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(Versione 1.0 del 14/12/2005) Insegnamento: TECNOLOGIA DEI POLIMERI A Docente: MASSIMO MESSORI Appunti di: TECNOLOGIE DI TRASFORMAZIONE DEI MATERIALI POLIMERICI Estrusione ed applicazione dell’estrusione Stampaggio ad iniezione Soffiaggio di corpi cavi BIBLIOGRAFIA: M. Guaita, F. Ciardelli, F. La Mantia, E. Pedemonte, Fondamenti di Scienza dei Polimeri, Pacini Editore, Pisa (I), 1999 Capitolo 12 S. Brukner, G. Allegra, M. Pegoraro, F. La Mantia, Scienza e Tecnologia delle Materie Plastiche, Ed. Edises, Napoli (I), 2001 Capitolo 8

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(Versione 1.0 del 14/12/2005)

Insegnamento: TECNOLOGIA DEI POLIMERI A

Docente: MASSIMO MESSORI

Appunti di:

TECNOLOGIE DI TRASFORMAZIONE DEI MATERIALI POLIMERICI

Estrusione ed applicazione dell’estrusione

Stampaggio ad iniezione

Soffiaggio di corpi cavi

BIBLIOGRAFIA:

M. Guaita, F. Ciardelli, F. La Mantia, E. Pedemonte, Fondamenti di Scienza dei Polimeri,

Pacini Editore, Pisa (I), 1999

Capitolo 12

S. Brukner, G. Allegra, M. Pegoraro, F. La Mantia, Scienza e Tecnologia delle Materie

Plastiche, Ed. Edises, Napoli (I), 2001

Capitolo 8

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Estrusione

Tra le tecnologie di lavorazione dei materiali polimerici, l’estrusione occupa una posizione preminente per versatilità e vastità d’impiego. L’estrusione è un’operazione tecnologica che opera in continuo e in condizioni stazionarie per produrre diversi tipi di manufatti caratterizzati da sezioni simmetriche o asimmetriche che si ripetono identicamente lungo l’asse di estrusione. È così possibile ottenere estrusi a sezioni simmetriche come quelle circolari (tubi cavi o pieni) e rettangolari (lastre e film) oppure a sezioni asimmetriche (travi a C, L, T, ecc.). L’estrusore è sostanzialmente una pompa adatta a fondere (o, più in generale, a plastificare)1 e trasportare fluidi di elevata viscosità. La formatura avviene per spinta del fuso polimerico attraverso una testa di estrusione (detta anche filiera) destinata ad impartire la forma desiderata, mentre la forma del manufatto viene stabilizzata per raffreddamento. L’estrusore può essere monovite o bivite: nel secondo caso le due viti parallele possono ruotare nello stesso senso (estrusore bivite co-rotante, se è necessario realizzare pressioni particolarmente elevate) o in senso opposto (estrusore bivite contro-rotante, quando occorre ottimizzare il mescolamento di diversi componenti).

Figura 1. Schema di un estrusore monovite. Un estrusore monovite (Figura 1) è costituito da una vite che ruota, con accoppiamento molto preciso, all’interno di un cilindro riscaldato. Tra il cilindro ed il nocciolo della vite si trova il materiale da estrudere. Come già accennato, il materiale fuso viene quindi forzato ad uscire attraverso una testa di estrusione. Nella zona iniziale il polimero solido è trasportato lungo il cilindro e compresso. A causa delle forze d’attrito e del riscaldamento esterno, il polimero fonde e, allo stato fuso, viene trasportato verso il foro d’uscita. È facile immaginare che, se il materiale aderisce fortemente alla vite e scivola sulla superficie del cilindro, la quantità, di materiale che esce dall’estrusore è nulla, dato che il materiale ruota con la vite senza essere spinto in avanti. D’altra parte, per raggiungere la massima portata, il materiale deve scivolare il più possibile sulla vite ed aderire al massimo sul cilindro. In questa condizione, infatti, il materiale ruota ad una velocità inferiore a quella della vite e quindi viene spinto in avanti dalle creste dei filetti. Il polimero, quindi, si sposta lungo la vite per trascinamento. Lungo la

1 Il termine fusione è proprio dei polimeri semicristallini, mentre nel caso di polimeri amorfi (in cui non è presente una temperatura di fusione ma soltanto una temperatura di transizione vetrosa) è più corretto parlare di plastificazione (rammollimento). Nel presente testo i termini fusione e plastificazione verranno comunque usati come sinonimi, se non diversamente specificato.

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vite si genera quindi un profilo di pressione crescente dalla tramoggia verso la filiera. Sotto la tramoggia la pressione è uguale a quella atmosferica, cosi come all’uscita della filiera. All’ingresso della filiera deve esserci invece la pressione necessaria per espellere il polimero nelle date condizioni di temperatura e portata.

Zone operative dell’estrusore

Considerando le caratteristiche fisiche del polimero, si possono individuare nell’estrusore tre diverse zone: • zona di trasporto del solido (detta anche zona di alimentazione, “feeding zone”); • zona di fusione o di plastificazione (“plastication zone”); • zona di trasporto del fuso (detta anche zona di dosaggio o di pompaggio, “metering zone” o

“pumping zone”).

Zona di trasporto del solido (zona di alimentazione)

In questa zona il materiale, che entra dalla tramoggia sotto forma di granuli o polvere, viene convogliato fino alla successiva zona di fusione (plastificazione). La capacità di trasporto di questa zona dipende dalla materia prima e dalla forma della vite, ma anche dalle caratteristiche della bocca di alimentazione. Poiché, per ragioni di continuità, la portata dell’estrusore è uguale alla quantità di polimero alimentato, si deve evitare che una progettazione infelice della bocca di alimentazione limiti la portata dell’estrusore. Normalmente l’alimentazione dell’estrusore viene effettuata “a bocca piena”, ossia con il polimero solido che dalla tramoggia passa alla vite per effetto del suo peso. Ci possono essere però dei casi particolari in cui è consigliabile l’alimentazione “affamata”, la quale può essere di due tipi: “affamata vera e propria” o “forzata”. L’alimentazione affamata vera e propria si effettua con dosatori e viene usata quando la capacità di trasporto del solido è troppo elevata rispetto alla capacità di estrusione della vite, oppure quando si vuole facilitare il degasaggio del materiale alimentato. L’alimentazione forzata è cosi denominata perchè il materiale è spinto a forza dalla tramoggia nella vite, ed è usata quando si lavora con un materiale che ha difficoltà ad entrare nella vite (polvere o fiocchi, per esempio) ed in genere quando il peso specifico apparente è molto basso. Il principio di funzionamento della zona di trasporto del solido (o di alimentazione) è basato sull’equilibrio delle forze di attrito fra il polimero, il cilindro e la vite (trascurando, in prima approssimazione, il contributo dato dall’attrito fra polimero e pareti dei filetti). Cilindro e vite possono modellarsi come due piatti paralleli, in cui il piatto che rappresenta il cilindro si muove con velocità Vs rispetto a quello che rappresenta la superficie della vite. Il polimero solido, sotto forma di granuli o polvere, è compresso sotto la pressione P. I due piatti esercitano sul solido polimerico due forze opposte Fc e Fv date, secondo la legge di Coulomb, da:

!

Fc

= P "Sc"µ

c

!

Fv

= P "Sv"µ

v

dove Sc e Sv sono le superfici di contatto (supposte uguali nel modello dei piatti paralleli) e µc e µv sono i coefficienti di attrito polimero-cilindro e polimero-vite, rispettivamente. Possono distinguersi due casi:

1. µv > µc, e quindi Fv > Fc: il polimero aderisce alla vite, gira con questa e quindi non avanza;

2. µv < µc, e quindi Fv < Fc: il polimero aderisce al cilindro e quindi si muove rispetto alla vite con una velocità, che cresce al crescere del rapporto µv/µc.

Queste forze agiscono compattando il polimero solido, che contemporaneamente striscia sul cilindro, con conseguente generazione di calore che spesso viene rilevata come un surriscaldamento del cilindro (si intende per surriscaldamento il fatto che la temperatura raggiunta a regime del cilindro supera la temperatura di lavoro impostata). In Figura 2 sono riportate curve di efficienza di trasporto di solidi in funzione di µc. Le curve sono riferite alla stessa pressione. Al crescere del valore di µc, cresce la portata, che invece decresce con il coefficiente µv. Si nota che la dipendenza da µc è molto forte per bassi valori di questo parametro, mentre diviene quasi insensibile a valori elevati.

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Altri parametri importanti nell’ottimizzare la portata nella zona di alimentazione sono il passo e l’inclinazione del filetto. La portata (Q) raggiunge un valore massimo per determinati valori del passo e dell’inclinazione del filetto (angolo !). I valori di questi parametri dipendono dai coefficienti d’attrito. In particolare, al crescere di µv cresce l’inclinazione ottimale (Figura 3) e al crescere di µc, cresce il passo che massimizza la portata. Valori ottimali dell’angolo di inclinazione sono generalmente compresi tra 15 e 25 gradi2.

Figura 2. Efficienza della sezione di trasporto di solidi (proporzionale alla portata) in funzione del coefficiente di attrito polimero-cilindro (µc), per i coefficienti d’attrito polimero-vite (µv) indicati.

Figura 3. Portata della sezione di trasporto di solidi in funzione dell’angolo di inclinazione del filetto, per i valori del coefficiente d’attrito polimero-vite (µv) indicati.

Zona di fusione (plastificazione)

Questa zona inizia nel punto di incipiente fusione (plastificazione) e si estende fino al punto nel quale tutto il materiale che si trova in una sezione trasversale della vite è fuso (plastificato). Mentre il solido viene trasportato, dapprima fonde il polimero a contatto con il cilindro e poi, mentre continua la fusione in tale zona, la fusione stessa avanza verso il centro della vite. A partire dalla zona di alimentazione la temperatura del polimero va crescendo sia a causa del riscaldamento delle resistenze esterne, sia a causa dell’attrito fra le superfici metalliche ed il polimero solido. In genere, dopo una lunghezza pari ad alcuni diametri

2 Una praticata soluzione tecnologica consiste nel progettare e costruire la vite in modo che il suo passo sia uguale al suo diametro (diametro interno del cilindro). In tal caso ! = 17°40’.

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di cilindro, il polimero comincia a fondere all’interfaccia col cilindro. Questa zona è particolarmente importante per il buon funzionamento dell’estrusore in quanto alimenta direttamente la successiva zona di trasporto del fuso, che è il cuore dell’estrusore. Lo studio del meccanismo di fusione è stato condotto raffreddando rapidamente il polimero fuso durante un’estrusione. Il polimero, estratto dai canali della vite nella zona in cui comincia a fondere, mostra un sottile film liquido all’interfaccia col cilindro riscaldato, ben distinto dal resto del materiale ancora in forma granulare. Il fronte di questo film non va spostandosi parallelamente a se stesso verso il nocciolo della vite, ma forma una zona liquida più profonda lungo il filetto posteriore (rispetto alla direzione di avanzamento del materiale) che va assottigliandosi verso il filetto anteriore. Una volta formatosi il film liquido, e quando il suo spessore supera quello compreso fra il diametro interno del cilindro e la cresta del filetto, si genera una pressione data dalla relazione:

!

"P =6#V

sin$

% &% f

% f

3

e+% 3

W

dove: ": viscosità del fluido; !: inclinazione del filetto; e: spessore del filetto; w: ampiezza del canale in cui è contenuto il polimero; #f: distanza cresta-cilindro (traferro, vedi Figura 12.4); #: spessore del liquido; V: la velocità tangenziale della vite alla parete del cilindro. Appare chiaro che la pressione cresce notevolmente quando # > #f. Quando la pressione raggiunge il valore necessario a deformare il letto di polimero solido, allora si formerà una zona liquida (“tasca” o “pozzetto”) a partire dal filetto posteriore (vedi Figura 4a). All’interno di questa tasca si verifica una rotazione del liquido che va a riscaldare il solido adiacente che a sua volta fonde. Il processo procede fino a che tutto il solido è fuso. Questo meccanismo è noto come plastificazione sul retro-filetto (“back-flight plastication”). In Figura 4b è mostrata una sezione assiale della vite nella zona di plastificazione che mostra il materiale solido e il fuso (in colore nero) in corrispondenza di sei passi successivi della vite.

Figura 4. Schematizzazione dei processi attivi nella zona di plastificazione. La velocità di fusione, la velocità cioè con cui il fronte liquido si propaga verso il filetto successivo, può essere valutata considerando il bilancio di massa e di calore all’interfaccia liquido-solido. È opportuno scegliere un sistema di coordinate spaziali solidale con la vite,

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rispetto al quale il cilindro ruota mentre la vite resta apparentemente ferma. Il bilancio di massa è riconducibile alla relazione:

!

