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8/8/2019 Analisi Vettoriale
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ANALISI VETTORIALEGiovanni Maria Troianiello
28 novembre 2010
Indice
1 Approfondimenti sullintegrale di Riemann 3
2 Integrali impropri e serie 5
3 Criterio del confronto, convergenza assoluta, convergenza condizionata 7
4 Integrali di Riemann dipendenti da parametri 11
5 Integrali impropri dipendenti da parametri 15
6 Il Teorema di Dini per funzioni scalari 19
7 Il Teorema di Dini per sistemi 23
8 Massimi e minimi vincolati 25
9 Un primo rapido approccio agli integrali doppi 29
10 Integrale delle funzioni a scala 33
11 Integrale superiore e integrale inferiore 34
12 Integrale doppio di Riemann 37
13 Alcune estensioni 41
14 Cambiamenti di variabili 44
1
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15 La formula di GaussGreen 52
16 Funzioni a valori complessi e operatori differenziali lineari 55
17 Una prima separazione delle variabili 59
18 La separazione della variabili in generale 60
19 Equazioni differenziali esatte 63
20 Lequazione di Bernoulli 65
21 Lequazione del II ordine 67
22 Lequazione omogenea 69
23 Il metodo dei coefficienti indeterminati per le equazioni del II ordine 71
24 La risonanza 73
2
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1 Approfondimenti sullintegrale di Riemann
Nello studio dellintegrabilita secondo Riemann e di tanti altri argomenti! un ruolo fonda-mentale e svolto dalla nozione di uniforme continuita in un insieme I. Si tratta della proprietadi cui diciamo che gode una funzione f : I R se ad ogni > 0 si puo associare un = > 0tale che |f(x) f(x)| < per ogni coppia di punti x, x I con |x x| < .
Ogni f lipschitziana in I, cioe tale che esista una costante K > 0 per la quale |f(x) f(x)| K|x x| al variare di x, x in I, e uniformemente continua: basta prendere = /K.
Se I e un intervallo sia chiuso che limitato una f C1(I) vi e uniformemente continua. Infattila sua derivata f e dotata in I di massimo e di minimo assoluti per il Teorema di Weierstrass, edi conseguenza e soddisfatta la condizione di Lipschitz: |f(x) f(x)| (maxI |f|)|x x| perx, x I grazie al Teorema di Lagrange.
Notiamo tuttavia che una comunissima funzione come
x non e C1, e non e lipschitziana, inI = [0, 1]. Vi e, comunque, uniformemente continua? S, semplicemente perche vi e continua, maquesto lo vedremo solo nelle considerazioni finali di questa sezione.
Affrontiamo alla luce delluniforme continuita il criterio di integrabilita di una funzione f definitae limitata nellintervallo chiuso e limitato I = [a, b]. Affinche esista lintegrale (di Riemann) di f enecessario e sufficiente che ad ogni > 0 si possa associare una partizione {x0 = a < x1 < x2 < < xm = b} di [a, b] tale che
mh=1
sup
]xh1,xh[f inf
]xh1,xh[f
(xh xh1) < . (1)
Ma quando f e continua negli [xh1, xh] esistono
sup]xh1,xh[
f = max[xh1,xh]
f = f(xh), inf]xh1,xh[
f = min[xh1,xh]
f = f(xh)
per opportuni xh, xh [xh1, xh], sicche la condizione (1) diventa
mh=1
f(xh) f(xh)
(xh xh1) < .
Questultima disuguaglianza e immediata quando in piu si sa che f e uniformemente continua in[a, b]: richiedendo che xhxh1 < per h = 1, . . . , m, con > 0 tale che |f(x)f(x)| < /(ba)per ogni coppia di punti x, x I con |x x| < , si ottiene
mh=1
f(xh) f(xh)
(xh xh1) <
b am
h=1
(xh xh1) = .
E perche valga luniforme continuita una condizione sufficiente, come abbiamo visto, e che f sialipschitziana, o piu sbrigativamente che stia in C1([a, b]). Pero con questo approccio gia non siottiene, ad esempio, lintegrabilita di
x, 0 x 1. E dunque chiaro che vale la pena di passare
ad un criterio di integrabilita un po piu maneggevole. Eccolo:
Teorema 1.1. Una funzione limitata f : [a, b] R e integrabile se e di classe C1 al di fuori di unnumero finito di punti 0, . . . , n .
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DIM. Ci si convince facilmente ricorrendo se necessario ad una opportuna suddivisione dellinter-vallo in sottointervalli che non e restrittivo limitarsi al caso che f sia di classe C1 in tutto [a, b]privato solo di un estremo, diciamo di 0 = b per fissare le idee.
Dato arbitrariamente > 0 scegliamo innanzitutto un B ]a, b[ tale che2sup[a,b]
|f|(b B) < 2
. (2)
Applicando poi luniforme continuita di f in [a, B] otteniamo lesistenza di un > 0 tale che
|f(x) f(x)| < 2(b a)
per tutti i punti x, x di tale intervallo che verificano |x x| < .Sia {x0 = a < < xm1 = B < xm = b} una partizione di [a, b] con xh xh1 < per
h = 1, . . . , m
1. Allora, servendoci fra laltro delle maggiorazioni
sup]xm1,xm[
f inf]xm1,xm[
f sup]xm1,xm[ f
+ inf]xm1,xm[
f
2sup[a,b]
|f|,
otteniamom
h=1
sup
]xh1,xh[f inf
]xh1,xh[f
(xh xh1)
=m1h=1
f(xh) f(xh)
(xh xh1) +
sup
]xm1,xm[f inf
]xm1,xm[f
(xm xm1)
2(b a)
m1h=1
(xh xh1) + 2
sup[a,b]
|f|
(b B) <
2(b a) (b a) +
2= .
Ne segue che la (1) e soddisfatta, e quindi che f e integrabile.
Questo teorema si applica subito per esempio a
x, che e C1 in ]0, 1] e C0 in [0, 1], quindilimitata, ma anche a funzioni che in alcuni o tutti gli k presentino un numero finito di veri e proprisalti (discontinuita).
Torniamo adesso dal punto di vista piu generale sulla nozione di uniforme continuita in uninsieme I. E facile convincersi che essa implica la continuita in ogni punto di I: anzi, a primavista verrebbe fatto di dire che si tratti proprio della stessa cosa. E invece no, perche non vale ilviceversa, come mostrano i seguenti esempi.
Esempio 1.1. Sia I =]0, 1] (intervallo limitato, ma non chiuso). La funzione f(x) = sin(1/x) edi classe C0(I), ovvero continua in ogni punto di I, ma non uniformemente in I: la quantitaf(1/(2n + /2)) f(1/(2n)) = sin(2n + /2) sin(2n) e sempre = 1, dunque > nonappena < 1, nonostante che per ogni scelta di > 0 si possano sempre trovare infiniti n tali che0 < 1/(2n) 1/(2n + /2) < .
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Esempio 1.2. Sia I = [0, [ (intervallo chiuso, ma non limitato). La funzione f(x) = x2 e diclasse C0(I), ovvero continua in ogni punto di I, ma non uniformemente in I: per ogni scelta di > 0 e di x0 1/ la quantita f(x0 + /2) f(x) = (2x0 + /2)/2 e > x0 1, dunque > nonappena < 1, e questo nonostante tutti i punti x0, x0 + /2 con x0 1/ distino meno di .
Si noti che in ciascuno dei due esempi la f e di classe C1, anzi C, nellintervallo I in cuie stata definita, ma con derivata f illimitata come ovvio, altrimenti il teorema di Lagran-ge implicherebbe la lipschitzianita (con costante di Lipschitz K = supI |f
|) e quindi luniformecontinuita.
Ebbene: limportantissimo Teorema di HeineCantor afferma che quando I e un sottoin-sieme sia chiuso che limitato di R, anzi piu in generale di un qualunque RN (con la distanza tradue punti al posto del modulo della differenza di due numeri), ogni f : I R continua in I,come ad esempio
x in I = [0, 1], vi e uniformemente continua. Questo ci consente di riformulare,
nella portata piu generale che e in effetti la sua, la condizione di integrabilita fornita dal Teorema1.1. Nella dimostrazione abbiamo infatti sfruttato in modo essenziale luniforme continuita di f in[a, B], e per ottenerla ci siamo serviti dellipotesi che l f sia di classe C1. Alla luce del Teoremadi HeineCantor possiamo adesso dire che basta molto meno, e cioe che il Teorema 1.1 vale con laclasse C1 dellipotesi sostituita dalla classe C0:
Teorema 1.2. Una funzione limitata f : [a, b] R e integrabile se e continua al di fuori di unnumero finito di punti 0, . . . , n .
Nel seguito, pur senza aver dimostrato il Teorema di HeineCantor, faremo il piu delle volteriferimento (magari tacito) al Teorema 1.2 invece che all1.1.
2 Integrali impropri e serie
Per < a < b indichiamo con f una funzione [a, b[ R integrabile secondo Riemann da aad B per ogni B ]a, b[.
Se aggiungiamo le ipotesi che (i) b sia finito e (ii) f sia limitata, la funzione e dotata di integraledi Riemann da a a b, con
b
af(x) dx = lim
Bb B
af(x) dx. (3)
Dato arbitrariamente > 0, infatti, sia B ]a, b[ come nella (2) e sia {x0 = a < < xm1 = B}una partizione di [a, B] per la quale, grazie allipotesi di integrabilita su [a, B], risulti
m1h=1
sup
]xh1,xh[f inf
]xh1,xh[f
(xh xh1) <
2.
Allora {x0 = a < < xm1 = B < xm = b} e una partizione di [a, b] per la quale risulta
mh=1
sup
]xh1,xh[f inf
]xh1,xh[f
(xh xh1) <
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(cfr. la dimostrazione del Teorema 1.1), da cui lintegrabilita secondo Riemann di f su [a, b]. Chepoi valga la (3) e conseguenza immediata di
ba
f(x) dx Ba
f(x) dx = b
Bf(t) dt
sup[a,b]
|f|(b B) < /2.
Lasciamo cadere almeno una tra la (i) e la (ii). Il primo membro della (3) non ha piu sensocome integrale di Riemann: lo chiamiamo integrale improprio di f da a a b. Il limite nel secondomembro (con lintesa che b si legga come se b = ) non e detto che esista, ne, se esiste, chesia finito. Se esiste diciamo che il suo valore e quello dellintegrale improprio a primo membro, chechiamiamo convergente o divergente a seconda che sia finito o no.
In maniera analoga a quanto abbiamo appena visto si affronta poi il caso di una funzione fdefinita su un ]a, b], dove a < b < , e integrabile secondo Riemann su ogni sottointervallo[A, b], a < A < b, col valore dellintegrale improprio dato da
b
af(x) dx = lim
Aa+
b
Af(x) dx (4)
nel caso che il limite esista (e con lintesa che a+ si legga come se a = ).Se infine f e una funzione definita su un ]a, b[ con a < b e integrabile secondo
Riemann su ogni sottointervallo [A, B] con a < A < B < b, il suo integrale improprio da a a b vale
ba
f(x) dx = limAa+,Bb
BA
f(x) dx (5)
nel caso che entrambi i limiti indipendenti! esistano senza essere uguali uno a + e laltroa .Esempio 2.1. (i) Sia f(x) = x, 0 < K x < . La funzione
BK
x dx
vale (B1 K1)/(1 ) se = 1 e log B log K se = 1. Ne segue che x e dotata diintegrale improprio da 1 a convergente (e uguale a K1/(1)) o divergente (a +) a secondache > 1 o 1.
(ii) Sia f(x) = x, 0 < x K < . La funzione
K
Ax dx
vale (K1 A1)/(1 ) se = 1 e log K log A se = 1. Ne segue che x e dotata diintegrale improprio da 0 a 1 convergente (e uguale a K1/(1 )) o divergente (a +) a secondache < 1 o 1.
