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Inserto redazionale M.C., maggio 2011

ANNO LXXII - Beato Giuseppe Allamanogiuseppeallamano.consolata.org/images/stories/DocumentazioniPDF/... · un sogno per i circa venti LMC provenienti dall’Africa, dall’America

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IInn ccooppeerr ttiinnaa - Il Beato Giuseppe Allamano.

EDITORIALE 3

ATTUALITÀ 4

TESTIMONIANZESensibilità umana dell’Allamano 10

IN DIALOGOLettera al Fondatore 14

SULLA SCIAPadre Domenico Ferrero 18

SPIRITUALITÀLe conferenze dell’Allamano 22Giuseppe Cafasso - Giuseppe Allamano 24

PREGHIAMO 28

RICONOSCENZA 30

RREEDDAAZZIIOONNEE ee PPOOSSTTUULLAAZZIIOONNEEIstituto Missioni ConsolataViale delle Mura Aurelie, 11-1300165 ROMATel. 06/393821Fax 06/3938.2255E-mail: [email protected]

REDATTOREP. FRANCESCO PAVESE

Distribuzione gratuita.Il bollettino non ha quota d’abbonamento ma è sostenutocon offerte libere dei lettori

C.C.P. n. 39573001 intestato a:MISSIONI CONSOLATAViale delle Mura Aurelie, 11-1300165 ROMA

oppure: c/c N. 33405135intestato a:MISSIONI CONSOLATA O.N.L.U.S.Corso Ferrucci, 14 10138 TORINOSpecificare sempre il motivodel versamento.

GRAFICAP. SERGIO FRASSETTO

AANNNNOO LLXXXXIIIINN.. 22 -- 22001111

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Carissimi amici lettori,nell’incontro con Dio scopriamo la

nostra missione personale. Si tratta diun incontro significativo che segna inprofondità e definitivamente la nostravita. Esso, infatti, rivela non soltanto chiè Dio, ma anche la missione che vuoleaffidarci. Tanti esempi nella SacraScrittura illustrano quest’affermazione.

Come cristiani e Missionari dellaConsolata, vediamo in Maria il modelloper eccellenza di che cosa implica l’in-contro con Dio, che fa diventare assolu-tamente possibile quello che per noi èimpossibile (Lc. 1,26-3).

Il dialogo nell’intimità tra Dio eMaria è un incontro missionario, perchéil suo assenso alle parole dell’angelocoinvolge, non solo Lei, avvolta dalMistero, ma anche “la salvezza delmondo”. Così, possiamo dire che ladimensione missionaria è, prima ditutto, frutto dell’esperienza di Dio.

Lo stesso successe con il beatoGiusepppe Allamano che, nei suoi

incontri intimi con Dio, contemplandoMaria Consolata, ha sentito di doverdare vita a “Opere missionarie” per por-tare consolazione a quanti ignoravano lapersona di Gesù, salvatore del mondo.

Ogni “sì” che diamo al Signore nelnostro incontro personale con Lui, edogni iniziativa che fa sbocciare vita infavore degli altri, facendoci uscire dalnostro mondo individualistico, è untocco di missionarietà che diamo allanostra esistenza.

In questa prospettiva, mentre si avvi-cina la celebrazione del XII CapitoloGenerale del nostro Istituto, l’incontrocon il Signore della missione ci aiuti acambiare vita, divenendo sempre piùsimili a Maria e preghiamo perchél’Istituto fondato dal beato Allamanorimanga fedele al suo carisma e crescasempre più nella sua dimensione mis-sionaria.

Con affetto,P. Aquiléo Fiorentini, IMC

Padre Generale

Letteradel SuperioreGenerale

EDITORIALE

La dimensione missionaria di Maria

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La comunità di Maunza iniziò con lafondazione di una scuola nel lontano 1955.La domenica, il semplice edificio scolasticofunzionava anche come cappella, fino allanazionalizzazione della scuola nel 1975.

Il difficile periodo della rivoluzionesocialista e atea incise negativamente sullavita della comunità, che si trovò senza unposto fisso per pregare, adattandosi adincontrarsi all’ombra di un albero di cajù.

La parrocchia, però, non si perse d’ani-mo e si impegnò a formare dei responsabiliper i ministeri della comunità, indipenden-temente dalle restrizioni religiose e dalladispersione di molti cristiani causata dalledevastazioni della guerra civile.

Terminata la guerra, nel 1992, la comu-nità cristiana di Maunza si ricompose e

costruì una cappella di paglia, che prestorisultò piccola per organizzare in modoadeguato la comunità e per il numero sem-pre crescente di fedeli. Fu a questo puntoche fu decisa la costruzione di una nuovacappella e venne scelto come “patrono” ilbeato Giuseppe Allamano, Fondatore deiMissionari e delle Missionarie dellaConsolata.

La costruzione della nuova chiesa fudecisa in pieno accordo tra il consiglio dellacomunità di Maunza e i missionari addettialla parrocchia di Guiúa. Con il contributodella “Kirch in Not” (Chiesa che soffre) lacostruzione della chiesa poté essere ultima-ta e il 19 dicembre dello scorso anno fucoronato un sogno che era iniziato all’om-bra del cajù, tanti anni fa.

ATTUALITÀ

A MAUNZA IN MOZAMBICO

CHIESA DEDICATA AL BEATO ALLAMANOIl 19 dicembre 2010, nel villaggio di Maunza, appartenente alla parrocchia di Guiúa, della

diocesi di Inhambane in Mozambico, è stata benedetta e inaugurata una chiesa dedicata la nostroFondatore, il beato Giuseppe Allamano. Riportiamo la notizia che ci è pervenuta direttamente dalparroco.

Mons. Adriano Langa, assistito da p. Antunes Diamantino, mentre consacra la nuova chiesa dedicata al beato Allamano.

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Mons. Adriano Langa, vescovo diInhambane, benedisse e inaugurò la chiesa,facendo alla comunità cristiana questoaugurio: «Questa chiesa, che oggi benedi-ciamo e inauguriamo, possa diventare unpiccolo segno del cammino che questa

comunità ha iniziato e consolidato, rag-giungendo nel tempo un mirabile svilup-po». Dopo la celebrazione religiosa, tuttiparteciparono al pranzo e ad un momentodi gioia fraterna.

P. Antunes Diamantino Guapo IMC

Il 13 gennaio, si è realizzato finalmenteun sogno per i circa venti LMC provenientidall’Africa, dall’America Latina e dal-l’Europa, che si trovavano in Italia per illoro primo incontro internazionale.

Previsto dal programma, il pellegrinaggio ailuoghi della memoria di Castelnuovo eTorino si è concluso con la tanto attesa visi-ta alla tomba del beato Giuseppe Allamano.

Si sono soffermati in preghiera davanti

Nei giorni 09-16 gennaio 2011, venti Laici Missionari della Consolata (LMC) si sono incon-trati a Roma per riflettere sulla loro partecipazione alla missione in vista dei Capitoli Generalidei due Istituti dell’Allamano. Erano i rappresentanti dei diversi gruppi di LMC che esistono doveoperano i Missionari e le Missionarie della Consolata. Hanno voluto fare un pellegrinaggio ai luo-ghi della nostra origine (Castelnuovo e Torino), riservando pure un tempo per incontrare le comu-nità delle missionarie e dei missionari anziani a Venaria Reale (TO) e ad Alpignano (TO).Riportiamo qui una breve relazione della loro sosta presso la tomba dell’Allamano, che anch’essichiamano “Padre Fondatore”.

I LAICI MISSIONARI DELLA CONSOLATASULLE ORME DELL’ALLAMANO

La comunità cristiana diMaunza radunata davantialla nuova chiesa, dopo laconsacrazione, mentreosserva da vicino il quadro del patrono: il beato Allamano.

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all’artistica urna sepolcrale del Fondatore ea quella contenente le ceneri del canonicoCamisassa. Hanno pure reso omaggio alquadretto miracoloso della Consolata, evenerato i missionari e missionarie martiri ilcui sangue ha irrorato la fede delle lorocomunità cristiane.

Sono stati momenti toccanti, in un’at-mosfera commovente e coinvolgente, cheha raggiunto l’apice con la celebrazionedella Santa Messa, presieduta da padreSandro Carminati, superiore regionaledell’Italia.

Stretti attorno all’altare, i LMC hannopregato per le loro nazioni di origine, alcu-ne delle quali negli ultimi anni hanno vis-suto lunghi periodi drammatici di guerracivile, per le loro famiglie e comunità cri-stiane. Hanno ringraziato i missionari e lemissionarie che hanno parlato lorodell’Allamano e lo hanno fatto amare.

Chi, da spettatore esterno, ha assistito atale pellegrinaggio, potrebbe chiedersi:«cosa avrà pensato e come avrà corrispostoa tanto amore e venerazione il beato Giu-seppe Allamano?».Rimane un segreto tra Lui - il Fondatore -,

e i LMC che lo hanno incontrato. Un dialo-go che senz’altro continua “a distanza”, nelcuore e nella memoria di quel gruppo digiovani che, insieme ai missionari e allemissionarie, condivide un carisma fatto dipassione per la missione, di amore allaConsolata, e di santità di vita.

È il tesoro con il quale l’Allamano haarricchito la Chiesa universale, oggi donoprezioso da lui offerto anche ai laici che,animati dal suo spirito, si vogliono impe-gnare per la missione ad gentes, in collabo-razione con i Missionari e le Missionariedella Consolata.

P. Antonio Rovelli IMC

A lato: il gruppo di laici,provenienti da tutto ilmondo, fanno corona al sepolcro del beatoAllamano.Al centro, i padri Rovelli,Carminati e Basso G.

Sotto: sosta di preghiera personale presso il beato Allamano.

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ATTUALITÀ

Il 12 marzo 2011, mons. Cesare Nosi-glia, nuovo arcivescovo di Torino, ha fattovisita alla nostra comunità missionaria diCasa Madre.

Il primo atto che ha compiuto è stato disostare in raccoglimento e preghiera davan-ti all’urna sepolcrale del nostro Fondatore,il beato Giuseppe Allamano, e poi a quelladel Confondatore, il can. Giacomo Cami-sassa. Un gesto molto significativo eapprezzato, perché le nostre origini sonoprofondamente radicate nella Chiesa diTorino. Era giusto che il nuovo Pastoredella diocesi rendesse omaggio a questi“suoi” due eccellenti sacerdoti, la cui operaè ancora viva oggi.

