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Bacchin - Su l'autentico nel filosofare

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A ni,o pad,re

PROPRIETA LETTERARIA RISERVATA

JANDI SAPI EDITORI

Rooa, Vie Crcsceozio, 62 - Tel. t58j66 - 38t.r86

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INDICE

I.

II.

Awertenza

La frlosofia come concreta posizione

La posizione negativa del discorso sull'essere.

Note .

Pag.

,

9

II

45

6t

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1

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AVVERTENZA

Il, presente d,iscorso sa l'autentico nel filosofare è, piuttosto, come s'i

può constalele, L ,ne. << med,itazione >. Ed, è med,itazione corne << approfon-d,imento > a partire d,a una formwlaz'ione d,el,l,a fi,l,osofia cke ci sembra

concreti in se stessa prima dli s'ignificare, in o ,no teoreticarnente e stori-camente, I,a piena awtonomia d,el, fil,osofare. In essa, appunto, l,'asswn-

zione stessa d,etrl,a forrnul,a d,ornand,a che all,a < formul,a > si ouii con laraggiunta consapeaol,ezza ch'e il, < d,omand'ato > è necessariamente < al,tro >

dal,l,a d,omand,a e cke l,'<< altro r è perciò presente nel'Ia d,omanila senza

risolaersi

inessa

;ond,e s,í, pwò d,ire cke twtto è nel, domand,a,le senzzr

che ó1, domand,are sia assol,wto.

L'assunzione critica d,el, <<d,omand,are> è dunqwe, coetentemente, lId,omand,are slesso ,' and,e non si fuò propriamente d,ire << lormula r o

< d.efinizione > d,el,l,a fil,osofi,a ciò d,a cw'i non è possibil,e leg'ittimamentepr esc,ind,er e, fil,o sol and,o.

T eor etic amente e stovicamente concr et a d,i cea amo qwel,l'a I ormul'azion e,

d,oae l,'autentica teoretícità è per se stessa e non aprioristicamente I'o saol,-

gimento storico, suol,gimento o p ocesso príma cke inserimento e proce-dimento logico e, qwind,i, storicità, nel,la rad,icatre med,esimezzlt. con, qwell'a

historía cke pwò d,irsi, per se stessa, originariamente, l,'esperienza nel,l'a

sua intel,ligibil,ilA..

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LA FILOSOFIA COME CONCRETA POSIZIONE

SovneRro: r. La circolarità della questione filosofica della natura della filo-sofia.

-z. L'insignificanza teoretica del passaggio (preteso) dalle dot-

trine f.losofiche particolari al filosofare in atto. - 3. La problematicita è

determinata o non è problematicitìt.- 4. Le decisioni dell'uomo come

prolungamenti della sua situazione. - 5. Il rapporto con l'essere comeconsapevolezza dell'impossibilità di un sirnile rapporto.

-6. La trascen-

denza è I'essere dal punto di vista di chi abbisogna del Fondamento.-

7.La possibilità come < trascendent3,ls r non è norma dell'operare uma-

no. - 8. Il n Mondo , come la semplice protensione orizzontale dell'uomoverso gli enti.

- 9. Possibilitàr e positivitèr,.- ro. La considerazione

delle modalitàr. d'essere fondamento in base alla constatazione del diversomodo d'essere fondato.

-rr. Il discorso rigoroso in base alla posizione

radicale.-

tz. La radicalità come ( integralità. ',. -13. L'autonomia del

filosofare come impossibilità di un'esperienza filosofica.-

14. L'( unita-rietà,, del discorso filosofico.

-15.L'ointimità ontologica ) come chiari-

mento interno dell'n interiorità, oggettiva 1.-

1$. Presenza e primalità.-r7. DeI senso in cui si dice che l'essere aprimo n.

-1$. L'impossibilità

di un discorso sull'essenza dell'essere.

r. La circol,atità d,el,la qutestione f,Iosofica d,ell'a < %6rtur6t. > d'el'l'a filo-sofr,a.

Se <domandare tutto è tutto domandare> (r), esso lo è dialettica-mente, come negazione della possibilità d'essere qualcosa d'altro.Allorala concreta posizione della filosofia è dialettica(z).

Chied,ersi cke cosa. la filosofla n è, (S) significa introdursi allafilosofia e suppone che alla filosofia si possa pervenire con la

rT

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chiarificazione del suo < concetto r, quasi previa posizione di ciò

che si intende compiere con l'attività da qualificarsi <filosoficar a

condizione che...puesta < introduzione > alla filosofia sarebbe veramente tale solo

a condizione di non essere veramente < introduzione r : il paradosso

indica semplicemente Ia situazione della circolarità, per Ia quale nonè possibile introdursi a filosofare se questa introduzione non è giàr

rt fi.losofare ) o se il filosofare non ha bisogno di introduzioni.La domanda intorno alla filosofia è in realtà la consapevolezza

della filosofia, il 'farsi ' filosofia da parte della posizione concretain cui effettivamente < è rr colui che filosofa.

Ogni eventuale < definizione r della filosofia si pone, infatti, solo

come risposta alla domanda intorno alla natura della filosofia ed

inscrivendosi nel contesto di tale domanda, si trascende come sem-

plice < posizione ), come semplíce dato d'a cwi si parta: la domandaè ciò da cui è impossibile non partire (è veramente < fondamen-to r, veramente giustificazione) ; il vero punto di partenza non è

Ia risposta come ( deflnizione )), ma la domanda, domanda che si

rivela qui, essenzialmente, la presenza della risposta, perché <do-

manda r innegabile (la sua negazione è < riproposizione > in formanegativa).

La circolarità della questione (filosofica) circa la natura dellafiIosofia è Ia posizione della filosofia come consapevolezza di se stessa.

Ciò significa che ogni altra < attività. r (epistemica o tecnica) è

consapevolizzata come atteggiamento infrafi'Iosofico, ponendosi, al li-mite, come innegabile, la consapevolezza di sé, (consapevolezza che

solo la filosofia attua, perché non può esservi pirì di ttn rtuttott, népiù di uru <límite r assolutamente intrascendibile).

L'atteggiamento infrafilosofico è quello che non tematrzza se

stesso se non in funzione d'altro da sé (gli < oggetti > specifici ed imetodi corrispondenti delle scienze).

La filosofia non ha per tema alcuna cosa, nemmeno se stessa: Ia

fi.Iosofi.a è, infatti, 7l tematizzare stesso nel suo limite intrinseco edintematizzabile.

Chiedersi che cosa sia < filosofare r è già < filosofare > ; la consape-volezza di questa intrinseca necessità è I'attuazìone rigorosa di ognialtra necessità" : ogni < altro > richiede I'unità" entro ctt'i.

L'infrafilosofico si chiarisce come intrinseca impossibilità di pre-scindere dalla filosofia ; ma la filosofia si chiarisce come impossibilità.di convertirsi in atteggiamento r< scientifico r o rt culturale n.

r2

L'analiticità. aperta di ogni atteggiamento vagamente < introdut-tivo r è solo la non consaputa < circolarità del filosofare >.

La concretezza del, fiIosofare è I'a swa innegabilità (4), Iu quale non

deriva dalla < caratteristica\) 't/,rn&n& del < sapersi n come coscienza se

non in quanto essa si rivela nell'uomo : 1a presenza del valore è

inconvertibile nella < situazione ) umana, perché la stessa situazioneumana, dove venga consaputa (e, se la si dice, la si < sa tr), viene

colta all'interno della (consapevolezzat che è, ne/' suo limite, la

filosofia.

La fi.losofi.a è allora nella consapevolezza dell'infrafilosofico : nonè < filosofia > ciò che rimanda ad < altro r da sé ed al < tutto r.

La non-verità. di un dato < fi.losofare r storico non va commisu-rata alla scarsa effrcacia in ordine all'< interesse ) umano (e socio-

logico), ma, viceversa, la posizione di tale < interesse n ha un ( senso)

autentico solo dove essa garantisca (fondi) se stessa.

L'identificazione îra filosofare ed <esistenza), lumarra, nel senso

appunto platonico dell'Apologia di Socrate, è la commisurazione della< situazione rr (singola) dell'uomo (io, tu) al < ricercare r che fa < urnana rr

la vita.Il valore del filosofare non è nella sua < ef&cacia I sociale, ffià,

viceversa, la sua effrcacia è da garantirsi nella impossibilità di venirenegata dall'individuo e dalla società.

II deinde cui si crede di poter affrdare iI momento degli inte-ressi speculativi, d'opo ctre si siano soddisfatti, sommariamente al-meno, gli interessi fondamentali, suppone che la filosofia ( soprag-

giunga r dall'esterno, nello stesso senso in cui ad essa si suppone che

una qualche < cultura r porti quale base introd.uttiva, quale ( suP-

porto r fondamentale.I1 culturalismo, che vede la filosofia come coronamento d.ell'atti-

vità. umana, equivoca sulle < possibilità r e sulla < necessità > di talepreteso coronamento.

Ma la posizione < esistenzialistica r dell'identità. fra uomo e filo-

sofia (sua) ha senso solo dove non si converta in < culturalismo I edin culturalismo si converte se non assume l'uomo nella filosofia, se

non prova (a se stessa) che non la fiIosofia nell'uomo conta, bensì

l'uomo nella filosofra che è la presenza inobliabile d.el valore.

Il valore è, infatti, implicitamente indicato nell'atto stesso in cuisi nega valore ad un dato modo di pensare ed è, perciò, inobliabiledi diritto.

L'autenticità è il ( valore n cui non basta il porsi dell'uomo e della

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societa : l'autenticitàL è termine cui tende l'< esercizio r, I'a.sÀc.sf.s chcè liberazione progressiva (esistenziale) dall'inautentico, ma termineche à tutto intero nell'atto stesso che lo <intende ) come sÍa tel,ls,

che è già tutto o non saràr mai.Non sarà mai se anche non è, perché il suo < essere r è il rr valere >

e ciò che vale deve essere e se deue essere, Ia sua attuazione è sem-plicemente il riconoscimento del suo non poter non essere.

Non iI < valore r tende all'attuazione (non < intenzionalità. fun-gente > degli inediti husserliani), ma il tendere all'attuazione di sé

da parte di chi ancora non è il suo essere autentico entro il<

defini-tivo r attuale valore.L'uomo, nella sua < singolarità r, si trova nell'impossibilità di

rinwnciare autenticamente a se stesso, perché l'eventuale sua rinuncialo accompagnerebbe in ogni altro stato : la rinuncia che il singolofa di sé, perdendosi nell'anonimia, lo accompagna come ( sua ,r rinun-cia, come < singolarità rr, paradossalmente e negativamente, in ognimomento di tale anonimia.

Il valore è innegabile perché la negazione è Ia presenza negatiua

del valore : il < singolo ) non abbisogna di assicurare se stesso fuoddi sé, ma non può assurgere ad assicurazione di sé senza < rivelare lil rimando al a valore > che egli cred,e di essere o di esaurire.

Il < filosofare r è autentico se non è < originato r, e ciò significache esso è I'awtenticità ctre accompagna il porsi dell'uomo nella suastoria.

Il rapporto îra fil,osofare e le singole < dottrine > è indicablle nel,

fiIosofare e, quindi, non è rapporto fra momenti estranei, îra <mezzi'tte < fini >, quasi che le singole filosofie storiche possano valere come< sussidio r al filosofo : il filosofo che fosse veramente in grado di uti-lizzare come ( mezzi r quelle filosofie sarebbe già pervenuto al ufi.ner:

nella fi.losofi.a usare del << mezzo r significa possedere il < fine r, perchéiI < fine r è l'autentica posizione del < mezzo r, la < circolarità r dellafi.losofia significa appunto che ad essa non si perviene. (5)

L'autenticità, del filosofare è la sua < originarietà >, ma questa

si attínge, non la si postula, né la si < struttura r : attingerla significa< ritrovarla r al punto in cui si u è > ; iI singolo non deve uscire da sé

per trovarla, né deve affermare se stesso come l'( originario r (che

sarebbe un uscire d'altro tipo, un uscire surrettizio ed arido, senza

il beneficio della < novità r del mondo).La filosofla è, allora, risposta all'< uomo > solo nel senso che, nella

consapevolezza che ogni altra attività. è solo infrafilosofica, essa radi-

r4

crl.Jizztr I'uomo nel suo bisogno e lo fa domanda in atto, domiuxliuaperta ma definitiva come tale, d'eterm,inata e non determina.bile inde-finitamente.

Filosoficamente l'( uomo ) non è aperto all'assunzione di ( va-lori > che 1o integrino (come si pretende da parte dei culturalismisociologici), perché I'eventuale integrazione è all'interno dell'< uomo >

singolo che si attuerebbe ed è nell'uomo autentico che si radicalizz,e-rebbero quei valori.

Il < fatto > che la filosofia risponda a se stessa (ponendosi comecircolarità concreta) non significa che la filosofia si chiuda in una<r definitività >, perché la risposta autentica che la fi.losofia dà a se

stessa è che essa è consapevolezza del bisogno fondamenta"le del Fon-d.amento, bisogno assoluto dell'Assoluto. (6)

2. L'insignif,canza teoretica del, passaggio (preteso fi,Iosofi,co) d,all,e dot-

trine fiIosofiche particol,arí aI fi.losofare in a.tto.

La filosofia non può rinunciare aTla tecnicct particolare che ne fauna disciplina fra le altre.

Non può farlo, perché essa sola ha la caratteristica di essere con-

sapevolezza nel senso concreto (iI riferirsi al<

tutto>).

Dire che tutto il resto è atteggiamento o situazione o strutturainfrafilosof,ca significa dire, implicitamente, che la filosofia si ponecon un suo < ambito )) e con un suo t metodo D.

La determinazione di r ambito r e di rt metodo > è, tuttavia, nellafi.Iosofi.a, l'intero filosofare e per questo, forse, si è tentati di pensareche la filosofia abbisogni di una (concretezzar cui sarebbe estraneaIa < disciplinarietà r delle filosofie accad.emiche.

La fiiosofia è, essenzialmente, aristocrq.zia in quanto è ricerca inatto del valore, nella consapevolezza che i valori non possono nonesserci.

Lo stesso < dubbio >, in cui la filosofia moderna, meditando, ri-

trova la fllosofia classica del u problema >, è aristocratico in quantodomanda, per attuarsi, iI distacco, la disponibilità" alla rinuncia.

Ed ogni rinuncia è, nella sua forza costringente e disciplinatoria,una ( limitazione > e, quindi, una eliminazione.

Non <isolamento> (astrattezza), ma <limitazioner che è consa-pevolezza che il < valore > va cercato come dovere : che si d,eue cer-care quel valore che ci fa autentici, valore c}l.e nientifica, nella even-

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tuale posizione di confronto (la <vitar nelle sue varie ofierte), ogniscelta che pretenda di sostituirlo.

La caratteristica della < concretezza > filosofica è proprio questaimpossibilità. di scegliere qualcosa in opposizione al < valore )) senza

sostituirla, invece, a quel valore e senza intenzionare perciò sempree solo quel valore (7).

