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PRIMO INCONTRO 2016 “AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI” Centro Studi Palazzo Trecchi Cremona 19-20 Marzo 2016 Responsabile Scientifico: Capasso Michele, Med Vet, SpecPACS Napoli Società Italiana Veterinari per Animali Esotici Via Trecchi 20 Cremona (Italy) Tel 0372 403500 [email protected] - www.sivae.it

“AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI”€¦ · • Attestato di frequenza • 1 light lunch Si ringraziano gli sponsor per la buona riuscita dell’evento. Studio anatomico

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PRIMO INCONTRO 2016

“AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI

ANIMALI ESOTICI”

Centro Studi Palazzo Trecchi Cremona

19-20 Marzo 2016

Responsabile Scientifico: Capasso Michele, Med Vet, SpecPACS Napoli

Società Italiana Veterinari per Animali Esotici Via Trecchi 20

Cremona (Italy) Tel 0372 403500

[email protected] - www.sivae.it

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PRIMO INCONTRO SIVAE 2016

“AGGIORNAMENTI DI MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI”

CREMONA - PALAZZO TRECCHI

19/20 Marzo 2016 Responsabile scientifico Michele Capasso

PROGRAMMA SCIENTIFICO

Sabato 19 Marzo Ora Titolo Relazione Relatore 8.30 Registrazione dei partecipanti 9.30 Studio anatomico comparativo tramite l'utilizzo della

transilluminazione e della radiologia in gechi leopardini (Eublepharis macularius)

Susanna Censi

9,50 La valutazione ed il trattamento delle più comuni alterazioni neurologiche negli uccelli

Biagio Chianese

10,10 Valutazione della pressione intraoculare e variazioni circadiane in 35 esemplari di petauro dello zucchero (Petaurus breviceps)

Gianluca Deli

10,30 Pausa 11,00 La medicina d'emergenza nel furetto: tra scienza e

clinica Nicola Di Girolamo

12.00 Occlusione intestinale e costipazione in una testudo horsfieldii: importanza del supporto nutrizionale

Alberto Acosta Ojeda

12,20 Necrosi della muscolatura scheletrica, associata ad una infezione sostenuta da Clostridium limosum, in un Alligatore del Mississipi (Alligator mississipiensins)

Riccardo Mancini

12,40 Trattamento chirurgico di un sarcoma indifferenziato in una iguana verde (iguana iguana) in corso di stasi post ovulatoria

Federico Franchini

13.00 Assemblea soci 13,30 Pausa pranzo 14,30 Il LASER nella medicina degli animali esotici: principi ed

applicazioni in terapia e chirurgia Giordano Nardini

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15,30 Lipidosi epatica e iperglicemia in un coniglio: un caso di diabete mellito?

Alessandro Guerra

15,50 Linfoma mediastinico in coniglio Elizabet Fernandez Palomares

16.10 Pausa 16,40 Diagnosi biomolecolare delle malattie infettive dei

cheloni: conoscerne i limiti per sfruttarne i vantaggi Silvia Preziuso

17,40 Forma atipica di vaiolo nel canarino Elena Circella 18,00 Ascesso odontogenico nel coniglio: marsupializzazione

"avanzata" Daniele Vitolo

18,20 Discussione e termine della giornata E a seguire aperitivo offerto da

Domenica 20 Marzo Ora Titolo Relazione Relatore 9,30 Edema sottocutaneo generalizzato in un Elefante Indiano

(Elephas maximus): approccio clinico

Riccardo Mancini

9,50 Frattura/lussazione calcaneare nel coniglio da compagnia: cosa fare?

Antonio Filippi

10,10 La torsione di lobo epatico nel coniglio: stato dell’arte e 3 casi clinici

Daniele Petrini

10.30 Pausa 11,00 Nuove strategie diagnostiche nella parassitologia degli

animali non convenzionali Giuseppe Cringoli Laura Rinaldi

12,00 Linfoma multicentrico leucemico in una morelia viridis trattato con prednisolone e l-asparaginasi

Emanuele Lubian

12,20 Discussione e chiusura dei lavori Consegna attestati di partecipazione

GLI ORGANIZZATORI DELL’EVENTO SI IMPEGNANO A RISPETTARE IL PROGRAMMA PUBBLICATO CHE RIMANE SUSCETTIBILE DI VARIAZIONI PER CAUSE DI FORZA MAGGIORE È PROIBITO FILMARE O FOTOGRAFARE LE PRESENTAZIONI DEI RELATORI L’ISCRIZIONE COMPRENDE: • Atti delle relazioni in formato cartaceo • Attestato di frequenza • 1 light lunch

Si ringraziano gli sponsor per la buona riuscita dell’evento

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Studio anatomico comparativo tramite l'utilizzo della transilluminazione e della radiologia in gechi leopardini (Eublepharis macularius) Susanna Censi Med Vet, Brembate (BG) La transilluminazione è una valida metodologia diagnostica tradizionalmente utilizzata nella pratica veterinaria di alcuni rettili (gechi e ofidi dalla pelle chiara e trasparente) che permette la valutazione anatomica di questi animali. Rispetto ad altri strumenti diagnostici, la transilluminazione offre alcuni vantaggi: è un metodo non invasivo, dinamico, non richiede l'immobilizzazione degli animali, minimizzando così possibili reazioni da stress, non è laborioso e ha un costo basso. In letteratura sono riportati pochi studi circa l'utilizzo della transilluminazione nella medicina del geco leopardo (Eublepharis macularius). Questo studio si propone l’obiettivo di fornire le prime indicazioni utili per applicare correttamente la procedura della transilluminazione nei gechi leopardo. Inoltre, tramite l’utilizzo della transilluminazione e di studi radiografici dei soggetti si è voluta determinare l’efficacia di queste metodologie diagnostiche in questa specie. Lo studio effettuato ha coinvolto 12 esemplari di gechi leopardo, in buono stato di salute, uniformemente distribuiti per quanto riguarda il sesso (6 femmine e 6 maschi) e di età adulta compresa tra 1 e 5 anni. Ciascun animale è stato esaminato sia mediante l’uso della transilluminazione sia attraverso uno studio radiografico. Per la procedura di transilluminazione è stata utilizzata una piccola sorgente luminosa a LED. La sorgente di luce è stata posizionata a livello di tre diverse regioni anatomiche (testa, torace e addome). Per esaminare la testa sono state scelte le proiezioni di sinistra e di destra latero-laterale, la proiezione ventro-dorsale e quella dorso-ventrale (con bocca aperta e chiusa); per valutare il torace e l’addome sono state selezionate la proiezione perpendicolare dorso-ventrale e la proiezione laterale (inclinata di 45 ° sia a sinistra che a destra ) in quattro diversi punti preliminarmente stabiliti. Tutte le proiezioni di transilluminazione sono state fotografate con una macchina fotografica reflex. Le immagini sono state catturate in vista frontale e di 45 ° da entrambi i lati. Per gli studi radiografici è stato utilizzato un sistema di imaging digitale; sono state effettuate le proiezioni standard latero-laterale e dorso- ventrale. La transilluminazione ha permesso una chiara identificazione di diverse strutture - canale esterno dell'orecchio, lingua, faringe, palato, battito cardiaco, vene pelviche e vena ventrale addominale - che non sono visibili utilizzando la radiologia. La transilluminazione ha permesso una buona visualizzazione dello stomaco, probabilmente utile per la conferma della presenza di corpi estranei. Inoltre, l'immagine della vena ventrale addominale potrebbe essere un risultato di rilievo per la raccolta di campioni ematici. D’altra parte, la valutazione della struttura scheletrica è nettamente superiore utilizzando la radiologia; ciò rappresenta un punto critico della tecnica di transilluminazione, essendo i gechi leopardini ad alto rischio di malattia ossea metabolica. In conclusione, questi risultati preliminari suggeriscono che la transilluminazione potrebbe essere una valida procedura diagnostica essendo complementare alla radiografia. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per valutare meglio i vantaggi ed i limiti della transilluminazione nei gechi leopardini.

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LA VALUTAZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLE PIÙ COMUNI ALTERAZIONI

NEUROLOGICHE NEGLI UCCELLI

Dr. Biagio Chianese, DVM, SMIPPV, ESVNM

Il sistema nervoso gioca un ruolo estremamente importante in qualsiasi processo fisiologico

dell’organismo. Un’alterazione di tale sistema determina la comparsa di segni neurologici ben

precisi, attribuibili a lesioni facilmente localizzabili in base alla neuroanatomia. Le sindromi

neurologiche possono colpire indistintamente sia il sistema nervoso centrale, costituito dal cervello

ed il midollo spinale, che il sistema nervoso periferico, che comprende i nervi cranici, le radici

nervose spinali, i nervi periferici e le giunzioni neuromuscolari.

La neuroanatomia e l’esame neurologico sono sempre stati considerati un capitolo non semplice

della medicina interna, tuttavia i segni clinici attribuibili a patologie del sistema nervoso sono di

frequente riscontro nella pratica clinica veterinaria.

L’attenzione per le specie non convenzionali è cresciuta constantemente negli ultimi anni, grazie

anche all’aumento della loro detenzione ed alla disponibilità di Medici Veterinari sempre più

competenti in materia. L’alto grado di specializzazione ha fatto sì che sempre più proprietari

richiedessero le migliori cure attuabili per il proprio animale: infatti, oggi più che mai, il clinico

“esotico” è chiamato a fornire protocolli diagnostici e terapeutici all’avanguardia.

Ogni buon clinico dovrebbe sempre essere in grado di localizzare la zona anatomica colpita

attraverso un attento esame neurologico e decidere il miglior approccio diagnostico e terapeutico.

La conoscenza delle differenze neuroanatomiche degli uccelli rispetto ai mammiferi è di

fondamentale importanza per la valutazione del danno neurologico.

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RICHIAMI DI NEUROANATOMIA E NEUROFISIOLOGIA

L’organizzazione del sistema nervoso aviare ricorda molto quello dei mammiferi, da cui però

differisce per la presenza di strutture specializzate che in parte condividono con la classe dei rettili,

per l’appartenenza alla stessa evoluzione filogenetica.

Comparando il midollo spinale aviare con quello dei mammiferi si può notare la presenza del seno

romboidale, detto anche lombosacrale, che ha sostituito la cauda equina ed il filum terminale dei

mammiferi. I mutamenti neurologici sono dovuti all’adattamento del sistema nervoso alla

particolare locomozione della specie aviare.

Il controllo dei movimenti delle ali e degli arti è dovuto rispettivamente al motoneurone inferiore

del plesso brachiale e di quello lombare. La coordinazione dei movimenti, invece, è data dal

cervelletto, particolarmente sviluppato negli uccelli, anche se il suo ruolo non è stato ancora ben

definito.

Per una visione completa della neuroanatomia degli uccelli si rimanda a testi specifici.

L’ESAME NEUROLOGICO

Il sospetto di una disfunzione neurologica può sorgere già a partire dal motivo della visita nonchè

da un’attenta anamnesi. L’esame clinico, il tempo di insorgenza dei segni e la loro evoluzione

possono fornire indicazioni circa il tipo di lesione o, altrimenti, indirizzare verso disordini specie-

specifici.

L’esame neurologico degli uccelli, che non differisce molto da quello dei mammiferi, se non per

alcune differenze anatomiche, è necessario affinchè si localizzi neuroanatomicamente la lesione,

si stabilisca la sua gravità e si emetta una prognosi.

Va ricordato, che prima di eseguire l’esame neurologico, è necessario effettuare: un esame obiettivo

generale quanto più completo possibile, profilo ematobiochimico di base, un esame delle feci e

tamponi cloacali e delle coane per escludere il coinvolgimento di altri apparati, che potrebbero

contribuire a peggiorare il quadro clinico.

E’ bene che l’esame neurologico venga eseguito lontano da rumori molesti, magari in una stanza

tranquilla e senza la presenza di altri animali. Inoltre è preferibile eseguire l’esame ossservando

sempre lo stesso schema, sintetizzato come segue:

1. Stato del sensorio, postura ed atteggiamenti particolari;

2. Reazioni posturali;

3. Esame dei nervi cranici;

4. Riflessi spinali;

5. Valutazione del dolore superficiale e del dolore profondo.

Talvolta è necessario adattare questo schema al carattere del paziente che si ha davanti: per

esempio preferendo l’esecuzione di un test meno invasivo prima di uno più invasivo si eviterà una

risposta cosciente alterata in pazienti molto agitati.

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Invece, nei pazienti tetraplegici, è preferibile valutare dapprima i nervi cranici piuttosto che le

reazioni posturali in modo da localizzare in maniera rapida la lesione e, nel caso in cui questa si trovi

a livello spinale, adottare tutte le misure di sicurezza per evitare un peggioramento della situazione

clinica durante le manovre di spostamento.

Osservazione: è una fase di estrema importanza poiché ci permette di valutare lo stato mentale, la

postura ed eventuali atteggiamenti particolari assunti dal paziente. Infatti, uno degli errori più

frequenti è proprio l’omissione dell’osservazione.

Palpazione: ci permette di apprezzare eventuali anomalie trofico-muscolari, da disuso o

neurogene, asimmettrie e presenza di masse. Durante questa fase è possibile eseguire le reazioni

posturali.

REAZIONI POSTURALI

Queste sono abbastanza complesse da un punto di vista neurologico e richiedono l’integrità

completa sia delle vie sensitive che motorie, nonchè dei centri di integrazione cerebrale.

Una lesione in una qualsiasi parte di queste vie determinerà l’alterazione delle reazioni posturali.

Negli uccelli una delle reazioni posturali di più facile esecuzione e di buona affidabilità, è la prova

del posizionamento propriocettivo, che può essere eseguita in due modi differenti:

a) Posizionando la zampa con il dorso poggiato su di una superficie piana si valuterà il tempo

di riposizionamento del piede;

b) Poggiando una zampa per volta su di un foglio di carta ed allontanando quest’ultimo dalla

superficie palmare si osserverà il tempo di riposizionamento dell’arto.

Un altro modo per valutare il posizionamento propriocettivo nel paziente aviare consiste nell’offrire

un posatoio al soggetto e valutare il modo in cui questo vi sale e si regge in equilibrio.

La risposta delle ali non è valutabile routinariamente.

ESAME DEI NERVI CRANICI

Ci permette di stabilire se la lesione è intracranica e se questa è di tipo localizzato o diffuso.

Fondamentalmente, non ci sono diversità di esecuzione rispetto ai test effettuati sui carnivori

domestici. I risultati vanno però interpretati tenendo conto di alcune differenze sostanziali

dell’innervazione tipica di alcune parti della testa degli uccelli.

Nervi cranici Funzione Test applicabili

I. Olfattivo olfatto Risposta agli odori (alcool)

II. Ottico visione Risposta alla minaccia

III. Oculomotore Moventi mm. oculari estrinseci ed intrinseci e palpebra superiore

Risposta alla minaccia, riflesso pupillare e posizione del globo oculare

IV. Trocleare Movimenti mm. estrinseci Posizione del globo oculare

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RIFLESSI SPINALI

I riflessi spinali valutabili negli uccelli sono :

Riflesso flessorio degli arti : viene eseguito applicando uno stimolo pressorio alle dita mediali e

laterali di un arto e valutando la flessione delle articolazioni dell’arto coinvolto. L’integrità del nervo

ischiatico e del segmento spinale a livello del plesso sacrale sono indispensabili per una corretta

esplicazione di tale riflesso.

Riflesso flessorio delle ali : valuta l’integrità dell’arco riflesso del segmento spinale che coinvolge il

plesso brachiale. Viene eseguito applicando uno stimolo pressorio a livello delle copritrici primarie.

L’assenza o la diminuzione di tale riflesso indica una lesione al plesso brachiale o ad uno dei suoi

nervi.

Riflesso patellare: poco attendibile e non sempre valutabile negli uccelli di piccola taglia.

Riflesso cloacale: valuta l’integrità del plesso pudendo e dei nervi dei segmenti caudali del midollo

spinale. Viene eseguito pinzettando o pungendo con un ago lo sfintere cloacale esterno e valutando

il grado di contrazione dello sfintere.

DOLORE SUPERFICIALE E PROFONDO

Tenendo conto che negli uccelli non è presente il riflesso pannicolare, è possibile valutare la

percezione cutanea del dolore superficiale semplicemente pinzettando la pelle del dorso oppure

tirando gentilmente le piume ed osservando la reazione del soggetto.

La valutazione della nocicezione viene riservata solo a quegli animali che mostrano lesioni alla

colonna vertebrale. Essa viene considerata un indice prognostico molto attendibile. Si esegue

V. Trigemino Sensibilità del becco e della faccia, movimenti del becco

Riflesso palpebrale,palpazione della mandibola e risposta alla minaccia

VI. Abducente Movimenti muscoli estrinseci e della terza palpebra

Posizione del globo oculare

VII. Facciale Muscoli espressione facciale Non applicabile

VIII. Vestibolococleare Udito ed equilibrio Riflesso oculocefalico, Risposta ad un suono improvviso

IX. Glossofaringeo Muscoli faringe, laringe, siringe e gozzo

Riflesso della deglutizione

X. Vago Muscoli laringe, faringe, esofago e gozzo

Riflesso della deglutizione e riflesso oculocardiaco

XI. Accessorio Del Vago Muscoli superficiali del collo Non applicabile

XII. Ipoglosso Muscoli della lingua, della trachea e della siringe

Ispezione e presa della lingua

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pinzettando le dita degli arti oppure i tessuti sottostanti le copritrici primarie. Va ricordato che la

flessione dell’arto o dell’ala non indica la percezione del dolore da parte del soggetto.

APPROCCIO DIAGNOSTICO ALLE PATOLOGIE NEUROLOGICHE

Dopo aver eseguito un esame clinico completo si possono eseguire degli accertamenti diagnostici

per confermare la diagnosi di sospetto od escludere alcune diagnosi differenziali. Negli ultimi anni,

grazie al progresso della diagnostica per immagini anche nella medicina degli animali esotici, oltre

alle radiografie, sono oggi disponbili anche la TAC e la RMN. Inoltre in alcuni centri specialistici è

possibile effettuare studi elettrodiagnostici come l’elettromiografia e gli studi sulla conduzione

nervosa attraverso i potenziali evocati.

L’ approccio iniziale meno invasivo e più economico è rappresentato dallo studio radiografico.

Le radiografie andrebbero idealmente eseguite in sedazione o anestesia generale per permettere il

corretto posizionamento del paziente ed evitargli ulteriori stress. Le due proiezioni più utilizzate

sono la Latero-Laterale e la Ventro-Dorsale. Lo scheletro del paziente deve essere completamente

esteso per permetterne la visualizzazione completa.

La Mielografia

Durante l’esecuzione dello studio radiografico è possibile utilizzare anche del mezzo di contrasto

(mdc) per valutare eventuali compressioni midollari. La mielografia si effettua utlizzando come mdc

lo Ioexolo alla dose di 0,88 ml/kg. L’ago più adatto è quello da 27 gauge e la somministrazione del

mdc va effettuata con velocità pari a 0,5 ml/min ed eseguendo le radiografie dopo circa 10 minuti.

L’ago va inserito nello spazio toracolombare prendendo come punto di riferimento le prominenze

ossee delle creste iliache ed il primo spazio intervertebrale craniale. Va ricordato che non in tutte le

specie è possibile effettuare la mielografia (nelle anatre, nei cigni e nelle oche, per esempio, non è

possibile eseguire la puntura toracolombare) e che tale procedura richiede anche una certa

manualità dell’esecutore.

E’ possibile, inoltre, la puntura della cisterna cerebellomidollare per il prelievo del liquido

cefalorachidiano ma, il rischio di creare danni iatrogeni, per le ridotte dimensioni di questa, e l’alta

percentuale di emorragie, dovute ad un plesso venoso molto sviluppato, ne limitano l’impiego.

La Tac e la RMN

La TAC e la RMN rivestono un ruolo molto importante nella diagnostica neurologica. Sia l’una che

l’altra tecnica devono essere eseguite in anestesia generale. La prima utilizza radiazioni ionizzanti

per riprodurre sezioni o strati corporei del paziente ed effettuare ricostruzioni tridimensionali

attraverso l’uso di un elaboratore, mentre, la RMN ricava immagini basate sulle differenze di densità

dei tessuti colpiti dai raggi all’interno di un campo magnetico pulsatile. Il vantaggio della TAC è

quello di svelare modificazioni del tessuto osseo in maniera molto più attendibile rispetto a quelle

che si possono osservare con le sole radiografie.

Inoltre la TAC può essere utilizzata anche per localizzare le lesioni intracraniche, nonostante la sua

sensibilità sia di circa l’80% contro i 95% della RMN. Quest’ultima è attualmente il miglior mezzo

diagnostico in caso di lesioni neurologiche. Il vero vantaggio della RMN rispetto alla TAC è la

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possibilità di visualizzare il tronco encefalico craniale posto nella fossa caudale del cranio, di

ottenere un maggior dettaglio dei tessuti molli nonché l’eliminazione delle radiazioni ionizzanti.

Lo svantaggio di entrambe le tecniche, oltre al costo elevato, è la necessità di ricorrere all’anestesia

generale non sempre attuabile nei pazienti aviari defedati a causa dell’elevato rischio

anestesiologico e della durata non sempre breve degli studi.

Elettrodiagnostica

Il ricorso all’ elettrofisiologia per lo studio del sistema neuromuscolare costituisce, attualmente, un

valido ausilio nella diagnosi delle patologie neuromuscolari, per la valutazione, la progressione o la

regressione della lesione ed il grado di recupero. Il paziente va sottoposto ad anestesia generale per

l’esecuzione di tali studi. SI può ricorrere all’elettromiografia per lo studio dell’attività elettrica dei

muscoli. Essa esamina l’integrità dell’unità motoria, formata dal motoneurone inferiore e dalle fibre

muscolari da esso innervate, attraverso l’utilizzo di aghi ipodermici da 27 gauge. Normalmente,

all’interno dei muscoli non si registra alcuna attività elettrica dopo che l’ago è stato correttamente

inserito e stabilizzato. Qualsiasi alterazione del tracciato elettromiografico (Potenziali di

fibrillazione, Onde positive etc) è indicativa di un’alterazione muscolare. Inoltre, sono disponibili

altri test, più specifici ed approfonditi, come i potenziali evocati e gli studi sulla conduzione nervosa,

che permettono di differenziare l’assonotmesi dalla neuroprassia e pertanto restringere ancor di

più il campo delle diagnosi differenziali. Tuttavia, i dati disponibili a riguardo restano ancora limitati

a pochi studi.

ALTERAZIONI NEUROLOGICHE COMUNI

Per facilitare il compito del clinico è preferibile suddividere le alterazioni neurologiche in due

categorie: patologie intracraniche e patologie spinali o neuromuscolari.

È opportuno ricordare il significato di atassia ovvero andatura incoordinata dovuta a lesioni spinali,

vestibolari o cerebellari e che spesso è il primo segno clinico visibile in un paziente con un deficit

neurologico.

Purtroppo, data la complessità e l’ampiezza degli argomenti non sarà possibile trattarli in maniera

dettagliata in questa sede ma si prenderanno in considerazione solo le cause più frequenti.

PATOLOGIE INTRACRANICHE

In caso di patologie intracraniche il soggetto potrà mostrare: alterazioni del sensorio, come

depressione, stupore o coma; alterazioni dei nervi cranici; crisi convulsive; nistagmo e deviazione

laterale della testa; tremori o movimenti involontari.

Tra le cause più importanti annoveriamo l’encefalomalacia da carenze nutrizionali, le encefaliti virali

(Influenza aviare, Newcastle, Polyomavirus, West Nile, PDD) e batteriche (Clamidia, Listeria,

Salmonella, Pasteurella), parassitarie e protozoarie ( Schistosoma sp, Toxoplasma, Trichomonas).

Degne di nota sono le intossicazioni da piombo e zinco, organofosforici, carbamati e pesticidi.

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Seppur rara va ricordata l’epilessia primaria o secondaria. Un importante capitolo è rappresentato

dalle patologie neoplastiche, frequenti nei pappagallini ondulati, e dalle patologie metaboliche

come l’encefalopatia epatica, l’ipoglicemia e l’ipocalcemia.

Alterazioni del sensorio

Possono essere dovute a stati carenziali, patologie metaboliche, trauma cranico, grave parassitosi

ed a patologie infettive che colpiscono il sistema nervoso centrale. Il soggetto può mostrare

depressione ( ottundimento del sensorio ma con risposta conservata verso gli stimoli esterni),

stupore (stato di incoscienza con risposta solo agli stimoli dolorosi) e coma (stato di incoscienza con

assenza di risposta agli stimoli dolorosi).

Il trattamento prevede l’individuazione della causa scatenante, una terapia di supporto con

fluidoterapia di mantenimento e supporto nutrizonale. Il soggetto deve essere tenuto in un posto

pulito ed a temperatura controllata.

Crisi convulsive

Possono essere dovute a patologie o lesioni che colpiscono il telencefalo e/o il diencefalo come:

malattie infettive (Paramyxovirus, Poliomavirus, Herpesvirus, Clamidia, meningiti batteriche)

neoplasie, infiammazioni, accidenti vascolari o patologie degenerative. Vengono suddivise in crisi

parziali o crisi totali di tipo tonico-clonico.

Il trattamento prevede l’individuazione della causa scatenante e la somministrazione di diazepam

alla dose di 0,5-1,0 mg/kg EV o IO ripetuta al massimo per tre volte. Se l’attività convulsiva non si è

arrestata si può utilizzare il fenobarbitale alla dose di 1-2 mg/kg EV o IO o IM ogni 12 ore.

Dopo le prime 48 ore si può passare ad una terapia orale con fenobarbitale ad una dose compresa

tra 1-10 mg/kg PO ogni 12 ore.

Nel caso in cui si voglia bloccare l’attività convulsiva e contemporaneamente procedere con le

indagini diagnostiche si può utilizzare l’anestesia gassosa.

Deviazione della testa e nistagmo

La deviazione della testa può essere dovuta a patologie sia periferiche che centrali ed è in genere

legata alla presenza di lesioni asimmetriche del sistema vestibolare. Spesso è associata a nistagmo

che può essere di tipo verticale, orizzontale o rotatorio. Il nistagmo può essere diretto in qualsiasi

direzione sia nel caso di lesioni periferiche che centrali. Nel nistagmo orizzontale la fase rapida è

generalmente diretta nella direzione opposta a quella della lesione.

Il trattamento prevede l’individuazione della causa scatenante e una terapia mirata all’eziologia

sospettata o accertata. Bisogna inoltre provvedere a soddisfare il fabbisogno nutrizionale del

paziente ed instaurare una terapia di supporto adeguata.

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Tremori e movimenti involontari

I tremori generalizzati possono essere dovuti sia a patologie diffuse che multifocali coinvolgenti le

meningi, le radici nervose, i nervi periferici o i muscoli. Patologie sistemiche, come disequilibri

elettrolitici, patologie renali ed epatiche oppure l’ipoglicemia, possono provocare tremori molto

simili a quelli dovuti a patologie neurologiche primarie. Un particolare tipo di tremore della testa o

del corpo, correlato a disfunzioni cerebellari, è quello intenzionale, caratterizzato da movimenti

parossistici della testa legati a momenti particolari come la prensione del cibo o l’abbeveramento.

Il trattamento prevede l’identificazione della causa scatenante, la somministrazione di farmaci

anticonvulsivanti e/o glucocorticoidi. Non va inoltre sottovalutata la terapia di supporto e la

reintegrazione dei fluidi.

PATOLOGIE SPINALI E NEUROMUSCOLARI

Si caratterizzano per la presenza di paresi o plegia di uno o più arti o delle ali. Il termine“paresi”

indica una ridotta funzione motoria mentre “plegia” ne indica la sua completa assenza.

Possiamo distinguere:

Monoparesi/monoplegia : funzione motoria ridotta o assente di un solo arto o ala;

Emiparesi/emiplegia : funzione motoria ridotta o assente di arto ed ala di un solo lato;

Tetraparesi/tetraplegia : funzione motoria ridotta o assente di entrambe le ali e gli arti;

Paraparesi/paraplegia : funzione motoria ridotta o assente di entrambi gli arti.

Così come per le patologie intracraniche, le cause di queste alterazioni spinali sono molteplici e

possono essere dovute a cause infettive e/o infiammatorie, degenerative, traumatiche,

neoplastiche, tossiche, a stati carenziali ed accidenti vascolari.