Dopo la recita dell’Ora Media nel san-tuario dell’Allamano, mons. Nosiglia si èfamiliarmente intrattenuto con i missionari,prima presentandosi e poi spiegando asomme linee il programma pastorale cheintende realizzare con la collaborazione ditutti. Ha pure accettato di rispondere adomande che gli sono state rivolte da alcu-

ni presenti.Al termine ha confidato di essere stato

colpito in particolare da due interventi. Ilprimo è stato quello che ha giustamentesottolineato il senso profondo della nostraorigine: i Missionari della Consolata sononati in questa Chiesa e da essa sono partitiper il loro campo apostolico. L’arcivescovodi Torino, perciò, ancora oggi li può consi-derare “suoi” missionari.

Il secondo intervento è stato quello cheha messo in evidenza la presenza dellaConsolata, la quale, nella convinzionedell’Allamano, è la “vera” fondatrice del-l’Istituto.

Oggi, l’icona della Consolata è sparsa inmigliaia di copie in tutto il mondo. La suapresenza sostiene i missionari e le missiona-rie a continuare la loro nobile impresa.Ogni volta che si porta a pregare in quelsantuario, cuore spirituale della diocesi,l’arcivescovo si senta in comunione specia-le con questi apostoli sconosciuti e, comefaceva l’Allamano ogni giorno, li benedica.

IL NUOVO ARCIVESCOVO DI TORINOSULLA TOMBA DELL’ALLAMANO

Da sinistra:p. Sandro Carminati,superiore regionale,mons. Cesare Nosiglia,arcivescovo di Torinoe p. Francesco Pavese,postulatore della causadi canonizzazione.

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Cento cinquanta anni d’Italia sonoanche cento cinquanta anni di storia di san-tità, animati da uomini e donne di Dio chehanno contribuito a fare gloriosa la sua sto-ria. Torino è la prima capitale d’Italia; daqui è partito il movimento e l’ideale che haportato all’unificazione del Paese. Ecco per-ché nel celebrare questo importante anni-versario, Torino si è attrezzata per rintrac-ciare e raccontarsi le radici di questa unità.

Tra le varie iniziative, ne è sorta unageniale e significativa. Don Ermis Segatti,prete della diocesi e referente della Pasto-rale della Cultura, si è reso conto che non sipossono celebrare i 150 anni, senza ricor-dare e celebrare anche i così detti “santisociali”: Giuseppe Benedetto Cottolengo,Giuseppe Cafasso e il nipote Giuseppe Alla-mano, Giovanni Bosco, Leonardo Murialdo,Giulia Falletti di Barolo, Francesco Faà diBruno e Piergiorgio Frassati.

Curiosamente, queste sante personesono fiorite nella Torino dell’800, nello stes-so periodo in cui si stava formando il movi-mento per l’unificazione d’Italia e alcuni diloro hanno vissuto da vicino questo evento.Sono uomini e donne che hanno segnatodecisamente la storia degli uomini e donnedi Torino e hanno contribuito alla forma-zione della coscienza nazionale, con le lorointuizioni, che hanno originato opere anco-ra oggi vive e feconde.

Don Ermis Segatti ha formato un grup-petto di 10 giovani e li ha preparati perpoter aiutare persone e gruppi che vorreb-bero conoscere e apprezzare questi santi,tracciandone la storia, le loro opere e lemotivazioni che li hanno spinti a operare evivere la loro spiritualità. L’iniziativa consi-ste concretamente nella visita guidata neiluoghi dove queste persone sono vissute ehanno operato, come se si volesse rivivere

la stessa loro esperienza. «Racconteremocosa significano per noi questi santi e fare-mo vedere una città diversa, spesso scono-sciuta anche a chi la vive ogni giorno»,spiega uno dei volontari.

Il primo pellegrinaggio si è svolto sabato5 marzo 2011, e ha visto come protagonistail nuovo gruppo di giovani che da ottobrescorso hanno cominciato un cammino coni Missionari della Consolata per giungere acondividere la loro missione. Significativa-mente, il cammino ha avuto inizio dal san-tuario della Consolata, dove l’Allamano èstato rettore per ben 46 anni. È da quel san-tuario che tutti i santi di Torino hannoattinto la loro ispirazione. Poi hanno visita-to Valdocco, culla dell’opera e spiritualità diGiovanni Bosco. A Valdocco il nostro“Giuseppe” (Allamano) ha fatto i suoi studiginnasiali e ha avuto don Bosco come diret-tore spirituale. Poi si sono diretti allaPiccola Casa della Divina Provvidenza, doveuna suora del Cottolengo ha fatto unacuriosa battuta: «la Piccola Casa è moltogrande, ma è piccolissima se la paragonia-mo alla Provvidenza di Dio, che abbracciatutto l’universo».

Ha incuriosito i giovani scoprire che levite di questi tre santi sono profondamenteintersecate tra loro: Giuseppe Allamano stu-dia da don Bosco e, quando inizieràl’Istituto dei missionari, le Vincenzine delCottolengo saranno le prime suore a colla-borare con i missionari in Kenya.

Al pomeriggio si sono spostati alla CasaMadre dei Missionari della Consolata ehanno approfondito la vita dell’Allamano.Nella condivisione a conclusione di questa“gita” molto speciale, sono emersi puntiimportanti e inaspettati. In particolare, èstata sottolineata la capacità di collaborazio-

ATTUALITÀ

L’ALLAMANO TRA I SANTI SOCIALI

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ATTUALITÀne tra i santi, riprendendo una frase delnostro Fondatore, che sintetizza questarealtà: «È appunto perché eravamo tantodiversi che abbiamo potuto fare tutto que-sto». L’Allamano parlava della sua collabo-razione con il Camisassa, ma il suo pensie-ro è stato illuminante per cogliere l’unioneprofonda tra i santi sociali.

Un altro punto emerso fortemente èstata la capacità di decisione propria di que-sti grandi uomini, dai giovani sintetizzataanche questa volta con le parole dettedall’Allamano ai suoi fratelli, al momento dientrare in seminario: «Il Signore mi chiamaoggi, non so se mi chiamerà tra tre anni!».Questa capacità di decidere con chiarezzacolpisce, perché - come i giovani stessihanno sottolineato - oggi diventa faticosopoter fare dei passi importanti nella vita,bombardati come si è da tanti richiami, pro-poste e possibilità.

Per ultimo è emerso che questi sonostati soprattutto “uomini di Dio”. Hannooperato con tanto zelo in orizzonti moltovasti non per motivi umani o di successopersonale o di partito, ma perché amavanoDio e tutto ciò che stava a cuore a Dio.Hanno operato nella sfera sia ecclesiale chesociale. Don Bosco come l’educatore e pro-motore della gioventù povera ed emargina-

ta, e come fondatore dei Salesiani e dellefiglie di Maria Ausiliatrice. Il Cottolengo alservizio dei malati e diseredati e anche luicome fondatore di famiglie di suore e fratel-li. L’Allamano nell’annuncio della buonanovella a quanti non conoscono Cristo, laloro promozione umana, l’elevazione del-l’ambiente sociale e poi come fondatore didue famiglie missionarie. Grazie a lui, lacittà di Torino e l’Italia si sono aperte all’u-niversalità della missione di Cristo.

Un’osservazione interessante è stata fattadai giovani: «Questi uomini sono socialiperché sono santi, e non santi perché socia-li». Ancora una volta è stata una frasedell’Allamano a sintetizzare tutto: «Primasanti, poi missionari».

Attraverso il racconto di questi santisociali, i giovani imparano a conoscereCristo, e a vedere l’altra faccia della Chiesa,quella che non si conosce e di cui non sisente parlare. Ci si rende conto che la mis-sione di Cristo è ancora in corso attraversoquelli che continuano a vivere il carismalasciato dai loro fondatori. E che ancoratanto bene viene fatto silenziosamente edisinteressatamente, un bene che continuaa costruire la storia d’Italia e del mondointero.

Nicholas Muthoka

Il primo gruppo di giovani, che il diac.Nicholas (al centro), ha guidato alla cono-scenza del beatoAllamano come “santosociale” di Torino.

Il cuore “tenero” del Padre. Il Fr. Alfonso Caffo IMC, uno dei

beniamini dell’Allamano, assicura: «[IlFondatore] era sensibilissimo, si rallegravaal più piccolo bene fatto, anche insignifi-cante, come soffriva del più piccolo man-camento di qualunque genere fosse benchésapesse anche compatire».

Il P. Domenico FerreroIMC così ricorda la reazio-ne del Fondatore quandoun missionario avevaabbandonato l’Istituto:«Eh vedi! Il Signoremi dà la grazia difarmi la debita vio-lenza e di non afflig-germi troppo. Devocomportarmi soven-te come se avessi uncuor duro, mentrel’ho troppo tenero...».E conclude: «qui s’in-terruppe come se avesseun nodo alla gola per lacommozione».

P. Giovanni Piovano IMCscrive: «Un anno, nell’anniversariodella sua nascita, parlando di essa, dopoaver reso grazie a Dio, ci disse tante soavicose sulla nostra filiazione divina, ed eracommosso. Mi colpirono queste parole cheriferiva a se stesso: “In charitate perpetua!Iddio, da tutta l’eternità pensò a me conamore!”. Nel pronunciare queste parole sisentiva che la commozione più tenera e

filiale aveva fatto presa sul suo cuore pienodi riconoscenza per Dio».

Sr. Antonietta MC racconta: «Così unavolta sono andata a trovarlo [negli ultimianni], dopo un po’ di tempo che non lovedevo più; e dalla gioia di vederlo non

riuscivo più a pronunziare parola, eglibenevolmente mi disse: “Ti capi-

sco, ti capisco, è perché mivuoi bene”. Quando invece

doveva essere energicosapeva esserlo».

Sr. FerdinandaGatti MC scrive:«Era un uomo difede, sensibilissimoagli affetti, ma tuttosoprannaturale. Siattirava tutto ilnostro affetto, sem-brava che vivesse per

ciascuna di noi. Eracome il Cuor di Dio.

Tutto per tutti e tutto perciascuno».

Il Prof. Giulio Bellini, testi-monia di essere andato con la moglie

dall’Allamano nel 1917, in occasione dellamorte della propria madre, per avere unaparola di conforto. L’Allamano, in quellaoccasione, ha ricordato il fatto di nonavere saputo a tempo della morte dellapropria mamma e il professore ha notatoche, nonostante fossero passati tanti anni,l’Allamano si era ancora commosso.

