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Biomass Energy ReportIl business delle biomasse

e dei biocarburanti nel sistemaindustriale italiano

Giugno 2011

www.energystrategy.it

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Indice

Introduzione 15

Executive Summary 17

Le Tecnologie per generazione elettrica

1.1 I cicli ORC: stato dell’arte ed evoluzioni attese 271.2 La gassificazione: stato dell’arte ed evoluzioni attese 311.2.1 La gassificazione al plasma: una nuova frontiera tecnologica per il trattamento RSU di E. Pompei e M. Brundu 331.3 Il biometano: stato dell’arte ed evoluzioni attese 391.4 Il trattamento dei nitrati (post produzione del biogas): stato dell’arte ed evoluzioni attese 431.5 Gli impianti ad oli vegetali per la produzione di energia elettrica 49

Le biomasse agroforestali

2.1 La normativa 552.1.1 Il sistema di incentivazione dell’energia elettrica 552.1.2 Il sistema di incentivazione dell’energia termica 582.1.3 L’autorizzazione alla costruzione dell’impianto 612.2 Il mercato 632.2.1 Il mercato delle biomasse agroforestali in Europa 632.2.2 Il mercato delle biomasse agroforestali in Italia 632.2.2.1 Il mercato residenziale 642.2.2.2 Il mercato degli impianti di teleriscaldamento 672.2.2.3 Il mercato delle centrali termoelettriche 692.3 La filiera 732.3.1 I volumi d’affari e le marginalità 732.3.2 Area di business Produzione e distribuzione della materia prima”: la Short Rotation Forestry 752.3.3 Area di business “Produzione e distribuzione della materia prima”: la produzione di pellet 782.3.4 Aree di business “Tecnologie e componenti” e “Produzione ed installazione” 812.3.5 Aree di business “Produzione e trading di energia” 84

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Il Biogas

3.1 La normativa 893.1.1 Il sistema di incentivazione attuale 893.1.2 La filiera corta 923.1.3 Le procedure autorizzative 923.1.4 Il sistema di incentivazione futuro definito dal Decreto Rinnovabili 933.2.1 Il mercato della produzione di energia da biogas in Italia 973.2 Il mercato 973.2.2 Un’analisi per Regioni del mercato della produzione di energia da biogas in Italia 983.2.3 Gli elementi caratterizzanti l’investimento in un impianto a biogas 1023.3 La filiera 1073.3.1 La filiera del biogas, i volumi d’affari e le marginalità 1073.3.1.1 Area di business “Progettazione e installazione” 1093.3.1.2 Area di business “Tecnologie e componenti” 1123.3.1.3 Area di business “Produzione e trading di energia” 1153.3.2 I consorzi agrari e gli impianti a biogas 117

I rifiuti solidi urbani

4.1 La normativa 1214.1.1 La gestione del passaggio da CIP 6 a Certificati Verdi 1214.1.2 L’impatto del Decreto Rinnovabili sulle scelte degli operatori 1254.1.3 La gestione delle emissioni di inquinanti 1274.2.1 Il recupero energetico da rifiuti in Europa 1314.2 Il mercato 1314.2.2 Il recupero energetico da rifiuti in Italia 1334.3 La filiera 1394.3.1 Il confronto con i principali operatori europei 139

Gli oli vegetali

5.1 La normativa 1455.1.1 I sistemi di qualifica degli oli vegetali 1465.2.1 Il mercato della produzione di energia da olio vegetale in Europa 1495.2 Il mercato 1495.2.2 Il mercato della produzione di energia da olio vegetale in Italia 1505.2.2.1 Il mercato dell’olio vegetale 1545.2.2.2 L’investimento in un impianto per la produzione di energia da olio vegetale 1555.2.2.3 L’olio vegetale per autotrazione 1595.3 La filiera 1615.3.1 La filiera dell’olio vegetale, i volumi d’affari e le marginalità 1615.3.2 Area di business “Tecnologie e componenti” 163

Indici

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5.3.3 Area di business “Progettazione e installazione” 1645.3.4 Area di business “Produzione e trading di energia” 167

I biocarburanti

6.1 La tecnologia 1716.1.1 Le tecnologie per la produzione di oli vegetali da alghe 1716.1.2 Gli operatori industriali che investono nella produzione di olio vegetale dalle alghe 1756.2.1 La nuova definizione di biocarburanti 1796.2 La normativa 1796.2.2 I nuovi requisiti per la sostenibilità 1816.2.3 Gli obblighi di immissione in rete dei biocarburanti 1826.3 Il mercato 1856.3.1 Il mercato dei biocarburanti nel Mondo e in Europa 1856.3.2 Il mercato dei biocarburanti in Italia 1886.4 La filiera 1916.4.1 La filiera italiana del biodiesel 1916.4.2 La filiera italiana del bioetanolo 195

Indici

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Indice delle figure

Le Tecnologie per generazione elettrica

Figura 1.1 Ciclo termodinamico e componenti principali di un modulo ORC Turboden 29Figura 1.2 Ripartizione dei costi fra le diverse componenti di un impianto ORC della potenza di 4 MWe 29Figura 1.3 Andamento del tempo di pay back in funzione del costo di approvvigionamento della biomassa per un impianto ORC da 4 MWe 31Figura 1.4 Numero di impianti di upgrading in Europa 40Figura 1.5 Processo di upgrading del biogas 41Figura 1.6 Numero di impianti e rispettiva tecnologia per l’upgrading di biogas in Europa 45Figura 1.7 Percentuale di ZVN in alcune regioni del nord Italia 47

Le biomasse agroforestali

Figura 2.1 Andamento del numero di stufe e caminetti a pellet in Italia 65Figura 2.2 Andamento del prezzo medio del pellet in Italia. 66Figura 2.3 Potenaza installata in centrali di teleriscaldamento da biomasse agroforestali nei principali “distretti” italiani. 67Figura 2.4 Numero di impianti e potenza istallata delle centrali termoelettriche a biomassa agroforestale in italia 69Figura 2.5 Rapporto tra potenza installata in centrali la produzione di energia elettrica da biomassa agroforestale e superficie complessiva delle aree boschive delle diverse Regioni italiane 70Figura 2.6 Imprese nella filiera delle biomasse agroforestali in Italia 73Figura 2.7 EBITDA Margin medio delle imprese operanti nelle diverse fasi della filiera delle biomasse agroforestali in Italia. 74Figura 2.8 Andamento della quantità di pellet prodotta e importata in Italia. 81

Il Biogas

Figura 3.1 Andamento della potenza elettrica installata in impianti a biogas in Italia 97Figura 3.2 Potenza cumulata installata in impianti a biogas nelle diverse Regioni italiane 100Figura 3.3 Taglia media degli impianti a biogas installati nelle diverse Regioni italiane 100Figura 3.4 Taglia media degli impianti a biogas agricolo nelle diverse Regioni italiane 101Figura 3.5 Rapporto tra la potenza installata in impianti a biogas agricolo e superficie agricola utilizzabile nelle principali Regioni italiane 102Figura 3.6 Andamento della potenza installata in impianti a biogas in Austria 103

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Figura 3.7 Riduzione del costo al kW di un impianto a biogas all’aumentare della taglia 105Figura 3.8 Ripartizione dei costi complessivi di un impianto a biogas di grande taglia 105Figura 3.9 Imprese nella filiera del biogas in Italia 107Figura 3.10 EBITDA Margin medio delle imprese operanti nelle diverse fasi della filiera del biogas 108

I rifiuti solidi urbani

Figura 4.1 Limiti di legge per le emissioni in diversi settori 128Figura 4.2 Limiti di legge ed emissioni effettive per termovalorizzatori 128Figura 4.3 Impianti di recpero energetico da RSU installati in Italia 133Figura 4.4 La capacità di trattamento di RSU media e il numero di impianti nelle diverse Regioni italiane 134Figura 4.5 Nuovi impianti necessari in Italia per allinearsi alla media europea 137

Gli oli vegetali

Figura 5.1 Andamento della potenza installata e del numero di impianti alimentati ad olio vegetale in Germania 149Figura 5.2 Andamento della potenza installata in impianti alimentati ad olio vegetale in Italia 150Figura 5.3 Andamento del numero di impianti alimentati ad olio vegetale in Italia 150Figura 5.4 Potenza installata in impianti alimentati ad olio vegetale nelle diverse Regioni italiane 151Figura 5.5 Numero di impianti alimentati ad olio vegetale nelle diverse Regioni Italiane 152Figura 5.6 Potenza in impianti ad olio vegetale in fase di progettazione nelle Regioni Italiane 153Figura 5.7 Raccolta e riciclo oli e grassi vegetali dal 2006 al 2013 156Figura 5.8 Imprese nella filiera della produzione di energia da olio vegetale in Italia 161Figura 5.9 EBITDA Margin medio delle imprese operanti nelle diverse fasi della filiera della produzione di energia da olio vegetale 162

I biocarburanti

Figura 6.1 Percentuale ed entità degli investimenti in biocarburanti entro il 2035 171Figura 6.2 Processo di produzione di biodiesel da microalghe 172Figura 6.3 Open pond per la coltivazione di alghe outdoor in Israele 173Figura 6.4 Produzione di biocarburanti nel Mondo 186Figura 6.5 Percentuali di utilizzo di biocarburanti nel Mondo 187Figura 6.6 Immissione in consumo di biodiesel e di bioetanolo in Europa 187Figura 6.7 Produzione di biodiesel, capacità produttiva e immissione in consumo in Italia 189Figura 6.8 Produzione di bioetanolo e capacità produttiva in Italia 189