Vs" #

s" X =

V

2" #

l"$ Equazione 1

dove X è la larghezza del solido dentro il canale della vite, $s e $l sono le densità del solido e del liquido, Vs è la velocità del solido e V quella lineare del cilindro nella direzione perpendicolare al filetto, che è anche la velocità del liquido a contatto con il cilindro. Assumendo che la velocità del liquido vari linearmente tra V (a contatto con il cilindro) e 0 (a contatto con la vite), nell’Equazione (1) essa viene espressa dal valore medio V/2. Il bilancio di calore all’interfaccia è:

!

Vs " #s " cps(Tm $Ts )+ %[ ] =kl (Tc $Tm )

&"'V 2

2&

(

) *

+

, - Equazione 2

dove % e cps sono rispettivamente il calore latente di fusione (per unità di massa) ed il calore specifico, kl è la conduttività termica del liquido e Tc, Tm e Ts, sono rispettivamente le temperature del cilindro, di fusione3 e del solido. La fusione del polimero solido sarà quindi tanto più veloce quanto maggiore è il termine di dissipazione viscosa, "!V2/2#, e di conduzione, kl(Tc - Tm)/#. La velocità di fusione può quindi essere aumentata usando: • elevate temperature del cilindro; • alte velocità di rotazione. Al crescere di questi due parametri aumenta, però, la temperatura del fuso che, a causa del calore generato dall’attrito viscoso, può raggiungere valori maggiori di quello stabilito. Dal rapporto fra i due termini a destra dell’Equazione (2) si ottiene il numero di Brinkman, indicato con il simbolo Br.

!

Br ="V 2

kl(T

c#T

m)

Equazione 3

È possibile verificare che se Br < 2, la dissipazione viscosa non è molto importante e la temperatura del fuso resta minore di quella impostata sul cilindro. Se Br > 2, la dissipazione viscosa diviene significativa e la temperatura del fuso può diventare maggiore di quella impostata.

Zona di trasporto del fuso (zona di dosaggio o di pompaggio)

La zona di trasporto del fuso è costituita dal tratto finale della vite nel quale il materiale è completamente fuso. In questa zona l’estrusore funziona come una pompa. La zona di trasporto del fuso è stata la zona dell’estrusore più studiata ed è possibile determinare le relazioni fra le variabili operative portata e pressione, le caratteristiche geometriche della vite e quelle fisiche del materiale. Le caratteristiche geometriche della vite di un estrusore il cui cilindro ha diametro interno D sono mostrate in Figura 5. Come si è già detto, è opportuno scegliere un sistema di coordinate spaziali solidale con la vite, rispetto al quale il cilindro ruota mentre la vite resta ferma. L’asse z è parallelo al filetto, l’asse x è perpendicolare al filetto e l’asse y va dal nocciolo della vite verso il cilindro. L’analisi idrodinamica della sezione di pompaggio risulta più semplice se la si effettua considerando valide le seguenti ipotesi:

1. l’operazione avviene a regime: la portata è costante nel tempo e nello spazio; 2. l’altezza del filetto è piccola rispetto al diametro del cilindro;

3 La temperatura indicata con il simbolo Tm è correlata, ma non coincidente, con la temperatura termodinamica di fusione Tf (se il polimero è semicristallino) e con la temperatura di transizione vetrosa Tg.

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3. il flusso è isotermo; 4. il polimero è incompressibile; 5. il fuso polimerico si comporta come un fluido newtoniano; 6. si trascura il flusso di materiale nella sezione compresa fra cresta del filetto e cilindro;

Figura 5. Sezioni della vite di un estrusore (in alto) e del canale di estrusione (in basso) e definizione dei parametri geometrici rilevanti.

L’ipotesi 2 equivale a dire che il flusso fra vite e cilindro può essere approssimato a quello fra due piatti piani e paralleli. La portata volumetrica Q si ottiene integrando sulla sezione del filetto perpendicolare all’asse z la componente della velocità lungo lo stesso asse:

!

Q = vz " dx "dy0

w

#0

h

# Equazione 4

La componente lungo z dell’equazione del moto di un fluido di densità $ e di viscosità " si scrive:

!

" vx#vx#x

$

% &

'

( ) + vy

#vy#y

$

% &

'

( ) + vz

#vz#z

$

% &

'

( )

*

+ ,

-

. / = 0

#P

#z+1

#2vx#x2

+#2vy#y2

+#2vz#z2

*

+ , ,

-

. / / Equazione 5

Il primo membro rappresenta le forze d’inerzia, che possono essere trascurate rispetto a quelle viscose (secondo termine del secondo membro). Poiché vz è costante rispetto alla coordinata z, l’Equazione (5) si riduce a:

!

1

"

#P

#z=#2vz

#x2+#2vz

#y2

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Se, infine, l’altezza del filetto è molto piccola rispetto alla sua larghezza (h << w), la variazione di vz nel verso della larghezza è trascurabile rispetto a quella nel verso dell’altezza, ossia

!

"2vz

"x2<<

"2vz

"y2

Questo significa che vz può essere considerata costante nella direzione x, e l’equazione del moto diventa:

!

1

"

#P

#z=#2vz

#y2 Equazione 6

mentre l’Equazione (4) assume la forma:

!

Q = w vz "dy0

h

# Equazione 7

A regime il membro sinistro dell’Equazione (6) è costante, e quindi tale equazione ammette come soluzione un polinomio del tipo:

!

vz = a " y2

+ b " y+ c in cui a, b e c sono costanti che devono essere determinate in base alle condizioni al contorno. Dato che, nell’ipotesi fatta, la vite resta ferma mentre il cilindro ruota ed il polimero fuso aderente alla vite si muove con la stessa velocità, vz(y=0) = 0 per cui ne consegue c = 0. Inoltre, in base all’Equazione (6), deve essere:

!

a =1

2"

#P

#z

È poi facile constatare in Figura 5 che, quando y è uguale all’altezza h del filetto, ricordando l’ipotesi per cui si trascura il flusso di materiale nella sezione compresa fra cresta del filetto e cilindro, vale la relazione:

!

vz (y = h) = " #D #N # cos$ =V # cos$ =Vz dove N indica il numero di giri del cilindro nell’unità di tempo, V la velocità tangenziale del cilindro attorno all’asse della vite e Vz la velocità del cilindro parallela all’asse z. In queste condizioni si ha:

!

b =Vz

h"h

2#

$P

$z

e quindi:

!

vz (y) =Vz

hy+

1

2"

#P

#zy2 $ hy( ) Equazione 8

Il primo termine del secondo membro è il profilo di velocità tipico di un flusso di trascinamento fra due piatti paralleli (“drag flow”) e il secondo termine è quello di un profilo di velocità parabolico dovuto ad un flusso di pressione (“pressure flow”). Alcuni andamenti dell’Equazione (8) sono mostrati in Figura 5, dove si può notare che, talvolta, la direzione del flusso del liquido coincide con la direzione positiva dell’asse z in tutta l’altezza h del filetto, mentre in altri casi si ha un’inversione. È ovvio che il verificarsi delle diverse situazioni

Page 9: appunti pocesso

dipende dal valore delle costanti a e b. Da un punto di vista pratico si deve sottolineare che l’inversione della direzione del flusso corrisponde all’instaurarsi di un retroflusso in prossimità della vite. Introducendo l’Equazione (8) nell’Equazione (7) si ottiene:

!

Q =Vz "w " h

2#w " h3

12$

%P

%z Equazione 9

Raccogliendo in un solo termine tutti i fattori geometrici, per una vite a passo costante si ha:

!

Q = A "N #B

$%P Equazione 10

Il primo termine rappresenta la portata di trascinamento (Qd) che sposta il fuso polimerico verso la fine della vite, mentre il secondo termine rappresenta la portata dovuta alla pressione (Qp) che spinge il polimero in senso opposto al trascinamento. La portata netta del polimero sarà ovviamente determinata dai valori Qd e Qp e sarà una frazione di quella che si avrebbe in assenza di retroflusso dovuto alla pressione. Il profilo di velocità effettivo risulta funzione del rapporto Qp/Qd (Figura 6).

Figura 6. Profili di velocità longitudinale del polimero fuso lungo l’asse y, calcolati secondo 1’eq. (8): a) Qp/Qd = 1; b) Qp/Qd = 2/3; c) Qp/Qd = 1/3. Le curve tratteggiate sono calcolate secondo i termini

lineare e parabolico del secondo membro dell’Equazione (8). Se l’estrusore è chiuso, Q = 0 e Qp/Qd = 1: il profilo di velocità sarà, tale che l’integrale dell’area sottesa nella zona positiva sarà uguale a quella sottesa nella zona negativa (Figura 6a). Se 1 ! Qp/Qd ! 1/3 (Figura 6b), il flusso del liquido in prossimità del cilindro prevale sul retroflusso in prossimità della vite. Il rapporto Qp/Qd = 1/3 (Figura 6c) è il valore massimo per il quale il profilo di velocità è positivo per tutta l’altezza h del filetto. Un tale profilo evita che particelle di fluido vicine alla superficie immobile possano risiedere per lunghi tempi nell’estrusore dando luogo a pericolosi fenomeni degradativi. Infine, per Qp/Qd = 0, ossia se è assente la testa dell’estrusore e quindi non si manifesta l’effetto della pressione, il profilo di velocità vz è triangolare, tipico del moto di trascinamento fra due piatti piani paralleli. Il profilo di velocità appena esaminato rappresenta la componente longitudinale (nella direzione dell’asse z) del moto entro l’altezza h del filetto. Il profilo della componente trasversale (nella direzione dell’asse x) del vettore velocità può essere determinato risolvendo l’equazione del moto lungo l’asse x e applicando le stesse ipotesi. Si ha così:

!

1

"

#P

#x=#2vx#x2

+#2vx#y2

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Poiché anche in questo caso le variazioni di velocità lungo x sono trascurabili rispetto a quelle lungo y, cioè

!

"2vx

"x2<<

"2vx

"y2

si può scrivere:

!

1

"

#P

#x=#2vx#y2

Con le condizioni al limite vx(y=0) = 0 e vx(y=h) = &'D'N sin! = Vx, il profilo di velocità risulta:

!

vx (y) =Vx

hy+

1

2"

#P

#xy2 $ hy( ) Equazione 11

Figura 7. Profili di velocità trasversale entro il filetto. Il profilo della velocità, trasversale è quindi simile a quello della velocità longitudinale, ed è costituito da un termine lineare di trascinamento ed uno parabolico di pressione (Figura 7a). Poiché il polimero fuso non può uscire lateralmente dal filetto (analogamente a quanto si verifica nella direzione longitudinale quando l’estrusore è chiuso), la componente lungo l’asse x causerà solo circolazione di materia all’interno del filetto stesso (Figura 7b), e quindi la portata deve essere nulla:

!

vx "dy0

h

# = 0

Si ottiene pertanto

!

"P

"x= 6#

Vx

h2

Equazione 12

Introducendo l’Equazione (12) nell’Equazione (11) si ottiene infine:

!

vx =Vx

hy3

hy" 2

#

$ %

&

' ( Equazione 13

Page 11: appunti pocesso

Con tale relazione si calcola il profilo di velocità mostrato in Figura 7a.

Testa dell’estrusore o filiera

Il fuso polimerico passa attraverso la testa d’estrusore spinto dalla differenza (P tra la pressione esistente alla fine della vite e quella atmosferica (vedi Figura 8). Considerando valide le ipotesi fatte per il flusso nell’estrusore, la portata è correlata alla caduta di pressione secondo l’equazione di Poiseuille:

!

Qfil = k"P

# Equazione 14

dove k è una costante dipendente dalla geometria della testa (ad esempio, k = "!R4/8L per un capillare cilindrico di raggio R e lunghezza L). Poiché la portata nel foro d’estrusione è uguale a quella nell’estrusore (Qfil = Q), dal confronto tra le Equazioni (10) e (14) si ottiene:

!

Q =k " A "N

k + B Equazione 15

Figura 8. Zone di un estrusore accoppiato con una filiera e profili di pressione e temperatura. Le Equazioni (10) e (14) della portata nell’estrusore e nella filiera sono rappresentate graficamente in Figura 9. Tali curve costituiscono le caratteristiche, rispettivamente, della vite e della filiera.

Page 12: appunti pocesso

Figura 9. Caratteristiche della vite e della filiera di un estrusore. La portata nell’estrusore massima per (P = 0, dipende solo dal numero di giri (oltre che dalla geometria della vite) e diminuisce linearmente, nell’ipotesi di fluido newtoniano e operazione isoterma, al crescere della pressione. La portata nella filiera è, invece, nulla per valore zero della pressione e, nelle stesse condizioni sopra citate, cresce linearmente con la pressione. Il punto d’incontro delle due curve, Equazione (15), rappresenta il punto di lavoro dell’estrusore completo e fornisce i valori di pressione e portata.