La < concretezza > della filosofia non è nella democraticità del suodiscorrere piano, ma nella rigorosità. del suo provarsi a se stessa.

L'aristotazia c};re qui intendiamo è semplicemente la possibilitàdi questo <rigore>:l'atttazione piena della intentio dí ciò che si

dice nel senso in cui si trova che non si può non dirlo.I limiti d.i un < sistema r fi.losofi.co sono la possibilita. di andare

oltre ad esso e la consapevolezza del limite è già. il trovarsi < oltre r :

non si tratta di cercare un'esperienza" compatibil,e cor. il sistema (8),né di riflutare esperienze che non siano compati,bil,i cor. esso, ma dirilerirsi sempre alla < totalità. r, erttro cui ogni < sistema r si pone ed

entro cui esso limita se stesso nella consapevolezza di non essere

quella < totalità >.

La filosofia come dottrina è sempre w'attiuit,à come proiezionedella situazione umana a se stessa; nessuna dottrina, come intrin-seco rapporto fra essa e 1'< attività > che la formula, può trascendere

la sitwazione ; rrra, proprio per questo, nassuna dottrina può, in quantoattività, dirsí l'atto concreto del fi,losofare.

Attiuità è situazione prolungata: essa non è da equivocarsi conI'atto in cui il <fatto r è lo stesso <farsir e, quindi, dialetticamente,non è mai compiutamente se stesso.

L'attività, per quanto indefinita, è sempre per qualcosa di giàconcl,uso da cui si parte, da cui si procede (così per le scienze, cosìper la < vita r) ; I'atto, per quanto definito, è sempre il porsi davantia se stesso, il rinnovarsi nella consapevolezza c}:.e ciò che è < fatto rè, invece, per esso, solo apparentemente < fatto r.

Le d,iaerse dottrine troveranno il < fondamento r di se stesse nel-

I'attiuità umana, nonl'atto che è il filosofare, perché questo è<uno,re non può non essere ( uno ) : esso si pone, infatti, come consapevo-lezza della necessaria < unità r, della necessaria t totalitàr r.

L'uomo come ( problema a se stesso > (la posizione di Abbagnano)è l'uomo che cerca, di fatto, se stesso nelle a dottrine r e che in esse

si ritrova solo in quanto in esse egli si è posto : ciò che l'uomo ritrovadi sé nelle < filosofi.e r è il 'passato' delle sue attività, la testimo-

I6

rianza della sua a situazione ), non la radicalità indubitabile del suo< valore >.

Le dottrine filosofiche non sono ra firosofra, proprio perché essesono la < situazione r e la filosofia è la

"o.r.rp".,roÈzza del'loro essere

< situazione r.

3. La probl,ematic,ítà. è d,eterminata o non è probl,ematicítà.

Se la < precarietà. , è pericoro costante der dissorvimento, ra pro-blematicità, essendo fondamentale, è indissolvibite e quindi fuoripe-ricolo.

Se la problematicità. non è < contradd.ittoria r, essa non è < pre_caria n, perciò essa è d,eterminata e non ulteriormente determinabile :essa a6r ripresa costantemente, nel ritorno ad essa, non come ritornoa qwal,cosa che p.oò andare perduto, ma come concreto ritornare cioeè < atto >.

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La filosofia non comincia e non finisce, chè essa è solo consape-

volezza della necessità del <finer nella presenza dell'ente che non è

il proprio fine.La < profondità. r che l'uomo crede di trovare nel ripiegarsi e nel

contemplarsi è il rischio dell'equivoco nel pensare umano : se l'uomoè in quanto < tende )), non in se stesso egli si trova, ma nel nontrovarsi.

L'uomo non può darsi un < destino r che già non l'abbia. Eglinon può rifi.utarsi, ma questa impossibilità è appunto la situazione che

lo accompagna, non il suo n destino r.Nel suo non trovarsi, l'uomo attua consapendo ciò che aèr,. anchese egli non sa di un sapere assoluto.

Decidere di decidere non è qualcosa che cambi la situazione :

è solo prendere pienamente coscienza di < decidere r. Se il mio essere

è < decidere r, questa è già la consapevolezza, noîL è ciò che, nellamia decisione, mi < fonda r.

Ciò significa che la < possibilità ), senza di cui la decisione sarebbeimpossibile è solo l'impossibilità di non decidere : il circolo è taleche non v'è una n possibilità. r fond.ante, ma una necessità. come

domanda (innegabile) di Fondamento.Non si decide per le possibilità, ma le possibilità sono nell,a deci-

sione : non suoi < fini l, ma suoi <rnezzí>t.Non v'è, perciò, una possibilità. privilegiata rispetto alle altre,

chè questa sarebbe, in quanto privilegiata, r< necessaria r.

Rimanere nell'anonimo non è scegliere di non decidere, né deci-dere qualcosa, è solo non essere consapevoli pienamente.

Non basta sapere il bisogno per non avere bisogno.

5. IL rapporto con L'essere come consapeaol,ezza del,la impossibil'ità. d,í

un simil,e rapporto.

La finitud.ine che mi costituisce è, in realtà, il mioessere.

Il mio ( essere ), è, di volta in volta, tutto l'essere che io ( sono )),

non è tutto l'essere che io < posso ) essere.

Il rapporto non è fra non essere ed essere, né fra èssere non com-pleto ed essere completo, ma il rapporto stesso è essere.

Io non sono in rapporto con L'essere, ma sono in rapporto conl'< ente r (gli altri) nell,'essere.

L'essere non è riducibile aI rapporto che mi costituisce, perché

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lo l)osso cssere sempre anche altro : io clivengo, io muto. L,r:sscrcnon è < situazione, puntuare, né rapporto fra situazioni (sarebbcsolo situazione più ampia).

Il rapporto fra < situazioni r nella concrescenza che è concre_tamente è < essere r che sempre mi < trascende r.Con l'essere non posso entrare in rapporto, perché il rapportolo convertirebbe in n ente r per farne un termine cui ci si possa rap_portare, moltiplicando al|infinito il rapporto come tentativo dirapportarsi.

Ma il trascendere dell,essere è < essere )), per questo non si vaall'essere, né dall'essere sl ( esce )).

La mia < finitudine , non è un limite all,essere, quasi essere (par_ziale) che mi appartenga : essa è il mio appartenere al|essere, perchécon il mio essere né esaurisco l,essere né lo potenzio.

Il portarmi continuamente aI di là di -"^.t"..o,

chè questo è il<.divenire r (un essere sempre oltre il proprio essere), nori riguardal'essere e non cambia me: nàn riguardr i'"ri"r", perché'anche landareoltre < è >, non mi cambia, in quanto io non posso non andare oltreme stesso : non posso non divenire.

Il mio non poter non divenire non è il mio non poter non essere,perché, se divengo, posso non essere : ciò signifi"" àh" io, nellamia< finitudine ), non posso trascendere la finitudine; non che ra finitu-dine sia necessaria.

La necessità. deta < finitudine r sarebbe la non necessità. d.el neces-sario, sarebbe contrad.dizione, perché il necessario sarebbe ra compiu_tezza 'ideale ' derle finitudini, sarebbe una finitudine mortiplicataall'infinito, una ( finitudine r intrascendibile e niente più.

Non l'essere del < finito r, ma il < finito r nell,essere, dove l,essere<in>.non vuol significare I'r<inserirsi> in quarcosa altro, né il rita-gliarsi dall'essere.Dell'essere si sa solo questo : che non lo si può negare.

filosofia (metafisica) è ra consap evorezza ài qo"i. innegabi-lità, consapevolezzache non deriva dari'aver constatato che Ie nega-zioni (varie) dell'essere sono corttraddittorie, ma che è consapevo-

lezza nel ridurre a contraddizione le negazioni (fittizie) dell,es-sere.

La contraddizione, infatti, non ( è , : non consapevole zza dellacontraddizione, ma negazione contraddittoria e consapevore zza dera,< fittizietà. r della negazione contraddit;oria (9).

Non è possibile, dunque, < possedere , liers"." : non è possibilc

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Il trascendentale non è su di un piano < d.iverso n e superiore

rispetto agli a enti r, rispetto alle < finitudini r : esso costituisce questo

piano con il suo essere; ciò significa che esso pone quel piano con la

semplice necessità di trascendere iI piano degli enti.

Più precisamente diremo che il trascendentale è solo Ia necessità

di < trascendere > iI piano d.egli enti.Ma, poiché gli < enti )) sono pensabili per iI trascendentale, diciamo

anche che Ia posizione stessa del piano degli enti < è I il trascendi-

mento degli enti: non si usa di un'operazione sopra gli enti, non si

assumono gli enti perd,opo

trascenderli,ma Ia stessa assunzione in

atto è iI trascendentale.Se il rapporto si instaura fra gli < enti ), rapporto degli enti fra

loro, non rapporto con I'essere, l'essere non è il d,oaer essere (la norma)

degli enti : esso non si u intenziona D senza decadere al livello d.i

colui che < intenziona ) : I'uomo, nella sua autenticità, non abbi-

sogna di andare in cerca di norme a livelli superiori, la sua autenticit2r

è solo il tivello in cui egli < è ) : questo è il livello d.ell'< andare

oltre > che non può venire, a sua volta, trasceso (trascenderlo sarebbe

negarlo).La norma non è al di là dell'uomo se non nel senso a empirico >,

cioè inuatentico, dell'uomo che non è ( uomo )'

L'operazione di chi (Pone> la norma al' di l,à. dell'uomo è opera-zione che equivale a quella di chi pone Ia noÍna nel,l"tomo (quasi

l,uomo fosse arbitro d.elle proprie noÍne e, quindi, giudice assoluto

di sé) : se iI a dover essere > fosse < oltre ) l'uomo nell,o stesso senso

in cui l'uomo è < oltre > gli altri, l'uomo sarebbe senza il suo < dover

essere > o quel < dover essere > potrebbe anche non essere.

La normatiaità è l,'<rwovno, nel,l,a swa autenticil'à.'

ciò significa che essa è ( oltre D l'uomo nella sua inautenticità,< oltre l il suo essere solo apparente, oltre il suo non essere. Ma l'uomo( scopre l la norma, nel momento in cui scop e di non essere norrna

a se stesso : il suo non essere l'< essere l è , nella consapevolezza cl;re

è < filosofia r, il suo non essere norma sui.

8. Il, < Mond,o \t corne l,a sempl,ice protensione orizzontal'e d'ell'womo

ucrso gli enti.

Poiché la < struttura D trascendentale non ha carattere normativo,gsScnclo la COnsapeVOlezza SteSSa del non eSSeIe ( nolma >, la Connes-

2.(

sione fra l'uomo singolo e gli uomini (coesistenza) non ò rappor-toche trascende l'uomo singolo : l'uomo è, essenzialmente, in questaconnessione : l'uomo J questa connessione ; ciò che si dice di tui sidice di questa connessione.

Fuori di questa < connessione r I'uomo sarebbe solo I'empirico, ilnon autentico. Non si tratta di instaurare la connessione come auten-tico rt fine > dell'uomo : essa è solo iI porsi dell'uomo.

È a partire d.a questa connessione (consaputa filosoficamente)che è possibile andare verso il valore.

La connessione non è il valore dell'uomo, perché fuori della con-nessione l'uomo non ( è > : I'uomo è ente nel mondo solo nel sensoche il < mondo r è questo suo essere connesso agli altri : non nel,

mondo, ma solo < mondo >.

Quanto si dice dell'uomo si dice del rr mondo r che è altra parola,pirì comprensiva, per dire ( uomo > nella interezza dei suoi rapporti :

rapporti che non si instaurano dall'uomo agli enti ed. agli altri uo-rrrini nel, mondo, ma che esaurisce tutto l'essere < mondo > che è

l'uomo.II mondo non si definisce in rapporto all'uomo (culturalismo), né,

viceversa, l'uomo per il (suo) mondo (naturalismo) : mondo, nellaintarezza teoretica delle sue implicazioni è l'n esperienza > cui sempre

rimanda ogni cosa esperita, sofierta, goduta : la totalità. è semprel'< oltre r per il quale il < mondo > è sempre posto, mai < definitiva-rnente > posto.

La totalità. entro cwi I'uomo u è > non è la totalità autentica, per-ché l'uomo può essere rr entro > qualcosa solo empiricamente, inau-tenticamente. Dove esso è per iI valore, esso è per il douey essere equesto non è cilò in cwi ci si pone, ma ciò cke ci pone.

II n mondo ) non è la totalità. cui l'uomo fa ( parte D, proprioperché la totalità. non ha parti.

Ogni < parte >, infatti, sarebbe definita come tale e quindi da uncanto < trascesa r (non sarebbe parte), dall'altro ( conclusa > (sarebbe,contraddittoriamente, tutto) (rr).

Non si è < parte > d,el mondo senza farsi < mondo r nel mondo.Dirsi < mondo r nel mondo significa moltiplicare il < mondo ) come

termine repetibile (nella identica posizione ; la parte sarebbe, in quantotale, solo < parte r e la relazione fra i < mondi > sarebbe la moltipli-cazione dei mondi, non sarebbe mai < relazione r).

La coinonia fra le idee platoniche, nella sua problematica tarda,si ripropone ogni volta che si < definisce > la conclusività., ancke per

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u,lxq. uol,te sola: r'on si può dire < mondo ) senza trascenderlo, seruza

proiettarlo oltre se stesso o senza vanamente moltiplicarlo.La < natura r d.el mondo è, allora, fuori conclusività, la stessa po-

sizione d,ell'< uomo r : l'esteriorità. deli'uomo all'uomo è dimensioneinframondana, tant'è vero che essa è percezione ed è la consapevo-lezza del singolo che la trova in sé come a percezione r.

Il ricorso alla < corporeità > è ricorso vano, perché esso awiene,strutturalmente, entro la consapevolezza in cui il singolo < sa r diessere singolo e di essere un corpo: la percezione non è, allora, d,ei

corpi se non in quanto i corpi sono per la percezione.

Esce dalla considerazione < filosofica r la percezione come limitedi conoscibilita (empirismo e problematica connessa) ed, allo stesso

titolo di ' irrilevanza', esce dalla considerazione fi.losofi.ca la que-stione della percezione come 'attestazione' del corpo: corpo e per-cezione rientrano nella consapevolezza di essi, non aggiungono, nétolgono valore.

La corporeità non è svalutata per il fatto che non la si prendein considerazione: essa, qualunque cosa sia e comunque sia, è con-saputa ; nella consapevolezza essa < è n tutto ciò che per la consa-pevolezza t è r : non la si rid.uce a prod.otto del pensiero, né la si ponecome ostacolo al pensiero.

La contrapposizione cartesiana, del resto, era fittizia: non la cor-poreità. contrapposta aI pensiero, ma il pensiero (idea) della corporeitàera trovato nel, pensiero.