Tra le patologie che possono provocare alterazioni spinali ricordiamo: la PDD, riportata come causa

di neuriti periferiche del nervo sciatico, brachiale e vago nei pappagalli; la malattia di Marek e la

Reticoloendoteliosi che determinano l’ingrossamento dei nervi a causa di infiltrati linfoidi

determinanti paralisi; La malattia di Newcastle e la poliencefalomielite dei lorichetti.

Tra le cause tossiche annoveriamo nuovamente l’intossicazione da Piombo e Zinco, da

organofosforici e carbamati e l’ingestione di piante tossiche come l’oleandro.

Il trauma spinale e i traumi dei nervi periferici sono problematiche comuni nei pappagalli tenuti

liberi per casa, che spesso possono urtare violentemente contro ostacoli o vetrate.

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Nei tacchini viene riportato anche l’embolo fibrocartilagineo come causa vascolare di paresi acuta

e atassia, mentre nelle anatre l’ingestione di esotossina botulinica determina la paralisi dei muscoli

cervicali, che spesso inizia dapprima con la paralisi delle zampe per poi progredire verso le ali.

Il trattamento prevede l’identificazione della causa scatenante da effettuarsi attraverso

l’isolamento batterico o virale, la determinazione della quantità di metalli presenti nel torrente

circolatorio oppure indagini di diagnostica per immagini, e l’instaurazione di una terapia adeguata.

BIBLIOGRAFIA

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VALUTAZIONE DELLA PRESSIONE INTRAOCULARE E VARIAZIONI CIRCADIANE IN 35 ESEMPLARI DI PETAURO DELLO ZUCCHERO (Petaurus breviceps)

G. Deli1, D. Petrini2, D. Mari3, R. Arcelli3

1Libero professionista, Roma, Italia; 2Libero professionista, Pisa, Italia ; 3Dipartimento di medicina veterinaria, Perugia, Italia

Uno fra gli esami diagnostici più importanti in medicina veterinaria è rappresentato dalla tonometria, ovvero la misurazione della pressione intraoculare (IOP); quest’ultima deriva dall'equilibrio tra produzione e drenaggio dell'umor acqueo. Fino a non molti anni fa l’utilizzo della tonometria veniva limitato alla diagnosi di glaucoma (in cui la IOP aumenta). Tuttavia può rappresentare uno degli esami collaterali di scelta in corso di uveite anteriore (dove avremo una riduzione della IOP) e di tutte quelle condizioni patologiche che presentano come sintomo principale arrossamento dell’occhio, quali cheratite, congiuntivite, sclerite, e cellulite orbitale (in cui la IOP potrà risultare variabilmente alterata). Inoltre, a seguito della conferma di uveite o glaucoma, la tonometria dovrebbe rappresentare lo strumento essen-ziale e indispensabile per il monitoraggio della risposta alla terapia, attraverso la quale il clinico potrà decidere se modificare o interrompere la terapia stessa. Pertanto, la misura-zione della IOP è parte integrante di una valutazione oftalmica accurata. In oculistica umana esistono differenti metodiche per la misurazione della IOP: fra queste avremo tecniche più invasive di altre, che presenteranno quindi dei limiti alla loro applicabi-lità in medicina veterinaria. In generale ricordiamo che le tecniche esistenti sono: tonometria Goldmann (considerata il gold standard), tonometro di Perkins (tonometro ad applanazione portatile, utile nei bam-bini), tonometria dinamica a contorno (influenzato dalla curvatura corneale), tonometria senza contatto (o tonometria a getto d’aria), tonometria ad indentazione elettronica (deve essere utilizzato un collirio anestetico per desensibilizzare l’occhio), pneumotonometria (co-stituito da un pistone galleggiante su un cuscinetto d’aria: l'equilibrio tra il flusso d'aria pro-veniente dalla macchina, e la resistenza al flusso offerta dalla cornea influenzano il movi-mento del pistone e questo movimento è usato per calcolare la pressione intraoculare) to-nometria ad indentazione (o tonometria a depressione), tonometria non-corneale e trans-palpebrale (non comporta il contatto con la cornea e quindi non richiede l'utilizzo routinario di un anestetico topico durante l’uso, risultando però poco affidabile se utilizzato da solo), tonometria digitale (avviene premendo delicatamente il dito indice contro la cornea di un occhio chiuso: questo metodo è estremamente operatore-dipendente e notoriamente poco affidabile e riproducibile). Nel nostro studio la scelta dello strumento è stata dettata principalmente dalla poco agevole contenzione dei pazienti e dalle ridotte dimensioni dell’occhio. Scartando la tono pen (ap-planation tonometry), che presenta una eccessiva superficie di contatto non adatta per le dimensioni della cornea di questi animali, la scelta è ricaduta sulla tono vet® (rebound to-nometry), risultando essere sicuramente più performante, data la ridotta superficie di con-tatto. I tonometri rebound (tonometri a rimbalzo) calcolano la pressione intraoculare facendo rimbalzare una piccola sonda di metallo con punta in plastica contro la cornea. Il dispositivo utilizza una bobina di induzione per magnetizzare la sonda e "spararla" contro la cornea. Non appena la sonda rimbalza contro la cornea e torna indietro verso il dispositivo, si viene a creare una corrente di induzione da cui è poi possibile determinare la pressione intraocu-lare. Il tonometro a rimbalzo è portatile e non richiede l'uso di colliri anestetici. Una IOP elevata determinerà una maggiore decelerazione del pistone con un ridotto tempo di ritorno allo strumento. Questa tecnica è influenzata in misura variabile dalla tensione superficiale oculare e quindi deve essere eseguita prima dell'applicazione di qualsiasi farmaco topico:

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sedativi, tranquillanti e farmaci anestetici possono causare un abbassato della IOP per ri-duzione del tono muscolare degli annessi extraoculari. La ketamina può di contro aumentare temporaneamente la IOP. Altro elemento che influisce la misurazione della IOP con questo tipo di strumento è lo spessore della cornea che varia da esemplare a esemplare, così come con l'età e la specie di appartenenza. Anche la collaborazione del paziente è un fattore importante, e occorre prestare attenzione per ridurre al minimo la pressione applicata in-torno al collo e alla zona orbitale. Variazioni possono essere presenti anche durante l’arco della giornata.

Con questo studio abbiamo voluto misurare la IOP nel petauro dello zucchero (Petaurus breviceps). In quanto animale notturno, gli occhi si presentano molto grandi, e posti lateral-mente al cranio, caratteristica che gli permette di avere un ampio campo visivo. Le misura-zioni sono state effettuate mediante tonometria rebound (TonoVet®): risultando essere una tecnica atraumatica, non si è resa necessaria l’applicazione di un anestetico locale, per le ragioni menzionate in precedenza. Le misurazioni sono state effettuate considerando la taratura sia per cane che per cavallo: la prima è stata quella con risultati più omogenei. Gli animali sono stati divisi in due gruppi in base all'età: il primo gruppo comprendeva gli animali da 3 a 11 mesi, il secondo da 1 a 4 anni. Dato che la vita media in cattività dei petauri si attesta intorno ai 12-15 anni (6-8aa), comparabile a quella media di un cane, la fascia di età degli esemplari esaminati (4mm-5aa) può quindi essere considerata come un gruppo uniforme che rientra in un’unica fascia (giovani). Secondo studi precedenti effettuati su altre specie, il sesso non è una variabile discriminante. Considerando le fluttuazioni circadiane della IOP in altre specie, le misurazioni sono state registrate in due periodi distinti: da 17:00 alle 19:00, e dalle 21:00 alle 23:00, quando l'animale è completamente attivo. I dati raccolti mostrano che la IOP è maggiore negli animali giovani, come osservato in altri specie. Ogni soggetto è stato sostenuto dallo stesso operatore cercando di limitare il contatto delle mani con la testa dell’animale. Inoltre per minimizzare eventuali interferenze si è deciso di effet-tuare le misurazione direttamente nel loro ambiente, e scartando le misurazioni degli esem-plari più agitati e/o stressati. OCT (optical coerence tonometry): solo su alcuni esemplari è stata effettuata, contestual-mente alla misurazione della pressione, anche la misurazione del distretto anteriore dell’oc-chio. questo ha permesso di rilevare lo spessore corneale e l’angolo di curvatura. I dati raccolti evidenziano come nel primo gruppo la IOP media sia superiore a quella del secondo gruppo, supponendo una analogia con altre specie come ad esempio il cane. Le difficoltà riscontrate nell'effettuare tali misurazioni, che sono assolutamente indolori, sono state legate principalmente alla ridotta addomesticazione degli animali. Scopo ultimo del presente lavoro è quello di creare un range di riferimento della IOP nel petauro dello zucchero utilizzando un numero di soggetti statisticamente significativo in quanto, in letteratura, secondo le attuali conoscenze degli autori, non esistono dati a riguardo. Considerando l’aspettativa di vita del petauro (12-15aa), studi successivi saranno necessari per la valutazione della IOP anche in soggetti anziani ed il loro con-fronto con quelli presi in esame nel presente studio (4mm-5aa).

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La medicina d'emergenza nel furetto: tra scienza e clinica

Nicola di Girolamo, Med Vet, MSc (Evidence Based Health Care), Resident ECZM

(Herpetology) GPCert(ExAP); Sara Pagliarani, Med Vet

Clinica per Animali Esotici, via Sandro Giovannini 53, 00137 Roma, Italia

Il furetto (Mustela putorius furo) è un carnivoro della famiglia dei Mustelidi derivante

dall’addomesticamento della puzzola (Mustela putorius), avvenuto in territorio europeo più di

duemila anni fa. Le più frequenti situazioni di emergenza che si riscontrano in questo piccolo

mammifero, riguardano gli apparati gastrointestinale o cardiocircolatorio, oppure le patologie

neoplastiche e/o endocrine. Il medico veterinario che opera in urgenza deve necessariamente avere

familiarità con questi animali, la cui anatomia e fisiologia si discostano in maniera importante da

quella del cane e del gatto.

In questa presentazione tratteremo le patologie che richiedono un trattamento di emergenza più

comuni.

Anamnesi

Il segnalamento e la storia clinica dell’animale sono di importanza cruciale per poter stilare una lista

di diagnosi differenziali; dopo aver discusso con il proprietario le ragioni alla base della visita,

includendo anche la comparsa e la progressione dei sintomi clinici riscontrati, è necessario ottenere

una descrizione dettagliata della storia dell’animale. È importante infatti porre al proprietario

domande specifiche, tra le quali quelle relative alla dieta somministrata, all’ambiente in cui l’animale

vive, la convivenza con animali della stessa o di diversa specie:

Esame fisico

Prima di eseguire la visita è sempre opportuno osservare il furetto mentre si muove libero nella

stanza, al fine di valutare la deambulazione e lo stato del sensorio. In caso di emergenza è di

importanza vitale auscultare i campi polmonari e cardiaci al fine di constatare l’eventuale presenza

di distress cardiorespiratorio e di aritmie cardiache. L’abbondante scialorrea e i conati sono

riconducibili a problematiche gastrointestinali. Un segno importante di dolore addominale,

riscontrabile tipicamente nel furetto, è il bruxismo o digrignamento dei denti.

Corpi estranei gastrointestinali

I corpi estranei gastrointestinali (GI) sono frequentemente riscontrati nei furetti giovani;

gommapiuma, spugne e oggetti di plastica morbida quali le suole delle scarpe e i giocattoli per

bambini sono tra i materiali preferiti. Anche i tappi per le orecchie sono di frequente riscontro, mentre

I corpi estranei lineari sono più rari.

I segni clinici più importanti in caso di corpo estraneo GI sono anoressia ed abbattimento. A

seconda della localizzazione del corpo estraneo possono osservarsi vomito, segni riconducibili a

nausea e dolore addominale, o diarrea, con eventuale melena.

Alcuni corpi estranei possono essere palpabili durante l’esame fisico diretto, in particolar modo quelli

a livello intestinale. In associazione al corpo estraneo può essere presente una variabile quantità di

gas e la conseguente presenza di ileo segmentale visibile nell’esame radiografico. Una possibile

ostruzione è sempre associata ad una distensione gassosa dello stomaco o un pronunciato pattern

gassoso intestinale. Un esame ecografico addominale può confermare la patologia. Una serie di

radiografie effettuate dopo somministrazione di mezzo di contrasto può essere utile per identificare

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una subocclusione.

Il trattamento in corso di presenza di corpo estraneo GI varia in base alla localizzazione dell’oggetto

identificato e ai segni clinici riscontrati nel paziente. In caso di corpi estranei localizzati nel primo

tratto intestinale la chirurgia è spesso necessaria. Se il corpo estraneo si trova in esofago (raro) o

stomaco, si può tentare la rimozione per via endoscopica.

Malattie infiammatorie intestinali - Gastroenterite linfoplasmocitica ed eosinofilica

Raramente queste patologie necessitano di un trattamento in emergenza. Le enteriti infiltrative o

infiammatorie sono solitamente riscontrate un furetti di media età o anziani. Pur non essendo stati

condotti studi clinici a riguardo, vi è il sospetto che la gastroenterite eosinofilica sia associata ad

intolleranze alimentari o sequela di infezioni virali da Coronavirus (Robert Wagner, comunicazione

personale). I segni clinici includono anoressia, perdita cronica di peso, diarrea cronica e vomito, ma

anche nausea e dolore addominale. All’esame fisico si possono rilevare anse intestinali ispessite e

linfonodi mesenterici aumentati di volume. È necessario stabilizzare i furetti affetti tramite

somministrazione di fluidi prima di ottenere una diagnosi definitiva mediante utilizzo di endoscopio

al fine di effettuare una biopsia a livello gastrico o intestinale. Il prednisone è la molecola d’elezione

utilizzata nel trattamento di questa condizione patologica. Altre molecole di possibile impiego sono

l’azatioprina e la ciclosporina. Antivirali specifici non sono mai stati impiegati sistematicamente.

Insulinoma

L’insulinoma o tumore delle cellule beta del pancreas è probabilmente la neoplasia più frequente

nei furetti. L’insorgere dei segni clinici può variare fortemente da soggetto a soggetto; alcuni individui

possono infatti presentare esordio acuto con episodi intermittenti di ipoglicemia, mentre altri

presentare segni clinici ad esordio subacuto. Tra i segni di ipoglicemia si ricordano depressione, lo

star-gazing, paresi dei posteriori, atassia e nausea. I furetti colpiti da insulinoma spesso diventano

più letargici, dormono più spesso e più a lungo; se la condizione di ipoglicemia peggiora possono

insorgere collassi fino ad episodi convulsivi.

L’esame fisico diretto spesso non riporta nulla di significativo, escludendo la debolezza

generalizzata del soggetto, atassia, collassi e una possibile perdita di peso.

La diagnosi solitamente si basa sulla storia clinica del soggetto, sugli esami clinici e su una

ipoglicemia persistente. Il livello fisiologico di glucosio nel sangue del furetto è compreso nel range

di 90 – 120 mg/dL; una glicemia inferiore a 90 mg/dL deve far sospettare la patologia, mentre un

valore inferiore a 70 mg/dL è fortemente suggestivo di insulinoma. Un’altra causa di ipoglicemia è

la persistente mancata assunzione di cibo; altre rare cause comprendono patologie epatiche,

neoplasie, sepsi e il colpo di calore. È fondamentale sapere che i glucometri portatili ad uso umano

(ad esempio Accu-chek Aviva) tendono a sottostimare significativamente (in media di 30 mg/dL) la

glicemia del furetto (Petritz et al., 2013). Di conseguenza bisogna sempre avvalersi di uno strumento

che utilizzi la metodica ad esochinasi per la misurazione della glicemia (ad esempio tutti gli strumenti

laboratoristici di chimica liquida, ed il VetScan, Abaxis). Nel furetto con insulinoma le restanti voci

dell’esame biochimico possono essere all’interno dei range fisiologici; un innalzamento dei valori

degli enzimi epatici può essere riscontrato in corso di lipidosi epatica secondaria, o, molto meno

frequentemente, di metastasi del tumore delle cellule beta al fegato. Altri siti in cui raramente si

incontrano metastasi di insulinomi sono i polmoni. L’esame radiografico total-body difficilmente

riporta qualche alterazione caratteristica. L’ecografia addominale con sonde a media-alta frequenza

è fondamentale per verificare lo stato del pancreas. Da ricordare che i linfonodi gastrici sono spesso

megalici.

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Episodi ipoglicemici di lieve-moderata entità possono essere trattati senza dover ricorrere

all’ospedalizzazione semplicemente somministrando, qualora il furetto sia in grado di deglutire, del

cibo a base di proteine animali altamente digeribili. Al contrario, il ricovero è consigliato in corso di

gravi episodi ipoglicemici che non rispondo al trattamento orale o in cui l’animale abbia collassi o

sindromi convulsive. In questi casi è infatti necessario somministrare una dose tra 0.25 e 0.50 mL

di destrosio al 50% endovena lentamente in 10-15 minuti diluendo il destrosio 1:1 con della

soluzione salina sterile. In caso di somministrazione di destrosio non diluito infatti le cellule beta del

pancreas ancora funzionali potrebbero essere stimolate a produrre maggiori quantitativi di insulina

portando quindi a un continuo circolo vizioso ipoglicemico; in questi casi quindi è consigliato

somministrare desametasone sodio fosfato (0.1 mg/Kg per via endovenosa) per facilitare l’entrata

di glucosio nelle cellule. A seconda della risposta dell’animale alla somministrazione del bolo

intravenoso di destrosio, si può offrire al furetto dell’alimento ad alto contenuto proteico oppure

mantenerlo sotto infusione continua endovenosa di destrosio al 2.5% o al 5%. È però importante

che la fluidoterapia sia mantenuta in maniera costante in quanto, il continuo arresto e ripresa

dell’infusione stimolano in maniera continuativa la secrezione di insulina peggiorando

potenzialmente la prognosi e le condizioni del paziente.

Qualora il paziente non risponda alla somministrazione di destrosio è consigliato somministrare

midazolam (0.2 – 0.5 mg/Kg per via endovenosa) o di diazepam (1 – 2 mg per via endovenosa fino

all’effetto desiderato) per far cessare le crisi. Qualora l’animale continui a soffrire a causa della

persistente e grave ipoglicemia si può ricorrere alla somministrazione di desametasone (0.5 – 1.0

mg/Kg, bolo endovenoso somministrato lentamente in 6 ore, ripetendo il trattamento ogni 12-24 ore

al bisogno).

Anche se le recidive sono frequenti, la terapia chirurgica di rimozione delle cellule beta del pancreas

è considerata la terapia d’elezione.

L’educazione dei proprietari si dimostra cruciale per la gestione del furetto affetto da insulinoma; è

necessario infatti che il proprietario riconosca i segni di ipoglicemia in modo da prevenire il collasso

e gli eventuali episodi convulsivi.

Fondamentale discernere le crisi ipoglicemiche da crisi tetaniche da ipocalcemia ionica. Infatti sono

riportati casi di ipoparatiroidismo e pseudoipoparatiroidismo nel furetto nei quali si stabilizzavano i

furetti con somministrazione endovenosa di calcio gluconato sotto controllo elettrocardiografico

(Wilson et al., 2003; de Matos et al., 2014).

Sindrome da residuo ovarico

I furetti sono animali ad ovulazione indotta e le femmine in estro permangono in calore fino al

momento dell’accoppiamento o della stimolazione iatrogena all’ovulazione. La persistenza dell’estro

e la conseguente elevata concentrazione ematica di estrogeni porta ad effetti importanti a livello di

tessuto ematopoietico che risultano in una importante, e potenzialmente fatale, pancitopenia.

Questa condizione in passato era estremamente comune, tuttavia, in seguito alle sterilizzazioni

routinarie delle femmine Marshall è diventata un’evenienza molto meno comune.

Poiché la sterilizzazione chirurgica preventiva è ad oggi sconsigliata (Shoemaker et al. 2000, vedi

paragrafo successivo), la sindrome del residuo ovarico è sempre meno comune. La sindrome del

residuo ovarico si riscontra tipicamente nelle femmine Marshall di età inferiore ai 2 anni in cui è stata

accidentalmente lasciata una piccola porzione di ovaio in sede al momento della sterilizzazione

chirurgica.

Tra i segni clinici si ricordano letargia, debolezza, vulva edematosa e possibile scolo vulvare; negli

stadi gravi della patologia si possono osservare emorragie, melena, petecchie ed ecchimosi

secondarie a trombocitopenia e alopecia di origine endocrina.

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La diagnosi si basa sull’esame fisico diretto, esame emocromocitometrico e conta reticolocitaria;

sono raccomandati anche l’esame ecografico addominale e l’esame citologico da aspirato di midollo

osseo.

Furetti che presentano una grave anemia devono essere posti sotto ossigeno e ossiglobulina per

via endovenosa (11-15 mL/Kg in 4 ore) fino a quando non sia possibile effettuare una trasfusione di

sangue intero. Il trattamento prevede la chirurgia esplorativa per rimuovere il residuo di tessuto

ovarico.

Patologie delle ghiandole surrenali

Le patologie delle ghiandole surrenali del furetto comprendono l’iperplasia e la neoplasia benigna o

maligna; anche se sporadicamente, sono stati diagnosticati casi di ipercortisolismo (morbo di

Cushing) e iperaldosteronismo. La malattia surrenalica nel furetto tipicamente esita nell’aumento

degli ormoni sessuali (estrogeni, progestinici e androgeni), ma non dei glucocorticoidi. Questa

condizione patologica è di frequente riscontro in furetti sterilizzati; studi hanno dimostrato come la

causa principale della malattia surrenalica sia la gonadectomia e come il tempo medio di sviluppo

della malattia dalla sterilizzazione sia di 3.5 anni. Il segno clinico più consistente è rappresentato da

un’alopecia endocrina simmetrica a livello di dorso, che tipicamente inizia alla base della coda e

prosegue lungo il rachide; approssimativamente circa un terzo dei furetti presenta anche un intenso

prurito in questa zona. Circa il 75% delle femmine con patologie surrenaliche presenta edema

vulvare; gli individui di sesso maschile presentano occasionalmente disuria o stranguria secondarie

a prostatomegalia androgeno indotta. I furetti con patologie surrenaliche croniche mostrano una

lieve-moderata anemia non rigenerativa estrogeno dipendente. L’esame ultrasonografico

rappresenta la metodica diagnostica d’elezione; lo spessore di una normale ghiandola surrenale è

di circa 3 mm o inferiore a questo valore; la patologia è associata a cambiamento di forma e

dimensioni della ghiandola, dalla classica forma a fagiolo fino ad assumere una forma

rotondeggiante con un diametro maggiore di 3.5 mm. La diagnosi può essere anche supportata

dagli esami ormonali messi a punto dall’Università del Tennessee che prevedono la misurazione

dei livelli sierici di estradiolo, 17-idrossiprogesterone e androstenidione.

I furetti affetti da malattia surrenalica andrebbero sempre trattati con GnRH-agonisti, come la

Deslorelina acetato (Suprelorin, Virbac). Se l’aumento della ghiandola è monolaterale, la terapia

d’elezione prevede la rimozione chirurgica della ghiandola interessata. Nel caso entrambe le

ghiandole surrenali siano aumentate di volume il trattamento chirurgico è questionabile, e molti

autori propendono per il solo trattamento medico.

Diabete

I furetti, al pari degli altri carnivori domestici, possono essere presentati a visita in stato di grave

iperglicemia e di chetoacidosi diabetica. Il diabete mellito spontaneo è una condizione poco comune

nel furetto. Il diabete mellito iatrogeno è più frequente come sequela del trattamento chirurgico

dell’insulinoma. In un caso si è rivelata utile l’impego della insulina glargina (0.5 UI) ogni 12 ore

(Hess, 2012).

Linfoma

Il linfoma, o linfosarcoma, è la terza patologia di origine neoplastica riscontrata più di frequente nel

furetto. Le tipologie di neoplasia coinvolgenti i linfociti maturi e ben differenziati, insieme al linfoma

linfocitico, sono tra le più frequenti ritrovabili nella pratica clinica nei furetti anziani; questa patologia

affligge inizialmente i linfonodi, invadendo successivamente anche il parenchima. I furetti affetti da

questa patologia possono essere presentati all’esame clinico per una letargia di tipo intermittente o

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cronico oppure per anoressia con conseguente perdita di peso. Il riscontro clinico più importante in

corso di linfosarcoma o linfoma è una linfoadenopatia generalizzata in cui i linfonodi appaiano alla

palpazione come asimmetrici e stabili.

Nei furetti di età inferiore ai 2 anni si riscontra più facilmente il linfosarcoma linfoblastico in cui,

qualora siano presenti masse a livello di mediastino craniale, spesso di può riscontrare versamento

pleurico e dispnea. All’esame clinico diretto il torace si presenta come non comprimibile e né

murmuri cardiaci né aritmie sono auscultabili. Anche se raramente riscontrate, metastasi polmonari

possono essere riscontrate in corso di linfosarcoma linfocitico o linfoblastico.

La diagnosi si basa sulla valutazione citologica o istologica dei linfonodi o del versamento pleurico.

Il linfoma splenico nei furetti è evenienza poco frequente e spesso un aspirato di questo organo può

rilevare solamente una ematopoiesi extramidollare. La conta dei globuli bianchi spesso è aspecifica,

mentre la conta dei linfociti può risultare fortemente elevata. I protocolli chemioterapici utilizzati nel

furetto sono gli stessi utilizzati nella pratica clinica del cane e del gatto; questi animali sono in grado

di tollerare bene la chemioterapia anche se in letteratura la remissione della neoplasia è riportata

solo nel 10% dei casi. Una terapia alternativa è costituita da prednisone (2.2 mg/Kg per via orale

ogni 24 ore) che può ridurre la crescita tumorale per diversi mesi.

Anemia

Dopo aver confermato la presenza di una condizione di anemia è necessario valutare anche la

presenza di microcitosi o policromasia, gli indici eritrocitari quali il volume corpuscolare medio (MCV)

e la concentrazione media di emoglobina corpuscolare (MCHC) ed effettuare una conta

reticolocitaria. In corso di anemia rigenerativa si può osservare microcitosi ed un’elevata conta di

reticolociti, mentre un’anemia di tipo non regenerativo è associata a globuli rossi normocitici e

normocromici.

L’anemia rigenerativa nel furetto è di frequente causata da emorragie gastrointestinali secondarie a

gastrite da Helicobacter. L’anemia emolitica immuno-mediata non è stata invece descritta in questi

animali.

La causa principale di anemia non-rigenerativa risiede nelle patologie croniche delle surrenali.

Anche se non frequente, la principale causa di pancitopenia è la presenza di tossicità estrogeno-

dipendente in corso di sindrome del tessuto ovarico residuo. Anche un’infiltrazione neoplastica del

midollo osseo in corso di linfoma può essere un’altra causa potenziale di pancitopenia.

Trombocitopenia

La trombocitopenia primaria immuno-mediata non è mai stata riportata nel furetto; tuttavia sono stati

descritti casi di pancitopenia estrogeno-indotta.

Coagulopatie

Le coaugulopatie sono riportate con frequenza molto bassa in questa specie, probabilmente a causa

della scarsa disponibilità di parametri a cui fare riferimento. Coagulopatie secondarie a ingestione

di rodenticidi a base di warfarin sono invece riportate in letteratura e andrebbero gestite in maniera

non dissimile rispetto alla medicina dei carnivori domestici.

Patologie cardiovascolari

Come primo sospetto clinico in furetti condotti a visita d’emergenza per una alterazione nella

respirazione si devono tenere in considerazione le patologie cardiache. Esse sono frequentemente

riscontrate in furetti di tutte le età, più comuni sono le patologie a carico delle valvole cardiache. In

letteratura sono descritte un esiguo numero di patologie congenite cardiache, che esitano in

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sintomatologia solamente ad età avanzata. Il primo approccio solitamente consiste nell’esecuzione

di una radiografia toracica. Si può impiegare un apposito sistema VHS per la misurazione del cuore

in comparazione alla dimensione vertebrale. Frequentissima la presenza di versamento pleurico,

sia in patologie del cuore sinistro che del cuore destro. In tal caso è necessario aspirare il liquido

preferibilmente evitando la sedazione per i rischi anestesiologici. Gli autori hanno avuto successo

con l’applicazione di crema anestetica topica a base di lidocaina 2.5% + prilocaina 2.5% (EMLA,

Astrazeneca) nel punto di accesso dell’ago a farfalla per la toracentesi. Grandi quantità (30-50 ml)

di fluido possono essere aspirate durante la toracentesi. Una volta eseguita la toracentesi bisogna

ripetere i radiogrammi per verificare la presenza di edema polmonare. Nel caso in cui sia presente

l’edema va trattato con una terapia aggressiva a base di furosemide (4 mg/kg) e l’ecocardiografia

deve essere eseguita quanto prima. In seguito alla stabilizzazione del paziente, ed a seconda della

diagnosi, si manterrà un dosaggio di furosemide intorno ai 1-2 mg/kg/giorno in un paio di

somministrazioni e eventualmente pimobendan, ACE-inibitori e digossina, quando necessario. La

diagnosi ecocardiografica è necessaria per una corretta gestione a lungo termine di questi casi.