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3 Criterio del confronto, convergenza assoluta, convergenza con-
dizionata
Una serie reale
n=Kan (dove K e qualche naturale) si puo scrivere come integrale improprio dellafunzione
[K, [ x
n=K
an1[n,n+1[(x)
(che su ogni intervallo limitato soddisfa lipotesi del Teorema 1.1 e di conseguenza e integrabile). Ciorende interessante, nel contesto dellintegrazione impropria, approfondire alcune questioni relativealle serie.
Ricordiamo il criterio del confronto per le serie a termini non negativi: se due successionireali {an} e {bn} verificano definitivamente
0 an bnla convergenza della
bn implica quella della
an, mentre la divergenza della
an implica quella
della
bn.Quando i termini di una serie soddisfano, da un certo punto in poi, le disuguaglianze strette
an > 0, unutile applicazione del criterio del confronto e il criterio del rapporto: condizionesufficiente affinche
an converga e che esista un numero ]0, 1[ tale che
an+1/an per n K (6)
dove K e un opportuno naturale. Infatti dalle disuguaglianze
aK+1 aK, aK+2 aK+1, . . . , an+K an1+K
si ricava chean+K an+K1 aK+1n1 aKn
e quindi che la serie
n an+K e maggiorata termine a termine dalla serie convergente
n aKn
(prodotto di una costante per la serie geometrica di ragione ). Se il rapporto an+1/an tende aun limite L < 1, la (6) vale con un qualunque fissato in ]L, 1[ a patto di prendere K = K()sufficientemente grande.
Esempio 3.1. (i) Siccome
1(n + 1)!
n! = 1n + 1
0 per n
la serie
n 1/n! converge (e si dimostra che la sua somma e e).(ii) La serie
n n!/n
n converge perche
(n + 1)!
(n + 1)n+1nn
n!=
n
n + 1
n=
1 1
n + 1
n 1
e< 1.
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Se an+1/an tende a un limite L > 1 la serie diverge, perche per un opportuno N i suoiaddendi verificano an+1/an 1 per n , e quindi a+p a per p N: viene meno la condizionean 0 che sappiamo essere necessaria per la convergenza.
Se an+1/an 1 puo accadere sia che la serie converga, come la n con > 1, e sia chediverga, come la n con 1.E se i termini an della serie non sono di segno costante? Si puo passare allo studio della serie
|an| dei moduli e controllare se converge. In tal caso, essa soddisfa la condizione di Cauchy. Maallora soddisfa la condizione di Cauchy anche la
an: infatti il primo membro della disuguaglianza
|an+1 + an+1 + + an+1| |an+1| + |an+1| + + |an+1|
e minore di > 0 se lo e il secondo membro. Ne segue allora anche la convergenza, che chiamiamo
assoluta, della serie di partenza
an.Torniamo agli integrali impropri. Nella maggior parte dei casi di specifiche funzioni bisogna
aspettarsi che il calcolo esplicito dei limiti che compaiono nelle formulazioni generali a secondomembro della (3) o della (4) o della (5) si riveli semplicemente impossibile. E dunque utile poterdisporre di un criterio di convergenza/divergenza di integrali impropri, che riguarda funzioni nonnegative e costituisce la generalizzazione del criterio del confronto per serie a termini non negativi.
Teorema 3.1 (del confronto). Siano f, g : [a, b[ R, dove < a < b , funzioni entrambeintegrabili secondo Riemann da a a B per ogni B [a, b[ ma ne luna ne laltra da a a b, con
0 f(x) g(x) per a x < b. (7)
Allora lintegrale improprio daa ab dif converge se converge quello di g, mentre quello dig divergese diverge quello di f.
DIM. Dalla (7) segue che Ba
f(x) dx Ba
g(x) dx.
Entrambi gli integrali sono funzioni crescenti della B dal momento che i loro integrandi sono 0,e di conseguenza ammettono limite per B b. La conclusione segue subito.
Proseguiamo con lanalogia al (e in effetti con la generalizzazione del) caso delle serie. Su[a, B] [a, b[ lintegrabilita secondo Riemann di f implica quella del modulo |f|, della parte positivaf+ e della parte negativa f; se da a a b converge lintegrale improprio di |f| diciamo che quellodi f converge assolutamente, e grazie al Teorema del confronto vale il
Teorema 3.2. Per < a < b lintegrale improprio di una f : [a, b[ R, integrabile secondoRiemann da a a B per ogni B [a, b[ ma non da a a b, se e assolutamente convergente e ancheconvergente.
DIM. Siccome0 f+, f |f|
la convergenza dellintegrale improprio di |f| implica quella degli integrali impropri di f+ e di f,dunque quella di f = f+ f.
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Il precedente enunciato non si inverte: puo ben accadere che un integrale improprio convergama non assolutamente, ovvero che converga condizionatamente.
Esempio 3.2. Lintegrale improprio (detto di Dirichlet)
D =
0
sin x
xdx
converge condizionatamente. Per vedere questo basta limitarsi allintervallo di integrazione [1, [,visto che lintegrando, posto uguale a un qualunque numero reale per x = 0, e integrabile secondoRiemann da 0 a 1.
Per 1 < K < si ottiene, integrando per parti,K1
sin x
xdx =
cos xx
K
1K1
cos x
x2dx.
Siccome lintegrando nel secondo membro e maggiorato in valore assoluto dalla funzione x2 che edotata di integrale improprio convergente da 1 a , il limite per K esiste finito. Dunque De un integrale improprio convergente. Non assolutamente convergente, pero:
(2k+1)2k
| sin x|
xdx =
(2k+1)2k
sin x
xdx
1(2k + 1)
(2k+1)2k
sin x dx =1
(2k + 1)cos x
(2k+1)2k
=2
(2k + 1)
e quindi
D k=1
(2k+1)2k
| sin x|x dx k=1
1(k + 1) = .
In maniera analoga si verifica che lintegrale improprio
J =
1
cos xx
dx
converge, ma non assolutamente.A questo punto si verifica anche che converge, ma non assolutamente, lintegrale improprio
F =
1
sin x2 dx :
la sostituzione y = x2 da infatti
F =1
2
1
sin yy
dy =1
2J.
Il prossimo esempio estende, a partire dallEsempio 2.1, la classe delle funzioni su cui appoggiarsiper lutilizzo pratico del criterio del confronto.
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Esempio 3.3. (i) Lintegrale improprio su R di 1/(1+ |x|) converge o diverge a seconda che > 1o 1. Per convincersene basta limitarsi alla semiretta x K > 0 (per K x K non ci sonoproblemi e per x K si utilizza la simmetria del modulo): siccome limx x/(1 + x) = 1,esiste un K > 0 tale che x
2 1
1 + x 2x per x K
e si conclude tenendo conto dellEsercizio 2.1 (i).(ii) Per < a < b < gli integrali impropri di 1/(xa) e di 1/(bx) da a a b convergono
o divergono a seconda che < 1 o 1. Infatti si vede, sostituendo y = xa nel primo e y = bxnel secondo, che entrambi sono uguali a ba
0
dy
y
e per concludere si tiene conto dellEsercizio 2.1 (ii).
Il criterio del confronto per la convergenza/divergenza degli integrali impropri si puo applicare inparticolare ad una serie
n an (a termini 0) quando esiste una funzione f continua e decrescente
in una semiretta [K, [ (K N) che verifica f(n) = an e quindi an+1 f(x) an. In tal casoinfatti risulta
an+1 n+1n
f(x) dx anda cui
n=K
an+1 K
f(x) dx
n=K
an,
e si arriva al criterio integrale di convergenza o divergenza per le serie: se lintegrale improprio dif converge, converge
n an+1 e quindi anche
n an; se lintegrale improprio di f diverge,
n andiverge.
Questo criterio puo rivelarsi uno strumento prezioso quando gli altri criteri sono di applicazioneun po troppo complicata. Si pensi gia alla serie armonica generalizzata
n: dallEsempio 2.1
segue subito la convergenza o la divergenza a seconda che 1 o > 1. Ancora piu illuminantee il caso della
(n log n)1: il confronto con le serie armoniche generalizzate non fornisce nessuna
informazione che permetta di concludere, mentre basta osservare che la funzione (x log x)1, essendola derivata di log(log x), ha integrale improprio divergente, per ottenere la divergenza della serie.
Lanalogia tra integrali impropri e serie deve peraltro essere maneggiata con cautela. Se, adesempio, una serie an converge, sia pure solo semplicemente, il suo termine generale an e infinite-simo per n , mentre se lintegrale improprio di una funzione f su un intervallo superiormenteillimitato converge non e affatto detto che f(x) 0 per x : si pensi a f(x) = sin x2, 1 x < (Esempio 3.2), o ancora meglio alla funzione
f(x) =n=1
n1[n,n+1/n3](x),
addirittura illimitata su ogni semiretta [K, [ eppure dotata di integrale improprio assolutamenteconvergente uguale a
n=1 1/n
2. Dunque non si puo pensare di estendere dalle serie agli integraliimpropri una qualche versione puntuale! del criterio di convergenza di Cauchy (e infattiper dimostrare col Teorema 3.2 che la convergenza assoluta implica la convergenza siamo ricorsi alTeorema del confronto 3.1, mentre per le serie si utilizza tranquillamente Cauchy).
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4 Integrali di Riemann dipendenti da parametri
Nel corso di Calcolo 1 si incontrano delle particolari, e importantissime, funzioni definite medianteintegrali: quelle della forma [c, d] x xc f(t) dt. Passiamo adesso allambito delle funzioni dipiu variabili, servendoci in maniera rilevante delluniforme continuita di una funzione continua inun chiuso e limitato C garantita dal Teorema di HeineCantor 1.
Cominciamo col
Teorema 4.1. Sia f una funzione continua in I [c, d] con I intervallo chiuso e limitato, 0 un = > 0 tale che
|f(x, t) f(x0, t)| per t [c, d]
e quindi, maggiorando in modulo lincremento
F(x) F(x0) =dc
[f(x, t) f(x0, t)] dt,
ottenere
|F(x) F(x0)| dc
|f(x, t) f(x0, t)| dt (d c)
purche x I verifichi |x x0| . Cio mostra la continuita in x0.Passiamo alla derivabilita in x0, sfruttando stavolta luniforme continuita in I [c, d] della
funzione fx. Sia dunque dato arbitrariamente > 0, e sia = > 0 tale che
|fx(x, t) fx(x0, t)| per t [c, d] (9)se x I con |x x0| . Sia 0 < |h| tale che x0 + h I. Applichiamo il teorema di Lagrange:ad ogni t [c, d] corrisponde un ]0, 1[, che dipende anche da h, tale che
f(x0 + h, t) f(x0, t)h
= fx(x0 + h, t)
1Anche in piu variabili luniforme continuita in C segue, senza passare per HeineCantor, da proprieta piu fortidella continuita, come la lipschitzianita. Ma questultima, senza qualche ulteriore ipotesi su C, come ad esempio laconvessita che consente di applicare su ogni segmento contenuto in C il Teorema del valor medio in una variabile,non e piu a sua volta conseguenza automatica della regolarita C1.
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(e, sebbene non si sappia nulla della dipendenza di da t, la funzione t fx(x0 + h, t) e continuain [c, d] perche e uguale a (f(x0 + h, t)f(x0, t))/h). Dunque, maggiorando in modulo la differenza
F(x0
+ h)
F(x0
)
h dc
fx(x0, t) dt =dc
f(x0
+ h, t)
f(x0
, t)
h fx(x0, t)
dt
=
dc
[fx(x0 + h, t) fx(x0, t)] dt
otteniamoF(x0 + h) F(x0)h ba
fx(x0, t) dt
dc
|fx(x0 + h, t) fx(x0, t)| dt < (d c).
A questo punto la (8) per x = x0 segue dallarbitrarieta di . Applicando poi a fx(x, t) il precedenterisultato di continuita si ottiene anche la continuita di F in I.
Naturalmente nel Teorema 4.1 gli estremi di integrazione possono essere scambiati tra di loro:questo significa semplicemente passare da F e F a G = F e G = F.
Adesso facciamo variare gli estremi di integrazione.