Effetto delle variabili geometriche ed operative

La portata dell’estrusore dipende da: • caratteristiche geometriche dell’estrusore; • velocità di rotazione della vite; • temperatura. L’Equazione (9) della portata consiste di un termine di trascinamento (Qd) ed uno di pressione (Qp). Il primo è proporzionale alla profondità del filetto h, alla sua larghezza w e, tramite Vz, al diametro della vite D, alla velocità di rotazione N ed all’inclinazione del filetto !. Dato che, come si deduce dalla Figura 5, la larghezza del filetto è proporzionale a D!sin! e quindi, a sua volta, proporzionale al diametro, si ha:

!

Qd "D2#N #h # sin$ cos$

Si ha dunque una forte dipendenza dal diametro. La portata per retroflusso dipende invece fortemente dall’altezza del filetto:

!

Qp "D #h3

$sin%

&P

&z

Si ha quindi una notevole caduta di portata netta al crescere dell’altezza del filetto. Una volta stabilita la geometria dell’estrusore e della filiera, per variare la portata si può variare o il numero di giri, variando così la caratteristica della vite, o variare la temperatura, agendo quindi sulla viscosità. L’effetto della variazione del numero di giri sulla portata è schematizzato in Figura 10. La caratteristica della vite si innalza proporzionalmente a N e l’intersezione con la caratteristica della filiera si sposta verso portate e pressioni più elevate. L’effetto della temperatura è invece più complesso. Infatti, potendo variare la temperatura sia nella zona finale dell’estrusore che nella filiera, si deve analizzare cosa succede alla portata ed alla pressione al variare della temperatura in ogni singola zona. In Figura 11 sono riportate le caratteristiche della vite e della filiera a due diverse temperature, T2 > T1.

Page 13: appunti pocesso

Figura 10. Effetto della velocità di rotazione sulla caratteristica della vite.

Figura 11. Effetto della temperatura sulle caratteristiche della vite e della filiera: variazione del punto di lavoro.

Rispetto alla condizione iniziale, T1 in ambedue le zone, si può aumentare la temperatura in una o in entrambe le zone. Qualora si aumenti la temperatura da T1 a T2 della parte finale dell’estrusore, diminuiscono la viscosità e la pressione finale, in relazione con la portata nell’estrusore secondo l’Equazione (10). In pratica, come mostrato in Figura 11, aumenta l’inclinazione della caratteristica della vite, e quindi diminuisce la portata del punto di lavoro dell’estrusore completo (intersezione della caratteristica della vite a T2 e della filiera a T1). Se si innalza la temperatura nella filiera lasciandola inalterata nell’estrusore, la caratteristica della vite rimane invariata, mentre si ha un aumento della portata nella filiera dovuta alla diminuzione della viscosità, secondo l’Equazione (14). Di conseguenza aumenta la portata del punto di lavoro, determinato dall’intersezione della caratteristica della vite a T1 e della filiera a T2. Infine, come mostrato in Figura 11, se si innalza ugualmente la temperatura in ambedue le zone, non si ha sostanziale variazione della portata al punto di lavoro, poiché si variano della stessa entità le inclinazioni, di segno opposto, delle Equazioni (10) e (14). Si ottiene, però, una significativa diminuzione della pressione.

Potenza meccanica

La potenza assorbita durante l’avanzamento nella zona di pompaggio è data da:

!

˙ W = " yxvx (y)+ " yzvz (y)[ ] #dx #dz0

w

$0

%

$ Equazione 16

Page 14: appunti pocesso

dove )yz è lo sforzo di taglio lungo il piano yz ed è correlato alla velocità lungo z che fa avanzare il fuso polimerico, mentre )yx è lo sforzo di taglio lungo il piano xy e nasce dalla presenza della velocità vx che produce solo circolazione all’interno del filetto. Il limite d’integrazione * indica la lunghezza totale del filetto percorso dal polimero fluido. I due profili di velocità sono descritti dalle Equazioni (8) e (11). Il gradiente di velocità,

!

˙ " yz è dunque:

!

˙ " yz =#vz

#y=Vz

h+

1

2$

#P

#z2y% h( ) Equazione 17

Alla parete, dove y = h, si ha:

!

˙ " hz

=Vz

h+h

2#

$P

$z Equazione 18

Dall’Equazione (9) si ottiene:

!

h

2"

#P

#z=6Vz

h

1

2$

Q

Vz %w %h

&

' (

)

* +

e sostituendo nell’Equazione (18) si ha:

!

˙ " hz =Vz

h4 #

6Q

Vz $w $h

%

& '

(

) * Equazione 19

Secondo la legge di Newton, lo sforzo di taglio alla parete è quindi:

!

" hz =#$ ˙ % hz =#Vz

h4 &

6Q

Vz $w $h

'

( )

*

+ , Equazione 20

Con lo stesso procedimento, ed esprimendo il gradiente di pressione lungo l’asse x mediante l’Equazione (12), si ottiene:

!

"hx

= 4#Vx

h Equazione 21

Introducendo le Equazioni (20) e (21) nell’Equazione (16) e integrando per una vite con caratteristiche geometriche costanti, si ha:

!

˙ W ="Vz

2

h#w 4 $

6Q

Vz %w %h

&

' (

)

* + + 4"

Vx

2

h#w Equazione 22

Dall’Equazione (22) si nota che ]a potenza assorbita nella sezione di pompaggio è una funzione molto forte della velocità di rotazione della vite. La potenza assorbita nella zona di trasporto dei solidi è in genere modesta rispetto alla potenza totale e poco influenzata dalle variabili operative tranne che dalla velocità di rotazione alla quale può considerarsi proporzionale. Poco si può invece dire sulla potenza assorbita dalla zona di fusione che è, del resto, fortemente dipendente dalle condizioni operative.

Estrusione di fluidi non newtoniani

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Le equazioni che determinano le relazioni portata-pressione sono state ricavate considerando il fluido newtoniano, senza tenere conto, cioè, che il flusso modifica la viscosità. Se vale una legge di potenza del tipo

!

" = K # ˙ $ n e pertanto la viscosità è proporzionale a

!

˙ " n#1, secondo l’equazione

!

"

˙ # = K $ ˙ # n%1

l’Equazione (10) per un fluido non newtoniano assume la forma:

!

Q = A "N #C " ˙ $ 1#n " %P Equazione 23 La determinazione del gradiente di velocità è difficoltosa, in quanto dipende sia dalla geometria della vite, che può variare, sia dalla posizione. L’Equazione (19) permette di calcolare il gradiente di velocità solo per il flusso newtoniano isotermo. Poichè

!

˙ " hz

dipende da Q, che a sua volta dipende dalla viscosità, non è possibile calcolare esattamente il suo valore per un fluido non newtoniano. Sono stati quindi proposti metodi approssimati per determinare un valore medio del gradiente di velocità. Uno dei più semplici suggerisce di calcolare il valore medio

!

˙ " come rapporto fra la velocità al centro del canale vo e la semialtezza del canale (H/2). Si può verificare che il profilo di velocità vz per un fluido non newtoniano sottoposto a moto di pressione fra due piatti paralleli è:

!

vz =Vo 1"2y

H

#

$ %

&

' (

n+1

n)

*

+ +

,

-

.

.

da cui si ricava che la velocità al centro del canale, y = 0, è

!

v o

=H

2

n

n +1

h

2"o

#P

#z

$

% &

'

( )

1

n

da cui risulta che il gradiente di velocità medio è proporzionale a (P1/n. L’Equazione (23) può allora scriversi:

!

Q = A "N #C'"$P

1

n Poichè n < 1, la portata diminuisce al crescere della pressione più di quanto previsto per un fluido newtoniano. Deve inoltre essere tenuto presente che n va diminuendo con lo sforzo e quindi con la pressione. Ciò implica che la diminuzione di Q è crescente con P. Anche nella filiera il fuso può avere comportamento non newtoniano. Utilizzando ancora la legge di potenza, la caratteristica della filiera, Equazione (14), può scriversi:

!

Qfil = k1

"P

˙ # n$1

e, poichè

!

˙ " n#1 è proporzionale a Qn-1:

!

Q = " " k #P

Qn$1

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e quindi:

!

Q = " k #P

1

n In Figura 12 sono rappresentate curve tipiche delle caratteristiche della vite e della filiera per un fluido non newtoniano. A pari portata si avrà una pressione di testa minore e la pressione crescerà meno rapidamente all’aumentare della portata.

Figura 12. Caratteristiche della vite e della filiera tipiche per fluidi non newtoniani.

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Applicazioni dell’estrusione – Estrusione di tubi

Grandissime quantità di tubi (specie in polietilene e in polivinilcloruro) vengono prodotte per usi edili e per il trasporto dell'acqua e del gas. L'impianto di produzione comprende, oltre all'estrusore, una testa di estrusione, un sistema di calibrazione del diametro, un bagno di raffreddamento, un dispositivo di traino e una sega automatica per tagliare il tubo in spezzoni di lunghezza voluta.

Figura 13. Schema di una testa di estrusione a squadra per l’estrusione di tubi.

Figura 14. Schema di una testa di estrusione diritta (o longitudinale) per l’estrusione di tubi. La testa può essere a squadra (Figura 13) oppure diritta (Figura 14). Sono rispettivamente caratterizzate dal flusso di ingresso del fuso polimerico ortogonale a quello di uscita e dal flusso che in entrata ed uscita ha la stessa direzione. La testa diritta presenta una migliore simmetria di flusso ed è caratterizzata da un mandrino centrale necessario per formare il canale di flusso, sostenuto da una piastra forata o da altri tipi di sostegno (razze). Tali sostegni provocano nella sezione di scorrimento una divisione del flusso in correnti parziali che si ricongiungono a valle, lasciando talvolta traccia della diversa storia termica e dinamica (a causa dei diversi gradienti sperimentati) nei punti di riunione dei flussi. L'introduzione di una zona di strozzatura, subito a valle del ricongiungimento delle linee di flusso, riomogeneizza il materiale. All'uscita dalla filiera il tubo, che si trova allo stato fuso, deve essere raffreddato immediatamente per impartirgli l'indeformabilità propria dello stato solido. È necessario in tale fase garantire il raggiungimento delle dimensioni del diametro voluto entro le tolleranze prescritte (calibrazione). Generalmente viene adottata la calibrazione del solo diametro esterno del tubo. Il tubo di plastica, a tale scopo, viene fatto aderire a un cilindro metallico di diametro preciso raffreddato ad acqua e tenuto a pressione

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ridotta (calibratore). Il calibratore presenta numerosi fori all'interfaccia con il tubo da calibrare (Figura 15) in modo da obbligarlo ad aderire per aspirazione. I bruschi raffreddamenti e l'applicazione di uno stiro applicato a valle dell'impianto influiscono sugli sforzi interni presenti nel manufatto a temperatura ambiente. È perciò opportuno in certi casi eseguire un post-trattamento termico, per ridurre le tensioni interne.

Figura 15. Schema di calibratore.

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Applicazioni dell’estrusione – Estrusione di lastre

Vengono definite lastre parallelepipedi di lunghezza indefinita aventi spessori generalmente compresi fra 1.2 e 6 mm e larghezze fino a 2200 mm. Per la loro produzione si usa una filiera a testa piana che riceve il flusso polimerico nella sua zona centrale (Figura 16a - indice 1) e distribuisce il flusso in filetti il più uniformemente possibile al fine di guidarli in tutti i punti della sezione rettangolare di uscita (Figura 16a - indice 4) in modo da realizzare, in tutti i punti di uscita, velocità parallele ed uguali.

Figura 16. Schemi di filiere per estrusione di lastre: a) testa con distributore rettilineo e b) testa con distributore ad attaccapanni. 1,5: collo; 2,6: distributore; 3,9: barra; 4,10: labbro; 7: triangolo; 8:

collettore. Le filiere sono progettate in modo da realizzare perdite di carico locali (cadute di pressione) diverse nelle varie direzioni percorse dai filetti del polimero fuso. I filetti centrali del flusso devono fare il minimo percorso per raggiungere le labbra della filiera all’uscita; devono perciò incontrare resistenze addizionali imposte ben maggiori delle resistenze che devono incontrare i filetti che, sempre partendo dal centro della filiera, raggiungono i punti periferici laterali delle labbra attraverso i percorsi più lunghi. Per la progettazione della forma geometrica della filiera si usano innanzitutto modelli reologici che calcolano le sezioni di passaggio e gli spessori dei vari flussi elementari (filetti) in modo da raggiungere resistenze tali che le velocità locali siano quelle desiderate. La regolazione finale viene ottenuta con interventi meccanici e cioè con barre di regolazione (Figura 16 – indici 3 e 9) che creano strozzature dei flussi elementari, comandate da viti di scorrimento. Tolleranze molto ristrette dello spessore delle lastre possono essere ottenute con labbra della filiera tenute a distanza molto ben regolabile. Un’ottima calibrazione dello spessore e una superficie liscia della lastra prodotta possono essere ottenute mandano la lastra estrusa direttamente tra i rulli di una calandra a valle, avente superficie cromata, detta calandra lucidatrice. La distanza fra le labbra della filiera e l’asse che unisce i centri dei rulli della calandra lucidatrice deve essere la minima possibile per evitare eccessivi raffreddamenti dell’estruso. In tal modo gli sforzi indotti dalla calandratura rilassano immediatamente. Lastre prive di tensioni interne vengono ottenute lasciando raffreddare lentamente la lastra e limitando la velocità di traino che altrimenti potrebbe indurre stiramenti.