Il ritorno alla < corporeità r (come alla sua vaga forma primordia-le, la < ctonicità r) (rz) è solo la riduzione del pensiero al a pensato >,

fino a dimenticare l'atto per il quale il pensato (qualunque cosa esso

sia) è appunto < pensato r, appunto considerabile.Il sofisma d,el, rispettiuo opera in ogni presa di posizione in favore

di un r< aspetto r del reale in sede filosofica : la rr filosofia > non puòricevere indicazioni dalle scienze, né dalle sensibilizzazioni culturaliche si succedono come < funzioni r d.el a mond.o n che l'uomo scopre.

fl < mondo )) scoperta progressiva dell'uomo è, owiamente, estra-

neo all'uomo (l'uomo ne sa solo parzialmente, appunto lo a scopre r),ma non è questo il < mondo > per il quale l'uomo < è r se stesso.

L'unico < pensiero > che non può trascurare la < corporeità D senza

scapitarne è la scienza del corpo: ed è una tautologia dire questo,ma non resta che la tautologia se si vuole evitare l'assurdo di unafilosofia (la totalità come consapevolezza della sua necessità) che sipone in funzione di una (sua) parte.

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La < funzione , della parte è, strutturalmente, rendere < Partc , :

non si può dire che la connessione fra l'uomo e gli enti si manifestinel' mor,.do, senza sottointendere che il ( mondo , (connessione deisingoli) si manifesta nel singolo nella < forma > del suo non esseremero singolo.

Chi ha consapevolezza (aniversalità.) del mondo è ancora il sin-golo : non è possibile riferirsi a ciò di cui egli è consapevore per chia-rire la portata della sua consapevolezza.

Il bisogno delle cose (corpo) è solo la protensione orizzontale der-

l'uomo verso gli < enti , : è, teoreticamente, tutto all,interno dellaassunzione dell'uomo nella sua interezza esistenziale.Le utllizzazioni che l'uomo compie sono, infatti, atteggiamenti

epistemíci e tecnici e, cluindi, int'rafil,osofi,ci (pug. rz) (r3).

9. Possibilità e positiu,ilA.

Il < poter essere r è strutturalmente ciò di cui si dice che < può lessere e ciò che si dice come ( possibile , di esso : la r< possibilità" >

indica strutturalmente un < riferirsi > che è alterità ; ciò che n può,essere <èr qualcosa

di diverso da ciò che di esso si dice che npuòoessere.

Nell'assunzione del < poter essere )) come poter esserci di qualcosa,il riferimento è del areale>, nella sua non attualità al <reale > comepiena attualità : il potest esse è espressione d.ella relazionale posi-zione dell'u unitìr > non attuata e tuttavia concepibile senza ( attua-zione , (non è contraddittorio che si dica che qualcosa < può )) esserema non <èr).

ciò che è contraddittorio è impossibile (non n è, contrad.dittorio,ma contraddittoriamente assunto) : in esso i due termini della strut-tura sono assunti in modo tale che l'uno escluda l,altro, in quantouno non sussiste se non in a sostituzione > dell'altro (incompatibilità"

logica).una . possibilità. r assoluta sarebbe una ( possibilità" r che non

può realizzarsi, non sarebbe < possibilità u, ma o a realtà. ) nonulteriormente realizzabile o < nulla r.

In questo senso si può dire che il < positivo )) come ciò che è u po-sto r (reale come tale) non è il < possibile r ; la sua possibilità., in-fatti, sarebbe determinabile solo dopo la constatazione deila posi-

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tività: dico che <può> essere perché <è> (dove il <perchérindica laragione del d,ire la sua possibilità, non l'intrinseca ( possibilità >)-

Si prende comunemente il t positivo ) come ciò che è asserito a

ragione e che, infatti, renderebbe < negativa ), non vera, la sua even-

tuale < negazione I (anche una negazione potrebbe essere < positiva r :

la negazione del falso).

Perciò di <positivon si dice e che <èn e che ttvaler, che <vale>

perché < è r : nella < positivitàr ) si presume che la ragione di qualcosa

sia il a fatto r che essa < è >.

Ciò significa che, nel caso del non essere necessariamente daparte di ciò che < è r, il fatto che sia non pregiudica, con la ragione

che è il < fatto r, quella ragione fondante il < fatto > che non è il< fatto rr.

Se qualcosa u è r, non per questo può dirsi che non possa non

essere (Ia ratio di ciò che < è n è in esso in quanto domandata inrag'ione swq,, come sufi'ciens a rendere ragione di esso).

Il' passaggio d,al'l"resserci> d,i qual,cosa al,I'a sw& (ra'gionett non è

una r<uscita> dall'esserci, ma u,na penetrazione cke lo cogl"ia nel,la swa

< intimità >.

Non si trascende, se per trascendere si intende ( superare ) e'

quindi, <obliare): non è nell'<ulteriore> rispetto alla <cosar (alla

sua u positività >) che si trova la (sua) ragione.Se la < ragione > d.ella cosa (del suo < porsi >) fosse < altra l rispetto

aIIa cosa, cercare Ia ragione della cosa sarebbe < moltiplicare )) al-

l,infinito la cosa : l'insegnamento platonico che Aristotele :ulilrzza

contro il tardo o non capito Platone indica I'impossibilità. duplice e

di < trascendere r e di negare il trascendimento.

Non si determina la < possibilità > se non in base al < fatto rr, ma

Ia penetrazíone sufr,ciente del fatto è il rimando alla sua < possibi-

lità > : se non fosse < possibile )), non sarebbe.

La < possibilità" n, affermata in base alla < positività r, rimandaalla < necessità r.

Originariamente, iI positus è il positus ab alio (l'en ab alio degliScolastici è, etimologicamente, 1l positiaws) ma I'< altro l è necessq,r'io

al positws e quindi a altro > rispetto ad esso solo in <t ragione > del

positus: è all'interno del positws che si cogiie 1'< alterità ) di ciò che

giustifica (che fonda) il suo essere positcts.

La < possibilità r del positus è il suo essere ab q'l,io : la sua < pos-

sibilità. rr è una cosa sola con il suo ( essere ).

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Diciamo < intelligibilita > della cosa la < possibilità r che è il suo( essere ).

E ci troviamo allora nella necessità di chiarire che della < possi-bilità. r si danno fondamentalmente d.ue accezioni : r) ciò che ( può,essere, ma non uè> (non è ciò che upuò,, tuttavia rè>, ché di esso

si dice) ; 2) l'uintelligibitità.rr stessa di ciò che I (o che <puòr essere).

La prima accezione non si porle acca.nto alla seconda, ma all'in-terno di essa: l'intelligibilità. è sempre detta, non sempre si dice la< possibilità r.

L'intelligibilità. è tutto l'essere della cosa ; la < possibilita > dellacosa è la struttura relazionale di ciò che è, in sé, intelligibilmentedistinto : distinto in sé rispetto al suo < esserci r efiettivo è ciò che

diviene. puesta distinzione è perciò il < riferirsi r del < possibile r allasua < realizzazioner.

Ne segue che la <realizzazione r è perfezione dell'essenza solo se

l'essenza è tale da non essere necessariamente tc reale r : ciò che ne-cessariamente <èr necessariamente non si <realizzar, il suo <es-

sere )) non perleziona l'essenza, rna è la sua essenza.

puando Leibniz dice che < ciascun possibil'e ha diritto di preten-dere all'esisfenza ín proporzione della perfezione che implica , (Mo-nad., 54), assume la perfezione come <limitabiler da questa varia

proporzione e quindi relativa a questa. In questo senso, dove nonsia possibile parlare di < rapporto r (il caso dell'Assoluto), non saràpossibile parlare di < perfezione > ilell,'essenza.

È quanto dovrebbe bastare perché si eviti di parlare di Dio comedell'Essere massimamente perfetto : di Dio non si può < dire r ciòche < è r, ma ciò che non è.

Ogni preteso discorso su Dio suppone, logicamente, che l'< esi-stenza r (l'esserci, nel senso comune) inerisca analiticamente, quasipredicato, a quel a soggetto r dalla posizione del quale sarebbe a de-ducibile r.

Ogni discorso srz Dio suppone, insomma, in qualche misura un< ontologismo > originario, un < diretto )) possesso dell'idea di Dio.

Ma l'innegabilità del Trascendente non è l'affermazione da cui siparte (o che si suppone), ma il risultato dialettico (metafisico) dellasua ipotetica (tentata) negazione.

In questo seqso, diciamo che di Dio non si dice che < è ) se nonin quanto si nega di poter dire che non è.

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ro. Lu cou,sid,crq,ziou,c d,cllc mod,a.Iità d,'cssere fond'amento in base allacotr,stala,zionc d,el d,iaerso n'tod,o d' essere lond'ato.

Sc si considerano Ie diverse modalità. d'essere fondamento, si puòrlire < fondator ciò che, in qualche modo, si riconduce all'Incondizio-nato (al non-poter-non del Necessario che appunto t è >, e che sid,ice che < è > in quanto non si può dire che non sia).

L'Incondizionato è così giustificantesi nella sua stessa presenzia-

lità: Ia rrrealtà> di ciò che è <condizionator è domanda necessqria

dell'Incondizionato.

Dell'Incondizionato si sa solo che non è condizionato, ma lo si sain quanto il pleteso condizionamento di esso comporterebbe o la ne-gazione del condizionato (negazione della domanda necessaria) o lariproposizione all'infinito della domanda.

Non si dispone originariamente dell'Incondizionato, né del con-

dizionato, ma della impossibilità duplice di negarli entrambi o di< dire , l'uno senza anche dire l'altro.

L'< evidenza > della necessità" dell'Incondizíonato i l'impossibi-lità che sia evidente la sua negazione. Ciò significa che l'onere di( provare ) grava su chi nega l'Incondizionato, non su chi 1o afferma(perché chi lo afferma lo afferma giustificatamente solo in quantoha tentato di negarlo).

In altre parole, I'afiermazione di Dio è in, se slessa < dimostra-zione >, non nel senso che essa sia iI presumersi di un't idea r aprio-ristica, ma nel senso che essa è consapevolezza dell'inwtilità (meglio,swperflrcità) di un plocedimento dimostrativo per giungere all'affer-mazione di Dio a partire dall'afiermazione di ciò che non è Dio :

essa sarebbe una dimostrazione u'Iteriore rispetto a quella che costi-tuisce la nostra a.fiermazione.

Se di Dio si sa ciò che Esso non è, il nostro sapere di Dio è ilnostro non sapere.

Il nostro ( sapere di non sapere > é, in se stesso, l'attestazione del-I'esserci di Dio.

La radicalità in cui ci si pone per dire < necessità r del fondamentonon consente se non quel modo d'essere fondamento che corrispondea quel modo di essere < fondato r che ingloba in sé tutti gli altri modi,rilevandone I'infondatezza in se stessi.

Il porsi nella < radicalità > della domanda è domandare la rispostairssoluta.

Ogni altro < condizionamento > è interno a questo tipo estremo di

3o

< condizionamento ) e non si pone in sostituzionc di csso nó in opllo-sizione ad esso (se si ponesse in sostituzione sarebbe Incondizionato,se si ponesse in opposizione sarebbe condizionato negativamente :

riproporrebbe sempre in questione il < condizionato r).

rr. II discorso rigoroso in base alla posizione rad,icale.

La posizione che diciamo radicale od < estrema r è quella che,negata, ricompare : è il limite come incontraddittorietà..

La posizione radicale è così semplicemente la rr posízione >, iL porsiper il quale non conta che si prenda in considerazione questa cosapiuttosto che quella, ché esso è < implicato r da qualsiasi cosa nellostesso senso.

Lo stesso senso non è la riduzione delle cose ad una cosa sola(monismo, eleatismo), ma l'impossibilità che la loro molteplicità" (al-terità, differenza) neghi l'essere in virtù di cui esse, comunque, sono.

Il discorso < rigoroso > che la posizione radicale consente è ancolaquello eleatico ma come igorizzazione del suo ( senso rr originario.

Se < trascendere r non è a superare ), uscire, dobbiamo poter direche il < trascendere > si attua nel suo non negarsi : è restando dove

si è che si passa alla radicale consapevolezza di ciò che sirr

è r (dellapropria finitudine, del proprio non sapere e, quindi, del Sapere che

ci trascende, dell'essere che non siamo).puesto pervenire alla consapeyolezza restando dove si è potremmo

dire, ttilizzando un'espressione cala ad Husserl, <meditazioner, (cfr.I'esame da noi tentato dell'uso di tale parola in Il, concetto d,i < med,í-

tazione> e La teoresi del fond,atnento).Diciamo che la posizione eleatica non è posizione dell'essere come

intrascendibile se non è intrascendibile anche come a posizione r : ilpensiero che < è ) essere e che da se stesso non esce, ché lo stesso

tentativo di uscire sarebbe < pensiero r.

Se ciò è vero, ogni filosofia posteleatica è ancora eleatismo ed ogni

tentativo di emergere sull'essere eleatico si risolve in articolazionedegli enti nell'essere eleatico.

Si è potuto pretendere di superare I'eleatismo perché si è pre-teso di intendere l'essere come ( ente r e si è fatto decadere, quindi,iI tt concreto r ad astratto, l'u universale r a particolare (ed a parti-colare di se stesso, cioè a contraddittorio).

Ma se l'essere di Parmenide era intrascendibile, esso non poteva

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venire assolutizzato : ridurre l'essere ad r ente r è appunto < assolu-tizzarlo )), ma non è possibile considerare l'essere come ( ente r senza

anche trascenderlo e quindi negarlo come intrascendibile.Poiché la negazione ha senso solo in rapporto all'essere, essa non

trascende propriamente l'essere ; così, Ia stessa negazione, ove sidica come tale, restituisce l'Essere di cui si professa negazione e lorestituisce nella sua innegabile < positività r (in quanto < è r).

Ciò significa che ogni ricerca sull'essere si risolve nell'essere dicui è ricerca e si nega come < ricerca r : l'essere è fuori ricerca ed è

questa la presenza totale dell'essere in ogni suo momento e, perciò,

la dissoluzione della sua ( momentaneità. r.Ciò non significa negazione del < finito r, del a molteplice r, del

< temporaneo > perché, ove il finito, il molteplice, il temporaneo ven-gano negati, I'essere in virtù di cui si pretende quella negazione decade,

a sua volta a finito, molteplice, temporaneo con la conseguente cir-colaritàr che è 1a restituzione d.el < positivo rr da parte della ( sua)

negazione.Poiché almeno la negazione del divenire è < divenire r, il divenire è

innegabile e, poiché esso non potrebbe essere < divenire> fuori dell'essere,esso non è divenire d,ell,'essere, ma d,el,l'ente nell'essere indiveniente.

La pretesa d.i negare il divenire in base all'essere è pretesa che

il divenire sía d,el,l,'essere e, quindi, che l'essere sia trasceso come

diveniente ciò che esso non è.