Indici

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Indice delle tabelle

Le Tecnologie per generazione elettrica

Tabella 1.1 Caratteristiche tecniche di un impianto ORC della potenza di 4 MWe 28Tabella 1.2 I principali impianti di gassificazione, classificati per potenza, attivi in Italia 30Tabella 1.3 Le tecnologie disponibili per gassificatori 33Tabella 1.4 I principali impianti per il trattamento di RSU con torcia al plasma operanti nel mondo 35Tabella 1.5 Composizione tipica di un syngas prodotto da RSU mediante arco al plasma 36Tabella 1.6 Valori di rilascio delle scorie prodotte dalla gassificazione al plasma di RSU confrontati con i limiti EPA14 37Tabella 1.7 Il bilancio di energia e l’efficienza energetica di un impianto di gassificazione al plasma per il trattamento dei RSU 38Tabella 1.8 Confronto tra la tecnologia convenzionale e la gassificazione al plasma 38Tabella 1.9 Confronto tra le emissioni di un impianto con tecnologia al plasma per il trattamento di rifiuti ospedalieri a Richland (Washington) ed i valori limite imposti dall’EPA 39Tabella 1.10 Composizione del biogas agricolo prima del processo di upgrading 40Tabella 1.11 Confronto tra le tecnologie disponibili di rimozione dei nitrati 43Tabella 1.12 Caratteristiche richieste al biometano per l’immissione in rete nei principali Paesi europei 43Tabella 1.13 Il progetto GasHighWay 44Tabella 1.14 Deroghe alla direttiva nitrati concesse ad alcuni Paesi europei 48Tabella 1.15 Contenuto di azoto per tipologie di substrato 49Tabella 1.16 Contenuto di olio, resa delle coltivazioni e Paesi produttori delle principali tipologie di olio 50

Le biomasse agroforestali

Tabella 2.1 Andamento del prezzo di ritiro dei Certificati Verdi da parte del GSE e della quota d’obbligo di immissione di energia rinnovabile 56Tabella 2.2 Le procedure autorizzative previste dal DM del 10 Settembre 2010 per diverse tipologie di impianti a biomasse agroforestali 60Tabella 2.3 Produzione di energia da biomasse agroforestali e capacità installata in Europa 64Tabella 2.4 Quota della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e da biomasse in alcuni Paesi europei 64Tabella 2.5 I più importanti impianti di teleriscaldamento a biomasse agroforestali in Lombardia 68

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Tabella 2.6 La potenza termica media degli impianti di teleriscaldamento a biomassa nelle principali Regioni italiane 68Tabella 2.7 Principali imprese italiane attive nella Short Rotation Forestry 76Tabella 2.8 I principali produttori di pellet italiani. 80Tabella 2.9 I principali produttori di stufe e caldaie a pellet per uso residenziale 82Tabella 2.10 I principali produttori di caldaie di medio-grande dimensione 82Tabella 2.11 I principali progettisti e installatori di impianti. 83

Il Biogas

Tabella 3.1 Gli incentivi per il biogas in Germania e in Francia 91Tabella 3.2 Le procedure autorizzative previste dal Decreto Ministeriale del 10 Settembre 2010 per diverse tipologie di impianti a biogas agricolo 92Tabella 3.3 Quadro sulla produzione di biogas nei principali Paesi europei 99Tabella 3.4 Informazioni anagrafiche relative ai 10 impianti “tipo” considerati nell’analisi 104Tabella 3.5 Principali operatori dell’area di business “Progettazione e installazione” 110Tabella 3.6 Principali operatori dell’area di business “Tecnologie e componenti” 112Tabella 3.7 Principali operatori attivi in Italia con competenze sull’upgrading del biogas 114Tabella 3.8 Impianti sviluppati da Fri-El 116

I rifiuti solidi urbani

Tabella 4.1 Impianti in scadenza CIP6 negli anni 2010, 2011 e 2012 122Tabella 4.2 Specifiche tecniche dell’impianto Silla 2 dopo l’intervento previsto nel 2011 125Tabella 4.3 Limiti alle emissioni di componenti inquinanti 128Tabella 4.4 Impianti di recupero energetico in Europa 132Tabella 4.5 Recupero energetico da rifiuti in Europa 132Tabella 4.6 Nuovi impianti di recupero energetico da RSU a progetto in Italia 135Tabella 4.7 Primi 10 impianti in Italia per dimensione 139Tabella 4.8 Imprese europee coinvolte nella gestione dei rifiuti 140

Gli oli vegetali

Tabella 5.1 Elenco degli impianti in funzione in Italia con potenza superiore a 5 MWe 152Tabella 5.2 I principali operatori nell’ara di business “Tecnologie e componenti” 164Tabella 5.3 I principali operatori nell’ara di business “Progettazione e installazione” 165Tabella 5.4 I principali titolari di impianti per la produzione di energia elettrica ad olio vegetale in Italia 168

I biocarburanti

Tabella 6.1 I principali operatori attivi nella ricerca e sviluppo di alghe per biocarburanti 176Tabella 6.2 I principali operatori italiani attivi nella ricerca e sviluppo di alghe per biocarburanti 176

Indici

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Tabella 6.3 Principali operatori italiani “dedicati” attivi nella produzione di biocarburanti da alghe 177Tabella 6.4 Il progetto MARE 178Tabella 6.5 Materie prime per la riduzione delle emissione di CO2 180Tabella 6.6 Produzione di biocarburanti nel Mondo 185Tabella 6.7 I principali operatori italiani nella filiera del biodiesel 192Tabella 6.8 I principali operatori europei nella filiera del biodiesel 192Tabella 6.9 Investimenti esteri in piantagioni realizzati da alcune grandi imprese italiane 194Tabella 6.10 Principali produttori di bioetanolo in Italia 196Tabella 6.11 Principali produttori di bioetanolo in Europa 196

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Indice dei box

Le Tecnologie per generazione elettrica

Box 1.1 Il rendimento dell’investimento in un impianto ORC 29Box 1.2 Turboden 31Box 1.3 Il Centro Ricerche ENEA di Trisaia 32Box 1.4 Il funzionamento di un gassificatore a letto fisso downdraft 34Box 1.5 Il progetto GasHighWay 44Box 1.6 La normativa sui nitrati 46Box 1.7 L’investimento in un impianto per il trattamento dei nitrati 51

Le biomasse agroforestali

Box 2.1 L’incentivazione alla produzione di calore da fonti rinnovabili nel Regno Unito 60Box 2.2 Il teleriscaldamento da biomasse agroforestali in Lombardia 68Box 2.3 Atena 77Box 2.4 Forenergy 78Box 2.5 Il Progetto Biocolt 79Box 2.6 Italiana Pellets 81Box 2.7 Lo sfruttamento delle biomasse di “scarto” 85

Il Biogas

Box 3.1 Il sistema di incentivi alla produzione di energia da biogas in Francia e Germania 90Box 3.2 Il biometano in Germania 96Box 3.3 Il biogas in Austria 103Box 3.4 Le economie di scala negli impianti a biogas 105Box 3.5 Investimento in un impianto a biogas in Lombardia 106Box 3.6 Biogas Engineering 110Box 3.7 B.T.S. Italia 111Box 3.8 UTS Biogas 111Box 3.9 Brevetti Francesco Cremonesi 111Box 3.10 2G Italia 113Box 3.11 Gruppo AB 114Box 3.12 Envitec 115Box 3.13 Schmack Biogas 115Box 3.14 Fri-El 116

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I rifiuti solidi urbani

Box 4.1 Il revamping per l’ottenimento della qualifica IAFR per gli impianti di recupero energetico da RSU 123Box 4.2 Specifiche tecniche dell’impianto Silla 2 dopo l’intervento previsto nel 2011 124Box 4.3 Il dibattito sugli impianti di termovalorizzazione 129Box 4.4 Il termovalorizzatore di Torino 135Box 4.5 Il termovalorizzatore di Trento 136Box 4.6 Il termovalorizzatore di Napoli Est 136Box 4.7 Il termovalorizzatore di Salerno 137

Gli oli vegetali

Box 5.1 Il sistema di incentivazione degli oli vegetali in Germania 146Box 5.2 I produttori di olio vegetale in Italia 155Box 5.3 Il mercato degli oli esausti in Italia 156Box 5.4 L’impianto ad olio vegetale di Kòmaros Agroenergie a Osimo (AN) 157Box 5.5 L’impianto ad olio vegetale di Porto Energia 158Box 5.6 Un caso di di utilizzo dell’olio vegetale puro per autotrazione 160Box 5.7 Cefla 166Box 5.8 Intergen 167Box 5.9 CC Engineering 167Box 5.10 L’impianto di BEG - Bio Energia Guarcino 168

