase nulla (puntamento 0°).

In linea tratteggiata è presente il beampattern di un’antenna dell’array

Fig. a.8: beampattern complessivo per BEST-1 nel caso di coefficienti a fase nulla (puntamento

0°). Ancora una volta in linea tratteggiata viene riportato il beampattern di un’antenna dell’array

Page 244: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

227

L’ultimo grafico mostra chiaramente come i lobi di grating siano stati

efficacemente cancellati; purtroppo ciò non avviene sempre, ma si ha solo quando

la direzione di osservazione di gruppo coincide con la direzione di osservazione

dell’antenna (cioè quando le equazioni a.1 e a.9 coincidono). Siccome le antenne

hanno un puntamento fisso di 0°, questo accade solo per angoli di osservazione di

0°. Per altri valori dei coefficienti, cioè per altri angoli di puntamento, la

cancellazione dei lobi di grating in genere non si verifica (fig. a.9).

Fig. a.9: beampattern complessivo per BEST-1 nel caso di coefficienti calcolati su DOA

rispettivamente di 20°, 40°, 60°, 80°

Il beam di BEST-1 avrà un’apertura che risulterà essere circa 41 di quella

dell’antenna singola:

°≅⋅

≅− 79.1DN

1HPBW 1BESTλ

(a.13)

Page 245: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

228

dove al solito N è il numero di antenne dell’array, λD è l’apertura dell’antenna

espressa in λ e, dunque, λDN ⋅ è l’apertura complessiva dell’array.

Si osservi tuttavia che l’apertura del beam, come la distanza tra i primi due zeri,

varia con l’angolo di puntamento, in modo conforme alla (a.9).

Il problema fondamentale del sistema BEST-1 è costituito dal fatto che, per via

dell’equivocazione spaziale, il beam può essere direzionato solo all’interno del

Field Of View (FOV, angolo di vista di un’antenna) di una singola antenna

dell’array (equazione a.8):

°≤ 59.30θ (a.14)

Quest’ultimo risultato si può comprendere anche intuitivamente dal momento che,

per una DOA del segnale desiderato maggiore in valore assoluto di tale angolo, il

beam si troverebbe al di sotto del livello a metà potenza della singola antenna.

Conseguentemente si otterrebbe un puntamento errato del beam, riscontrabile per

esempio dalla figura a.9.

Significativo è il caso in cui il sistema viene direzionato verso l’angolo massimo,

cioè 3.59° (figura a.10):

Fig. a.10: beampattern di BEST-1 per il massimo angolo di puntamento °= 59.30θ

Page 246: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

229

Si può osservare come il beam risulti equivocato a causa di un lobo di grating,

posizionato simmetricamente rispetto all’origine ed esattamente di pari livello,

come si può constatare meglio dal dettaglio riportato in figura a.11:

Fig. a.11: dettaglio del beampattern di BEST-1 per il massimo angolo di puntamento °= 59.30θ

La seguente figura (ottenuta questa volta per °= 30θ ) evidenzia che il beam non

risulta perfettamente orientato in 0θ :

Fig. a.12: ingrandimento del beampattern di BEST-1 ottenuto con un angolo di puntamento pari a

°= 30θ

Page 247: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

230

Questo leggero fenomeno di disallineamento si deve alla non idealità delle

antenne dell’array. Infatti se le antenne fossero veramente omnidirezionali la loro

funzione di radiazione sarebbe unitaria sull’intero angolo θ . In realtà, nella

moltiplicazione tra il fattore di gruppo e la funzione di radiazione dell’antenna,

viene allineato in direzione di 0θ il punto di tangenza tra il beam dell’antenna ed

il beam complessivo e non il beam stesso. Questo disallineamento si traduce in un

leggero calo di direttività del beamformer, la quale a sua volta si concretizza in

una perdita di sensibilità del radiotelescopio. Nel caso di fig. a.12 il beam risulta

disallineato di circa 12’ con una conseguente diminuzione di sensibilità pari a

circa 0.2 dB. Tale perdita, comunque, non pregiudica le prestazioni complessive

del sistema.

Volendo raffinare il sistema di puntamento, è possibile sviluppare una procedura

di compensazione di 0θ (pre-puntamento) prima del calcolo dei coefficienti del

beamformer.