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TESTIMONIANZE

SENSIBILITÀ UMANA DELL’ALLAMANO

Continua la rubrica delle testimonianze extra-processuali sull’Allamano. Questa volta ripor-tiamo le testimonianze che si riferiscono al carattere e, in particolare, alla sensibilità umana delnostro Fondatore, più una interessante in occasione della morte.

In occasione delle partenze per le mis-sioni o per il servizio militare.

Padre Giovanni Piovano IMC raccontache alla partenza di tre missionari perl’Africa, dopo la consegna dei crocifissi, ilP. Albertone, uno dei tre, disse candida-mente che gli rincresceva lasciare a Torino«La Venerata effigie della SS. Vergine, nelSantuario, ed il Venerato Padre, che data lainoltrata età, egli non avrebbe più rivedutosu questa terra. Gli accenti di P. Albertonetoccarono talmente il cuore del Padre che,piegando il capo, si faceva violenza pernon lasciar scorgere il suo stato d’animo;ma non poté impedire che alcune lacrimegli uscissero dagli occhi, cadendoglisulla mantellina».

Padre Domenico FerreroIMC riporta alcuneespressioni che dimo-strano la sensibilità delFondatore in occasio-ne di partenze: «Pertutti voi è doloroso ildistacco, ma più perme; che ogni annovedo allontanarsiqualcuno che sentoessere come una partedi me stesso». «Certo,sono schianti sopraschianti per il miocuore, se non pensassiche è volontà del Signoreche partano i Missionari e leSuore».

Suor Ferdinanda Gatti MC scrive: «Inoccasione delle partenze soffriva nel vedereallontanarsi i suoi figli e le sue figlie e sole-va ripetere che non ci si abitua ai distac-chi. Diceva: “Il cuore non invecchia”».

Padre Vittorio Sandrone IMC raccontadi essere stato con il Fondatore accanto al

letto di p. Costa morente: «Il Rettore conle lacrime agli occhi chiamava con accentoaddolorato il morente». Siccome p.Sandrone doveva partire per il militare,salutò il Fondatore: «Mi strinse la manoforte e: “Ancora tu? Parti tu pure? Mi dissetra i singhiozzi. Va, compi il tuo dovere.Sia sempre fatta la volontà di Dio”».

Carattere forte, franco e leale. Il sacerdote diocesano Pietro Racca scri-

ve dell’Allamano: «Di carattere franco,leale; di un sentire forte, nobile, generososi rendeva a tutti carissimo. Chi a Lui

ricorreva non trovava le affettatecerimonie, i modi studiati, le

stereotipate espressionimolto gentili e poco

obbliganti, ma un’acco-glienza aperta, unacordialità sincera cheinvitava a seguirlo».

Padre EnricoPradotto, Lazzarista,aggiunge: «Il cano-nico non era unapatico ed insensibi-le; in certe circostan-

ze forse scontentoper qualche inconve-

niente si vedeva comeun tuffo di sangue infuo-

cargli il viso; ma padronedi se stesso si dominava per-

fettamente; mai gli usciva dibocca un motto marcato; e non si alte-

rava il tono della sua parola».

Don Rossetti Michele, sacerdote convit-tore al tempo dell’Allamano fine Ottocen-to, afferma: «Molto umile. Non si mettevamai in vista. Qualche volta qualche scatto.Venne a dare avvisi in studio un po’ eccita-to. Parlava chiaro a tutti, alti e bassi, né

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TESTIMONIANZE

aveva peli sulla lingua. A trattare in camerail Can. Allamano era affabilissimo; pochisono così affabili. Esternamente, cioè inpubblico, invece, era di solito serio».

Suor Ferdinanda Gatti MCrisponde alla domanda sel’Allamano avesse un natu-rale mite: «Non credo cheavesse un naturale mite.A me apparve semprevivace».

Preciso e delicato.Don G. B. Ressia,sacerdote convittore,dopo avere descrittotanti avvenimentidella vita del Convittoripresi dal suo diario,conclude con una speciedi sintesi: «Aggiungeròancora come il nostro buonRettore era regolarissimo intutto; come nell’ora della levata edella celebrazione della Messa, così nelportarsi al confessionale. Non si facevafesta alcuna speciale o non vi era circo-stanza speciale in cui Egli non intervenisse

in Sacrestia e nel Santuario ad osservare setutto procedeva con ordine, e voleva essereinformato di quanto accadeva, ed apparivaperò sempre nel suo sembiante umile,

modesto, grave e sorridente, néalcunché lo conturbava, ma era

sempre calmo e preciso ebreve nelle sue parole,

dolcezza nel trattamen-to».

Suor Luigia MC,riporta una confi-denza che le hafatto il Fondatore:«Vedi, oggi ho unapena anch’io, hodovuto fare ad undomestico delConvitto un’osserva-

zione un po’ forte...ma erano già tre volte

che gli avevo osservatoquel tal disordine ed anco-

ra continuava così. Cosavuoi, certe cose fanno soffrire

per farle, ma bisogna, è dovere, tutta-via mi fece pena dirgli quelle parole... Ah,guardiamo al Paradiso e tiriamo diritto».

A cura della Postulazione Generale

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TESTIMONIANZE

CHI DESIDERA AVERE LʼIMMAGINETTA CON LA RELIQUIA E LA NOVENA DEL BEATO GIUSEPPE ALLAMANO PUÒ RIVOLGERSI A:Postulazione Istituto Missioni Consolata, Viale Mura Aurelie 11/13 -00165 ROMATel 06/393821

Mentre stavo inserendo le fotografiedell’Allamano nel Sito del nostro Istituto,ho avuto una bella sorpresa, notando unparticolare che non avevo mai visto prima.In una delle cinque fotografie che possedia-mo del nostro Fondatore defunto, mi sonoaccorto che le sue mani stringevano duecrocifissi. Nelle altre quattro, però, il croci-fisso era uno solo, quello ricuperato inoccasione della esumazione e che conser-viamo con venerazione come una delle suepiù preziose reliquie.

Ovviamente ho ingrandito l’immagine eho notato che uno dei due crocifissi era piùpiccolo dell’altro e aveva una forma identi-ca a quella dei crocifissi allora in dotazionealle Missionarie della Consolata. Mi è venu-to spontaneo e facile immaginare la scenache molto probabilmente si è svolta nellapenombra della camera ardente: quandonessuno se ne accorgeva, una missionariache stava vegliando il Padre, per avere unsuo ricordo speciale, si è avvicinata alla suasalma e, togliendosi il proprio crocifisso, loha infilato, come ha potuto, tra le sue ditaormai diafane. Quanto sia rimasto in quellesacre mani e che fine ha poi fatto quel cro-cifisso non si sa. È certo che quella missio-naria è stata audace e fortunata. Forse mai

nessuno è venuto a conoscenza del suogesto filiale. Neppure noi lo sapremmo, senon ci fosse questa fotografia a rivelarcelo.

Nel gesto di quella missionaria si puòscorgere questo significato: il suo crocifisso,che l’avrebbe accompagnata e sostenutalungo le strade della missione, era statonelle mani di un santo! Il Padre che l’avevaaccolta nell’Istituto e che le aveva già impo-sto lo stesso crocifisso in occasione dei votireligiosi-missionari, ora le assicurava la suaspeciale vicinanza e protezione. Chissàquante volte quella missionaria avrà ripen-sato a quel suo gesto e avrà benedetto ilSignore di avere avuto l’audacia di compier-lo.

In realtà, quel gesto non è stato isolato.Tanti altri, specialmente persone sempliciche ammiravano l’Allamano, lo hanno com-piuto, sia pure in forme diverse. Per esem-pio, il can. Giuseppe Cappella, vice rettoredel santuario, ha lasciato scritto: «La salmaera esposta di fronte all’altare sul quale spic-cava il quadro del beato Cafasso. Sembravache lo zio guardasse al nipote con senso dicompiacenza. I visitatori dimostravano laloro grande venerazione verso il Servo diDio, facendo toccare alla sua salma oggetti

religiosi e anche cer-cando di asportaredelle reliquie, tantoche si è dovuto mette-re un servizio apposi-to». «Mamma, perchétutti fanno toccarequalcosa sulla suamano?» - è stato uditoun bambino doman-dare - «Perché è unsanto».

P. Francesco Pavese

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TESTIMONIANZE

DUE CROCIFISSI NELLE SUE MANI

Carissimo Padre,Non è la prima volta che ti scrivo e forse

non sarà l’ultima. Desidererei, infatti, par-larti a lungo, ma lo spazio di una sola lette-ra non permette di dire tutto quello chevorrei.

Sediamoci insieme in uno di quei coret-ti del Santuario, dove tu eri solito sostare inpreghiera. Davanti alla Consolata, “Madretenera e delicata”, io ti racconterò qualcosadel nostro mondo di oggi e tu mi illumine-rai con la tua parola di sapienza.

Vorrei cominciare col sottolineare unacosa molto importante: il mondo in cui vivoè molto cambiato dai tempi in cui tu vivevicon noi. Certo, i problemi anche allora nonmancavano, ed eranotanti, ma il modo di vive-re e il tessuto sociale eraben solido. Non si eranoancora fatti sentire gliscossoni provocati dal-l’interpretazione filosoficadel mondo dopo laseconda guerra mondialee l’orrore di Auschwitz.Le scoperte scientifiche etecnologiche della secon-da metà del '900 nonerano ancora apparse el’uomo non era ancoraandato sulla luna. I fer-menti nuovi del ConcilioEcumenico Vaticano II edella rivoluzione cultura-le del ’68 non avevanoancora invaso la terra.

Oggi, grazie alla globalizzazione esoprattutto alla comunicazione rapida cheavviene in tempo reale con internet e cellu-lari, stiamo vivendo una stagione segnatadal mito dell’efficienza e della qualità. Leore del giorno non bastano più, e c’è perfi-no chi ha scambiato la notte per il giorno,usandola per lavorare e per divertirsi inmaniera sfrenata. L’uomo vale se emerge, seha successo. Ciò che conta è l’apparire, nonl’essere. Siamo nel tempo delle maschere!