Teorema 4.2. Sia f continua in I [c, d]. In C = I [c, d] [c, d] la funzione
(x,y ,z) =
zy
f(x, t) dt
e continua e dotata di derivate parziali continue
y(x,y ,z) = f(x, y), z(x,y ,z) = f(x, z). (10)Se poi si aggiunge lipotesi che per ogni t [c, d] esista la derivata fx(x, t) di I x f(x, t) e chefx C0(I [c, d]), allora per ogni (y, z) [c, d] [c, d] la I x (x,y ,z) e dotata anche delladerivata
x(x,y ,z) =
zy
fx(x, t) dt, (11)
a sua volta continua in C.
DIM. Per (x0, y0, z0), (x,y ,z) C scriviamo (x,y ,z) (x0, y0, z0) come sommaz0
y0
[f(x, t) f(x0, t)] dt +
y0
yf(x, t) dt +
z
z0
f(x, t) dt. (12)
Il secondo e terzo addendo sono rispettivamente maggiorati in modulo dai prodotti di |y y0| e di|z z0| per il massimo di |f| su I [c, d]. Sia un qualunque reale positivo. Grazie al Teorema4.1 sappiamo che il primo addendo della (12) e maggiorato in valore assoluto da purche |x x0|sia maggiorato da un opportuno = > 0. Poiche nulla impedisce di prendere , la quantita|(x,y ,z) (x0, y0, z0)| e maggiorata dal prodotto di una costante per non appena (x,y ,z) Kverifica |x x0| , |y y0| , |z z0| , e questo dimostra che in ogni punto (x0, y0, z0) Kla e continua.
Le (10) sono conseguenze immediate del teorema fondamentale del calcolo integrale applicato,
per ogni fissato x, alla funzione t f(x, t).
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Per ottenere la (11) in un punto (x0, y0, z0) di K basta applicare il risultato di derivazione delTeorema 4.1 alla funzione
x z0
y0
f(x, t) dt;
applicando poi il precedente risultato di continuita con sostituita da x si ottiene la continuitadi questultima in (x0, y0, z0).
Osservazione 4.1. Nelle due precedenti dimostrazioni e stata utilizzata lipotesi che I sia, oltreche chiuso, anche limitato. Pero esse si ripetono tali e quali con le intersezioni [x0 r, x0 + r] I,r > 0, al posto di I, per cui i Teoremi 4.1 e 4.2 continuano a valere con lintervallo I chiuso manon limitato.
Dal teorema precedente possiamo finalmente dedurre il
Teorema 4.3. Sia f C0(I [c, d]) con I intervallo chiuso, < c < d < , e siano , C0(I) tali che c (x),(x) d. La funzione
G(x) =
(x)(x)
f(x, t) dt
e continua su I; se poi si aggiungono le ipotesi che per ogni t [c, d] esista la derivata fx(x, t) diI x f(x, t) continua in I [c, d] e che , appartengano a C1(I), allora G e dotata di derivatacontinua
G(x) =(x)(x)
fx(x, t) dt + f(x,(x))(x) f(x,(x))(x)
in I.
DIM. Continuita della funzione composta G(x) = (x,(x),(x)); derivabilita della funzionecomposta (dal momento che e C1), e dunque
G(x) = x(x,(x),(x)) + y(x,(x),(x))(x) + z(x,(x),(x))(x),
poi le (10) e la (11).
Il Teorema 4.3 ha unapplicazione importante nel metodo di Duhamel per la risoluzione diequazioni differenziali lineari non omogenee a coefficienti costanti. Cominciamo dal I ordine. Pera R e f C0(]c, d[) si verifica in un attimo che la funzione
y(t) =
tt0
ea(ts)f(s) ds (13)
soddisfa lequazione lineare y + ay = f(t) (insieme alla condizione di Cauchy y(t0) = 1): non cebisogno di ricorrere al Teorema 4.3, visto che il secondo membro si riscrive
eat tt0
easf(s) ds
13
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con lintegrando che non dipende dal parametro t, e di conseguenza si deriva elementarmente.Tuttavia la (13) e istruttiva, perche fornisce al I ordine la formula di Duhamel
y(t) =tt0
Y(t s)f(s) ds (14)
con Y(t) che qui denota la soluzione eat dellequazione omogenea Y + aY = 0 che soddisfa lacondizione di Cauchy Y(0) = 1.
Passiamo al II ordine.
Teorema 4.4. Siano a, b R, f C0(]c, d[). La funzione (14) conY(t) soluzione del problema diCauchy
Y + aY + bY = 0, Y(0) = 0, Y(0) = 1
e una soluzione dellequazione non omogenea
y + ay + by = f(t), (15)
e piu esattamente lunica ad annullarsi in t0 insieme alla sua derivata prima.
DIM. Adesso bisogna applicare, per due volte, la regola di derivazione degli integrali dipendenti daun parametro. Si ottiene prima
y(t) = Y(0)f(t) +tt0
Y(t s)f(s) ds =tt0
Y(t s)f(s) ds,
poi
y(t) = Y(0)f(t) +tt0
Y(t s)f(s) ds = f(t) + t
t0Y(t s)f(s) ds
e infine
y(t) + ay(t) + by(t) = f(t) +tt0
[Y(t s) + aY(t s) + bY(t s)]f(s) ds = f(t)
cioe la tesi. (Abbiamo utilizzato lequazione omogenea soddisfatta da Y nei punti t s.)
Esempio 4.1. Sia b
R. Lintegrale generale dellequazione
y + by = f(t)
vale
c1 sin t
b + c2 cos t
b +
tt0
sin(t s)bb
f(s) ds
per b > 0, e invece
c1etb + c2et
b +tt0
e(ts)b e(ts)
b
2b f(s) ds
per b < 0.
14
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Prendiamo in particolare b = 1, f(t) = 1/ cos t per /2 < t < /2. La funzione (14) cont0 = 0 e allora
t0
sin(t
s)
cos s ds =t0
sin t cos s
cos t sin s
cos s ds = t sin t cos tt0
sin s
cos s ds
= t sin t + cos t log(cos t).
Il metodo di Duhamel che abbiamo finora illustrato per le equazioni del I e del II ordinesi trasporta immediatamente a un qualunque ordine N: per a0, . . . , aN1 R e f C0(]c, d[)lequazione
y(N) + aN1y(N1) + + a1y + a0y = f(t)
e soddisfatta dalla funzione y(t) che ha lespressione (14) con Y(t) soluzione adesso dellomogenea
Y(N) + aN1Y(N1) + + a1Y + a0Y = 0
che soddisfa le condizioni di Cauchy Y(0) = Y(0) = = Y(N2)(0) = 0, Y(N1)(0) = 1. Laverifica troppo lunga! si fa con N derivazioni successive attraverso il Teorema 4.3. Qui cilimitiamo ad osservare che nel caso particolarissimo a0 = = aN1 = 0 la funzione Y(t) richiestae la tn1/(n 1)!, per cui
y(t) =1
(n 1)!tt0
(t s)n1f(s) ds
e la soluzione di y(N) = f(t) che si annulla in t0 insieme a tutte le sue derivate fino all(n1)esima.
5 Integrali impropri dipendenti da parametri
Per dimostrare, tra un attimo, il Teorema 5.2 ci serviremo della definizione e del risultato seguenti.Sia data una successione di funzioni Fn definite su un intervallo I. Le Fn convergono uni-
formemente in I a una funzione F se, dato comunque > 0, esiste un = N taleche
|Fn(x) F(x)| < per x I, n . (16)
Teorema 5.1. (i) Se le funzioni Fn : I R sono continue in un punto x0 I e convergonouniformemente in I, allora anche F = limn Fn e una funzione continua in x0.
(ii) Se le funzioni Fn : I R sono continue in ogni punto di I e convergono uniformemente inI, allora F = lim Fn verifica
limn
ba
Fn(x) dx =
ba
F(x) dx per a, b I. (17)
(iii) Se le funzioni Fn : I R sono di classe C1 in I, con {Fn(x0)} convergente per qualchescelta di x0 I e le Fn uniformemente convergenti in I, allora F = limn Fn e di classe C1 con
limn
Fn = F. (18)
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e continua. Se poi si aggiungono le ipotesi che per ogni t ]c, d[ esista la derivata fx(x, t) diI x f(x, t), che fx C0(I]c, d[) e che valga una disuguaglianza
|fx(x, t)| g(t) per (x, t) I]c, d[, (21)allora la funzione F sta in C1(I) con
F(x) =dc
fx(x, t) dt.
DIM. Innanzitutto, la (20) garantisce, grazie al Teorema del confronto, che per ogni fissato x Ila funzione t f(x, t) ha integrale improprio assolutamente convergente da c a d. Dunque F(x) eben definita. Studiamo la sua regolarita al variare di x in I.
Siano {cn}, {dn} ]c, d[ tali che cn c e dn d.Dal Teorema 4.1 (e alla luce dellOsservazione 4.1 se I e illimitato) sappiamo che per ogni n la
funzioneI x Fn(x) =
dncn
f(x, t) dt (22)
e continua. Daltra parte, dalla convergenza dellintegrale improprio di g segue che, dato comunque > 0, esiste un = N tale checn
cg(t) dt +
ddn
g(t) dt per n . (23)
Dunque la (20), oltre a garantire che per ogni x I la funzione t f(x, t) e dotata di in-tegrale improprio assolutamente convergente, ovvero che F(x) e ben definita, fornisce anche la
disuguaglianza cnc
|f(x, t)| dt +
ddn
|f(x, t)| dt per x I, n .
Ma allora
|F(x) Fn(x)| cnc
f(x, t) dt
+ddn
f(x, t) dt
per x I, n .Ne segue che in I la successione delle funzioni continue Fn(x) converge uniformemente in I ad F(x),e quindi (Teorema 5.1 (i)) che questultima e continua.
In maniera analoga, sotto lipotesi di derivabilita di x f(x, t) si ricava innanzitutto, grazie alTeorema 4.1 (e allOsservazione 4.1 se I e illimitato) , che per ogni n la funzione (22) e derivabilein I con
Fn(x) =bnan
fx(x, t) dt.
Dalla (21) segue poi che per ogni x I la funzione t fx(x, t) e dotata di integrale improprioassolutamente convergente, ovvero che la funzione
I x G(x) =dc
fx(x, t) dt
e ben definita; inoltre G C0(I) grazie alla prima parte del teorema.
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Sia > 0 arbitrariamente fissato, e sia di nuovo = N tale che valga la (23). Allora risulta
cn
c
|fx(x, t)| dt + d
dn
|fx(x, t)| dt
per x
I, n
per cui
|G(x) Fn(x)| cnc
fx(x, t) dt
+ddn
fx(x, t) dt
per x I, n .Ne segue che la successione delle funzioni continue Fn(x) converge uniformemente a G(x), e quindi(Teorema 5.1 (iii)) F(x) = limn Fn(x) e derivabile con F
(x) = G(x).
Naturalmente non e affatto restrittivo richiedere che le disuguaglianze (20) e (21) valgano con
la stessa funzione g(t): se si parte da due diverse funzioni nei secondi membri basta prendere laloro somma per ricondursi alle ipotesi del teorema.
Esempio 5.1. Fissiamo x in I = [a, [, a > 0. Su ]c, d[=]0, [ sia la funzione t f(x, t) =t1etx sin t che la sua derivata t fx(x, t) = etx sin t sono maggiorate in modulo dalla funzionecontinua g(t) = eta, che ha integrale improprio assolutamente convergente. Dunque la
F(x) =
0
etxsin t
tdt
e continua e anzi derivabile per x a, con
F(x) =
0 etx
sin tdt.