Il problema dei lobi di grating, già incontrato a proposito del controllo del beam,

si ripropone anche per quel che concerne il posizionamento degli zeri del

beampattern in corrispondenza delle DOA delle RFI.

Più precisamente, gli zeri possono essere applicati ovunque purché le loro repliche

equivocate risultino esterne al HPBW del lobo principale (circa 1.79° per un

puntamento °= 00θ ). Diversamente si otterrà una distorsione del beam ed ancora

una volta l’effetto complessivo sarà un puntamento errato del beam stesso.

Quanto si è appena esposto trova conferma nei due esempi sotto riportati,

realizzati tramite l’applicazione del metodo di beamforming generalizzato.

In figura a.13 si ha °= 20θ e °= 271θ : lo zero è posto fuori dal beam della

singola antenna. Il beampattern complessivo presenta quindi uno zero in 27°, ma,

per via dell’equivocazione spaziale, viene ripetuto anche all’interno del beam

dell’antenna. Tuttavia la replica (che si trova a circa 4.5°) in questo caso non cade

nel beam dell’array e, pertanto, la soluzione è accettabile (fig. a.14).

Page 248: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

231

Fig. a.13: beampattern complessivo per BEST-1 con °= 20θ e °= 271θ

Fig. a.14: ingrandimento del beampattern complessivo per BEST-1 con °= 20θ e °= 271θ

Nel secondo esempio (fig. a.15) si ha ancora °= 20θ ma °= 411θ : il beampattern

complessivo presenta lo zero in 41°, ma questa volta la replica dello stesso

all’interno del beam dell’antenna cade nel main beam dell’array, causandone una

forte deformazione e la soluzione chiaramente non risulta essere accettabile (fig.

a.16).

Page 249: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice A Il sistema BEST-1

232

Fig. a.15: beampattern complessivo per BEST-1 con °= 20θ e °= 411θ

Fig. a.16: ingrandimento del beampattern complessivo per BEST-1 con °= 20θ e °= 411θ

Page 250: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

APPENDICE B

COMUNICAZIONI SATELLITARI

L’utilizzo dei satelliti artificiali per telecomunicazioni risulta indispensabile per il

collegamento di utenti posti a grande distanza, nel caso in cui la connessione via

cavo risulti tecnicamente non realizzabile (zone impervie), oppure antieconomica

(zone remote, rurali o paesi in via di sviluppo), nonchè nel caso di utenza mobile

su una regione piuttosto ampia (con particolare riferimento a comunicazioni

aeronautiche e marittime). I sistemi satellitari ([30], [31]) consentono una rapida

messa in opera del servizio su vaste aree di copertura a costi contenuti e con

terminali con caratteristiche comparabili a quelle dei terminali usati per i sistemi

terrestri. Inoltre offrono la possibilità di servire in modo efficiente traffico non

uniformemente distribuito e asimmetrico, grazie alla flessibilità ottenuta con

coperture a fasci multipli e ripuntabili e grazie alla capacità di riconfigurazione

dinamica delle risorse. A tutto ciò si aggiunga che, grazie all'evoluzione dalla

fornitura di servizi fissi punto-punto, alla fornitura di servizi diretti all'utente, i

sistemi satellitari risultano molto utilizzati per garantire mobilità a largo raggio

(aeronautica e marittima) ed estendere le coperture delle reti terrestri sia fisse che

mobili. Oggi notevoli aspettative sono riposte anche nell'utilizzo del satellite per

l'accesso ad Internet, nonostante i limiti intrinseci di prestazioni derivanti dalle

caratteristiche "delay sensitive" proprie dei protocolli TCP, su cui le applicazioni

Internet si basano.

Page 251: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

234

A questo proposito si consideri che, per una tipica connessione Internet, è

necessario attraversare in media 17-20 nodi di rete mentre, nel caso di utilizzo di

un satellite, un solo salto consente di connettere punti a distanze notevoli (anche

su continenti diversi). In base a questi dati, è stato pianificato che la quantità di

capacità satellitare utilizzata per l'accesso ad Internet crescerà notevolmente nei

prossimi anni. Altri servizi tipicamente offerti dai sistemi satellitari riguardano la

telefonia e la diffusione, sia televisiva che radiofonica, per la quale risultano

particolarmente adatti. I sistemi attualmente in fase di sviluppo mirano all'offerta

di un'ampia gamma di servizi multimediali, che vanno dalla messaggistica e

trasmissione voce a basso ritmo, alle trasmissioni di immagini e video ad alta

definizione, per applicazioni tipo telemedicina e videoconferenza, nonché accesso

a larga banda alle basi di dati. L'UMTS/IMT2000 è il primo sistema di

telecomunicazioni concepito con il segmento satellitare perfettamente integrato

con la componente terrestre.

