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di Lorenzo Torrioli* Noi tutti conosciamo direttamente o indiretta- mente questa patologia, di cui sempre più spesso sentiamo parlare. Tra le numerose malattie infettive che possono colpire gli avicoli, è considerata dagli allevatori come la “bestia nera” o peste aviare (fowlplague, come fu denominata verso la metà del 1800). Cerchiamo ora di capire meglio cos’è e come si comporta questo virus. Il virus dell’influenza appartiene ai virus influen- zali tipo A, famiglia Orthomyxoviridae, a cui ap- partengono anche i virus influenzali che colpisco- no l’uomo e gli altri mammiferi (soprattutto suino e cavallo). Sono virus ad RNA classificati in base alla presenza di antigeni superficiali (ovvero una sorta di escrescenze presenti sulla superficie del virus che gli consente di legarsi alla cellula dell’o- spite, infettandola) chiamati EMOAGGLUTININA (H) e NEURAMINIDASI (N) delle quali, ad oggi ne sono riconosciti 15 tipi per H e 9 per N. Un’ulteriore classificazione dei ceppi riguarda la patogenicità dei virus, suddividendoli in due grandi categorie: alta patogenicità o HPAI e bassa patogenicità o LPAI; in linea di massima i virus H5 e H7 sono considerati HPAI mentre gli altri, da H1 a H15 LPAI. L’influenza aviaria è stata descritta per la pri- ma volta in Italia nel 1878 da Perroncito come una “grave e severa malattia dei polli”. Numerosi sono stati poi i casi di malattia riscontrati in tutto il mondo: dal Nord al Sud America, Nord Africa, Medio ed Estremo Oriente, Europa ed ex URSS. La diffusione della malattia su scala mondiale è legata principalmente alla capacità del virus di in- fettare un gran numero di volatili: tacchini, polli, faraone, coturnici, quaglie, fagiani, passeriformi, rapaci, pappagalli, pivieri, rondini, aironi, gabbia- ni e anatidi selvatici. Un ruolo di fondamentale importanza nella diffusione del virus è da attribu- ire agli uccelli migratori ed in particolare agli ana- tidi che rappresentano, ad oggi, il principale ser- batoio della malattia (essendone portatori sani). In particolare, le grandi aree palustri di raduno dei selvatici, prima delle migrazioni, sono da con- siderare veri e propri “focolai viventi” della malat- tia poiché il virus viene eliminato con le feci e da qui passa nelle acque, dove può essere isolato in concentrazioni anche elevate. Con la migrazione il virus può essere trasmesso a specie sensibili, quali pollo e tacchino (specie in assoluto più sensibile all’infezione), perpetrando il ciclo. La vera pericolosità del virus influenzale dell’a- viaria è quella di potersi “trasformare” con estre- il Club delle Ciuffate - 9 Salute Ancora di recente l’influenza aviare ha colpito numerosi Paesi La bestia nera degli avicoltori

Ancora di recente l’influenza aviare ha colpito … facilità, attraverso due meccanismi ben pre-cisi: drift antigenico (ovvero la capacità del virus mutare) e lo shift antigenico

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Page 1: Ancora di recente l’influenza aviare ha colpito … facilità, attraverso due meccanismi ben pre-cisi: drift antigenico (ovvero la capacità del virus mutare) e lo shift antigenico

di Lorenzo Torrioli*

Noi tutti conosciamo direttamente o indiretta-mente questa patologia, di cui sempre più spesso sentiamo parlare.

Tra le numerose malattie infettive che possono colpire gli avicoli, è considerata dagli allevatori come la “bestia nera” o peste aviare (fowlplague, come fu denominata verso la metà del 1800).

Cerchiamo ora di capire meglio cos’è e come si comporta questo virus.

Il virus dell’influenza appartiene ai virus influen-zali tipo A, famiglia Orthomyxoviridae, a cui ap-partengono anche i virus influenzali che colpisco-no l’uomo e gli altri mammiferi (soprattutto suino e cavallo). Sono virus ad RNA classificati in base alla presenza di antigeni superficiali (ovvero una sorta di escrescenze presenti sulla superficie del virus che gli consente di legarsi alla cellula dell’o-spite, infettandola) chiamati EMOAGGLUTININA (H) e NEURAMINIDASI (N) delle quali, ad oggi ne sono riconosciti 15 tipi per H e 9 per N.

Un’ulteriore classificazione dei ceppi riguarda la patogenicità dei virus, suddividendoli in due grandi categorie: alta patogenicità o HPAI e bassa patogenicità o LPAI; in linea di massima i virus H5 e H7 sono considerati HPAI mentre gli altri, da H1

a H15 LPAI.L’influenza aviaria è stata descritta per la pri-

ma volta in Italia nel 1878 da Perroncito come una “grave e severa malattia dei polli”. Numerosi sono stati poi i casi di malattia riscontrati in tutto il mondo: dal Nord al Sud America, Nord Africa, Medio ed Estremo Oriente, Europa ed ex URSS.