I biocarburanti

Box 6.1 Il “sistema aperto” per la produzione di alghe a Melbourne 173Box 6.2 L’impianto di coltivazione di Eni a Gela 178Box 6.3 Il progetto MARE 178Box 6.4 Il calcolo della riduzione delle emissioni secondo la Direttiva 2009/30/CE 180Box 6.5 L’uso dei biocarburanti nei veicoli attualmente in circolazione 183Box 6.6 Il “sorpasso” dei biocarburanti sui combustibili tradizionali in Brasile 187Box 6.7 La produzione di bioetanolo negli USA 188Box 6.8 Infinita 193Box 6.9 Agroils 194Box 6.10 Api e la riconversione verso la Jatropha 195Box 6.11 L’impianto di bioetanolo da canna comune di Mossi&Ghisolfi a Crescentino (Vc) 197

Indici

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Il Biomass Energy Report giunge quest’anno alla sua seconda edizione, grazie al fondamentale supporto di un numero crescente di partner, sponsor ed enti patrocinatori. L’ambizioso obiettivo che si propone lo studio è quello di servire da punto di riferimento e strumento di lavoro per tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati a comprendere le dinamiche più recenti che hanno interessato il vasto ed artico-lato mondo della produzione di energia da biomasse in Italia. Nonostante queste ultime, infatti, abbiano normal-mente minore “risonanza” nel dibattito pubblico ita-liano rispetto ad altre fonti rinnovabili (una su tutte, il fotovoltaico), sono molti i fenomeni di interesse che hanno recentemente influenzato lo sviluppo del-le bioenergie in Italia: dalla gestione del passaggio dai CIP6 alla disciplina dei Certificati Verdi, messa nuo-vamente e pesantemente in discussione dal “Decreto Rinnovabili”, che di fatto ne ha sancito la fine; agli effetti dell’atteso innalzamento delle taglie massime di impianto per l’accesso al meccanismo di incenti-vazione tramite tariffa onnicomprensiva; dall’annun-cio di nuove forme di sostegno per la produzione di energia termica, quasi a premiare la crescita degli impieghi cogenerativi e di teleriscaldamento degli impianti a biomassa recentemente osservata in Ita-lia; alle nuove linee guida per la tracciabilità degli oli vegetali ed al boom su scala globale della produzione di biocarburanti di seconda generazione, dove il no-stro Paese può giocare un ruolo di primo piano. Il Biomass Energy Report offre un’analisi approfondi-

ta di questi fenomeni, così da mettere il lettore nella condizione di comprendere che impatto essi potran-no avere, nel breve e medio termine, sul futuro delle bioenergie in Italia.

La ricerca si è concentrata sulla generazione di ener-gia da biomasse agroforestali, da olio vegetale (una novità rispetto alla scorsa edizione del Biomass Energy Report), da biogas (con un approfondimen-to sul tema delle potenzialità del biometano) e da termovalorizzazione di Rifiuti Solidi Urbani, oltre che sul comparto dei biocarburanti (biodiesel e bio-etanolo), con un particolare focus sulle promettenti tecnologie di seconda generazione. Per ognuno di questi comparti, lo studio fornisce inoltre un quadro aggiornato dei trend tecnologici più rilevanti, delle evoluzioni attese della domanda, delle strategie dei principali operatori e dell’impatto su queste varia-bili delle future evoluzioni normative introdotte dal Decreto Rinnovabili. Tutto ciò con l’obiettivo di de-lineare il ruolo che le biomasse potranno avere nel futuro energetico del nostro Paese e, in particolare, nel raggiungimento degli ambizioni obiettivi stabiliti dal Piano di Azione Nazionale per le energie rinno-vabili al 2020.Un’ultima nota relativa invece al quadro delle atti-vità dell’Energy & Strategy Group, che dopo l’estate pubblicherà la prima edizione dell’Energy Efficiency Report: risultato di un nuovo filone di ricerca aperto lo scorso anno con l’obiettivo di allargare il grado di copertura sui ”temi caldi” in materia di energia.

Introduzione

Umberto BertelèPresidente School of Management

Vittorio ChiesaDirettore Energy & Strategy Group

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Il settore delle biomasse in tutte le sue sfaccettature, che vanno dalla valorizzazione energetica dei rifiu-ti all’impiego degli scarti animali per la produzione di biogas, dalla produzione di energia da biomasse agroforestali e olio vegetale alla produzione di carbu-ranti “alternativi” di origine vegetale, ha vissuto un 2010 particolarmente travagliato con alcuni com-parti praticamente “fermi” se non in arretramento rispetto all’anno precedente ed altri in fortissima espansione, ed un inizio di 2011 ancora più turbo-lento, con l’entrata in vigore lo scorso 3 Marzo del cosiddetto Decreto Rinnovabili che ne ha toccato in più parti dei “nervi scoperti”. Un anno però che proprio per questo è risultato ricco di spunti e di ap-profondimenti che sono stati sviluppati in questo seconda edizione del Biomass Energy Report, rin-novata anche nell’organizzazione dei capitoli con un primo focus tecnologico che guarda agli ultimi svi-luppi delle diverse tecnologie che hanno l’obiettivo di sfruttare le biomasse per la generazione di energia elettrica, seguito poi dall’indagine dettagliata – e se-parata per tipologia di biomassa – sui trend norma-tivi, di mercato e di filiera che hanno interessato le imprese che operano nel nostro Paese. Il Rapporto si chiude poi con l’analisi a tutto tondo del settore dei biocarburanti, per molti versi eterogeneo rispetto ai precedenti, e che soprattutto è alle prese con una non facile transizione tecnologica verso la cosiddetta “se-conda generazione”.Nel summary, che come al solito non ha la pretesa di riassumere tutto quanto presente nel Rappor-to, ma di offrire una rapida carrellata dei principali approfondimenti sviluppati, si è comunque deciso di mantenere una lettura integrata per tipologia di biomassa, dando al lettore una ulteriore occasione di cogliere nel Rapporto la trasversalità di alcune tema-tiche.

Le biomasse agroforestali

La produzione di energia elettrica da biomassa agroforestale è stata incentivata nel corso del 2010

attraverso due meccanismi: per gli impianti di pic-cola taglia (inferiore ad 1 MWe, che però rappresen-tano meno del 30% del totale della potenza installata in Italia), attraverso la cosiddetta tariffa omnicom-prensiva, per quelli di taglia maggiore o uguale ad 1 MWe (oltre il 70% del totale), invece, attraverso il meccanismo dei Certificati Verdi. Entrambe questi meccanismi sono stati profondamente modificati all’inizio del 2011, per effetto dell’approvazione del cosiddetto Decreto Rinnovabili (Decreto Mi-nisteriale del 3 Marzo 2011). Il Decreto prevede infatti una distinzione della modalità di erogazione degli incentivi in due categorie: per gli impianti di potenza nominale minore, comunque non superiore ai 5 MW elettrici (eventualmente differenziabili per le diverse categorie di biomasse e per classi di poten-za), sarà disponibile un incentivo nela forma di una tariffa omnicomprensiva; per gli impianti di poten-za superiore ai valori minimi sarà invece previsto a partire dal 2015 un incentivo assegnato tramite aste al ribasso gestite dal GSE. Ad oggi non è noto come i Decreti Attuativi tradurranno in pratica questi principi nel caso degli impianti a biomasse agro-forestale, ma ad ogni modo è altamente probabile che, considerata la taglia media degli impianti a biomassa agroforestale realizzati in Italia, essi ri-entreranno nel meccanismo delle aste al ribasso, quello potenzialmente più articolato e farraginoso nella sua applicazione concreta.Una nota positiva viene dal fatto che il Decreto del 2 Marzo 2010 aveva nel frattempo sancito la de-finizione operativa di “filiera corta”, attesa dagli operatori da oltre tre anni, consentendo quindi ai titolari di impianti a biomassa agroforestale di taglia maggiore di 1 MWe di beneficiare di un co-efficiente moltiplicativo del Certificato Verde pari a 1,8. Poiché comunque da qui al 2012 anche i nuovi impianti di taglia superiore al MWe che entreranno in funzione in Italia potranno ancora beneficiare del meccanismo dei Certificati Verdi fino al 2015, questo incremento permette almeno in parte di compensa-re “in via anticipata” le eventuali perdite derivanti dal cambio di meccanismo di incentivazione.

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Sul fronte invece degli impianti di taglia più picco-la, è interessante sottolineare come il possibile in-nalzamento sino a valori prossimi ai 5 MWe, e co-munque superiori all’attuale 1 MWe, della soglia per accedere alla tariffa onnicomprensiva apra la strada allo sviluppo tecnologico dei sistemi ORC. la tecnologia ORC (Cicli Rankine a fluido Organico) è infatti una valida concorrente ai “tradizionali” cicli Rankine a vapor d’acqua proprio per le taglie di po-tenza comprese fra 1 e 5 MW elettrici. E’ in questa fascia di potenza, infatti, dove questi ultimi fanno segnare un netto calo della loro efficienza complessi-va (75% contro i “normali” 85% di impianti di taglia superiore ai 20 MWe) e lasciano quindi uno spazio di mercato interessante per gli impianti che adottano tecnologie alternative. L’interesse per i sistemi ORC, che secondo gli operatori potrebbe portare in Ita-lia all’installazione di 30 MW di nuovi impianti nel corso del 2011 (contro i 15 MW complessiva-mente in funzione alla fine del 2010), è reso ancor più forte dal fatto che è Turboden – e con una ori-gine che può essere fatta risalire al Politecnico di Mi-lano – l’impresa leader anche a livello europeo per questa tecnologia. Analogo interesse si è sviluppa-to nei confronti delle tecnologie di gassificazione, ossia dei processi di conversione termochimica di un combustibile solido (come ad esempio la biomassa) in un combustibile gassoso (gas di sintesi o syngas). Queste tecnologie, allo studio fra gli altri presso il Centro ENEA di Trisaia, sono ad oggi ancora trop-po costose, ma hanno il pregio di avere in uscita un vettore energetico gassoso che quindi garantisce una maggiore facilità di trasporto e distribuzione, un elevato rendimento di combustione (anche per potenze medio-piccole) ed emissioni più contenu-te durante il processo di conversione. Nel corso del 2010, infatti, alcuni nuovi impianti sono entrati in funzione e le richieste che sono arrivate al GSE anche in seguito al citato cambio della normativa riguardano altri 20 impianti in fase di realizzazio-ne per una potenza elettrica complessiva di poco superiore ai 20 MW.