Esistono anche altre aree di applicazione dei sistemi satellitari, oltre alle già citate

telecomunicazioni (telefonate intercontinentali, tv via satellite, telefoni cellulari,

internet, ...). Esse principalmente sono:

meteorologia (studio dell’atmosfera terrestre, del tempo e del clima);

telerilevamento (tracciabilità della navigazione stradale);

navigazione (indicando alle navi e agli aerei le giuste rotte da seguire);

scopi militari (satelliti spia, sistemi antisatellite, …);

scopi scientifici (telescopi spaziali, …).

Il posizionamento dei satelliti è stabilito in relazione a due fattori:

− periodo orbitale;

− fasce di Van Allen.

Secondo quanto asserito dalla terza legge di Keplero, il periodo orbitale di un

satellite varia in base al raggio della sua orbita elevato alla potenza 3/2: più è alto

il satellite e più aumenta la lunghezza del suo periodo.

Page 252: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

235

Essa fornisce una precisa relazione tra la velocità con cui il satellite percorre in

ogni istante la sua orbita e la distanza del satellite stesso dalla Terra. In

particolare, i satelliti che sono più vicini alla terra si muovono molto più

velocemente dei satelliti che si trovano lontano da essa.

I satelliti in orbite circolari viaggiano ad una velocità sempre costante in ogni

punto della loro orbita, mentre i satelliti situati su orbite non circolari si muovono

più velocemente quando sono vicini alla Terra e più lentamente quando sono

lontani dalla Terra.

Nella scelta dell’orbita di un satellite si tiene anche conto della presenza delle

cosiddette “fasce di Van Allen”, zone altamente ionizzate che contengono

particelle molto cariche intrappolate nell’atmosfera terrestre e che, se attraversate,

comportano notevoli disturbi alle apparecchiature elettroniche di bordo.

Queste fasce (fig. b.1) sono localizzate in intervalli ad altitudini tra 1500-5000

Km (fascia interna o inferiore) e 15000-20000 Km (fascia esterna o superiore).

Fig. b.1: fasce di Van Allen

Le orbite dei satelliti possono essere classificate secondo due diversi criteri: il

primo si basa sulla loro geometria spaziale e le distingue in:

− orbite circolari (con il centro posto al centro della terra);

− orbite ellittiche (con uno dei fuochi posto al centro della terra).

Il secondo utilizza come metro di distinzione la quota dei satelliti:

− LEO (Low Earth Orbit): orbite circolari ad un’altezza variabile tra

200-1500 Km;

− MEO (Medium Earth Orbit) o ICO (Intermediate Circular Orbit):

orbite circolari ad un’altezza variabile tra 5000-22000 Km;

Page 253: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

236

− HEO (Highly Elliptical Orbit): orbite ellittiche con apogeo (punto più

lontano di un’orbita ellittica attorno alla terra) fino a 50000 Km di

altitudine;

− GEO (Geostationary Earth Orbit): orbite circolari equatoriali con

periodo uguale al periodo terrestre.

Non è facile per un satellite mantenere un’orbita circolare a causa di vari fattori,

quali la gravità solare, lunare e planetaria, che tendono ad allontanarli dall’orbita

prefissata, ma la dotazione di sistemi di correzione coadiuvati da motori a razzo

contrasta queste forze, realizzando l’attività di station keeping, che consente al

satellite di preservare gli orientamenti prestabiliti.

I satelliti geostazionari (GEO) sono posizionati su un’orbita a circa 35786 Km

dalla superficie terrestre e la loro rivoluzione è sincrona con il moto di rotazione

della terra. In pratica, da un osservatore situato sulla Terra, essi risultano in una

posizione fissa nel cielo.