Applicazioni dell’estrusione – Estrusione di film

Vengono definite film fogli di lunghezza indefinita aventi spessori generalmente compresi fra 20 e 800 µm e larghezze fino a 2200 mm. Il processo di formatura è del tutto analogo a quello

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della produzione di lastre, salvo le maggiori difficoltà incontrate per regolare con grande precisione l’apertura delle labbra della filiera che viene in tal caso effettuata con viti differenziali. Le filiere a testa piana sono in genere provviste di canale di distribuzione a forma di attaccapanni (Figura 16b); esso assicura una buona omogeneità nella distribuzione del flusso e può evitare angoli morti nei quali si possono verificare degradazioni del materiale. Data la piccolezza della sezione, in filiera si verificano forti perdite di carico e la pressione può raggiungere localmente anche 300 bar. Di conseguenza le barre di regolazione del flusso devono essere munite di guarnizioni metalliche per evitare la fuoriuscita di polimero fuso. La Figura 17 mostra uno schema di impianto di produzione di film. Il film estruso, appena uscito dalla filiera (1), si appoggia alla superficie di un cilindro di raffreddamento di grandi dimensioni (2) che raffredda omogeneamente il materiale. Talvolta il film viene raffreddato per immersione in acqua.

Figura 17. Schemi di una linea di estrusione per la produzione di film. È opportuno passare il film su alcuni successivi cilindri di condizionamento termico per attenuare l’eventuale orientamento longitudinale delle macromolecole indotto dall’inevitabile stiro subito. Lo stiro può essere causa di inconvenienti nello stoccaggio in quanto la spontanea riduzione degli orientamenti che si verifica a temperatura ambiente durante il periodo di immagazzinamento sui rulli di raccolta (6), può indurre nel film sollecitazioni di trazione che generano una pressione verso l’interno del rullo; esse tendono a comprimere verso l’interno i vari strati del film, impaccandoli e riducendone la svolgibilità. Il controllo dello spessore (±10%) viene fatto in modo continuo (4) senza contatto (ad esempio con raggi +). Le cariche elettrostatiche ad alta tensione applicate sul film (5) (effetto corona) prima dell’avvolgimento sui rulli di raccolta modificano la superficie rendendola sensibile agli inchiostri per una successiva stampa. Le velocità di traino dei film industriali variano dai 10 ai 60 m!min-1.

Applicazioni dell’estrusione – Produzione di film orientati

L’applicazione di sollecitazioni di stiro nella direzione longitudinale provoca sia nei film amorfi che in quelli semicristallini un certo grado di orientamento molecolare che causa anisotropia. L’anisotropia origina proprietà differenti nelle diverse direzioni del film. Tra di esse vale la pena ricordare l’indice di rifrazione, il modulo elastico, la tenacità, il ritiro che si ottiene per ricottura del film (film termoretraibili). Tutte queste proprietà risultano fortemente diverse nelle direzioni parallela e perpendicolare alla direzione di stiro. La Figura 18 indica che la resistenza a trazione cresce di un fattore 2-3 nella direzione di stiro mentre diminuisce nella direzione perpendicolare, sia nel caso di polimeri semicristallini che di polimeri amorfi. Analogamente si comporta la tenacità a frattura (Kc e Gc). Per impartire anisotropia al film occorre che ad esso venga imposto un opportuno allungamento, ad esempio facendolo passare tra due coppie di rulli in successione che hanno velocità periferiche diverse. Per avere una buona produttività occorre effettuare lo stiro a temperature tali che l’orientamento delle macromolecole sia veloce e comunque realizzabile nel tempo tecnico di stiro; in genere per i film amorfi si effettua lo stiro ad una temperatura di poco superiore alla Tg in modo da limitare gli scorrimenti viscosi che riducono l’orientamento. Inoltre occorre subito dopo raffreddare velocemente il film per aumentare il tempo di rilassamento associato al processo spontaneo di disorientamento delle macromolecole. In tal modo si riesce a mantenere lo stato di orientamento raggiunto alla

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temperatura di stiro. Il tempo di rilassamento cresce esponenzialmente con 1/T e quindi il rapido raffreddamento consente di mantenere permanentemente l’orientamento a temperatura ambiente. Gli impianti di produzione di film monorientati sono simili a quelli usati per la produzione dei non orientati ad eccezione della parte dell’impianto destinata all’esecuzione dello stiro e del successivo raffreddamento.

Figura 18. Andamento di alcune proprietà di film polimerici misurate nelle direzioni parallela ed ortogonale allo stiro in funzione del rapporto di estensione (grado di orientamento).

I film orientati servono non solo per le migliori proprietà meccaniche ottenute nella direzione di stiro, ma anche per impieghi particolari associati alla loro termoretraibilità (ad esempio film di protezione di libri, stampe, oggetti vari, ecc.). Per avvolgere tali oggetti è sufficiente riscaldare il film che li avvolge al di sopra della temperatura di retrazione (Tg per i polimeri amorfi). I film possono venire stirati anche in due direzioni ortogonali. In tal caso una delle più diffuse tecnologie è quella della filmatura in bolla, i cui dettagli sono riportati nel seguente paragrafo. In alternativa, per eseguire l'orientamento in due direzioni ortogonali di film piani ottenuti per estrusione con filiera a testa piana, si può ricorrere allo stiro in due stadi. Nel primo stadio il film viene allungato come di consueto in direzione longitudinale agendo sulla velocità relativa dei rulli di trascinamento; nel secondo stadio il film viene afferrato sui bordi da morsetti vincolati a due catene continue che si muovono nel senso longitudinale, contemporaneamente allontanandosi dalla mezzeria del film (vedi Figura 19). Cosi il film viene deformato nella direzione perpendicolare alla direzione dello stiro longitudinale già subito. Le due operazioni di stiro possono essere eseguite contemporaneamente. Trattamenti termici dei biorientati eseguiti impedendo con opportuni vincoli le altrimenti spontanee contrazioni trasversali e longitudinali, stabilizzano la struttura biorientata.

Figura 19. Stiro trasversale di film prodotti per estrusione in testa piana.

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Applicazioni dell’estrusione – Filmatura in bolla (“blowing extrusion”)

Il processo di produzione di film per soffiaggio (filmatura in bolla, “blowing extrusion”) consiste nell’estrusione di un fuso polimerico attraverso un foro anulare. Il tubo viene gonfiato per mezzo di aria soffiata all’interno e stirato lungo l’asse, secondo lo schema di Figura 20.

Figura 20. Schemi del processo di filmatura in bolla. Durante il processo il film si raffredda e solidifica, cosicché può essere piegato fra i rulli che lo tirano. Il raffreddamento si effettua per convezione forzata soffiando aria attraverso un anello posto al di sopra della filiera. In condizioni di regime stazionario la quantità di aria all’interno della bolla è costante e piccole perdite sono compensate da aria che viene soffiata all’interno in modo tale che resti costante la pressione. A causa dello stiro in direzione longitudinale e del soffiaggio, il fuso polimerico è sottoposto ad un flusso elongazionale biassale. La deformazione nelle due direzioni orienta quindi le macromolecole sia nella direzione longitudinale che in quella circonferenziale. Queste due azioni avvengono in una zona vicino alla testa dell’estrusore, mentre non c’è alcuna deformazione al di sopra di una certa sezione, nota come linea di gelo, in cui avviene la solidificazione del polimero. In questa zona la velocità del film varia passando da quella d’estrusione (Ve) a quella di stiro (Vs), e il raggio del tubo passa da quello della filiera (Ro) a quello finale del film (Rf). Si definiscono due rapporti: - rapporto di stiro longitudinale (o in direzione della macchina):

!

DR =Vs

Ve

- rapporto di soffio:

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!

BUR =Rf

Ro

La deformazione totale subita dal polimero è pari alla riduzione totale dello spessore da eo a ef, ed è legata ai parametri precedenti dalla relazione:

!

eo

e f= DR"BUR

I due rapporti sopra descritti determinano le deformazioni subite dal fuso polimerico e quindi l’orientazione e le proprietà finali del film nelle due direzioni. Mentre per alcune applicazioni è desiderabile ottenere proprietà migliori in una sola direzione, in altri casi è necessario un giusto bilanciamento delle proprietà in ambedue le direzioni. Per ottenere ciò, non è in genere sufficiente l’uguaglianza del rapporto di stiro e del rapporto di soffio.

Sforzi agenti sulla bolla

La cinematica dell’operazione è particolarmente complicata nella zona vicino alla filiera dove il fuso polimerico subisce la deformazione, cioè tra la filiera e la linea di gelo. In questa zona il materiale è sottoposto ad un flusso elongazionale biassiale. La bolla è quindi sottoposta a sforzi nelle tre direzioni, cui il film deve resistere affinché la bolla stessa non si rompa.

Forza longitudinale

La forza totale esercitata nella direzione longitudinale è somma di diversi contributi: - peso del film; - forza d’attrito fra film e sistema guidafilm (cilindri di guida); - forza dovuta alla pressione interna; - forza di stiro responsabile della deformazione biassiale.

Figura 21. Bilancio delle forze verticali. La forza totale va decrescendo dai rulli verso il foro d’estrusione. Al di sotto del sistema guidafilm, la forza d’attrito è nulla, mentre al foro di estrusione è nullo anche il peso. In una qualunque posizione z (Figura 21), trascurando le forze d’attrito, si ha:

!

F(z) = Fo + "#P r2 $ Ro

2( ) + 2"g %edz

cos&0

z

' Equazione 24

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dove Fo è la forza di stiro al foro d’estrusione (praticamente trascurabile), il secondo termine la forza dovuta alla pressione e l’ultimo termine il peso del film. La forza è correlata con lo sforzo lungo la direzione meridiana m (Figura 22):

!

F(z) = 2" # r(z) # e(z) #$m(z) # cos%(z) Equazione 25

e quindi per l’equilibrio i due termini a destra delle Equazioni (24) e (25) sono tra loro uguali.

Figura 22. Geometria della bolla. Lo sforzo ,m è tanto maggiore quanto più alta è la viscosità elongazionale del materiale. Un’elevata viscosità elongazionale è dunque necessaria per questa operazione di trasformazione.

Forza perpendicolare al film

Si può dimostrare che il bilancio delle forze su un elemento di film (Figura 21 e Figura 22), è dato dalla relazione:

!

"P

e=# m

Rm

+# p

Rp

$ % & g & sin'

Gli sforzi lungo la direzione meridiana e parallela e la componente della forza di gravità bilanciano la pressione interna. All’altezza della linea di gelo la geometria del tubolare non varia più, quindi Rp = Rf, ! = 0 e Rm # $. Lo sforzo è quindi:

!

" p =Rf

e

che è la classica formula dei recipienti in pressione. Lo sforzo cresce quindi al crescere del raggio e al diminuire dello spessore. Siccome gli sforzi agenti sul film sono bilanciati solo

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dalla viscosità del materiale, la filmabilità dei polimeri cresce con la loro viscosità elongazionale.

Parametri operativi e proprietà meccaniche

I parametri che maggiormente influenzano le proprietà meccaniche del film sono: - rapporto di stiro longitudinale (DR); - rapporto di soffio (BUR); - temperatura del fuso; - portata; - velocità di raffreddamento. Stiro longitudinale e rapporto di soffio determinano le proprietà meccaniche nella direzione longitudinale e trasversale rispettivamente. Al crescere di questi due parametri crescono sia il modulo che la tensione a rottura, mentre va diminuendo l’allungamento a rottura. Più complicata è l’influenza di questi parametri sulla resilienza. Su questa grandezza influisce, infatti, non solo il valore dell’orientazione e quindi di DR e BUR ma, soprattutto, il loro rapporto. Infatti, crescendo uno solo di questi valori, la rottura può propagarsi facilmente nella stessa direzione. In Figura 23 sono riportati i valori della resilienza per un film di polietilene a bassa densità in funzione del rapporto DR/BUR, mantenendo costante il valore dello stiro longitudinale (al crescere del valore dell’ascissa va diminuendo BUR). Si nota che il valore della resilienza cresce al diminuire di BUR, e probabilmente il valore più elevato si osserverebbe quando DR/BUR = -1, cioè quando le orientazioni nelle due direzioni sono bilanciate. In Figura 24 è riportato il valore della resilienza in funzione dello stiro longitudinale mantenendo costante il rapporto DR/BUR, e quindi al crescere di DR cresce anche BUR. In questo caso la resilienza cresce con DR perchè contemporaneamente aumenta DR nella stessa misura. In conclusione, l’aumento dello stiro migliora la resilienza perchè cresce contemporaneamente il rapporto di soffio, essendo quindi il risultato finale un aumento dell’orientazione in ambedue le direzioni.