L’approvazione del Decreto Rinnovabili è poi forie-ra di una modifica ancora più profonda dei siste-mi di incentivazione per questo settore, in quanto introduce per la prima volta degli incentivi speci-fici (anche se ancora indeterminati nell’ammontare e nelle modalità di erogazione) per la produzione di calore in impianti alimentati a fonti rinnovabili, tra cui appunto quelli a biomasse agroforestali. Per quanto riguarda i piccoli impianti, quindi ad uso residenziale, quali le caldaie a pellet, vengono

fissati poi a partire dal 2012 degli obblighi di im-piego di calore prodotto da fonti rinnovabili (fino al 50% del fabbisogno) negli edifici nuovi o sotto-posti a ristrutturazioni rilevanti.

Mentre, per gli impianti di più grandi dimensioni, si stabilisce che venga istituito presso la Cassa Con-guaglio per il Settore Elettrico un fondo di garanzia a sostegno della realizzazione di reti di teleriscal-damento che dovrebbe essere di circa 22,5 mln di € l’anno da destinare esclusivamente alla realizzazio-ne di reti di teleriscaldamento. Tenendo conto che, in media, una rete di teleriscaldamento in Italia ha un costo di 5 mln €/ mln m3, questo significherebbe poter servire circa 15.000 nuove utenze ogni anno, corrispondenti ad una cittadina di 45.000 abitanti. Tutti gli operatori sono concordi nel definire que-ste modifiche importanti per garantire uno svi-luppo futuro estremamente significativo per il settore, che invece nel 2010 non ha fatto registrare variazioni “rilevanti” (soprattutto se confrontate con quelle di altri comparti simili). Le biomasse agroforestali hanno contribuito nel corso dell’ultimo anno alla produzione di energia primaria in Italia per 5,6 Mtep (equivalenti a 65,1 TWh di produzione termica o 25,4 TWh di produ-zione elettrica), che corrispondono a circa il 2,9% del fabbisogno totale del nostro Paese, in crescita del 7% rispetto all’anno 2009. 8.140 MWt e 550 MWe sono invece la potenza complessiva installata in Italia in impianti di questo tipo. I diversi segmenti di mercato che compongono il variegato panorama delle biomasse agroforestali si sono però contrad-distinti con andamenti fra di loro differenziati. Nel 2010 sono stati installati circa 220.000 nuovi impian-ti residenziali (+10%) per un giro d’affari annuo sti-mabile nell’ordine di 840 mln €. Poco meno di 20 (in linea con gli anni precedenti), per un volume d’affari complessivo stimabile in 100 mln €, sono invece i nuovi impianti di media taglia connessi a reti di te-leriscaldamento che però permettono di soddisfare (considerando tutto l’installato nei 250 impianti at-tivi alla fine del 2010) il fabbisogno di calore di ol-tre 170.000 famiglie. Per quanto riguarda, infine, gli impianti di grande taglia (centrali termoelettriche) nel corso del 2010 sono stati installati poco più di 10 nuovi impianti, cui corrisponde una crescita del-la potenza complessiva di oltre 40 MW. Si tratta di una crescita del numero di impianti e della potenza cumulata rispettivamente di circa il 14 e l’8%, valori decisamente inferiori rispetto ai dati fatti registrare negli ultimi anni, che segnalano una inversione di tendenza dettata dalla crescente incertezza sul siste-

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ma di incentivazione degli impianti di grande taglia, ossia il Certificato Verde. A questa crescita seppur contenuta del mercato è corrisposto comunque un volume d’affari complessivo generato nel 2010 pari a oltre 1,2 mld €. Le biomasse agroforestali, quindi, nel complesso hanno generato un volume d’affari che nel 2010 ha raggiunto e superato i 2,1 mld €, con una crescita di oltre il 15% rispetto al valore fatto registrare nel 2009.Attorno a questo mercato ovviamente ruotano di-verse imprese. Il nostro censimento ne ha identifi-cate più di 380 attive nelle diverse fasi della filiera, ad esclusione dei titolari degli impianti di teleriscal-damento e delle centrali termoelettriche che supe-rano le 200 unità. Si è osservato quindi un signifi-cativo incremento (+25%) del numero di imprese attive in questo comparto rispetto al 2009 ed un cor-rispondente aumento della competizione. Questo lascia intendere che il mercato italiano, nonostante non abbia fatto registrare dei tassi di crescita parti-colarmente elevati e nonostante le incertezze nor-mative, sia stato giudicato attrattivo da diversi nuovi operatori che hanno deciso di investirvi. È interes-sante notare come questo incremento del numero di operatori non sia andato però a discapito del-le imprese italiane, che hanno mantenuto di fatto inalterato (se non in alcuni casi, come nel comparto della produzione di tecnologie e componenti, addi-rittura aumentato) il loro peso percentuale. Di fatto si conferma ancora, quella delle biomasse agrofo-restali, una filiera in cui la presenza degli operato-ri italiani, anche nelle aree di business a maggiore intensità tecnologica, è preponderante.

Il biogas

Fra le tecnologie – nella maggior parte dei casi assai mature – che caratterizzano il settore della produ-zione di energia da biogas, due sono venute parti-colarmente alla ribalta nel corso dell’ultimo anno e mezzo, soprattutto per effetto di evoluzioni della normativa: quelle per l’abbattimento dei nitrati e per l’upgrading da biogas a biometano.

L’Unione Europea ha stabilito ormai da tempo un limite di 170 Kg/ha per le emissioni annuali di azoto da effluenti zootecnici in quelle zone che, per conformazione geografica, sono considera-te vulnerabili ai nitrati (ZVN). Questo provvedi-mento interessa molte Regioni del Nord Italia se si pensa che più del 50% del territorio di Piemon-

te, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna rientra in questa categoria. L’Ita-lia ha presentato una richiesta di deroga a 250 kg/ha, ma la decisione europea è di nuovo slittata nel corso del 2011 e di fatto sta divenendo sempre più stringente l’obbligo per gli allevatori di confor-marsi all’obbligo di riduzione delle emissioni. Le tecnologie attualmente a disposizione (che vengono descritte nel primo capitolo del Rapporto) si distin-guono fra “conservative”, che permettono di recupe-rare l’azoto in prodotti “nobili” che possono essere economicamente valorizzati, e quelle “distruttive”, che rimuovono l’azoto rendendolo inutilizzabile. E’ interessante sottolineare, tuttavia, come in entrambi i casi sia necessario l’impiego di energia termica che risulta reperibile “gratuitamente” sotto forma di recupero calore (altrimenti spesso disperso) in un impianto a biogas per la produzione di energia elettrica. L’interesse per questo tipo di impieghi è tale che diversi degli operatori intervistati vedono nel prossimo futuro lo svilupparsi di impianti bio-gas che abbiano il “componente” di trattamento dei nitrati come add on o addirittura già compreso nell’offerta. A maggior ragione uno sviluppo di que-sto tipo appare plausibile se si considera che, come già richiamato in precedenza, il Decreto Rinnovabi-li prevede strumenti di incentivazione per l’energia termica prodotta da fonti rinnovabili.

Un’ulteriore importante novità del Decreto Rinno-vabili riguarda la promozione dell’uso del biome-tano, ossia una miscela costituita principalmente da anidride carbonica e metano ottenuta per successiva “purificazione” (upgrading) del biogas. L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha 3 mesi di tempo, dalla data di entrata in vigore del Decreto Rinnovabili (os-sia entro la fine di Giugno 2011), per emanare le di-rettive riguardanti le condizioni tecniche ed econo-miche per l’erogazione del servizio di connessione di impianti di produzione di biometano alle reti del gas naturale i cui gestori hanno obbligo di connessione di terzi. Ad oggi non esistono in Italia impianti per la produzione di biometano anche perché i costi del processo di upgrading sono ancora estrema-mente elevati. La nostra indagine ha messo in luce, ad esempio, che per consentire un’adeguata remu-nerazione dell’investimento necessario all’upgra-ding (soprattutto se si considera che l’alternativa è l’impiego del biogas per la produzione incentivata di energia elettrica) sarebbe necessario ritirare il bio-metano immesso in rete ad un prezzo tra 0,8 e 1 €/m3. Un valore certo piuttosto elevato, se si pensa che nel 2010 il prezzo del gas metano per un consuma-

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tore residenziale è stato in media pari a 0,7 €/m3 (il 35% del quale legato al costo reale del gas). Al di là quindi dei propositi condivisibili vi sono ancora certo delle barriere ad un pieno sviluppo del bio-metano in Italia.