Speciale attenzione va rivolta alle anomalie del ritmo cardiaco, essendo i blocchi atrio-ventricolari

di terzo grado particolarmente frequenti nel furetto ed associati ad una frequenza cardiaca di circa

70 battiti per minuto (normalità: 180-280 bpm). L’elettrocardiogramma è diagnostico.

Virus dell’influenza umana

Diversi ceppi del virus dell’influenza umana possono contagiare il furetto con trasmissione dalle

persone agli animali, dagli animali alle persone o da furetto a furetto. I sintomi clinici sono

riscontrabili entro 48 ore dopo l’esposizione, per cui è sempre necessario chiedere ai proprietari se

vi sono stati recentemente dei casi di influenza in casa. I segni clinici sono propriamente specifici

del tratto respiratorio superiore, tra i quali, scolo nasale, starnuti, congestione, febbre, e importante

letargia e anoressia. Il coinvolgimento delle vie aeree inferiori è molto meno comune e solitamente

è riscontrabile in corso di infezioni batteriche secondarie. I furetti affetti dal virus dell’influenza

spesso vengono presentati a visita molto abbattuti e la durata dei sintomi clinici varia dai 7 ai 14

giorni. La terapia prevede intensive cure di supporto (alimentazione forzata e fluidoterapia) e la

somministrazione di antistaminici (quali la difenidramina, 2-4 mg/Kg per via orale ogni 8-12 ore) per

allievare la congestione.

Masse mediastiniche

La presenza di masse mediastiniche craniali per esempio in caso di linfosarcoma è tipicamente

associata a versamento pleurico e dispnea, in particolar modo nei furetti di giovane età. La diagnosi

definitiva si ha per mezzo di un esame ultrasonografico o tomografico con agoaspirato della massa,

laparoscopia o biopsia chirurgica della stessa. Recentemente sono stati descritti una serie di casi

di furetti affetti da timoma.

Virus del cimurro canino

I furetti sono particolarmente sensibili al virus del cimurro canino (CDV, canine distemper virus in

inglese); anche se l’incidenza non è particolarmente elevata nei furetti domestici, la patologia deve

essere tenuta in considerazione in soggetti non vaccinati che presentino sintomi clinici riconducibili

a questa. I segni clinici includono febbre, anoressia, scolo oculo-nasale, tosse, ipercheratosi dei

cuscinetti e rash cutaneo a livello di labbra e mento. Il vomito e la diarrea sono raramente riscontrati

nei furetti affetti da CDV. Il tasso di mortalità è intorno al 100%, anche se in letteratura sono descritti

casi di furetti sopravvissuti all’infezione trattati con siero iperimmune.

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Patologie urogenitali

La più importante causa di disordini del tratto urogenitale nel furetto maschio è la prostatomegalia

secondaria a patologie surrenaliche. Anche i calcoli da struvite in passato risultavano essere un’

importante problematica, ma in seguito all’introduzione di diete commerciali specifiche per questa

specie l’incidenza è diminuita; i calcoli erano frequente riscontro in furetti alimentati con diete a base

di proteine vegetali che stimolavano la formazione di urine alcaline e la conseguente precipitazione

di fosfato ammonio di magnesio (o cristallo di struvite).

Ad oggi la causa principale di ostruzione uretrale è causata da un aumento dei livelli ematici di

androgeni conseguentemente a patologie surrenaliche che porta quindi a metaplasia squamosa

dell’epitelio ghiandolare prostatico e la formazione di cisti prostatiche a parete spessa. In alcuni casi

queste cisti possono andare incontro a infezione. I segni clinici includono pollachiuria, stranguria o

disuria; i furetti sono presentati in visita con stato del sensorio depresso, deboli o molto doloranti e

in alcuni casi, questi segnali aspecifici di malattia possono essere osservati anche in assenza di

disuria.

La diagnosi si basa sul segnalamento, storia clinica e ed esame fisico diretto; durante quest’ultimo

infatti, in corso di ostruzione uretrale il clinico dovrebbe essere in grado di palpare la vescica del

furetto che risulterà fortemente distesa.

Nel caso sopra descritto la cateterizzazione urinaria si presenta come una procedura da eseguire

con emergenza; in caso non sia possibile effettuarla si può ricorrere ad una cistotomia percutanea

per permettere la fuoriuscita percutanea di urina fino al momento in cui non possa essere portato a

termine un trattamento di tipo definitivo. Il posizionamento del tubo da cistostomia temporaneo può

essere effettuato come avviene nel cane e nel gatto e può rimanere in sede per un tempo compreso

tra 1 e 3 giorni con l’animale in sedazione continua, ma è una procedura sconsigliata dagli autori.

Durante il posizionamento del catetere urinario sotto anestesia è importante monitorare

l’elettrocardiogramma per evidenziare possibili segni di iperkaliemia, quali la perdita dell’onda P,

aumento dell’ampiezza del complesso QRS, onde T più acute e un ridotto intervallo QY. In generale

la cateterizzazione riesce nel maschio sedato con la giusta calma. Il catetere può essere rimosso,

successivamente a terapia medica o chirurgica, solamente dopo che il furetto sia in grado di urinare

autonomamente. In questi casi si deve trattare l’aumento degli ormoni sessuali, garantendo però la

minzione. In alcuni casi può essere necessaria la uretrostomia, tecnica chirurgica facilmente

eseguibile se il catetere urinario è in sede. La ferita può essere lasciata guarire per seconda

intenzione.

Un trattamento medico in corso di iperkaliemia può essere necessario qualora sia presente

un’aritmia in associazione con una povera perfusione vascolare e sintomi neurologici; in questo

caso è necessario somministrare calcio gluconato (50-100 mg/Kg lentamente per via intravenosa)

monitorando costantemente l’ECG, oppure somministrare insulina (0.2 UI/Kg per via endovenosa)

seguita da glucosio (1-2 g per via endovenosa per ogni unità di insulina somministrata) in modo da

prevenire una condizione di ipoglicemia.

Importante è anche prelevare una campione di urine ed effettuare analisi, urinocoltura e

antibiogramma ed un campione di sangue per valutare la conta dei globuli rossi, e per valutare i

parametri biochimici (in particolar modo il BUN, la creatinina, gli elettroliti, la glicemia, il PCV e le

proteine totali). L’iperkaliemia e l’acidosi metabolica sono riscontrate frequentemente in corso di

ostruzione uretrale (2).

All’esame radiografico è utile valutare l’intero tratto urinario per evidenziare la presenza di uroliti

radiopachi; una prostatomegalia può apparire con un’area radiopaca dorsalmente alla vescica che

sposta quest’ultima più ventralmente verso la parte più ventrale dell’addome. L’esame

ultrasonografico può rivelarsi utile per identificare le cisti prostastiche o i calcoli da struvite.

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Traumi

Le ferite traumatiche sono evenienze molto comuni nei furetti, in particolar modo a causa della loro

indole curiosa e della loro predisposizione a scavare. Questi animali possono anche di frequente

scontrarsi con altri animali domestici portando anche a gravi lacerazioni cutanee.

Come conseguenza di traumi si possono instaurare alcune condizioni che altrimenti non sarebbero

riscontrate con grande frequenza nel furetto quali il pneumotorace e le fratture ossee, soprattutto a

carico dello scheletro appendicolare. Il trattamento in corso di fratture ossee e di altre ferite

traumatiche è lo stesso prescelto in corso di emergenze nei gattini (2).

Miofascite idiopatica

La miofascite idiopatica o polimiopatia infiammatoria spontanea del furetto è stata riconosciuta per

la prima volta nel 2003. La causa primaria di questa patologia non è stata identificata, anche se,

tuttavia, si ritiene che possa essere di natura immuno-mediata. Colpisce prevalentemente i giovani

furetti, anche se è stato descritto in letteratura un caso di miofascite idiopatica anche in un furetto

di media età.

Tra i segni clinici si riscontrano febbre elevata, letargia, anoressia, paresi dei posteriori e atassia,

dolore al movimento e feci anormali. All’esame biochimico si può rilevare leucocitosi con neutrofilia

matura, anemia non rigenerativa di entità medio-moderata, innalzamento dell’ALT, iperglicemia e

ipoalbuminemia.

Anche se in passato è stato tentato un approccio farmacologico molto ampio, comprendente sia

antibiotici, agenti antifiammatori non steroidei, glucocorticoidi, analgesici, interferone e

ciclofosfammide tutti i furetti affetti da miofascite idiopatica sono deceduti durante il trattamento.

Colpo di calore

A causa della conformazione lunga e sottile del loro corpo e dell’assenza di ghiandole sudoripare i

furetti sono animali molto suscettibili alle alte temperature. Possono infatti andare incontro al colpo

di calore qualora le temperature ambientali superino i 27 °C e anche l’umidità si presenti molto

elevata. Il primo segno riscontrabile di insofferenza è la respirazione a bocca aperta e la postura

prona dell’animale; spesso il furetto è anche particolarmente letargico e i cuscinetti palmari e plantari

insieme alle mucose esplorabili possono essere di colore rosso brillante. Possono essere presenti

anche nausea, diarrea e vomito, a volte anche con sangue, tachicardia, aritmie e tachipnea, ma non

necessariamente un’elevata temperatura corporea. Segni più gravi riscontrabili in corso di colpo di

calore includono anche segni di disfunzione del sistema nervoso centrale quali opistotono, pupille

fisse e dilatate, attività convulsiva, collasso fino al coma, ma anche segni di coagulazione intravasale

disseminata quali porpora emorragica, emorragie congiuntivali, melena, diarrea sanguinolenta,

emottisi e ematuria. L’esame chimico del sangue può mettere in evidenza patologie coagulative e

emoconcentrazione, mentre disordini biochimici possono essere presenti in corso di danno

d’organo. Innalzamenti di creatina chinasi (CK), aspartato aminotransferasi (AST) e ALT sono tra i

reperti più riscontrati insieme a azotemia e iperkaliemia. L’analisi delle urine può rilevare proteinuria,

ematuria, mioglobinuria o cilindri granulari.

E’ necessario raffreddare il paziente il prima possibile, utilizzando, ad esempio, guanti in lattice

riempiti di acqua a temperatura ambiente, non troppo fredda, fino a quando la temperatura corporea

non rientri nei range di normalità della specie. Impostare subito un’aggressiva fluidoterapia

intravenosa per re-idratare e mantenere la pressione sanguigna del furetto e per prevenire la

coagulazione intravasale disseminata e l’insufficienza renale.

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Patologie oculari

Raramente i furetti sono condotti a visita per emergenze relative a oculopatie. Batteri delle specie

Staphylococcus e Corynebacterium vengono normalmente isolati dalla congiuntiva di furetti adulti

sani. In furetti con buftalmo è sempre necessario misurare la pressione intraoculare per escludere

la presenza di glaucoma. La pressione intraoculare dei furetti sani dovrebbe essere intorno ai 13-

18 mmHg se misurata con TonoPen e di 13-15 mmHg se misurata con TonoVet (Di Girolamo et al.,

2013). Le cause di esoftalmo riportate nel furetto sono masse retrorbitali (linfomi ed ascessi

odontogenici). Il trattamento dell’esoftalmo o del buftalmo deve essere chiaramente atto a rimuovere

la causa sottostante.

Articoli citati e letteratura consigliata

Atkinson RM. Case reports on cardiomyopathy in the domestic ferret, Mustela putorius furo. J Small Exotic Anim Med 1992;2:75–78. Bradbury C, Saunders AB, Heatley

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Bublot I, Wayne Randolph R, Chalvet-Monfray K, Joel Edwards N. The surface electrocardiogram in domestic ferrets. J Vet Cardiol 2006;8:87-93.

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Occlusione intestinale e costipazione in una Testudo horsfieldii: importanza del supporto

nutrizionale

Alberto Acosta

Med. Vet. PhD

Reparto di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici

Clinica Veterinaria Roma Sud.

Direttore Sanitario Dottoressa Daniela Mignacca

Via Pilade Mazza, 24 00173, Roma

Si descrive il caso clinico di una Testudo horsfieldii femmina di due anni di età e 110 g che è stata portata in clinica con

anamnesi di anoressia (più di 48 ore), mancata produzione di feci (più di 48 ore), forte abbattimento, grave

disidratazione e debolezza degli arti posteriori. L’esame Radiografico diretto (Rx) in doppia proiezione (DV, LL) e la

Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), Ricostruzioni 3D-VR (Volume Rendering), hanno mostrato dilatazione

intestinale associata alla presenza di abbondante materiale radioattenuante non occludente (piccoli punti radiopachi che

sono stati attribuiti all’ingestione del substrato: sabbia). Queste indagini insieme all’anamnesi hanno permesso di

stabilire la causa primaria che ha provocato l’ostruzione (errori di gestione, ingestione di sabbia). Si discutono i

vantaggi e svantaggi dell’approccio medico conservativo che ha previsto: idratazione per via orale e parenterale, bagni

tiepidi, alimentazione forzata, olio di vasellina per via cloacale e metronidazolo OS per prevenire il passaggio di germi

dalla mucosa mal perfusa e traslocazione batterica. Dopo un ricovero di 48 ore il paziente ha defecato normalmente e

dalla Rx (96 h) di controllo si è potuto rilevare una diminuzione della dilatazione intestinale, un minor contenuto del

materiale radiodenso, così come uno spostamento del materiale sabbioso verso la parte finale dell’intestino. Il paziente è

stato dimesso dopo un ricovero di 96h, ha ripreso a mangiare, da oltre un mese vive normalmente.

Parole chiave: ostruzione intestinale, costipazione, testudo, supporto nutrizionale

Introduzione

Sono numerose le cause di ostruzione intestinale e/o costipazione (stipsi) nei cheloni5. In primo

luogo possiamo citare gli errori di gestione: temperatura troppo bassa che causa problemi digestivi;

insufficiente umidità ambientale che causa disidratazione. Insufficiente acqua da bere.

Alimentazione basata solo o prevalentemente su alimenti commerciali secchi. Mancanza di attività

fisica o movimento (insufficiente spazio nella teca o terrario)7,8,9. Ingestione di corpi estranei (pezzi

di substrato, sabbia, sassi, ghiaia o altri oggetti)4. Presenza di una grande quantità di parassiti

intestinali (ossiuridi, ascaridi)2,3,10. Iperparatiroidismo secondario nutrizionale (IPTSN),

osteodistrofia fibrosa o malattia ossea metabolica (MOM) per la carenza di calcio, che è

indispensabile per l’attività della muscolatura dell’intestino7. Presenza di calcoli (uroliti) a livello

della cloaca che possono bloccare il passaggio delle feci e contribuire di conseguenza alla

formazione di fecalomi11,12.

I sintomi che si possono osservare in caso di stasi intestinale o ileo comprendono: anoressia,

mancata emissione di feci (costipazione/stipsi) , depressione, rigurgito, paresi degli arti posteriori e

talvolta diarrea emorragica9,15. Come abbiamo visto la costipazione è solo un sintomo, e può

dipendere da più malattie; prima di procedere alla terapia occorre cercare di identificare le cause

che l’hanno provocata. A tale scopo l’esame radiografico è uno dei più semplici da eseguire5,6, 16. La

terapia consiste inizialmente, oltre che nell’eventuale correzione delle cause ambientali, nella

reidratazione per via orale e nella somministrazione di olio di vaselina. Sono molto utili anche i

bagni in acqua tiepida e i clisteri. Nei casi più ostinati si deve ricorrere all’intervento chirurgico3, 14,

20.

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L’obbiettivo di questo studio è stato descrivere un caso clinico di occlusione

intestinale/costipazione in una tartaruga Testudo horsfieldii e valutare l’efficacia del supporto

nutrizionale come elemento fondamentale della terapia medica conservativa.

Descrizione del caso clinico:

Testudo horsfieldii femmina (Camilla), di due anni di età, con 110 g di peso corporeo, con un

quadro di anoressia e assenza di feci da più di 48 ore. La proprietaria ha riferito di aver cambiato il

substrato. Precedentemente utilizzava il tutolo di mais, poi ha introdotto della sabbia consigliata ad

un negozio da animali. Dato che dopo l’introduzione della sabbia l’animale ha mostrato irritazione

oculare (motivo primario della visita), ha nuovamente cambiato al tutolo. La dieta si basava

prevalentemente da verdure (zucchine, lattuga) e frutta (prugna, pesche). Secondo la proprietaria

l’animale aveva a disposizione: integrazione con l’osso di seppia come supplemento di calcio,

lampada riscaldante spot e lampada UVB specifica per rettili, tutte e due funzionanti e acquistate da

solo qualche mese.

All’esame clinico il paziente risultava molto abbattuto e fortemente disidratato, gli occhi erano

leggermente chiusi e infossati, è rispondeva poco agli stimoli esterni, gli arti posteriori erano in

estensione e ipotonici. All’esplorazione della cavità orale le mucose erano pallide ma non si

osservavano alterazioni patologiche. La corazza e il piastrone risultavano integri senza lesioni o

segni di malattia metabolica.

E’ stato eseguito un esame radiografico diretto in doppia proiezione (DV e LL) che indicava

dilatazione intestinale con presenza di abbondate materiale radioattenuante non occludente (piccoli

punti radiodensi, attribuibili all’ingestione del substrato sabbia vs. tutolo). Questo materiale

occupava gran parte del colon prossimale e colon distale (figure 1 e 2).

Figura 1. Radiografia total body diretta in proiezione dorso-ventrale (DV) che mostra abbondate materiale

radio attenuante non occludente compatibile con costipazione da ingestione di materiale sabbioso nel colon

prossimale e distale

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Figura 2. Radiografia total body diretta in proiezione Latero-Laterale (DV) compatibile con costipazione da

ingestione di sabbia

L’esame radiografico ha confermato l’ipotesi diagnostica di occlusione/costipazione intestinale e ha

rivelato come possibile causa l’ingestione del substrato. Questi riscontri giustificavano l’anoressia e

l’assenza di feci, così come il forte abbattimento e la disidratazione. In questo caso il grado elevato

di disidratazione si potrebbe spiegare non solo per la mancata ingestione di cibo e acqua (anoressia),

anche per l’arresto nell’assorbimento dei liquidi e per il sequestro di liquidi nel lume intestinale

(disidratazione da ipovolemia relativa, alterazioni elettrolitiche con ipopotassiemia). Temendo

alterazioni da perfusione dovute ad un aumento della pressione endoluminale e alla distensione

intestinale, ischemia della mucosa e possibili lacerazioni intestinali non è stato eseguito l’esame

contrastografico12, 18. Pratica che alcuni autori21 sostengono di scarsa utilità, dato il prolungato

tempo di transito gastrointestinale in questa specie.

Nonostante fosse abbastanza chiara la diagnosi è stata inoltre eseguita una tomografia assiale

computerizzata (TAC) con ricostruzioni 3D-VR (Volume Rendering) che fornisce un’informazione

più accurata della radiografia tradizionale perché priva di deformazioni, ingrandimenti,

sovrapposizioni e artefatti15, 17, 18. In effetti da questo studio si è potuto constatare che il materiale

ingerito aveva una radiodensità simile alle ossa (figura 3), quindi da attribuire senz’ombra di dubbio

all’ingestione di un considerevole quantitativo di materiale calcareo come la sabbia e non al tutolo,

dato che quest’ultimo risulta radiotrasparente.

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A B

C

C

Figura 3. Immagine A; B; C. Tomografia computerizzata, ricostruzioni 3D-VR (Volume Rendering: 120

kV, 1670 mA, 0.8 mm SD, W: 783, L: 263). E’ stata alzata la soglia d’intensità dei voxel per visualizzare

solo il tessuto osseo. Viene così messo in risalto il materiale intestinale di radiodensità simile al tessuto

osseo (radio attenuante, non occludente) compatibile con la sabbia (Immagine C)

Il paziente è stato immediatamente ricoverato e messo in incubatrice alla temperatura media della

POTZ (Preferred Optimum Temperature Zone: 28-30 °C) e con umidità relativa del 75-80%. E’

stata eseguita fluidoterapia parenterale per via sottocutanea (SC) nella zona compresa tra

l’inserzione dell’arto anteriore e il collo con una miscela di NaCl 0,9%, Ringer Lattato, Glucosio

5% in proporzione 1/3+1/3+1/3 (20 ml/kg/die). I fluidi sono stati riscaldati alla temperatura media

della POTZ prima della somministrazione.

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In più è stato somministrato olio di Vasellina (0.5ml) per via cloacale; tutto tre volte al giorno con

l’obbiettivo di idratare e lenire i segmenti intestinali e favorire il passaggio e l’espulsione del

materiale sabbioso. Bagni di acqua tiepida, 4 volte al giorno per 15 minuti sono stati effettuati per

favorire l’idratazione e la defecazione. Nelle prime 24 ore non c’è stata produzione di feci di

nessun tipo, solo urina con abbondanti urati.

Per contrastare gli effetti negativi dell’anoressia (ipoglicemia, lipidosi epatica, chetoacidosi), e per

favorire la motilità dell’intestino e di conseguenza stimolare l’azione propulsiva del tratto

gastrointestinale, è stata eseguita l’alimentazione forzata (tramite sonda orogastrica in metallo, con

OxBow Critical Care Herbivore® 0.1 g/ 0.2 ml H2O). La quantità di alimento da somministrare è

stata calcolata in base all’Energia Metabolica Richiesta dal paziente (RER, Kcal/die) tramite la

formula: RER =10 x (peso corporeo in kg)0,75 e poi adattata alla situazione clinica del paziente

moltiplicando il RER per il coefficiente variabile 0.98 (ipometabolismo). Per evitare la sindrome da

rialimentazione dato che il paziente era molto emaciato per i primi due giorni è stato somministrato

solo il 20% del fabbisogno energetico, poi il 60%27.

Per prevenire il passaggio di germi dalla mucosa mal perfusa alla sottomucosa, alterazioni nella

barriera mucosa e traslocazione batterica1, è stato eseguito un trattamento con metronidazolo

(Flagyl CPR 250 mg, 50 mg/kg per OS, SID per 3 giorni).

Basandoci nell’ipotesi che una dieta povera di calcio, vitamine e minerali può spingere il rettile ad

ingerire materiali estranei come ossa, sabbia e ghiaia nel tentativo di procurarsi i nutrimenti

mancanti, è stata attuata un’integrazione con Stimulfos (Derivato organico del fosforo, vitamine del

gruppo B e Pantotenato di Calcio) 2-3 gocce per OS, SID. Tale associazione è in grado di svolgere

un’azione stimolante utile in molte situazioni patologiche e parafisiologiche e trova indicazioni in

tutte le situazioni in cui è utile una stimolazione delle capacità reattive dell’organismo26.

Dopo 48 di ricovero l’animale ha cominciato a defecare (inizialmente dopo un bagno). Le prime

feci sono state molto disidratate e grandi, ma nonostante ciò sono state espulse in autonomia. Dato

che un’elevata carica parassitaria (in particolare ossiuridi e ascaridi) nei cheloni in cattività può

favorire o peggiorare un quadro di ostruzione intestinale abbiamo fatto un’analisi parassitologico

delle prime feci espulse per escludere o meno la presenza di parassiti intestinali3,10,11. L’esame

microscopico delle feci dopo flottazione è risultato negativo.

Al quarto giorno del ricovero (96 h) l’animale defecava in autonomia, le feci erano meno disidratate

e di dimensione più vicine alla normalità, ancora non mangiava da solo, quindi si continuava con

l’alimentazione assistita, ma si mostrava meno abbattuto, più reattivo agli stimoli e con gli occhi

meno infossati. Prima di dimetterlo è stata effettuata un’ultima radiografia di controllo (figura 4)

che mostrava l’intestino meno dilatato e con minor contenuto di materiale radio attenuante, così

come un leggero spostamento del contenuto verso la porzione caudale dell’intestino. Questi

riscontri suggerivano un ripristino della normale motilità intestinale. Due giorni dopo le dimissioni

è stato effettuato un controllo telefonico, dove la proprietaria ha riferito defecazione e appetito

normali, riscontro che suggeriva il completo ripristino delle funzionalità intestinale.

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Figura 4. Radiografia total body in proiezione dorso-ventrale (DV), 96 ore dopo il ricovero, che mostra

l’intestino meno dilatato con minor contenuto di materiale radiopaco il quale comincia a spostarsi in

direzione cloacale (freccia).

Discussioni

Il riscontro di corpi stranei gastrointestinali/occlusione intestinale nelle radiografie dei rettili è

molto comune3,5. La causa di questa allotrofagia è principalmente dovuta a malnutrizione. In

letteratura si riportano numerosi casi di ostruzione dovuti all’ingestione di ossa, sabbia, sassolini,

ghiaia, guscio di molluschi, ami da pesca, ecc. In questo fenomeno pare abbiano un ruolo cruciale le

carenze di calcio, vitamine e minerali che spingono i rettili ad ingerire materiali estranei nel

tentativo di procurarsi i nutrimenti mancanti10, 12. Tuttavia, nel caso descritto questo no sembra

essere stato il fattore scatenante l’ingestione del materiare estraneo (sabbia), dato che il paziente

non mostrava segni di malattia osseo metabolica. Al nostro avviso la causa fondamentale è stata la

cattiva gestione, dato che è stato utilizzato come substrato un materiale inadeguato. Questo

riscontro conferma i risultati riportati in letteratura che annoverano altre possibile cause come:

cattiva gestione, temperature inadeguate, parassitismo intestinale, disidratazione, inattività, cloaciti,

intussuscezione, fecalomi, stenosi pelvica, urolitiasi e aderenze 7,8,9.

Il supporto nutrizionale è fondamentale nella terapia intensiva dei rettili; non solo in quelli con

occlusione intestinale. L’alimentazione è ovviamente molto importante per fornire proteine ed

energia. In generale molti di questi pazienti si presentano infatti defedati, disidratati e gravemente

malnutriti, dato che tendono a manifestare anoressia anche di lunga durata quando sottoposti a forti

stress come per esempio il dolore causato dalla distensione delle anse intestinali occluse o mal

perfuse. Nel caso descritto abbiamo iniziato con una somministrazione del 20% del totale

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dell’energia richiesta per evitare la sindrome da rialimentazione21, 22, 23, e abbiamo preferito la sonda

rigida orogastrica date le piccole dimensioni del paziente.

Studi recenti dimostrano che nei casi di ileo dinamico (arresto del transito intestinale non dovuti a fattori

meccanici che occludono il lume) l’alimentazione assistita favorisce l’idratazione intestinale e stimola

l’azione propulsiva del tratto gastrointestinale. Ciò nonostante va attuata con cautela, previamente

dovrà essere identificata la causa che ha provocato l’ostruzione, e bisognerà eseguire dei

radiogrammi in serie per valutare l’eventuale ripristino della motilità intestinale24. Nel caso

descritto, l’alimentazione sembra essere stata decisiva per la ripresa delle normali funzionalità

digestive, dato che solo 48 ore dopo l’inizio dell’alimentazione assistita l’animale ha cominciato a

defecare e già a 96 h le radiografie mostravano un leggero spostamento del materiale

radioattenuante verso la porzione finale del tratto digerente (fig. 4). In questo caso i radiogrammi

non mostravano segni di torsione, rottura o intussuscezione (ostruzione meccanica, totale), quindi

l’alimentazione forzata era fortemente consigliata 2,4,.