Figura 23. Resilienza di un film in funzione del rapporto DR/BUR, a rapporto di stiro costante (i valori sperimentali esatti di DR sono indicati).

L’aumento di portata e di temperatura del fuso danno luogo a due effetti negativi: diminuendo lo stiro longitudinale e la viscosità, e quindi i tempi di rilassamento, impediscono una efficace orientazione. Si ottengono quindi proprietà meccaniche più scadenti in entrambe le direzioni. Per lo stesso motivo, al diminuire della velocità di raffreddamento, si ottiene un peggioramento di tutte le proprietà meccaniche.

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Tutti i parametri sopra analizzati danno luogo a variazioni della linea di gelo e della forma della bolla. L’altezza della linea di gelo può essere definita come la distanza dalla filiera a cui il fuso solidifica e la bolla assume le sue dimensioni finali. Tale valore è influenzato essenzialmente da: - portata del polimero fuso; - temperatura del polimero fuso; - velocità di raffreddamento.

Figura 24. Resilienza di un film in funzione del rapporto di stiro, a valore costante del rapporto DR/BUR (DR/BUR = 1.9 ± 0.1).

Ovviamente al crescere della portata e della temperatura si ha un aumento dell’altezza della linea di gelo, che invece diminuisce al crescere della velocità di raffreddamento. La forma della bolla (Figura 25) ha una notevole importanza, a parità di rapporto di soffiaggio, soprattutto sull’orientazione trasversale. In particolare, una bolla del tipo A darà luogo ad una maggiore orientazione trasversale rispetto alla bolla di tipo B. Infatti, nel caso di una bolla di tipo A l’orientazione in senso longitudinale avviene nella zona vicino all’uscita dalla filiera e quindi a temperatura alta, quando la viscosità, e quindi i tempi di rilassamento del polimero fuso, sono minori: si ha dunque un parziale rilassamento dell’orientazione. Al contrario, l’orientazione in senso trasversale avviene più in alto, a temperature più basse, e quindi viene congelata più facilmente. Nel caso di bolla di tipo B l’orientazione in senso trasversale è più efficace o meglio, poiché le due orientazioni avvengono quasi nella stessa zona e sono congelate nello stesso tempo, esse sono bilanciate nelle due direzioni. Una bolla di tipo A viene ottenuta quando la linea di congelamento è alta e quindi in presenza di alte portate, alta temperatura del fuso e bassa velocità di raffreddamento. Alte linee di gelo tendono, quindi, a far aumentare le proprietà meccaniche nella direzione trasversale.

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Figura 25. Possibili forme di bolle.

Proprietà dei film ottenuti

I film ottenuti da polimeri semicristallini presentano spesso maggiore opacità di quelli ottenuti da polimeri amorfi e maggiore difficoltà per il controllo della loro trasparenza e riflettanza. L'opacità (“haze”) può essere provocata sia dalla diffusione della luce che si verifica alla superficie del film per la presenza di difetti locali dovuti alla rugosità che si origina all'uscita della filiera, sia dalla diffusione della luce che, attraversando il film, trova nel caso dei polimeri semicristallini domini cristallini alternati a domini amorfi caratterizzati da indice di rifrazione diverso. Nel caso in cui le dimensioni degli sferuliti o degli aggregati cristallini superi la lunghezza d'onda della luce, l'haze diventa sensibile. Questa seconda causa di diffusione non esiste per i polimeri amorfi. I produttori di film cristallini (Nylon 6, PP) cercano di limitare le dimensioni dei domini cristallini e spesso ricorrono all'impiego di agenti nucleanti ben dispersi nel fuso polimerico, e/o a trattamenti termici che consentono di nucleare nuclei piccoli e numerosi e di far crescere cristalliti di dimensioni inferiori alla lunghezza d'onda della luce.

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Stampaggio ad iniezione

Lo stampaggio ad iniezione è una tecnologia di tipo discontinuo estremamente diffusa nel caso dei polimeri termoplastici. I manufatti ottenuti possono avere forme tridimensionali qualsiasi, anche del tutto asimmetriche e possono avere dimensioni comprese fra qualche millimetro (ad esempio piccoli ingranaggi, bottoni, ecc.) e qualche metro (ad esempio paraurti e plance per automobili, vasche, ecc.). Una pressa da iniezione a vite punzonante è costituita essenzialmente da due parti: il gruppo di plastificazione/iniezione, P, ed il gruppo stampo con i meccanismi di apertura, chiusura ed estrazione, S (Figura 26).

Figura 26. Schemi di pressa ad iniezione a vite punzonante. La vite ruota spingendo in avanti il materiale solido all’interno di un cilindro mantenuto, almeno nella zona vicina allo stampo, ad una temperatura maggiore di quella di fusione o di transizione vetrosa del polimero. Il polimero fuso si accumula, quindi, nella camera di iniezione e, quando il volume di materiale accumulato è diventato sufficiente per il riempimento dello stampo, viene spinto attraverso un ugello nella cavità dello stampo da una traslazione in avanti dalla vite stessa (fase di iniezione). Lo stampo, mantenuto a temperatura più bassa, è costituito da una parte fissa e da una o più parti mobili le quali vengono allontanate automaticamente per poter estrarre il manufatto alla fine del ciclo. Il polimero fuso raggiunge la cavità (che ha la forma del manufatto desiderato) attraverso opportuni canali, dei quali spesso il primo (detto materozza) è a geometria cilindrica con sezione crescente lungo la direzione del flusso (Figura 27). Prima di entrare

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nella cavità, il fuso percorre un breve tratto di sezione notevolmente minore detto luce di entrata, più comunemente indicato con il termine inglese “gate”.

Figura 27. Assonometria di uno stampaggio a iniezione da laboratorio. Riempita la cavità, inizia la fase di mantenimento durante la quale il polimero viene tenuto sotto pressione elevata. Ciò allo scopo di forzare in cavità altro materiale per compensare l’aumento di densità, e quindi il ritiro del manufatto, connesso con la diminuzione di temperatura e con la solidificazione, che avvengono sia durante la stessa fase di mantenimento che successivamente.

Figura 28. Andamento schematico della pressione nella cavità durante le diverse fasi dello stampaggio. La solidificazione del polimero al gate che, essendo la sezione di passaggio del materiale più piccola avviene prima che nello stampo vero e proprio, dà inizio alla fase di raffreddamento.4 Infatti, dopo la chiusura del gate il polimero non può più entrare in cavità qualunque sia la pressione esercitata nella camera di iniezione. Durante la fase di raffreddamento il manufatto solidifica portandosi alla temperatura dello stampo. La diminuzione di temperatura (e l’eventuale cristallizzazione nel caso di polimeri semicristallini) non è più compensata dal flusso di mantenimento e quindi provoca una diminuzione di pressione a volume e densità costanti. Un diagramma schematico dell’andamento della pressione in cavità è mostrato in Figura 28. La pressione comincia a crescere dall’istante in cui il fuso raggiunge il sensore di pressione piazzato nella cavità; completato il riempimento dello stampo5 la pressione cambia

4 In realtà il polimero fuso inizia a raffreddarsi non appena arriva a contatto con le pareti dello stampo e quindi già nelle fasi di iniezione e di mantenimento. 5 Nella pratica il passaggio dalla fase di iniezione alla fase di mantenimento viene effettuato leggermente prima che la cavità sia completamente riempita (circa 90-97% di riempimento) per evitare eccessivi sbalzi di pressione in cavità.

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rapidamente di livello perché inizia la fase di mantenimento; successivamente la pressione subisce variazioni graduali connesse con il progressivo raffreddamento del polimero. Quando si ha solidificazione al gate inizia la vera e propria fase di raffreddamento, durante la quale la pressione decresce più rapidamente. Il passaggio alla fase di raffreddamento è tanto più veloce quanto più sottile è il gate, ossia quanto più celere è la solidificazione del polimero al suo interno. Il valore finale della pressione in cavità all’apertura dello stampo (pressione residua, Pr) è determinato dalla massa di polimero presente in cavità al momento della chiusura del gate. Dopo il raffreddamento lo stampo viene appunto aperto ed il manufatto staccato dallo stampo per mezzo di estrattori automatici.

Fase di iniezione o riempimento

In Figura 27 è mostrato lo schema di uno stampaggio a iniezione dalla camera di iniezione allo stampo. Misurando la pressione mediante trasduttori montati lungo la linea si possono costruire grafici come quello mostrato in Figura 29, che indicano come la pressione diminuisca, istante per istante, nel passaggio del materiale attraverso il sistema. Durante la fase di iniezione, la pressione cresce nel tempo, in quanto con il riempimento in ciascun punto cresce la distanza che va dal fronte di avanzamento del fuso, dove la pressione è dell’ordine della pressione atmosferica, alla camera di iniezione: la curva del grafico di Figura 29 si sposta parallelamente a se stessa verso l’alto all’aumentare del tempo di iniezione. La pressione esercitata dal fuso tende a separare la parte fissa e quella mobile dello stampo. Si ha un riempimento non buono se al procedere del fronte la pressione di iniezione oppure la forza di chiusura dello stampo raggiungono il limite massimo preimpostato. In tal caso il riempimento rimane incompleto oppure si ha l’apertura dello stampo con sbavatura del polimero tra parte mobile e parte fissa dello stampo.

Figura 29. Profilo della pressione nella zona successiva alla camera di iniezione valutato mediante i trasduttori P1, P2, P3 e P4 indicati in Figura 27.

In una situazione isoterma la caduta di pressione, o perdita di carico, diminuisce al diminuire della velocità o della portata. Il caso in esame non è isotermo e la situazione è quindi più complessa. Il polimero, infatti, scorrendo in uno stampo freddo, tende a diminuire di temperatura lungo il percorso ed a solidificare sulla parete dello stampo, riducendo cosi la sezione effettivamente disponibile al flusso. Al crescere della portata si riducono sia il raffreddamento del polimero lungo il percorso che lo spessore dello strato solido. Al di sotto di certi valori della portata, diventa determinante la riduzione della sezione disponibile per il flusso a causa dello strato solido; in tali condizioni il polimero avanza con difficoltà (pressioni molto elevate) ed il flusso si arresta quando la pressione raggiunge quella massima disponibile sulla macchina. Ad alte portate può diventare significativa, nella zona dove gli sforzi sono più elevati, la trasformazione di energia meccanica in energia termica per attrito viscoso. L’effetto è un incremento locale di temperatura che contribuisce a ridurre l’aumento di perdita di carico con la portata. Un aumento della temperatura di iniezione (Ti) o soprattutto dello stampo (Tst) tengono più caldo il polimero e pertanto tendono a ridurre gli effetti menzionati sopra nel senso che, ad esempio, lo strato solido mantiene uno spessore minore e le perdite di carico rimangono più modeste. Al di là di ovvi problemi pratici ed energetici, le temperature hanno dei limiti superiori: una Ti troppo elevata può dare problemi

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di degradazione mentre la Tst deve essere comunque inferiore alla temperatura di solidificazione del polimero, ma non può essere ad essa troppo vicina perchè altrimenti si allungano enormemente i tempi del ciclo di stampaggio.

Fasi di mantenimento e raffreddamento

Quando il necessario volume di polimero è stato iniettato nello stampo, e quindi la pressione in cavità o nella camera di iniezione raggiunge un assegnato livello, la macchina passa dalla fase di riempimento, durante la quale opera in controllo di velocità (cioè viene controllata la velocità di traslazione della vite), alla fase di mantenimento durante la quale opera in controllo di pressione (cioè viene controllata la pressione di mantenimento). Durante la fase di mantenimento la temperatura del polimero decresce e si realizza un progressivo avanzamento del fronte di solidificazione dalle pareti dello stampo verso l’interno. Quando il materiali polimerico solidifica completamente al gate non si ha più alcun flusso verso l’interno della cavità e la pressione esercitata nella camera di iniezione non ha più effetto sul polimero all’interno della cavità. Termina quindi la fase di mantenimento in pressione ed inizia la fase di raffreddamento. Durante tale fase la solidificazione procede e corrispondentemente diminuisce la pressione come mostrato in Figura 28. Lo stampo può essere aperto quando il polimero solido raggiunge uno spessore sufficiente da evitare danneggiamenti del manufatto durante l’apertura dello stampo e l’estrazione del pezzo. Il valore finale della pressione a stampo chiuso ovviamente dipende dalla pressione di mantenimento: se questa è troppo elevata, il volume del pezzo è più grande di quello dello stampo e può esserci difficoltà ad estrarre il manufatto. Se, viceversa, il valore della pressione di mantenimento è basso, la pressione in cavità scende al valore della pressione atmosferica prima che la temperatura del manufatto raggiunga quella dello stampo; in tal caso il successivo raffreddamento non avviene a volume specifico costante, ma a pressione atmosferica a volume specifico decrescente con ritiro del manufatto rispetto alle dimensioni dello stampo.