L’elevata distanza dei satelliti GEO dal globo terrestre rende possibile un’ampia

copertura: essi hanno tipicamente una grande footprint (impronta del diagramma

di radiazione del satellite sulla superficie terrestre, si veda la fig. b.2), che può

arrivare addirittura fino al 34% della superficie terrestre. E’ chiaro, d’altra parte,

che questo rende più problematica l’operazione di riuso delle frequenze contro le

interferenze.

Fig. b.2: raffigurazione della footprint di un satellite con indicato il significato del termine

“elevazione”

Page 254: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

237

Con appena tre satelliti di questo tipo si riesce a coprire la quasi totalità della

superficie del pianeta; in realtà le calotte polari non possono essere raggiunte, a

causa della posizione dei satelliti fissata sul piano equatoriale. Già su aree con

latitudini sopra i 60° (angoli di elevazione piccoli) si cominciano ad avere effetti

di indebolimento del segnale.

Sono sistemi che richiedono apparati riceventi a terra estremamente semplici:

infatti, una volta stabilita la direzione di puntamento dell’antenna, la sua

posizione non deve essere più variata. Inoltre, sempre grazie al sincronismo tra

l’orbita GEO e la Terra, le comunicazioni tra satelliti e stazioni di terra non sono

interessate dall’effetto doppler, e l’orientazione del fascio di illuminazione del

satellite è fissato.

Data la notevole estensione della tratta, i segnali scambiati nelle comunicazioni

con satelliti geostazionari subiscono una forte attenuazione durante la loro

propagazione; si pensi che ad una distanza di 36000 Km l’attenuazione isotropica

è superiore ai 200 dB. Questo comporta necessariamente l’impiego di elevate

potenze in trasmissione. Per lo stesso motivo i segnali risultano anche molto

ritardati: tipicamente si registra un RTT (Round Trip Time, tempo che occorre per

compiere il tragitto satellite-Terra e viceversa) di circa 0.5 s, ritardo peraltro non

tollerabile nel caso di una normale conversazione telefonica full-duplex.

Accanto ad una configurazione spaziale tutto sommato semplice che non richiede

un sistema di controllo estremamente complesso (dai costi quindi piuttosto

contenuti), sono necessarie, per la messa in orbita dei satelliti, operazioni

altamente dispendiose.

Numerosi sono i settori in cui i satelliti geostazionari trovano applicazione, i più

importanti dei quali sono il broadcasting televisivo (fig. b.3) e radiofonico, il

servizio meteorologico, il servizio telefonico mobile marittimo ed il servizio

Internet.

Una delle aziende leader nel mondo per i servizi di telecomunicazioni via satellite

è senza dubbio Eutelsat s.p.a.; i suoi satelliti vengono utilizzati per trasmettere

canali televisivi e stazioni radio, inoltre soddisfano i requisiti di una vasta gamma

di servizi fissi e mobili per le telecomunicazioni, dalla trasmissione di contributi

Page 255: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

238

video agli studi televisivi, alla trasmissione dati per reti aziendali, oltre ad un

buon numero di applicazioni in banda larga per la connettività alla dorsale

Internet, per le comunicazioni terrestri e per le comunicazioni mobili, stradali

marittime e aeree.

Fig. b.3: schema semplificato del funzionamento della TV satellitare

Esempi di satelliti geostazionari utilizzati in campo meteorologico sono: i satelliti

europei Meteosat (attualmente ne sono attivi 4), i satelliti di costruzione

statunitense GOES (Geostationary Operational Environment Satellites), i

giapponesi GMS, ecc…(fig.b.4).

Fig. b.4: satelliti meteorologici

Page 256: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

239

I satelliti Meteosat sono posti in orbita geostazionaria sopra il Golfo di Guinea,

all'intersezione del meridiano di Greenwich (grado 0 di longitudine) con

l'equatore. La copertura è quasi emisferica e centrata sul punto sotto il satellite e

comprende quindi l'Europa, il Medio Oriente, l'Africa e l'Oceano Atlantico.

Questi satelliti funzionano anche da ripetitori delle immagini trasmesse da altri

satelliti geostazionari ed in tal modo è possibile disporre delle immagini di

qualsiasi zona della terra.

Interessante è il caso della combinazione delle proiezioni dei satelliti GOES e

Meteosat che genera una visione complessiva dello stato delle nubi, dagli Stati

Uniti all’Europa (fig. b.5).