Esempio 5.2. La funzione f(x, t) = xext soddisfa tutte le ipotesi del Teorema 4.1 con I = R e[c, d] qualunque. Si puo dedurre da questo che il suo integrale di Riemann su [c, d] e una funzionecontinua, anzi derivabile della x; piu direttamente, basta tener conto che xext = (ext) eapplicare il Teorema Fondamentale del Calcolo. Invece
F(x) =
0
xext dt = ext0
e definita su [0, [, ma non e continua in 0:
F(0) = 0, F(x) = 1 per x > 0
(e in qualunque intervallo [0, b] si ha convergenza puntuale ma non uniforme di
Fn(x) =
n0
xext dt = extn0
a F(x): cfr il Teorema 5.1 (i)). Infatti non si applica il Teorema 5.2: non esiste una funzione]0, [ t g(t) dotata di integrale improprio convergente e tale che valga la (20), dal momentoche per 1/t
b il sup
0xbxext vale (et)1.
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Per gli integrali impropri semplicemente convergenti non vale il teorema di derivazione sotto il segno
di integrale, come mostra il seguenteEsempio 5.3. Per x > 0 la funzione
F(x) =
0
sin tx
tdt
e costante, come si vede operando il cambiamento u = tx della variabile dintegrazione. DunqueF(x) = 0, mentre lintegrale improprio della derivata della funzione x (sin tx)/t, cioe di cos tx,non solo non vale identicamente 0, ma non e neppure convergente.
6 Il Teorema di Dini per funzioni scalari
Nel piano euclideo lequazione di una retta
F(x, y) = ax + by + c = 0
con a,b,c numeri reali ed a2+b2 > 0 e risolubile rispetto a y in funzione della x (con y = ax/bc/b)se Fy = b
= 0, cioe se la retta non e verticale, e rispetto a x in funzione della y (con x =
by/a
c/a)
se Fx = a = 0, cioe se la retta non e orizzontale. Per farla breve, qui tutto linsieme dei punti delpiano che verificano lequazione e sempre il grafico di una funzione della x o della y a seconda cheFy = 0 o Fx = 0 (senza che un caso escluda necessariamente laltro).
Se pero F e una generica funzione R con aperto di R2 non e affatto detto che linsiemedei punti (x, y) che soddisfano lequazione F(x, y) = 0 sia sempre il grafico di una funzioney = f(x) o di una funzione x = g(y) e nemmeno che sia una curva, ne, perfino, che sia = .Per rendersene conto gia basterebbe osservare che un qualunque sottoinsieme S del piano coincidecon linsieme delle soluzioni dellequazione F(x, y) = 1S(x, y) 1 = 0. Ma questa e una F che ingenerale non ha la minima regolarita. Ebbene, prendiamo delle F regolarissime.
Esempio 6.1. Sia F(x, y) = x2 y2. Linsieme Z delle soluzioni dellequazione F(x, y) = 0 ecostituito dallunione delle due bisettrici y = x. Ogni suo punto diverso dallorigine ha un intornola cui intersezione con Z e un tratto di retta, dunque un grafico. Invece lintersezione con Z di unqualunque intorno dellorigine non e mai un grafico e notiamo che Fx(0, 0) = Fy(0, 0) = 0.
Esempio 6.2. Per ogni r R sia
F(x, y) = x2 + y2 r.
Linsieme Z delle soluzioni dellequazione F(x, y) = 0 e vuoto se r < 0 e coincide col solo punto(0, 0) se r = 0: dunque non e un grafico in nessuno dei due casi. Sia r > 0. Neanche allora e vero chetutto Z, essendo la circonferenza di centro lorigine e raggio
r, sia un grafico. Pero Z e localmente
grafico di una funzione o della x oppure della y (senza che un caso escluda necessariamente laltro).
Vediamo i dettagli.
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In un opportuno intorno aperto A di un punto (x0, y0) Z tale che Fy(x0, y0) = 2y0 = 0,per cui la retta tangente alla circonferenza nel punto non e verticale, i punti di Z sono quellidel grafico di y =
r x2 o di y = r x2 a seconda che y0 > 0 (e allora A e lintero
semipiano delle y > 0) o y0 < 0 (e allora A e lintero semipiano delle y < 0). Se pero y0 = 0,e quindi x0 =r o x0 = r, non esiste nessun intorno del punto, per quanto piccolo, la cui
intersezione con Z sia grafico di una funzione della x.
In un opportuno intorno aperto A di di un punto (x0, y0) Z tale che Fx(x0, y0) = 2x0 = 0,per cui la retta tangente alla circonferenza nel punto non e orizzontale, i punti di Z sonoquelli del grafico di x =
r y2 o di x =
r y2 a seconda che x0 > 0 (e allora A e
lintero semipiano delle x > 0) o x0 < 0 (e allora A e lintero semipiano delle x < 0). Invecenon esiste nessun intorno, per quanto piccolo, del punto (0 ,
r) o del punto (0, r) la cui
intersezione con Z sia grafico di una funzione della y.
Il precedente esempio illustra significativamente il caso di una classe abbastanza generale diequazioni F(x, y) = 0, tranne per un aspetto (non di poco conto). Come vedremo col prossimorisultato, infatti, sotto opportune ipotesi esiste un intorno di una soluzione (x0, y0) dellequazionein cui questultima definisce implicitamente una delle due variabili come funzione dellaltra, nelsenso che le soluzioni dellequazione che cadono nellintorno sono tutti e soli punti del grafico ditale funzione; di questultima pero sara impossibile, in genere, dare unespressione esplicita comeinvece si e facilmente fatto nellesempio.
Teorema 6.1 (di Dini). Sia F di classe C1 in un aperto di R2. Supponiamo che per un(x0, y0) risulti F(x0, y0) = 0 e Fy(x0, y0) = 0. Allora esistono , > 0 tali che in A =]x0 , x0 + []y0 , y0 + [ (la Fy si mantiene = 0 e) lequazione F(x, y) = 0 definisceimplicitamente una funzione y = f(x) continua, ed anzi di classe C1; la derivata di f si ottienederivando rispetto ad x lidentita F(x, f(x)) = 0, da cuiFx(x, f(x)) + Fy(x, f(x))f
(x) = 0 e quindi
f(x) = Fx(x, f(x))Fy(x, f(x))
per |x x0| < . (24)
DIM.Per fissare le idee supponiamo Fy(x0, y0) > 0. Grazie alla continuita della Fy in possiamo
applicarle il Teorema della permanenza del segno e trovare due numeri reali positivi a e conla seguente proprieta: per |x x0| a e |y y0| risulta Fy(x, y) > 0, e di conseguenza ognifunzione y
F(x, y) ad x fissato e crescente. Poiche F(x0, y0) = 0, questo implica F(x0, y0
) < 0
e F(x0, y0 + ) > 0. Applichiamo di nuovo il Teorema della permanenza del segno, questa voltaalle due funzioni x F(x, u0 ) e x F(x, y0 + ): se = a e un numero reale positivosufficientemente piccolo (per intendersi, tanto piu piccolo quanto piu piccolo e ) abbiamo siaF(x, y0 ) < 0 che F(x, y0 + ) > 0 per x nellintervallo chiuso [x0 , x0 + ]. Fissiamo la xnellintervallo aperto 2 ]x0, x0+[ ed applichiamo il Teorema di esistenza degli zeri alla funzionecontinua e strettamente monotona y F(x, y): otteniamo
F(x, f(x)) = 0
2Naturalmente qui anche lintervallo chiuso andrebbe bene. Pero quando poi si passera dalla variabile scalare xad una vettoriale fara comodo limitare questultima ad un aperto, in modo di poterle associare senza difficolta lanozione di regolarita C1 che nei chiusi diventa delicata se le variabili sono piu di una.
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per un unico valore f(x) strettamente compreso tra y0 e y0 + , cioe tale che|f(x) y0| < . (25)
Naturalmente f(x0) = y0.Passiamo alla dimostrazione della (28). Come e detto nellenunciato, essa segue subito dalli-
dentita F(x, f(x)) = 0 in ]x0 , x0 + [ grazie alla regola di derivazione delle funzioni composte,a patto pero di sapere preliminarmente che f e derivabile, cosa questa che non abbiamo anco-ra fatto vedere. Cominciamo col mostrare la continuita di f in ]x0 , x0 + [. Per x fissatoin ]x0 , x0 + [ si ha anche x + h ]x0 , x0 + [, e quindi (x + h, f(x + h)) A, se |h|e sufficientemente piccolo, diciamo |h| < k. Il teorema del valor medio applicato alla funzionet (t) = F(x + th,f(x) + t(f(x + h) f(x))) assicura lesistenza di un ]0, 1[ tale che
F(x + h, f(x + h)) F(x, f(x)) = (1) (0) = ()= Fx(x + h, f(x) + (f(x + h)
f(x)))h + Fy(x + h, f(x) + (f(x + h)
f(x)))(f(x + h)
f(x)).
Il primo membro di questa identita e nullo, e dividendo per Fy(x +h, f(x) +(f(x + h) f(x))) m = minA Fy > 0, otteniamo
f(x + h) f(x) = Fx(x + h, f(x) + (f(x + h) f(x)))Fy(x + h, f(x) + (f(x + h) f(x))) h. (26)
Il secondo membro si maggiora in modulo con M|h|/m dove M = maxA |Fx|, e questo mostra lacontinuita di f nel punto x. Grazie ad essa la frazione nel secondo membro e il rapporto di duefunzioni continue di h ] k, k[. Dividiamo entrambi i membri della (26) per h = 0: otteniamo
f(x + h) f(x)h
=
Fx(x + h, f(x) + (f(x + h) f(x)))Fy(x + h, f(x) + (f(x + h) f(x)))
e quindi la derivabilita di f facendo tendere h a 0.
Osservazione 6.1. Se nel teorema si sostituisce lipotesi Fy(x0, y0) = 0 con la Fx(x0, y0) = 0, alloravale la tesi che enunciamo sbrigativamente cos: lequazione F(x, y) = 0 definisce implicitamente,in un opportuno intorno di (x0, y0), una funzione x = g(y) di classe C
1, la cui derivata si ottienederivando rispetto ad y lidentita F(g(y), y) = 0.
Osservazione 6.2. Come abbiamo gia fatto presente, in generale non possiamo sperare di riusciread esplicitare la f(x) ottenuta grazie al Teorema di Dini. E questo fa s che tanto meno possiamoservirci della (28) per il calcolo di f(x), tranne per x = x0. Se F e solo C1 ci fermiamo l. Ma seF e piu regolare possiamo procedere oltre: deriviamo entrambi i membri della (28) e otteniamo
f(x) = F2y Fxx 2FxFyFxy + F2xFyy
F3y.
Tutte le funzioni del secondo membro sono calcolate in (x, f(x)), per cui e dato il loro valore perx0 = 0: adesso disponiamo dei valori non solo di f(x0) e di f
(x0), ma anche di f(x0). Cosprocedendo (beninteso nei limiti dellumanamente, e anche numericamente, possibile) possiamo
pensare di arrivare a dare alla f un buono sviluppo di Taylor di punto iniziale x0.
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Osservazione 6.3. Abbiamo visto che se F appartiene a C1(), dove e un aperto di R2, e per
un (x0, y0) A verifica F(x0, y0) = 0, Fy(x0, y0) = 0, allora esiste un intorno di (x0, y0) in cuilinsieme di livello F = 0 coincide col grafico di una funzione y = f(x) di classe C1, cioe con unacurva dotata in (x0, y0) di retta tangente di equazione
y y0 = f(x0)(x x0)
ovvero
y y0 = Fx(x0, y0)Fy(x0, y0)
(x x0)
e quindiFx(x0, y0)(x x0) + Fy(x0, y0)(y y0) = 0. (27)
Per ottenere lequazione (27) della retta tangente in (x0, y0) alla curva F = 0 abbiamo utilizzatoil Teorema di Dini sotto lipotesi Fy(x0, y0) = 0. Pero saremmo arrivati allo stesso risultato sottolipotesi Fx(x0, y0) = 0. Dunque possiamo concludere che ogni punto (x0, y0) di in cui F siannulla e il gradiente3 (Fx, Fy) = F non e il vettore nullo ha un intorno nel quale lequazioneF = 0 definisce una curva regolare con retta tangente (al sostegno) in (x0, y0) data dallequazione(27) o, cio che e lo stesso, con retta normale di direzione F(x0, y0).