Ritiro del manufatto

Come si è già osservato, la chiusura del gate richiede un tempo crescente con lo spessore dello stesso, e quindi sia la durata che il flusso della fase di mantenimento sono collegati alle dimensioni del gate stesso. Aumentando lo spessore del gate o la pressione di mantenimento (Pp) si ha una pressione media residua (Pr) maggiore, e l’estrazione può diventare difficoltosa. In seguito all’apertura dello stampo e all’estrazione del pezzo si ha una espansione del manufatto proporzionale alla pressione residua. Successivamente il manufatto si porta a temperatura ambiente e subisce una ulteriore variazione di volume, proporzionale alla differenza di temperatura tra lo stampo e l’ambiente. Esiste una pressione di mantenimento massima (Pmax) per la quale l’espansione all’estrazione compensa esattamente la contrazione successiva per raffreddamento a temperatura ambiente. Può anche essere individuato un valore minimo della pressione di mantenimento (Pmin) per la quale la pressione si riduce a quella atmosferica quando tutto il manufatto è solidificato; per valori della pressione di mantenimento minori di Pmin la contrazione connessa con la solidificazione dà luogo a ritiri localizzati o a vuoti, dipendentemente dalle condizioni. In Figura 30 è schematicamente mostrato come, al diminuire di Pp da valori superiori a Pmax a valori inferiori a Pmin si passi da un manufatto avente, a temperatura ambiente, dimensioni maggiori di quelle della cavità (eccesso di mantenimento), ad uno con dimensioni uguali a quelle della cavità, ad uno con dimensioni minori ma con geometria regolare, ed infine ad uno con dimensioni ancora minori con geometria non controllata.

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Figura 30. Rappresentazione schematica della relazione tra dimensioni della cavità (disegno tratteggiato) e del manufatto (disegno continuo) in dipendenza dalla pressione di mantenimento.

Esame di un caso: l’ottimizzazione della fase di mantenimento (post-pressione)6

Poiché il volume specifico del materiale polimerico generalmente diminuisce nel passaggio dallo stato fuso allo stato solido, il pezzo stampato viene normalmente ad avere dimensioni inferiori a quelle della cavità dello stampo con cui è stato prodotto. Si pone allora il problema di prevedere l’entità di tale “ritiro” per poter dimensionare correttamente lo stampo, maggiorandone le quote rispetto alle dimensioni finali volute nel manufatto, in modo da compensare il ritiro che subirà il pezzo stampato. Il problema non è semplice giacché, normalmente, il ritiro dipende non solo dal comportamento PVT del materiale ma anche da molte altre variabili, quali: - la forma e le dimensioni del pezzo, - le caratteristiche dello stampo (posizione e sezione delle soglie di iniezione, lunghezza e sezione dei canali di alimentazione) e del suo circuito di raffreddamento, - le condizioni di stampaggio (temperatura delta massa fusa e dello stampo, pressioni e tempi di stampaggio). Il vasto intreccio di questi fattori, inoltre, fa sì che il ritiro non sia mai uniforme: esso presenta valori diversi se misurato nella direzione del flusso del materiale nello stampo oppure in direzione trasversale, e tanto maggiori quanto più lontano lo si misura dalla soglia di entrata del materiale nello stampo. Il problema, d’altra parte, non è di poco conto, specialmente se si tratta di produrre pezzi di precisione, le cui dimensioni devono rispettare stretti limiti di tolleranza: grossi errori di previsione del ritiro si tradurrebbero in costosi rifacimenti o modifiche dello stampo. Tradizionalmente il problema veniva affrontato empiricamente dal costruttore di stampi, che attingeva dati ed informazioni dall’esperienza precedente, memorizzata nelle “schede collaudo stampi”, raccolte sistematicamente ed ordinate per “famiglie di pezzi simili”, una specie di “banca dati” per lo stampista. Un’analisi comparata di soluzioni adottate in precedenza per casi analoghi serviva da guida al progetto ed alla costruzione di nuovi stampi. Per ridurre il grado di rischio si ricorreva anche a prove di stampaggio con stampi sperimentali ad una sola impronta, dalle quali si poteva rilevare il ritiro effettivo, prima di procedere alla costruzione dello stampo definitivo a impronte multiple. Era anche prassi

6 Da Atti del XVI Convegno Scuola AIM su “Processi di trasformazione di polimeri termoplastici: aspetti fondamentali e tecnologici”, Capitolo II

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degli stampisti lasciare del metallo in eccedenza sulle facce critiche dello stampo in modo da poter rifresare la cavità, dopo i tentativi iniziali, e correggere le dimensioni del prodotto ottenuto. L’introduzione di processori di controllo del processo consente ora di ottimizzare la conduzione della fase di mantenimento della pressione in modo da controllare precisamente il peso del pezzo stampato, ovvero le sue dimensioni finali. A tale scopo, nella fase di mantenimento occorre diminuire la pressione sul materiale in modo opportuno, in rapporto al decadimento della temperatura del pezzo nello stampo, fino a quando quest’ultima non ha raggiunto un valore adeguato a consentire l’estrazione del pezzo. L’ideale è passare dallo stato fuso (alta temperatura, alta pressione) allo stato solido (temperatura desiderata di sformatura, pressione atmosferica) mantenendo il volume specifico ad un valore costante (raffreddamento isocoro). In tal modo è garantita l’assenza di flussi di materiale tra la camera di plastificazione e la cavità dello stampo durante il raffreddamento. Per ottenere questo risultato è necessario conoscere il comportamento PVT del materiale. Consideriamo per esempio il caso di un polimero termoplastico amorfo e assumiamo, per semplificare l’esposizione, che sia sufficiente la descrizione del comportamento PVT del polimero fornita dal “diagramma di stato” di Figura 31. La prima cosa da fare è tracciare il cammino da seguire sul diagramma PVT. Il tratto I corrisponde alla compressione relativa alla fase di iniezione del materiale nello stampo. Tale fase, molto rapida, è praticamente isoterma, idealmente alla temperatura Tin della massa fusa appena prima dell’iniezione. La compressione termina al valore prestabilito della pressione di mantenimento nello stampo.

Figura 31. Applicazione di un diagramma PVT al processo di stampaggio ad iniezione. Il tratto II è un raffreddamento isobaro, condotto alla pressione di mantenimento nello stampo, fino a raggiungere il valore “di traguardo” del volume specifico del materiale corrispondente al grado di ritiro volumetrico ammissibile. Nel tratto III, un opportuno controllo nel tempo della riduzione della pressione nello stampo permette di raffreddare il materiale mantenendone il volume specifico costante (raffreddamento isocoro) fino a che la pressione raggiunge il valore atmosferico. In pratica, stabilito a parte il profilo della curva di raffreddamento (o misurando direttamente la temperatura nello stampo durante l’operazione, oppure valutando gli scambi termici mediante appositi programmi di calcolo, in caso di simulazione del processo al computer), si determina per ogni istante il valore della pressione da applicare - per ogni corrispondente valore di T - rilevandolo dal diagramma PVT o calcolandolo mediante l’equazione di stato, in modo da mantenere V costante. Essendo V = costante, non si avrà più ingresso di materiale nello stampo durante questa fase.

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Il tratto IV poi corrisponde ad un ulteriore raffreddamento del materiale nello stampo, a pressione atmosferica, fino a raggiungere la temperatura di sformatura (apertura dello stampo ed espulsione del pezzo) desiderata. Il raffreddamento del pezzo fino a temperatura ambiente si completerà poi fuori dello stampo, a pressione atmosferica, e sarà accompagnato da un’ulteriore contrazione di volume. Il ritiro complessivo è determinato quindi dai valori del volume specifico del materiale ai due punti estremi del raffreddamento isobaro, a P = 1 bar. L’ottimizzazione della fase di mantenimento (post-pressione) dello stampaggio a iniezione consiste poi nell’adattare il profilo della pressione applicata all’ingresso dello stampo alle eventuali variazioni delle condizioni di processo (per esempio, ad eventuali alterazioni della temperatura della massa fusa prima dell’iniezione causate da variazioni della viscosità del polimero, oppure ad eventuali alterazioni della curva di raffreddamento del materiale nello stampo causate da difetti accidentali del circuito di raffreddamento o altro) in modo tale da mantenere la contrazione di volume complessiva entro i limiti richiesti. A titolo di esempio dei risultati ottenibili applicando sistemi di controllo del processo nella fase di mantenimento la Figura 32 pone a confronto le variazioni di peso di pezzi ottenuti in cicli di stampaggio successivi, provocate da variazioni incontrollate di temperatura del fuso (da ciclo a ciclo) senza “ottimizzazione PVT” (a) e con “ottimizzazione PVT” (b).

Figura 32. Variazioni di peso di una ventola di raffreddamento in PA66 al variare della temperatura del fuso: a) senza “ottimizzazione PVT” e b) con “ottimizzazione PVT”.

Orientazione e morfologia

L’orientazione e la morfologia che si determinano nel manufatto sono legate alla conduzione del processo ed alla geometria dello stampo. La morfologia di una particella solida di

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polimero ottenuta per raffreddamento di un fuso in quiete dipende soltanto dalla velocità di raffreddamento; l’orientazione e la morfologia di una particella solida di polimero ottenuta per raffreddamento di un fuso che ha subito un flusso è legata alla velocità del raffreddamento ed all’orientazione accumulata durante il flusso. Non sorprende, quindi, che un manufatto polimerico prodotto per stampaggio ad iniezione non sia omogeneo, ma l’orientazione e la morfologia varino notevolmente sia con la distanza dalla parete dello stampo che, in maniera più graduale, da sezione a sezione nella direzione del flusso. L’orientazione accumulata durante il flusso cresce con l’intensità del flusso ed è connessa sia con gli sforzi di taglio che con quelli elongazionali. Gli sforzi di taglio sono massimi dove massima è la variazione della componente principale della velocità, cioè all’interfaccia con la parete solida; gli sforzi elongazionali insorgono ogni volta che una particella, lungo la sua traiettoria, è assoggettata ad un allungamento oppure ad un accorciamento in una direzione (un allungamento in una direzione è sempre compensato da un accorciamento in altre direzioni). Gli sforzi elongazionali si generano quindi ogni volta che si ha, lungo la traiettoria, una variazione della sezione disponibile al flusso. In particolare, si ha un accorciamento o una elongazione (allungamento) degli elementi fluidi nella direzione del flusso quando la velocità media in tale direzione subisce, rispettivamente, una diminuzione o un aumento, come ad esempio al gate. Inoltre, anche sul fronte del fuso che avanza durante il riempimento dello stampo si genera un flusso di tipo elongazionale (detto a fontana oppure a vulcano) che genera un’orientazione delle particelle che si depositano sulle pareti dello stampo, come schematizzato in Figura 33. Si consideri ad esempio il riempimento di uno stampo a dimensioni prevalentemente sviluppate in una sola direzione (asse x in Figura 33). Si osserva che a un generico tempo t il fronte caldo del flusso ha raggiunto una certa posizione, mentre il materiale che si trova a monte ha cominciato a raffreddarsi a partire dagli istanti pregressi, in cui esso è venuto zona per zona a contatto con le pareti del canale. Si è così formato uno strato periferico solido (detto “pelle”) di spessore non uniforme rastremato dall’ingresso sino al fronte del flusso e tanto più spesso quanto minore è la distanza dall’ingresso e cioè quanto più lungo è stato il tempo di contatto con le pareti. Il restringimento del canale riduce la sezione di passaggio del fluido e provoca in una generica sezione un aumento della velocità media e una distribuzione di velocità (Figura 33) che parte da zero al confine solido-liquido e resta quasi stazionario appena al di là del confine solido-liquido (andando verso il centro del canale) a causa della viscosità abbastanza elevata del fluido, data la relativaniente bassa temperatura. La velocità passa poi attraverso un flesso e giunge a un massimo al centro del canale ove la temperatura è alta (" bassa). Il gradiente di velocita dVx/dy tocca quindi un massimo nella zona che sta appena al di qua dello strato solido: ivi le macromolecole subiscono il massimo sforzo di deformazione al taglio e si orientano lungo l’asse x, mentre al centro del canale esse non si orientano essendo minimo il gradiente di velocità e quindi minima la sollecitazione di taglio ed anche essendo minima la viscosita (temperatura più elevata). L’orientamento provocato da questi sforzi di taglio massimi permangono nel materiale solo se il tempo del rilassamento che riporta le molecole allo stato di gomitolo è sufficientemente lungo rispetto al tempo del raffreddamento. Un altro importante processo di orientamento è quello generato sul fronte del flusso che si allarga e assume una superficie più grande rispetto a quella della sezione del canale (flusso “a fontana”) (Figura 33). L'espansione superficiale provoca un processo di elongazione delle macromolecole presenti nelle linee di corrente che, arrivando al fronte, deviano verso le pareti. La Figura 33 mostra che le molecole non orientate, in moto sulle linee di corrente che raggiungono la zona di espansione, vengono orientate nella direzione y dai processi elongazionali subiti in superficie. Poiché però la forma del fronte piega indietro per diventare tangente alle pareti gli elementi fluidi orientati secondo l’asse y vengono disposti sulle pareti fredde con orientamento nella direzione x.