Fig. b.5: immagine ottenuta dalla combinazione delle osservazioni di Meteosat + GOES

I satelliti caratterizzati da un’orbita ellittica (HEO) non sono molto diffusi; il loro

utilizzo si rende necessario qualora i sistemi ad orbita geostazionaria non

soddisfino i requirements di certe applicazioni. Ad esempio, con i satelliti HEO è

possibile coprire le calotte polari, che altrimenti non verrebbero raggiunte. Il costo

del lancio, in questo caso, è ridotto: infatti è sufficiente condurre il razzo vettore

Page 257: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

240

sul perigeo (punto più vicino di un’orbita ellittica attorno alla terra), che

tipicamente non si trova ad una distanza molto elevata, per far entrare in orbita il

satellite.

I satelliti che gravitano su orbite medie (MEO) sono collocati tra le due fasce di

Van Allen, hanno un tempo di visibilità massimo di circa un’ora e, mediamente,

per compiere un’intera rivoluzione attorno alla Terra impiegano circa 6 ore:

quindi per assicurare una copertura globale del pianeta bastano una decina di

satelliti.

I satelliti su orbite LEO, i più vicini alla superficie terrestre, rimangono in

visibilità radio per circa 20 minuti e hanno un periodo orbitale di 1.5 - 2 ore: per

garantire una copertura totale sono necessarie, questa volta, costellazioni molto

più ricche, di almeno 30 satelliti.

Da quanto si è detto finora, quindi, entrambe le categorie di satelliti LEO e MEO

non hanno orbite geostazionarie: questo fatto implica che questi satelliti risultano

in movimento relativo rispetto ad un utente che si trova fermo sulla Terra. Sono

perciò richiesti metodi di hand-over, affinché il terminale terrestre possa

effettuare, quando richiesto, uno switch della comunicazione tra un satellite ed un

altro, oppure tra un beam ed un altro dello stesso satellite.

Inoltre, nelle comunicazioni con satelliti di questo tipo entrano in gioco fenomeni

di effetto doppler, in maniera decisamente più marcata, come è logico attendersi,

nel caso dei satelliti LEO. Di conseguenza sono necessarie misure opportune che

contrastino questi effetti.

I satelliti LEO e MEO presentano comunque alcuni vantaggi: i segnali trasmessi

nei collegamenti con tali satelliti sono molto meno ritardati ed attenuati rispetto al

caso geostazionario (orbita LEO→RTT < 20 ms; orbita MEO→RTT < 50 ms).

Inoltre i costi relativi al lancio in orbita dei satelliti sono più bassi.

Le peculiarità specifiche dei sistemi satellitari ad orbite basse e medie rendono

ciascuno di questi più adatto ad un certo scenario applicativo.

I satelliti MEO sono utilizzati principalmente per servizi di telefonia mobile e di

posizionamento/navigazione, mentre i satelliti LEO trovano impiego soprattutto

nei servizi di trasferimento dati (“Little LEO”), di telefonia mobile (“Big LEO”) e

Page 258: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

241

di telecomunicazioni di dati ad alta velocità e larga banda, ad es. videoconferenze

(“Broadband LEO”).

Fra le costellazioni MEO attualmente in orbita attorno alla Terra, meritano una

particolare attenzione i sistemi GPS, GLONASS e Galileo (quest’ultimo ancora in

fase di progetto).

Il sistema GPS (Global Positioning System), avviato dagli U.S.A. a partire dagli

anni ‘70 e completato nel 1993, è stato realizzato per motivi principalmente

militari, per rispondere all’esigenza del Ministero della difesa degli Stati Uniti di

seguire il percorso di mezzi militari sulla terraferma ed in mare in modo da

localizzarne la posizione in ogni momento e consentirne eventuali operazioni di

supporto e di salvataggio.

Esso è un sistema di radiolocalizzazione globale che utilizza 24 satelliti artificiali,

divisi in gruppi di quattro (6 × 4 = 24) che ruotano attorno alla terra alla quota di

circa 20200 Km in orbite distanti fra loro di un angolo di 60° (6 × 60°=360°) e

formanti un angolo di 55° rispetto al piano equatoriale (fig. b.6 a sin.).