Il supporto nutrizionale gastroenterico non dovrebbe essere istituito sino a che il paziente non sia

stato reidratato e i valori di glucosio ematico non rientrino nei valori di normalità. Gli animali

fortemente disidratati potrebbero non essere in grado di digerire cibo solido e il materiale potrebbe

permanere nello stomaco come risultato di una ridotta mobilità gastrointestinale e aggravare ancora

di più il quadro clinico. Nel caso descritto, sono stati di particolare importanza i bagni in acqua

tiepida: questo metodo di reidratazione è degno di essere menzionato perché nella gestione di un

paziente rettile può far parte del piano terapeutico o comunque essere di complemento ad un piano

di fluidoterapia. Già dopo i primi bagni il paziente mostrava meno infossamento oculare e la prima

defecazione è avvenuta durante un bagno. Questo conferma i risultati riportati in letteratura che

sostengono che l’assorbimento di acqua può avvenire attraverso la cloaca, e che inoltre in

particolare nei cheloni, il bagno stimola il fisiologico comportamento di assunzione dell’acqua5,25.

Un altro fattore importante nella valutazione del presente caso, è rappresentato dal supporto

termico, altro elemento cardine nella gestione dei cheloni con ostruzione intestinale. Mantenere il

paziente nel rango della POTZ è stato fondamentale per aumentare il metabolismo, favorire

l’assorbimento e la farmacodinamica dei farmaci così come l’idratazione orale e parenterale che

sono serviti d’imput per la motilità intestinale26. Quando l’animale non mangia la temperatura

corporea cala, il metabolismo rallenta, le riserve di glicogeno vengono depauperate in 24 ore, e la

gluconeogenesi non comincia prima di diversi giorni. La temperatura corporea gioca un ruolo

primario nella risposta compensatoria di questi animali che, come detto sopra, quando la

temperatura rettale cala eccessivamente i recettori adrenergici diventano refrattari alle catecolamine

contribuendo a mantenere bassa la frequenza cardiaca, a ridurre la vasocostrizione periferica e di

conseguenza la ipomotilità intestinale20-26.

Nel caso riportato il pazienti ha reagito in maniera ottimale all’approccio medico utilizzato e il

ripristino delle principali funzioni digestive (defecazione e ripresa dell’alimentazione volontaria) è

stato più rapido rispetto alle normali aspettative (48 h vs. 96). Nella nostra esperienza l’utilizzo

dell’alimentazione assistita è stato il punto di forza e ha contribuito a ridurre del 25% i tempi di

recupero del paziente. In conclusione, sebbene siano necessari altri studi a riguardo, possiamo

affermare che un approccio medico che comprenda l’alimentazione assistita può diventare un

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concreto ed utile strumento per ridurre i tempi di ripresa nei casi di ostruzione

intestinale/costipazione non occludente nei cheloni e per velocizzare il recupero di questi pazienti.

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Necrosi dei muscoli scheletrici associata a un infezione sostenuta da Clostridium limosum, in

un Alligatore del Mississipi (Alligator mississipiensis)

Un Alligatore americano (Alligator mississipiensis) di quarantasette anni, è stato

sottoposto a visita clinica, a causa di una larga ferita cronica ulcerata che attraversava

tutta la parte dorsale del corpo. Come riferito dal proprietario, la lesione ha avuto

origine da una ferita più piccola, verificatasi circa un anno prima, causata dal morso

di un altro alligatore. Alla visita clinica l'animale si presentava apatico e inappetente.

Le aree coinvolte dalla lesione e le circostanti erano senza scaglie con la muscolatura

sottostante esposta, traslucida ed emanante cattivo odore. Dopo curettage chirurgico,

è stata eseguita una biopsia sia delle zone coinvolte dall’infezione sia dei tessuti

muscolari sani adiacenti. L'animale è stato poi trattato con una terapia antibiotica

locale (sulfatiazolo e formaldeide), ossitetraciclina somministrato per via

intramuscolare e metronidazolo per via orale. L'esame istologico ha evidenziato la

necrosi muscolare associata a cambiamenti indotti dal gas e numerosi batteri

morfologicamente compatibili con i clostridi. Le lesioni osservate sono simili a quelle

descritte per la miosite da clostridi in altre specie domestiche, quindi un'infezione dei

muscoli scheletrici indotta da questi agenti patogeni è stata presa in considerazione in

relazione alle gravi lesioni muscolari presenti in questo alligatore. A causa della

grande quantità di batteri naturalmente presenti nella bocca di questi animali,

l'infezione da Clostridium perfringens, si è diffusa sotto le scaglie. Questa infezione

in seguito si è diffusa nei muscoli sottostanti, dando inizio al processo patologico

degenerativo. L'esame istologico ha mostrato un processo degenerativo noto come

miosite gangrenosa. Questo processo patologico è stato descritto in molte specie

animali, ma per la prima volta è stato trovato e descritto nell’alligatore e riportato in

questo caso clinico. Dopo l'esecuzione della PCR dai tessuti prelevati, è stato

identificato e isolato l’agente patogeno: Clostridium limosum, batterio che causa

necrosi e morte per insufficienza cardiaca.

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TRATTAMENTO CHIRURGICO DI UN SARCOMA INDIFFERENZIATO IN UNA

IGUANA VERDE (Iguana iguana) IN CORSO DI STASI POST OVULATORIA

FRANCHINI FEDERICO, Med Vet Montegrotto Terme (PD)

Introduzione

Nei rettili, dopo le procedure minori, le principali chirurgie richieste sono le celiotomie per la risoluzione di patologie

dell’apparato gastrointestinale ma soprattutto riproduttore, in particolare la stasi pre e post ovulatoria. In letteratura sono

poche le descrizioni di neoplasie addominali e dell’apparato riproduttore in esemplari di iguana.

Nella pratica clinica la sintomatologia riferibile a stasi pre e post ovulatoria è abbastanza conosciuta e codificata, ma si

impone sempre una diagnosi differenziale al fine di stabilire la reale causa della patologia sottostante.

Discussione del caso

Segnalamento ed anamnesi

Un esemplare maschio di iguana verde (Iguana iguana), di 14 anni di età e del peso corporeo di 4,1 Kg, è stato presentato

a visita per un aumento di volume dell’addome nell’ultima settimana e appetito capriccioso negli ultimi giorni.

All’anamnesi il paziente era ben gestito ed alimentato. Alla visita clinica il paziente si presentava in buone condizioni

fisiche generali, vigile e reattivo. Dopo aver eseguito la visita clinica si è verificata la corretta determinazione del sesso

che, dopo 14 anni e altre visite mediche sostenute, si dava ormai per scontato. Il paziente, invece, si rivela essere una

femmina, nonostante all’anamnesi non erano stati descritti episodi di ovodeposizione. Cambia quindi il piano

diagnostico e le possibili diagnosi differenziali, facendo risalire a prima della lista l’ipotesi di una distocia.

Diagnostica Clinica

Sono stati quindi proposti un prelievo ematico, per eseguire un esame biochimico e la lettura dello striscio ematico, uno

studio radiografico ed ecografia addominale, dai cui esiti si prospetta una stasi preovulatoria. Sulla base dell’evoluzione

clinica ed in particolare per la volontà della proprietaria si opta per mettere a disposizione del paziente un substrato

adatto alla deposizione e di attendere l’evoluzione della sintomatologia o la deposizione delle uova in previsione di

ricontrollare il paziente dopo 15-20 giorni.

Dopo circa un mese il proprietario è stato ricontattato per un follow-up telefonico, al quale ci ha riferito che l’animale

si era ripreso e che aveva ripreso a mangiare, ma ancora non era avvenuta alcuna deposizione.

A circa due mesi di distanza dalla prima visita, i proprietari si ripresentano in urgenza, per un notevole aumento di

volume dell’addome e una perdita dell’appetito sfociata in anoressia. Vengono nuovamente eseguite delle proiezioni

radiografiche dell’addome e l’ecografia addominale dalle quali emerge che oltre alle uova in via di sviluppo è presente

anche una massa addominale di circa 9 cm di diametro, di dubbia origine. Informata della situazione e delle gravi

condizioni dell’animale, alla proprietaria viene prospettata l’esecuzione di una CT per definire bene il problema e

l’origine e le connessioni anatomiche della massa. Per motivi economici la proprietaria non accetta e preferisce eseguire

direttamente una celiotomia esplorativa con eventuale rimozione della massa e delle uova ritenute.

Risoluzione Chirurgica

La paziente viene quindi preparata per la chirurgia, premedicata e anestetizzata con propofol per via endovenosa. Viene

mantenuta in anestesia tramite anestetico inalatorio (isofluorano) previa intubazione tracheale. Viene eseguita una

laparotomia e, una volta identificate le uova ritenute e la massa, vengono entrambe asportate con non poche difficoltà.

La paziente si risveglia lentamente ma nei tre giorni successivi, con terapie specifiche e di supporto, si riprende e viene

dimessa.

La massa, di circa 400gr di peso, è stata sottoposta ad esame istologico, il cui esito ha indicato la natura della massa

come una neoplasia nodulare, altamente cellulare, non capsulata ed infiltrante, costituita da una popolazione pleomorfa

di cellule rotondeggianti e fusate disposte in fasci attorno ai vasi. La diagnosi istologica ha ricondotto quindi ad un

sarcoma indifferenziato.

CONCLUSIONI

Questo caso dimostra come non dobbiamo fidarci delle apparenze, e come l’esecuzione di una visita clinica corretta

possa condizionare non solo la diagnosi ma anche la prognosi. Nel caso specifico la paziente ha avuto una buona ripresa

ed è stata dimessa precocemente, la chirurgia è stata risolutiva. Dieci mesi dopo purtroppo è stata trovata morta, dopo

un giorno di apatia e riluttanza al movimento. L’impossibilità di eseguire una necroscopia ci ha impedito di verificare

l’eventualità di una metastatizzazione della malattia e la sua eventuale localizzazione ovvero se la causa del decesso era

da attribuirsi ad un’origine diversa.

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IL LASER NELLA MEDICINA DEGLI ANIMALI ESOTICI:

PRINCIPI ED APPLICAZIONI IN TERAPIA E CHIRURGIA

Giordano Nardini* (Medico veterinario, PhD, Dipl. ECZM (Herpetology),

Chiara Simonini* (Medico veterinario),

*Clinica Veterinaria Modena Sud, Spilamberto (Mo)

La diffusione degli animali non convenzionali (NAC) come nuovi pet ha dato un ulteriore impulso

allo studio delle loro caratteristiche, del loro comportamento e della loro medicina.

Dal punto di vista medico esistono molte differenze rispetto alla medicina degli animali

convenzionali, legate alle caratteristiche anatomiche, alle dimensioni, alle caratteristiche fisiologiche,

allo stress indotto durante le manipolazioni.

Sia nel campo terapeutico che chirurgico si sta affermando sempre di più la metodica laser, soprattutto

in soggetti di piccole dimensioni, per i vantaggi che offre relativi alla mini-invasivitá, alla maggior

precisione e alla riduzione del dolore (anche post-operatorio).

Il termine LASER è l’acronimo di “LIGHT AMPLIFICATION BY THE STIMULATED

EMISSION OF RADIATION”, ossia un’onda luminosa monocromatica, coerente ed intensa in grado

di attivare a livello cellulare e tissutale determinati effetti biologici.

É bene sottolineare che il laser terapeutico e il laser chirurgico non sono lo stesso strumento. Il primo

sfrutta principalmente i diodi come sorgente e può utilizzare sia basse potenze (P <500 mW: low level

laser treatment LLLT) che alte potenze (P > 500 mW: high level laser light treatment HLLLT). Il

secondo può essere a diodi, a CO2 o YAG (cristallo attivo di ittrio e alluminio) e utilizza unicamente

le alte potenze (P nell’ordine di alcuni Watt).

Durante l’utilizzo di una metodica laser, tutti gli operatori presenti all’interno della stessa stanza

devono munirsi di adeguati occhiali protettivi per evitare danni alla retina, così come gli occhi del

paziente dovrebbero essere protetti mediante garze.

LASERTERAPIA. Tutti i laser terapeutici lavorano su lunghezze d’onda comprese tra 630 e 905 nm

(rosso-infrarosso) che permettono di raggiungere profondità fino a 6-7 cm, agendo pertanto a livello

cutaneo, sottocutaneo, muscolare, osseo e articolare.

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La Laserterapia rappresenta un interessante supporto alle comuni terapie farmacologiche o il

trattamento di elezione nei confronti di alcune patologie che non rispondono alle terapie tradizionali.

A seguito di interessanti risultati clinici nell’applicazione della laserterapia in corso di alopecia nel

cane, questa è stata impiegata anche nel furetto dove ha avuto ottimi riscontri, con stimolo della

ricrescita del pelo e riduzione di prurito in casi di alopecia da iperadrenocorticismo in corso di lesioni

cutanee da grattamento, già dalle prime applicazioni.

La stessa tecnica è stata impiegata negli uccelli da compagnia affetti da autodeplumazione, con

riscontri altalenanti (15 giorni di applicazioni giornaliere). Ù

Il laser terapeutico si è dimostrato un utile supporto nella gestione di patologie dentali e ascessi nel

coniglio. Grazie all’azione antinfiammatoria e antidolorifica, la somministrazione di 4-5 applicazioni

laser a cadenza giornaliera, prima della chirurgia di estrazione dentale e l’associazione all’antibiotico

nella fase post-chirurgica favoriscono un recupero più rapido e limitano le complicanze come lo

sviluppo di infezioni o la deiscenza dei punti intra-orali. In caso di ascessi dentali il trattamento ne

favorisce la riduzione delle dimensioni in fase pre-chirurgica, facilitando la chirurgia e migliorando i

tempi di guarigione.

Applicazione con laser terapeutico in corso di autodeplumazione in un pappagallo (Amazzone fronte azzurra)

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Lo stesso effetto è stato ottenuto in caso di ascessi auricolari e sottocutanei delle tartarughe, con

riduzione della componente infiammatoria. L’utilizzo del laser in questi casi è in grado di ridurre

l’edema della zona trattata in pochi giorni. In nessuno di questi casi la laserterapia però sostituirsi alla

chirurgia, che tuttavia risulta facilitata dalle migliori condizioni dei tessuti.

A seconda delle dimensioni dell’animale e delle caratteristiche dell’apparecchio laser, gli effetti

benefici della laserterapia possono essere sfruttati anche in tessuti più profondi, a livello osseo ed

articolare. Nel campo degli animali esotici la laserterapia è stata impiegata per il trattamento di

fenomeni artrosici e artritici di conigli anziani e in corso di artriti asettiche in cheloni, con esiti

soddisfacenti.

Applicazione di laserterapia su un ascesso odontogenico

di un coniglio

Applicazione di laserterapia pre-operatoria su un

ascesso auricolare di una tartaruga (Trachemys spp.)

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L’applicazione più comune del laser terapeutico rimane ad oggi il trattamento delle ferite, a partire

dalla cicatrizzazione per seconda intenzione delle ferite chirurgiche, fino a ferite contaminate

caratterizzate dalla perdita anche di ampie zone di tessuto, in tutte le specie.

La terapia con laser permette infatti di ridurre dolore e infiammazione, e favorisce una più rapida

rigenerazione dei tessuti con riduzione dei tempi di guarigione, sfruttando in primo luogo l’azione sui

fibroblasti immaturi.

Si sconsiglia invece l’uso del laser su tessuti che sanguinano e in caso di sospetta neoplasia, in quanto

è presupponibile il rischio di una bio-stimolazione anche sulle cellule tumorali con effetti non

prevedibili. Si consiglia, in caso di neoformazioni, di eseguire sempre un esame citologico e/o

istologico.

Nell’impostare un corretto protocollo terapeutico è bene tenere in considerazione che:

- I dosaggi vanno mantenuti bassi nel trattamento di patologie acute, dove il tessuto è già in

fase reattiva, mentre vanno alzati in corso di patologie croniche;

- L’impulso laser agisce solamente su tessuti vascolarizzati per cui non ha effetti benefici in

corso di necrosi. In questi casi deve essere applicato ai margini della ferita per stimolare la

rigenerazione a partire dai tessuti sani;

- Il laser riduce enormemente la sua capacità di penetrazione se utilizzato su tessuti non

tricotomizzati o sporchi;

- Il manipolo deve sempre essere mantenuto perpendicolare alla superficie da trattare;

- I trattamenti possono essere eseguiti a scansione (si tratta una zona ampia muovendo

lentamente il manipolo su tutta la superficie) o per punti (si individuano dei punti trigger che

vengono stimolati ad ogni trattamento).

Applicazione con laser terapeutico in un coniglio in corso di artrosi

della colonna vertebrale

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LASERCHIRURGIA. I laser chirurgici che, come detto in precedenza impiegano alte potenze,

sfruttano l’effetto fototermico e fotomeccanico per tagliare e coagulare i tessuti.

In ambito veterinario sono disponibili diversi laser, ma i più diffusi sono sicuramente il laser a diodi

e il laser a CO2.

La chirurgia mediante laser, rispetto alla chirurgia tradizionale, offre una maggior precisione, minor

rischio di emorragia e minor dolore post-operatorio.

Inoltre l’uso del laser a diodi, in associazione ad endoscopi e fibre ottiche, permette di eseguire delle

procedure chirurgiche mini-invasive nella pratica chirurgica degli animali non convenzionali.

Il laser chirurgico a diodi può essere utilizzato a contatto con il tessuto (modalità a contatto) , sia ad

una certa distanza con il tessuto (modalità non a contatto) ottenendo effetti diversi sui tessuti: taglio

di precisione nel primo caso, maggiori effetti emostatici nel secondo. Il laser a CO2 presenta un

distanziatore fisso nel manipolo che consente la focalizzazione corretta del fascio per un taglio di

precisione ed un migliore controllo degli effetti indotti sui tessuti trattati.

Applicazione Laserterapia su ferita del

carapace in una testudo hermanni

Applicazione Laserterapia post- chirurgia in

seguito ad asportazione di un ascesso cutaneo

in un ratto nudo

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Nella modalità “a contatto” abbiamo una precisione di taglio e coagulazione del tessuto molto elevata,

associata a minima vaporizzazione dei tessuti circostanti e minore profondità di azione, questa

aumenta invece con la modalità “non a contatto”.

Il livello di potenza può variare: generalmente si utilizzano 2-4 Watt in corso di chirurgia laser

endoscopica, 4-8 Watt in corso di chirurgia laser generale (nel caso del diodi la fibra è contenuta in

un apposito manipolo), 5-10 Watt per l’ablazione dei tessuti cutanei dei rettili. La potenza necessaria

dipende molto dal tipo di tessuto trattato, dalla sua pigmentazione e vascolarizzazione.

La chirurgia laser generale può essere condotta con impulso continuo (CW), quando si tratta di

tagliare (es. exeresi cutanea) o in modalità “pulsata”/frequenzata per chirurgie su strutture molto

delicate per consentire ai tessuti di raffreddarsi e ridurre così gli effetti termici collaterali.

Nei rettili la chirurgia laser è stata impiegata con successo in numerose procedure quali celiotomia,

ovariectomia, cistotomia, enterotomia, enterectomia, ascessi, neoplasie, amputazione coda o pene,

chirurgia orale.

Ovariectomia in Trachemys scripta scripta Amputazione del pene in Trachemys

scripta scripta in seguito a prolasso

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Negli uccelli il laser si è mostrato di grande utilità per la rapida coagulazione dei vasi sanguigni in

corso di chirurgie per limitare la perdita di sangue, fondamentale in questi animali. Le principali

applicazioni sono la rimozione di cisti, neoplasie, ascessi cutanei, amputazione di arti o ali, ablazione

di granulomi da sacchi aerei.

Nei piccoli mammiferi, oltre a orchiectomia e ovarioisterectomia, asportazione di ascessi e masse

cutanee, trova impiego con successo nella chirurgia di surrenectomia e pancreasectomia nel furetto e

mastectomia nei piccoli roditori.

In conclusione l’utilizzo del laser ha dimostrato ottime potenzialità nella medicina degli animali

esotici, sia dal punto di vista terapeutico che chirurgico.

La Laserterapia ha il vantaggio di essere poco o per nulla invasiva, non dolorosa, con tempi contenuti

di applicazione e di essere di facile esecuzione. Negli animali acquatici permette di evitare l’impiego

di pomate e fa sì che i pazienti possano tornare in acqua immediatamente dopo il trattamento.

In lagomorfi e piccoli roditori riduce il senso di fastidio e prurito del processo cicatriziale, evitando

di indurre l’animale al grattamento e al leccamento.

Uno dei maggiori limiti messi in evidenza è il bisogno di diversi trattamenti settimanali: ove possibile

si consiglia il ricovero dell’animale almeno nelle prime fasi del trattamento (prime 3-4 applicazioni).

La Laserchirurgia si è dimostrata essere una valida alternativa alla chirurgia tradizionale negli animali

esotici anch’essa per la sua caratteristica di mini-invasività, maggior precisione, minor rischio di

emorragia e minore dolore post-operatorio, costituendo in alcuni casi la procedura ‘Gold Standard’.

Asportazione mediante laser di una cisti delle penne

(Lump) in un canarino gloster

Asportazione di neoplasia della ghiandola

ventrale in un gerbillo

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BIBLIOGRAFIA.

1. Stephen J. Hernandez – Divers, BSc (Hons): Diode Laser Surgery:Principles and Application

in Exotic Animals, 2002. (ARTICOLO CHE MI HAI MANDATO TU, verifica biblio).

2. Olivieri L., Cavina D., Radicchi G., Miragliotta V., Abramo F.: Efficacy of low laser therapy

on hair regrowht in dogs with noninflammatory alopecia: a pilot study, Vet Dermatology,

2015.

3. Mader DR: The use of lasers in exotic animal surgery, Exot DVM 3:70-72, 2001.

4. Mader DR: The use of laser in reptile medicine, Proc Seventh Assoc Reptil Amphib Vet

Conf, Reno, NV, 2000.

5. Hernandez Divers, SJ: Endoscopic diode laser surgery in birds. Exot DVM 3: 73-74, 2001.

6. Dini F., Vullo C., Palumbo Piccionello A., Tombella A.M., Scrollavezza P. : Utilizzo della

chirurgia laser nei mammiferi esotici ( ARTICOLO CHE MI HAI MANDATO TU, Verifica

biblio).

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LIPIDOSI EPATICA E IPERGLICEMIA IN UN CONIGLIO: UN CASO DI DIABETE MELLITO? Alessandro Guerra, Dmv 1 1 Clinica Veterinaria Arcella, Padova, ITA

Introduzione

Nonostante il diabete mellito rappresenti una patologia estremamente rara nel coniglio da compagnia (2)

l'iperglicemia talvolta associata alla glicosuria è di frequente riscontro clinico, e può essere associata a stress,

dolore acuto, patologie gastrointestinali da stasi/occlusione, lipidosi epatica, utilizzo di corticosteroidi (3, 4).

Il case report descrive un caso di lipidosi epatica in un coniglio associata a iperglicemia, glicosuria e pu/pd;

viene discusso il trattamento con insulina e vengono descritti i riscontri clinici e ematobiochimici per un arco

temporale di 24 mesi.

Il diabete mellito nel coniglio: il modello sperimentale

Il diabete mellito ad insorgenza spontanea nel coniglio da compagnia è una patologia poco o per nulla

conosciuta, generalmente descritta come rara e talvolta addirittura come non esistente.

Tuttavia risulta ricchissima la bibliografia concernente il diabete mellito farmacologicamente indotto nel

coniglio da laboratorio per finalità scientifiche.

Il diabete mellito negli animali da laboratorio viene indotto distruggendo selettivamente le isole pancreatiche

mediante l’utilizzo di diversi protocolli farmacologici (streptozocina, alloxano), ai fini di ottenere un

pancreas privo della sua competenza endocrina.

Spesso nel coniglio la somministrazione di tali farmaci può rivelarsi fatale (per nefrotossicità dose

dipendente o paradossalmente per una fase iniziale di grave ipoglicemia) o viceversa indurre uno stato

transitorio di diabete che regredisce spontaneamente, vanificando così la possibilità di condurre ricerche

sulla fase cronica della patologia.

Recentemente (1) è stata standardizzata una metodica in grado di indurre e gestire farmacologicamente il

diabete mellito nel coniglio per un periodo di tempo tale (non inferiore a 12 mesi) da poter studiare gli effetti

anatomoistopatologici, clinici ed ematobiochimici legati all’iperglicemia cronica.

In questo studio il diabete mellito di tipo 1 (trattato con insulina) nel coniglio risulta caratterizzato dal punto

di vista clinico da poliuria, polidipsia, polifagia e dimagrimento.

L’iperglicemia è stata trattata con la somministrazione di insulina regolare (sc sid) a dosaggi variabili da 1 a

4 UI/kg a seconda della severità dell’iperglicemia.

In tutti i conigli diabetici sono stati riscontrati aumenti significativi di colesterolo e trigliceridi (con riscontro

istopatologico di steatosi epatica), disfunzioni renali caratterizzate da poliuria, proteinuria e severi aumenti di

creatinina e BUN (arteriosclerosi jalina e atrofia glomerulare), iperglicemia persistente e chetoacidosi (con

aumento dei valori plasmatici di betaidrossibutirrato e chetonuria); gli altri enzimi plasmatici valutati (ALT,

AST, CK, LDH) non hanno subito variazioni significative; alcuni tra i conigli esaminati hanno sviluppato

anemia (presumibilmente legata al danno renale).

Descrizione del caso

Protagonista del caso clinico è Pimpa, femmina intera di razza olandese nana di 2 anni e 4 mesi, in leggero

sovrappeso (1,9 kg); viene correttamente nutrita con fieno e vegetali freschi, il proprietario riferisce che

quotidianamente viene offerta frutta.

L'animale viene riferito per anoressia acuta e scialorrea; la visita clinica (effettuata con l'otoscopio) esclude

patologie dentali ma riscontra una lesione a carico della lingua. La stomatoscopia in sedazione profonda

rivela un'ulcerazione monolaterale a carico della lingua causata dalla presenza di materiale ligneo incastrato

tra il I e il II molariforme inferiore.

Il paziente dopo una breve terapia antibiotica (enrofloxacina 5 mg/kg sid) ottiene un rapido e pieno recupero;

tuttavia a distanza di 2 mesi viene riferito per abbattimento, disoressia, dimagrimento (1,6 kg), lieve pu/pd.

L'esame ematobiochimico rivela iperglicemia (481 mg/dl), ipokaliemia e severi aumenti di AST, ALT, LDH,

fosforo, fosfatasi alcalina, colesterolo e trigliceridi. Come indagini collaterali si esegue una radiografia (che

dimostra epatomegalia) e l'ecografia addominale (che conferma la steatosi epatica). Formulata la diagnosi di

lipidosi epatica, si prescrive una terapia epatoprotettiva aspecifica con silimarina e si raccomanda di

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escludere dalla dieta la frutta e qualsiasi ortaggio ad elevato tenore calorico.

Nel corso del mese seguente l'animale riacquista appetito e vitalità ma perde peso (1,5 kg) e si intensifica la

pu/pd.

I due follow up, eseguiti a 2 e a 4 settimane dall'esordio della lipidosi, dimostrano un decremento di AST,

ALT e fosfatasi alcalina contro un incremento di fosforo, azotemia e glucosio (con un picco massimo di 816

mg/ml); rimangono elevati LDH, trigliceridi e colesterolo mentre permane l'ipokaliemia. Nella stessa

occasione si valutano le urine, che dimostrano ipostenuria , moderata proteinuria, glicosuria e chetonuria;

l'emogasanalisi rivela uno stato di chetoacidosi.

Sulla base delle similitudini cliniche e laboratoristiche con il diabete mellito descritto nel coniglio in

sperimentazione si giunge alla diagnosi di diabete mellito e si inizia la terapia con insulina, inizialmente

utilizzando l’insulina regolare (a dosaggi variabili da 1 a 2 UI/kg sc) per poi utilizzare l’insulina intermedia

alla dose di 1 UI/kg sc bid.

Nel corso dei successivi 20 mesi il paziente ha riguadagnato peso fino a raggiungere l'obesità (2,2 kg), la

terapia sembra ben tollerata e il proprietario riferisce l'assenza di pu/pd.

I tre successivi follow up (eseguiti a 2, 7 e 20 mesi dall'inizio della terapia con insulina) dimostrano la

scomparsa della lipemia, i marker epatorenali sono ritornati entro i range fisiologici e la glicemia si attesta

ora su valori < 200 mg/dl; le urine non presentano più glicosuria né chetonuria e sono isostenuriche.