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Figura 33. Schema di meccanismo di riempimento della cavità: il flusso a fontana sul fronte deposita particelle orientate sulla parete.

Non tutta l’orientazione generata dal flusso si ritrova nel solido, poiché essa tende a rilassarsi nell’intervallo di tempo che intercorre tra l’esaurirsi del flusso che la genera e la solidificazione del materiale, che congela l’orientazione residua. Per tale motivo l’orientazione è molto elevata alla parete dello stampo, dove la solidificazione avviene in centesimi di secondo, e minore nella zona centrale, dove il fuso ha di solito tempo sufficiente per rilassare gli sforzi prima di solidificare. Ovviamente, se il manufatto è sottile conserva un’orientazione significativa anche nella zona centrale. Inoltre va ricordato che, per i polimeri cristallizzabili, l’orientazione nel fuso tende ad aumentare la velocità di cristallizzazione, quindi la velocità di solidificazione, nelle sezioni ristrette. Un esempio della distribuzione di orientazione è mostrato in Figura 34, nella quale è riportata, per una sbarretta ottenuta mediante stampaggio a iniezione, la birifrangenza (cioè la differenza tra gli indici di rifrazione nella direzione ottica principale e nella direzione a questa ortogonale) in funzione della distanza Y dall’asse. La birifrangenza per un polimero amorfo è una misura dell’orientazione delle molecole. Essa è elevata sulla parete (Y/b = 1), quindi subisce una diminuzione da attribuirsi alla riduzione dell’orientazione elongazionale connessa con il flusso a fontana, aumenta nuovamente per effetto del flusso di taglio, ed infine diminuisce per assumere valori molto bassi nella zona centrale (Y/b = 0), dove il flusso genera sforzi minori. L’orientazione indotta da questi sforzi, peraltro, ha più tempo a disposizione per rilassarsi significativamente prima che il materiale solidifichi.

Figura 34. Birifrangenza in una bacchetta di raggio b ottenuta per stampaggio a iniezione.

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Raffreddamento del materiale nello stampo e sforzi residui interni nei manufatti.

A titolo di esempio viene qui discussa, in modo qualitativo e semplificato, la formazione di uno stato di sforzi residui presenti in una lastra piana dovuti a differenze locali di velocità di raffreddamento. In uno stampo atto a produrre una lastra piana, il passaggio dallo stato fuso allo stato solido del polimero si verifica per prima cosa alla superficie che si trova a contatto con lo stampo che viene permanentemente tenuta a bassa temperatura. Il materiale acquista qui un elevato modulo elastico e il suo volume specifico locale si riduce. Se il materiale è cristallizzabile il solido formatosi non ha spesso modo di cristallizzare (a causa della elevatissima velocità di raffreddamento) e resta allo stato amorfo o comunque poco organizzato. In generale esso ha una densità inferiore a quella ottenibile con un raffreddamento lento. Non nascono in questo momento sforzi nel sistema perchè la fase liquida interna, adiacente al solido formatosi, ha tempi di rilassamento e modulo elastico molto piccoli. Perciò il sistema è in grado di compensare ogni differenza di deformazione senza che vengano generati sforzi all'interfaccia. Secondo la legge di Fourier al procedere del tempo anche la parte del materiale liquido adiacente al solido presente alla superficie (“pelle”) e posto verso il centro dello stampo, giunge mano a mano alla temperatura di solidificazione. Tuttavia la sua contrazione longitudinale è contrastata ora all'interfaccia con il solido dai vincoli posti dalle macromolecole che sono interconnesse alle due fasi solida e liquida. Nasce una situazione in cui lo strato interno si contrae longitudinalmente meno di quanto dovrebbe e risulta quindi teso, mentre lo strato esterno risulta compresso. Una volta che il sistema si è completamente solidificato, si verifica una distribuzione di sollecitazioni all’interno della sezione tale che la risultante delle forze interne è nulla (sistema non caricato da forze esterne e in equilibrio). Si ha cioè (all’interfaccia dei due strati, linea tratteggiata in Figura 35):

!

" #dy = 0$H /2

H /2

%

Dalla Figura 35 si può notare che la parte centrale è tesa mentre le due parti esterne sono compresse. Lo stato di tensioni interne modifica il comportamento a rottura della lastra. Ad esempio in un materiale fragile come il polistirene a comportamento di Hooke (, = E!-), la frattura in una prova di flessione si verifica quando le fibre tese giacenti sulla superficie esterna distante H/2 (ove H è lo spessore) dal piano centrale della lastra, raggiungono la deformazione di rottura -R corrispondente alla sollecitazione di rottura ,R. Lo stato di precompressione generato alla superficie dal raffreddamento non omogeneo fa sì che per rompere le fibre di polimero tese poste a H/2 dal centro si debba ad esse applicare anzitutto una sollecitazione di trazione uguale e contraria a quella di precompressione già presente, e poi la sollecitazione di trazione ,R. La rottura a trazione, quindi, si verifica a una sollecitazione più elevata di quella di una lastra normale non precompressa in superficie.

Figura 35. Distribuzione degli sforzi all’interno della sezione di un provino stampato ad iniezione.

Deformazioni congelate

Altri fattori si aggiungono al ritiro termico nel determinate la qualità e le proprietà di un manufatto stampato a iniezione. Tra questi fattori è molto importante la presenza di deformazioni residue (congelate). Esse sono dovute al fatto che la conformazione delle

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macromolecole non è quella di equilibrio. Come già detto in precedenza, le macromolecole infatti vengono orientate almeno in parte dal flusso. Cessata la “driving force” che produce, durante il flusso, sia l’orientamento che l’estensione delle catene nella direzione di stiro, le molecole dovrebbero tornare spontaneamente alla situazione di gomitolo statistico (deformazione zero) se non intervenisse il rapido abbassamento della temperatura che porta il tempo di rilassamento del processo di disorientamento a valori ben superiori a quello proprio della temperatura di stampaggio. Le macromolecole restano quindi congelate nella conformazione di non equilibrio e mantengono deformazioni residue che dipendono dalla storia reologica e termica. Le deformazioni congelate sono in pratica permanenti alla temperatura ambiente. L’orientamento residuo non è però uguale in tutte le zone del manufatto. Ciò provoca in base al principio della congruenza delle deformazioni, la nascita di sforzi interni nel materiale. Per concludere, le proprietà meccaniche dei polimeri stampati a iniezione dipendono dagli sforzi interni provocati da questa tecnologia e sono diverse dalle proprietà meccaniche ottenute con provini stampati a compressione semplice. Perciò, per la valutazione dei materiali, assieme alle proprieta meccaniche occorre sempre precisare la metodologia di stampaggio dei provini.

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Soffiaggio di corpi cavi

Il soffiaggio di corpi cavi (blow moulding) è un importante metodo di trasformazione dei polimeri, usato per la produzione di manufatti cavi. In questo processo, un tubo di materiale fuso o parison viene introdotto in uno stampo e fatto espandere mediante l’applicazione di una pressione interna finchè esso non tocca le pareti dello stampo a contatto delle quali il materiale plastico solidifica. Sebbene il blow moulding venga usato principalmente per la produzione di bottiglie e flaconi, sono in continuo aumento gli articoli prodotti con questa tecnica semplice e relativamente poco costosa, come ad esempio spoiler per automobili e serbatoi per carburante.

Il processo

Nel processo di estrusione con soffiaggio il polimero fuso viene estruso sotto forma di tubo a simmetria cilindrica, detto appunto parison, e scende all’interno di uno stampo aperto. Un ugello di soffiaggio viene inserito nello stampo; attraverso questo ugello viene fatta entrare dell’aria in pressione che causa l’espansione del parison e che successivamente lo raffredda a contatto con le pareti dello stampo (generalmente raffreddato). A raffreddamento avvenuto, lo stampo si apre, il pezzo viene espulso ed il processo riprende (vedi Figura 36). L’estrusione con soffiaggio può essere effettuata principalmente in due modi a seconda delle dimensioni del pezzo da costruire: continua o con accumulo.

Figura 36. Schema del processo. Estrusione continua. Durante l’estrusione continua, il parison viene formato da un estrusore la cui vite viene disegnata in modo da assicurare un flusso continuo di materiale. L’estrusione avviene in modo da produrre un flusso ininterrotto di materiale alla stessa velocità con cui il pezzo viene formato, raffreddato ed espulso. Questo processo viene utilizzato per la produzione di contenitori di dimensioni medio-piccole (vedi Figura 37). Estrusione con accumulo. L’estrusione con accumulo combina i principi dell’estrusione con soffiaggio con quelli dello stampaggio ad iniezione per formare il parison più rapidamente. Le tecnologie più usate sono quelle “a vite punzonante” o con testa di accumulo (vedi Figura 38). Il sistema attualmente più usato è quello a vite punzonante, in cui la vite dell’estrusore, oltre a girare, si può muovere in senso longitudinale all’interno del cilindro (in maniera del tutto analoga a quanto descritto precedentemente per lo stampaggio ad iniezione). Quando la vite gira, riempie il cilindro di materiale fuso, e la vite si muove orizzontalmente verso il fondo dell’estrusore. Non appena è stata accumulata una quantità sufficiente di materiale, la vite agisce come un pistone spingendo tutto il materiale accumulato avanti, e formando così il parison che viene poi gonfiato. Nella tecnologia di estrusione con testa di accumulo, l’estrusore accumula il materiale polimerico fuso in un serbatoio tubolare; quando il materiale ha raggiunto il quantitativo necessario per produrre il pezzo, un pistone spinge il materiale al di fuori del serbatoio e forma il parison all’interno dello stampo, dove esso viene gonfiato, raffreddato ed espulso.

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Questo tipo di processo viene utilizzato per la produzione di parti di peso di alcuni chilogrammi, per le quali non è conveniente l’estrusione continua in quanto il parison prodotto durante l’estrusione in tempi lunghi di discesa verso lo stampo o all’interno delle pareti dello stampo stesso può collassare per effetto del suo stesso peso provocando delle disomogeneità nello spessore.

Figura 37. Schema del processo di soffiaggio con estrusione continua (A: taglio del parison; B. parison; C: cavità stampo; D: ugello di soffiaggio).

Figura 38. Estrusione con accumulo.

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Vantaggi dell’estrusione con soffiaggio

I vantaggi di questo tipo di tecnologia sono essenzialmente costituiti dalle basse pressioni che vengono raggiunte durante la trasformazione. L’estrusione con soffiaggio viene infatti effettuata con pressioni variabili tra 0.2 e 1 MPa tra il materiale polimerico e la superficie dello stampo, mentre per lo stampaggio ad iniezione la pressione con cui il materiale fluisce all’interno dello stampo può variare da 15 a 140 MPa. Come già visto, queste elevate pressioni provocano l’orientazione del polimero e una distribuzione disomogenea delle tensioni interne. Le parti prodotte con la tecnologia dell’estrusione con soffiaggio hanno delle tensioni interne molto più basse e sono quindi caratterizzate dall’avere resistenza più elevata alle varie sollecitazioni come tensione, flessione, impatto o attacco da agenti chimici, rispetto ai manufatti prodotti per stampaggio ad iniezione. Di conseguenza è possibile produrre oggetti con elevata resistenza meccanica, utilizzando al meglio le proprietà dei polimeri ad alto peso molecolare.