Il Teorema di Dini per le funzioni scalari di 2 variabili si estende con ovvie modifiche alle funzionidi un qualunque numero di variabili. Per le funzioni di 3 variabili, ad esempio, abbiamo il
Teorema 6.2. Sia F di classe C1 in un aperto diR3. Supponiamo che per un (x0, y0, z0) risulti F(x0, y0, z0) = 0 e Fz(x0, y0, z0) = 0. Allora esiste un aperto A = A0]z0 , z0 + [, con A0 aperto di R
2, in cui (la Fz si mantiene = 0 e) lequazione F(x,y ,z) = 0 definisceimplicitamente una funzione z = f(x, y) di classe C1; le derivate di f si ottengono derivandorispetto adx e y lidentitaF(x,y ,f (x, y)) = 0, da cuiFx(x,y ,f (x, y))+Fz(x,y ,f (x, y))fx(x, y) = 0,Fy(x,y ,f (x, y)) + Fz(x,y ,f (x, y))fy(x, y) = 0, e quindi
fx(x, y) = Fx((x,y ,f (x, y))Fz(x,y ,f (x, y))
, fy(x, y) = Fy((x,y ,f (x, y))Fz(x,y ,f (x, y))
per (x, y) A0. (28)
Naturalmente questo teorema continua a valere con la variabile z sostituita dalla x o dalla y
nellipotesi che sia diversa da 0 la corrispondente derivata di F nel punto, eccetera.
Osservazione 6.4. Occupiamoci dellequazione F(x,y ,z) = 0. Se F appartiene a C1() con aperto di R3 e in un punto (x0, y0, z0) di si ha F(x0, y0, z0) = 0, Fz(x0, y0, z0) = 0, il Teorema6.2 con N = 2 afferma che esiste un intorno di (x0, y0, z0) in cui linsieme di livello F = 0 coincide
3Ricordiamo che il gradiente di una funzione u di classe C1 in un aperto del piano ha, in ogni punto in cui non siannulla, la direzione e il verso di massima crescita di u. Infatti la derivata in (x0, y0) di u lungo una direzione (,),2+2 = 1, cioe (t) = du(x0+t, y0+t)/dt calcolata in t = 0, vale, grazie alla disuguaglianza di CauchySchwarz,
(0) = ux(x0, y0) + uy(x0, y0)
ux(x0, y0)2 + uy(x0, y0)2
col segno = se e solo se (,) = u(x0, y0)/u(x0, y0).
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col grafico di una funzione z = f(x, y) di classe C1, cioe con una superficie dotata in (x0, y0, z0) dipiano tangente di equazione
z
z0 = fx(x0, y0)(x
x0) + fy(x0, y0)(y
y0)
ovvero
z z0 = Fx(x0, y0, z0)Fz(x0, y0, z0)
(x x0) Fy(x0, y0, z0)Fz(x0, y0, z0)
(y y0)
e quindiFx(x0, y0, z0)(x x0) + Fy(x0, y0, z0)(y y0) + Fz(x0, y0, z0)(z z0) = 0. (29)
Per ottenere lequazione (29) del piano tangente in (x0, y0, z0) alla superficie F = 0 abbiamoutilizzato il Teorema di Dini sotto lipotesi Fz(x0, y0, z0) = 0. Pero saremmo arrivati allo stessorisultato sotto lipotesi Fx(x0, y0, z0) = 0 o lipotesi Fy(x0, y0, z0) = 0. Possiamo dunque affermareche ogni punto (x0, y0, z0) di in cui F si annulla e F non e il vettore nullo ha un intorno nelquale lequazione F = 0 definisce una superficie con piano tangente (al sostegno) in (x
0, y
0, z
0) dato
dallequazione (29) o, cio che e lo stesso, con retta normale di direzione F(x0, y0, z0).
7 Il Teorema di Dini per sistemi
Il Teorema di Dini si estende ai sistemi di P equazioni in P + Q variabili. Qui ci occupiamo diP = 2 e Q = 1, cominciando dal semplice caso lineare
F(x,y ,z) = ax + by + cz + d = 0G(x,y ,z) = ax + by + cz + d = 0 (30)
delle equazioni di due piani. Se i due piani sono paralleli, ovvero la matrice jacobiana
(F, G)
(x,y ,z)=
Fx Fy FzGx Gy Gz
=
a b ca b c
ha rango 1, la loro intersezione o e vuota o coincide con entrambi. Supponiamo che il rango sia 2,diciamo con
det(F, G)
(y, z)= det
Fy FzGy Gz
= det
b cb c
= 0 (31)
per fissare le idee. Le soluzioni di (30) sono allora tutti e soli i punti di una retta, e possiamorisolvere il sistema (31) rispetto a y e z (come funzioni di x, ovviamente). Procedendo con lalgebralineare otteniamo y = f(x) e z = g(x) da
f(x)g(x)
=
(F, G)
(y, z)
1 ax + d
ax + d
.
Ma possiamo anche ricorrere alle elementari tecniche di sostituzioni successive. Dalla prima delleequazioni (30), supponendo (non e restrittivo) c = 0 ricaviamo z = (ax by d)/c; sostituendonella seconda equazione otteniamo
ax + by +c(
ax
by
d)
c + d = 0
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da cui b bc
c
y +
a ac
c
x + d c
dc
= 0.
Grazie allipotesi (31) il coefficiente di y in questa equazione e diverso da 0, per cui possiamoscrivere la y come funzione di x e poi, sostituendola nella precedente espressione della z, ottenereanche questultima come funzione di x. A questo punto non abbiamo bisogno di esplicitare i calcolirimanenti. Quello che interessa e vedere come le sostituzioni successive permettano di abbordarelo studio di un piu generale sistema di 2 equazioni scalari in 3 variabili
F(x,y ,z) = 0G(x,y ,z) = 0
(32)
indicando con (x0, y0, z0) una sua soluzione. Abbiamo bisogno di ipotesi che consentano di operarei seguenti passaggi:
mostrare, servendosi del Teorema 6.2, che in un opportuno intorno (tridimensionale) di(x0, y0, z0) la prima delle (32) definisce implicitamente una funzione z = (x, y) di classeC1, con (x0, y0) = z0;
mostrare, servendosi del Teorema 6.1, che in un opportuno intorno (bidimensionale) di ( x0, y0)lequazione (x, y) = G(x,y, (x, y)) = 0 definisce implicitamente una funzione y = f(x) diclasse C1, con f(x0) = y0.
Arrivati qui ci basta porre g(x) = (x, f(x)) per verificare che in un opportuno intorno (tridimen-sionale) di (x0, y0, z0) il sistema (32) definisce implicitamente due funzioni scalari
y = f(x), z = g(x)
di classe C1; derivando rispetto ad x le identita
F(x, f(x), g(x)) = 0, G(x, f(x), g(x)) = 0
si ottiene il sistema di 2 equazioniFx(x, f(x), g(x)) + Fy(x, f(x), g(x))f
(x) + Fz(x, f(x), g(x))g(x) = 0Gx(x, f(x), g(x)) + Gy(x, f(x), g(x))f
(x) + Gz(x, f(x), g(x))g(x) = 0
da cui si ricavano le derivate di f e g:
f
g =
(F, G)
(y, z)1
FxGx (33)
con largomento delle funzioni uguale a x nel primo membro ed a (x, f(x), g(x)) nel secondo.Lipotesi che consente di effettuare i passaggi richiesti e la trasposizione al caso generale della
(31):
det(F, G)
(y, z)(x0, y0, z0) = det
Fy(x0, y0, z0) Fz(x0, y0, z0)Gy(x0, y0, z0) Gz(x0, y0, z0)
= 0. (34)
Infatti la (34) implica innanzitutto che in (x0, y0, z0) una almeno delle derivate Fy, Fz sia diversada 0, e non e restrittivo supporre che si tratti della Fz. Dunque il Teorema 6.2 puo essere applicatoe fornisce lesistenza della , che inoltre sappiamo derivare, in particolare rispetto ad y:
y = Fy
Fz .
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Calcoliamo
y = Gy + Gzy = Gy Gz FyFz
= 1Fz
det(F, G)
(y, z).
Grazie di nuovo alla (34), otteniamo y(x0, y0) = 0 e possiamo applicare il Teorema 6.1 per ottenerelesistenza della f. Dunque:
Teorema 7.1. Siano F, G di classe C1 in un aperto diR3. Supponiamo che per un (x0, y0, z0) risulti F(x0, y0, z0) = 0 e che valga la (34). Allora esiste un aperto A =]x0 a, x0 + a[]y0 , y0 + []z0 , z0 + [ in cui (il determinante di (F, G)/(y, z) si mantiene = 0 e) ilsistema (32) definisce implicitamente due funzioni y = f(x), z = g(x) di classe C1, con f e g
date dalla (33).
8 Massimi e minimi vincolati
Quando A e un aperto di R2 la ricerca dei punti, detti estremanti, in cui una f C1(A) puoassumere valori estremi cioe massimi o minimi locali va ristretta innanzitutto ai punti, dettistazionari, in cui il gradiente f e nullo.4
E se si e interessati agli estremi di f non in tutto A, bens in un suo sottoinsieme chiuso E(ad esempio sotto lulteriore ipotesi che E sia limitato, per cui ogni funzione in C0(E) e senzaltrodotata di massimo e minimo assoluti grazie al teorema di Weierstrass)? Il procedimento appenavisto in A rimane valido nellinterno (se non e vuoto) di E, ma diventa inapplicabile sulla suafrontiera. L bisogna, quando e possibile, ricorrere alle altre tecniche che costituiscono largomentodi questa sezione.
Indichiamo dunque con S una curva contenuta in A (quale potrebbe ad esempio essere unaporzione della frontiera dellinsieme E di cui si e precedentemente parlato). Con lutilizzo deltermine tra virgolette intendiamo dire che i punti (x, y) S costituiscono:
(i) o limmagine di un intervallo I in una rappresentazione parametrica t ((t),(t)) di classeC1 con (t)2 + (t)2 > 0,
(ii) o il grafico di una funzione y = (x) oppure x = (y) di classe C1 in un intervallo I,(iii) o un sottoinsieme S dellinsieme di livello F(x, y) = 0 di una F C1(A) con F = 0 in S.Nei casi (i) e (ii) la ricerca degli estremanti di una f C1(A) sul vincolo S si restringe alla
ricerca dei punti stazionari di funzioni di una variabile. Come e facile vedere, infatti, richiedereche un punto (x, y) S sia, per fissare le idee, un massimo locale di f|S, cioe che tutti i punti diS (non di A!) distanti da (x, y) meno di un opportuno > 0 soddisfino f(x, y)
f(x, y), significa
richiedere:
o (caso (i)) che t I con ((t),(t)) = (x, y) sia un massimo locale di g(t) = f((t),(t)), equindi
g(t) = fx(x, y)(t) + fy(x, y)(t) = 0
se t e interno ad I;
4Se f sta in C2(A) la ricerca va ulteriormente ristretta, escludendo quei punti stazionari in cui la matrice hessianafxx fxyfxy fyy
e indefinita, ovvero siccome siamo in R2 ha determinante < 0; un punto stazionario in cui invece lhessiana ha
determinante > 0 e di minimo locale o di massimo locale a seconda che in esso la fxx sia > 0 o < 0.
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o (primo sottocaso di (ii)) che x I con (x) = y sia un massimo locale di g(x) = f(x,(x)),e quindi
g(x) = fx(x, y) + fy(x, y)(x) = 0 (35)
se x e interno ad I;
o (secondo sottocaso di (ii)) che y I con (y) = x sia un massimo locale di g(y) = f((y), y),e quindi
g(y) = fx(x, y)(y) + fy(x, y) = 0 (36)
se y e interno ad I.
Esempio 8.1. In A = R2 la regolarissima funzione f(x, y) = x + y2 e priva di punti stazionariperche fx non si annulla mai. Dunque non esistono punti di estremo relativo di f in A. Pero larestrizione f|E di f ad un qualunque sottoinsieme chiuso e limitato E del piano e dotata di massimoe minimo assoluti. Prendiamo
E = {(x, y) R2 | y x y, x2 + y2 1}.