Il comunismo è caduto con il muro diBerlino, la guerra fredda è finita, ma la pacenon è ancora arrivata. Descriverti la situa-zione del mondo attuale non mi è possibile,ma potrei dirti che è caratterizzato da tantiproblemi emergenti.

Pensa alla sicurezza sociale minacciatadal fondamentalismo e dal terrorismo, allacrisi finanziaria che ha devastato l’economiae il benessere mondiale, alle infinite discus-sioni sulla necessità o meno del nucleare,problema legato anche alla guerra. Pensa aiproblemi della tutela dell’ambiente, ai cam-

biamenti climatici e aidisastri provocati, ai flus-si migratori ormai incon-trollabili di milioni dipersone, alla disugua-glianza sociale tra i popo-li e all’interno dei singolipaesi, alla lotta contro lapovertà, ai diritti umanicalpestati, e via dicendo.

Il mondo si è frantu-mato, dominato semprepiù dalla soggettività edal relativismo, dall’istin-to del piacere e del pote-re, dove ognuno mette inevidenza se stesso e lottaper il suo proprio inte-resse, invece che impe-gnarsi per il bene comu-

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IN DIALOGO

LETTERAAL FONDATORE

P. Giuseppe Ronco

ne. Ciò che non siamo capaci di risolvere èil problema della governabilità del mondoglobale.

E poi, la disoccupazione. È desolantevedere come le nuove generazioni attenda-no un futuro peggiore di quello dei lorogenitori, e la molla ad agire è più la pauradel peggio che non la speranza del meglio.

Forse tratteggio troppo in nero il tempopresente, che non manca di luci, valori ebellezze grandi. Lo faccio perché penso acome il mondo così com’è genera pochigiovani desiderosi di dedicare la loro vita avivere la missione nella santità, come sug-gerivi tu.

Vorrei che la tua parola «Non trovereteuna vocazione più perfetta della vostra.Stimate tanto questo stato da non vederenulla di più bello, di più grande, di piùsanto» desse un orientamento e speranza atutti coloro che non sanno più interpretar-si, diventando problema a se stessi. Si trattain fondo di capire che nella misura in cui siserve, ci si realizza, e nella misura in cui cisi dona agli altri, si trova gioia e felicità.

Vivere la missione nella santità di vitaera l’ideale che inculcavi e ripeti ancoraoggi. Questo principio esige, certo, unarilettura contestualizzata e interculturale,non per essere cambiato, ma per essere rivi-talizzato. «Prima santi, poi missionari. Sietequi per essere Missionari e Missionarie dellaConsolata. Non potete esserlo se non viven-do e operando in conformità al finedell’Istituto, che è la santificazione deimembri e la conversione dei popoli».

Ti definivi “fonditore” dell’Istituto, pre-dicando che solo la Consolata era“Fondatrice”.

Sai che anche l’Istituto è cambiato dimolto? Il numero dei membri è aumentatonotevolmente dai tuoi tempi, e le origini deimissionari non sono più quelle di una volta.Veniamo oggi da ogni “tribù, lingua, popo-

lo e nazione”, e per realizzare “l’unità diintenti e lo spirito di corpo” che tu volevi, ènecessario mettersi sulla strada dell’inter-culturalità, interagendo tra di noi e rispet-tando valori, culture e simboli di ognuno.«La disunione impedisce di armonizzare lenostre diversità. Non vi sia nessuna distin-zione o di paese o d’altro, non simpatia oantipatia, ma un cuor solo in una perfettaunità».

Quella tua idea «l’Istituto è una fami-glia» è stata un’intuizione grande. Nellanostra società la famiglia ha subito moltiattacchi, la fedeltà non è valore evidente,vive di separazioni e di divorzi, lasciandosovente i figli in situazione monoparentale.

Mi è capitato di sentire varie volte, sullabocca di gente a me vicina, l’interrogativo“che cosa vuol dire oggi vivere in spirito difamiglia?”. La migliore risposta l’hai data tu,quando affermavi convinto che “spirito difamiglia” vuol dire promuovere le persone:«La promozione fraterna fa parte dello spi-rito di famiglia». «Siete tutti fratelli e sorel-le che dovrete vivere insieme tutta la vita».

Parliamo lingue diverse, ci siamo forma-ti e abbiamo studiato in continenti diversi,con mezzi, linguaggi e interessi diversi. Avolte è difficile capirsi, comunicare le realtàprofonde che ci pervadono, e avere obietti-vi comuni.

Ti voglio ringraziare per gli insegnamen-ti che ci hai lasciato sul vivere insieme. Lirileggo spesso, adattandoli all’oggi, e litrovo ancora utili e saggi come non mai.Nell’epoca dei progetti faraonici e delle pro-grammazioni super-dettagliate diamo trop-po per scontato «l’attenzione alle piccolecose», al «bene fatto bene e senza rumore»,su cui tu insistevi molto. E invece tuttoparte da lì. Fragili come siamo, impastati dimodernità, di immagini e di internet, spes-so rincorriamo situazioni che invece dellafelicità e del benessere spirituale lasciano in

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IN DIALOGO

noi il vuoto, la frantumazione di noi stessi el’angoscia. Siamo gente che vuole provaretutto, anche i frutti velenosi, pur di sentirciautori e padroni della nostra vita e definircigente libera che sceglie ciò che vuole.Dimentichiamo quello che tu dicevi: è Dioal primo posto, è lui che tesse, ricama eguida la nostra vita. «Sì, Dio solo! Tutto diDio, tutto da Dio, tutto in Dio».

Ai tuoi tempi si sapeva chiaramente cosasi intendeva quando si parlava di missione.Oggi è un po’ più complesso. È cambiato ilmodo di essere missionari e di fare missio-ne. Si parla dell’avvento di paradigminuovi!

Non si concepiscono più missionari capi

e padroni, ma servi e collaboratori. Si vuoleche vivano in strutture povere e integratenell’ambiente, mettendo a riposo l’idea delmissionario costruttore di case e di chiese.

Non ci si vuole persone alla ricerca diproseliti, come ai tempi di S. FrancescoSaverio, ma annunciatori della Parola, pro-positivi di esperienza religiosa autentica evissuta, fautori di promozione umana, ele-vazione dell’ambiente e sviluppo sociale,capaci di dialogare con le grandi religioni,animatori di giustizia, pace e integrità delcreato, attenti al ruolo delle donne nellacomunità, ai valori della democrazia e deidiritti umani. Il pericolo di scivolare nel-l’impegno sociale come unica azione mis-sionaria è oggi più grande che ai tuoi tempi.

Ci si vuole missionari in aree urbanedove vive molta gente e non relegati insperduti villaggi di campagna, pur curandocon interesse la vita e lo sviluppo delleminoranze etniche.

Mi ritornano in mente le tue parole, chemedito continuamente nel cuore: «Nonbisogna trascurare l’unione con Dio e sacri-ficare la propria santificazione per dedicarsiagli altri. Sbaglierebbe chi dicesse: “Sonovenuto per farmi missionario” e basta. No,non basta affatto».

«È tempo perso lo stare notte e giornodavanti a Gesù sacramentato? Un missiona-rio che credesse di assolvere il proprioministero con i molti viaggi e con il moltotrafficare, sbaglierebbe. No, no, bisogna es-sere sacramentini!».

«Ci vuole spirito di preghiera e di lavo-ro; lavoro intellettuale e lavoro materiale.Nei lavori siate attivi e nelle cose spiritualicontemplativi».

Uno degli interrogativi più ripetuti e piùdifficili da risolvere, che ricorre spesso tranoi, è quello di sapere se oggi la missionesia geografica e territoriale, oppure se ilmissionario non debba esercitare la missio-

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IN DIALOGO

I padri Giuseppe Ronco e Willy Ipan ad Issia, in Costa d’Avorio.Sullo sfondo il santuario di “Nostra Signora della Liberazione”.

ne nei nuovi areopaghi, là dove c’è l’uomonel bisogno e in situazione deficitaria.

La risposta che tu davi ai tuoi tempi erachiara: «Siamo per i non cristiani». Maoggi, chi sono i non cristiani? I migranti, gliespatriati, gli esiliati, i giovani, i bisognosidi nuova evangelizzazione, gli atei, gli ebrei,i musulmani che troviamo in casa, le areedella comunicazione, meritano la nostraattenzione e il nostro impegno in loro favo-re?

Tu dicevi che «il segreto di tutti i santi fuquesto: confidare in Dio e diffidare di sé.Non scoraggiarci, ma confidare sempre,purché ci sia in noi la buona volontà diamare Dio e di servirlo con perfezione».

Forse dovresti aiutarci, tu che ci “haidato tutto”, a chiarirci le idee. Siamo sem-pre in difficoltà ogni volta che tentiamo direinterpretare il carisma e la nostra vocazio-ne, in modo particolare adesso, tempo dimulticulturalità e di globalizzazione. La tuaintercessione, la tua preghiera, l’aiuto delloSpirito Santo ci sono indispensabili. E tuhai promesso di aiutarci dal cielo!

Grazie per avermi ascoltato, carissimoPadre. Sento che la tua mano benedicente siposa su di me e sull’Istituto. Sento checome programma di vita mi lasci questeultime parole: «La forma che dovete pren-dere nell’Istituto è quella che il Signore miispirò e mi ispira; ed io, atterrito dalla miaresponsabilità, voglio assolutamente chel’Istituto si perfezioni e viva vita perfetta.Sono del parere che il bene bisogna farlobene.

Ecco ciò che vorrei da voi: la buonavolontà, lo sforzo generoso e costante diassimilare lo spirito dell’Istituto. Fate inmodo di ripetere con tutta verità le paroledi S. Paolo: “Non sono più io che vivo, maCristo vive in me”. E questo perché loSpirito del Signore l’aveva pervaso al punto

di trasformarlo completamente. Rinnova-tevi nello spirito della vostra mente, inmodo da essere anche voi persone nuove,adorne di tutte le virtù di nostro Signore.

Voi dunque siete Missionari e Missio-narie della Consolata. Ma lo siete di fatto osolo di nome? Dimostrerete di esserlo vera-mente, se avrete lo spirito dell’Istituto eregolerete la vostra vita di ogni giorno e diogni ora in conformità al medesimo. È lospirito che dà forma e vita alle singole isti-tuzioni, come ai singoli membri».

Non abbandonarci mai, tu che ci seiPadre, e Beato vivi tra i Santi, nella casa delPadre!