Reologia dell’estrusione con soffiaggio

Flusso nell’ugello. Per prevedere il tipo di flusso che si può avere in un ugello di una macchina da blow moulding, sono stati proposti diversi tipi di calcolo che si basano su modelli approssimati. Tuttavia, per i vari modelli proposti, si trova che il calcolo della distribuzione delle velocità richiede unicamente la conoscenza delle proprietà viscose del fuso, cioè della viscosità in funzione del gradiente di velocità e della temperatura. Questi modelli possono essere utilizzati per il calcolo della forza totale che il fuso esercita sul mandrino e possono ad esempio essere un utile strumento per semplificare il disegno degli ugelli per avere una buona distribuzione dei flussi. Un effetto reologico che può presentarsi all’uscita dell’ugello è la rottura del fuso o melt fracture che è una distorsione dell’estruso che può dare origine a rugosità superficiale del manufatto. Questo fenomeno si presenta al di sopra di un determinato gradiente di velocità e può essere un fattore limitante per la scelta della velocità di estrusione. La distorsione dell’estruso è maggiore per prodotti che presentano distribuzione stretta dei pesi molecolari o che sono molto viscosi. Talvolta la rugosità del parison può essere eliminata aumentando la temperatura di estrusione o riducendo la velocità di estrusione, che sono però due fattori che provocano una diminuzione della produttività. La forma e l’aspetto della superficie dell’estruso sono governate da molti fattori ed è in genere piuttosto complicato prevedere esattamente la forma e lo spessore di un oggetto prodotto con questa tecnologia. Un fattore che introduce un’ulteriore complicazione è il fatto che non appena il tubo estruso lascia l’ugello dell’estrusore e comincia a scendere tra le pareti dello stampo esso è soggetto alla forza di gravità che provoca uno stiro verso il basso e conseguentemente esso si deforma per effetto del suo stesso peso. Il risultato di questo stiro è il fatto che il parison diventa più piccolo in alto che in basso. La forma del parison al momento del gonfiaggio è dunque il risultato di due processi simultanei di rigonfiamento e di stiro. A causa della complessità di questa situazione e della complessità delle proprietà reologiche del fuso, è sempre molto difficile poter prevedere in maniera corretta la distribuzione degli spessori di un pezzo prodotto per blow molding , soprattutto se si tratta di una sagoma complessa. Rigonfiamento del parison. Per farsi un’idea più precisa del comportamento del materiale fuso all’uscita dell’estrusore occorre esaminare il processo di rigonfiamento o “swelling”. La deformazione del fuso che avviene nell’ugello provoca una orientazione delle molecole che si manifesta all’uscita dell’ugello stesso con rigonfiamento dell’estruso. Il flusso all’ingresso di un ugello, dove le linee di flusso convergono rapidamente, provoca un forte “stiro” delle macromolecole nella direzione del flusso e una forte orientazione molecolare. Quando il materiale fuso esce dall’ugello si ha, di conseguenza, un rigonfiamento dell’estruso e questo effetto è tanto più evidente quanto più corto è l’ugello. Si definisce quindi un rapporto di rigonfiamento + come:

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!

" =De

Du

Equazione 26

dove De e Du sono rispettivamente il diametro dell’estruso e il diametro dell’ugello Per descrivere lo swelling per un estruso tubolare è necessario usare due diversi rapporti di rigonfiamento: l’aumento dimensionale del diametro e quello dello spessore. Rigonfiamento del diametro:

!

"D =Dp

Do

Equazione 27

!

"H =hp

ho Equazione 28

(Per le grandezze riportate in queste definizioni vedi Figura 39).

Figura 39. Rigonfiamento del parison e parametri geometrici. È anche possibile definire un rigonfiamento rapportato al peso, +w, che è il peso di una data lunghezza del parison diviso per il peso della stessa lunghezza di un ipotetico parison avente raggi interni ed esterni identici a quelli dell’ugello. Se la densità del materiale non varia significativamente durante la formazione del parison, +w è uguale al rigonfiamento rapportato all’area:

!

"w = "A =Ap

Ao Equazione 29

Se lo spessore delle pareti del parison è piccolo rispetto al diametro, è possibile verificare che +A può essere approssimato come:

!

"A# "

D$ "

H Equazione 30

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Sia la qualità che il costo di un contenitore prodotto con la tecnologia dell’estrusione con soffiaggio dipendono dall’entità dei vari rapporti di rigonfiamento. Infatti, se il rigonfiamento del diametro è troppo basso, il pezzo prodotto può avere ad esempio, un’incompleta formazione delle maniglie (se presenti) e può presentare delle asimmetrie. D’altro canto, per rigonfiamenti del diametro troppo alti, il polimero fuso può rimanere intrappolato nello stampo o si possono formare delle pieghe. Il rigonfiamento rapportato al peso determina il peso della materia prima necessaria, e quindi il costo del pezzo prodotto: la situazione ottimale è quella di avere il minor peso possibile del pezzo e contemporaneamente le caratteristiche richieste di rigidità e di resistenza. Oltre che dalla geometria dell’ugello, il rigonfiamento dipende dalla temperatura e dal gradiente di velocità di estrusione, ma varia molto da un polimero all’altro: infatti, poichè il rigonfiamento è una manifestazione della viscoelasticità del materiale, dipende dal tempo: per esempio, per l’HDPE a 170°C, il 70-80% del rigonfiamento avviene durante i primi secondi dopo che il fuso ha lasciato l’ugello e il rimanente durante un periodo di 2-3 minuti; mentre per il polipropilene a 190°C solo il 50% del rigonfiamento ha luogo nei primi secondi, per il raggiungimento del 100% occorrono più di 10 minuti. Dal punto di vista della struttura macromolecolare, il rigonfiamento viene influenzato dalla quantità e dalla distribuzione delle ramificazioni e dalla distribuzione dei pesi molecolari. Per i polimeri lineari, generalmente una distribuzione dei pesi molecolari più larga genera un più elevato rapporto di rigonfiamento. Stiro del parison Quando il parison estruso scende all’interno dello stampo esso è soggetto ad uno stiro, e le sue proprietà dipendono dalle sue caratteristiche elongazionali. Per comprendere la differenza tra flusso elongazionale e flusso di taglio, si può considerare la velocità di separazione tra due punti x1 ed x2 nel materiale fuso separati da una distanza H che si muovono in flusso elongazionale con gradiente

!

˙ " e in flusso di taglio con gradiente

!

˙ " (vedi Figura 40).

Figura 40. Deformazione in flusso elongazionale e in flusso di taglio. Poichè nel caso di elongazione

!

˙ " =1

x

#x

#t Equazione 31

la posizione di uno dei due punti al tempo t è data da:

!

xi(t) = x

i(0)exp( ˙ " # t) Equazione 32

Definendo

!

Ho

= x2 (0)" x1(0) Equazione 33

la distanza H al tempo t sarà data da:

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!

H(t) = x2 (t)" x1(t) = x2 (0)exp( ˙ # $ t)" x1(0)exp( ˙ # $ t) = Ho

exp( ˙ # $ t) Equazione 34

Nel caso della deformazione di taglio con gradiente di velocità

!

˙ " , la posizione dei punti al tempo t è data da:

!

xi (t) = xi (0)+ y " ˙ # " t Equazione 35

e si ha che la distanza dei due punti al tempo t è data da:

!

H(t) = Ho

1+ ˙ " # t( )2$ ˙ " # t Equazione 36

Consideriamo il caso di due punti, separati dalla stessa distanza H, soggetti ad una deformazione di taglio . ed elongazionale % rispettivamente con

!

˙ " e

!

˙ " uguali ad 1 s-1; dopo 1 secondo, la separazione dei due punti sarà 1 nel caso di deformazione di taglio e 2.72 per deformazione elongazionale, mentre per

!

˙ " e

!

˙ " uguali a 10 s-1 la separazione dei due punti sarà rispettivamente 10 e 22000. È chiaro che questa accelerazione maggiore rende la deformazione elongazionale molto più efficiente di quella di taglio nel produrre orientazione molecolare nel materiale fuso. Lo stiro del parison può quindi causare grandi variazioni dello spessore e del diametro del parison, e in casi estremi può anche provocare la rottura del parison stesso. Per un fluido viscoelastico lineare lo stiro può essere tenuto sotto controllo semplicemente scegliendo un materiale con una viscosità sufficientemente elevata. Ma, poichè i polimeri sono materiali non lineari, la resistenza allo stiro non può essere correlata in modo semplice con la viscosità, e quindi non ci sono ancora in letteratura dei modelli affidabili per prevedere l’allungamento del parison a partire da proprietà reologiche ben definite. Se si considerano gli effetti combinati dello stiro e del rigonfiamento del parison la situazione risulta essere piuttosto complessa dal punto di vista reologico. In Figura 41 è rappresentato l’andamento della lunghezza del parison in funzione del tempo per diversi casi. Il tratto rettilineo della curva rappresenta il periodo dell’estrusione durante il quale si forma il parison. Quando l’estrusione si ferma, la lunghezza dipende unicamente dal rigonfiamento e dallo stiro.

Figura 41. Lunghezza del parison in funzione del tempo. La curva 1 rappresenta il caso in cui ci sia solo rigonfiamento, la curva 2 il caso del solo stiro. La curva 3 rappresenta invece il caso reale in cui siano presenti entrambi i fenomeni. L’allungamento del parison dovuto alla forza di gravità è una proprietà viscoelastica che dipende dalla cedevolezza del fuso e dai tempi di rilassamento. Se il tempo di caduta del

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parison è grande rispetto ai tempi di rilassamento del materiale, il meccanismo predominante sarà lo scorrimento viscoso, mentre per tempi di rilassamento più brevi, prevarranno i fenomeni di deformazione elastica. Per l’estrusione di parison molto lunghi, l’allungamento del parison è un fenomeno di rilevante importanza: il tempo di caduta è simile ai tempi di rilassamento del materiale, e quindi il contributo all’allungamento totale della viscosità è maggiore di quello dell’elasticità.

Scelta dei materiali per blow moulding

La selezione di un determinato tipo di polimero per un’applicazione di estrusione con soffiaggio viene effettuata innanzitutto sulla base di proprietà prestazionali quali la permeabilità ai gas, la resistenza ai solventi o le proprietà meccaniche richieste. Una volta selezionato il tipo di polimero, occorre individuare le proprietà reologiche richieste sulla base delle caratteristiche della trasformazione, in modo da poter ottimizzare l’intero processo. Per comodità può essere utile considerare separatamente tre fasi fondamentali dell’estrusione con soffiaggio: • Lavorazione della resina nell’estrusore • Formazione del parison • Gonfiaggio del parison Durante la fase di estrusione, il comportamento del materiale viene regolato esclusivamente dalla dipendenza della viscosità con la velocità di deformazione e con la temperatura: occorre pertanto conoscere il comportamento di shear del materiale in quanto i profili della pressione e i tipi di flussi nell’estrusore vengono governati dalle proprietà viscose del fuso. Durante le fasi della formazione e del gonfiaggio del parison, sono invece importanti le proprietà viscoelastiche di resistenza del fuso allo stiro e il rigonfiamento. Infatti, nell’intervallo di tempo tra il momento in cui il fuso esce dal capillare e quello in cui tocca le pareti raffreddate dello stampo, esso si muove e cambia la sua forma rispondendo a tre sollecitazioni: • Orientazione molecolare generata dal passaggio attraverso il capillare, che ha come risultato il rigonfiamento del parison. • La forza di gravità, che causa lo stiro del parison. • La pressione di soffiaggio, che provoca il gonfiaggio del parison.

Proprietà strutturali dei materiali da blow moulding

Per ottenere il complesso delle proprietà di lavorazione descritte, è necessario che i materiali di base siano strutturalmente disegnati “ad hoc”. Il peso molecolare medio ponderale dovrà necessariamente essere alto (100.000-1.000.000) per assicurare, oltre ad una buona resistenza meccanica e chimica (i flaconi prodotti con questa tecnica vengono utilizzati per contenere prodotti chimici o tensioattivi), una buona resistenza del fuso e un buon rigonfiamento del parison. D’altra parte è ben noto che un peso molecolare molto alto influisce negativamente sulla lavorabilità in estrusione: è quindi necessario bilanciare questa proprietà scegliendo polimeri con distribuzione larga dei pesi molecolari, fatto che favorisce l’estrudibilità. Auspicabile, anche se non essenziale, è la presenza di ramificazioni lunghe che favorisce interconnessioni molecolari incrementando la tenacità del fuso. Il polimero ideale per la tecnologia del soffiaggio è quindi un polimero ad alto peso molecolare, a distribuzione dei pesi molecolari ampia e con ramificazioni lunghe, in modo che il suo comportamento reologico sia del tipo “shear thinning” (cioé che, in regime di flusso stazionario, presenti una diminuzione della viscosità all’aumentare del gradiente di velocità di taglio) e del tipo “tension thickening” in elongazione (cioé che la viscosità elongazionale aumenti all’aumentare della velocità di deformazione, vedi Figura 41). Per quanto riguarda le proprietà del solido, è importante che la cristallinità del polimero sia la più alta possibile per avere una buona rigidità del manufatto (in genere contenitori o flaconi), compatibilmente con l’esigenza di avere buona resistenza agli agenti chimici o buona resistenza all’impatto, caratteristiche ottenibili con polimeri di densità inferiore. Il materiale ottimale sarà quello che presenta il miglior bilancio rigidità-impatto-resistenza agli agenti chimici e dovrà essere scelto in funzione delle caratteristiche richieste dall’applicazione finale.

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Figura 42. Viscosità in flusso di taglio ed elongazionale di polimeri per stampaggio e per soffiaggio.