Il paziente infine (a distanza di 24 mesi dall'esordio della lipidosi epatica) viene nuovamente riferito per

letargia, disoressia, dimagrimento (1,6 kg) e una gravissima pododermatite; la visita clinica riscontra

epatomegalia e ittero.

L'ultima valutazione, eseguita poco prima del decesso dell'animale, ha dimostrato una riacutizzazione della

lipidosi epatica con grave iperglicemia (680 mg/ml) e alterazioni della funzionalità epatorenale con

trigliceridi > 5000 mg/dl e iperbilirubinemia (3,42 mg/dl); l'emogas analisi dimostra un quadro di

chetoacidosi e l'esame delle urine rivela nuovamente glicosuria, chetonuria e ipostenuria.

Conclusioni

Il caso descrive l'efficacia clinica e gli effetti ematobiochimici dell'insulina isofano in un caso di diabete

mellito in un coniglio da compagnia caratterizzato da lipidosi epatica associata a iperglicemia.

I riscontri laboratoristici risultano simili e sovrapponibili ai modelli sperimentali di diabete mellito di tipo 1,

anche se il caso clinico esaminato si distingue per una disfunzione epatica di tipo

degenerativo/infiammatorio cronico riacutizzata.

In modo particolare si osserva una correlazione positiva tra la gravità dell’iperglicemia e l’aumento di

trigliceridi, colesterolo, fosfatasi alcalina, bilirubina totale, AST, ALT, LDH, BUN, calcio e fosforo.

L'assenza di un riscontro autoptico e anatomoistopatologico preclude purtroppo la possibilità di ulteriori

approfondimenti diagnostici.

Bibliografia

1 Wang J. (2010) Creating a long-term diabetic rabbit model, Experimental diabetes research vol 2010 art ID

289614

2 Jelk V. (2015) Diagnostics and successful management of diabetes mellitus in a pet rabbit, ICARE paris

2015 proceedings pp 374

3 Harcourt-Brown F. (2004) Textbook of rabbit medicine, Elsevier pp 149, 260, 265

4 Fudge A.M. (2000) Laboratory medicine avian and exotic pet, Saunders pp 293, 312, 323

Indirizzo per corrispondenza

Dott. Alessandro Guerra - Clinica Veterinaria Arcella, via Cardinal Callegari 48, 35100 Padova (PD), Italia -

Tel 049/600002 - Cell 338 6638704 - E-mail [email protected]

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12-03-10 18-03-10 01-04-10 11-06-10 11-11-10 15-12-11 15-03-12

Glicemia 75-155 mg/dl 481 mg/dl 660 mg/dl 816 mg/dl 142 mg/dl 323 mg/dl 144 mg/dl 680 mg/dl

Azotemia 13-29 mg/dl 27 mg/dl 27 mg/dl 42 mg/dl 35 mg/dl 31 mg/dl 28 mg/dl 42 mg/dl

Creatinina 0,5-2,5 mg/dl 0,34 mg/dl 0,69 mg/dl 0,12 mg/dl 0,89 mg/dl 0,66 mg/dl 1,36 mg/dl 0,69 mg/dl

Proteine totali 5,4-8,3 g/dl 6,71 mg/dl 6,3 mg/dl 19,69 mg/dl 8,67 mg/dl 7,04 mg/dl 7,36 mg/dl 8,62 mg/dl

Albumina 2,4-4,6 g/dl 3,19 g/dl 3,95 g/dl 3,83 g/dl 4,27 g/dl 4,35 g/dl 3,99 g/dl 3,40 g/dl

Calcio 5,6-12,5 mg/dl 14,76 mg/dl 11,76 mg/dl 17,83 mg/dl 10,38 mg/dl 8,63 mg/dl 9,77 mg/dl 15,19 mg/dl

Fosforo 4-6,9 mg/dl 11,95 mg/dl 4,36 mg/dl 14,96 mg/dl 3,25 mg/dl 3,45 mg/dl 2,95 mg/dl 13,52 mg/dl

AST (GOT) 14-113 U/l 631 U/l 118 U/l 12 U/l 43 U/l 40 U/l 45 U/l *

ALT (GPT) 48-80 U/l 701 U/l 206 U/l 300 U/l 81 U/l 51 U/l 48 U/l *

Fosfatasi Alcalina

678 mg/dl 316 mg/dl 147 mg/dl 55 mg/dl 88 mg/dl 45 mg/dl 342 mg/dl

Bilirubina totale

0-0,7 mg/dl 0,5 mg/dl 0,07 mg/dl * 0,07 mg/dl 0,04 mg/dl 0,02 mg/dl 3,42 mg/dl

Trigliceridi 243-390 mg/dl > 1000 mg/dl 731 mg/dl > 1000 mg/dl 127 mg/dl 172 mg/dl 130 mg/dl 5510 mg/dl

Colesterolo 10-80 mg/dl 245 mg/dl 73 mg/dl 250 mg/dl 47 mg/dl 32 mg/dl 32 mg/dl 670 mg/dl

LDH 34-129 U/l 623 U/l 359 U/l 526 U/l 316 U/l 445 U/l 103 U/l 652 U/l

Sodio (Na) 131-155 mEq/l 138 mEq/l 135 mEq/l 130,3 mEq/l 144 mEq/l 140 mEq/l 141 mEq/l 138 mEq/l

Potassio (K) 3,6-6,9 mEq/l 3,49 mEq/l 3,61 mEq/l 3,58 mEq/l 4,55 mEq/l 4,53 mEq/l 4,50 mEq/l 3,72 mEq/l

Cloro 92-112 mEq/l 122 mEq/l 99 mEq/l 123 mEq/l 107 mEq/l 107 mEq/l 103 mEq/l 136 mEq/l

* valore non misurato a causa dell’elevata iperlipemia

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Colesterolo (mg/dl)

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AST (GOT) U/l

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ALT (GPT) U/l

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Fosfatasi alcalina

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Glicemia (mg/dl)

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LDH (U/l)

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Azotemia (mg/dl)

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Creatinina (mg/dl)

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Calcio (mg/dl)

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Fosforo (mg/dl)

Fosforo (mg/dl)

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Sodio (Na) mEq/l

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Potassio (K) mEq/l

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Cloro (Cl) mEq/l

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CASO CLINICO DI ELIZABET FERNANDEZ PALOMARES, COL 756. HOSPITAL CANIS MALLORCA.

MASSA MEDIASTINICA IN UNA CONIGLIA.

PRESENTAZIONE DEL CASO CLINICO.

Fu portata in visita in ospedale una coniglia chiamata “ Orejas” di otto anni , non sterilizata e di 1,8kg di

peso.

La coniglia convive con cani ed un pappagallo oltre alla famiglia con cui abita e gode di semilibertà in casa.

Non é stata mai vaccinata e neppure ha mai fatto trattamenti preventivi antiparassitari; inoltre la sua alimen-

tazione non era corretta e comunque mangiava fieno, verdure e pellets.

Durante la visita, fu osservata una dermatite umida a livello della parte ventrale del collo probabilmente

secondaria ad un comportamento ossessivo-compulsivo di leccamento in quella zona cutanea. Tutto co-

minciò dopo un trattamento sistemico con prednisolone prescritto da un collega, nel tentativo di ridurre

un esoftalmo bilaterale, probabilmente secondario a una massa mediastinica individuata radiologicamente.

Durante la visita abbiamo anche notato un nodulo mammario.

Dopo aver raccolto una anamnesi clínica dettagliata per comprendere questo problema dermatoogico ab-

biamo scartato l’ipotesi di sostanze irritanti ambientali, di lesioni traumatiche , e di autostrappamento del

pelo a causa di pregresse false gravidanze .

DIAGNOSi DIFERENZIALI E CAUSE.

Avendo raccolto tutte le informazioni utili, i diagnostici diferenziali più probabili comprendevano per l’esof-

talmo bilaterale: un atteggiamento di paura, la copresenza di maschi in età riproduttiva, una condizione pa-

rafisiologica , ascessi retrobulbari, glaucomi bilaterali o una síndrome paraneoplasica.

Sospettavamo che questa dermatite era secondaria a tre possibili cause:

1) un eccessivo overpreening, perche l’animale si sentiva sporco dopo la somministrazione dei farmaci orali

2) Falsa gravidanza (pseudociesi)

3) neoformazione mediastinica

ESAMI COLLATERALI RACCOMANDATI

Lastre del cranio e del torace in doppia proiezione. In questo caso le lastre del torace sono state fondamentali

per poter fare il diagnosi di una massa che spostava cranialmente la trachea e non lasciava diferenziare bene

il cuore in torace.

Ematologia: non ci ha dato nessuna informazione utile.

Ecografia addominale, per scartare problemi uterini legati alla età e al sesso del coniglio.

Una citología ecoguidata con ago aspirato. Questa prova , anche se praticata da molti autori, si presenta nella

letteratura come una técnica rischiosa poiché puo provocare una rottura della capsula nel caso si trattasse

di un tumore con potenziale disseminazione delle cellule neoplasiche nel torrente circolatorio

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TERAPIA SUGGERITA

Il trattamento iniziale confidò nel fatto che la dermatite non fosse molto avanzata e consistette nella som-

ministrazione di sulfatrimetroprim 40mg/kg/12ore PO, duphalac 2ml/Kg q12h PO, imbracatura per impedire

alla coniglia di toccarsi il collo e trattamento tópico con clorhexidina diluita q8ore.

In questo caso fu raccomandata l’ asportazione di questa massa mediastinica tramite chirurgia toracica e con

il successivo esame istopatologico indispensabile per giungere ad una diagnosi eziologica.

La coniglia è stata premedicata con : Midazolam 2mg/kg IM, ketamina 0,1mg/kg IM, medetomidina: 20

mcg/kg IM, buprenorfina 0,01-0,05mg/kg SC/ 12ore IM. Induzione con propofol; 10mg/kg IV ( dose efetto) e

mantenimento con isofluorano 1,5% con l’animale intubato con la tecnica alla cieca.

Orejas e stata monitorata per tutto il tempo dal nostro diplomato in anestesiologia Francesco Aprea.

La técnica eseguita è stata una sternotomia mediana. Abbiamo impiegato l’elettrobisturi per la scontinua-

zione della muscolatura pettorale. Siccome l’animale era molto piccolo, si è sostituito il finochietto con un

gelpi.

Con una pinza bipolare si e fatta la dissezione dei tessuti molli entorno la massa cística, la qualle è stata

individualizata ed estratta, per allestire poi il campione per l’istopatologia

La chisusura sternale e venuta fatta con dei punti a U con un monofilamento assorbibile del 0 e la cute con

un non assorbibile del 3/0.

La terapia prescritta é stata: metoclopramide 2mg/kg/8ore PO, finche ci fosse una defecazione corretta, en-

roflosacin 5-10mg/kg/12ore SC ( diluita con del siero) per 12 giorni, poi modificata con sulfratrimetroprim

40mg/kg q12ore 15 giorni PO, ranitidina 4mg/kg q12ore PO 5-7 giorni, tramadolo 4mg/kg q8-12ore PO 5

giorni e meloxicam 0,3mg/kg q12ore per 5-7 giorni.

DISCUSSIONE.

I resultati arrivati ci confermarono che eravamo davanti un LINFOMA. Il linfoma è il secondo tumore piu

comune nei conigli, esso può comparire tra i 7 mesi ed i 9,5 anni. La durata della malattia comprende da una

settimana ai dieci mesi

Un recente studio condotto presso l’ Universita di Berlino per opera di K. Muller dimostrò che il 61% delle

masse mediastiniche corrispondevano i timomi, il 29% linfomi e il resto sarcomi di timo, cisti timiche con

timiti purulente e gli adenomi tiroidei ectópici.

Non sono stati pubblicati protocolli terapeutici specifici, ma hanno fatto delle prove con il prednisolone, la

doxorrubicina, l’asparginasi, la vincristina e la ciclofosfamida tra gli altri. Le dosi sono extrapolabili a quelle

del gatto domestico , e al proprietario deve sempre essere presentata una autorizzazione a procedere extra

label avvertendoli dei rischi e degli effetti collaterali potenziali di simili terapie.

La comparsa di queste masse nei conigli può avvenire in presenza di malattie intercorrenti come l’

insufficienza renale cronica o cardiaca. Nel caso di Orejas sospetavamo dei problemi uterini ma poiché non

avevamo visto metástasi e avevamo un buon profilo ematologico prechirurgico il paziente era potenzial-

mente un buon candidato per l’intervento chirurgico. Pertanto la decisione di operarlo fu presa prima che la

sintomatología potesse peggiorare e prima che le dimensioni del tumore intratoracico potessero aumentare

troppo. Oltretutto le dimensioni della massa neoplastica non si era ridotta dopo due settimane di terapia con

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corticosteroidi , anzi stava aumentando provocando un problema di tipo respiratorio (dispnea) per compres-

sione.

Durante i follow-up postchirurgici Orejas mostrò parecchie complicazioni tipiche: apertura della ferita

torácica per autotraumatismo e sfregamento dello sterno sul pavimento , anoressia, perdita di peso, ferite

alle punte delle orecchie con il collare elissabethiano, messo per limitare lo strappamento dei peli nella faccia

ventrale del collo infettando la ferita, una pododermatite secondaria alla limitazione dei movimenti

postchirurgica e le necrosi tissutale legata all’inoculazione sottocutanea di enrofloxacin, anche se il farmaco

veniva sempre diluito con soluzione fisiologica.

Il follow up é durato complessivamente un mese e mezzo, cercando di risolvere man mano tutti i problemi

che via via insorgevano, e non appena fu rincresciuto il pelo del collo, sulle zampe e sul torace fu tolto il

collare elisabettiano. Da quel momento la coniglia migliorò, non mostrando più strappamento del pelo ne

dispnea o altro.

La terapia usata dall’autore è stata a base di prednisolone 2mg/kg/24h e doxiciclina a 2,5mg/kg q12ore.

Orejas morì un’anno dopo per altri motivi diversi dal linfoma.

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"DIAGNOSI BIO-MOLECOLARE DELLE MALATTIE INFETTIVE DEI CHELONI:

CONOSCERNE I LIMITI PER SFRUTTARNE I VANTAGGI"

Silvia Preziuso, DVM, PhD

Scuola di Bioscienze e Medicina Veterinaria, Università di Camerino

Via Circonvallazione 93/95, 62024 Matelica (MC)

Tel. 0737/404019, fax 0737/404002, e-mail: [email protected]; web: docenti.unicam.it

I metodi bio-molecolari per la diagnosi delle malattie infettive sono vari ed in continua evoluzione, sia

in campo umano che veterinario. La scoperta della Polymerase Chain Reaction (PCR) ha rivoluzionato

anche il mondo della diagnostica, rendendo disponibile uno strumento importante. In questa trattazione

ci si limiterà all'applicazione della PCR alla diagnosi delle malattie infettive dei cheloni, ma in realtà le

applicazioni sono estremeamente numerose in molti campi della medicina.

La PCR è uno strumento; in quanto tale, può essere utilizzato in svariati modi, con finalità diverse e

con esiti differenti a seconda della preparazione, competenza ed abilità di chi lo usa, al pari di altri

strumenti di indagine a disposizione del medico veterinario.

Il medico veterinario, in genere, non ama addentrarsi in argomenti così “piccoli” e lontani dal paziente.

I volumi di reazione in PCR sono di pochi microlitri, e ciò che il laboratorista si trova di fronte consiste

in poche centinia di microgrammi di DNA o RNA del paziente. Tuttavia il risultato che si ottiene può

avere grande impatto sulla gestione dell'animale, di un gruppo di animali o di un allevamento.

In medicina umana la diagnostica in PCR viene generalmente effettuata in maniera automatizzata,

utilizzando strumenti e kit diagnostici ottimizzati e commercializzati da aziende multinazionali

biotecnologiche, secondo protocolli standardizzati. Il sistema si sostiene grazie all'elevato numero di

analisi effettuate e al più limitato numero di agenti infettivi da ricercare rispetto alla molteplicità di

specie animali e relativi agenti patogeni che caratterizzano l'ambito veterinario. In questo caso

l'ottimizzazione e la commercializzazione di kit standardizzati viene giustificata solo per alcune

zoonosi (es. West Nile Disease), per screening di massa a livello zootecnico, o per le più diffuse

malattie di cane e gatto. Per quanto riguarda i rettili, il settore è molto indietro, anche per quanto

concerne la conoscenza degli agenti infettivi responsabili di malattie significative e il sequenziamento

del loro genoma, indispensabile per lo sviluppo di test bio-molecolari efficaci.

L'obiettivo di questa relazione è quello di mostrare le potenzialità dell'applicazione diagnostica della

PCR, evidenziandone anche i limiti, affinché il medico veterinario possa disporre di strumenti

valutativi ed interpretativi e possa interfacciarsi al meglio con i colleghi laboratoristi.

Partendo brevemente dalle nozioni basilari utili per capire le diverse tecniche molecolari utilizzate in

campo diagnostico, verrà focalizzata l'attenzione sulle attuali conoscenze riguardo la diagnosi in PCR

delle malattie dei cheloni, con particolare riferimento alle infezioni da herpesvirus nelle tartarughe ed

alle recenti novità ezio-epidemiologiche di queste malattie.

Il punto di patenza sono le domande che frequentemente vengono poste nella pratica diagnostica.

Quale e quanto materiale devo prelevare? Come lo conservo? Come viene processato?

La diagnosi in PCR consiste essenzialmente nelle seguenti fasi:

1- estrazione di DNA e/o RNA

2- eventuale retrotrascrizione del RNA in DNA copia (cDNA)

3- amplificazione mediante PCR

4- evidenziazione dell'amplificato prodotto

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1- estrazione di DNA e/o RNA

Il medico veterinario preleva il campione più rappresentativo ed idoneo in cui ricercare l'agente

eziologico di interesse. Per quanto riguarda agenti a DNA (batteri, DNA-virus, protozoi, ecc), il

campione può essere conservato a temperatura di refrigerazione per 2-3 giorni. Per tempi superiori è

consigliabile il congelamento. In questa fase il pericolo maggiore è che enzimi presenti nel campione

lisino il DNA. La spedizione in laboratorio è consigliabile avvenga a temperatura di refrigerazione ma,

in considerazione delle esperienze pregresse e dei minori costi per l'invio, non si sono avuti problemi

con spedizioni di tamponi a temperatura ambiente. Le quantità di materiale di partenza necessario per

l'analisi variano a seconda dei protocolli. A titolo indicativo, vengono utilizzati 10-25 mg di omogenato

di organi, l'intero tampone (da preferire quelli con bastoncino di plastica piuttosto che di legno), 150

microL di materiale liquido o sangue, oppure circa 200 grammi di feci. Occorre ricordare la necessità

di una adeguata etichettatura dei campioni, soprattutto se prelevati da più soggetti

contemporaneamente. In quest'ultimo caso è fondamentale usare materiale di prelievo monouso ed

evitare di cross-contaminare i campioni. E' utile comunicare se l'animale, al momento del prelievo, è

sintomatico o se si tratta di un controllo routinario su animali asintomatici.

Esistono diverse modalità di estrazione degli acidi nucleici, tra i quali i più diffusi consitono nell'uso di

solventi organici (es. estrazione del DNA attraverso metodo fenolo-cloroformio-alcool isoamilico) o

nel legame con silice o particelle di vetro. Vari kit commerciali includono membrane di silice o filtri

con fibre di vetro, che permettono maggiore rapidità, standardizzazione e, nei laboratori più grandi,

automazione. A parte la digestione in proteasi, che dura da un'ora per i campioni più semplici (come

tamponi) a 12 ore per i campioni più compatti (tessuti), l'estrazione e purificazione con kit commerciali

richiede cira 30 minuti di tempo, mentre con i solventi organici possono essere necessarie oltre 12 ore.

In caso di ricerca di RNA-virus, più labili di quelli a DNA, occorre prendere accordi con il laboratorio

per conservare opportunamente il campione e prevenire la lisi da parte di RNAsi.

2- eventuale retrotrascrizione del RNA in DNA copia (cDNA)

La PCR si effettua su filamenti di DNA stampo, quindi l'RNA estratto deve essere retrotrascritto in

DNA copia mediante una reazione enzimatica, che richiede circa 30-60 minuti di tempo.

3- amplificazione mediante PCR

La PCR consiste nella sintesi, ripetuta in genere 35-45 volte,

di tratti di DNA sulla base di DNA “stampo”; ogni segmento

prodotto agirà da stampo nella reazione successiva. Pertanto,

considerando che il DNA è formato da due filamenti, nella

prima reazione ogni filamento agirà da stampo per la sintesi di

un nuovo filamento, ottenendo quattro filamenti al termine del

primo ciclo di reazione (Fig. 1). Nel secondo ciclo i filamenti

disponibili come stampo saranno 4, e saranno quindi prodotti

8 filamenti. Semplificando, per ogni molecola di DNA

presente nel campione, alla fine della PCR si ottengono 2n

filamenti di DNA, dove n è il numero di cicli di reazione.

Per target ben rappresentati ed abbondanti possono essere

sufficienti 35 cicli di amplificazione. Nel caso si sospetti che il

materiale genetico presente nel campione sia scarso, si

possono effettuare fino a 45 cicli di amplificazione.

L'obiettivo di questa amplificazione è quello di ottenere una

quantità di DNA prodotto tale da essere “visibile” con strumenti di rilevazione (vedi dopo). Fig. 1: sintesi esponenziale di DNA

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L'elemento cardine della PCR sono i “primer” due piccole sequenze di 18-30 nucleotidi (adenina (A),

timina (T), guanina (G), citosina (C)), che si legano specificatamente al filamento di DNA da

amplificare, e che costituiscono il sito di inizio della replicazione (Fig. 2).

Pertanto sono le sequenze dei primer a definire la specificità della PCR per un determinato agente o

gruppo di agenti. E' possibile disegnare primer per identificare specificatamente un agente eziologico

(es. Mycoplasma agassizii) o tutti gi agenti appartenenti ad uno stesso genere (es. Mycoplasma spp.) o

famiglia (es. Herpesviridae) (vedi dopo).

Le sequenze dei primer influenzano tempi e temperature da utilizzare nella PCR. Per ogni coppia di

primer (forward e reverse) deve essere ottimizzato un protocollo. Variando la temperatura di reazione si

può aumentare la sensibilità e ridurre la specificità o viceversa. Questo viene fatto in particolari

condizioni (ecco perché è fondamentale il dialogo con il laboratorista!), altrimenti si utilizza il

protocollo ottimizzato che ha la migliore combinazione sensibilità/specificità.

I primer possono essere inclusi in kit commerciali (se disponibili), oppure vengono disegnati e validati

appositamente. In ogni caso, il disegno dei primer avviene dopo un attento studio delle sequenze

genomiche di un particolare agente, depositate in banche dati open access (es. PubMed) o in possesso

privato dello sviluppatore. Le banche dati open access e la collaborazione di scienziati di tutto il mondo

sono fondamentali per condividere la conoscenza e permettere di disegnare primer validi. Chi ottiene

degli amplificati mediante PCR, può sequenziare i prodotti ed inserre in banca dati ciò che ha trovato.

Queste informazioni saranno utili ad altri ricercatori per disegnare i primer per le loro necessità. Primer

non specifici possono dare luogo a false positività; al contrario, false negatività si possono avere in

caso di primer disegnati sulla base di sequenze genetiche ad alta frequenza di mutazione.

I geni di batteri e virus infatti hanno dei siti “conservati”, cioè stabili, che tendenzialmente non mutano

e che sono identici in tutti i batteri e virus dello stesso genere/famiglia. Altri siti sono invece fortemente

variabili e sono identici solo tra agenti appartenenti alla stessa specie. Sfruttando queste caratteristiche

si possono disegnare primer per identificare mediante PCR tutti gli Herpesviridae di tartaruga, tutti gli

Herpesviridae di tutte le specie animali, oppure specificatamente Testudinid herpesvius tipo 1 o tipo 3

(vedi sotto). Pertanto la scelta dei primer e l'ottimizzazione del protocollo di PCR per quei primer è

personale, ed è ciò che caratterizza il laboratorio (per le prove “ufficiali” invece il discorso è diverso).

In una reazione di PCR il DNA/cDNA viene aggiunto ad una miscela contenente una polimerasi (taq),

nucleotidi, sali minerali, acqua e primer. La PCR viene effettuata nei termociclizzatori, che incubano i

microtubi a temperature specifiche per un certo tempo e per un numero di cicli che varia in genere tra

35 e 45.

In una prima fase, di denaturazione, generamente effettuata a 94-95°C, i doppi filameti della molecola

di DNA si aprono (Fig. 3).

In una seconda fase, di annealing, i primer si legano specificatamente al filamento stampo. La

temperatura di incubazione in questa fase deve essere ottimizata e dipende dalla composizione dei

primer. Temperature troppo basse potrebbero fare legare i primer a sequenze non specifiche,

determinando falsi positivi, mentre temperature troppo alte o comunque non idonee non

Fig.

2: i primer Forward e Reverse sono i siti di innesco della PCR

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permetterebbero il legame alla sequenza specifica, anche se presente, determinano così dei falsi

negativi.

In una terza fase, di estensione, viene sintetizzato il filamento complementare a quello a cui si è legato

il primer, utilizzandolo come stampo. Queste tre fasi si susseguono fino al completamento dei cicli.

Affinché una PCR venga complatata occorrono circa 2-3,5 ore.

4- evidenziazione dell'amplificato prodotto

Il prodotto ottenuto mediante PCR può essere visualizzato in vari modi. Sinteticamente, il metodo più

tradizionale è la corsa elettroforetica in gel di agarosio, che richiede circa 40-60 minuti. Con particolari

filtri ed apparecchi è possibile fotografare la corsa elettroforetica e memorizzarla in archivio.

Visualizzando i prodotti di PCR in gel di agarosio, si osserverà una banda specifica di ampiezza pari a

quella attesa (distanza in basi nucleotidiche della sequenza complementare al primer forward e al

primer reverse nella sequenza dell'agente oggetto di indagine depositata in banca dati). Per maggiore

sicurezza il prodotto di PCR può essere sequenziato, procedura che però implica tempi e costi

aggiuntivi.

I più moderni e costosi sistemi di evidenziazione dell'amplificato si basano sulla rilevazione della

fluorescenza emessa da particolari molecole e sono alla base della metodica di Real Time PCR. A

seconda della chimica e della metodologia utilizzata in Real Time PCR, si parla di SybrGreen PCR o di

TaqMan PCR. Anche in questo caso la scelta dei primer e delle sonde è determinante per la buona

riuscita della prova. Gli strumenti attualmente disponibili possono essere interfacciati a computer con

software per l'interpretazione automatica dei risultati.

Che differenza c'è tra PCR, nested PCR, real time PCR? Per PCR si intende generalmente una reazione singola, come quella sopra descritta, in cui un tratto di

acido nucleico viene amplificato per 35-45 cicli mediante l'ausilio di almeno due primer specifici per la

sequenza ricercata.La nested PCR consiste

in una seconda reazione di PCR, eseguita

sul prodotto della prima PCR, mediante

l'ausilio di una coppia di primer con

sequenze generalmente interne al tratto

amplificato con la prima reazione (Fig. 4).

Questa procedura ha il vantaggio di una

maggiore sensibilità, in quanto il segmento

di acido nucleico viene amplificato 70-90

volte invece di 35-45. Questo fa sì che siano

evidenziabili quantità di acido nucleico

target molto più basse rispetto a quanto sia

possibile con l'uso di una singola PCR.

Altro vantaggio è la maggiore specificità.

Infatti i primer della nested PCR si

legheranno al prodotto ottenuto dalla prima

PCR soltanto se questo si è formato in

maniera specifica. Al contrario, se si fosse

prodotto un aspecifico, i primer della

seconda reazione non si legherebbero e

quindi il risultato sarebbe negativo. Gli

svantaggi consistono in una maggiore

necessità di tempo (circa doppio rispetto ad

Fig. 4: schematizzazione della nested PCR

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una PCR singola) e di reagenti (doppi rispetto ad una PCR singola).

La real time PCR ha il vantaggio della singola PCR, con l'aggiunta che non necessita della manualità

per eseguire l'elettroforesi, in quanto il risultato è visualizzabile sullo strumento. In genere, la tecnica

Sybr green è più semplice, meno costosa ma è sempre opportuno aggiungere una fase di analisi della

melt curve per verificare la specificità dei prodotti ottenuti, che richiede del tempo aggiuntivo rispetto

alla sola PCR. La tecnica Taqman è più rapida e più specifica, ma è più costosa dal punto di vista di

reagenti, e recentemente è stato visto che sequenze molto variabili (es. RNA-virus) potrebbero non

essere riconosciute nel caso avvengano mutazioni proprio nel segmento target della sonda.