P. Giuseppe Ronco, IMC

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IN DIALOGO

Pergamena del Carmelo di Siracusa che, tra i vari santi, accolti sotto il manto della Madonna, mostra anche l’Allamano.

P. Domenico Ferrero(1891 - 1973) fu uno deiprimi Missionari dellaConsolata molto vicino alFondatore, che chiamavacon compiaciuto orgogliosuo “Maestro”.

Proveniente dal semi-nario di Mondovì (CN),entrò nell’Istituto, nel1907, accolto nella primaCasa Madre, la “Conso-latina”. Fu ordinato sa-cerdote il 20 settembre1913. Mentre si prepara-va alla missione, vennearruolato durante laprima guerra mondialedal maggio 1915 al gen-naio 1919.

Dopo il congedo, dal-l’Allamano fu nominato Procuratore dell’Istitu-to presso la Santa Sede, diventando il suo prin-cipale collaboratore per il disbrigo delle prati-che a Roma. A questa carica aggiunse in segui-to anche quella di Maestro dei novizi.

Partecipò al primo Capitolo Generaledell’Istituto, nel 1922, che giustamente confer-mò l’Allamano a Superiore Generale, non-ostante le sue riluttanze. Finalmente anche perlui giunse il momento di partire per la missio-ne. Per una decina di anni, svolse un intensoapostolato in Tanzania, da dove, nel 1933, furichiamato in Italia per il servizio di viceSuperiore Generale.

Rimasto libero da questo incarico nel 1939,poté ritornare in Africa, questa volta nelMozambico. Anche qui p. Ferrero si impegnò

con tutta la sua energia.Fu parroco in diversemissioni e anche Supe-riore Delegato del grup-po dei Missionari dellaConsolata che operavanoin quel paese.

«Bisogna amare l’a-fricano - scriveva - comeci insegnava il Fonda-tore». E ancora, rinun-ziando di tornare inpatria per un tempo diriposo: «Grazie a Dionon sento il bisogno divacanze. Il Signore forsemi fa la grazia di lavora-re fino all’ultimo e lo rin-grazio di gran cuore».

Lavorò di fatto inten-samente fino quasi al

termine della vita nella missione di Mitucue.Gli ultimi due anni li passò nella malattia chesopportò con serenità, offrendo la sua sofferen-za come collaborazione apostolica.

Fu molto apprezzato dai vescovi e daigovernanti del Paese, tanto che gli venne confe-rita l’onorificenza “Pro Ecclesia et Pontifice”.Dopo poco più di un mese dalla celebrazionedel 60° di sacerdozio, venne chiamato al pre-mio eterno, precisamente il 26 ottobre 1973.Ora riposa nel cimitero della missione diMitucue, assieme ai suoi confratelli, alle mis-sionarie ed a molti cristiani.

P. Ferrero lasciò interessanti testimonianzesull’Allamano. Merita di essere ricordato unopuscolo di 55 pagine dattiloscritte, intitolato:“Ricordi del Ven.mo Padre”, dal quale stralcia-mo qualche brano.

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SULLA SCIA

P. DOMENICO FERREROFEDELE AL SUO MAESTRO

I viaggi dell’Allamano a Roma.«Quando fui alla stazione a riceverlo al

suo arrivo a Roma gli domandai, come sisuole, se aveva fatto buon viaggio, se nonera stanco. Mi rispose che stava bene, mache non aveva affatto dormito; e che duran-te quella notte aveva fatto quella che luichiamava la “notte eucaristica”».

«Quando andammo insieme la primavolta a S. Pietro, allorché la carrozza imboc-cò la via di Borgo Nuovo [non c’era ancoravia della Conciliazione], e la basilica ciapparve vicina nella sua imponente maestà,il caro Padre, che già prima mi aveva dettoche dovevamo andarci con l’intenzione difare un pellegrinaggio, m’invitò a dire il“Credo” come professione di fede, che reci-tava con espressione, gustandolo.

Celebrava la S. Messa a S. Maria sopraMinerva. Gli servii due volte la S. Messa,dopo la quale insieme andavamo a fare ilringraziamento all’altare della Madonna ovesi conservava il SS. Sacramento. Tale ringra-ziamento non era troppo lungo né troppobreve: teneva un giusto mezzo che facevapiacere.

Una di queste volte egli celebrò all’altaredi S. Caterina da Siena, nella camera dovemorì la santa, ristrutturata a cappella. E midisse poi che a questa santa aveva racco-mandato tanto le Suore Missionarie dellaConsolata.

Quando aveva da attendere al ringrazia-mento della S. Messa, o quando insiemevisitavamo Gesù Sacramentato in qualchechiesa, mi conduceva sempre avanti avanti,nella prima fila di banchi o sedie, propriovicino al Tabernacolo. E usava dire che èpoco buon segno, specialmente in un sacer-dote, che si accontenti di stare in fondo allachiesa: pare che si abbia timore di avvici-narsi a Gesù.

Gli rimase impresso l’aver letto su uncartello nell’atrio di una chiesa un avvisoche invitava i fedeli a fare un atto di adora-zione a Gesù Sacramentato, prima di recita-

re altre preghiere o visitare le opere d’arte:“Quando si entra nella Casa di Dio il primoatto di ossequio e di affetto, anche breve,deve essere rivolto a Gesù Sacramentato”. Eaggiungeva che ciò gli pareva così giustoche un giorno o l’altro l’avrebbe pure fattomettere nel santuario della Consolata».

Le sue conferenze domenicali. «Nell’Istituto, siccome imparavamo pre-

sto a considerarlo come un santo, ci impe-gnavamo anche a ritenere a mente, o perscritto, e per quanto era possibile anche allalettera, gli insegnamenti tanto preziosi epersuasivi che ci impartiva, specialmentenelle regolari conferenze alla sera delledomeniche. Dopo di esse, molti si impe-gnavano a prendere note. Anzi, ci fu untempo in cui alcuni confratelli di mano piùspedita, nascondendosi in parte dietro leprime file, trascrivevano addirittura alla let-tera e per intero le conferenze come usciva-no dalla sua bocca. Queste venivano poidattilografate e conservate; e nei primi annidi guerra venivano spedite anche a noi sol-dati. A noi facevano un gran bene, tanto piùche ci pareva di sentire la parola del nostroamatissimo Padre. Tuttavia, ed era parerecomune, quelle conferenze, benché origina-li, non erano mai proprio quelle, e ben lon-tane dal fare quell’effetto che producevanoudite dalla sua viva voce.

Da noi si può dire che otteneva ciò chevoleva. Se parlava per infervorarci, noi cisentivamo realmente animati da gran buonvolere; se era per confortarci, perché non ciscoraggiassimo, noi ci sentivamo effettiva-mente più coraggiosi e forti. Ma bisognavavedere e sentire lui, con che persuasione,con che unzione ci parlava; bisognava vede-re il suo gesto parco, non ricco, ma risolu-to, con quegli atteggiamenti del capo e degliocchi, di quegli occhi che penetravano ainterrogare il cuore; bisognava sentire la suapaterna stretta di mano quando congedan-doci ci diceva: “Coraggio!”. Ah, il nostro

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SULLA SCIA

buon Padre!».«Confidava: tutto ciò che dico lo dico

alla buona, ma mi preparo sempre, perchévoglio che siano cose sode. Potrei parlarviun po’ più sostenuto; ma no, non lo faccio.Preferisco così, condire queste cose anchecon qualche barzelletta, che le rendanomeno pesanti, e si può fare molto bene lostesso. Quando vado e torno dal duomo,penso a queste cose e, arrivato a casa, pren-do appunti».

Soffriva di emicrania.«Nella prima metà di giugno 1919, fu

assalito di nuovo dall’emicrania, di cui for-tunatamente non soffriva da tutto quell’an-no. Riceveva soltanto noi. Il primo giornoin cui fu indisposto, come eravamo intesi,andai nel suo studio per i lavori inerenti allacausa di beatificazione del ven. Cafasso.Appena mi vide, bonariamente mi annun-ciò che non poteva affatto occuparsi, aven-dolo ripreso improvvisamente l’emicrania.

Tuttavia si intrattenne alquanto su alcu-ne cose. Nel congedarmi gli feci filiali augu-ri, come mi venivano dal cuore, ed egli conun sorriso mi disse: “Oh, ma passerà. Nonposso ricevere nessuno; sto tutto solo cosìin camera; ma credimi, che quando si è cosìsoli...” e sospese un momentino il discorsoguardandomi con il suo occhio tanto buonoed espressivo, quasi volesse parlare conquello; poi continuò: “Si può farsi tanto delbene, sai”. Sorrise di nuovo e mi salutò ilbuon Padre!».

La genuflessione davanti all’Allamano.«Il superiore della Casa Madre, p. T.

Gays, nella festa di S. Francesco Saverio, cipropose di imitare il rispetto che questosanto aveva verso S. Ignazio: dimostriamoanche noi, meglio che possiamo, il nostrorispetto verso il Fondatore, magari esage-rando un poco, pensando che fra 20 anni cipentiremo di avere fatto troppo poco. Ecome S. Francesco Saverio scriveva in

ginocchio a S. Ignazio, così propose a noi digenuflettere davanti al Ven.mo PadreFondatore, quando, salutandolo, gli bacia-mo la mano. E soggiungeva: “Egli non lopermetterà, ma poco a poco noi dobbiamoabituarlo a lasciarsi attribuire questo atto diomaggio”. Meriti ben questo e altro, Padreamatissimo!

Il Fondatore si accorse della cosa; poi,vedendo che doveva esserci un accordo,risolse di troncarla subito. A me una serache, nel congedarmi da lui nel suo studio,gli avevo fatto la genuflessione baciandoglila mano, nel rialzarmi mi disse: “Ma nonvoglio che mi facciate la genuflessione”.“Eppure, gli risposi, S. Francesco Saverionon faceva solo questo, ma leggeva inginoc-chiato le lettere del suo superiore”. “Eh,perché erano lontani”. Poi risolutamente,ma sempre con tono buono, paterno: “No,no, non voglio!”.