Se ritorniamo invece alla produzione di energia elettrica, è importante sottolineare come all’inizio del 2011 in Italia esistevano più di 500 impianti a biogas con una potenza complessiva superiore ai 550 MWe ed una produzione annua complessiva di 2.891 TWh, che ci pone al terzo posto in Europa dopo la Germania (12 TWh) ed il Regno Unito (con oltre 7 TWh, che però costituiscono il 31% del tota-le di produzione di elettricità da fonti rinnovabili). La potenza installata in Italia nel corso del 2010 è cresciuta del 20% rispetto all’anno precedente, mentre del 13% si è incrementato il numero degli impianti, a testimonianza del continuo interesse per questa forma di sfruttamento delle biomasse. Il vo-lume d’affari è stimabile in oltre 900 mln €, anche qui con un +60% rispetto a quanto fatto registra-re nel 2009. La crescita è pressoché interamente da attribuire al biogas agricolo e zootecnico, con la potenza installata in impianti da discarica che è rimasta costante (segno evidente della saturazione ormai raggiunta in questo segmento di mercato). Ottimistiche appaiono essere anche le aspettative di crescita per il futuro, con le opinioni degli opera-tori piuttosto concordi nel definire che il mercato del biogas agricolo continuerà a crescere con tassi con-sistenti fino alla fine del 2012, quando si potrebbe arrivare ad avere una potenza complessiva instal-lata di quasi 800 MWe.

Nel corso dell’ultimo anno si è decisamente raffor-zato il peso delle imprese agricole e zootecniche, che hanno contato per l’80% dell’installato, come promotrici della costruzione di impianti a biogas. Tradizionalmente queste dimensionavano i propri impianti in base alla loro disponibilità di materia prima, per evitare di ricorrere all’approvvigiona-mento dall’esterno, spesso molto costoso e soggetto a dinamiche di prezzo non sempre facilmente gesti-bili. La tendenza si è però invertita con molte im-prese agricole che hanno cercato di incrementare la taglia dei loro impianti fino al limite che per-mette di accedere alla tariffa omnicomprensiva, nel tentativo di sfruttare le significative economie di scala che negli ultimi mesi hanno contraddistinto l’investimento nell’impianto a biogasIl numero di imprese coinvolte complessivamente nella filiera è aumentato, visto che il nostro cen-

simento ne ha messe in luce 560 contro le 500 del 2009. Anche il numero di addetti complessiva-mente impegnati dalla filiera italiana del biogas ha superato alla fine del 2010 le 4.500 unità, contro i quasi 3.000 addetti dell’anno precedente. Questo è dovuto anche al fatto che in questa filiera si registra una netta prevalenza di operatori italiani che nem-meno la crescita del 2010 (con il possibile assalto degli operatori stranieri) ha messo realmente in di-scussione. Ad essere premiate, con margini lordi industriali fino a oltre il 20%, sono soprattutto le imprese titolari di impianti di produzione di ener-gia (grazie alla generosità della tariffa incentivan-te), ma in generale in tutta la filiera si osservano marginalità molto interessanti, con la sola area di business “tecnologia e componenti” con EBITDA Margin di poco superiori al 10%, a causa della li-mitata complessità ed elevata maturità tecnologica delle soluzioni e dei componenti in gioco.

I rifiuti solidi urbani

La tecnologia per la valorizzazione energetica dei ri-fiuti – se si eccettuano gli impianti (ancora in fase sperimentale in Italia) che adottano le torce al pla-sma e che sono comunque oggetto di approfondi-mento nel Rapporto – è ormai piuttosto matura, e ben consolidato è anche il periodico (quindicennale per la precisione) processo di rinnovo degli impian-ti. Uno “scossone” al settore in Italia l’ha tuttavia dato ancora una volta la normativa. Due sono le ragioni: le scadenze sempre più “pressanti” rela-tive al passaggio dalla vecchia forma di incenti-vazione CIP6 alla “nuova” dei Certificati Verdi; il Decreto Rinnovabili che, non soltanto ha generato forte incertezza relativamente a questi ultimi, ma ha anche introdotto importanti novità “di indirizzo” per il settore.

Nel 2010 sono stati costretti ad abbandonare il CIP6 ben 6 impianti, per un totale di oltre 677 mila tonnellate di rifiuti trattati (circa il 10% del totale italiano). Entro il 2012, poi, impianti con capacità di trattamento per quasi 2 milioni di tonnellate di rifiu-ti (il 30% circa del totale) vedranno profondamente modificato il loro sistema di incentivazione. Il pas-saggio alla “nuova” forma di incentivazione non è indolore tenendo conto che si rendono necessari interventi di revamping, ossia di “pesante” modi-fica tecnologica (alle griglie, ai forni, ma anche alla turbina in molti casi) per ottenere dal GSE la nuova qualifica di Impianto Alimentato a Fonti Rinnova-

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bili (IAFR). Il Decreto Rinnovabili ha poi sancito che il prezzo dei Certificati Verdi subisca un taglio immediato del 22% e che il meccanismo stesso sia sostituito dal 2015 da un nuovo – e per ora incerto nelle sue regole di dettaglio – meccanismo “ad asta” per l’aggiudicazione degli incentivi. In realtà, al re-vamping per la conservazione dell’incentivazione alla produzione di energia elettrica si è affianca-ta in alternativa nel 2010 – guidando la scelta di operatori importanti come ad esempio A2A –la “conversione” dell’impianto verso un maggiore sfruttamento dell’energia termica. Questo è addi-rittura preferibile dal punto di vista dell’efficienza di trasformazione energetica, ma richiede come neces-sario pre-requisito l’esistenza di una idonea rete di teleriscaldamento (la cui costruzione ex novo richie-de investimenti medi superiori ai 5 mln € per milio-ne di metro cubo di utenze riscaldate). Gli operatori guardano ora a questa strada con ancor maggiore interesse, tuttavia, visto che il Decreto Rinnova-bili ha annunciato un sistema di incentivi dedi-cato alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili e, soprattutto, ha dato vita ad un fondo (di cui si è già parlato in precedenza) per circa 22,5 mln di € l’anno destinati alla realizzazione di reti di teleriscaldamento. E’ abbastanza probabile che l’iniezione di capitali a livello nazionale possa poi fare da “volano” anche per gli investimenti degli Enti Pubblici locali e quindi amplificare ulteriormente gli effetti del provvedimento.

Il maggior peso della componente termica su quella elettrica è peraltro un trend comune an-che a livello europeo, dove il mercato (69 milioni di tonnellate di rifiuti termovalorizzati negli oltre 450 impianti sparsi sul territorio europeo) ha fatto segnare un incremento di poco inferiore al 10% ri-spetto all’anno precedente, ma dove l’energia termica prodotta (per ora ancora minoritaria) è cresciuta più del doppio rispetto a quella elettrica. Il mercato italiano (4,6 milioni di tonnellate in tutto) è un po’ in ritardo da questo punto di vista ed anzi ha fatto segnare uno “stallo” nel corso del 2010. Nessun nuovo impianto è entrato in funzio-ne ed anche dal punto di vista della capacità pro-duttiva si è avuto un incremento di soli 40 MWe (il 5%) per effetto di interventi di ampliamento e re-vamping già programmati. Qualcosa però si muove con una serie di nuovi impianti in progetto, la cui capacità complessivamente messa a disposizione è di 1.673.000 tonnellate, con un balzo di oltre il 35% rispetto alla capacità attualmente disponibile. Si trat-ta quasi esclusivamente di nuovi impianti con una

“taglia” decisamente significativa e più in linea con gli standard di efficienza tecnologica europei. Il fabbisogno di capacità di trattamento che al 2020 consentirebbe all’Italia di allinearsi alla me-dia europea è di però 11,5 milioni di tonnellate e giunti “a metà del guado” siamo ad appena al 15% dell’obiettivo. Se quindi è necessario sottolineare la “ripartenza” delle realizzazioni di nuovi impianti, dall’altro lato è palese come i tassi di crescita non siano sufficienti per garantirci un adeguato col-locamento in Europa. Appare chiaro – ed anche buona parte degli operatori intervistati ne è conscio – che fino a quando rimarrà predominante il ruolo “politico” delle utility locali e quindi non si avrà il coraggio di operare secondo una vera logica di bu-siness, la filiera italiana del recupero energetico da rifiuti sarà costretta a giocare la propria partita in un mercato comunque “piccolo”. In questo le già cita-te novità del Decreto Rinnovabili possono essere solo d’aiuto a dare una “svolta”.