Di questi satelliti, 21 sono attivi, mentre tre sono di scorta, cioè sono in attesa di

entrare in funzione quando qualcuno dei 21 cesserà di essere attivo.

Il sistema GPS consente di determinare la propria posizione sulla superficie

terrestre, ed anche la quota se si è in aereo, ed è attivo oggi in qualunque punto

della terra, dall’equatore ai poli ed in qualunque punto sperduto dei deserti o delle

grandi città.

E’ necessario disporre con sé di un ricevitore GPS, il quale intercetta a terra il

segnale a microonde generato dai satelliti in orbita che, a turno, transitano nella

volta celeste. Visto il numero, l’orbita ed il periodo di rotazione dei satelliti, di cui

si è già parlato, risulta che, in ogni istante, sono in visibilità radio in media da

cinque ad otto satelliti che si alternano in quota.

I satelliti GPS generano due diversi segnali di tipo numerico, che vengono

chiamati L1 ed L2, alle frequenze rispettivamente di 1.5 e 1.2 GHz circa, modulati

in PSK: il primo serve per la localizzazione grossolana, quella di tipo civile, il

secondo per la localizzazione più precisa, di tipo militare.

Page 259: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

242

Il primo segnale consente la determinazione della propria posizione con un errore

di circa 100 metri; il secondo, invece, permette misurazioni con errori che vanno

da 10 a 50 cm. Mentre il primo segnale è trasmesso in chiaro, il secondo, invece, è

trasmesso in codice segreto e non è accessibile se non al Ministero della difesa

degli Stati Uniti che lo utilizza esclusivamente per la propria sicurezza e non lo

rende noto a tutti per evitare che possa essere utilizzato contro gli interessi degli

Stati Uniti da criminali o da stati nemici.

I ricevitori GPS commerciali, oggi dal costo molto contenuto, consentono di

sintonizzarsi automaticamente sulle frequenze dei suddetti satelliti; dopo un

tempo di ricerca e di elaborazione dei dati ricevuti dell’ordine di pochi minuti,

sono in grado, individuando la distanza di almeno quattro satelliti (fig. b.6 a

destra), di determinare la propria posizione geografica sulla superficie terrestre in

termini di latitudine e longitudine, comprendendo eventualmente la quota se si è

in montagna o in aereo.

Fig. b.6: costellazione del sistema GPS (sin.) e rilevazione della posizione di un punto mediante i

segnali ricevuti da 4 satelliti (destra)

Il GLONASS (GLObal NAvigation Satellite System) è un sistema satellitare di

posizionamento globale realizzato dall’Ex Unione Sovietica più o meno in

concomitanza con il GPS americano. Il primo lancio di satelliti risale al 12 ottobre

1982, la costellazione si è completata con 24 satelliti nel 1997.

Negli anni la Russia non ha avuto la forza economica per mantenere attiva l'intera

costellazione. Ma nel 2002 è stato dato il via al programma di rilancio del sistema

Page 260: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

243

satellitare GLONASS, che prevede 18 satelliti entro il 2007, e dovrà raggiungere

nuovamente il numero di 24 satelliti entro il 2010. Il programma prevede il lancio

di due o tre razzi l'anno, ciascuno dei quali porterà nello spazio due o tre satelliti.

GPS e GLONASS sono sistemi molto simili, ma alcune differenze sono

significative:

1) il GLONASS non ha nessun degrado della precisione (anche se il suo

grado di accuratezza rimane al di sotto di quello del GPS) né

crittografia dei segnali (è totalmente in chiaro);

2) i satelliti GLONASS ruotano su 3 piani separati da un angolo di 120°,

con 8 satelliti per ogni piano, separati tra di loro da un angolo di 45°;

3) l’inclinazione dei piani orbitali rispetto al piano dell'equatore è di:

64.8°;

4) l'altitudine è di 19140 Km e ogni satellite completa un'orbita in 11 h e

15 m;

5) ogni satellite GLONASS ha proprie frequenze, determinate in base ad

un fattore variabile (comunque anche in questo caso ogni satellite

trasmette sia L1 che L2).