Quindi, in linea generale, la real-time e la nested PCR sono più sensibili della singola PCR. Nella

nostra esperienza, la nested PCR ha una sensibilità paragonabile alla sybr green, necessita di più

reagenti e di più tempo, ma è più specifica ed ha minor rischio di contaminazione. Inoltre i prodotti di

PCR possono essere sequenziati (e la specificità delle sequenze può essere verificata in banca dati),

mentre quelli della real time PCR no. Mentre per le infezioni batteriche generalmente la PCR singola

con alto numero di cicli di amplificazione è sufficiente a rilevare l'agente eziologico, nelle infezioni

virali occorre utlizzare la nested PCR o la real time PCR per l'analisi del campione clinico.

La PCR permette di rilevare tutti gli Herpesvirus di tartaruga? Dipende dalle sequenze dei primer che vengono utilizzate. Inizialmente si parlava generalmente di

herpesvirus della tartaruga. Successivi studi e segnalazioni hanno permesso di rilevare, ad oggi,

l'esistenza di quattro herpesvirus diversi nella tartaruga di terra. Non esiste una classificazione ufficiale,

ma gli studiosi hanno proposto la denominazione di Testudinid Herpesvirus (TeHV) tipo 1-4.

Esiste un pò di confusione nella letteratura scientifica riguardo la denominazione dei diversi TeHV

identificati nelle diverse aree gografiche e chiamati in modo diverso in diverse pubblicazioni.

Attualmente gli herpesvirus di tartaruga descritti sono:

TeHV-1 presente in Eurasia, generalmente associato a bassa mortalità e morbidità

TeHV-2 isolato negli Stati Uniti d'America dalla tartaruga del deserto Gopherus agassizii

TeHV-3 presente in Eurasia, generalmente associato ad alta mortalità e morbidità

TeHV-4 isolato da una tartaruga originaria del Sud Africa e diffusa in Sud Africa e Namibia

Questi virus sono ancora oggetto di studio da parte dei ricercatori. Importanti studi di sequenziamento

hanno permesso di rilevare tratti più variabili e tratti più conservati del genoma di questi virus.

Utilizzando primer specifici per i tratti conservati, è possibile effettuare PCR in grado di rilevare tutti

gli herpesvirus che hanno quello stesso tratto genetico. Utilizzando primer specifici per i segmenti

variabili, è possibile identificare solo uno specifico tipo di TeHV (Fig. 5).

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Pertanto, a scopo diagnostico, occorre preferire la tecnica più sensibile e che assicuri di rilevare il

maggior numero di tipi di TeHV noti. A scopo epidemiologico, invece, è possibile impiegare PCR

specifiche per un solo tipo virale. Ad esempio, se venisse impiegata una PCR per rilevare

specificatamente TeHV-1 in una tartaruga infetta da TeHV-3, la PCR risulterebbe negativa. Se invece

venisse impiegata una PCR per rilevare qualunque TeHV ad oggi noto, la tartaruga risulterebbe

positiva. In quest'ultimo caso però non si potrebbe sapere immediatamente il tipo di appartenenza del

TeHV infettante, a meno che non si effettuino il sequenziamento del prodotto ed il confronto

filogenetico con le sequenze note dei TeHV oppure ulteriori PCR differenziali (alcune delle quali sono

però ancora in fase di sviluppo). Il tipo di indagine più opportuno dipende dalla situazione specifica in

cui ci si trova. Ad esempio, ai fini di controllo in collezioni zoologiche, potrebbe essere sufficiente

sapere che la tartaruga è infetta da herpesvirus, senza necessità di conoscerne il tipo di appartenenza. In

caso di campione clinico, invece, conoscere il tipo di appartenenza potrebbe essere utile per valutare la

prognosi e decidere la terapia da intraprendere. Infatti sembrerebbe che TeHV-3 sia più patogeno di

TeHV-1, anche se queste osservazioni preliminari devono ancora essere dimostrate da specifici studi

scientifici.

Il costante monitoraggio delle sequenze virali, lo studio filogenetico e la correlazione con dati

epidemiologici (morbidità, mortalità), forme cliniche e gestione sanitaria è quindi fondamentale per

mantenere un elevato livello diagnostico e fornire utili feedback ai clinici. A questo scopo è

indispensabile la creazione di network collaborativi, nazionali ed internazionali.

Perché è utile effettuare la diagnosi in PCR? Quali sono i limiti? La diagnosi in PCR è utile per quanto riguarda la gestione sanitaria dell'animale. Un animale con

ipersecrezione oculo-nasale e placche nella cavità orale non sempre è affetto da herpesvirosi. In questo

caso il trattamento con antivirale potrebbe non essere il più appropriato. L'uso indiscriminato degli

antivirali, al pari di quello degli antibiotici, può facilitare l'insorgenza di resistenze e rendere inutili i

farmaci disponibili nel medio periodo.

Fig. 5: a seconda dei primer utilizzati, possono essere individuate sequenze specifiche di alcuni TeHV

o comuni a tutti TeHV

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Inoltre un animale infetto da TeHV sarà tale per tutta la vita e rappresenta una possibile sorgente di

infezione per altri soggetti. Sapere che un animale è infetto da TeHV può condizionare la sua gestione,

ad esempio mantenendolo in un gruppo separato dai non infetti, prestando particolare attenzione ad

evitare stress ed immunodepressioni che favorirebbero il manifestarsi dei sintomi, ecc.

I limiti della PCR sono rappresentati soprattutto dal fatto che gli animali infetti non sintomatici in

genere non eliminano virus o lo eliminano in quantità inferiori al detection limit degli strumenti

diagnostici. Pertanto è sempre opportuno dare una corretta informazione ai proprietari, per evitare

spiacevoli incomprensioni.

La PCR rivela se un determinato campione prelevato in un determinato momento contiene particelle

virali/batteriche. Il problema diagnostico dei virus latenti esiste in tutte le specie animali. Nelle specie

di maggior interesse economico sono d'ausilio i test indiretti. Nei rettili gli studi sul sistema

immunitario sono ancora preliminari ed i finanziamenti/interessi conomici sono molto limitati. Questo

siuramente non fa ben sperare né per lo sviluppo di metodi diagnostici integrativi, né per la messa a

punto di vaccini, almeno nel breve periodo.

Alcune letture di approfondimento:

Origgi F. Testudinid heresviruses: a review. Journal of Herpetological Medicine and Surgery

2012, 22;1-2:42-54.

Ariel E. Viruses in reptiles. Vet Res. 2011, 21;42:100.

Marschang R.E. Viruses infecting reptiles. Viruses. 2011, 3(11):2087-126.

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FORMA ATIPICA DI VAIOLO NEL CANARINO

Elena Circella1, Nicola Pugliese1, Michele Marino1, Alessandra Tondo2, Diana Romito1, Francesco

D’Onghia1, Antonio Camarda1

1Sezione di Patologia Aviare, Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari, S.P.

per Casamassima km. 3, Valenzano (BA), Italia

2Libero professionista nel settore della Medicina degli Animali Esotici

Corresponding Author: Prof. Elena Circella, tel. 080/4679829 – fax. 080/4679910 – email:

[email protected]

I Poxvirus aviari sono gli agenti eziologici del vaiolo aviare. Essi appartengono al genere Avipoxvirus,

sottofamiglia Chordopoxvirinae e famiglia Poxviridae (Fauquet et al., 2005). Secondo il Comitato

Internazionale per la Tassonomia dei Virus attualmente si annoverano 10 specie all'interno del genere

Avipoxvirus, tra cui il Poxvirus del pollo, il Poxvirus del canarino, il Poxvirus del tacchino, il Poxvirus del

piccione ed il Poxvirus degli psittacidi. Tra le varie specie, le più studiate e meglio caratterizzate sono i

Poxvirus del pollo e del canarino (Afonso et al., 2000, Tulman et al., 2004, Laidlaw et Skinner, 2004).

Si tratta di virus di grandi dimensioni (258 x 354 nm), di forma simile ad un mattone, dotati di doppia

membrana lipoproteica che riveste un core biconcavo fiancheggiato da due corpi laterali di natura proteica. Il

genoma consiste in una molecola lineare di DNA a doppio filamento, le cui dimensioni non superano i 365

kb. La regione centrale del genoma contiene i geni che possiedono funzioni comuni relativamente conservate

tra i poxvirus, al contrario dei geni situati in posizione terminale che codificano per un’ampia gamma di

proteine determinanti nella selezione dello spettro d‘ospite (Tulman et al., 2004).

In corso di infezione, il virus replica all’interno della cellula inducendo la formazione di corpi inclusi

intracitoplasmatici, corpi di Bollinger, corrispondenti alle sedi di replicazione e di assemblaggio del virus

(Weli et Tryland, 2011). Nonostante siano sensibili a ad etere e cloroformio e nel complesso a diversi

disinfettanti e detergenti, questi virus mostrano una notevole resistenza quando rimangono protetti da

materiale organico quali croste o residui cutanei. È stato dimostrato già in passato che nelle croste le particelle

virali possono sopravvivere per anni (Tripathy, 1993). Resistono inoltre a condizioni ambientali estreme quali

la siccità (Tripathy, 1993). Pertanto, oggetti e attrezzature (ad esempio i posatoi) venuti in contatto con un

animale malato possono essere fonte di infezione persistente nel tempo.

Il vaiolo aviare può colpire numerose specie di volatili. Nel pollame, in cui l’infezione è più nota, attualmente

si riscontra nei soggetti rurali mentre nell’allevamento intensivo il vaiolo rappresenta una patologia piuttosto

rara, grazie all’utilizzo negli anni del vaccino.

Il vaiolo è invece piuttosto frequente nei rapaci sia diurni che notturni. Tra i volatili d’affezione, i canarini

risultano particolarmente sensibili e la malattia è frequente negli allevamenti. Al contrario, i pappagalli

risultano piuttosto resistenti ed il vaiolo in queste specie si riscontra difficilmente.

Dal punto di vista clinico, il vaiolo si può manifestare in forme diverse. Tra queste, la più diffusa è la forma

crostosa, definita anche come forma secca, caratterizzata da lesioni vescicolari a livello delle aree deplumate

della cute, e quindi nelle aree perioculari, intorno al becco, alle narici e sulle zampe. Le vescicole si riempiono

di un essudato citrino, trasparente e, in genere, si accrescono fino a rompersi evolvendo in lesioni crostose.

Quando le croste si seccano completamente, fenomeno che può avvenire anche in diverse settimane, cadono

lasciando cicatrici evidenti, avvallate, talvolta molto estese (Gerlach, 1994). Questa forma è quella che

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tipicamente si osserva nei polli, nei rapaci e nei piccioni e colpisce i soggetti adulti, è generalmente lieve e ha,

il più delle volte, un’evoluzione benigna.

Anche nel canarino, il vaiolo si manifesta come forma crostosa. Anche in questa specie, il vaiolo viene

osservato prevalentemente negli adulti ed in soggetti sessualmente maturi, ha un andamento tendenzialmente

benigno, un’evoluzione lenta ed è classicamente caratterizzato da lesioni cutanee crostose molto tipiche che

si riscontrano soprattutto a livello delle zampe e di altre aree apterili, come la commessura del becco e la

regione periorbitale. Tuttavia, il vaiolo è particolarmente temuto dagli allevatori di canarini, in quanto è una

patologia molto diffusa negli allevamenti ed i canarini presentano una particolare sensibilità all’infezione che

è accompagnata, in questa specie, da tassi di mortalità più elevati. Inoltre nei nidiacei di canarino si verificano

stati viremici, con diffusione del virus in diversi organi, che possono portare a morte l’intera nidiata. Pertanto,

durante il periodo riproduttivo, il tasso di mortalità si eleva ulteriormente soprattutto in seguito alla morte dei

novelli.

In questo lavoro, viene riportato un caso clinico relativo al riscontro di una forma atipica di vaiolo in un

allevamento di canarini, caratterizzato da una grave forma respiratoria ed un più alto tasso di mortalità.

Nell’allevamento colpito erano presenti circa 200 soggetti, di cui 60 riproduttori e circa 140 novelli.

Nell’allevamento è stata osservata la comparsa di una grave forma respiratoria, manifestata con dispnea molto

pronunciata, che ha riguardato indiscriminatamente sia adulti che novelli. I soggetti colpiti hanno inizialmente

presentato il tipico ticchettio della coda legato ad un aumento della escursione addominale in concomitanza

degli atti respiratori. In pochi giorni, si evidenziava l’emissione di fischi, rantoli e rumori respiratori cui

seguiva, in breve tempo, una dispnea sempre più pronunciata che portava l’animale a fame d’aria e

respirazione a becco aperto. Nei canarini colpiti non venivano evidenziati segni di scolo nasale, congiuntivite,

gonfiori dei seni infra e periorbitali o altre manifestazioni legate ad un coinvolgimento dei primi distretti

respiratori, come seni e cavità nasali. Alla sintomatologia spesso seguiva la morte del soggetto. In totale, la

mortalità ha interessato circa 60 canarini e quindi ha raggiunto un tasso pari al 30 %. In nessun animale

venivano rilevate lesioni in sede cutanea.

Considerata la sintomatologia osservata ed il coinvolgimento esclusivo del distretto respiratorio, nella diagnosi

differenziale sono state considerate possibili infezioni respiratorie virali, batteriche ed un’infestazione massiva

da Sternostoma tracheacolum (acariasi respiratoria del canarino). Pertanto, è stato effettuato inizialmente un

trattamento nei confronti di queste ultime, cercando di arginare il problema e ridurre le ripercussioni sul

gruppo colpito, in attesa degli accertamenti diagnostici. In particolare, l’allevamento è stato trattato

collettivamente con doxiciclina in acqua da bere (250 mg/litro) e con somministrazione individuale spot on di

Fipronil, senza alcun esito. Comparsa la mortalità, alcuni soggetti sono stati portati presso la sezione di

Patologia Aviare del Dipartimento di Medicina Veterinaria per accertamenti diagnostici. I soggetti sono stati

sottoposti ad autopsia e successive analisi. In sede autoptica, venivano evidenziate lesioni che coinvolgevano

esclusivamente il distretto respiratorio. In particolare, una forte congestione era presente a livello della laringe

e tra gli anelli tracheali. Nei soggetti in cui la sintomatologia si era maggiormente protratta prima del verificarsi

del decesso, erano presenti membrane fibrinocaseose che occludevano la laringe e/o il lume tracheale, che

avevano determinato la morte per asfissia. In tali soggetti, si rilevava anche congestione polmonare. Non

venivano evidenziate lesioni a carico di altri organi o apparati. Sono stati effettuati esami batteriologici a

partire da campioni di laringe, trachea, polmone, fegato e sangue del cuore su terreni arricchiti e selettivi,

incubati a 37 °C, che hanno escluso un’eziologia di tipo batterico. A partire da campioni di laringe, trachea e

polmone, sono state effettuate indagini virologiche mediante PCR (Polymerase Chain Reaction), volte alla

ricerca di Orthomixovirus e Paramixovirus mediante primers e protocolli precedentemente descritti (Pang et

al., 2002). Tali esami hanno consentito di escludere rispettivamente l’influenza aviare e la pseudopeste aviare.

Gli stessi campioni laringei, tracheali e polmonari sono stati sottoposti a PCR per Avipoxvirus attraverso il

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protocollo di (Lee and Lee, 1997). Le reazioni di PCR hanno portato ad evidenziare le bande di peso

molecolare atteso (578 bp).

Gli amplificati ottenuti in PCR sono stati sottoposti a clonaggio e sequenziamento. L’analisi di sequenza ha

confermato la positività dei campioni al vaiolo. Poiché le sequenze risultavano identiche tra loro, solo una di

esse è stata utilizzata per la filogenesi.

Dall’analisi filogenetica si osserva che la sequenza in esame clusterizza con le altre sequenze di canarypox

virus depositate in GenBank e confrontate. Inoltre dall’allineamento con BLAST (Altschul et al.,1990) delle

stesse sequenze, risulta che l’identità nucleotidica è pari al 99%.

Al contrario, le percentuali di identità tra la sequenza scelta ed Avipoxvirus infettanti altre specie di volatili

variavano dal 77% della sequenza del virus identificato nell’inseparabile al 76% delle sequenze dei virus del

pollo e dei rapaci, confermando una maggiore distanza evolutiva.

Nell’allevamento è stata praticata la vaccinazione d’emergenza per puntura alare con vaccino commerciale ed

un trattamento in acqua da bere con isoprinosina (500mg/litro) per 4 settimane (Todisco et al., 2007),

ottenendo una riduzione della sintomatologia ed il successivo arresto della mortalità.

La forma di vaiolo riscontrata nel caso riportato è alquanto insolita. Infatti, il vaiolo pur essendo molto diffuso

nei canarini, si manifesta in forma cutanea negli adulti ed in forma setticemica nei novelli. La forma descritta

è risultata invece una grave forma difterica a livello dell’albero respiratorio che ha colpito indiscriminatamente

adulti e novelli. Le ripercussioni cliniche ed anatomopatologiche evidenziate nel corso del focolaio ricalcano

per certi aspetti la forma umida o difterica del vaiolo, che è una forma di vaiolo più rara e che si osserva molto

meno frequentemente di quella cutanea sia nel pollo che in altre specie aviari, caratterizzata da lesioni che

possono potenzialmente coinvolgere orofaringe, lingua, laringe e tratto superiore della trachea, costituite da

foci di infiammazione fibrinosa fortemente adesi alla mucosa sottostante (Tripathy et Cunningham, 1984;

Tripathy, 1993). Anche in questo caso i soggetti colpiti vanno incontro a morte facilmente ma è raro che le

lesioni siano occludenti, come invece osservato nei canarini di questo focolaio di infezione, mentre è più facile

che la mortalità sia legata a complicazioni per infezioni batteriche secondarie, che sono state invece escluse

nei canarini analizzati mediante le indagini batteriologiche.

Nei canarini, la positività riscontrata nei campioni poteva variare. Infatti, nella maggior parte dei casi, in uno

stesso animale il virus era evidenziabile in PCR a livello di laringe e trachea e non nei polmoni. Questi

risultavano più facilmente positivi nei soggetti che presentavano la forte congestione a livello tracheale e che

erano deceduti prima della formazione delle lesioni difteriche. Sembrerebbe pertanto che il virus abbia avuto,

nell’ambito dell’apparato respiratorio, una localizzazione diversa a seconda dell’evoluzione clinica che la

malattia ha avuto nei canarini, diffondendosi con maggiore facilità al distretto polmonare nelle evoluzioni

iperacute in cui vi era forte congestione e concentrandosi maggiormente in lesioni più circoscritte nei casi più

protratti in cui si sono formate le lesioni difteriche occludenti il lume dell’albero respiratorio.

La stretta localizzazione del virus nel distretto respiratorio ha probabilmente influenzato la morbilità e la

mortalità piuttosto elevate che hanno caratterizzato il focolaio osservato. Infatti, generalmente la trasmissione

del vaiolo in un gruppo di animali è lenta con un numero di soggetti colpiti più basso, probabilmente perché

essendo frequenti le lesioni cutanee, la diffusione del virus nell’ambiente avviene attraverso le croste e le

desquamazioni cutanee più che mediante espirazioni ed essudati respiratori.

Pertanto, la via di trasmissione più utilizzata in questi casi dal virus è quella indiretta attraverso la puntura di

artropodi ematofagi come zanzare o acari che fungono da vettori passivi. Questi artropodi spesso inoculano il

virus al momento del pasto di sangue e con i loro spostamenti contribuiscono a diffonderlo nell’ambiente.

Altre volte, gli insetti veicolano il virus solo sulla loro superficie esterna. In questi casi, l’infezione può

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avvenire anche attraverso l’ingestione, da parte dei volatili, di questi artropodi. Sono coinvolti in questo tipo

di trasmissione insetti non ematofagi, quali ad esempio Alphitobius diaperinus, coleottero che comunemente

si trova nelle lettiere e che pertanto riveste un importante ruolo epidemiologico soprattutto nel pollame (Locke

et al. 1965; Shirinov et al. 1972; Akey et al. 1981; Sileo et al. 1990). In questi casi, l’ingresso del virus viene

facilitato dalla presenza di soluzioni di continuo, anche minime, della mucosa. Una volta penetrato

nell’organismo, il virus replica nel sito di ingresso e da qui può diffondere in circolo, dando origine ad una

prima viremia. Questo evento può consentire ai virioni di raggiungere gli organi linfatici e il fegato e, dopo

una fase di replicazione in queste sedi, esso può tornare in circolo provocando una seconda viremia che esita

in una localizzazione del virus nuovamente in sedi cutanee, generalmente deplumate (Mayr et Kaaden, 2007).

L'invasione sistemica è agevolata dal fatto che gli APV hanno sviluppato diversi meccanismi per evadere la

risposta immunitaria dell’ospite. Il virus, viene poi eliminato attraverso la puntura di insetti ematofagi durante

la diffusione sistemica, oppure attraverso le croste cutanee (Ritchie, 1995) e solo in caso di lesioni difteriche

attraverso l’espirazione o colpi di tosse, come osservato nei canarini del focolaio descritto. Condizioni di

promiscuità e di elevato affollamento favoriscono notevolmente la trasmissione del virus (Forrester et

Spalding 2003), analogamente a quanto si riscontrava nell’allevamento colpito in cui, come di consueto

avviene negli allevamenti di canarini, più soggetti erano presenti nello stesso locale a stretto contatto tra loro.

Fattori altrettanto importanti sono quelli climatici, tra cui la temperatura e l'umidità elevate che possono

favorire lo sviluppo e la replicazione non solo di vettori (Van Riper et al. 2002) ma anche di elevate

concentrazioni del virus (Akey et al. 1981).

La forma respiratoria di vaiolo riscontrata nei canarini ha comportato qualche difficoltà pratica per la diagnosi

in vivo. Infatti, la diagnosi in vivo generalmente è agevole in quanto si possono utilizzare le croste cutanee,

facilmente asportabili durante la valutazione clinica dei canarini, in cui si può evidenziare il virus in diverse

maniere. Una delle tecniche utilizzabili è la coltivazione del virus sulle uova embrionate, inoculate sulla

membrana corion-allantoidea (CAM), su cui si evidenziano i caratteristici pocks, tondeggianti, compatti e

biancastri, di circa 0,5 cm, che corrispondono alle sedi di replicazione del virus (Cox, 1980). Il virus può

essere facilmente riscontrato nelle croste cutanee anche in microscopia elettronica, eccellente mezzo per la

diagnosi di vaiolo aviare (Beaver et Chetum, 1963), anche se di più difficile applicabilità considerata la

necessità di disporre di un microscopio elettronico e di competenze specifiche nel campo della microscopia

elettronica. Le tecniche molecolari come la PCR consentono una diagnosi rapida e sicura. La PCR adottata in

questo lavoro basandosi sull’analisi di una regione conservata corrispondente al gene P4b, codificante per

una proteina del core virale (Huw Lee et Hwa Lee, 1997), ha consentito anche una successiva valutazione

filogenetica del virus identificato. Attualmente infatti la filogenesi dei virus del vaiolo si basa proprio

sull’analisi di questa regione (Manarolla et al., 2010). Nel focolaio descritto la PCR è stata tuttavia applicata

a campioni d’organo, come diagnosi post-mortem. Infatti, non essendo presenti lesioni cutanee, il virus era

identificabile solo a livello dell’albero respiratorio, ma date le ridotte dimensioni dei canarini sarebbe stata

inapplicabile l’esecuzione di una diagnosi in vivo mediante tamponi sulla mucosa laringotracheale.

Analogamente test sierologici, che prevedono il prelievo di un quantitativo di sangue piuttosto cospicuo per

permettere di ottenere del siero sufficiente per fare una titolazione, sono inapplicabili in piccole specie come

i canarini, oltre alla difficoltà di avere test specifici considerata la specie specificità immunitaria indotta dai

diversi poxvirus (Smits et al., 2005).

La localizzazione delle lesioni con la conseguente grave sintomatologia respiratoria, accompagnata dalla totale

assenza di lesioni cutanee, indurrebbe ad ipotizzare un particolare tropismo del ceppo identificato nel focolaio,

rispetto agli stipiti virali che causano la forma classica di vaiolo nel canarino, per l’apparato respiratorio.

Tuttavia, la filogenesi del frammento genomico analizzato non ha evidenziato alcuna differenza tra questo

ceppo e gli stipiti di vaiolo del canarino depositati in GenBank. Essendo la regione su cui si basano attualmente

le ricerche filogenetiche dei virus del vaiolo aviare (Manarolla et al., 2010), una regione molto conservata,

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ulteriori elementi potrebbero derivare dall’analisi di altre porzioni del genoma, di dimensioni molto elevate

per poterlo agevolmente sequenziare in toto, a supporto di questa ipotesi.

I miglioramenti osservati in allevamento, ottenuti in seguito alla vaccinazione d’emergenza, portano a

sottolineare l’importanza di ricorrere costantemente alla vaccinazione per il vaiolo negli allevamenti di

canarini. Tuttavia attualmente il vaccino, che per essere efficace deve essere specifico e pertanto prodotto a

partire dal poxvirus del canarino, non è in commercio e nell’allevamento è stato possibile praticare la

vaccinazione solo perché era disponibile una scorta di una partita precedente.

In assenza del vaccino, può risultare utile la somministrazione di immunostimolanti come isoprinosina e di

trattamenti di supporto a base di vitamina A, C ed acidi grassi Ω3 e Ω6, il cui effetto protettivo e regolatore è

ben documentato.

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ASCESSO ODONTOGENICO NEL CONIGLIO: MARSUPIALIZZAZIONE "AVANZATA" Daniele Vitolo Med Vet, San Donato Milanese (MI)

Nelle patologie dentali del coniglio le infezioni periapicali rivestono un ruolo di grande importanza

soprattutto quando divengono responsabili della formazione di ascessi facciali. Tale entità patologica

prende l'aggettivo odontogenico in relazione alla sua patogenesi.

Il trattamento degli ascessi di origine dentale è ad oggi una sfida terapeutica per cui sono descritte

diverse opzioni, principalmente chirurgiche, accomunate dallo scopo di rimuovere il materiale

necrotico e infetto nel modo più radicale possibile. L'approccio chirurgico dovrebbe mirare ad

ottenere l'escissione completa dell'ascesso compresa la capsula. Purtroppo le strutture anatomiche

coinvolte e le tempistiche d'intervento spesso tardive (per la fisiopatologia dell'infezione/ascessi

periapicale), non rendono sempre possibile la completa e corretta attuazione di questa tecnica

chirurgica.

Alternative possibili sono il drenaggio e il curettage chirurgico con eventualmente l'utilizzo di perle

di polimetilmetacrilato, calcio idrossilato o ceramiche bioattive che sono lasciate in situ prima di

suturare la cute. Tale soluzione appare però largamente insufficiente a rimuovere interamente

l'infezione e il tessuto necrotico per cui esita quasi inevitabilmente in una recidiva.

Ad oggi Il trattamento che sembra fornire risultati migliori è la marsupializzazione. Quest’opzione

consiste nell'escindere la capsula nel modo più completo possibile lasciando aperto il difetto di

tessuto che si viene a creare. Qualora l'infezione coinvolga un segmento osseo si procede alla

rimozione quanto più radicale della necrosi ossea e del sequestro, in caso sia presente. Il bordo della

cavità osteomielitica ottenuta viene infine suturato, insieme ai tessuti circostanti, alla cute per

ritardare la guarigione del gap e permettere un debridment continuo del sito chirurgico. La gestione

post chirurgica è altrettanto importante e consiste in medicazioni quotidiane dove si utilizzano

soluzioni antisettiche che irrigando la ferita agevolano la rimozione manuale della fibrina e

dell'eventuale pus presente. Successivamente alla detersione e allo sbrigliamento viene riportato

nella gestione della guarigione per seconda intenzione l’utilizzo di miele medicato, pomate/unguenti

o garze antibiotate scelte sulla base dell’esperienza clinica personale. Recentemente, inoltre è stata

proposta l'impiego della laserterapia durante le medicazioni con lo scopo di ridurre l'infezione e

stimolare la rigenerazione tissutale.