La domenica successiva (11 gennaio1920), terminata la conferenza, soggiunse:“Ho un’altra cosa da dirvi. Ho visto che daun po’ di tempo mi fate la genuflessione” espiegò l’impressione che gli fece tale novità.Poi disse che senz’altro si lasciasse stare, chenon voleva più che si facesse: “Perché iotemo che, aumentando i segni esterni dirispetto e di autorità, diminuiscano quellidi confidenza. Io preferisco che mi conti-nuiate la vostra confidenza a tutti questisegni esterni. No, no, non fatelo! Non lafarete neppure quando sarò morto la genu-flessione. E poi... e guardava nello spaziocome se vedesse lontano, io penso per l’av-venire”».

Il matrimonio di mio fratello. Un giorno di novembre gli notificai che

mio fratello intendeva sposarsi. Egli ebbe ladelicatezza di proporre subito che andassiio a celebrare il matrimonio, suggerendomipersino quali doni era bene che facessi. Lavigilia della mia partenza per casa mi inca-ricò di portare i suoi auguri agli sposi.

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SULLA SCIA

Di ritorno, un giorno gli chiesi, un po’confuso, se avessi potuto presentargli miofratello con la sposa, perché li benedicesse.Accondiscese molto benevolmente, anzipensò di fare loro un dono come ricordo;scelse due artistiche medaglie d’argentodella SS. Consolata, a tergo delle quali feceincidere la data del loro matrimonio».

Qualche nota raccolta dal diario.«Una domenica sera che si era nel

museo scolastico, aspettando che ci radu-nassimo tutti per la sua conferenza, visto inuna vetrina un cervello umano conservatonella formalina, a noi due o tre che eravamocon lui fece alcune considerazioni al riguar-do e poi, scopertosi il capo, recitò il“requiem aeternam”».

«Parlando della povertà, una volta dice-va: “Per esempio, che bisogno c’è di portareuna catena preziosa all’orologio? Una fet-tuccia, un nastrino nero servono bene lostesso. Io ho una catena d’oro che mi hannoregalato, ma non la porto mai”. [L’ha poi

venduta per le spese delle missioni]. Difatto non gli abbiamo mai veduto altro cheuna cordicella nera».

«Arrivò per la conferenza domenicaledopo la benedizione del SS. Sacramento.Non si era ancora portato il seggiolone e,mentre uno di noi andava a prenderlo, eglitolse una delle nostre sedie, la pose sullapredella e disse: “Lasciate un po’ stare.Quando saremo in paradiso avremo un belseggiolone; ma ora qui si sta bene così”».

«Una sera [a S. Ignazio durante l’estate],di ritorno da una passeggiata da noi tantodesiderata al Picco della Bellavarda, raduna-ti attorno a lui lo ringraziavamo di avercelaconcessa. Egli si schermiva, dicendo chegodeva del nostro piacere e: “Stanotte misono svegliato e sono sceso a vedere iltempo. Era brutto e dubitai che si potesseandare; alle 4 scesi nuovamente e vidi conpiacere che si rasserenava”. Che buon Padree quale interessamento per i suoi figli anchenelle minime cose!».

P. Domenico Ferrero IMC

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SULLA SCIA

Cimitero della missione di Mitucue: l’umile tomba di p. Ferrero è in primo piano a destra, davanti all’albero, con una croce scura sulla lapide.

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Sulle pagine di questa rivista abbiamoriportato diverse volte le reazioni dei mis-sionari e missionarie alle conferenze dome-nicali dell’Allamano. Sono testimonianzesempre molto vibranti, con parole che sisforzano di esprimere le emozioni interioridei figli e figlie entusiasti di fronte alla paro-la del Padre. «Quanti ebbero la fortuna diascoltarlo - assicurava uno di loro - sonounanimi nel dichiarare che, dopo ogni con-ferenza, veniva spontaneo il ripetere con idiscepoli di Emmaus: “Non ci ardeva forseil cuore in petto mentre Egli ci parlava e cispiegava le Scritture?”». È simpatica, nellasua semplicità, la descrizione del coadiuto-re Benedetto Falda: «Alla domenica poi eratutto per i suoi figli. La sua conferenza nonaveva nulla di cattedratico o di rigido, maera il Padre che, seduto in mezzo ai suoifigli che voleva ben vicini, parlava allabuona. Erano consigli detti quasi all’orec-

chio, ma che restavano impressi nell’animoe ci imbevevano del suo spirito».

Anche le missionarie hanno rilasciatotestimonianze significative sulle conferenzedomenicali. Per esempio, sr. MichelinaAbbà così ha scritto: «La nostra formazionereligiosa e missionaria era tutta negli inse-gnamenti del Ven.mo Padre Fondatore.Ogni domenica veniva a tenerci la sua con-ferenza, che tutte sentivamo tanto preziosae gustavamo con sempre più vivo bisogno edesiderio di sentirla.

Molte volte il Padre veniva pure lungo lasettimana, sia per la ricorrenza di qualchefesta o per qualche particolare circostanza,ed era sempre una grande gioia sentireannunciare che il Padre sarebbe venuto.Tutte le volte poi, che si aveva la possibilitàdi incontrarlo era una festa, perché ogni suaparola ed anche solo un suo sguardo infon-deva coraggio e dava impulso alla buonavolontà».

Coloro che erano partiti per le missioniin Africa sentivano la mancanza della paro-la dell’Allamano. Dai loro diari emerge chia-ra la nostalgia che li prendeva la domenicapomeriggio, mentre pensavano ai loro for-tunati confratelli radunati attorno alFondatore. Ecco, per esempio, la mestaconfidenza che il p. Francesco Gamberuttifa rivolgendosi al Fondatore nel suo diario:«Ma chi c’è che può supplire alle conferen-ze che il Sig. Rettore suole tenere ognidomenica attorniato da tutti i suoi figli? Oh!Come si sente dura questa privazione; buonper me che qualche pensiero di queste con-ferenze l’ho trascritto e ne faccio l’anniver-sario. Mi sembra di sentirla ancora».

SPIRITUALITÀ

LE CONFERENZE DELL’ALLAMANOA TORINO E NELLE MISSIONI

Il “seggiolone” usato dal Fondatore nelle sue conferenze in Casa Madre.

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Sia i missionari che le missionarie, però,hanno saputo inventare una specie di colle-gamento regolare con i loro fratelli e sorellein Africa, per trasmettere loro quanto acca-deva a Torino. Sono nati così, viventel’Allamano, due fogli molto belli: il “DaCasa Madre” quello dei missionari; il “Filod’Oro” quello delle missionarie. La parte delleone su questi fogli la faceva la parola delPadre. Era come se lui, la domenica, sirivolgesse pure ai figli e alle figlie che lavo-ravano già nelle missioni.

Quando l’Allamano ci ha lasciati, il 16febbraio 1926, non è stato facile riempire ilsenso di vuoto che tutti sentivano la dome-nica pomeriggio. È così emerso il provvi-denziale progetto di raccoglie-re e pubblicare le sue confe-renze, di modo che non solocoloro che lo avevano cono-sciuto, ma anche quanti sareb-bero entrati negli Istituti inseguito, avessero la possibilitàdi continuare ad ascoltare lasua parola.

Così, a cura di p. LorenzoSales, nel 1949, sono statipubblicati due volumi dal tito-lo “La dottrina spirituale delServo di Dio Giuseppe Alla-mano”, seguiti da una secondaedizione, qualche anno dopo,in un unico grande volume di898 pagine: intitolato signifi-cativamente “La vita spiritua-le”.

In quelle pagine era ripor-tato, con un ordine logico, ilcontenuto delle conferenzedomenicali, attingendo sia daimanoscritti dell’Allamano chedalle trascrizioni che gli allievie le allieve facevano mentre luiparlava.

Anche oggi è possibile ascoltare la vocedell’Allamano. Le sue conferenze, debita-mente sintetizzate e purificate dalle ripeti-zioni e da quanto il Concilio aveva rinnova-to, sono raccolte in un moderno volume,pubblicato nel 2007, che ha come titolouna sua espressione molto famosa nelnostro ambiente: “Così vi voglio”. Per capi-re di che cosa si tratta, è pure indicativo ilsottotitolo: “Pedagogia e spiritualità missio-naria”. L’autore di questo volume è l’Alla-mano stesso, perché in esso è contenuta solola sua parola. Questo volume è disponibilepresso i missionari e le missionarie.

Penso di fare cosa utile ai nostri lettoririportando, come conclusione di questi

pensieri, un trafiletto che hotrovato nel N. 6 del “Da CasaMadre” del lontano 1922,quando l’Allamano era ancorain piena attività.

Da quel numero, il foglio diinformazione interna all’Istitutoriprendeva a pubblicare unarubrica, sospesa da qualcheanno, intitolata “La Parola delPadre”, per dare la possibilità aiconfratelli in missione di legge-re almeno qualche tratto delleconferenze che il Fondatoreandava ancora tenendo allacomunità ogni domenica. Il tra-filetto che riporto, intitolato “Laconferenza festiva del Sig. Ret-tore”, spiega la ragione di que-sta iniziativa.

«La Conferenza festiva delSig. Rettore. È la conferenza perantonomasia, in cui Egli ciinstilla il suo spirito a base disoda e sana teologia, e ci am-mannisce l’ascetica religiosa emissionaria attinta non dagli...ultramontani, ma da S.

SPIRITUALITÀ

Vetrata che simbolizza l’Allamano nell’atto di insegnare.

SPIRITUALITÀ

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Alfonso e dal Salesio [S. Francesco di Sales],con edificanti esempi di santi autentici,citazioni di Padri e testi di S. Scrittura; sem-pre tutta una dottrina sostanziosa e appro-priata.

Voi conoscete il suo metodo: discorrecon tranquillità, senza preoccupazione,senza accennare al minimo sforzo di studiofatto, alla buona e alla semplice come se siintrattenesse in amichevole conversazione;ed intanto, in tale modo, ci va dicendo cosee non parole per quasi sempre un’ora, e noitutti, raccolti attorno a Lui venerando e sor-ridente, assaporiamo il suo dire tanto sem-plice quanto dotto e, quasi senza accorger-ci, entrando nelle sue vedute, ci formiamocome Egli ci vuole, immedesimandociancora il suo stesso metodo di educazione.

È una cattedra la Sua un po’ ambulante,che tiene d’inverno nel salone, e nella mitestagione all’aperto sotto il porticato, masempre con indicibile godimento intellet-tuale e dello spirito nostro, da sentire unvero manco ed essere insoddisfatti le pochevolte che, per imprescindibili impegni d’or-dine superiore, o per cattivo tempo, nonviene da noi.