La negazione del divenire, perciò, non proveniva dalla impossi-bilità di trascendere l'essere (come l'eleatismo < storico r pretendeva),ma dal preteso implicito trascendjmento dell'essere come < termine >

del divenire.Perciò l'essere (che non nega i molti) non è Unicità e quindi non

è numerabile. La matematizzazione dell'essere (implicita nella uni-vocazione) è, in effetti, la ripetizione dell'unico nelle forme equiva-lenti della moltiplicazione e della divisione del medesimo, del mede-simo che, moltiplicato o diviso per se stesso, resta quello che è.

L'essere eleatico, purché non ( univoco r, si pone nelf impossibi-

Iità. di ridursi a considerazioni<<

matematiche r. Esso è potuto sem-brare < astratto >, < assoluto >, irraportabile, inarticolato, inerte, solo

perché si è preteso contraddittoriamente di trascend.erlo nel' ilíilointrascendibile : ogni distinzione, cadendo in esso, non si nega se esso

non è negazione e, del resto, anche negand.osi come distinzione, siaffermerebbe come < distinzione negata r e restituirebbe dialettica-mente la propria rc posizione r.

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Ma se l'essere eleatico fosse negazione, non sarebbe intrascendi-bile ed inoggettivabile, perché la negazione non si contraddice solose è negazione d'altro da sé e I'essere eleatico non ha propriamente< altro > da sé, chè sarebbe, per sua definizione, altro àa se stesso.

L'altro da sé è appunto 1'< astratto,, ciò che non è se stesso enon solo è <separator da <altror, ma è <altror in quanto è da séseparato. Se I'essere potesse venire trasceso (astrazione), esso sarebbein sé da sé separato.

Allora, partendo dall'r< astrazione r che è separazione del sé dasé, la consapevolezza dell'essere eleatico è ra restituzione del sé a

sé, I'onr,nium restitutio che è, precisamente, la filosofi.a.

12. La radical,ità corne < integralità >.

Intendiamo per < integralità. r il carattere della filosofra come re-stitutio dialetticamente attuata : integrale è, essenzialmente, l,espe-tienza ( pura )).

rndichiamo con una serie di equazioni gri estremi del nostro di-scorso. Teoretico è il concreto, cioè l'integrale. Assolutamente inte-grale diciamo l'esperienza antecedentemente ad ogni limitazione(l'esperienza originariamente unitaria e tale da non escludere alcunadistinzione). Diciamo che l'esperienza integrale è < intrascend.ibile ,perché essa non < ha r propriamente < timiti ,, essendo limite a sestessa.

A questo punto, essendoci posti ar limite, notiamo che il caso deila

Questa dicotomia è già operante in Kant : la metafisica come

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< illusione naturale r e la filosofia trascendentale dei limiti entro íquali la filosofia non sarebbe il,l,usione.

Si può dire che la radice dell'esito agnostico in flosofia sia questosdoppiamento abnorme del filosofare in due divergenti necessita.:quella d,a rifiutare e quella d,a accettare, con il problema connessodel rapporto fra i due momenti, rapporto nel quale il dialettismo(Attualismo) vede l'autentica co\ctetezza-

Ma dove si considerino la <realtàr del rapporto a la realtà. deisuoi termini, la necessità d,a ròfiwta.re come ( illusoria > (l'astratto)sarebbe necessariamente ila accettarsi come tale e non vi sarebbe

rifiuto e accettazione, ma <accettazione r e del rifiuto e dell'accett azíone.Se la consapevolezza è lutta nella < illusorietà r consaputa, la consa-

pevolezza è, a sua volta, illusoria e lo è illusoriamente : la posizionedel negativo come momento del farsi positivo è posizione del negativoall'infinito.

13. L'autonomia d,etr fil,osofa.re come impossibil,ità d,i wn'esperienza< filosofica >.

È un punto capitale del nostro discorso : d.alla possibilità. o nodi un'esperierrza <( filosofica r dipende la nozione stessa di trascenden-

tale e, quindi, di < integrale r a proposito di rr esperienza r.Comunemente si parla di < esperienza filosofi.ca r e ci si riferisce

owiamente al < mondo r proprio del filosofante (ambito e metodo).Ma la caratteristica di questo < mond.o r fi.losofi.co è, in ogni caso,quella d'essere tr totalità r. Totalità dell'esperienza è I'esperie\zasenza aggettivazioni esplicative o aggiuntive.

Si potrebbe dire, paradossalmente, che l'esperienza autentica-camente flosofi.ca è che non vi può essere < esperienza fi.losofica r.Alla corretta interpretazione di questo paradosso si deve la disso-luzione delle pretese di una qualche fiiosofia dell'r impossibile r filo-sofia: non v'è < esperienza filosofi.ca r nello stesso senso in cui vi sono

esperienze non filosofi.che. In questo senso è corretto dire che una<r filosofi.a r al livello della < scienza r è impossibile : lo scientismo haragione di tutte le filosofie che vi si collocano; ma questa stessa nega-zione è innegabile solo come posizione di un senso diverso da quello delle< altre > esperienze : un senso per il quale nessuna esperienza sia pro-priamente < altra > rispetto ad esso, essendo < altra r solo rispettoalle esperienze nel proprio senso.

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posto, dwnqwe, con tra stessanze, negazione che è, concre-d,el, loro K senso )r.

fica comincia quando si assume I< esigenza r. L'esigenza non è chedi vista di colui che postula,

< Postulare > la filosofia eessa sia (il r criticismo > è virgere > la fllosofia

equivale a chieL'esigenza rriene colta come te ci si rivorge a qualcosa n altro > soro in quanto di < altro r si haisogno.

L'altro nel'esigenzialismo è fondato dat,esigenza, non viceversa;ioè non è < fondato > : in tanto ro si può esigere autenticamente inuanto esso è a altro,, di modo che t,esigenz" ion d;;;; < fonda_ento D ma processo, se mai, di fondazione neta consapevole zza tag-iunta della necessità. del to.ra"*".rto.a, ma viceversa, se mai è la filo_

a di esigenza.

mento che non sia il filosofare.Non diciarno che

'filosofare

è ra soluzione deta domanda radi-ale, ma soltanto che esso è la radicalità. det d.omand.are.

r.4. L'<unitarietà> del d,íscorso fiIosofi,co.

L'attività", comunque bisognosa di ulteriori integrazioni, è, neluo stesso bisogno, essenziarmente integrale ed unita"ria- Inìegrauta

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e unitarieta sono appunto ciò entro cwi qualsiasi integrazione puòporsi : integrabilità. ed unitarietàr, pertanto, non sono integrabili néunificabili, non precedono né seguono l'integrazione o l'unifi,cazio\e,sono nell,'integrazione e nel,l,'anificazlone comewnità daesse <implicatar.

L'impossibilità che la filosofia sia < evasione )) o stato di < oblio >

(come dice bene M. F. Sciacca) ci sembra radicata nella impossibilità"stessa di considerare l'esperienza filosofica come wna fua le altreesperienze, sia pure come l'esperienza fondante le altre tutte.

Alla filosofia non si ricorre come ad un < rifugio > o ad una < solu-zione n di problemi psicologicamente complessi; proprio perché

obl,iarsi in qualcosa o cercare in qualcosa rilugio comporta che cisi appelli appunto ad esso come alla < soluzione > intrawista e speratadei propri problemi.

Chi cerca < rifugio r nella filosofia suppone che la filosofia sia pro-prio ciò che essa non può essere : soddisfazione e definitività. Di quila stretta parentela fra ogni sorta di misticismo ed il monismo con-clusivo e risolutorio : comunque si prospetti l'( unità. n intenzional-mente risolutoria d.ella problematicitÈr, essa non può non venire intesacome improllematica problematica e improblematizzante (unità. che ini-bisce la problematicità, sovrapponendosi alla insoddisfazione radicale).

< Peccato > potrebbe dirsi questo decadimento sempre rischiato

che è stanchezza di filosofare autenticamente e perciò è ricerca inau-tentica dell'< oblio r e del < riposo >.

La funzione consolatoria d.ella filosofia è tuttavia, autenticaperché ( sapere r che nulla di ciò che si esperisce può soddisfare radi-calmente è già, per se stesso, affrancamento dell'illusione, illusioneche è alimento segreto della vana ricerca e dell'ansia che psicologi-camente vi deriva.

Il chiarimento di me a me stesso non è < compito r che io possa

propormi, ma è attuazione che risolve in sé il filosofare, chiarendo ilmio essere ame stesso come tfilosofanter. In realta, se il chiarimentodi sé fosse da proporsi come ( compito r del filosofare, io dovrei d.are

preliminarmente al mio < io r un'importanza, un rilievo che niente

può validamente garantirmi, chè, in ogni caso, sarei sempre < io >

a tentare il convalidamento.Se è vero che m'è inutile cercare l'< oblio r perché sarei ancora io

ad obliarmi, è anche vero che non posso pormi aal,id,amente, inconfu-tabilmente, aI centro del a mondo r perché, anche nell'atto di garan-tire questa mia centrattà, sarei circolarmente, diallellicamente, ioa garantirmi.

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Il fatto che dall'a io r non è dato uscire non è da considerarsifatto fondante più di quanto non sia fondante il tentativo vano diuscire (l'illusione cartesiana, spesso ricorrente in firosofia, ci sembraconsistere essenziarmente in questo interpretare come ( fondamento rciò che è solo wa ,impreteribite sitwazione).

r5. L'<intimità, ontol,ogicaD co,,ne ckiarimento interno d,i un,tLinte_riot,ità. oggettiua t.

L'interiorità. (megrio, l'< intimità. >) del vero ala coscienza, sco-prendosi come ( essere )), non annienta il mio essere < coscienza >.

Anche cominciando dall'< io >,

tale (è valido) solo se comincio dall,< intimità. r stessa dell,io, dal_l'< essere r che è il solo intus di ogni determinazione possibile. L,< in-timitàr è teoreticamente il cominciamento vero perché è l,essere stesso

dell'< intws >.Preferiamo parlare di < intimità r piuttosto che di < interiorità >perché la forma comparativa der'íntivior indica un identico rivello

ma l,< essere r (il < vero >) non< esperiti >) : l,essere non è pro_al di là. di ogni possibile ( con_

osa (per cui il dire che esso è < alun dire empirico).

Anche a prescindere dana genesi psicorogica déi termini < sog-getto rr, tc oggetto ,, < interiore >, < esteriore r, possiamo dire che l,< in-teriori essere ed. il vero solo a patto di non contrap_porsi iorità. r e ad. alcuna < soggettività r

:1,< inti_

mità > vero è precisamente col,ta nel,l,a impossibil,itòd,el lor alcuncké,

La consapevolezza dell'< essere r mi annienta come < io > solo nelsenso che l'< io r, assunto fuori dell,essere, come < funzione ,, < atti_vità. r, a posizione ), ( superamento ,, < atto puro ,, è nulla. Non sipone l'essere, né l'essere pone se stesso, *r

"isi scopre radicalmente

posti dall'essere,

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la r matrice > di tutto, è, se non altro, pretendere di <' descrivere >

ciò che non ha < parti n né < essenza ))'

Poiché l'essere è <presenza), esso non ( è> primo, ché sarebbe

rt primo r rispetto a se stesso (I'uso di questa espressione < matema-

tica >, numerica, involve la t< successione l, la serie ed esclude, quincli,

la compresenza).Né si può dile che 1'< essere n sia < principio > (primum capere) :

è molto importante, ci sembra, notare che la posizione del principio

è, in realtà1, come l'etimo stesso indica, posizione di ciò che abbisogna

del principio (esperienza).

17. Del senso in cui si d'ice clte l"essere è <primo>'

Se I'essere è < presenza )), esso non è il princo, né è principio (prin-

cipiurn è da prirnum capere): la posizione del principio è, in realtà.,

posizione di ciò che prende inizio.Chiariamo anche, così, che il richiamo heideggeriano all'essere

come tale che non si rid.uce ad alcuno degli essenti non è misticismo,

perché se dell'essere non è possibile parlare, ciò significa che dell'es-

iere si dice < negativamente r : il misticismo è pretesa di dire ciò che è

impossibile dire ; la metafi.sica è la consapevolezza della necessità. del-l,< essere > a qualsiasi discorso : il misticismo è non d.ire, metafisica

è sapere che si dice, qualunque cosa si dica, sempre I'impossibilità

di negare l'essere.

ci sembra che sia da rimeditare il seguente testo heideggeriano :

< L'esperienza fond.amentale che d.omina Sein un Zeit. Essa con-

siste nel trovarsi di fronte, in maniera sempre più accentuata e più

chiara, a quest'unico fatto, che nella storia del pensiero occiden-

tale fin dall'inizio viene pensato l'essere dell'essente e tuttavia la

veritàr d.ell'essere rimane non pensata e non solo è negata al pensiero

come possibile esperienza, ma il pensiero occidentale, in quanto me-

tafisica, nascondeespressamente anche Se non coscientemente, iI

fatto di questo negarsi> (M. HETDEGGER, Nietzsche, Pfullingen, r95r,Il, z6o).

II senso in cui I'essere è rr primo ) è anche il senso jn cui il < pen-

siero I (di qualsiasi cosa) è .t pensiero dell'essere > : si ricordi il famoso

passo heideggeriano di Briel i,iber d,en Hurnanismus, < il pensiero è

il pensiero dell'essere. Il genitivo dell'essere (uom Sein ereígnet) gliappartiene. I1 pensiero è ugualmente pensiero d,el,l,'essere in quanto

40

il pensiero, appartenendo all'essere, presta orecchio all'essere r (M.

HBroBccBn, Briel ,iiber d,en Hwrnq.nisrnws, I, Francof.orte, ry49).Non diciamo l'< esserci ), ma l'rr essersi > : qualcosa c'è per qual-

cuno che < è r. L'esserci è asserzione in base alla presenza che è co-scienza come essere (presente) a se stesso.

L'autocoscienza è esplicitazione terminologica della n coscienza n,

perché non è possibile < asserire )) senza < affermarsi n : il dire qual-cosa è anche il dirsi da parte di qualcuno.

È a partire dalla coscienza come ( presenza > che si <r coglie > l'im-plicita intelligibilità

dellacoscienza, che

èl'aesserci > e

l'tessersir;

per questo riteniamo di dover riservare I'espressione ( essersi )) perindicare la coscienza come presenza ed il termine ( presenza ) perindicare l'originaria mediazione immediabile.

Chiariamo intanto I'uso del termine ( presenza ) come originarietà,osservando che I'originario non è d.ato come immed,iato, ma comeimmed,iabile; esso non è dato senza la mediazione, ma con il tenta-tivo della mediazione. I1 darsi senza la mediazione ed il darsi cozr

la mediazione si rivelano due equivalenti anche se opposte astrazioni :

senza med.iazione significherebbe I'ateoreticità della mediazione, ag-

giunta come estrinseca ; con Ia mediazione significherebbe il rimandoall'infinito del termine che media, sempre postulato: essa è l'impossi-

bilità stessa della non-concretezza, l'impossibilità del suo opposto.Possiamo dire che il < concreto r è la prova delf impossibilità. di nonesserlo.

La presenza è così non una < determinazione >, sia pure fondamen-tale, e da qualificarsi in un qualche modo, essa è piuttosto la < deter-minatezza>t.