Nonostante le considerevoli differenze tecniche fra i due sistemi, esistono alcuni

fra i migliori ricevitori GPS che possono ricevere sia l’uno che l’altro sistema ed

ottenere una precisione complessiva simile a quella del sistema codificato militare

americano, cioè di quasi mezzo metro, risparmiando notevolmente nei tempi di

acquisizione.

Allo statunitense GPS e al russo GLONASS si affiancherà Galileo, un altro

sistema di radiolocalizzazione satellitare, frutto di un accordo siglato tra l’Unione

Europea e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e a cui stanno aderendo anche altri

paesi extraeuropei.

La sua entrata in servizio è prevista per il 2008 ma è molto probabile uno

slittamento al 2010, e conterà su 30 satelliti orbitanti attorno alla Terra, ad una

distanza di circa 23616 Km da essa, su piani orbitali inclinati di circa 56° rispetto

all’equatore (fig. b.7).

Page 261: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

244

Fig. b.7: rappresentazioni artistiche della costellazione (sin.) e di un satellite (destra) del futuro

sistema Galileo

Di questi, 27 saranno operativi e 3 saranno disponibili per la sostituzione in caso

di necessità.

Ad oggi sono previsti dei lanci di alcuni satelliti per effettuare i primi test.

I principali scopi di Galileo sono:

• una maggior precisione a tutti gli utenti rispetto a quella attuale;

• una migliorata copertura dei segnali dai satelliti, soprattutto per le

regioni a più alte latitudini;

• un sistema di posizionamento globale che possa sempre funzionare

anche in tempi di guerra.

Diversamente dal sistema GPS, sviluppato dal Dipartimento della Difesa degli

Stati Uniti d'America (che si riserva il diritto di ridurre la copertura del segnale,

l’accuratezza o sospendere del tutto il servizio in qualunque momento), Galileo è

rivolto al settore civile-commerciale. Il sistema europeo sarà quindi sempre

disponibile sia ai civili che ai militari con la massima accuratezza. Un ritorno

economico per le industrie europee si avrà anche con la produzione dei ricevitori,

mentre ora con il GPS il mercato è esclusivamente americano.

Accanto alle applicazioni dei sistemi satellitari nei servizi di

posizionamento/navigazione, rivestono enorme importanza anche quelle nei

servizi di telefonia mobile satellitare.

Page 262: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

245

Sebbene questi ultimi possano essere offerti con successo da entrambi i sistemi

MEO e LEO, senza dubbio l’orbita bassa caratteristica dei satelliti LEO rende

questi ultimi maggiormente adatti a tali applicazioni: infatti la maggiore vicinanza

alla superficie terrestre permette di ottenere fasci di trasmissione maggiormente

focalizzati e quindi comunicazioni molto più chiare e forti.

Il sistema IRIDIUM, per esempio, è stato concepito proprio per comunicazioni

cellulari con copertura globale, al fine di permettere qualsiasi tipo di trasmissione

(voce, messaggi, fax, dati) in qualunque luogo sulla Terra e a qualsiasi condizione

ambientale.

La copertura globale viene fornita da una costellazione di 66 satelliti a bassa quota

(inizialmente erano 77) a 780 Km dalla superficie terrestre, che offrono la stessa

qualità di trasmissione dei network cellulari terrestri, eliminando il ritardo tipico

dei satelliti geostazionari. I satelliti sono posizionati su 6 orbite polari circolari (i

piani orbitali sono inclinati di 86° rispetto all’equatore) ed ogni piano orbitale

contiene 11 satelliti operativi ed 1 satellite di riserva (fig. b.8).

Fig. b.8: rappresentazione della distribuzione orbitale della costellazione del sistema IRIDIUM

I satelliti IRIDIUM sono stati costruiti nella divisione SATCOM di Motorola in

Arizona utilizzando un processo di produzione di massa potendo cosi costruire tre

satelliti in appena tre settimane, invece dei tre anni necessari con le tecnologie

precedenti.

Il sistema IRIDIUM utilizza la tradizionale rete GSM laddove è presente, mentre

fa uso dei propri satelliti in aree non coperte da tale rete. Uno degli aspetti più

avveniristici consisteva nel fatto che non appena questo tipo di cellulare veniva

Page 263: ANALISI DI ALGORITMI ADATTATIVI DI BEAMFORMING …

Appendice B Comunicazioni satellitari

246

accesso il satellite determinava immediatamente la posizione e la disponibilità di

reti alternative a quella satellitare. Perciò se non è disponibile una rete tradizionale

GSM il cellulare comunica direttamente con il satellite che trasmette la chiamata

di satellite in satellite fino a raggiungere la sua destinazione, sia questa un altro

telefono IRIDIUM oppure un gateway di collegamento terrestre.