Per ridestarvi in cuore, o veneratiConfratelli, le gioie provate in altri tempi,ascoltando la sua parola viva a questa scuo-la, e per risvegliare nella vostra memoria gliinsegnamenti appresi e i conseguenti pro-positi uditi e provati allora, il “Da CasaMadre” si fregia in ogni numero di un qual-che pensiero di tale Conferenza, riserbandoa ciò il posto d’onore».

P. Francesco Pavese imc

S. Giuseppe Cafasso, di cui il 23 giugno 2010 si è celebrato il 150° anniversario della morte,è stato assegnato come “protettore speciale” dei Missionari e delle Missionarie della Consolata perl’anno 2011, durante il quale vengono celebrati i capitoli generali dei due istituti.

Per la circostanza, il nostro superiore generale, P. Aquiléo Fiorentini, ha inviato ai missionariuna lettera circolare, nella quale ha proposto alcune riflessioni sul Cafasso partendo dal punto divista dell’Allamano. Così si è introdotto: «Desidero fare un discorso di famiglia: è il “Padre”Allamano che ci parla dello “Zio” Cafasso. Sappiamo quanto il Fondatore si sia immedesimatonella spiritualità del suo santo zio. Nessuno più del Fondatore, quindi, può parlarci con compe-tenza della santità del Cafasso e riproporcelo non solo come protettore, ma anche come modello».

Abbiamo pensato di fare cosa gradita ai nostri lettori offrendo alcune parti di questa lettera.

L’ALLAMANO UN “DON CAFASSOREDIVIVO”

Prima di proporre agli altri il Cafassocome modello, dobbiamo riconoscere cheil Fondatore lo ha proposto a se stesso econ efficacia. Non è possibile, infatti, com-prendere compiutamente la personalitàspirituale dell’Allamano senza tenere contodi questa sua profonda sintonia con lo zio,al punto che più di uno di quelli che

hanno conosciuto entrambi, lo hanno defi-nito un “Don Cafasso redivivo”. Così, peresempio, Don Edoardo Bosia, parlandodell’attività del Fondatore al Convitto, hadichiarato: «Il Servo di Dio conservò edemulò lo spirito del beato Cafasso, tantoche lo si chiamava Don Cafasso redivivo».Si noti che questo testimone riporta nonsolo il suo giudizio, ma anche quello dialtri.

GIUSEPPE CAFASSO - GIUSEPPE ALLAMANOLO “ZIO” VISTO DAL “NIPOTE”

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In effetti, che il Fondatore rispecchias-se in sé la figura spirituale del Cafasso èstato percepito da tanti. Lo stesso PapaPio XI, nella “Lettera gratulatoria” per le“Nozze d’oro sacerdotali” (1923) delnostro Padre, ha fatto un’affermazioneche potrebbe apparire quasi un riconosci-mento ufficiale: «In te pare abbia lasciatoerede del suo spirito l’illustre zioGiuseppe Cafasso». Anche il beato LuigiBoccardo, che ha vissuto a stretto contat-to con il Fondatore quale direttore spiri-tuale del Convitto Ecclesiastico, non hadubitato di affermare: «Si potrebbe ripe-tere di lui, quasi alla lettera, quanto fuscritto del suo beato zio».

Non c’è bisogno di dire che anche noici uniamo volentieri a questo coro, per-ché siamo più che convinti che nessuno,più del nostro Padre, ha percorso il cam-mino di santità del Cafasso. Lui, però,pensava diversamente, certo per umiltà. Ilp. Domenico Ferrero ha svelato un parti-colare che indica appunto l’atteggiamentointeriore del Fondatore di fronte allo zio:«Nell’occasione di un’accademia tenuta inonore del novello beato Cafasso, tra l’altrosi era accennato che ormai il Servo di Dioera l’unico erede del suo sangue. Questafrase gli rimase profondamente impressa,perché rispondendoci ad accademia finita,con accento pieno di convinzione, tra l’al-tro disse: “L’essere erede del suo sangueper me è un’umiliazione”».

«FARE BENE IL BENE, CON COSTAN-ZA, SENZA RUMORE»

È questo il cammino verso la santitàmissionaria che il Fondatore ci ha propo-sto con una intensità speciale. Possiamoquasi definirlo il “cuore” della sua propo-sta. Non c’è bisogno che riferisca le sueparole dirette, perché le conosciamo amemoria. Mi limito a notare che già nel

1902 il nostro Padre parlava chiaro suquesto punto: «La forma che dovete pren-dere nell’Istituto è quella che il Signorem’ispirò e m’ispira, ed io atterrito dallamia responsabilità voglio assolutamenteche l’istituto si perfezioni e viva vita perfet-ta. Son d’avviso che il bene bisogna farlobene; altrimenti fra tante mie occupazioninon mi sarei sobbarcato ancora questa gra-vissima della fondazione di sì importanteistituto». Teniamo presente questo partico-lare: l’Istituto era appena fondato e lacomunità era ancora minuscola. Tuttavia,già allora la parola d’ordine era: “il benebisogna farlo bene”. In quel periodo ilFondatore aveva già maturato per contosuo la spiritualità dello zio e, forse senzaaccorgersene, gli era spontaneo riferirsi adessa quando aveva qualche suggerimentoimportante da dare.

Proponendo questo cammino di perfe-

SPIRITUALITÀ

Antica stampa che rappresenta san Giuseppe Cafasso.

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zione, il Fondatore si è reso conto di rical-care le orme dello zio. E lo ha detto espli-citamente, quasi per dare una garanzia allesue affermazioni: «I miei anni sono piùpochi, ma fossero pur molti, voglio spen-derli in fare il bene e farlo bene; io ho l’i-dea del ven. don Cafasso, che il bene biso-gna farlo bene e non rumorosamente».Come si vede, si tratta di un principiolineare, completato da due precisazioniessenziali: “fare bene il bene”; ma, “concostanza” e “senza rumore”.

“Fare bene il bene”. Questo è il prin-cipio ascetico. C’è una meditazione delCafasso, riservata all’ultimo giorno degliesercizi spirituali ai sacerdoti, intitolata“Sopra le occupazioni giornaliere”, chesostanzialmente tratta di questo tema. IlFondatore l’ha molto valorizzata ed hapure suggerito di leggerla integralmente.

Ne riporto un tratto, senza modificare lostile del linguaggio proprio del Cafasso,per non togliere nulla della sua vivacità:«…pochi di noi sono chiamati ad azionistraordinarie e poi, anche chiamati, questecose straordinarie e rare non possono dareil carattere e formare la tessitura dellanostra vita; e che gioverebbe finalmente farbene e perfettamente un’opera in sé eroica,se passata quella si facessero poi mediocre-mente le altre; supponiamo che uno siachiamato da Dio lasci la patria, i parenti, laroba, gli impieghi, i comodi per ritirarsi inun chiostro, o portarsi nelle Missioni stra-niere; sacrificio grande, straordinario, eroi-co, è vero; non si può negare; e lo fa alle-gramente, prontamente con tutta la virtùpossibile, ma se dopo ciò nelle azionicomuni della sua carriera non le facesseche mediocremente, si potrà dire, e saràveramente un sacerdote santo, e perfetto?No certamente». Credo che questo sia iltesto che, meglio di ogni altro, esprime ilpensiero del Cafasso e al quale il Fondato-re si riferisce.

A questo punto, bisogna aggiungere unaspetto senza il quale il discorso rimarreb-be incompleto. Anche sul “bene fattobene” il Fondatore indica come modelloGesù, riferendosi al testo di Mc 7,37 cheriportava abitualmente in latino: «Beneomnia fecit! - Ha fatto bene tutte le cose».Ebbene, anche questa ispirazione il nostroPadre l’ha presa dallo zio. Ecco le paroledel Cafasso: «…però non crediamo chebasti per essere un vero sacerdote passare inostri giorni in azioni tali, io direi chesarebbe il meno: il meglio anzi il tutto stanel farle bene, di modo che di un sacerdo-te si possa dire a proporzione quello chedicevasi del figliuol di Dio. Marc. Cap. 7che “ha fatto bene tutte le cose”».

“Fare il bene con costanza”. Ed ecco-ci alla prima importante precisazione: il

Moderna rappresentazione del Cafasso, opera di Adriana Caffaro Rore.

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bene va fatto bene, ma “con costanza”,cioè “sempre”. …La costanza era ciò che ilFondatore più apprezzava dello zio:«L’eroismo della sua virtù consiste nellacostanza. Non consiste nei miracoli l’eroi-smo, ma nel farsi violenza, nello star sem-pre lì fermo nel buon volere, nel non per-der tempo: questo è roba nostra. Io ammi-ro ogni giorno più la vita di quest’uomo,perché non è andato a salti, no, è sempreandato diritto; la sua strada era quella e…avanti; e questo l’ha fatto per tutta lavita. Sempre la stessa fede, lo stesso amordi Dio e del prossimo; sempre prudente,sempre giusto, sempre temperante… nongli manca niente…, lui andava sempreavanti; faceva sempre tutto bene».

“Fare il bene senza rumore”. E c’èuna seconda precisazione da aggiungere: ilbene va fatto bene, con costanza, ma“senza rumore”, cioè con umiltà, nelnascondimento. Il Cafasso aveva delle con-vinzioni precise: «Ecco ciò che forma l’oc-cupazione del giorno de’ buoni sacerdoti;niente di straordinario, e di strepitoso; unsacerdote può passare lungo tempo edanche tutta la vita in sì fatti ministeri senzache il mondo quasi rilevi la sua esistenza,almeno senza che la gente ne faccia enco-mii e meraviglie; e questo è un pensieroche deve consolare. Vi sono dei Santi assaigrandi davanti a Dio, la vita dei quali èstata oscura, e nascosta, le cui azioni nullahanno avuto di strepitoso e di mirabile, nédi essi il mondo ha parlato. Erano grandiper la loro santità, ma tutta la loro santitàera ristretta in cose piccole. Erano grandiper la loro umiltà, e la loro umiltà li porta-va sempre ad eleggere gli ultimi impieghi,e le azioni più basse».

Le idee del Fondatore su questo aspettole conosciamo. Era in totale sintonia conlo zio. Ed a noi ha insegnato ad essereumili come singole persone e anche come

Istituto. Il Fondatore ci fa da maestro piùcon la vita che con le parole.