Il principale svantaggio di queste opzioni terapeutiche consiste nella necessità di sottoporre il

paziente a medicazioni frequenti, spesso dolorose che, se compiute dal personale medico,

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prevedono una lunga degenza oppure un frequente trasporto del paziente, se compiute dal

proprietario possono risultare inadeguate e poco accettate da quest’ultimo per l'impatto psicologico

che comportano.

In medicina umana, attraverso la Word Union of Wound Healing Societies, si è sviluppato l'uso di

medicazioni definite "avanzate" che controllano il microambiente della ferita e ne gestiscono

l'essudato. Seppur non vi sia consenso sulla definizione di medicazione avanzata è possibile

descriverla come una medicazione in materiale dotato di biocompatibilità in grado di interagire con

la sede di lesione e stimolarne la guarigione mantenendo umidità e pH ottimali ed inibendo la

crescita batterica. Tra le numerose possibilità presenti in commercio, la nostra esperienza si è

concentrata sull’utilizzo di garze con fibre di idroalginato e carbossimetilcellulosa (CMC) intrecciate

a fibre di argento (Silvercell®). Tale scelta si è basata sulla elevata capacità di assorbenza dimostrata

in lesioni con abbondante presenza di essudato.

Gli alginati sono infatti composti con notevole potere assorbente in grado di formare un gel che,

mantenendo l'ambiente ad umidità controllata, risulta particolarmente efficace nel debridment

autolitico. In base alle caratteristiche descritte tali materiali risultano molto utili per le lesioni

cavitarie. Nelle garze in oggetto di studio le fibre di idroalginati sono preparate con l'aggiunta di ioni

calcio, caratteristica che ne determina una minor solubilità e una maggior resistenza, in modo tale

da mantenerne l’integrità anche in presenza di abbondante essudato. Le fibre di

carbossimetilcellulosa forniscono un’ulteriore capacità di assorbenza alla garza, in quanto

quest’ultime si imbibiscono rapidamente e trattengono, anche sotto pressione, i liquidi.

Il processo di guarigione, assicurato dai materiali sopra descritti, necessita anche del controllo della

popolazione batterica della ferita. A questo fine circa un terzo della garza è costituita da fibre di

argento. Gli ioni argento esplicano un'azione battericida con diversi meccanismi: si legano alla

membrana cellulare, disgregandola, e alle proteine a livello citoplasmatico, interferendo con la

produzione di energia, con la funzione enzimatica e con la divisione cellulare. E’ importante ricordare

che la ionizzazione dell'atomo di argento, al fine di indurre la morte della cellula batterica, avviene

a contatto con l'aria ma risulta facilitata in ambiente acquoso.

Inoltre la casa produttrice della garza Silvercell® riporta una durata dell’attività battericida di oltre

una settimana, anche in presenza di abbondante essudato.

In conclusione possiamo riassumere che le caratteristiche delle medicazioni all'argento, e nello

specifico quella presa in esame, sono: elevate assorbenza e attività antibatterica, entrambe

mantenute nel tempo. Appare evidente che nella terapia degli ascessi odontogenici attraverso la

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marsupializzazione queste due caratteristiche sono essenziali. Ricordiamo che nelle medicazioni

“standard” vi è però la necessità di una gestione quotidiana al fine di continuare il debridment della

ferita e permettere una adeguata guarigione per seconda intenzione. Inoltre si è già fatto riferimento

come tale gestione nella pratica clinica, per varie esigenze, a volte venga demandata al proprietario

del paziente. Il limite di questa opzione terapeutica è in relazione al fatto che tale manualità anche

se non necessita di una importante curva di apprendimento è comunque un atto medico e se non

ben fatto potrebbe peggiorare un quadro già normalmente instabile. Oltre a ciò anche quando tale

procedura viene effettuata in ambito domestico quotidianamente, richiede un follow-up veterinario

il più frequente possibile, con un disagio sia per il paziente che per il proprietario.

In relazione all'ipotesi di una sensibile diminuzione della frequenza delle medicazioni si sviluppa

l'interesse per le garze biocompatibili contenenti argento. A conoscenza degli autori ad oggi non vi

sono segnalati protocolli d'utilizzo di medicazioni avanzate nel trattamento degli ascessi nel coniglio.

Lo scopo del presente lavoro è la descrizione dell'utilizzo di una garza con fibre di idroalginato e

carbossimetilcellulosa intrecciate a fibre d'argento (Silvercell®) nel management post chirurgico

degli ascessi odontogenici nel coniglio.

La gestione della marsupializzazione deve seguire i principi indicati dall' ©International Wound Bed

Preparation Advisory Board riassunti nell'acronimo TIME (T ad indicare la gestione dei Tessuti, I per

il controllo di infiammazione e infezione, M moisture balance cioè adeguata umidità ed E relativo ai

bordi Epiteliali).

Non si vuole descrivere in maniera dettagliata l’approccio chirurgico all’ascesso odontogenico, così

come tutte le fasi di diagnostica che precedono l'intervento con la pianificazione delle estrazioni

del/dei denti coinvolti. I quali qualora risultassero di impossibile estrazione con approccio intraorale

si procederà alla stessa tramite approccio extraorale, una volta incisa la capsula dell'ascesso durante

il trattamento chirurgico qui di seguito riportato. Prestiamo però particolare attenzione a questa

fase, quella della marsupializzazione che inizierà con l'isolamento della capsula dai tessuti circostanti

fino al punto in cui essa si inserisce sulla base ossea, a questo livello verrà incisa ed asportata con il

relativo contenuto. É molto importante mantenere un approccio risolutivo e rimuovere

completamente i tessuti necrotici compreso quello osteomielitico. Se non si reputasse adeguata la

rimozione del tessuto necrotico è possibile continuare lo sbrigliamento attraverso quello enzimatico.

Risulta evidente come già questa fase sia in stretta correlazione alle linee guida sopra indicate, nello

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specifico la “T” (con appunto la valutazione dei tessuti) oltre che alla “I”, iniziando la gestione dell’

infezione.

I successivi elementi della ferita da valutare, cioè, l’infezione e l’infiammazione con l’aggiunta del

controllo dell’ essudato vengono assicurati dall’utilizzo della medicazione avanzata.

Difatti nella fase successiva il sito della marsupializzazione viene irrigato con ringer lattato sterile e

colmato con la garza Silvercell®, fissandola ai margini mediante punti metallici.

In seguito, vengono valutati i margini della lesione (il bordo epiteliale). Nel caso della

marsupializzazione, senza l’applicazione della garza in esame, abbiamo detto che i margini vengono

suturati con la cute al fine di permettere un frequente, trattamento di detersione, debridment e

applicazione di prodotti topici. Invece l'utilizzo delle medicazioni avanzate non prevede il

mantenimento del sito chirurgico aperto, in quanto si impiega una garza per colmare il gap che viene

sostituita settimanalmente, la ferita operatoria non viene completamente suturata, quando è

possibile, per favorire il cambio della medicazione. Inoltre nella casistica avuta l'utilizzo dei punti

metallici si è dimostrato un ottima alternativa, per semplicità e velocità di utilizzo, anche nelle

medicazioni successive, con paziente vigile.

Tali controlli avvengono con una frequenza che a priori non è possibile indicare; per quanto tempo

si possa lasciare la garza nel sito della marsupializzazione dipende da numerose variabili relative

soprattutto alla patogenesi e alla gravità della odontopatia all'origine dell'infezione apicale. In

sostanza durante il processo di guarigione è necessario valutare costantemente, come ricordato

appunto dall’acronimo sopracitato, l’aspetto dei tessuti coinvolti, la presenza di infezione e di

essudato, così come i margini della ferita. Secondo l'esperienza degli autori, in base alla modesta

casistica presa in esame, la frequenza del cambio della garza Silvercell® nel sito chirurgico avviene

dai 5 giorni, al primo controllo nelle ferite particolarmente essudative, ai 7-10 giorni, in tutti gli altri

casi.

Ad ogni controllo medico il paziente viene sottoposto, attraverso un'azione meccanica (curette,

garze imbevute con perossido d’idrogeno) alla pulizia della cavità e rimozione della fibrina e del

materiale organico formatisi. Da indicare che quest’ ultimo nasce dall’interazione tra la garza ed il

letto della ferita, ed è responsabile dell’odore sgradevole che potrebbe essere percepito. Inoltre tale

biocompatibilità della garza Silvercell® con il sito della marsupializzazione comporta modificazioni

dell’aspetto di quest’ultima che vanno quindi considerati normali. Successivamente il sito chirurgico

viene irrigato con ringer lattato sterile e la garza Silvercell® viene riposizionata e fissata lungo i

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margini con punti metallici. I controlli, in condizioni ottimali, si susseguono una volta alla settimana,

fino alla completa guarigione sovente raggiunta al 3° o 4° controllo.

L'utilizzo della medicazione avanzata risulta particolarmente utile anche nei casi in cui vi è una

comunicazione della cavità osteomielitica con il cavo orale. Vi possono essere infatti situazioni in cui

non sia possibile suturare la gengiva nel sito di estrazione con la creazione di una fistola e il

conseguente passaggio di saliva e/o materiale alimentare nel letto della ferita a livello della

marsupializzazione, interferendo con il processo di guarigione. Le garze in oggetto aiutano la

gestione di questa complicanza colmando la cavità osteomielitica e interfacciandosi con la cavità

orale diminuiscono la potenziale contaminazione batterica via fistola.

Parallelamente all'azione locale si imposta una terapia antibiotica sistemica in relazione al risultato

dell'esame colturale ottenuto inviando parte della capsula escissa in sede chirurgica. Si ricorda infatti

che nella gestione delle ferite, quelle secondarie a marsupializzazione sono da considerarsi come

quelle da frattura esposta con osteomielite.

In conclusione l'utilizzo delle medicazioni avanzate, con garze all’argento, nel trattamento degli

ascessi odontogenici nel coniglio permette un adeguato processo di guarigione anche con una

notevole diminuzione della frequenza di trattamenti locali da effettuare. Inoltre non deve essere

sottovalutata la compliance e la soddisfazione del proprietario sia in merito al risultato estetico sia

in relazione ad una riduzione della gestione domestica.

É evidente che la casistica che proponiamo non rifletta le caratteristiche, in primis per l'esiguo

numero, di un lavoro da cui si possano trarre conclusioni per una medicina basate sull'evidenza. Lo

scopo è stato quello di descrivere la nostra esperienza e di fornire uno spunto di riflessione per

l'attività clinica e l'eventuale organizzazione di un lavoro scientifico a tutti gli effetti.

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Frattura/lussazione calcaneare nel coniglio da compagnia: cosa fare?

Filippi Antonio Med Vet, Mestre (VE)

Introduzione Le fratture nel coniglio da compagnia sono frequenti ed il loro trattamento è complicato dalla dimensione dei pazienti e dalla loro indole. La maggior parte delle fratture e lussazioni nel coniglio sono autoindotte o legate a piccoli traumi domestici (2,5). Tra i problemi ortopedici la lussazione intertarsica, con o senza frattura calcaneare, è una patologia tra le più comuni e gravi, che pone grossi dilemmi riguardo l’approccio: conservativo vs chirurgico e quale approccio chirurgico sia il migliore(1,2). Tali lesioni sono probabilmente secondarie all’abitudine dei conigli di battere i piedi per paura/minaccia, e spesso sono complicate da infezioni secondarie all’esposizione dell’osso; la lussazione intertarsica complicata da infezioni può rendere necessaria l’amputazione dell’arto (1,4,5).

Descrizione del caso

Si descrivono sei casi di lussazione intertarsica con o senza frattura calcaneare secondaria ad autotraumatismo. Quattro di queste lesioni risultano esposte (a,b,c,e) e vengono trattate chirurgicamente con curettage aggressivo della ferita e fissazione delle fratture; due non esposte (d,f) vengono trattate una chirurgicamente ed una in maniera conservativa. Il trattamento chirurgico nel caso a consiste nell’applicazione di un singolo filo di kirschner endomidollare dal calcaneo al 4° osso tarsale, il caso e con l’applicazione di un fissatore esterno trans articolare tibio-tarsico, nei casi b, c, d vengono applicati due fili di kirschner lisci endomidollari inseriti dal calcaneo attraverso il tarso ed uniti ad un filo passante per le teste dei metatarsi in modalità tie-in ottenendo così una artrodesi intertarsica. Il caso f viene trattato conservativamente. Controlli e radiografie sono eseguiti a cadenza mensile. Quattro casi (a,b,c, e) hanno avuto complicazioni gravi, uno(e) ha richiesto una revisione chirurgica, uno (b) è deceduto per motivi non inerenti la patologia ortopedica due giorni dopo la chirurgia. I casi a e c hanno avuto un ritardo di consolidamento con sviluppo di pseudoartrosi ipertrofiche e calli esuberanti. Nonostante le numerose complicazioni e la lenta guarigione la ripresa funzionale viene considerata buona.

Conclusioni Come riportato dalla Harcourt-Brown (1), nonostante la buona ripresa funzionale dell’arto, il risultato del trattamento chirurgico delle lussazioni viene considerato scarso a causa dell’incapacità di ottenere una buona riduzione, dell’esuberanza del callo osseo e delle potenziali osteomieliti. La lussazione trattata conservativamente ha garantito un buon esito funzionale dell’arto con una grave alterazione della conformazione articolare. L’applicazione di due chiodi centromidollari legati ad un filo passante per i metatarsi sembra essere comunque promettente. L’unico fattore prognostico valido è la presenza o meno di esposizione del focolaio. E’ quindi necessario trattare con urgenza le fratture/lussazioni calcaneari per evitare la contaminazione secondaria del focolaio.

Bibliografia

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LA TORSIONE DI LOBO EPATICO NEL CONIGLIO: STATO DELL’ARTE E 3 CASI CLINICI

Petrini Daniele Med Vet, Pisa La torsione di lobo epatico è una patologia poco comune ed è descritta nell’uomo, nel cavallo, nel cane, nel maiale, nella lontra, nel topo, nel ratto e nel coniglio. In letteratura veterinaria sono scarsi i lavori che trattano questa patologia infatti sono riportati solo pochi casi nel coniglio, mentre sono più numerosi quelli descritti nel cane. Nel coniglio il lobo più colpito è il caudato (62%), probabilmente a causa della vicinanza con la regione ilare dorsale del fegato e di una lassità dei legamenti epatici. I segni clinici di torsione di lobo epatico nel coniglio non sono spesso specifici e possono variare: anoressia, letargia, diminuzione dei pellet fecali emessi, alterazioni posturali; in letteratura è descritta anche assenza di sintomatologia. Spesso è concomitante la presenza di sindrome gastroenterica con distensione o dilatazione gastrica. Gli esami biochimici mostrano di solito un aumento delle transaminasi, della fosfatasi alcalina, della bun, della creatinina e l’anemia è un reperto molto comune in corso di torsione di lobo epatico nel coniglio. L’esame radiografico non sempre è utile per la diagnosi mentre l’ecografia riveste un ruolo fondamentale. La diagnosi si raggiunge con l’ausilio della diagnostica per immagini, degli esami ematobiochimici o direttamente durante la laparotomia esplorativa. Questo lavoro descrive la torsione di lobo epatico nel coniglio valutandone gli aspetti clinici, la diagnostica di laboratorio, la terapia, la prognosi e il follow up. Verranno illustrati 3 casi clinici con relativo iter, due con esito fausto ed uno infausto. Ciascuno di questi sarà corredato da descrizione clinica, esame radiografico ed ecografico, esami di laboratorio completi, descrizione della tecnica chirurgica, descrizione istologica del lobo e follow up. A causa della grave anemia presente in un caso, è stato necessario ricorrere anche ad una trasfusione ematica subito prima della chirurgia. La prognosi per gli animali in cui la diagnosi è effettuata precocemente e che quindi vengono sottoposti a terapia chirurgica immediata, è fausta ed eccellente. BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

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- Liver lobe torsion in three adult rabbits. Wenger S., Barrett EL, Pearson GR, et al. J Sm Anim Pract. 50 (2009) pp 310-305

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Nuove strategie diagnostiche nella parassitologia degli animali non convenzionali

Prof. Giuseppe Cringoli

Unità di Parassitologia e Malattie Parassitarie,

Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali,

Università degli Studi di Napoli Federico II, Via della Veterinaria, 1, 80137 Napoli

Negli ultimi anni, anche nei Paesi occidentali si è assistito ad un notevole incremento della presenza

degli animali “esotici e non convenzionali” ed alla sempre più ampia diffusione di queste specie

come “pets”.

Tuttavia, le conoscenze dei medici veterinari a riguardo dei problemi sanitari ed in particolare delle

parassitosi, non sembrano ancora rispondere in maniera adeguata alle necessità, anche a causa della

carenza ed incompletezza della letteratura scientifica in questo contesto. Sono ancora limitati gli

studi sulla fauna parassitologica di questi animali e sono lacunose le notizie circa l’identificazione

di alcune specie parassite rinvenute, che restano ancora “senza nome”.

Un’ulteriore difficoltà è legata al fatto che le feci di questi animali contengono spesso pollini,

nonché uova di ecto ed endoparassiti (pseudoparassiti) degli animali utilizzati come alimento, che

pertanto possono fuorviare una corretta interpretazione dei risultati di un esame parassitologico.

In tutti i casi, va pima di tutto ribadito che anche nel campo della parassitologia una diagnosi di

qualità richiede l’utilizzo di tecniche di elevata sensibilità, specificità, accuratezza, precisione,

riproducibilità e capacità di identificare rapidamente gli elementi parassitari.

L’esame copromicroscopico è a tutt’oggi l’approccio diagnostico maggiormente utilizzato per la

diagnosi parassitologica sia in medicina veterinaria che in medicina umana. Esso si avvale di

tecniche qualitative e tecniche quantitative. Nello specifico, le prime sono finalizzate alla messa in

evidenza degli elementi parassitari presenti nei campioni di feci (uova, larve, oocisti e cisti - EP), le

seconde (Faecal Egg Count - FEC) consentono anche la conta degli EP, espressa poi come uova per

grammo di feci (UPG), larve per grammo di feci (LPG), oocisti per grammo di feci (OPG) e cisti

per grammo di feci (CPG).

Presso i laboratori dell’Unità di Parassitologia e Malattie Parassitarie del Dipartimento di Medicina

Veterinaria e Produzioni Animali dell’ Università degli Studi di Napoli Federico II, sono state

messe a punto le tecniche FLOTAC e le tecniche Mini-FLOTAC, nuove tecniche

copromicroscopiche quali-quantitative multivalenti, altamente sensibili, precise ed accurate per una

diagnosi di qualità delle infezioni parassitarie degli animali e dell’uomo (Cringoli et al., 2010;

Cringoli et al., 2013). Queste tecniche presentano anche il vantaggio di poter essere eseguite sia su

campioni di feci fresche che su campioni fissati (e.g. formalina 5%). La possibilità di poter lavorare

su campioni fissati consente una migliore programmazione delle attività di laboratorio e,

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soprattutto, garantisce la sicurezza del personale esposto ad eventuali rischi sanitari legati alla

presenza di elementi infettanti (virus, batteri, protozoi, ecc) nei campioni di feci fresche.

Le tecniche FLOTAC (basic, dual, double e pellet\) si basano sull’utilizzo del FLOTAC, un

apparato di forma circolare che si compone di tre elementi: base, disco di traslazione e disco di

lettura che, nell’insieme, delimitano due camere di flottazione di 5 ml cadauna (volume totale = 10

ml) e che permettono un ingrandimento massimo di 400x. Su ogni camera di flottazione è inciso un

reticolo di lettura 18x18 mm. Alcuni accessori (vite, chiavetta, fondo, adattatore per centrifuga ed

adattatore per microscopio) sono a corredo del FLOTAC, necessari per la fase di centrifugazione

(tutte le tecniche FLOTAC prevedono una fase di centrifugazione) ed il successivo esame al

microscopio.

La FLOTAC basic technique prevede, durante l’esame del campione, l’utilizzo di una sola

soluzione flottante (SF), la più efficiente per l’EP di interesse. Questa tecnica, di elevata sensibilità,

è particolarmente indicata per la messa in evidenza e per la enumerazione di livelli bassi o molto

bassi di EP di una sola specie parassita (infezioni monospecifiche naturali o sperimentali) o di EP di

parassiti differenti, ma che hanno lo stesso comportamento (in termini di flottazione) nei riguardi

della SF scelta. Con questa tecnica, la sensibilità analitica è pari a 1 UPG/LPG/OPG/CPG.

La FLOTAC dual technique prevede l’impiego di 2 SF complementari (in termini di peso specifico

e/o capacità flottante), utilizzate in parallelo sullo stesso campione di feci. Questa tecnica è

particolarmente indicata per screening diagnostici e per studi epidemiologici con campioni

contenenti EP appartenenti a specie e/o generi parassitari diversi per i quali sono necessarie SF

differenti, che facciano affiorare con la massima efficienza gli EP di interesse. Con questa tecnica

la sensibilità analitica è pari a 2 UPG/LPG/OPG/CPG.

La FLOTAC double technique prevede l’esame in parallelo di due campioni diversi provenienti da

due soggetti differenti utilizzando uno stesso FLOTAC, destinando una camera di flottazione ad un

campione e l’altra camera di flottazione all’altro campione e utilizzando la stessa SF. Con questa

tecnica la sensibilità analitica è pari a 2 UPG/LPG/OPG/CPG.

Le FLOTAC pellet techniques - Le tecniche FLOTAC di cui sopra partono da un campione di feci a

peso noto; le tecniche pellet sono state sviluppate per campioni di feci fresche o fissate, il cui peso

di partenza (o all’interno del fissativo) non è noto, situazione che si verifica frequentemente nella

routine diagnostica o in caso di indagini epidemiologiche, dove non sempre è possibile pesare il

campione. In questo caso, un peso di riferimento standardizzato è il “pellet” ottenuto dopo

filtrazione e centrifugazione di un’aliquota misurata del campione di partenza.

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Le tecniche FLOTAC sono state ampiamente validate e standardizzate per la diagnosi

parassitologica in campo medico veterinario e medico.

In particolare, la FLOTAC dual technique (adoperando in parallelo due soluzioni flottanti: SF2 - a

base di sodio cloruro, con densità pari a 1.200 ed SF7 - a base di zinco solfato, con densità pari a

1.350) è stata utilizzata per la diagnosi in diversi animali esotici e non convenzionali: rettili (i.e.

tartarughe, serpenti, sauri) (Rinaldi et al., 2012; Dipineto et al., 2012), mammiferi dello zoo

(Maesano et al., 2014) e roditori pets (i.e. guinea pig, scoiattoli, criceti, cincillà, ratti, topi, furetti)

(d’Ovidio et al., 2014a; d’Ovidio et al., 2014b; d’Ovidio et al., 2015a; d’Ovidio et al., 2015b).

Il Mini-FLOTAC è un’evoluzione delle tecniche FLOTAC, per effettuare FEC multivalenti in

laboratori con risorse limitate (i.e. dove non è disponibile la centrifuga).

Il Mini-FLOTAC è composto da due elementi: base e disco di lettura, che, nell’insieme, delimitano

due camere di flottazione di 1 ml cadauna (volume totale = 2 ml) e che permettono un

ingrandimento massimo di 400x. Su ogni camera di flottazione è inciso un reticolo di lettura 18x18

mm, come per il FLOTAC. Il Mini-FLOTAC è inoltre dotato di due accessori: chiavetta, necessaria

per la traslazione dell’apparato e l’adattatore per microscopio. Le tecniche Mini-FLOTAC (fresh

faeces e fixed faeces), non necessitano della centrifugazione e si suggerisce l’utilizzo combinato con

il Fill-FLOTAC che facilita le prime quattro fasi delle tecniche: prelievo e misurazione del

campione, omogeneizzazione, filtrazione e riempimento del Mini-FLOTAC.

Il Fill-FLOTAC è un kit composto da un bicchiere graduato, un coperchio con filtro e un’asta con

cono raccoglitore/omogeneizzatore. Vi sono due versioni del Fill-FLOTAC: Fill 2, che permette di

analizzare 2g di feci, viene suggerito per i campioni di cani, gatti, animali esotici, non

convenzionali e uomo e Fill 5, che permette di analizzare 5g di feci e viene suggerito per gli

erbivori. Il Fill-FLOTAC è un sistema chiuso, disegnato principalmente per la sicurezza

dell’operatore, riducendo al minimo il contatto con il campione di feci fresche o fissate.

Ad oggi, le tecniche Mini-FLOTAC sono state utilizzate e validate per la diagnosi dei più comuni

parassiti dell’uomo (Barda et al., 2013a, b, c; Assefa et al., 2014; Barda et al., 2014a, b; Nikolay et

al., 2014; Smith et al., 2015; Barda et al., 2015; Benjamin-Chung et al., 2015) e del cane (Maurelli

et al., 2014; Lima et al., 2015), di Toxoplasma nei gatti (Djokic et al., 2014), di strongili

gastrointestinali negli ovini (Rinaldi et al., 2014; Godber et al., 2015), di Eimeria nelle capre (Silva

et al., 2013), di Calicophoron daubneyi nei bovini (Malrait et al., 2015) e di Parascaris nei cavalli

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(Donoghue et al., 2015). Il Mini-FLOTAC è stato utilizzato anche per la diagnosi del lievito

Macrorhabdus ornithogaster negli uccelli (Borrelli et al., 2015).

Studi preliminari, non ancora pubblicati, effettuati su animali esotici e non convenzionali, hanno

evidenziato un’elevata sensibilità, accuratezza e precisione delle tecniche Mini-FLOTAC e

un’ottima alternativa diagnostica in ambulatori e laboratori non equipaggiati con centrifuga per

l’utilizzo delle tecniche FLOTAC.

Per ulteriori informazioni in merito alle tecniche FLOTAC e Mini-FLOTAC consultare il sito

www.parassitologia.unina.it.

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LINFOMA MULTICENTRICO LEUCEMICO IN UNA MORELIA VIRIDIS TRATTATO CON

PREDNISOLONE E L-ASPARAGINASI

Emanuele Lubian, DVM 1,4, Diana Binanti, DVM, PhD, ECVP 2, Vincenzo Montinaro, DVM 3, Michele Benedetto, DVM 4, Massimo

Millefanti, DVM 1 1 Freelance, Ambulatorio veterinario, Gaggiano, Italy 2 Pathologist, AbLab srls, Sarzana, Italy 3 Freelance, CVN Srl, Nerviano, Italy 4 Freelance, Clinica Veterinaria Città di Vigevano, Vigevano, Italy

Il presente studio descrive l’approccio clinico, la terapia, gli esami macroscopici e microscopici in un caso di

linfoma leucemico con una massa timica primaria in una Morelia viridis.

Una femmina di Morelia viridis, captive-bred, di 4 anni e 620 g di peso, è stata portata a visita per un

inspessimento del corpo nella regione cardiaca insorto nei pochi giorni antecedenti. Non riuscendo a valutare

la presenza dell’itto cardiaco in questa regione non è stata imputata al cuore la causa dell’ispessimento, d’altro

canto l’itto stesso non era percepibile in altri segmenti corporei. Per tale ragione è stata effettuata l’ecografia

della regione per definire la natura dell’organo aumentato di volume, essa ha rilevato la presenza di una lesione

nodulare posta cranio ventralmente al cuore (impedendone perciò la percezione dell’itto dall’esterno). Tale

lesione aveva dimensioni di 6,11 cm di lunghezza; 3,33 cm di larghezza e 4,29 cm di profondità (misurazione

effettuata dalla colonna vertebrale vista l’impossibilità di poter misurare la massa dall’interno). L’analisi

citologica, effettuata dopo prelievo eco-guidato ha rilevato la presenza di una popolazione monomorfica di

cellule rotondeggianti, con elevato rapporto nucleo/citoplasmatico, citoplasma leggermente eosinofilo, nucleo

da rotondo ad ovalare, con nucleolo centrale spesso evidente, non erano visibili mitosi nei campioni analizzati;

tale lesione era quindi compatibile con linfoma. L’esame del sangue invece ha mostrato un notevole

incremento delle cellule della linea bianca (leucocitosi) caratterizzata da leggera eterofilia e marcata linfocitosi,

circa 80 x 103/mm2 (non esistendo valori di riferimento in letteratura relativi alla specie in questione si è

considerato quelli di specie simili, e, nei boidae, a seconda della specie, il valore normale può variare da circa

0,5-353/mm2), tali cellule linfoidi mostravano caratteristiche molto simili a quelle riscontrate nella massa

principale. I restanti valori ematochimici (sono stati analizzati AST, BA, CK, UA, Glu, Ca, Fos, TP, Alb, Glob,

K, Na) erano completamente nella norma. E’ stata così emessa la diagnosi di linfoma leucemico. Nei pochi

giorni successivi, in attesa di definire l’eventuale approccio terapeutico, sono comparsi una serie di noduli

cutanei diffusi su tutto il corpo; l’analisi citologica degli stessi ha mostrato la stessa popolazione cellulare

presente nella massa primaria.