Per quello che abbiamo appena visto, gli estremi di f|E non possono cadere allinterno di E.Scriviamo la frontiera di E come unione dei tre insiemi
S1 = {(x, y) E| x2 + y2 = 1}, S2 = {(x, y) E| y = x}, S3 = {(x, y) E| y = x}.
S1 e immagine dellintervallo [/4, 3/4] nella rappresentazione parametrica (cos, sin).Per trovare gli estremi di f(cos, sin) = cos + sin2 nellintervallo cerchiamo innanzituttoi suoi punti stazionari in ]/4, 3/4[: devessere d(cos + sin2 )/d = sin + 2 sin cos = 0,cioe cos = 1/2, e tra i valori di per i quali questo vale ce /3
]/4, 3/4[. Calcoliamo:
cos/3 + sin2 /3 = 1/2 + 3/4 = 5/4. Negli estremi: cos(/4) + sin2(/4) = (2 + 1)/2,cos/4 + sin2 /4 = (
2 + 1)/2. Dunque il minimo e il massimo della restrizione di f al chiuso e
limitato S1 sono rispettivamente il piu piccolo e il piu grande dei tre valori ottenuti, cioe (
2+1)/2e (
2 + 1)/2.
Possiamo anche vedere S1 come grafico di y =
1 x2 per x [1/2, 1/2]. Allinternodi questo intervallo cerchiamo i punti stazionari di f(x,
1 x2) = x + 1 x2: si deve annullare
d(x + 1 x2)/dx = 1 2x, dal che x = 1/2, e l abbiamo f(1/2,1 1/4) = 1/2 + 1 1/4 = 5/4.Poi: 1/2 + 1 1/2 = 1/2 + 1/2 = (2 + 1)/2 allestremo sinistro, 1/2 + 1 1/2 =1/
2 + 1/2 = (
2 + 1)/2 allestremo destro.
S2 e il grafico di y = x per x [1/
2, 0]; allinterno di questo intervallo non cadono puntistazionari di f(x,
x) =
x + x2, perche d(
x + x2)/dx =
1 + 2x si annulla per x = 1/2.
Allestremo sinistro la restrizione di f assume il valore minimo (2 + 1)/2 e allestremo destro ilmassimo 0.
S3 e il grafico di y = x per x [0, 1/
2]; allinterno di questo intervallo non cadono puntistazionari di f(x, x) = x + x2, perche d(x + x2)/dx = 1 + 2x si annulla per x = 1/2. Allestremosinistro la restrizione di f assume il valore minimo 0 e allestremo destro il massimo (
2 + 1)/2.
Conclusione: il minimo e il massimo di f in E sono rispettivamente (2 + 1 )/2 e (2 + 1 )/2.
Passiamo a (iii). Siccome le derivate Fx e Fy non si annullano mai contemporaneamente in S,per il Teorema di Dini ogni punto (x0, y0) di S ha un intorno U (in generale di dimensioni non
note) la cui intersezione con S e grafico di una funzione (in generale non nota) x = (y) o y = (x).
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Siamo formalmente nella situazione (ii), nel senso che in S U vanno cercati i punti (x, y) in cuivale la (35) o la (36): pero, oltre alle coordinate x e y che stiamo per lappunto cercando, nellaprima e ignota anche la funzione e nella seconda la ! Per aggirare questo ostacolo ricorriamo
allespressione delle derivate delle funzioni implicite:
(x) = Fx(x, y)Fy(x, y)
, (x) = Fy(x, y)Fx(x, y)
.
Le (35) e (36) diventano cos rispettivamente
fx(x, y) fy(x, y) Fx(x, y)Fy(x, y)
= 0, fx(x, y)Fy(x, y)
Fx(x, y) fy(x, y) = 0
a seconda che nel punto (ignoto!) risulti Fy(x, y) = 0 o Fx(x, y) = 0, e quindi comunque
fx(x, y)Fy(x, y)
fy(x, y)Fx(x, y) = 0.
Questa e unequazione algebrica nelle sole incognite x e y che ci interessano, e richiede che il determi-nante jacobiano di f e F in (x, y) si annulli, dunque abbia tanto le righe che le colonne linearmentedipendenti. Imponiamo la dipendenza lineare delle colonne, che sono f(x, y) e F(x, y). Siccomeabbiamo supposto che il secondo di questi vettori non e nullo, deve esistere un moltiplicatore diLagrange R, che non interessa calcolare, tale che
f(x, y) + F(x, y) = (0, 0).
Riassumiamo:
Teorema 8.1. Siano A un aperto diR2 e f, F
C1(A). Se in un sottoinsieme S dellinsieme dilivello F = 0 il gradiente di F non e mai nullo, gli eventuali punti di minimo e di massimo localiper la restrizione f|S di f ad S vanno cercati tra le soluzioni (x, y) S del sistema
F(x, y) = 0fx(x, y) + Fx(x, y) = 0fy(x, y) + Fy(x, y) = 0
per unopportuna costante .
Esempio 8.2. Cerchiamo il minimo e massimo assoluti di f(x, y) = xy nellinsieme E dei punti(x, y) R2 con x2 xy + y2 1, che e chiuso e limitato dal momento che e costituito dai puntiche cadono su un ellisse o al suo interno. Siccome in tutto A = R2 lunico punto stazionario di f elorigine, e si vede subito che si tratta di un punto di sella, resta solo da applicare i moltiplicatorisulla frontiera S di E, che e tutto linsieme di livello F(x, y) = x2 xy + y2 1 = 0. Imponiamo
y + 2x y = 0, x + 2y x = 0, x2 xy + y2 = 1.
Sommando le prime due equazioni otteniamo (1 + )(x + y) = 0, e quindi:o = 1, per cui x = y e la terza equazione da i due punti (1, 1), (1, 1) dove f vale 1;oppure x = y e la terza equazione da i due punti (1/3, 1/3), (1/3, 1/3) dove f vale
1/3.Da qui segue che il massimo e 1, il minimo e 1/3.
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Passiamo senza difficolta a 3 dimensioni:
Teorema 8.2. Siano A un aperto diR3 e f, F C1(A). Se in un sottoinsieme S dellinsieme dilivello F = 0 il gradiente di F non e mai nullo, gli eventuali punti di minimo e di massimo locali
per la restrizione f|S di f ad S vanno cercati tra le soluzioni (x,y ,z) S del sistema
F(x,y ,z) = 0fx(x,y ,z) + Fx(x,y ,z) = 0fy(x,y ,z) + Fy(x,y ,z) = 0fz(x,y ,z) + Fz(x,y ,z) = 0
(37)
per unopportuna costante .
Esempio 8.3. Siano f(x,y ,z) = xyz, F(x,y ,z) = xy + yz + zx 1 eS = {(x,y ,z) R3 | x 0, y 0, z 0, F(x,y ,z) = 0}.
La restrizione di f ad S e sempre
0 ed in certi punti di S vale 0. Dunque questo e il suo minimo
assoluto. Daltra parte, nei punti di S con z > 0 si ha 0 x 1/z, 0 y 1/z e quindi0 xyz 1/z. Ne segue che f(x,y ,z) 0 quando (x,y ,z) S, x2 + y2 + z2 (come sivede cominciando dalle semirette contenute in S con punto iniziale nellorigine). Dunque, bencheil Teorema di Weierstrass non si applichi allinsieme illimitato S, la f|S e dotata anche di massimoassoluto. Cerchiamolo coi moltiplicatori. Il sistema (37) e adesso
xy + yz + zx = 1yz + (y + z) = 0xz + (x + z) = 0xy + (x + y) = 0.
Dalle ultime 3 equazioni ricaviamo
xyz + x(y + z) = 0xyz + y(x + z) = 0xyz + z(x + y) = 0
.
Dunque x(y + z) = y(x + z) = z(x + y), ovvero xy = yz = xz, ovvero ancora x = y = z =1/
3, e infine max f|S = f(1/
3, 1/
3, 1/
3) = 1/(3
3). (Questo esempio e preso da E.Giusti,
Esercizi e complementi di Analisi Matematica, Volume secondo, Bollati Boringhieri 1992, dove sene traggono interessanti e profonde conseguenze geometriche.)
Passando a vincoli sotto forma di sistema si ha il seguente risultato:
Teorema 8.3. Siano A un aperto diR3 e f , F , G C1(A). Se in un sottoinsieme S dellintersezio-ne degli insiemi di livello F = 0 e G = 0 la matrice jacobiana di F e G ha sempre rango massimo2, gli eventuali punti di massimo e minimo locali per la restrizione f|S di f ad S vanno cercati trale soluzioni (x,y ,z) S del sistema
F(x,y ,z) = 0fx(x,y ,z) + Fx(x,y ,z) + Gx(x,y ,z) = 0fy(x,y ,z) + Fy(x,y ,z) + Gy(x,y ,z) = 0fz(x,y ,z) + Fz(x,y ,z) + Gz(x,y ,z) = 0
per opportune costanti, .
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9 Un primo rapido approccio agli integrali doppi
In questa sezione e nelle prossime cinque, quando parleremo di un rettangolo S sottintenderemo:
compatto, salvo esplicita indicazione in altro senso; con S indicheremo linsieme dei punti interni,ovvero linterno, di S, e con A(S) la sua area (base per altezza) .
Sia R il rettangolo [a, b] [c, d]. Una partizione di R e una famiglia = {(xh, yk) | x0 =a < x1 < < xm = b, y0 = c < y1 < < yn = b} (dove m ed n dipendono da ). Inmaniera equivalente si puo individuare anche assegnando la famiglia F() dei sottorettangoliShk
= [xh1, xh] [yk1, yk] associati a . Unaltra partizione di R e un raffinamento della se la contiene.
Si tratta di nozioni che quasi banalmente trasferiscono alla dimensione 2 quelle utilizzate nelcaso unidimensionale per lo studio dellintegrale di Riemann in una variabile, e noi qui ce neserviamo appunto per i primi passi nellintegrazione di Riemann in due variabili. Fissiamo dunqueuna funzione limitata f definita sul rettangolo. Le sue somme integrali superiore e inferiore
associate ad una partizione di R sono date rispettivamente dai numeri
h,k
supShk
f
A(S
hk)
o piu concisamente SF()
supS
f
A(S)
e
h,k
infShk
f
A(S
hk)
o piu concisamente SF()
infS
f
A(S).
(Qui, come nel seguito,
h,k sta per
h=1,...,m, k=1,...,n.)Si dimostra che
SF()
supS
f
A(S)
TF()
infT
f
A(T)
per ogni scelta delle partizioni e . Se per ogni > 0 si possono trovare e in modo tale che
SF()
supS f
A(S)
TF()
infT f
A(T) < (38)
e di conseguenza
inf
SF()
supS
f
A(S) = sup
SF()
infS
f
A(S) (39)
diciamo che f e integrabile (secondo Riemann) in R e chiamiamo integrale (doppio diRiemann) di f in R il valore (39), denotato con
R
f(x, y) dxdy oppure
R
f(x, y) dxdy oppure
R
f dxdy.
Ecco un classico esempio di funzione limitata non integrabile secondo Riemann.
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Esempio 9.1. Indichiamo con f la funzione di Dirichlet 1(Q[0,1])2 . Siccome
SF()supS fA(S) = 1, SF()infS fA(S) = 0
quale che sia la partizione di R = [0, 1]2, la (38) con 0 < < 1 non e soddisfatta.
Invece:
Lemma 9.1. Ogni f C0(R) e integrabile in R, e il suo integrale doppio soddisfa
R f(x, y) dxdy = b
adx
d
cf(x, y) dy =
d
cdy
b
af(x, y) dx. (40)
DIM. Dato arbitrariamente un > 0, sia = > 0 tale che per ogni coppia di punti (x, y), (x, y)di R distanti meno di risulti |f(x, y) f(x, y)| < (uniforme continuita di f nel compatto R).Chiamiamo una partizione di R tale che ogni sottorettangolo S F() abbia diametro minoredi . Risulta
SF()
supS
f infS
f
A(S) =
SF()
maxS
f minS
f
A(S) < A(R)
e questo mostra lintegrabilita di f.Poniamo
F(x) =dc
f(x, y)dy.