Determinazione sarebbe, infatti, qualcosa di < empirico r o di psi-cologico, qualcosa ia cui negazione non è contraddittoria, d.ove in-vece ( determinatezza r (sottesa, del resto, a qualsiasi determinaziore)è, diremmo, ontologica ed assolutamente innegabile.

Se ogni determinazione (necessariamente particolare) è < attua-ziorre>>, essa suppone il non-essere-ancora, la potenza, la t< determina-

bilità r. In questo senso ci appare corretto riservare il termine< determinatezza> a ciò che non è <attuazione), ma (atto)), non un<essente> od un modo d'essere, ma (essere)).

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18. L'iwtpossibililA di, un d,iscorso sull,'<< essenzar d,el,l,'essere.

Se l'< originario r ed. il < rudimentale > non sono la stessa cosa, lapresenza non è veramente tale se è u oscura > : si può dire che unacerta presenza è solo oscwramente aaaertita, dove l'< oscuro r è carat-tere (limite) dell'< awertimento )), non della < presenza > che si awerte.

La <presenzan è d,eterminatezza (S tZ) in quanto non c'è via dimezzo fra essere e non-essere ; l'< indeterminato rr riguarda le grada-zioni dell'attività di coscienza, riguarda la maggiore o minore consa-pevolezza della cosa in questione.

Diremo, allora, che la consapevolezza come attività determinanteè asswnzione progressiva della r determinatezza > totale della cosa.

L'inesauribilità. (empirica) delle determinazioni, o < infinità. > dell'og-getto è appunto ciò che si intende per ( oscuro >, fuori dell'aspettomeramente psicologico ; ma I'inesawribilità. non è indetervninatezza.

Contenuto inesauribile diciamo in quanto nessuno dei momentidell'attività. conoscitiva è tale da coincidere perfettamente con latotalità d.ella cosa, la quale è però presente tutta intera onde poteressere parzialmente consaputa di volta in volta.

< Rudimentale r o primitivo diciamo l'oscuro awertimento della< totalità. r circoscrivente (lo sfondo di ogni tematizzazione, lo sposta-

mento di interesse ecc.) ;<

originaria r diciamo aJ.lora la consapevo-lezza della presenza determinata ed. indeterminabile ulteriormentedell'essere, consapevolezza delfa ( presenza r che < è r la presenzastessa, l'<essere r stesso (p"g. SS).

Poiché questa consapevolezza îorr è un < dato r, ma una a implica-zione > (provantesi con la tentata sua negazione), evitiamo di direche essa è una < intuizione r e diciamo che il suo presentarsi (idea) è

una sola cosa con il suo < essere r ; così dicendo, evitiamo di dire chef idea è I'essere < nella forma in cui esso può essere presente alla co-

scienza r, proprio perché non disponiamo effettivamente di un'altralorma dell'essere. Essere e cosciettza coincidono nel,l,'Id,ea e questoperché la coscienza è a attività > (conoscitiva) attualmente fondantesi

nell'< atto >, atto il quale, essendo d.eterminatezza pteîeqlJisita adogni processo (o procedimento) di determinazione, non è n determi-nabile >.

Dell'essere (Idea) non v'è intuizione (se non nel senso oscuro e

< rudimentale r del pre-sentimento della totaiità circoscrivente) e nonv'è derivazione (se non nel senso rudimentale del < residuo > identicodi qualsiasi confronto fra diversi).

42

La pretesa è larudimentale op a ched,al, confronto r nne-

Il modo in cui tutto risulta fondamentalmente condizionato dal-l'essere non è la preswpposizione, ma l'impl,icazione:

filosofica è laconsapevole zza raggiwta dall'implicazione come chiarimento dell,im-possibilita del suo essere presupposizione med.iante la consaputa in-suf,frcienza della < presupposizione r alla fondazione (si potrebbe pre-supporre arbitrariamente).

Ma come ( presupposizione > si presenta, all,inizio, ogni nesso fracose, anche il nesso fond,ante che è l'essere : la filosofia è allora pro-cesso critico all'interno della ( presupposizione r (problematizzazionedella d,oxa, interna alla doxa, irriducibile alla d,oxa).

Il discorso sarll'essere né procede né segue il discorso sugl,i essenti,proprio perché l'essere né precede né segue ma < fonda r, costituendoed esaurendo, gli < essenti r.

Il < venire dopo ' od il < venire prima )) sono prospettive ancoreempiriche : equivalentemente empiriche sono re posizioni fra loro in-tenzionalmerlte opposte di asúrazione dell'essere dagli essenti e diintuízione dell'essere indipendentemente dail'esperienza degli essenti.

L'< esplosivo >, direbbe Sciacca, di ogni conoscenza ed azione, delconcetto e del reale è l'essere nel suo intrice di ogni attività; ma l'essere nonesso è 1I sempre presente. Come tale, essoscrivibile, né definibite, né, propriamente, < dicibile >.

Il discorso sull'essere consiste, a rigore, nella impossibilità di ne-gare l'essere : non ( oggetto r della mente, ma la presenza stessa dellamente a se stessa, < atto r fondante (che dà in uno il contenuto al-

l'atto e l'atto al contenuto, direbbe La Via).Perciò, parlare di < essenza > dell'essere è tautologico o contrad-

dittorio ; contraddittorio se non è tautologico : l'< essenza r dell,essereè che l'essere < è r (il predicato non dice nulla che il soggetto nondica, né il soggetto può venire detto senza il < suo r predicato : del-I'essere non si dà, propriamente < giudizio r).

43

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mo, dialettica del Trascendente, irriducibile agli a enti > ed al (loro)trascendentale.

II < qualcosa in generale r non è, allora, < qualcosa )) se non comel'< intenzionahta > stessa: esso non può venire intenzionato (deter-tninato come ( qualcosa r) nella coscienza, e non è < qualcosa r se

non come intenzionalità.Se il < qualcosa in generale r, anziché semplice intenzionalitìt, losse

nel senso della 'realtà' (oltre che di noetna.), si dovrebbe stabilire unaduplice oggettività : da una parte il qualcosa in generale e i singoli< qualcosa > ed una interzionalitàr indeterminata dall'altra.

Ora, un'intenzionalità indeterminata vanificherebbe la coscienzae, da parte sua, una duplice oggettività. comporterebbe una rela-zione problematica tra il < qualcosa in generale > ed i singoli ( qual-cosa )) (questi si intenderebbero come determinazioni ulteriori d'unindeterminato, e l'indeterminato si confi.gurerebbe necessariamentecome contraddittoriamente determinato, onde distinguersi dalle sueulteriori determinazioni).

L'unità del < qualcosa in generaJe > e le singole rr unitìr r che lodeterminano dowebbero risultare tra loro estranee proprio nell'af-fermazione dell'univocità del < qualcosa )) che, essendo in generale,non può modificarsi in alcun modo : all'univocità dell'< in generale >

contraddirebbe la molteplicità. in forma di<

alterità. > tra l'in gene-rale ed i singoli < qualcosa >.

puesta < sostantificazione D, per così dire, del qualcosa in gene-rale non è, infatti, se non il risultato di un inconscio processo di iden-tificazione (univocazione) tra < intenzionali > in quanto tali.

Il fatto che I'intenzionalità d,ell'intenzionalità. stessa (coscienza)è tale da < accompagnare r ogni momento di tale intenzionalità. inatto fungerebbe da radice della entificazio\e suddetta, entificazioneche non si legittimerebbe che entro l'autocoscienza (l'intenzionalitàche si intenziona) in cui l'< oggetto r della coscierza coinciderebbecon I'atto. Ma tale coincidenza è, in realtà, la dissoluzione stessadell'oggetto od, anche, l'oggetto sta tutto in questa sua dissoluzione

nel momento stesso in cui è posto.Si può dire allora che I'< Ontologia formale r non è se non l'inten-

zionamento della conoscenza e non vale se non a riprod,urre la cono-sceruza nel suo atto : essa non costituisce alcun a priori, né alcun< vuoto r da riempire rispetto alle determinazioni conoscitive.

Pertanto, dell'< in generale > si parla nello stesso senso in cui siparla della ( conoscenza r fuori di ciò che è efiettivamente ( conosci-

46

bile > : iI senso in cui si parla di < formale r nell'< ontologia formale >

non può essere quello del < categoriale n, quale < forma r condizio-nante la corLcretezza d.ei contenuti conoscitivi: la condizione al ( con-creto r non può essere meno concreta del suo condizionato. Se ilrapporto tra il < qualcosa in generale r e l'< esistente r fosse da confi-gurarsi come rapporto fra elementi costituenti I'wnitA sintetica deldato d'espeienza, il dato d'esperienza risulterebbe < incondizionato r,risultando contraddittoriamente < qualcosa > di sdoppiabile (divisibile)nel duplice elemento che non può essere anche < condizione r nelmentre costituisce (ed esaurisce) il 'dato'.

Il < qualcosa in generale r non rappresenta, insomma, alcun va-lore tra i valori di conoscenza, rré, d'altra parte, esso rappresentaun < formale > che assuma in sé, per < riempimento r, valori non for-mali : esso non può dirsi <, condizione r alla conoscenza, ma solo (e

tutta) Ia conoscenza stessa.

Ne segue che la conoscenza (le cui condizioni, conoscibili nellacosa che condizionano, sono innegabili) non si frappone fra < ente red <ente >: la noematizzazione tipica dell'autocoscienza non importaI'entifi.cazione del proprio ( noema )).

Si chiarisce, allora, il fatto che la struttura del < pensamento >

si pensa come ( presenza ), presenza che si tematízza, ma che, cometale, non è un valore perché essa non << caratteizza r

il<

dato>,

bensì< è > tutto ciò che il < dato r, in se stesso, < è >.

Il carattere < astratto > della presenza tematizzala sta proprionella impossibilità. di considerare la r< presenza D come un < carattere r(così come l'< indetermínatezza r non è carattere, ma assenza di tuttii caratteri) ; l'asttattezza pertanto non è < un r carattere.

Il carattere dell'essere < astratto > è semplicemente l'a astrazione >

dal carattere, la sua nozione <<îormal'tzzatal, l'operazione (psicolo-gica) della considerazione che ,tematizza se stessa.

La presenza è condizione al valore, nel senso che è l'intenzionalità.imprescindibile del < soggetto r, 1'< apertura r del pensare all'essere.Se la < presenza r è psicologicamente < oggettivazione >, come condi-

zionamento operativo dell'atto, ogni analisi di tipo kantiano è < psi-cologia r, nella medesima linea dello psicologismo humiano.

Le condizioni psicologiche all'esperrenza sussistono senza la < strut-turazione r: fenomenica dell'oggetto : l'oggetto è tale in virtù di unaoperazione swl, dato, come sua tematizzazione.

Nella < Ontologia formale r I'essere è rr astratto > perché < indeter-minato ), questa astrattezza suppone almeno la concretezza del < sog-

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non porsi come l'< unico I < originario r vi sia, nel non identificare, cioè, la cosa di cui si dicc

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gctto r cogitante (e questo non può allora

àrr"r" cui si po..t titribuire concrelezza): se l'essere è-<astratto>'

poiché esso è, come astratto, anche univoco, ogni individuo (essente)

Àarà n astratto I e quindi da negarsi'

L'unico che < è n, nell'Ontologia formale, è ciò che non entra in

essa : è, parad.ossalmente, il non-essere'

Si afiérma, così, I'insignificanz L < ontologica I d.ell'ontologia for-

male, affermando I'unica cdncretezza possibile nell'< unità' I del

cogitante. Ma ii radicarsi, inevitabile, del soggetto in se stesso è iln" "rri del rapporto essenziale aI soggetto (che è tale come < inten-

ziÀattà > cogito-cogitatum), per Lé un rapporto tra concreto ed

astratto sarebbe, inevitabilmente, rapporto astratto'

2. Itr d'iscorso (<essere\ intorno al'l"ente'

Una ricerca che si pretend'a intorno all'< essere n è' in effetti' o

discorso intorno agli a enti I o astrazione come assoluta univocazione.

Il < qualcosa n intorno a cui il cliscorso verte si profila come ( ente I

numericamentedistintoprimacheindagabileneimutuirapportifragli < enti r. F'atto questo che I'empirismo assume come teoreticamente

àeterminante, nell'afiermazione che le( cose ) ci stanno in qualche

modo d.avanti, presupposte al nostro atto conoscitivo'

Dove si chiarisca"tt"

t'* essere l in quanto pensato è astratto' ildiscorso sull'< essere D si converte in assunzione che reduplica I',ente

e che ogget tivízza tale reduplicazione come ( qualcosa t dt essenzial'-

meute d'lierso dagli enti < mondani ) d'ell'empirismo : tale è -laradice

del razionalismo come discorso significante l',originarietà dell'astratto

rispetto a quel ( concreto > che è la cosa, erezione dell'astratto a

< realtà. r effettiva epperò effettivamente concreta'

Entrambiteposizionisipresentanoanaliticamentescomponibiliin termini di < astrazione l confusiva, almeno nel senso che presup-

pongono una ( riduzione > d'ell'essere, inteso come ciò d'i cui si dice'

à['unità" assoluta od- alla assoluta molteplicità'Lariduzionecomporta,tuttavia,unairrid.ucibileoriginarietàdel

presentarsi d.ella < t"tttl rr, ond,e procedere con il pensiero' Pertanto'

unitàemolteplicità,sigiustificanocomerisultatodiun,operazione(dadefinirsicome<logica)ocome<tpsicologicallinbaseallad'iversaaccezione di questi due termini) sull'originario presupposto'

Il discorso sul t presupposto I consiste nel non negare che un

48

con I'originario. È quanto basta per avvertirci che la riduzione agli< enti r o all'< essere rr astratto (univoco) non identifica in sé l'esserereale se non per un ingiustificato procedimento, per un < filosofare ldi tipo naturalistico.

Il < naturalismo r è così riscontrabile, ancora una volta, alla basedell'alternativa tra empirismo e razionalismo e tale da spiegare larigidità con cui storicamente si articola la problematica filosofica del-l'autenticità del conoscere (e della legittimità, fatta conseguire, della< metafisica r). Diciamo problematica < fi.losofica r perché ciò che in

essa v'è di non autenticamente filosolìco è anche ciò che non v'è diautenticamente <r problematico r, precisamente iI < presupposto r.

Proprio a proposito del < problema ) a come ( necessità della fon-dazione r intorno all'essere si può notare che il rapporto tra Ia ricercae le sue condizioni (problema che Heidegger formula in Sein und, Zeit,nell'analisi clel problema in quanto problema, al S z: la struttura

lorruale d,el problewa d,ell'essere) si presenta in termini tali che <con-dizione l alla ricerca, assunta la ricerca al limite, è che il ricercatorenon sía coinvolto nella sua ricerca.

Infatti, una inclusione del questionante nella (sua) questione ren-derebbe insolubile il problema (e quindi lo negherebbe come problemaefiettivo) : sc in una medesima questione è messo in questione ilquestionante stesso, risulta messa in questione la questione stessa edallora, a meno di assolutizzare dialetticisticamente il problema in una( sapere assoluto l per il quale il < problema r è già negato, la questioneè afiatto impensabile.