Mi piace riportare una testimonianzamolto significativa del Can. N. Baravalle, ilquale così ha descritto il trasporto dell’ur-na con il corpo del Cafasso dal Convitto alSantuario, nell’imminenza della beatifica-zione: «Presiedeva l’Arcivescovo, cui face-vano pure corona parecchi Vescovi. Il Can.Allamano era il parente più prossimo delBeato, il promotore della Causa, ilSuperiore del Santuario e del Convitto, e sisarebbe atteso di veder procedere il Servodi Dio in tanta gloria rivestito delle divisecanonicali, con posto distinto. Invece, ilServo di Dio venne con noi del Santuariodietro le sacre Reliquie, colla sola talare,portando la torcia accesa. Era sofferente,commosso ed esultante, ma nulla traspari-va della sua santa esultanza. Si trascinavain modo così penoso, che ad un certopunto dovette appoggiarsi alla torcia cheportava, ed io ero in pena che venissemeno. Giunto al Santuario, non ebbeposto distinto: si eclissò, e non ricomparvese non dopo la funzione per ringraziare lepersonalità intervenute alla funzione. Tale,del resto, era il suo proposito, di nascon-dersi sempre». Si notino le ultime parole:la personalità del nostro Padre era questaed ha voluto trasmetterla a noi.

Prima di concludere questo punto, vor-rei notare ancora che sia il Cafasso chel’Allamano non si sono accontentati dienunciare un principio teorico. Hannospiegato che cosa significa, in concreto,“fare bene il bene”. Il Fondatore ha fattopropri i quattro suggerimenti del Cafasso:«Fare ogni cosa come la farebbe lo stessoNostro Signore Gesù Cristo; in quel modoin cui vorremmo averla fatta quando ce nesarà chiesto conto al tribunale di Dio;come se fosse l’ultima di nostra vita, e nonse ne avesse altra da compiere».

P. Aquiléo Fiorentini IMC

SPIRITUALITÀ

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PREGHIAMO

Le formulemagiche di certiriti pagani delpassato, come risultadall’antica documentazio-ne, sono un esempio eccellente diquelle preghiere “verbose” biasimate daGesù. Egli non proibì le preghiere lunghe,che praticava lui stesso, ritirandosi anchetutta la notte a pregare (cf. Lc, 6,12), nél’accorata ripetizione delle richieste, da luistesso raccomandata con la parabola dellavedova che insiste presso il giudice per otte-nere giustizia (cf. Lc 18,1-8). Gesù, però,non voleva che i suoi discepoli imitassero ipagani, i quali ritenevano che i loro dei nonconoscessero le necessità degli uomini eche, pertanto, avessero bisogno di venire

informati, o chesi lasciassero

persuadere dallapedante insistenza

degli oranti.Gesù insegnò che Dio è “prov-

vedente”, che conosce le necessità delle per-sone, prima che gliele espongano, perché èpresente nella loro vita e su ognuna di esseha un progetto di amore.

Lo spirito con cui i discepoli devonopregare è quello del figlio che apre il cuoreal padre e si fida di lui, come ha dimostratoGesù stesso nel Getzemani, quando, dopoavere supplicato il Padre per tre volte dinon fargli bere il calice amaro della passio-ne, concluse: «Padre mio… sia fatta la tuavolontà» (Mt 24, 42).

LAPAROLA DI DIO

«Pregando poi, non sprecate parole come ipagani i quali credono di essere ascoltati a

forza di parole. Il Padre vostro sa di quali coseavete bisogno ancor prima che gliele chiedia-

te. Voi, dunque, pregate così: Padrenostro che sei nei cieli...»

(Mt 6,7-9).

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PREGHIAMO

L’insegnamento dell’Allamano si può com-pendiare in questa sua espressione: «Pregare

molto e bene». E spiegava: «Non basta pregare con la lingua. Non basta formulare tanti“Padre nostro” soltanto con le labbra, ma la preghiera suppone l’attenzione del cuore».

Riguardo il clima che favorisce la preghiera, per non ridurla ad un assieme di paroleripetute in modo meccanico, l’Allamano raccomandava di vivere alla presenza di Dio evalorizzava il salmo 24, 15: «I miei occhi sono sempre rivolti al Signore», assicurando chequeste parole gli piacevano tanto, perché indicavano l’atteggiamento dell’animo in sinto-nia con Dio.

In definitiva, l’Allamano insegnava a maturare in noi stessi lo “spirito di preghiera”, cioèun clima favorevole alla “comunione con Dio”. E per spiegarsi usava espressioni incisive,quali: “tenere una via aperta verso Dio”, “mantenere viva la relazione con Dio”, “ pensarea Dio”, “indirizzare tutto a Dio”, “sollevare il cuore a Dio”, “riferire le azioni a Dio”.

Una curiosità: commentando il testo di S. Paolo che invita a “pregare sempre” (cf.1Ts5,17), l’Allamano si domandava: «Oh! Anche mentre dormiamo? Sì, e si fa così: ci siaddormenta pregando». Con queste parole comunicava con semplicità la sua esperienza.

Come assicuranoi testimoni, l’Allamanopregava “molto”, ma le suenon erano solo parole, perché pregava“bene”. Quanti lo hanno osservato mentrepregava si sono resi conto che il suo spiritoera in comunione con Dio. La celebrazionedella S. Messa, anzitutto, durante la quale«sembrava un angelo», come ha attestatoun sacerdote. Ogni sua preghiera era unatto di intesa con Dio, non un assieme diformule.

Il tabernacolo costituiva per lui unpunto di riferimento di primaria importan-za, come gli sfuggì di dire ad un gruppo deisuoi missionari: «Non a caso ho il tavolinodel mio studio messo in quella posizione, ecosì il letto nella mia camera, perché restorivolto verso il tabernacolo; e di tanto intanto tiro di quei fili elettrici, che sono piùche mai potenti». Parlando delle sue fre-quenti soste di adorazione davanti al taber-nacolo, inginocchiato nel coretto del san-tuario, ammise con semplicità: «Più si sta e

più si starebbe». Pregava anche di

notte: «Ogni notte mi alzo apregare, eppure al mattino sono semprepronto a riprendere la mia giornata di lavo-ro». Padre L. Sales, al quale l’Allamano fecequesta confidenza, commentò: «L’impres-sione che ebbi allora è che egli si alzasse, siapure brevemente, ogni volta che si sveglia-va, discendesse dal letto, pregasse... semprepoi, ad ogni svegliarsi, faceva la Comunionespirituale».

L’Allamano pregava con tanta fiducia,ma aveva una priorità chiara: la volontà diDio prima di tutto e sempre, come Gesù nelGetzemani. Quando il Confondatore,Giacomo Camisassa, si ammalò in modograve, l’Allamano pregò intensamente per lasua guarigione, anzi offrì a Dio, in cambio,la propria vita. Dopo la morte, pur soffren-do moltissimo, incoraggiò i suoi missionari:«In Paradiso vedremo che era meglio così».Era un altro modo per dire: «Sia fatta la tuavolontà».

LL’’IINNSSEEGGNNAAMMEENNTTOODDEELLLL’’AALLLLAAMMAANNOO

LA SUA ESPERIENZA

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PREGHIAMO

Il nostro Fondatore ha confidato di recitare, ognimattina, durante il ringraziamento della S. Messa, que-sta preghiera attribuita alla Regina Elisabetta diFrancia, con la quale intendeva esprimere la sua pienaadesione alla volontà di Dio: «Che cosa mi accadràoggi, o mio Dio? Non lo so. Tutto quello che io so, èche non mi accadrà niente che non sia stato da Voi pre-veduto, regolato e ordinato da tutta l’eternità. Questomi basta, o mio Dio! Questo mi basta. Adoro i vostridecreti eterni, impenetrabili; mi sottometto di tuttocuore per amor vostro. Voglio tutto, accetto tutto, fac-cio sacrificio di tutto e unisco il mio sacrificio a quellodi Gesù Cristo mio divin Salvatore. Io vi domando insuo nome e per i suoi meriti infiniti, la pazienza nellemie pene, e la perfetta sottomissione a tutto quello chevoi volete e permettete».

Suor Anastasia delle “Figlie di S.Eusebio” ci scrive: «Voglio dare la mia testi-monianza per una grazia ottenuta per inter-cessione del Padre Allamano, trovandomi inuna grave situazione di salute.

Da un anno accusavo forti dolori ad unagamba e non ero più in grado di cammina-re nonostante le continue cure. È arrivato inCongregazione un bollettino dei Missionaridella Consolata e, sfogliandolo, ho trovatola preghiera da fare a Dio per intercessionedel Padre Allamano per ottenere grazie. Hoiniziato una novena, terminata la qualesono andata dalla dottoressa che mi avevain cura. Vedendomi in quelle condizioni si

è molto preoccupata e mi ha indirizzata daun professore che aveva da poco conosciu-to in un congresso di medici, per sentire ilsuo parere.

Il professore, dopo avermi visitata e pre-scritto alcuni esami, ha individuato la causache mi procurava i forti dolori e ha trovatola terapia. I risultati ottenuti sono stati otti-mi.

Ho ripreso a camminare con la scom-parsa del dolore da più di un anno.

Ogni giorno prego il Padre Allamano elo ringrazio per la grazia che mi ha conces-so, facendomi incontrare le persone giuste,che mi hanno molto aiutata».

LA SUA PREGHIERA

RICONOSCENZA

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PREGHIAMO

Padre nostro, il beato Giuseppe Allamano, compreso della tua paterna sollecitudine pertutti i tuoi figli e figlie, specialmente se si trovano in difficoltà, ci garantisce «che non restamai confuso chi confida in te», perché «tu puoi, sai e vuoi aiutarci».

Incoraggiati da queste parole, ci rivolgiamo con piena fiducia alla tua bontà senza limi-ti e, per intercessione del tuo Servo fedele, ti chiediamo la grazia di...

Anche a nome di quanti credono in te, ti preghiamo di estendere il tuo Regno di amoree di pace in tutto il mondo (cf. Mt 26,14).

Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre.SS. Vergine Consolata, prega per noi.

Illuminati dalla Parola di Dio e animati dallo spirito del beato Allamano, innalziamo a Dio la nostra preghiera:

Chi riceve una grazia per intercessione del beato Giuseppe Allamano

è pregato di notificarlo al seguente indirizzo:Postulazione Generale

Viale Mura Aurelie 11/13 - 00165 Roma, indicando se concede la pubblicazione.