Su [a, b] la funzione x F(x) e continua (cfr. il Teorema 4.1), dunque integrabile. Fissiamoarbitrariamente una partizione di R, il che e come dire una partizione x0 = a < x1 < < xm = bdi [a, b] ed una partizione y0 = c < y1 < < yn = d di [c, d]. Grazie alladditivita degli integralidi una variabile rispetto agli intervalli di integrazione valgono le identita
ba
F(x) dx =m
h=1
xhxh1
F(x) dx e F(x) =n
k=1
ykyk1
f(x, y) dy,
per cui b
a
d
cf(x, y) dy
dx =
mh=1
xh
xh1
nk=1
yk
yk1
f(x, y) dy
dx
=h,k
xhxh1
ykyk1
f(x, y) dy
dx :
abbiamo potuto portare la sommatoria su k fuori dallintegrale in dx grazie alla linearita diquestultimo. Daltra parte, applicando la positivita degli integrali in dy ed in dx otteniamofacilmente
inf]xh1,xh[]yk1,yk[
f (xh xh1)(yk yk1) xh
xh1
yk
yk1
f(x, y) dy dx30
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sup]xh1,xh[]yk1,yk[
f
(xh xh1)(yk yk1)
e quindi anche, sommando su h e k,
h,k
infShk
f
A(S
hk)
ba
dc
f(x, y) dy
dx
h,k
supShk
f
A(S
hk).
Siccome f e integrabile su R, il suo integrale e lunico numero reale che soddisfa le stessedisuguaglianze del secondo membro qui sopra al variare di , per cui vale lidentita
Rf(x, y) dxdy =
ba
dc
f(x, y) dy
dx
e quindi la prima delle (40). La seconda si dimostra in modo del tutto analogo.
Le (40) forniscono le formule di riduzione dellintegrale doppio di f.
Lemma 9.2. Se : [a, b] R e continua e il suo grafico e E contenuto in R, la funzione f = 1Ee integrabile su R con integrale nullo.
DIM. Siccome e integrabile da a a b, ad > 0 si possono associare x0 = a < x1 < < xm = bcon la proprieta
m
k=1
max[xk1,xk] min[xk1,xk] (xk xk1) 0, determiniamo un = > 0 tale che per ogni coppia di punti(x, y), (x, y) D distanti meno di risulti |f(x, y) f(x, y)| < (uniforme continuita dif nel compatto D). Poi procediamo come nella dimostrazione del Lemma 9.2 e costruiamo deirettangoli Qk R che contengano nella loro unione i grafici di e e verifichino
k A(Qk) < .
Sia E il complementare in R di kQk. Costruiamo una partizione di R che soddisfi i seguentirequisiti:
ogni sottorettangolo S F() abbia diametro minore di , ogni Qk sia unione di sottorettangoli di .
Dunque
A(Qk) =
SF()SQk
A(S)
e quindi SF()S
kQk
A(S) =k
A(Qk) < A(R)
mentre f verifica |f(x, y) f(x, y)| < al variare di (x, y), (x, y) allinterno di qualunquerettangolo S E, dal momento che E e unione di rettangoli D in cui f = f e di altri in cuif = 0. Ne segue che
SF()
supS
f infS
f
A(S) =
SF()SkQk
supS
f infS
f
A(S) +
SF()SE
supS
f infS
f
A(S)
< 2maxD
|f|k
A(Qk) +
SF()S
E
A(S) <
2max
D|f| + A(R)
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per cui f e integrabile in R.La (44) si dimostra quasi punto per punto come la prima della (40) scrivendo f al posto di f.
Le sole differenze di cui va tenuto conto sono che qui la funzione
y f(x, y), x [a, b],che vale f(x, y) per (x) y (x) e 0 altrove, e integrabile da c a d perche e continua su tuttolintervallo tranne, eventualmente, i punti (x) e (x)), e che su [a, b] la funzione
F(x) =
dc
f(x, y)dy =
(x)(x)
f(x, y) dy.
e continua per il Teorema 4.3.
Il precedente teorema contiene i Lemmi 9.1 ((x) = a, (x) = b) e 9.2 ((x) = (x)). Esso inoltrevale con D al posto di D, tranne per la (44) che va sostituita dalla
Df(x, y) dxdy =
ba
dy
(y)(y)
f(x, y) dx.
10 Integrale delle funzioni a scala
A questo punto riprendiamo dallinizio lo studio dellintegrazione di Riemann in R2
, procedendopero in maniera piu sistematica.
Una funzione limitata R2 R a supporto compatto, dunque nulla al di fuori di un rettangoloR, e una funzione a scala se assume valori costanti negli interni S
hk=]xh1, xh[]yk1, yk[ dei
sottorettangoli Shk
associati a qualche partizione di R; e degenere se assume valori non nullisolo su segmenti limitati verticali o orizzontali. Dunque una generica funzione a scala si scrive sottola forma
(x, y) =h,k
hk
1Shk
(x, y) + 0(x, y) (45)
con hk
R e 0 degenere. In tale definizione puo essere sostituito da un suo qualunqueraffinamento : se, ad esempio, si ottiene aggiungendo a i punti (x1, yk), k = 1, . . . , n,con x0 < x1 < x1, risulta = 1k sia nei sottorettangoli aperti ]x0, x1[]yk1, yk[ che negli]x1, x1[]yk1, yk[. Inoltre R puo essere sostituito da un qualunque rettangolo che lo contenga.Rientrano banalmente nella definizione i casi di funzioni a scala degeneri, cioe nulle al di fuoridi un rettangolo degenere.
Sia unaltra funzione a scala, nulla al di fuori di un rettangolo R e costante negli internidei sottorettangoli associati ad unopportuna partizione di R. Per quello che abbiamo visto,possiamo sempre ricondurci a R = R (passando se necessario a un terzo rettangolo contenenteR R) e, una volta fatto questo, a = (passando se necessario al raffinamento comune ).Dunque anche assume un valore costante in ciascun S
hk, diciamo
(x, y) = h,k
hk
1Shk
(x, y) + 0(x, y) (46)
33
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con 0 degenere. A questo punto si vede subito che la combinazione lineare a + b con a, b R eancora una funzione a scala, che vale a
hk+ b
hkin S
hk.
Con la notazione A(S) per larea (base per altezza) di un qualunque rettangolo S, definiamo
integrale (elementare) della data in (45) il numero =
h,k
hk
A(Shk
) .
In questa definizione la partizione puo essere sostituita da un suo qualunque raffinamento senza che venga alterato il valore del secondo membro: per convincersene basta tornare allesempiodi dato un attimo fa ed osservare che
1k(x1 x0)(yk yk1) = 1k(x1 x0)(yk yk1) + 1k(x1 x1)(yk yk1) .Lintegrale elementare gode di tutte le proprieta che ci si aspetta da un buon integrale. Infatti
si vede subito, servendosi delle espressioni (45) e (46) di e , che e positivo:
per
dal momento che la condizione si traduce nelle condizioni hk
hk
e quindih,k
hk
A(Shk
) h,k
hk
A(Shk
) .
Inoltre e lineare:
(a + b) = a + b per a, b Rdal momento che
h,k
(ahk
+ bhk
)A(Shk
) = ah,k
hk
A(Shk
) + bh,k
hk
A(Shk
) .
Infine, = 0 se e degenere.
11 Integrale superiore e integrale inferiore
Introduciamo la notazione f Lc col seguente significato: f e una funzione R2 R limitata eda supporto compatto, dunque nulla al di fuori di un rettangolo R. La famiglia S+f delle funzionisemplici tali che f non e vuota, e la quantita
f = inf
S+f
e detta integrale superiore di Riemann della f. Notiamo che una funzione di S+f come la (45) dovendo soddisfare f in S
hk, quindi
hk supS
hkf per h = 1, . . . , m e k = 1, . . . , n
verifica anche
h,k
hk
A(Shk
)
h,k sup
S
hk
fA(Shk). (47)34
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Siccome f(x, y) si scrive h,k
f(x, y)1Shk
(x, y) + f(x, y)1E(x, y)
con E = hkShk (unione di segmenti verticali e orizzontali), il secondo membro della (47) elintegrale elementare della funzione semplice
(x, y) =h,k
supShk
f
1S
hk(x, y) +
supE
f
1E(x, y)
(e dunque rimane inalterato se e sostituita da un suo raffinamento o R da un rettangolo che locontiene). Ma sta a sua volta in S+f , e da qui si arriva a
f = inf h,k
supS
hk
f
A(S
hk)
o piu concisamente f = inf
SF()
supS
f
A(S).
Si constata subito che sulle funzioni di Lc lintegrale superiore e positivof
g per f g
(dal momento che f g = S+f S+g ), nonche subadditivo(f + g)
f +
g (48)
(dal momento che la somma di un elemento di S+f ed uno di S+g sta in S
+f+g e lintegrale elementare
delle funzioni a scala e lineare) e positivamente omogeneo(af) = a
f per a [0, [. (49)
Il prossimo esempio mostra che lintegrale superiore non ha, sulla totalita delle funzioni di Lc,la proprieta di linearita: pur essendo subadditivo non e additivo, e pur essendo positivamenteomogeneo non e omogeneo.
Esempio 11.1. Come nellEsempio 9.1, indichiamo con f la funzione di Dirichlet 1(Q[0,1])2.Siccome
SF()
supS
f
A(S) = 1,
SF()
supS
(f)
A(S) = 0
quale che sia la partizione di R = [0, 1]2, e quindif +
(f) = 1 ,
con la presente scelta di f non valgono ne il segno uguale nella disuguaglianza debole della (48)
quando g = f, ne lidentita della (49) quando a = 1.
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Lintegrale inferiore di Riemann di una funzione f Lc e la quantitaf =
(f)
per cui (f) =
f.
Siccome
0 =
(f f)
f +
(f) =
f
f
vale sempre la disuguaglianza
f f.
Anche lintegrale inferiore e positivamente omogeneo:(af) = a
f per a [0, [ .
Inoltre e superadditivo: (f + g)
f +
g .
Si verifica subito che
f = sup
SF()
infS
fA(S).Concludiamo questa sezione occupandoci del caso particolare f = 1E con E sottoinsieme
limitato di R2. Le quantita
A(E) =
1E = inf
SF()
supS
1E
A(S) = inf
SF()SE=
A(S) ,
A(E) =
1E = sup
SF()
infS
1E
A(S) = sup
SF()S
E
A(S)
sono rispettivamente la misura esterna (bidimensionale) di PeanoJordan e la misura in-terna (bidimensionale) di PeanoJordan di E. In particolare, E e trascurabile secon-do PeanoJordan o piu brevemente PJtrascurabile (in R2) se A(E) = 0, ovvero se, datocomunque > 0, esiste una partizione di un R E tale che
SF()SE=
A(S) < . (50)
Ad esempio, E e PJtrascurabile se e un segmento limitato verticale o orizzontale, per cui 1E edegenere. Molto piu in generale, E e PJtrascurabile se e il grafico di una funzione C0([a, b]), < a < b < : cfr. il Teorema 9.2.
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Osservazione 11.1. Utilizzando la (50) si vede subito che lunione e lintersezione di insiemiPJtrascurabili e anchessa PJtrascurabile.
12 Integrale doppio di Riemann
Come evidente, ogni funzione a scala soddisfa =
=
.