Gli oli vegetali

Gli impianti per la produzione di energia elettrica da oli vegetali sfruttano tecnologie mature e consoli-date, il che è evidente se si considera che il vero è proprio “generatore” elettrico è un normale mo-tore endotermico di tipo navale ad altissima affi-dabilità e stabilità (con una durata media di circa 20 anni). Tenendo conto ad esempio del sistema di in-centivazione (0,28 €/kWh in caso di olio tracciabile di provenienza europea, 0,18 €/kWh in caso di olio importato extra europeo) attualmente in vigore per i piccoli impianti (numericamente i più diffusi) e del costo di approvvigionamento medio della materia prima, però, un impianto da 1 MW elettrico da 1,5 mln € di investimento si ripaga in meno di 6 anni, con ritorni anche superiori al 20% e garantisce circa 8.000 ore di funzionamento all’anno. Questi numeri, unitamente alla maturità della tecnologia e alla relativa semplicità di impiego, rendono que-sti impianti estremamente interessanti dal punto di vista economico-finanziarioAd oggi la gran parte dell’olio che viene utilizzato in Italia (e non solo) come vettore energetico pro-viene dal mercato estero e spesso da colture pre-senti solo in Paesi della fascia sub-tropicale (come ad esempio la palma da olio e la jatropha). Questo rappresenta il principale problema per lo svilup-po del settore, visto che la Legge 99/2009 ed il più volte citato Decreto Rinnovabili stabiliscono dei criteri di tracciabilità – attraverso un sistema in-

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formativo chiamato SIAN e sviluppato dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura – e di sostenibilità (con riferimento all’impiego di colture che comun-que garantiscano un crescente livello di riduzione delle emissioni) piuttosto stringenti. In base a quan-to emerso dall’indagine condotta sul campo, l’in-troduzione di questi strumenti si tradurrà in un aggravio di costo nell’approvvigionamento della materia prima, con la “forchetta” di prezzo tra oli sostenibili e oli non sostenibili che si allargherà sem-pre più, così come è già accaduto per gli oli tracciabili EU utilizzati nell’alimentazione dei piccoli impianti, il cui valore di mercato ha recentemente superato i 1.000 € a tonnellata. L’incertezza non solo condizio-na i nuovi investimenti, ma potrebbe avere riper-cussioni anche su quelli già effettuati, con impianti che, non disponendo di materia prima sostenibile a prezzi economicamente convenienti, potrebbero es-sere costretti ad interrompere la loro produzione.

Tutto questo si innesta in un mercato che è arriva-to a fine 2010 a oltre 620 MWe complessivamente installati (+ 60% rispetto al 2009), livello superiore sia a quello raggiunto nel segmento delle biomasse agroforestali sia nel biogas. Nonostante, quindi, non si parli spesso di questa forma di sfruttamento delle biomasse di origine vegetale, si tratta sicuramente di un comparto che dà e potrebbe dare un signi-ficativo contributo al raggiungimento degli obiet-tivi per le bioenergie previsti dal Piano di Azione Nazionale del 2010. Nel corso dei primi mesi del 2011 la crescita delle installazioni è proseguita in modo consistente, con grandissima parte degli impianti in progetto che stanno concretamente vedendo la luce (100 MWe era la nuova potenza installata all’inizio di giugno).

Anche la filiera che sta dietro la produzione dell’olio vegetale è di tutto interesse, visto che sono oltre 1.000 gli operatori a vario titolo coinvolti in Ita-lia. Come è comune a molte delle filiere delle rin-novabili nel nostro paese, le fasi più a monte (ossia quelle delle tecnologie e dei componenti) sono in larga misura dominate da player stranieri, men-tre la presenza delle imprese italiane sale se ci si sposta a valle, con ad esempio poco meno dell’80% della progettazione ed installazione dell’impianto appannaggio degli operatori nazionali. Nella fase di produzione e trading di energia, poi, la totali-tà delle imprese che sono titolari di un impianto e beneficiano della vendita dell’energia che esso produce sono italiane. A differenza di altre filiere delle rinnovabili, però, nel caso degli oli vegetali la

marginalità industriale media sale mano a mano che ci si sposta verso le fasi più a valle della filie-ra. Questo suggerisce che gran parte dei generosi incentivi erogati ai titolari di impianti – con un volume d’affari complessivo nel 2010 di oltre 1,1 mld. € – vada in realtà a sostenere la crescita degli utili di operatori locali, facendo della produzione di energia da oli vegetali un comparto particolarmente “pregiato”.

I biocarburanti

Secondo le stime dell’IEA entro il 2035 il settore dei biocarburanti beneficerà di ulteriori investimenti in Ricerca & Sviluppo per 335 miliardi di dollari. Il 64% di questi saranno ancora destinati, tutta-via, alla prima generazione di biocarburanti (os-sia quella che sfrutta materie prime in competizione con le filiera del food) mentre solo una quota mino-ritaria verrà impiegata per lo sviluppo di biodiesel (17%) e bioetanolo (14%) della cosiddetta “seconda generazione”, che invece impiega materie prime ef-fettivamente “alternative”. La visione che emerge dalla nostra indagine empi-rica è però in parte differente, in Europa ed anche in Italia. Innanzitutto perché sono diversi e molto promettenti gli investimenti che già si stanno rea-lizzando nel campo delle alghe (da cui si possono ottenere mediamente 12.000 litri di biodiesel per et-taro all’anno, contro i 5.900 attualmente consentiti dal pure efficiente olio di palma) che vede coinvolti anche alcuni operatori italiani (uno su tutti l’Eni) e nella generazione di bioetanolo da materie prime ligno-cellulosiche, nella quale ad esempio è impe-gnata la multinazionale italiana Mossi&Ghisolfi. E poi perché l’approccio del legislatore al problema nel corso dell’ultimo anno, ed ancor più precisa-mente degli ultimi mesi, è decisamente cambiato.

Il Decreto Rinnovabili ha rappresentato infatti un vero e proprio “terremoto” per l’industria dei biocarburanti in Italia, andando ad agire su tre aspetti fondamentali: (i) la definizione stessa di biocarburante; (ii) i meccanismi per la verifica del requisito di sostenibilità, che sono nella pratica “a carico” degli operatori; (iii) gli obblighi di immis-sione in rete. Sin dal prossimo anno (ossia dal 2012) in Italia sarà possibile considerare “biocarburanti” solo quei carburanti provenienti da materie prime vegetali che garantiscono un riduzione di emissioni pari ad almeno il 35%. La soglia di ammissibilità per essere

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considerati “biocarburanti” sale al 50% di emissioni in meno a partire dall’1 gennaio 2017 e poi si stabi-lizza al valore del 60% dal 2018. In sostanza signi-fica che dal 2012 il bioetanolo prodotto da mais e da grano ed il biodiesel prodotto a partire da olio di palma o da soia non saranno più considerati “biocarburanti” e dal 2017 a non essere considerato “biocarburante” sarà anche il biodiesel ottenuto per transesterificazione dell’olio di colza. Materie prime queste che hanno fino ad ora giocato un ruolo pre-ponderante nella produzione di biocarburanti in Italia e che, secondo la nuova definizione, non sa-ranno più ammessi ai meccanismi di incentivazione e soprattutto non potranno più essere impiegati per rispettare la quota d’obbligo.Il Decreto ha poi ulteriormente “smorzato” l’ob-bligo di immissione ponendo come obiettivo per il 2012 il 4% (valore costante rispetto al 2011) e “spostando” al 2014 – mentre nella precedente ver-sione sarebbe dovuto essere nel 2013 – il raggiungi-mento del 5% di carburanti “bio” immessi in rete sul totale. In questo, l’Italia si allontana ulteriormente dall’obiettivo europeo – a questo punto “pratica-mente” irraggiungibile a detta degli operatori – del 10% di biocarburanti immessi in rete al 2020 e “segna il passo” rispetto a Paesi come la Germa-nia, la Francia e la Spagna che hanno fissato come soglia di immissione per il 2012 rispettivamente il 6,25%, il 7% e il 5,83%. Il Decreto Rinnovabili poi riconosce – e questo è l’unico aspetto giudicato positivamente dagli operatori – ai biocarburanti di “seconda generazione” una maggiorazione del 100% rispetto alla quantità effettivamente immessa nel computo dei valori di immissione ai fini del ri-spetto della quota d’obbligo. Nel complesso, quindi, ci si aspetta che il Decreto cambi profondamente l’orizzonte geografico ed il “mix” di materie prime utilizzato, ma soprattutto il livello di investimen-ti sulla “seconda generazione” che evidentemente è destinata ad una accelerazione molto significativa nel prossimo futuro.