Si rnetta ipoteticamente in discussione il questionartte nella me-d,esinca qwestione che ci si propone : si avrà la negazione della que-stione o l'< indiflererrza ), della questione intorno al questionante allaquestione stessa, indifferenza che contraddice alì'ipotesi.

La questione che coinvolge il questionante è questione nulla ed

è, pertanto, questione d,el, rn;Jla. Non per niente la sua formulazionein Heidegger (Was ist Methaphysih?) è connessa con la riproposizione

della vecchia (non antica) domanda<

perché l'essere piuttosto cheil nulla ? r.

Notiamo che la domanda < perché l'essere ? r è posta luori del-I'essere e, precisamente, come possibilità ipotetizzata che niente csi-sta. La radice della formulazione (pretesa) dell'essere in < concetto lsi rawisa proprio in questa d-omanda, perché la possibilità che nientcsia è già, per se stcssa, Ia necessità che si giustifichi I'essere di qualcosa.

19

Si vede, allora, I'importanza dell'ipotesi per qualcosa di detcr-

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minato e di particolare, in modo che essa, in effetti, equivalga alladomanda < perché questa cosa, che potrebbe non esistere senza in-volvere contraddizione, esiste ? >.

Domanda quest'ultima che equivale all'impostazione del problemametafisico in termini di < fondamento D e che ha senso entro tr'ind,wbi-

tabil,ità dell'essere.

L'afrermazione della possibilità che nulla sia non è propriamenteaffermazione, ma < posizione > astratta nel senso deteriore in cui taletermine è da usarsi dopo Hegel, astratta come priva di realtà. e,

quindi, di < razionalità r.Sembra, tuttavia, che tale struttura astratta sia alla base del

tr problema metafi.sico r (della Metafisica messa in questione) e che,

come tale, cioè come posizione problematica intorno all'essere, con-dizioni la possibilità di prob\ematizzare la Metafisica chiedendosi,cioè, se essa si ponga con una pretesa l,egittima (secondo l'imposta-zione kantiana della necessità. della a deduzione ) come giustifica-zione).

La domanda heideggeriana di Was ist MetkapkysiÀ ? sembra porsioriginariamente in quella astratta posizione che va esaminata comc< possibilità r : in quale senso ci si può chiedere < perché r ci sia I'es-sere piuttosto che il nulla ? Chiedersi < perché > sembra supporre lasituazione contraddittoria della r, necessità r in cui il problema è toltonel suo stesso porsi : il <nwl'la r essenilo irnpossibile, l"essera è neces-

sario,Già l'esame del Bergson in termini di < essere > e di < niente >

(L'Éaol,uzion créatrice, rgoT ; Pensée et Mouaént, rg34s, pagg. rzz sgg.)

aveva rilevato la fittizietà. dell'idea di < niente r. L'uso del termine< niente r designa, infatti, I'assenza di qualcosa, cioè non designa.

Ma 1'< ass nza r corrisponde per il Bergson alla soppressione da partedel soggetto, ad un'operazione psicologica che sostituisce il qualcosa(che, come tale è appunto ( presupposto >) e che, perciò, non è maiassoluta.

Ci sembra, insomma, che il rigore logico dei termini da usaredomandi che il < niente > sia escluso come pensabile : esso è pensabilecome ciò di cui è assenza.

Senonché l'affermazione che iI niente non è pensabile come essere

equivale all'affermazione che esso è pensabile come non-essere : ilnon-essere è, infatti, per usare espressione hegeliana, l'essere come

< tolto > e quindi ancora ( essere >t ed, operazione (soggettiva) su di

5o

esso. Pertanto, se il niente è la stessa < negazione r (operazione sul-l'essere, meglio sull'< ente r determinato), là negarioàe'

"o_" opu."-zione < è r. Diciamo, allora, che si può pens"rà la soppressione diquanto è pensabile, non si può pensare il non_essere.

ora tale evidente contraddizione consente di affermare che ir< niente > si può pensare solo come < limite r della possibilità. di pen-sare, limite che, come tale, non si <opponen al penìiero e che il.pen-siero non può raggiungere senza

"n"t " negarsi : esso coincid.e, sem-plicemente, con lo stesso < pensiero ,, il f,uale è, nel o pensabile o,limite a se stesso.

L'afrermazione del limite di pensabilità. ci sembra rigonzzi raesclusione bergsoniana dena pensabilità-impensabilità. del niente, senzache si tolga di mezzo ciò che è, invece, < insopprimibile r nel suostesso non poter venire mai pensato : il nulla, la negazione.

L'afrermazione del limite di pensabilità. è esclusiJne della possibi-lità che il pensiero si trascend.a : ra posizione < fuori > d.el,essere (nelladomanda intorno al perché del non-nuta) non è < posizione, e I'ipo-tesi non è < ipotesi r.

Poiché la questione intorno all'* essere r sarebbe questione intornoal < perché > dell'essere (con |esito della contradittorietà dell,afferma_zione surrettizia del < niente r), ogni questione può riguardare esclu-

sivamente gli a enti r.

3' ciò che consegue arla limitazione d,er, probrema a probl,ema intornoagl,i << enti >.

. ciò che consegue è che si precisi, nei suoi limiti inteligibili, larichiesta analitica della <ragione suffi.cienter d.a parte della npoiizione,.

È da chiedersi se la richiesta dera ratio swlficiens da parte$ gio che è < posto r sia < originaria > o non sia, piuttosto, mediatadalla introduzione della nozione di < effetto r.

Questa domanda riguarda precisamente Ia posizione come < origi-

naria, : la validità del processo < anaritico r non sembra fondare masolo < supporre r il carattere di < effetto n onde si svolge analitica-mente il discorso della < fondazione sufficiente >.

Una volta stabilito, infatti, il carattere di < effetto r, lo svolgi_mento analitico si risolve in discorso tautologico, ond.e la sua validita.resta sempre ( presupposta r senza mai potersi r mediare > in innega-bile e, quindi, in < originaria r.

5t

a sc stesso (clttr si vttolc vctlct'c colnc ( PIovíì' )) 4. Precisazioni wlteriori d,el, limite d,i un probl,ema come problcma

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L'iclcntità. dell'effcttotlclla valiclita. d.el < principio D d'id.entità) ò idcntità del rapporto alla-

litico d.i effetto " u ."rrru t (o ratio swfficiens) e' perciò' il < pas-

*ggio D dall'efietto alla causa è ancora la stessa < identità. r, esplici-

ttrta, del < dato-Posto r.

Questaprecis.azionecimetteincondizionedilimitarelaportatade[I n d.imóstrazione n dell'Assoluto trascendente' non come esclu-

sione di tale Assoluto, bensì come sua < afiermazione ) a prescind'ere

dalla dimos trazione come ( passaggio n : iI rt passaggio )) non- sarebbe

una n med.iazione n fra il non-Assoluto e l'Assoluto' ma l'implicazione

(analitica,esplicitabile)dell'Assoltttonel'ecol'<darsird'elnon-Asso-luto come tale.

Ogni < dimostrazione D come < mediazione I (in base all'introdu-

zione d.i un < altro r) sd.oppia tale < dimostrabilità n in una ( compo-

sizione, di 6ue elementi (logici) diversi, la validità. della dimostra-

zione come garantita dall;analiticità' del rapporto di causalità e la

validitàdeil'applicazioned'ellanozione(analitica)ditalerapportocome presuPPosta all'analisi.

Poichélasipresupponeall,analisi,lavalidità,delprocessononèanaliticamente garantìia e quindi I'analiticitàr d'el processo, a valore

assoluto o apodittico, ,,.on"lt"'''d'e

la propria apoditticità al termine

cui il processo si tt aPPlica >-La richiestr "'rliti"r

della ratio suffi,ciens suppone, appunto, la

posizione come ( bisognosa > d.i raSion suffrciente esterna alla posi-^zione

stessu, preciraÀente la nozione di < effetto n' L'< essere da rr

incuil,analiticitàdelrapportocausa-efiettosirisolveèdunque( presupposta > in quanto garantita dalla pretesa della constatazione

1i poriril'on,) d.ella < frnitezza> in base all'esperienza (empirica) del

ì H-ituto r : il < cessare d'essere n d'a cui si arguisce iI < poter non

esserellha,sensoinfatti,allivello<empiricolldell'esperienzainc,lisi strutturano < questo > e < quello ); non può riguard'are l'esperienza

come tale, Ia quale non potrebbe < cessare d'essere ) senza anche

negarsi (il pensiéro non può trascendersi senza negarsi)'

Ilvaloredella<p,o',,"lld'elTrascend.enteèpiuttostonell,impos-sibiiitàstessadinegareilTrascendente,negazioneidenticaall'impos-sibile negazione deI pensiero (esperienza) da parte del pensiero'

d,egl,i < entí >.

La Metafisica < tradizionale r, come è noto, parla di < soggetto ldella Metafisica, soggetto dalla espressione scolastica dell'< in-wrb,j,i-

cend,o >, che indica ciò cke vjene considerato per quello che esso < è >.

Preferiamo, per Ie implicanze da evitarsi della nozione di < sog-

getto > di un discorso, usare della espressione greca < thema r (il cor-relativo della tkesis) nel senso in cui in tedesco si può parlare dí Awl-gabe, di < assunto r.

L'espressione u soggetto r della Metafisica ricorre in S. Tommaso(In Meúaph. Arist., IY,Iez. r (n. 5SS)), per il quale l'u essere l vienedetto appunto a soggetto r della Metafisica.

Ci chiediamo, dopo la precisazione che l'essere non è ( un ) con-cetto, una nozione, che posto abbia il <discorso,r sull'essere (nei timitiche andiamo stabilendo) fra discorsi possibili.

Poiché, parlando dell'< essere >, ci si pone radicalmente nellat realtà > innegabile, la questione della consisterza di un discorsosull'< essere r equivale alla domanda intorno all'essere della tr cono-scenza r : la considerazione della realtà in quanto realtà è la conside-razione della conoscenza in quanto conoscenza.

Nella prospettiva radicale si parla appunto appropriatamente di( tematízzazione >, ché il < tematizzare > è iI mettere fra parentesil'< altro rr rispetto alla considerazione in corso. V'è allora un senso

almeno in cui il tematizzare costitwísca l'oggetto ed è quello in cuiI'altro diviene tale in rapporto ad un'assunzione (che può, operazio-nalmente, venire motivata o non venire mai motivata). Poiché è

impossibile ternatizzare tutto, chè I'assunzione suppone un ( campo ))

entro cui awenite, il < tema )) pone necessariamente qualcosa < fuoritema r, cioè < fra parentesi r.

È evidente che l'essere come tale (e Ia conoscenza come tale)non può venire posto <t fra parentesi > e, quindi, che la tematizzazionedell'essere (e della conoscenza) è, in effetti, sempre connessa ad ogni

ternatizzazione p o ssibile.In questo senso si potrà dire che in qualsivoglia assunzione si hatutta intera l'assunzione dell'essere (e del conoscere) ; per questo sipotrà anche dire che l'assunzione dell'essere in quanto tale non abbi-sogna di una particolare assunzione.

Questa considerazione è importante perché essa permette di deli-neare iI rapporto fra r< scienza r degli enti nella loro possibilità di

5253

tezza, carattere solo per modo di dirc, t:hè l'indeterminrtezza è, clicc-

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assutlzione e l'essere che viene (( ssr e non

come ( ente > (cfr' AnIsr', Met''-Se si consiàera l'essere come norl cl sl

gli enti :

(Problema

ore e del significato della Meta-

nte evitato come Privo di senso'

quale sia il rapporto fra gli < enti u

e l'essere (non ha senso porsl <rn rapporto )) con l'essere)'

In questo ."o.o "Jt"r"mo anche-iinesatta formulazione dell'es-sere:nonsidiràchglacnozione>dell'essereèl'wltimoterminedellaconoscenza umana, 1"rmio" che < I'intelletto umano non può vali-

cale).Lanozioneditermineultimostarebbeadirecheilconoscere'svolgendosi Proa quel termine

In tale caso,

derebbe a fuori > di essi, nella ste

possibilità. degli enti' ,.^^^. ) AqL'ultimo termine analitico della conoscenza umana è da cercarsl

nella conoscenza stessa come ciò a oltre a cui ) non è possibile andare

(l'ultimoailmarsimoinestensione'latotalitàstessadelpensabile)'Poiché qo"t=itti- p*abile (posizione' affermaziorre' negazione) è

tale entro l'estensione dell'esserè' niente si può d'are di più < esteso I

dell'essere'Si intende con ( niassima estensione I che tutto (ogni ente) è

interno ad esso : l'< interiorità >' diremmo' di ogni ente ad' esso o

r intimitàr I d'i esso ad ogni ente'

Dove si eviti, infatti, il senso < spaziale > d'ella nozione di < esten-

sione r e la si^..o,,t"

nel senso logico (che'úíIizza 1'^i""*ti*"Î,linozione di < spazio ) senza decad'ere nella rappresentilzione emprrrca

diterminiestern'ifraloro),I'estensionemassimadell'essereèlastessaratio dell'essere ;;;t L'int""'io"" di universalità' n (uniuersal'e in

praedicand,o, direbbero gti Scolastici)'-Si vede, uUorJ," "it"'

i'aspetto de11'< estensione ) (per il quale si

parla di n totalitJn t-p'opotito

-d'e1l'essere)non è se non I'aspetto

stesso d.ella <"o*p'*'io"à 6"' il quale la totalitÈr è assunta in un

senso, Per così dire, trasversale o

La ratio della massima est per il quale

I'essere è <presente> attualmen è allora non

la minima comprensione (il ca indetermina-

5t

vamo, solo la maîcaîza di determinazioni), ma la massima comprcn-sione (il carattere per il quale I'essere è sempre tutto intero anche se

<t esplicitabile r di volta in volta nella considerazione variamentetematizzante).

5. Distinzione ed ind,istinzione nell,'essere.

La massima estensione detta dell'< essere r sembra rivelarsi tutta-

via antinomica; I'essere è massimamente esteso in quanto 'univer-salmente predicabile ' (wniaersale in praed.icand,o) e quindi in quantointrinseco ad ogni ente, ma esso è assolutamente inconfondibile congli enti (come massimamente 'esteso ' non può non essere unico).Le due proposizioni antinomiche (l'antinomia all'interno della nozionedi rt essere r su cui si costruiscono due proposizioni contrarie) si for-mulano sinteticamente in termini di < unità r e di < molteplicità ) g

la relazione che costituisce il problema (consentendo la tematízza-zione dell'essere come massimamente esteso) è data dalla nozionedi < distinzione ) : I'essere, unico perché non può aversi più di < un rmassimo, è distinto dagli enti dei quali è < tutto ) ; ma poichè tutte

lepossibili < note > (costitutive

edistintive) sono < contenute >

inquesto concetto (attualmente presenti, implicitamente attuali), nonpuò darsi in esso alcuna nota distintìva che lo ponga come ( altro r.