Pero e altrettanto evidente che lintegrale inferiore della funzione di Dirichlet e nullo, mentre quellosuperiore, come abbiamo visto nellEsempio 9.1, vale 1. Cio significa che, se f e una genericafunzione della classe Lc, la disuguaglianza (50) puo effettivamente venire soddisfatta o in sensostretto o come identita. Supponiamo che si verifichi il secondo caso:
f =
f (51)
ovvero
sup
Sf
= inf
S+f
ovvero ancorasup
SF()
infS
f
A(S) = inf
SF()
supS
f
A(S) (52)
dove le sono partizioni di un rettangolo R al di fuori del quale f si annulla identicamente.Allora diciamo che f e integrabile secondo Riemann (in R2), scriviamo che f Riem(R2), echiamiamo integrale (doppio) di Riemann di f il comune valore in (51), che denotiamo con
R2
f(x, y) dxdy oppure
R2
f(x, y) dxdy oppure
R2
f dxdy
o ancora, volendo essere particolarmente sbrigativi, con f come per le funzioni a scala.Richiedere che una f : R2 R a supporto compatto appartenga a Riem (R2) equivale dunque
a richiedere che, dato > 0, si possano trovare un rettangolo R contenente il supporto di f ed unapartizione di R tali che
SF()
supS
f infS
f
A(S) < (53)
(cfr. la (38): qui sintende che due partizioni distinte vengono sostituite da un loro comuneraffinamento).
Sia a > 0. Poiche sono positivamente omogenei sia lintegrale inferiore che quello superiore siha
f
Riem (R2) =
af
Riem(R2) con (af) = (af) = (af) = af . (54)37
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Ma allora (af) =
(af) = a
f = a
f
e quindi (af) =
(af) = a
f = a
f =
(af) .
Ne segue che anche af sta in Riem (R2), con(af) =
(af) =
(af) = a
f
e da qui si ottiene subito lomogeneita dellintegrale di Riemann: la (54) vale per ogni a R.Sia adesso data unaltra g Riem(R2). Siccome su Riem (R2) coincidono integrale superiore e
inferiore, f +
g =
f +
g
(f + g)
(f + g)
f +
g =
f +
g .
Dunque lintegrale di Riemann e additivo:
f, g Riem (R2) = f + g Riem(R2) con
(f + g) =
f +
g
e quindi, essendo anche omogeneo, e lineare:
f, g Riem (R2) = af + bg Riem(R2) con (af + bg) = af + bg per a, b R .Fissiamo adesso un > 0 e una tale che valga la (53). Facciamo variare le coppie di punti
(x, y), (x, y) interni ad un S F(). Da
|f(x, y)| |f(x, y)| |f(x, y) f(x, y)| supS
f infS
f
ricaviamosupS
|f| infS
|f| supS
f infS
f
e grazie alla (53) otteniamo
SF()
supS
|f| infS
|f|
A(S) < .
Da qui concludiamo che |f| Riem (R2); grazie alla positivita dellintegrale di Riemann,
f
|f|.
Un procedimento analogo mostra che f, g Riem (R2) = f g Riem (R2). Infatti
f(x, y)g(x, y) f(x, y)g(x, y)
|f(x, y) f(x, y)||g(x, y)| + |g(x, y) g(x, y)||f(x, y)|
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supS
f infS
f
supS
|g| +
supS
g infS
g
supS
|f|
e quindi
supS
(f g) infS
(f g) CsupS
f infS
f + supS
g infS
g
.
Osservazione 12.1. Ripercorrendo la costruzione dellintegrale di Riemann ci si accorge che appa-rentemente essa viene a dipendere dalla scelta di un particolare riferimento cartesiano in R2: un belguaio se proprio cos fosse, come si vede pensando al caso particolare delle misure di PeanoJordanche perderebbero ogni significato geometrico. Ma poi si riflette sul punto di partenza, cioe lareadei rettangoli, che e invariante per composizioni di rotazioni e traslazioni, e ci si convince chedeve valere un risultato del tipo: f Riem(R2) f Riem (R2) con
f = (f ) .Questo effettivamente e vero, come vedremo piu in la (Osservazione 14.1).
Sia E un sottoinsieme limitato di R2. Se 1E Riem (R2) diciamo che E e misurabile secondoPeanoJordan o piu brevemente PJ misurabile (in R2), e chiamiamo
A(E) =
R2
1Edxdy
la sua misura (bidimensionale) di PeanoJordan. Richiedere che 1E
Riem(R2) equivale a
richiedere che A+(E) = A(E), ovvero
inf
SF()SE=
A(S)) = sup
SF()SE=
A(S),
e quindi che, dato > 0, si possano trovare un R E ed una sua partizione tali che
SF()
supS
1E infS
1E
A(S) < .
In particolare E e PJ misurabile con A(E) = 0 se e solo se E e PJtrascurabile.
Teorema 12.1. Un sottoinsieme limitato E diR2 e PJmisurabile se e solo se la sua frontiera ePJtrascurabile.
DIM. Se e una partizione di un R E risulta
SF()
supS
1E infS
1E
A(S) =
SF()
supS
1E
A(S). (55)
Infatti per ogni S F() si verifica uno ed uno solo dei seguenti tre casi:
S E, S E = , S E = (56)
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dal momento che S e aperto. Ora,
supS
1E = infS
1E = 1, supS
1E = 0 per S E,
supS
1E = infS
1E = 1E = 0 per S E = ,
supS
1E = supS
1E = 1, infS
1E = 0 per S E= .
Dunque e equivalente richiedere che per ogni > 0 si possano trovare R e tali che sia < ilprimo membro della (55) (PJmisurabilita di E) oppure il secondo (PJtrascurabilita di E).
Osservazione 12.2. Grazie al precedente teorema ed allOsservazione 11.1 si constata subito chelunione e lintersezione di insiemi PJmisurabile e PJmisurabile.
Osservazione 12.3. La frontiera di ([0, 1]Q)2 e tutto il quadrato [0.1]2, che non e PJtrascurabileperche la sua misura esterna di PeanoJordan e la sua area e quindi vale 1. Questo significa che,se si vorra estendere al di la della teoria di PeanoJordan la classe dei sottoinsiemi misurabili diR2 in modo da farci rientrare anche ([0, 1] Q)2, non si potra immaginare di estendere anche lacaratterizzazione fornita dal Teorema 12.1.
Il Teorema 9.1 ammette la seguente generalizzazione, che non dimostriamo:
Teorema 12.2. Affinche una funzione f Lc sia integrabile secondo Riemann e sufficiente chelinsieme dei suoi punti di discontinuita sia trascurabile secondo PeanoJordan.
(Il precedente risultato si migliora in una condizione necessaria e sufficiente, che pero non puonemmeno essere formulata con le sole nozioni della teoria di Riemann: ne daremo un accenno nellaSezione 13.)
Siano E R2 PJ-misurabile e f : E R limitata. Se il prolungamento f di f a zero fuori diE sta in Riem (R2), diciamo che f sta in Riem (E) e che la quantita
E
f dxdy =R2
f dxdy
e il suo integrale di Riemann su E. Stesso discorso e stessa notazione se f e invece datain Riem(R2), che sappiamo essere chiuso rispetto al prodotto: allora anche f = f1E, cioe la fprima ristretta ad E e poi prolungata a 0 fuori di E, sta in Riem(R2). Se in particolare E ePJtrascurabile, lintegrale su E di una qualunque funzione f limitata (esiste ed) e nullo:
0 = (infE
f)A(E) =
f1E
f1E (sup
Ef)A(E) = 0.
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Ladditivita dellintegrale rispetto alla somma di funzioni si trasferisce alle unioni disgiunte didomini di integrazione: se E ed F sono PJ-misurabili con E F = , una funzione f : E F Re integrabile su E F se e solo se integrabile sia su E che su F, e in tal caso
EFf dxdy =
E
f dxdy +
F
f dxdy;
in particolare, prendendo E aperto e F = E vediamo cheE
f dxdy =
E
f dxdy,
per cui non ci sara da preoccuparsi di distinguere tra integrali su insiemi misurabili aperti o chiusi.Con f = 1EF otteniamo per le aree
A(E
F) = A(E) + A(F),
sempre, sintende, per E F = ; in generale,
A(E F) = A(E) + A(F) A(E F).
13 Alcune estensioni
Integrali di Riemann inR3 (e inRN)
Un primo, semplice allargamento delle nozioni viste finora consiste nel passaggio dalle funzioni di 2variabili a quelle di un qualunque numero N di variabili. Gia il caso N = 3 illustra significativamenteil procedimento. Al posto dei rettangoli si prendono i parallelepipedi P, con la notazione V(P)per i volumi (base per altezza per profondita). Una partizione di P = [a, b] [c, d] [r, s] e unafamiglia = {(xh, yk, z) | x0 = a < x1 < < xm = b, y0 = c < y1 < < yn = b, z0 = r < z1 < < zp = s}, e F() e la famiglia dei sottoparallelepipedi Qhk = [xh1, xh] [yk1, yk] [z1, z].Una funzione limitata R3 R e una funzione a scala se, per unopportuna scelta di P e , e nullafuori di P e assume valore costanti
hknegli interni dei Q
hk F(). Lespressione
=
h,k,hk
V(Qhk
)
e lintegrale elementare di . Una volta constatato che si tratta di una definizione ben posta siarriva senza difficolta agli integrali superiore e inferiore di Riemann; agli insiemi PJtrascurabili(adesso in R3!); allintegrale (triplo) di Riemann denotato con
R3
f(x,y ,z) dxdydz oppure
R3
f(x,y ,z) dxdydz oppure
R3
f dxdydz
o ancora, sbrigativamente, con
f; alla misura (tridimensionale) di PeanoJordan.Lo studio degli integrali sui domini normali del piano ammette una prima generalizzazione
immediata allo spazio tridimensionale. Vediamo come. Fissate due funzioni , continue su un
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rettangolo R = [a, b] [c, d] del piano con in R vediamo subito (procedendo per R3 comenella dimostrazione del Teorema 9.1 per R2) che una f C0(D) e integrabile su D; inoltre risulta
D
f(x,y ,z) dx dy dz =R
dxdy
(x,y)(x,y)
f(x,y ,z) dz =
b
adx
d
cdy
(x,y)(x,y)
f(x,y ,z) dz (57)
con a secondo membro la notazione abituale per
R
(x,y)(x,y)
f(x,y ,z) dz
dxdy
(e si noti che diamo per scontata una generalizzazione del Teorema 4.1 per la quale lintegralesemplice da (x, y) a (x, y) e una funzione continua, dunque integrabile, di (x, y)
R); la seconda
identita della (57) segue dalla formula di riduzione dellintegrale doppio. Per dimostrare la (57) siprocede come nella dimostrazione della (44), solo che al posto delladditivita dellintegrale semplicesui sottointervalli associati ad una partizione di [a, b] adesso si sfrutta quella dellintegrale doppiosui sottorettangoli associati ad una partizione di R.
Da qui si potrebbe poi passare alla generalizzazione della prima delle identita (57) che si ottieneprendendo
D = {(x,y ,z) R3 | (x, y) K, (x, y) z (x, y)}con K sottoinsieme PJmisurabile di R2:
D
f(x,y ,z) dxdydz = K
dxdy
(x,y)
(x,y)
f(x,y ,z) dz (58)
(col significato ormai evidente del simbolo a secondo membro).Naturalmente anche lintegrale doppio a secondo membro della (58) puo essere ridotto se K e
un dominio normale del piano.La prima identita nella (57) e piu in generale la (58) sono le formule di riduzione degli
integrali tripli.A questo punto si puo passare senza difficolta a definire in RN, per un qualunque valore naturale
N, gli integrali secondo Riemann, detti allora Npli ed indicati semplicemente con
RN
f(x) dx ,
(o di nuovo sbrigativamente con
f) e gli insiemi misurabili secondo PeanoJordan: basta prenderecome punto di partenza i prodotti cartesiani [a1, b1] [aN, bN] e le quantita (b1a1) (bNaN)al posto rispettivamente degli ordinari parallelepipedi e degli ordinari volumi.
Accenni alla teoria di Lebesgue
Ben piu rilevante, e complicato, e lallargamento delle nozioni stesse di integrale e misura. Restiamoalle funzioni di due variabili per fissare le idee: esiste una maniera di definire una integrabilitache si applichi non solo agli elementi di Riem (R2), ma anche a funzioni, come ad esempio quella diDirichlet, che non rientrano in tale spazio? La risposta e affermativa, e qui diamo una pallida idea
di come essa puo essere articolata.
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Data una funzione f :