La diffusione della malattia su scala mondiale è legata principalmente alla capacità del virus di in-fettare un gran numero di volatili: tacchini, polli, faraone, coturnici, quaglie, fagiani, passeriformi, rapaci, pappagalli, pivieri, rondini, aironi, gabbia-ni e anatidi selvatici. Un ruolo di fondamentale importanza nella diffusione del virus è da attribu-ire agli uccelli migratori ed in particolare agli ana-tidi che rappresentano, ad oggi, il principale ser-batoio della malattia (essendone portatori sani). In particolare, le grandi aree palustri di raduno dei selvatici, prima delle migrazioni, sono da con-siderare veri e propri “focolai viventi” della malat-tia poiché il virus viene eliminato con le feci e da qui passa nelle acque, dove può essere isolato in concentrazioni anche elevate. Con la migrazione il virus può essere trasmesso a specie sensibili, quali pollo e tacchino (specie in assoluto più sensibile all’infezione), perpetrando il ciclo.

La vera pericolosità del virus influenzale dell’a-viaria è quella di potersi “trasformare” con estre-

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Ancora di recente l’influenza aviare ha colpito numerosi Paesi

La bestia nera degli avicoltori

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ma facilità, attraverso due meccanismi ben pre-cisi: drift antigenico (ovvero la capacità del virus mutare) e lo shift antigenico (ovvero la capacità di ricombinarsi con altri virus, generando nuovi sti-piti virali).

In parole semplici, questo virus fa paura perché è potenzialmente in grado di mutare ed infetta-re nuove specie, uomo in primis, generando una pandemia su scala mondiale. A sostegno di questa ipotesi, il virus influenzale di tipo aviare è stato isolato anche da alcuni mammiferi come le foche comuni, le quali hanno manifestato forme respi-ratorie con congiuntivite, nonché balene e suini (i quali sembrano svolgere un ruolo importante nel-la ricombinazione tra virus aviari e umani).

A partire dal 1997 sono stati isolati i primi casi di malattia nell’uomo: ad Hong Kong è stato docu-mentato il primo caso in cui un virus influenzale aviare (ceppo H5N1) è stato trasmesso diretta-mente dai volatili all’uomo e durante quest’epi-sodio ben 6 persone su 18 ospedalizzate sono decedute. Nel Febbraio 2003 un nuovo focolaio d’influenza aviare sostenuto da H5N1, sempre ad Hong Kong, ha causato la morte di una persona che aveva viaggiato nell’entroterra cinese. Sempre lo stesso anno, in Olanda, il virus aviare di tipo H7N7 è stato isolato nel personale addetto al set-tore avicolo e nelle loro famiglie, provocando la morte di un veterinario addetto alle operazioni di polizia veterinaria. A partire dal Dicembre 2003 si è verificato un nuovo allarme nel sud-est asiatico che ha portato all’isolamento del virus influenzale aviare H5N1 e che si è dimostrato particolarmente

preoccupante per i risvolti di sanità pubblica. In-fatti a partire da Gennaio 2004 per arrivare agli inizi del 2005, sono già 34 i casi di morte con-fermati che coinvolgono la popolazione umana, provocati da questo virus.

Nei volatili la trasmissione può avvenire sia per contatto diretto tra uccelli infetti e quelli sensibili sia indirettamente, attraverso l’esposizione a ma-teriali contaminati dal virus. Dato che i soggetti infetti possono eliminare forti quantità di virus con le feci, la diffusione avviene facilmente per mezzo di qualsiasi materiale contaminato: cibo, acqua, lettiera, gabbie, indumenti, mezzi di tra-sporto e insetti vettori.

Il periodo di incubazione può variare da poche ore a 14 giorni ma è comunque dipendente dal tipo di virus, dalla dose infettante e dalla sensibi-lità individuale.

I sintomi sono purtroppo estremamente varia-bili, quelli più comunemente descritti compren-dono: pallore, abbattimento, calo dell’ovode-posizione, sintomatologia respiratoria (rantoli, starnuti, sinusite), edema della testa, cianosi, di-sordini nervosi e diarrea ma si possono avere an-che infezioni asintomatiche. Talvolta la malattia si manifesta con morte improvvisa, senza sintomi premonitori. Solitamente in tutti gli uccelli selva-tici, la malattia è asintomatica.

Essendo un virus non esiste terapia in grado di combattere l’infezione.

La profilassi, ovvero la prevenzione è l’unico modo per proteggere i nostri animali dall’infezio-ne. Evitare o limitare il contatto con uccelli selva-

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tici o con materiali ed oggetti potenzialmente con-taminati ed evitare la convivenza in allevamento di specie diverse come tacchini, polli ed anatidi possono aiutarci ad evitare o limitare le possibilità di infezione.

La vaccinazione è VIETATA poiché l’utilizzo di vaccini vivi attenuati potrebbe creare portatori sani nonchè eliminatori del virus, potenzialmen-te patogeno per altre specie di uccelli; l’utilizzo di vaccini spenti, invece, potrebbe causare “confu-sione” e far emergere “falsi positivi” nel caso di ri-cerca di anticorpi specifici nel siero (perciò anche questo tipo di vaccinazione è VIETATA).

A partire dal mese di Ottobre dello scorso anno,

moltissimi sono stati i focolai di influenza Aviaria HPAI (alta patogenicità) nel nostro continente, i primi verificatesi nell’Est Europa, dilagando poi in tutti i paesi dell’Unione, Italia compresa. Questo ha comportato l’abbattimento di milioni di volatili, nel tentativo di eradicare la malattia, nonché un costo importante per i singoli Paesi. Per conoscen-za allego una Mappa, aggiornata a pochi giorni fa, riportante i vari focolai presenti in Europa fino ad oggi.

* Medico veterinario specializzato in Patologia Aviare.

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