Sembra allora che l'unico limite a questa indistinzione (indistin-zione fra l'essere ed i < temi r dell'essere) sia iI contraddittorio dellanozione di essere, in modo che si dica che I'essere si distingue solodal suo contraddittorio. Ma, poiché la distinzione dal contraddittorioè piuttosto la negazione della negazione di sé, non potremmo dire cheI'essere si distingua da al,tro da sè.

Allora la determinabilità. dell'essere (rispetto alla determinazioneche sono i temi dell'essere, gli enti) non sembra consentire espres*

sione più rigorosa di questa: l'essere non è un predicato (s,ia pure

<uniaersal,et, cotnutua), ma l,'intrinseca possibilità d,el,l,a pred,icazione.Ne segue che l'unità. da esso rappresentata (meglio, I'unità. che è

il suo < presentarsi >) non è la suprema unità in cui si risolvono igiudizi (nella quale si veda Ia convenienza dí tutti i soggetti e di tuttii predicati), perché essa non è un giudizio se non come possibilitàdi qualsiasi giudizio.

L'attualità dei singoli giudizi comporta owiamente I'attuatta

5.t

della loro < possibilità r (non si può parlare della nozione dell'essere suo r primo )), ma procede entro la ( presenza r

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come ( potenziale > rispetto ai giudizi particoiari). Ancora segue chel'essere, non essendo predicabile, non costituisce una ( conoscenza )vera e propria del reale, nemmeno come conoscenza di sé (esso non è

< nozione )) né ( realtà I di cui si abbia corrispondente nozione).La struttura dell'essere (espressione impropria, ma che non pos-

siamo non usare) si presenta con t7 presentarsi di tutte le struttureche a sono > gli enti, in modo che si può dire appunto che I'essere< conviene > ad ogni cosa e che u si trova in ogni cosa r. Il < convenire

a...) ed iI <trovarsi in...r indicano appunto la trascendentalità.dell'essere.Ma iI conoscere, radicalizzato nella medesima struttura dell'essere,

si presenta come una struttura che esclude ogni < determinazioneprogressiva r rispetto all'essere : la conoscenza non proced.e per< addizioni > (determinazioni ulteriori) alla nozione di < essere D, pro-prio perché non è possibile aggiungere una nozione in una serie (costi-tuita da addizioni) il cui <r inizio r non sia una ( nozione )).

Il concetto operativo di < addizione r implica, infatti, quello di< serie ), ovvero I'omogeneità di tutti i termini ; ora, all'essere non siaggiungono nozioni perché esso non a entra r in alcuna serie, esso < è rtutta la serie e sempre nello stesso senso : esso è tutto in tutto.

Se l'essere fosse formulabile in una ( nozione > (al,òas, fosse un< predicato > e quindi un possibile giudizio), ogni processo conosci-tivo come ulteriore determinazione all'interno dell'essere risulterebbeprecluso ed il conoscere stesso sarebbe un < dato r puntuale, epperrò

assolutamente impensabile.Poiché, nella sua struttura trascendentale, l'essere à il conoscele

stesso, il processo conoscitivo stesso esclude la possibilità di formu-lare l'essere.

Dire che I'essere è la < direzione r o la < misura r del conoscereequivale, allora, a dire che il conoscere dirige e misura se stesso,

che iI conoscere è limite a se stesso.

L'essere, puntualmente presente, si esplicita nel conoscere come< determinabile r, ma la determinazione si presenta come esclusionedell'< ulteriore )) come a estrinseco l e 1o precisa come ( nuovo r soloin relazioné all'atto che analiticamente si pone in presenza del < dato >

nel,l,'essere.

In altre parole, I'esplicitazione analitica non perviene all'esserecome al suo termine a ultimo )) e non comincia dall'essere come dal

56

delle nozioni che èl'< essere r, inconvertibile in nozione pirticolare.

L'esplicitazione, come mio processo conoscitivo, esclude iI riferi-mento a principii coartanti lessere (ed il conoscere) e quindi non sipone in una ( qualche rerazione r (che implichi una distinzione ori-ginaria) con la < rearta , ad esso estranea. rl riferimento avrebbesenso dove si disponesse di una nozione < innata ), oppure di unanozione < astratta , dal'esperienza, dove, cioè, ariÀse posto ilproblema dell'< origine r della nozione di essere.

ora, poichè l'essere non è una < nozione r, quel problemasi riveraprivo di senso : innata od astratta, la pretesa nozione d.ell,essere com-

porterebbe un'unità estranea agli enti e quindi una struttura delconoscere che ponga gli enti, ponendo gli enti al di là. della cono-scenza, facendo così della conoscenza un problema.

Rispetto alla trascendentalità d.el1'essere, la posizione della a no-zio\e > dell'essere come ( innata > e la posizione dena < nozione rdell'essere come ( astratta r si equivalgono perfettamente : l,essere,come predicato, si pone entro la serie delle conoscenze all,jtúzio od altermine della serie, quasi < oggetto r dela conoscerva che per esso,invece, sussiste.

rn questo senso, la nozione derl'essere si presenta parimenti come<

astrazione >, sia nella concezione dell'e..àr" n innito r, sia nellaconcezione dell'essere rderivato> ; <astrazione) comporta, infatti,< derivazione, e questa significa una disposizione di termini secondoun < prima n ed un < dopo l che indicano, appunto, l,<r ulteriorità l(il <prima> ed il <dopo)) sono un rapporto fia termini).

L'esplicitazione per la quale ha senso una disposizione di terminisecondo un è < astrazione, pìrché essa ha luogocon il mett enti in cui l,essére è implicito : nonsi < astrae,, perché il toglimento delllssere daglienti é negazione degli enti.

Esplicitare vale, dunque, porre fra parentesi : la parentesi è,strutturalmente, l'< essere r in quanto tale, il < thema r della Meta-fisica.

6. Il, mod,eltro empirico d,el,l,,<r astrazione >>.

Per pensare l'< astrazione l ci si rifa costantemente ad un < mo_dello r (che è, del resto, una furzione semplificativa der discorso) :

57

il modcllo ò presumibilmcnte quello dell'< estrazione r nel senso fi.sico. Dove non si voglia pervenire alla <costruziorre>, per altro arbi-

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ll modello empirico presenta facili analogie con il procedimento cono-scitivo, in quanto passaggio d,a wtermine, 'elemento di conoscenza.',ad, un altro termine : relazione in atto fra termini esplicitamente< separati r fra loro.

L'analogia empirica (il < chimismo r del discorso su modelli empi-rici) è dovuta, allora, alla riduzione del conoscere a < nozioni > che

dicono < insieme r, < rapporto fra molti r, < unifi.cazione r, < parti diun tutto r, < tutto risultante da parti >.

La nozione è, come tale, < astratta > (da un tutto) perché il tutto(risultante da nozioni) à astratto rispetto alle nozioni stesse: la cono-scenza si strutturerebbe come ( combinazione r fra elementi (frainanalízzabili) secondo nessi di affrnità. e di opposizione.

II linguaggio a chimico r ha in filosofia l'esito di u semplificare >

i valori in termini < ridotti r e di portare nel pensiero concetti diorigine e di significarrza empirica, quali, ad esempio, i concetti di( gruppo > e di < insieme r.

Quando si dice, infatti, che i prirni principii della conoscenza

(owiamente ( umana r) sono < raccolti >, o presi dall'esperienza peîmezzo dell'astrazione considerativa dell'intelletto e che il valore loroè garantito appunto da questa loro < origine r dall'esperienza (con

la quale manterrebbero un insopprimibile rapporto), si trascura unfatto di capitale importanza : l'essere, nella sua attualità, non vienecolto d,ai dati ma con i dati i quali appunto in virtù dell'essere*sono

ciò che sono.

Si capisce allora perchè non abbia senso dire che l'esperienza(strutturata a qualsiasi liveilo) venga prima della n metafisica r :

l'anteriorità. che si pretenderebbe compromette, infatti, l'autentica< assunzione r dell'essere come tale, il tema della Metafisica.

Poiché I'essere in quanto tale è I'ente in qwanto ente, il dato inqwawto dato, ciascuna cosa in quanto se stessa, la formulazione delconoscere nel suo principio ontologico è l'identità per la quale l'es-sere non si pone come ( altro r rispetto a ciò di cui è.

AIla formulazione A : A bisogneràr allora restituire tutta l'origi-naria pregnanza ontologica : la Metafisica come ' scienza' non puòvenire < dopo r l'esperienza proprio perché la Metafisica come scienza

non è che l'esplicitazione della tematizzazione implicita dei dati e,

quindi, ponendosi con i dati e con la loro luttlízzazione epstemica e

tecnica, non li ( suppone ) come non suppone i risultati delle scienze

particolari.

.58

traria, di Metafisiche come superscienze, la formulazione < scientifica rdel thema metafisico ha senso come consapeuolezza storicizzantesi ofilosofia problemetizzantesi nella sua storia : passaggio dall'iniziale(in cui ci si trova insopprimibilmente con l'esperienza che è confusa-mente ed implicitamente < tutto >) all'originario (che è iI ( valore lstesso dell'esperienza, da esplicitare con l'< analisi > che attua di sé

il conoscere).

Altrove (r5) abbiamo tentato di <fondarer questa distinzione fra< iniziale > ed < originario r, all'interno della nozione di < comincia-

mento > del filosofare : rapporto fra il cominciamento d,el, filosofareed il fiIosof.are nel, cominciamento.

Qui ne abbiamo saggiato l'importanza al livello di un discorso onto-logico: quella distinzione esclude la possibilità di mettere in forma di<problemar (e quindi di <distinzione)) e di <relazioner) I'ente e l'es-sere, essendo la consapevolezza dell'essere nella posizione stessadell'ente.

La < meditazione r sttlI'awtentico nel fi.losofare rivela l'insuffrcienzadella < nozione )t ,wo?no alla < nozioner frincipio.

L'insuff.cienza risulta dal < confronto r, operato in sede di chiarifi-cazior\e, Íra la totalità del principio

e lanon-total,ità

della nozione,r,orno. L'insufficienza va riproposta in esame per chiarire che essasi presenta nella forma di una limitazione arbitraria della totatità(limitazione in quanto imposta, limitazione arbitraria in quanto im-posta senza suffi.ciente giustificazione), della totalitèr che, per essereessa stessa, in qualche modo, a saputa )), non d,eae riswltare quale in-sieme di twtte I,e nozioni, né corne una particolare nozione d'i quel,t'in-sieme d,,i nozioní.

Il principio onde il filosofare si struttura non può essere qualcosadi interno alla filosofia, se non nel senso che deve identi_ficarsi senzaresiduo con essa.

Ora, se l'identità fra < principio > (fondamento) e < filosofare r va

recuperata, questo recupero non può risultare estraneo al filosofare(riproporrebbe all'infinito la non-identità all'interno del filosofare) ;

se l'identità va recuperata e se il recupero appartiene aI filosofare,il filosofare non può essere assoluto (o, il che è lo stesso, se l'Asso-luto dovesse procedere al recupero di sé, relazionandosi a ciò di cuifosse recupero, sarebbe contraddittoriamente non-Assoluto).

Poiché il filosofare non è l'Assoluto e poiché nulla può essere

59

ostrilnco alla totalita, se si pcnsa la filosofia come la stessa totatta.,

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si ponc l'Assoluto nel,l'a totalità" (ond.e lo si pensa come tale), ma esso

C Assoluto in quanto trascende la totalità. onde è pensato.

Questa situazione del trascendimento all'interno del quale si pone

1o stesso Trascendente, senza che vi si vanifichi, diciamo trascenden-

tale. Di esso si struttura e si materia esaustivamente, coestensiva-mente all'esperienza, il filosofare ; onde iI fi.losofare è Metafisica.

Ora, se la nozione uomo mantiene la propria univoca accezione

(anche dilatandosi ad assorbire il < mondo r della sua < cultura >),

essa resta owiamente < nozione ) e, come tale, essa si pone concreta'

mente come colui entro il quale empiricamente si attua il processodel filosofare, ma non come il filosofare stesso.

Una filosofia che si svolgesse intorno all'uomo onde risolvere iproblemi d,el,l,'tomo ed all'uomo, perciò, si commisurasse, mancherebbe

di radicare l'uomo nella sua awtenticità, obliando la problematicitàstessa entro la cui trascendentale portata l'uomo è uomo.

L'equivoco dell'antropologia in sede filosof.ca sembra, dunque,ind.icabile nell'equivoco fra problemi d'ell'aomo e problema umano

(che è, poi, la radicale differenza fra Antropologia ed Umanesimo),problema umano che è, radicalmente, la domanda innegabile dell'As-soluto, domanda inconvertibile in Assoluto.

NOTE

La presente nota non pretende owiamente di esaurire i riferimenti storicie bibliografici del tema. Essa viene qui posta a semplice indicazione.

L'autenlòc'iù, è qui considerata inizialmente nel senso in cui M. Heideggerparla di inautenticilà, riferendosi al Man, al sa dell'anonimia : fiIosofare auten-ticamente è liberarsi progressivamente dall'apparentemente vero che si pre-senta come tale in quanto u banale ,, < quotidiano , (ciò che potremmo dire, conespressione più tradizionale, n empiriqe , ed o astratto ,). Rigorizzandosi, lanozione di awtentico scopre la sua originarietà nel tò crùtó, nella uned,esirnezza,

e iI rò ytiq dutó voeiv i.atív te xai eìvcrr, parmanideo, che è iI tema fondamentaledell'insieme deI pensiero europeo-occidentale (cfr. M. HBroBconn, Was heisst

Denhen ?) regge qui l'uso del termine n fi.losofare , ; anche senza che si entri quiin merito alla questione della parentela con essa della espressione hegelianal'oE,ssere è Pensiero, (cfr. Hocer-, Pre{azione de1la Fenom. d,etrlo Spirito).

La problematica dell'ente nell,'essere è qui indicata come la concretezzadel filosofare. n Concreta posizione , è la posizione assolutamente innegabileed è questo il senso in cui diciamo che è " dialetticità >.