Tra tutte le reti satellitari presenti, il sistema IRIDIUM è il più costoso ed il più

sofisticato, principalmente per la caratteristica propria dell’ISL (InterSatellite

Link). L'utilizzo di questa funzionalità ha incrementato la complessità del network

rendendo necessari ulteriori apparecchi a bordo dei satelliti, che hanno aumentato

il consumo di energia a bordo, rendendo necessarie maggiori risorse. Le ampie

dimensioni di questi satelliti hanno richiesto anche maggiori investimenti per il

posizionamento in orbita e le successive manovre di posizionamento.

Le conversazioni degli abbonati di IRIDIUM vengono fatturate secondo le tariffe

di telefonia cellulare del proprio gestore GSM, quando si è collegati col network

terrestre e secondo le tariffe di IRIDIUM quando si effettua il roaming nella

costellazione satellitare.

Il sistema IRIDIUM continua inoltre a fornire il servizio anche in caso di

terremoti, uragani, inondazioni e disastri naturali, anche se una o più stazioni di

terra (gateway) venissero distrutte; la continuità del servizio è garantita dall’ISL

con cui è possibile instradare le chiamate attraverso i satelliti verso un qualunque

altro gateway. Questa caratteristica insieme al fatto che le comunicazioni non

sono influenzate dalle condizioni atmosferiche, rende l’IRIDIUM un importante

mezzo di soccorso in caso di calamità o disastri.

Sull’esempio di IRIDIUM sono nati altri sistemi satellitari in grado di offrire

servizi di radiotelefonia, anche se molti non hanno riscosso il dovuto successo

commerciale.

Ad esempio Globalstar (fig. b.9 a sinistra) è un sistema di telecomunicazione a

tecnologia numerica, supportato da 48 satelliti orbitanti a bassa quota (1410 Km),

che per primo è riuscito a integrarsi perfettamente con le reti di telecomunicazione

terrestre, offrendo servizi simili a quelli delle reti GSM, attraverso un telefono

palmare a tecnologia satellitare.

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Appendice B Comunicazioni satellitari

247

Questi servizi sono utilizzati da coloro che hanno la necessità di contattare le

proprie unità nel territorio, come per esempio un’azienda di trasporti o una flotta

mercantile, ma anche dalle stesse forze armate.

I telefoni fissi Globalstar guideranno le telecomunicazioni nei paesi con economie

in via di sviluppo, in quanto non richiedono sul luogo di utilizzo di grandi

infrastrutture.

Il segnale inviato da terra raggiunge il satellite che lo reindirizza nei gateway

locali (cioè terrestri, a differenza di quanto accade nel sistema IRIDIUM),

offrendo così un servizio ad alta economicità e consentendo di fare e ricevere

telefonate con la stessa facilità di un normale telefono cellulare.

Il sistema si evidenzia per due peculiarità uniche: la path diversity assieme al soft

hand-off impediscono la caduta della linea in quanto l’utente è coperto

contemporaneamente da 2 o 3 satelliti. Questo sistema permette continuamente di

passare da un satellite all’altro senza perdere la linea e senza provocare

interruzioni o rallentamenti.

Degno di menzione è il progetto (Teledesic), concepito nel 1993 da Craig

McCaw, pioniere della comunicazione cellulare, e da Bill Gates, fondatore di

Microsoft, di creare una rete di 840 satelliti LEO, in grado di consentire non solo

collegamenti telefonici satellitari, ma anche trasmissioni di dati multimediali e

soprattutto accesso alla rete Internet ad alta velocità (fig. b.9 a destra).

Era una proposta molto ambiziosa e dai costi proibitivi (si era prevista una spesa

complessiva intorno ai 9 miliardi di dollari), tanto da essere duramente criticata e,

conseguentemente, non è stata presa in considerazione.

Fig. b.9: raffigurazione della distribuzione orbitale delle costellazioni Globalstar (sin.) e Teledesic

(destra)

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