Tutto questo, però, si inserisce in un contesto di mercato e di filiera italiano purtroppo piuttosto debole. Se si guarda al biodiesel, che ha una quo-ta del 95% sul totale dei biocarburanti italiani, la capacità produttiva italiana (che è la terza in Euro-pa) è rimasta costante rispetto all’anno preceden-te e di poco superiore ai 2 milioni di tonnellate. Anche la produzione si è “fermata” poco sopra le 700.000 tonnellate, con un livello medio di satura-zione degli impianti attorno al 28%, significativa-mente inferiore alla pur non brillante media europea (41,4%). La crescita dell’immissione in consumo (quasi raddoppiata, passando dalle 740.000 ton-nellate del 2008 alle oltre 1,32 milioni di tonnella-te nel 2010) è stata “compensata” da un incremen-to esponenziale dell’import (e quindi delle attività dei trader di biodiesel). Nel 2008 l’import ha pesato per il 29% del totale immesso in rete, nel 2009 per il 36% e nel 2010 ha raggiunto il 51%, con previsioni di ulteriore crescita per il 2011 sino a toccare, se-condo gli operatori, quota 70%. La situazione non migliora, anzi il quadro è ancora più desolante, se si prende in esame il bioetano-lo, dove la produzione è addirittura “crollata” nel 2010 rispetto al 2009, passando da 100.000 tonnel-late a poco meno di 50.000, riportandosi ai livelli di due anni fa. Complessivamente la filiera italiana dei biocar-buranti si è indebolita nel corso del 2010 ed in molti casi gli operatori, che avevano provenienze settoriali diverse, hanno dovuto “compensare” la riduzione del business generato dal biodiesel con un “ritorno” al loro business originale. Le imprese sono sostanzialmente “ferme” (e quindi accumula-no ritardo rispetto ai competitor europei) e per certi versi incapaci di cogliere il potenziale che anche il bioetanolo può esprimere. Questo ovviamente se si escludono i progetti sulla “seconda generazio-ne”, che ad oggi paiono essere le uniche possibilità concrete per il rilancio dell’industria italiana dei biocarburanti.

Davide ChiaroniResponsabile della Ricerca

Federico FrattiniResponsabile della Ricerca

Riccardo TerruzziProject Manager

Executive Summary

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LE TECNOLOGIEPER LA

GENERAZIONEELETTRICA

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1Le tecnologie per la

generazione elettrica

Nella precedente edizione del Biomass Energy Re-port1 si era riportata per esteso e con una suddivi-sione netta fra le diverse fonti (agroforestale, biogas, RSU) la descrizione delle soluzioni tecnologiche più comunemente utilizzate per la produzione di ener-gia da biomassa. In questo Rapporto si è affrontato invece il tema tecnologico in maniera più “trasver-sale” ed in particolare si è deciso di porre maggio-re enfasi a quelle tecnologie in fase di sviluppo che la nostra indagine ha rilevato, da un lato, come più promettenti dal punto di vista della loro possibilità di applicazione e, dall’altro lato, come più interes-santi per quanto riguarda gli aspetti più prettamente scientifico-tecnologici: ovvero i cicli ORC, la gassi-ficazione e la tecnologia di upgrading a biometano. Per completezza poi – e facendo ammenda del poco spazio dedicatovi nella precedente edizione – si analizza il caso delle tecnologie per la generazione di energia elettrica da oli vegetali che, come si vedrà meglio anche nel CAPITOLO 5.2, hanno un peso rile-vante in termini di potenza installata in Italia.

I cicli ORC: stato dell’arte 1.1 ed evoluzioni attese

Nel Biomass Energy Report 20092, si era già tratta-ta la tecnologia ORC – ovvero dei Cicli Rankine a fluido Organico – come valida concorrente ai “tradizionali” cicli Rankine a vapor d’acqua per le taglie di potenza comprese fra 1 e 5 MW elettrici. E’ in questa fascia di potenza, infatti, dove questi ul-timi fanno segnare un netto calo della loro efficienza complessiva (75% contro i “normali” 85% di impian-ti di taglia superiore ai 20 MWe) e lasciano quindi uno spazio di mercato interessante per gli impianti che adottano la tecnologia ORC. Trattandosi di un “ciclo di potenza” conseguente al processo di com-bustione della materia prima, la tecnologia ORC è primariamente utilizzata in impianti che impiegano biomasse agroforestali (SI VEDA CAPITOLO 2.2), ma potrebbe essere impiegata anche in impianti di pic-

cola taglia per il trattamento dei rifiuti.L’interesse per l’ORC si è notevolmente incremen-tato in conseguenza della recente revisione – do-vuta al Decreto Legislativo n. 28 del 3 Marzo 2011 recante attuazione della Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo, chiamato Decreto Rinnovabili – del meccanismo di incentivazione della produ-zione di energia elettrica da biomasse, ed in par-ticolare dal possibile innalzamento della soglia massima di impianto per l’accesso alla tariffa on-nicomprensiva (SI VEDA CAPITOLO 2.1) che è pas-sata da 1 a 5 MW. Se quindi, sino alla primavera del 2011, la complessità dello strumento dei Certificati Verdi – che in precedenza si applicava a tutti gli im-pianti con taglia superiore a 1 MW – aveva ridotto lo spazio di mercato per l’ORC, oggi gli operatori del settore riconoscono a questa tecnologia potenziali-tà estremamente interessanti. Ulteriore interesse è destato dal principio – sempre sancito nel cita-to decreto – della volontà di incentivazione non soltanto dell’energia elettrica, ma anche di quella termica prodotta da fonti rinnovabili. Al momen-to della stesura di questo Rapporto non sono noti i dettagli relativi al meccanismo di incentivazione e nemmeno l’ammontare previsto, ma è tuttavia ra-gionevole ipotizzare che – garantendo gli impianti ORC, come si vedrà meglio più avanti, degli impie-ghi cogenerativi – la loro convenienza economica sarà ulteriormente incrementata.

I cicli ORC si basano su un ciclo Rankine chiu-so (ove il fluido di lavoro, dopo essere evaporato e fatto espandere in turbina, viene riportato allo stato liquido e infine condensato alla pressione di evapo-razione) e utilizzano un fluido di lavoro organico, che nella maggior parte dei casi è costituito da polisilossani3, ma può anche prevedere l’impiego di fluidi refrigeranti o idrocarburi. Nella figura sono rappresentati il ciclo termodinamico ed i principali componenti costituenti un impianto ORC.Il fluido di lavoro è prima pre-riscaldato e fatto evaporare utilizzando il calore scambiato con la

1 Cfr. Biomass Energy Report 2009, pp. 27, 89, 121.2 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 37.3 I polisilossani sono polimeri inorganici basati su una catena silicio-ossigeno e gruppi funzionali organici legati agli atomi di silicio.

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4 L’impossibilità di realizzare impianti ORC di grande taglia, ma di poterne solo affiancare in parallelo moduli di piccola taglia, non permette di utilizzare questa tecnologia per grandi impianti.5 Decreto Ministeriale del 1 Marzo 1974 e successive modifiche (1979).6 L’affidabilità di un sistema o di un dispositivo è la probabilità del sistema di fornire prestazioni soddisfacenti per un periodo determinato in specifiche condizioni operative.

sorgente termica, quindi espanso in una turbina di-rettamente accoppiata al generatore elettrico e in-fine riportato allo stato liquido in un condensatore raffreddato ad acqua o ad aria. Il ciclo termodi-namico viene infine chiuso riportando il fluido condensato alla pressione di evaporazione attra-verso la pompa di alimento. Nel caso di sorgenti termiche ad alta temperatura si aggiunge, a valle della turbina, un rigeneratore (scambiatore di ca-lore) che permette di migliorare ulteriormente le prestazioni del ciclo. Il calore recuperato, par-ticolarmente “pregiato” vista la temperatura di esercizio, può però essere impiegato come fonte termica e questo rende ancora più interessan-te l’impiego della tecnologia ORC in soluzioni cogenerative, come ad esempio in impianti di teleriscaldamento, oppure in serre, impianti termali e piscine, oppure ancora per operatori industriali come le segherie o i produttori di pellet che – oltre ad avere un accesso privilegia-to alla materia prima – potrebbero reimpiegare il calore nei loro processi produttivi nella fase di essicazione del legno.

Nel range di potenza compreso fra 0,5 e 5 MWe la tecnologia ORC, opportunamente dimensio-nata, consente di ottenere efficienze complessive in cogenerazione anche superiori al 90% (ovvero anche di 10 punti percentuali superiore rispetto ai corrispondenti cicli Rankine a vapor d’acqua)4. Anche il minimo tecnico, ovvero il “carico” sotto il quale la turbina non produce energia, si attesta attorno al 10% della potenza nominale e viene ga-rantita una pronta risposta ai transitori. L’efficienza elettrica del sistema complessivo è mediamente pari al 20% (con un fattore di conversione quin-di di 1 a 5 rispetto alla potenza termica generata dalla fonte).