La nostra meditazione si volge nel tentativo dí penetrare l'intimità. del pen-siero filosofico a partire dalla sua formulazione in M. Gentile (cfr. M. Gorvrrre,Filosofia ed, Umanes'imo, Brescia, 1948; e Covne si pone il problerna metafisi'co,Padova, 1955). Non un < partire r dalla formulaziote, bensl un ( penetrarne )

il senso.E se il penetrarc è approfondimento, esso è anche o rischiaramento r (lo

Erhell,wng di Jaspers).Potremmo dire, infatti, con Jaspers che o il pensiero (filosof.co) non mi pro-

cura conoscenze di cose estranee a me, ma mi rettl,e chiaro qtelLo che io vera-mente intendo . . . Il pensiero, in tal caso, crea il limpido spazio della mia auto-coscienza r (K. Jasrnns, Scienza e Fi,losofia in < Archivio di Filosofia ,, L'Esi-stenzialismo, t946, trad. di R. DB RosA, pag. n) ; ed è il senso stesso in cui, fuorida implicanze e complicazioni psicologistiche, forse presenti in Jaspers, è statodetto che il discorso filosofico si svolge non su di un n segmento ,, ma, per cosldire, all'interno di un punto, per cui tutti i suoi elementi sono parimenti impli-cati (cfr. E. SBvBnrNo, La Struttwra originaria, Brescia, 1958) ed è, quintli,

6o 6r

n()i c()rì(ìlu(liíuìl(), ( circolarc ). A qucsto ( nlctodo ) abbiamo dedicato un brevestrrtlio ir, 1rir.rtc. Nclla presente mcditazione I'autenticilà, dialetticamente recu-

il u non , detto del concreto), laddove il concreto non è il non-astratto, rrra si viuela

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lrctir.tir, ò intesa come il lend,ere alla ueyilà, in cui è il problema.tízzare comencccssario u trascendimento , dell'ernpirico che mi circonda, ma non mi fonda;in <lrresto noi ved iamo la scaturi,gine (Ursprung) , per usare un'espressione Jaspe-riana, del legame con la trascendenza.

I-a nozione cli " trascendimento r che noi dobbiamo a M. Gentile è chiara-rnente accostata qui a quella di Heidegger : < Dòe Transzendemz i,st der,onach

der Bezivh, innevhallb dessem das Pyoblew d,es Grwnd,es sick mwss antrefren lassen ,.(M. Heroeccrl<, Vorn Wesem des Grund,es, Frankfurt am Main, 1949, pag. r8).

È piuttosto scoperto il dissenso che noi crediamo di vedere fra Ia problema-ticità come noi l'assumiamo ed iI concetto che diessaformula N. Abbagnano;

cfr. N. ArrecNlNo, La Slruttura dell'esistenza, Torino 1939 e Introd,uzioneall'Esi,slenzialismo,'îorino rg47 $t cui egli considera l'uomo in rapporto conl'essere) e dissentiamo proprio perchè discutiamo la possibilità, di un verorapporto con l'essere.

(t) La pregnante formulazione di X't. Gentile, Ia meditazione della qualeci ha consentito 1o sviluppo díOriginavietà e med.i,azi,one nel discovso rnetaf,sico.

(z) Sull'essenza del metodo dialettico : ÌIEGEL, La sc'iemza dell,a Logica,trad. Moni, \rol. I, pagg. 3738, opportunamente citato da E. Severino (E. Sr-vERINo, Op. cit., pag. 49) e ci permettiamo di rimandare al nostro Origina-rietà, ecc.).

(3) Analiticamente, chiedersi che cosa il filosofare n è , significa metterein questione il rapporto îra n certezza, e u verità ù i certezza a verità sono ter-mini di un'equazione, nel senso che I'zdenti.ficaziome fra di essi consiste nel rico-

noscinrcnl.o della loro identità. ("certezza, à "verità",), ma alla consapevolezzadi ciò si perviene : l'identità è fuori processo (o è da sempre o non sarà, mai),mentre Ia consapevolezza di questa idendità si attua processualmente ed inquesto senso è u identificazione ,. Il processo è il toglimento (o negazione)dell'opposizione, in quanto si perviene a determinare logicamente con la nega-zione delÌa possibilità, dell'ipotesi opposta.

I1 presentarsi delle possibilità opposte è il u riconoscimento , ma si pervienealla struttura del riconoscimento escl,wd,endo che le n possibilità ) possano nonessere compresenti.

(4) Precisiarno questa affermazione a partire dalla nozione di . relazione 'come .impl,esso uno-molti, nella forma dell'uno implicato: la nozione d1 im-plesso si pone distinguendosi da quella di conoplesso (i7 cuno dei termini unitiin un ninsieme,). Per I'implesso la relazione è il rapportarsi costitutivo, dondela concretezza dei termini : se la relazione è l'implesso uno-molti, la struttura

concreta è atto (relazione in atto). La struttura n astratta ' è, in realtà, stmttura( concreta r dell'astratto, nel senso che l'astratte zza rlon riguarda la . struttura 'come tale, ma i termini in quanto consitlerati n fuori ' struttura, fuori implesso.

L'nastiatto ' è il considelato coyne tal,e, esso è la considerazione (astratta)del concreto: ovvero l'astratto non n è r. Allora non v'è contrapposizione con-creta fra astratto e concreto, proprio perchè manca il ( genere , che includa.astratto D e (concreto, al medesimo livello di considerabilità. L'*astratto n

si precisa allora come "ateoretico r (I'o errore ,) : esso è il non-concreto (meglio,

6z

(dimostrazione dialettica) come non-astratto.L'astratto si presenta come concreto (l'n errore ,, donde il dubbio) e si

riuela rrorr concreto con la mediazione che è la presenza operante del vero,presenza operante la contraddizione: l'astratto, erigendosi come tale, si erigeconcretamente, e quindi si contraddice-

Allora, la funzione dell'astratto è quella stessa della contraddizione (essereper non essere, porsi fer togliersl). Da notare la duplice funzione del negativo(funzione d,eterminante nell'astratto e funzione riaelatiaa nel concreto).

Si precisa, allora, anche che l'originario non è mai n dato r e che esso risultaindimostrabile, anapodittico, ma appunto risulta tale : si dèr, insomma, dimo-strazione della sua anapoditticità, dicendo che ogni dimostrazione lo n domanda u

e quindi che ogrri dimostrazione vi si inserisce, vi si fonda ; esso è n originario u

rispetto a ciò che si rivela, invece, ( originato D.

Non si parte dall'u originario r perché 1'<iq1ú non è ciò che domanda maciò che è domandato. Si comincia a domandare quel n cominciamento , che è

la uragione, stessa del domandare.(5) L'innegabilità. dell'originario è, infatti, l'impossibilità. di mettere in

questione che I'originario ci sia. Dell'originario non v'è possibilità, di n scelta , :

esso è da empre ed in esso si è da sempre.La circolarità (l'innegabilità provata con la negazione tentata) è il metodo

che fornisce l'originario perché esso non può u risultare D se non è già, presenteall'inizio del processo e ael processo, coestensivo ad esso. La circolarità è ciòin cui l'originario si rivela tale, negandosi come risultato uero e proprio: Ilmetodo che o inventa , l'originario è funzione logica dell'originario, perchèl'originario londa lo stesso metodo del suo rivelarsi tale (anapoditticità).

L'or'iginario è detto com,e anapodittico ed è ttouato come originario mediante lad,iynostvazione della sua anapoditticitò;. Il circolo non è vizioso perchè né 1o

o originario , è preswpposlo alla dimostrazrote della sua anapoditticità, nè l'apo-ditticità. è presupposta alla u definizione , di originario : I'originario si riuelatale in quanto anapodittico. Il rivelarsi riguarda l'originario in quanto conside-rato in rapporto a ciò che lo richiede (esso è ( principio ), a partire da ciò dicui è uprincipio,).

La coestensività dell'originario al processo (della eventuale dimostrazione)è la stessa circotravità del metodo. Di qui Ia duplice caratteristica di un discorsosull'originario (ciò che noi indichiamo come tr,utenlico nel filosofare) :la pwntwalitàe La densòtà.

Se coestensività, è coimplicazíone (tutto presente in ogni momento del pro-cesso), il discorso è necessariamento denso (la presa dell'intero domanda che si

ritornisempre

di nuouo suldiscorso e non per prolungarlo o per diluirlo, ma per

titroaaylo identico nel diverso la densità. del discorso è la" sua intenzionale inesau-ribilità). Senonché le molte cose del discorso n denso ) vanno dette in modo chela loro articolazione lrel discorso non importi una ( separazione , fra di esse. Ladensitàr del dire fi.losofico è anche, in ultima analisi, la verità, stessa di ciò chesi dice.

Il discorso filosofi.co si trova, perchè non segmentale, ma n puntuale ,,

di fronte alla propria apparente aporia: le opposte tentazioni della ridwzionce clella ineffabilità con le quali il fiIosofo si cimenta costantemente scmbr.rlto

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ittrlit:ir.rc al)punto i due estremi, quello del discoyso covnume e quello della nnwmcta (ro) Cfr. M. Heooccol, OP. cit., pag. 15.

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:r <liro, soluzioni equivalenti perchè dire inadeguatamente è come non dire.l,'inadeguatezza del discorso comune è appunto la costrizione che gli è propriadi n segmentare n l'indivisibile (usando di imagini diremmo che il discorso co-mune non può non n immaginare , iI < punto ) come l'estensione minima e,quincli, non può provocare l'aporia, aporia che esso non può rilevare).

(6) L'assolutamente Altro è, appunto, l'Assoluto, ma, rispetto all'Assoluto,ogni termine è assolutamente < altro ,. Il n rispetto dell'Assoluto , è, tuttavia,la posizione astratta (formale) r'ella d,ifferenza ontologica fra l'Assoluto e l'altrodall'Assoluto, intesa come ( regione intermedia , ; ma porsi nella difierenzaontologica è noamtemers'i nella domanda dell'Assoluto e non nell'indifferenza(logica, astratta) fra Assoluto e non-Assoluto.

(7) Si veda l'impostazione del ricorso srl bene nel Filebo pla.tonico (Prer.,Filebo, tr a, b): il senso della domanda che cosa è bene ? è il proporsi la deter-minazione di quale fra Ie cose (od esperienze) sia tale da preferirsi (da scegliersi,perché migliore delle altre) : ci si propone, insomma, di determinare che cosasia tale in se stesso da muovere la scelta, motivandola.. La necessità della scelta

non o è , lI doaeve di scegliere giustamente : non si può scegliere (ovvero la sceltacome fatto è fuori questione) ma si può errare nella scelta (è in questione ilvalore della scelta, senza che sia in questione che la scelta è per un valore).Perchè non si può non scegliere ? Perché i beni, oggetto di appetizione, si pre-sentano in modo da escludersi fra loro : o i piaceri o I'esercizio dell'intelligenza.Se scegliere è inevitabile, non si può non trovarsi, di fatto, fin da principio,in un giudizio su che cosa sia secondo noi n bene , : la scelta, come decisioneo pratica , è già, implicitamente, un giudizio : il comportamento è già ancheatteggiamento teoretico. Il

fattoche si appetisca qualcosa non è da assumersi

dunque quale garanzia del valole intrinseco della cosa che si appetisce: potremmodire che l'u appetire , non è n fondamento , della o appetibilità , come .valore, ma,viceversa, che è il valore della cosa appetita a discriminare Ia mera appetivitàfattuale dalla appetibilità" come giustificazione (ciò che è, in se stesso, u bene ,).

La determinazione del bene deve, pertanto, prescindere dal fatto che qual-cosa piìr di altra cosa viene appetita come bene : la ricerca è u valida. , solo se

prescinde dal fatto (altrove accertabile, storia naturale del costume), ache se

non si può escludere che quanto è di fatto oggetto di appetizione possa essere

anche (ma non solo per questo) da appetirsi.(8) Per la cornplessa trama dei rapporti fra atteggiamento n problemativo ,

ed atteggiamento < sistematico , in filosofia è importante la lettura di A. M. l,Io-scuErrr, L'Unità come categoria, Milano, r95z vol. I, dove, tuttavia, ci sembrache la Metafisica venga prospettata come Metafisica d,ell'wità e tale da assu-mere

appuntol'unità ad un livello categoriale anzíché pienamente trascendentale

(livello quest'ultimo in cui non si struttura una metafisica dell'rnitèt, ma che è

l'intero strutturarsi dell'"unità metafisica,). Si veda, ad esempio, l'impo-stazione del Moschetti della o crisi dell'universale come trascendentale ,, dovel'accezione kantiana del termine o trascendentale , ci sembra quasi esclusiva.

(9) Togliere la contraddiziore < è, riconoscere la contradditorietà, dellaproposizione che la signiflca : la posizione astratta di qualcosa è, come posizione,necessariamente concreta, e quindi, inevitabilmente contraddittoria: sapere lacontyadd,izione è negarla, noa si nega la contvaddiz'io%e n coslvuendola ,.

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(rr) Cfr. G. GrNrrrc, Sistema d,i Logica come teovia del' conoscere, Vol. II,Capitolo I (logo astratto e logo concreto).

(rz) Cfr. P. PmNr, Il probl,erna d,etrla filosofia. in o Atti del XVI Congr.Naz. di Fil. r Roma-Milano, 1953. Il Prini usa di questa parola per indicarela o dimensione , che la filosofia avrebbe fino ad oggi dimenticato.

(r3) Prendiamo in esame, a proposito, un testo di Aristotele, in cui ci sembradelineare il rapporto fra attività umane e la ricerca del principio che è il filo-sofare : Anrs:r. Met., E, roz5 b : n Ciò che si cerca sono i principi e le cause degliesseri, owiamente in quanto sono. Poiché c'è pure una causa della salute e delbenessere, ed anche le entità matematiche hanno principi e cause : in generale,anzi, ogni ricerca di ragionamento, o che del ragionamento si serva almeno in

parte, è intorno alle cause e ai principii pur con un più o meno di esatlezzae semplicitàr, r.

Dove si rileva : r) ogni ricerca è ricerca dei princpi e delle cause (ogni scienzaè dei principi) ; z) si dà, necessariamente una ricerca (una scienza) che concernei principi degli essenti non in quanto determinati particolari essenti, ma inquanto o essenti,.

Ogni attività umana in cui entri in qualche modo Ia di,anoia è, per quellaparte in cui è dianoetica e, quindi, scienza (epistéme dianoetiké), ricerca deiprincipi : 7a d,ianoia, presente in varie misura nelle attività umane è, per se

stessa, proporzionatamente alla sua (presenza ,, I'and,are aerso la determina-zione o il ritrovamento dei principi ; la diversa misura, il piÌr ed il meno in cuila di.anoia è presente, non muta essenzialmente la natura della d'ianoia stessa, laquale è, appunto, ( andare attraverso ), ( andare verso qualcosa, attraverso . . .

(dia) ,: la dianoia pienamente attrata (al limite, noi diremmo) è recupero dei

prrncrpl.(r4) A proposito del senso in cui parliamo di eleatismo ligovizzato, precí-

siamo che il nostro discorso rimanda ai frammenti di Parmenide senza darneuna diretta esegesi (circa l'extra temporalità, dell'essere 6lov, che è compiu-tezza e, quindi, realtà indifierenziata e la dialetticità per la quale Parmenidee Zenorre si limitano all'6v come opposizione al non-essere, cfr. M. UNnrnsrrNon,Parrnenid,e, testimonianze e frammenti, Firenze r95B).

(r5) Cfr. il nostro Originarietà, e Mediaz'ione nel' discorso metafis'ico,Roma, 1963.

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Finito di slampare il' z3 settembre t963oon i tipi della " Ttferno Grafica ,,

di Città dd Castel,lo

Pel corúo del.la Jandi Sapi, Editori

dilllúiql,, 0,,r..,, ,.