Basandosi sulla scarsa bibliografia presente è stata inizialmente impostata una terapia a base di prednisolone

2 mg/kg IM q24h e, una settimana dopo, una singola iniezione di L-asparaginasi 400 U/kg IM, pensando

eventualmente di aggiungere in seguito anche la lomustina impostando un protocollo terapeutico simile a

quello utilizzato per cani e gatti. Prima e durante la terapia la massa principale (quella localizzata nell’area

cardiaca) è stata misurata più volte a distanza di 4-7 giorni per monitorare meglio la sua eventuale riduzione.

In questo periodo sono stati anche raccolti 2 prelievi ematici (per ematologia ed ematochimica) per valutare

l’eventuale sofferenza organica dovuta alla terapia; i prelievi sono stati entrambi cardiaci e la valutazione

emocromocitometrica è stata effettuata tramite valutazione dello striscio ematico e conta con camera di

Neubauer, mentre l’ematochimica è stata fatta usando Vetscan Abaxis.

Dopo un mese dall’inizio della terapia si è verificato un prolasso cloacale, il quale è stato riposizionato più

volte ma con continue recidive. Nel frattempo l’animale ha manifestato una grave stomatite. Per queste ragioni

è stata incominciata una terapia con enrofloxacina 10 mg/kg IM q24h.

La misurazione della massa principale ha mostrato un continuo cambiamento nelle dimensioni caratterizzato

comunque da una progressiva diminuzione del volume. Relativamente alle analisi ematiche il riscontro

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emocromocitometrico è stato differente rispetto a quello ematochimico: l’ematocrito è progressivamente sceso

da un valore di circa 11 x 106 /mm2 fino a 5 x 106 /mm2, la notevole presenza di reticolociti soprattutto nello

stadio terminale della patologia è comunque segno che l’anemia fosse rigenerativa, la conta della linea bianca

invece è gravemente salita da circa 80 x 103/mm2 fino a 500 x 103/mm2; l’ematochimico ha mostrato un

notevole squilibrio elettrolitico nel prelievo effettuato ad un mese dall’inizio della terapia (durante il prolasso),

caratterizzato da severa iponatriemia, severa iperkaliemia e leggera ipocalcemia (sempre considerando valori

di riferimento relativi ad altri boidae), rientrati nella norma col prelievo effettuato prima dell’eutanasia, anche

la AST era notevolmente aumentata fino ad un valore di 207 U/L nel prelievo effettuato ad un mese dall’inizio

della terapia per poi tornare a 16 U/L con l’ultimo esame effettuato; gli altri valori analizzati (PT, Alb, Glob,

Fos, CK, Glu) sono sempre risultati nella norma.

Nonostante, dopo due mesi di terapia, la massa principale fosse diminuita (6,18 cm di lunghezza; 3,15 cm di

larghezza e 3,68 cm di profondità), le restanti masse fossero scomparse e i valori ematochimici fossero rientrati

nella norma, a causa dell’eccessiva perdita di peso, del peggioramento dei segni clinici e dei valori ematologici,

l’animale è stato sottoposto ad eutanasia in accordo col proprietario.

L’esame autoptico ha mostrato in primis una grossa massa biancastra localizzata molto vicino al cuore che

avvolgeva sia l’esofago che la trachea, tale massa che comprimeva il cuore, era localizzata nell’area timica.

Sia i reni che la milza si presentavano enormemente ingranditi e biancastri. Un segmento di intestino risultava

invaginato per una lunghezza approssimativa di 10 cm, la sezione della parete intestinale si mostrava circa

dieci volte più spessa rispetto alla norma e biancastra, con evidente perdita dell’architettura. Fegato e polmoni

risultavano estremamente iperemici anche se non mostravano alterazioni macroscopiche di rilievo. Sono stati

raccolti campioni da tutti gli organi per l’esame istologico, inclusi sistema nervoso centrale e midollo osseo

dopo che testa e vertebre sono state poste nel decalcificatore.

L’esame istologico ha evidenziato che la massa principale era riconducibile al timo, il quale risultava

completamente sostituito dalla lesione neoplastica, non capsulata e non demarcata a crescita infiltrante,

densamente cellulare, formata da cellule rotonde. La neoplasia circondava e comprimeva la trachea e l’esofago,

infiltrandone la parete, non più riconoscibile con eccezione dell’epitelio di rivestimento; la neoplasia infiltrava

inoltre abbondantemente il tessuto adiposo periferico. Anche la parete cardiaca era multifocalmente infiltrata

da cellule dalla massa neoplastica la quale risultava parzialmente adesa alla sua superficie craniale. I polmoni

mostravano un’architettura completamente sovvertita dalla neoplasia descritta; si osservavano aggregati di

cellule rotonde a livello interstiziale e perivascolare; il restante parenchima era marcatamente iperemico.

Anche a livello splenico il parenchima era completamente sostituito da una distesa di cellule rotonde con

caratteristiche sovrapponibili a quelle descritte nella massa principale, vi erano inoltre aree di necrosi ed

emorragie multifocali. Il parenchima epatico risultava anch’esso diffusamente iperemico e caratterizzato da

reperti degenerativi con epatociti con citoplasma ricco di vacuoli otticamente vuoti, sono inoltre presenti

cellule infiammatorie costituite da granulociti eterofili, linfociti ed un minor numero di macrofagi, frammisti

a materiale necrotico. A livello gastrico è mantenuta l’architettura e la stratigrafia sebbene vi siano focolai

aggregati di cellule rotonde neoplastiche che infiltrano la lamina propria. A livello intestinale si osserva come

la parete di entrambi i segmenti invaginati è completamente sostituita da una distesa di cellule rotonde (con

aspetto corrispondente a quello della massa principale) che infiltrano e sostituiscono la tonaca mucosa,

sottomucosa e muscolare, raggiungendo il versante sieroso dell’organo. Il pancreas mostrava marcati reperti

autolitici con focali aggregati di cellule rotonde che infiltrano il parenchima dell’organo. Entrambi i reni

mostravano parenchima infiltrato dalle medesime cellule della massa principale, le quali separavano

marcatamente anche i tubuli e i glomeruli renali. A livello cutaneo erano diffusamente presenti degli aggregati

nodulari nel tessuto muscolare a margini sfumati ed infiltranti formati da cellule rotonde neoplastiche

frammiste a detrito necrotico e granulociti eterofili. Infine, le cellule neoplastiche linfoidi infiltravano

abbondantemente e multifocalmente la muscolatura scheletrica paravertebrale ed il cavo vertebrale. A livello

encefalico invece non si osservano cellule neoplastiche.

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Contrariamente ad altri studi precedentemente effettuati su altri boidi tale animale non mostrava corpi inclusi

in nessuno dei campioni analizzati.

L’esame anatomopatologico ha così dimostrato la presenza di una neoplasia linfoide diffusa con probabile

massa primaria nella regione timica che ha interessato reni, milza, trachea, polmoni, esofago, stomaco,

intestino, midollo osseo, cute e muscolatura scheletrica. La diagnosi finale è di linfoma leucemico con

diffusione sistemica. Purtroppo però non è stato tuttavia possibile individuare, sulla sola base istopatologia,

l’origine primaria della neoplasia e quindi discernere tra un linfoma leucemico con coinvolgimento secondario

del midollo (che resta comunque il sospetto principale) o una leucemia primaria.

Come conclusione va sottolineato che le lesioni neoplastiche nei serpenti sono rare, però tra queste il linfoma

è quello più riportato. Tuttavia le descrizioni di un possibile approccio terapeutico sono estremamente rare in

letteratura veterinaria. Purtroppo tale caso clinico non essendo andato a buon fine non fornisce una soluzione

terapeutica sicura a questa patologia, tale soluzione è stata segnalata come valida in corso di lesioni simili nei

rettili ma non vi sono studi in questa classe di animali che dimostrino la reale efficacia. Invece l’associazione

di prednisolone ed L-asparaginasi è una soluzione spesso utilizzata in altri animali domestici convenzionali

per il trattamento del linfoma e ha dimostrato dei buoni risultati; lo stesso varrebbe per la lomustina, farmaco

che in questo caso non è stato utilizzato visti i valori molto alterati del prelievo ad un mese di distanza, quando

era prevista la sua somministrazione. In ogni caso questo caso clinico può essere utilizzato come punto di

partenza per valutare eventuali approcci terapeutici per questa patologia.

Bibliografia

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Relatori e moderatori

Alberto Acosta Ojeda

Laureto nel 2003 in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università Agraria dell’Avana

(Cuba), con una tesi sulla Clinica e Patologia Aviaria. Dal 2003 al 2005 ha frequentato un Master su Produzione e

Nutrizione Animale. Nel 2008 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca presso La facoltà Di Medicina Veterinaria

dell’Università Agraria dell’Avana con una tesi sul Metabolismo Minerale in Medicina Aviaria. Nel corso del dottorato

(2005-2008) ha trascorso un periodo di perfezionamento di 11 mesi presso il dipartimento di Biotecnologie

dell’Università di Vienna (IFA, Tulln). Dal 2008 al 2010 ha lavorato come ricercatore presso il Dipartimento di Nutrizione

Animale degli Animali Monogastrici dell’Istituto di Scienza Animale (ICA, Cuba). Nel 2015 ha ottenuto il

Riconoscimento della laurea in Medicina Veterinaria in Italia e si è iscritto all’Albo dell’Ordine dei Medici Veterinari

della Provincia di Roma. Dal 2015 svolge attività di Libero Professionista presso la “Clinica Veterinaria Roma Sud” nel

settore della Clinica e Chirurgia degli Animali Esotici. Le sue principali attività cliniche e scientifiche sono legate alla

nutrizione clinica e alla medicina interna (gastroenterologia) degli animali non convenzionali.

Susanna Censi

Medico Veterinario, DVM. Laureata a pieni voti in Medicina Veterinaria nel 2008 presso l’Università degli Studi di

Milano con tesi sperimentale “Il lama nell’altopiano Andino: analisi dei fattori che influenzano il peso alla nascita.” Tesi

elaborata in campo ad Arequipa (Perù). Nel 2005 conclude un periodo all’estero di 12 mesi presso l’Università

Autonoma di Barcellona come studente – progetto Erasmus. Nel 2010 diventa socia dell’Ambulatorio Veterinario

Brembo a Brembate (BG) e dal 2014 riveste al suo interno il ruolo di Direttore Sanitario. Collabora con ambulatori e

cliniche veterinarie di Bergamo e provincia, occupandosi di medicina degli animali non convenzionali. Dal 2009 è socio

SIVAE partecipando a diversi corsi e congressi. Frequenta da vari anni l’Ambulatorio Veterinario dei dott. Ferlini,

Granata e Millefanti a Gaggiano (MI) applicandosi nella pratica della medicina e chirurgia degli animali non

convenzionali.

Biagio Chianese

Si laurea con lode all'Università Federico II di Napoli nel 2012. Fin da subito dimostra uno spiccato interesse per gli

animali esotici e selvatici e per la neurologia. Ha partecipato a vari congressi nazionali ed internazionali ed a

workshops sotto la guida della dott.ssa Anna Meredith ( Dipl. ECZM Small mammals). Nel 2013 svolge attività di

Tirocinio Specialistico presso il reparto di Neurologia e Neurochirurgia della Clinica Veterinaria Roma Sud, con il dott.

D. Corlazzoli (Dipl. ECVN) e nel 2014 svolge un periodo di studio presso il dipartimento di Neurologia e Neurochirugia

della Small Animal Clinic all'Animal Health Trust in UK sotto la supervisione della dott.ssa L. De Risio ( Dipl. ECVN).

Successivamente ha lavorato come medico di pronto soccorso e come referente per la medicina e la chirurgia degli

animali esotici presso varie strutture di Napoli. È Membro dell' ESVN, SCIVAC e della SIVAE di cui è stato assistente di

corso. Da giugno 2014 lavora presso l'Ospedale Veterinario Santa Chiara dove ricopre il ruolo di medico di pronto

soccorso e referente per la Medicina e Chirurgia degli animali esotici. E’ specialista in Malattie Infettive, Profilassi e

Polizia Veterinaria. Attualmente è impegnato per conseguire il GPcert in Exotic Animal Practice.

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Elena Circella

Laurea in Medicina Veterinaria (106/110) presso l’Università di Bari. Dottorato di Ricerca in Patologia Aviare, del

Coniglio e della Selvaggina (2000) presso l’Università di Perugia. Specializzazione in Tecnologia e Patologia delle

specie avicole, del coniglio e della selvaggina (50/50) (2002) e in Biochimica marina e Biotecnologie applicate

all’acquacoltura (47/50) (2005) presso l’Università di Bari. Professore di Patologia Aviare presso la Facoltà di Medicina

Veterinaria dell’Università di Teramo (2000-2002). Dal 2005 Ricercatore e dal 2008 Professore aggregato presso

l’Università di Bari. Docente di Patologia del coniglio nel corso di Medicina Veterinaria. Docente del Dottorato di

ricerca in Patologia e Sanità animale. Docente della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive, Profilassi e Polizia

Veterinaria e della Scuola di Specializzazione in Tecnologia e Patologia delle Specie Avicole, del Coniglio e della

Selvaggina. Relatore di tesi di Laurea, Dottorato e Specializzazione. Vincitrice Premio della Società Italiana di Patologia

Aviare (SIPA), per il miglior lavoro scientifico di virologia (2006). Autore/coautore di pubblicazioni scientifiche su libri,

riviste nazionali ed internazionali e relatore a congressi nazionali ed internazionali.

Giuseppe Cringoli, Prof, Dipl EVPC, Napoli

Giuseppe Cringoli è Professore Ordinario di Parassitologia e Malattie Parassitarie degli Animali presso il Dipartimento

di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali, Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal 2001 è Direttore del

Centro Regionale per il Monitoraggio delle Parassitosi (Regione Campania), dal 2006 è Diplomate dell’European

Veterinary Parasitology College (EVPC). Dal 2012 è coordinatore del Coordinatore del Corso di Dottorato di Ricerca in

“Scienze Veterinarie” dell’Università Federico II. I principali interessi scientifici riguardano la epidemiologia, la diagnosi

ed il controllo di protozoi, elminti ed artropodi di interesse veterinario. E’ inventore del FLOTAC, Mini-FLOTAC e Fill-

FLOTAC. E’ referee di numerose riviste internazionali e cofondatore (nonché membro dell’editorial board) della Rivista

Scientifica Internazionale Geospatial Health. E’ stato Responsabile Scientifico di Unità di Ricerca di Progetti di Rilevanza

Internazionale e coordinatore e/o Responsabile Scientifico di Unità di Ricerca di Progetti di Rilevanza Nazionale. La

produzione scientifica consta di circa 750 lavori, pubblicati su riviste scientifiche nazionali ed internazionali e/o

presentati a congressi nazionali e internazionali, oltre che capitoli di libri.

Gianluca Deli, Med Vet

Laureatosi presso l’Università di Perugia, con una tesi sperimentale dal titolo “La Cryptosporidiosi nei rettili”, si è da

subito occupato di animali non convenzionali. Ha frequentato alcune delle principali cliniche veterinarie italiane che si

occupano della cura di questi animali. Socio SIVAE dal 2009, di cui è il Delegato per l’Umbria, svolge attività di libero

professionista come referente per gli animali non convenzionali presso: Centro Veterinario Gregorio VII (Roma), Clinica

Veterinaria Zoospedale Flaminio (Roma), Ambulatorio Veterinario Santa Lucia (Perugia). Collabora attivamente con la

facoltà di Medicina Veterinaria di Perugia partecipando alla stesura di lavori scientifici e come correlatore di Tesi di

Laurea; ha organizzato diversi seminari sempre nell'ambito dei non convenzionali. È autore di diversi articoli pubblicati

su alcune riviste divulgative. Ha completato l’Itinerario Didattico SIVAE 2009-2011. Ha conseguito il diploma a seguito

del completamento dell’Itinerario Didattico (accreditato ESVPS) SIVAE/SCIVAC: GPCert in Exotic Animal Practice.

Accreditato FNOVI per "Medicina dei piccoli mammiferi" e “Medicina e Chirurgia di Rettili e Anfibi”. Ha svolto attività

clinico-medica presso la Tufts University, la UGA e Maisons-Alfort. Socio AEMV, AVULP, SivasZoo.

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Nicola Di Girolamo, Med Ved

Nicola Di Girolamo è resident dello European College of Zoological Medicine presso la Clinica per Animali Esotici ed

editore associato di BMC Veterinary Research. Svolge attualmente un dottorato in Scienze Veterinarie all’università di

Bologna. Nel 2014 ha conseguito un master all’università di Oxford in medicina basata sull’evidenza. È autore di una

quarantina di pubblicazioni su riviste internazionali peer-reviewed. È co-chair del comitato per l'educazione dell'ARAV

e delegato italiano del comitato internazionale. Si interessa nell'applicazione della medicina basata sull'evidenza in

veterinaria.

Elizabet Fernandez Palomares

Elízabet Fernández Palomares Veterinaria Col n 756 COVIB. Laureata in Medicina Veterinaria per la Facolta di Cordoba

(Spagna) a Gennaio 2007. Erasmus e Free Mover a la Facolta Veterinaria di Parma ( 2004-2006) Ha lavorato per diverse

Cliniche , Ospedali veterinari e centri veterinari offrendo i suoi servizi su animali esotici. Destacano: Clínica Exóticos

(Madrid), Hospital Aragó (Mallorca), Marineland ( Mallorca) e Hospital Veterinario Canis Mallorca (posto dove lavora

da quattro anni). Asistente a piu da quaranta corsi su animali esotici tanto in Spagna come in Italia. Relatrice in

Conferenze, Master e corsi vari per veterinari e assistenti veterinari. Articoli per riviste veterinarie spagnole.

Colaboratrice in programmi di radio. Master In Medicina e chirurgia sugli animali esotici. Inoltre é Coordinatora dei

“Master di Medicina e chirurgia sugli animali esotici, básico e avanzato” della dita “ Servet Oriental Formacion". Socia

GMCAE, SIVAE, AVIORNIS.

Antonio Filippi

Dott. Antonio Filippi Curriculum Vitae Si laurea in Medicina Veterinaria nel 2003 con la tesi sperimentale “L’uso del

Melengestrolo Acetato come metodo contraccettivo nelle scimmie” sviluppata durante una externship presso il Lincoln

Park Zoo di Chicago. Segue nel 2005 un periodo formativo presso il dr. Corlazzoli alla clinica Roma Sud e presso il dr.

Selleri alla clinica Veterinaria Caffarella. Dal 2006 svolge la libera professione in diverse strutture occupandosi

prevalentemente di chirurgia, ed in particolare di ortopedia e neurologia clinica e chirurgica. Partecipa a diversi

convegni e corsi nazionali ed internazionali. Dal 2008 collabora con la Clinica Veterinaria Santa Cecilia a Vicenza dove

affianca la Dr.ssa Sola nella gestione chirurgica degli animali esotici.

Federico Franchini

Federico Franchini Med Vet, Padova Laureato con lode presso l’Università degli Studi di Padova nel settembre 2014

con tesi di laurea sullo studio di alcune malattie infettive dei cinghiali del Parco Colli Euganei. Subito dopo

l’abilitazione professionale inizia un tirocinio formativo presso la Clinica Veterinaria Euganea, Monselice (PD), del dott.

Bedin, con particolare interesse nella medicina e chirurgia degli Animali Esotici e Non Convenzionali. Da maggio 2015

diventa collaboratore presso la Clinica Veterinaria Euganea.

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Alessandro Guerra

laureato nel 2003 presso l'Università di Parma, si interessa fin da subito della clinica degli animali esotici e delle specie

non convenzionali. lavora dal 2004 presso le Cliniche Veterinarie Arcella di Padova e Sirio di Vicenza dove si occupa

esclusivamente di Medicina, Chirurgia e Endoscopia degli animali non convenzionali. collabora con AAE (Associazione

Animali Esotici) e altre associazioni poste a tutela delle specie non convenzionali, occasionalmente collabora come

consulente per il Corpo Forestale dello Stato ha svolto attività di consulenza e formazione del personale presso

aziende e pet-shop con l'obbiettivo di divulgare le conoscenze sulla corretta gestione, profilassi e alimentazione delle

specie esotiche.

Emanuele Lubian, Med Vet

Lubian Emanuele si laurea a Milano nel 2010 in Medicina Veterinaria con voto 110/110 e tesi dal titolo “Composizione

microbiologica cloacale in T. hermanni sane e con cloacite”; da allora dedica principalmente la sua attività alla cura

degli animali esotici e selvatici. Ha svolto periodi di tirocinio presso strutture specializzate in medicina di animali non

convenzionali, ha partecipato a numerosi congressi dedicati alla medicina veterinaria e alle scienze naturali, ha

collaborato a progetti di divulgazione scientifica e di tutela ambientale, svolgendo anche il ruolo di relatore a

conferenze nazionali ed internazionali. Nel 2015 ha ottenuto il GPCert in Exotic Animal Practice. E’ autore del libro

“Gechi nani” pubblicato da Testudo Edizioni nel 2013. Attualmente lavora in diverse cliniche e ambulatori e come free

lance dedicandosi per lo più alla medicina degli animali esotici, è impegnato nella stesura del libro “Urodeli” e occupa

il ruolo di direttore sanitario presso il centro di recupero della fauna selvatica LIPU di Magenta.

Riccardo Mancini

Dott. Riccardo Mancini, Medico Veterinario iscritto all’Ordine dei Medici Veterinari della Provincia di Bologna n°1762.

Nato a Lamezia Terme (Cz) il 10 gennaio 1985. Laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di

Bologna-ALMA MATER STUDIORUM, il 23 Ottobre 2012 discutendo una tesi dal titolo “Elementi traccia e parametri

ematobiochimici in Struthio camelus”. E' socio della SIVAE dal 2015. A febbraio 2013 è stato vincitore di una borsa di

studio dal titolo:”studio dell’efficacia della terapia antiendotossica nel paziente equino ricoverato”, presso l’Università

degli Studi di Bologna-ALMA MATER STUDIORUM. Fin dall’inizio della propria carriera ha sviluppato particolare

interesse per la medicina e la chirurgia degli animali esotici, selvatici e da zoo, diventando autore di pubblicazioni di

interesse nazionale ed internazionale. Specializzato in Tecnologia e Patologia delle Specie Avicole, del Coniglio e della

Selvaggina presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

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Giordano Nardini, Med Vet

Laureato a Bologna nell’Aprile 2004. E' presidente della SIVAE dal 2014. Diplomato ECZM (subspecialità Herpetology).

Socio fondatore della Clinica Veterinaria MODENA SUD a Spilamberto (MO), dove è responsabile della Medicina e

Chirurgia degli animali esotici. Dottore di ricerca in Morfofisiologia e Patologia Veterinaria presso l’Università degli

Studi Bologna. Membro del Comitato Internazionale dell’ARAV. Relatore a corsi e congressi nazionali ed internazionali

sulla medicina e chirurgia degli animali esotici. Autore di pubblicazioni di interesse nazionale ed internazionale sulla

medicina degli animali esotici. Svolge attività di consulenza per parchi e centri di recupero. E' stato Professore a

contratto presso l’Università degli Studi di Teramo - Corso di Laurea in Tutela e Benessere Animale.

Daniele Petrini

Si laurea con lode nel 2008 presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa con una tesi sperimentale dal titolo:

“Iperadrenocorticismo nel furetto (Mustela putorius furo)”. Sin dai primi anni dell’università frequenta cliniche per

piccoli animali occupandosi prevalentemente della medicina e chirurgia degli animali non convenzionali. Partecipa a

numerosi congressi e corsi in Italia e all’estero ed è relatore abituale in seminari nazionali ed internazionali riguardanti

la medicina degli animali esotici.Lavora come freelance in Toscana occupandosi esclusivamente di medicina e chirurga

degli animali esotici, anestesia e medicina d’urgenza con passione per i piccoli Mammiferi esotici. Dal 2013 è delegato

regionale SIVAE toscana. Nel 2015 consegue il titolo di General Practitioner in Exotic Animal Practice GPCert (ExAP).

Sta completando un master universitario di II livello in ‘Anestesia e terapia del dolore degli animali da compagnia e dei

non convenzionali’ presso l’ateneo pisano.

Silvia Preziuso

Silvia Preziuso, DVM, PhD Laureata con lode in Medicina Veterinaria (1998) e in Scienze e Tecnologie delle Produzioni

Animali (2004) presso l’Università di Pisa, consegue il Dottorato di Ricerca (2002) svolgendo parte del proprio progetto

presso la Colorado State University (USA). Dal 2005 è ricercatore presso l’Università di Camerino nel settore scientifico

disciplinare “Malattie infettive degli animali domestici”. L’attività di studio e ricerca comprende prevalentemente

l’epidemiologia, la tipizzazione e l’identificazione degli agenti infettivi degli animali mediante tecniche di biologia

molecolare. Dal 2009 si occupa della messa a punto di metodi bio-molecolari per lo studio delle malattie infettive dei

rettili. Dal 2005 è titolare di vari insegnamenti universitari nell'ambito dei corsi di laurea e delle scuole di

specializzazione attivi presso l'Università di Camerino, tra cui “Malattie tropicali e degli animali esotici” e

“Microbiologia e virologia, tecniche e metodologie diagnostiche in microbiologia”. E' autore di oltre 100 pubblicazioni

scientifiche, prevalentemente internazionali, tra cui 25 articoli su riviste dotate di impact factor. Svolge attività di

volontariato nelle scuole primarie per la divulgazione della conoscenza sugli animali non convenzionali e selvatici.

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Laura Rinaldi, As EVPC, Napoli

Laura Rinaldi, PhD in Veterinary Sciences, è Professore Associato di Parassitologia e Malattie Parassitarie degli Animali

presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal

2006 è Associate Member dell'European Veterinary Parasitology College. Nel 2013 ha conseguito la abilitazione

scientifica nazionale per il ruolo di Professore Ordinario per il settore concorsuale 07/H3. Da oltre 15 anni svolge

attività didattica inerente la Parassitologia Veterinaria e le Malattie Parassitarie presso l’Università degli Studi di Napoli

Federico II. La produzione scientifica consta di più di 300 lavori, pubblicati su riviste scientifiche nazionali ed

internazionali indicizzate e/o presentati a congressi nazionali e internazionali. I principali interessi scientifici riguardano

la epidemiologia, la diagnosi ed il controllo di protozoi, elminti ed artropodi di interesse veterinario. Nel 2011 ha vinto

il Premo Internazionale “Peter Nansen Young Scientist” conferitole dalla associazione scientifica mondiale WAAVP. Fa

parte del Management Commitee ed è Leader di numerosi progetti europei. E’ presidente della International Society

of Geospatial Health ed è Associate/Section editor/referee di numerose riviste internazionali.

Gaetano Daniele Vitolo

Si laurea a pieni voti, nel 2006 presso la facoltà di medicina veterinaria dell'Università degli studi di Milano con la tesi:

“indagine epidemiologica sulle zoonosi della volpe nella Valle d'Aran (Spagna)”. Inizia l'attività clinica occupandosi di

piccoli animali, prevalentemente di medicina interna e d'urgenza presso cliniche veterinarie 24h nel milanese. Si

avvicina così a gli animali esotici. Dal 2009 iscritto SIVAE, frequenta corsi, seminari ed inizia a lavorare con colleghi che

si occupano di medicina degli animali esotici tra cui il dott. Millefanti e il dott. Crosta. Dopo un periodo presso la

clinica veterinaria del Loro Parque di Tenerife inizia una collaborazione, stabilmente dal 2011, presso la Clinica

Veterinaria Turro del dott. Massimo d'Acierno dove ad oggi è socio titolare e direttore sanitario.