Vi sono poi ulteriori vantaggi che vale la pena sottolineare, come ad esempio la modesta velocità periferica della turbina – che consente il collega-mento diretto del generatore elettrico senza l’in-terposizione di un riduttore di giri e garantisce una maggiore durata (si stima superiore a 20 anni) per i componenti, rispetto al caso “tradizionale” a vapor d’acqua – e la possibilità di funziona-mento in automatico, senza quindi la necessi-tà di legge5 della presenza di un supervisore in possesso della patente da fuochista. La gestione e manutenzione per questo tipo di impianto può essere affidata a personale mediamente qualificato e richiede mediamente non più di 5 ore di attività alla settimana, pur garantendo affidabilità6 molto elevate, in media pari al 98%. Tenendo conto della taglia di impianto (da 0,5 a 5 MW) di cui si sta par-lando è abbastanza evidente come la possibilità di funzionamento automatico permetta non soltanto un indubbio vantaggio di costo (considerato che il proprietario “tipo” di un impianto di questo tipo, SI VEDA CAPITOLO 2.2, non ha generalmente fra i propri dipendenti professionalità adeguate che deve quindi reperire sul mercato), ma anche uno snellimento organizzativo di non poco conto. Il ci-clo ORC ed il recuperatore, infine, sono poi solita-mente progettati per rispondere in automatico ad ogni variazione di portata e temperatura della fon-te termica e, se necessario, operare lo scollegamen-to dalla rete elettrica e lo spegnimento in completa sicurezza dell’intero sistema. Per quanto riguarda i ricavi connessi all’investimento, in attesa delle tarif-fe specifiche che verranno definite in applicazione del citato Decreto n.28 del 3 Marzo 2011 ma che al momento non sono ancora note, è possibile fare l’ipotesi che la valorizzazione dell’energia elettrica prodotta avvenga con la tariffa onnicomprensiva di 0,28 €/kWh (ovvero il valore attualmente rico-

Tabella 1.1 Caratteristiche tecniche di un impianto ORC della potenza di 4 MWe

Ore annue funzionamento impianto 8.000 ore

Potenza termica richiesta alla caldaia ad olio diatermico 2x10.000 kW

Potenza elettrica lorda generata da ORC 2x2.000 kW

Potenza elettrica netta ceduta in rete al netto dei consumi ORC e caldaia 2x1.600 kW

Potenza termica cogenerata 2x8.000 kW

Efficienza elettrica [range medio 12-24%] 20%

Efficienza termica [range medio 74-80%] 76%

Percentuale di riutilizzo dell’energia termica cogenerata 25%

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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Figura 1.1 Ciclo termodinamico e componenti principali di un modulo ORC Turboden

Fonte: Applicazione di Cicli ORC a Recuperi Termici da Processi Industriali

Un impianto ORC della potenza di 4 MW elettrici, re-alizzato con due “turbogeneratori” da 2 MW ciascuno posti in parallelo, richiede un investimento iniziale di circa 5 mln €/MWe e dei costi annui di gestione, ma-nutenzione e smaltimento ceneri pari al 2 % della spesa iniziale. Inoltre per il corretto funzionamento dell’im-pianto è necessario l’acquisto annuo di circa 15.000 t/MWe di biomassa (nel nostro esempio 60.000 t prove-nienti da meno di 70 Km di distanza dall’impianto per sfruttare le filiere locali e contenere i costi di trasporto)

con un prezzo indicativo – calcolato tenendo conto del valore medio di mercato registrato nel 2010 – di 60 €/t che portano ad una spesa annua per l’alimentazione dell’impianto pari a 3,6 mln €.La caratteristiche tecniche dell’impianto e la riparti-zione dei costi fra le diverse componenti dell’impianto, entrambe mutuate come valori medi rilevati nella inda-gine condotta presso i produttori e gli installatori attivi sul mercato italiano, sono riportate rispettivamente nel-la TABELLA 1.1 e nella FIGURA 1.2 seguenti.

Box 1.1 Il rendimento dell’investimento in un impianto ORC

Figura 1.2 Ripartizione dei costi fra le diverse componenti di un impianto ORC della potenza di 4 MWe

Turbogeneratore ORC

3%

2%

4% 3%

Caldaia ad olio diatermico

Connessione alla rete

Air cooler

Opere civili

BOP

Progettazione e installazione

15%27%

46%

1.1 I cicli ORC: stato dell’arte ed evoluzioni attese

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nosciuto dal GSE per gli impianti di potenza sino a 1 MW), mentre per l’energia termica si consi-dera il risparmio sul costo di acquisto da fonte alternativa che può essere valorizzato – tenendo conto dei prezzi offerti dalle società di gestione del calore per clienti di questo tipo – in 0,03 €/kWh termico. L’ipotesi fatta sembra comunque conservativa giacché, se è ragionevole attendersi che la tariffa onnicomprensiva garantita scenda al crescere della taglia (in analogia a quanto avviene ad esempio per altre fonti alternative, come ad esempio il fotovoltaico) è altrettanto ragionevo-le attendersi che l’incentivo alla produzione ter-mica sia superiore all’attuale risparmio garantito dall’autoconsumo. Vale la pena, infine, sottoline-are come anche l’ipotesi di riuscire a sfruttare il 25% dell’energia termica recuperata dalla cogene-razione sia piuttosto restrittiva, in quanto sarebbe possibile attivare piccole reti di teleriscaldamento o fornire calore ad imprese limitrofe così da poter sfruttare interamente l’energia termica prodotta.

Considerando quindi i flussi finanziari di questo investimento è possibile stimare un tempo di pay back pari a circa 6 anni e un IRR del 17-18%7. La FIGURA 1.3 mostra, tuttavia, come il ritorno economico dell’investimento sia estremamente “sensibile” al costo di approvvigionamento della materia prima. Proprio per questa ragione, come si vedrà anche più avanti con maggior dettaglio nel CAPITOLO 2.2, la disponibilità di biomassa è uno dei fattori critici per la “bancabilità” di un progetto di investimento in questo ambito.

L’interesse per questo tipo di tecnologia, che se-condo gli operatori potrebbe portare in Italia all’installazione di 30 MW di nuovi impianti nel corso del 2011 (contro i 15 MW complessi-vamente in funzione alla fine del 2010), è reso ancor più forte dal fatto che è Turboden – e con una origine che può essere fatta risalire al Politec-nico di Milano – l’impresa leader anche a livello europeo per questa tecnologia (SI VEDA BOX 1.2).

7 Qualora si considerasse l’investimento in un impianto di capacità 1 MWe, per il quale fino al 2012 è garantito l’accesso alla tariffa omnicomprensiva da 0,28 €/kWh, è possibile ottenere IRR di qualche punto percentuale inferiori (15-16%) con tempi di pay back pari sempre a 6 anni. Il lieve aggravio di costi, infatti, determinato da una scala inferiore, è compensato dalla maggiore facilità di gestione e approvvigionamento della materia prima.

Tabella 1.2 I principali impianti di gassificazione, classificati per potenza, attivi in Italia

ImpiantoPotenza

kWeImpresa produttrice

dell’impiantoCaratteristiche impianto

Belluno (BL) 1.000 Modello GAS-1000L’impianto viene alimentato con circa 8.500 t/a di cippato di

legno.

Parma 1.000 -L’impianto produce 7,5 GWhe e 15 GWht e viene alimentato

con 9.000 t/a di Kenaf.

Gadesco Pieve Delmona (CR)

960 AgroenergiaIl pirogassificatore è alimentato con biomassa vegetale trinciata

o cippata.

Alessandria 640 -

L’impianto è di tipo sperimentale e il processo è stato messo a punto dal Politecnico di Torino e dall’IPLA (Istituto per le Piante da Legno e Ambiente); l’impianto è alimentato con biomasse di

origine forestale.

Vigevano (PV) 500 Modello GAS-500L’impianto produce 3,75 GWhe e 7,5 GWht e viene alimentato

con 4.100 t/a di cippato di legno.

Caluso (TO) 400 Autogas NordL’impianto è alimentato con residui di produzioni agricole, biomasse forestali, foglie, scarti dell’industria alimentare.

Oltrepo Pavese (PV) 300 Bio&Watt L’impianto utilizza un motore endotermico.

Castel San Pietro (BO) 250 Bio&WattIl pirogassificatore è alimentato con scarti di potatura, stocchi

di mais, cippato di pioppo.

Orzinuovi (BS) 250 Bio&WattIl pirogassificatore è alimentato con biomasse di origine

forestale.

Verbania 250 CoVer Energy L’impianto è classificato come sperimentale.

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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30 40 50 60 70 80

2

4

6

8

10

12

costo approvvigionamento biomassa [�/ton]

anni

Figura 1.3 Andamento del tempo di pay back in funzione del costo di approvvigionamento della biomassa per un impianto ORC da 4 MWe

Fondata nel 1980 a Milano da Mario Gaia, Professore di Energetica del Politecnico di Milano, Turboden è una società italiana specializzata nella costruzione di turbogeneratori ba-sati sul Ciclo Rankine Organico, per la generazione distribu-ita in applicazioni di energia rinnovabile e recupero di calore industriale.I principali campi di applicazione riguardano:

• cogenerazione da biomassa per teleriscaldamento o persegherie industriali e aziende di produzione di pellet;

• recuperodicaloreperlaproduzionedienergiaelettricada scarichi dei processi industriali;

• piccoliciclicombinatiperlaproduzionedienergiaelettricadacalore residuo di motori a combustione interna o turbine a gas;

• geotermia,principalmentedapozziconacquaabassatem-peratura (100-180°C).

Le unità ORC di Turboden producono tipicamente fino a 10 MW elettrici per unità, mentre potenze più ampie possono essere ottenute associando più unità tra loro.L’impresa negli ultimi anni ha registrato una signi-ficativa crescita del fatturato e degli addetti che l’ha portata a raggiungere nel 2010 un fatturato di 45 mln € (contro i 38 del 2008) e un numero di addetti pari a 136. Nel 2009 Turboden è stata acquisita dal grup-po statunitense UTC e inserita nella divisione Pratt & Whitney Power Systems, leader mondiale nella pro-gettazione, costruzione e manutenzione di motori per aviazione, sistemi di propulsione spaziale e turbine a gas industriali, per potenziarne il business di soluzioni di generazione elettrica e cogenerative su tecnologia ORC.

Box 1.2 Turboden

La gassificazione: stato 1.2 dell’arte ed evoluzioni attese

Con il termine “gassificazione” si fa generalmente ri-ferimento ad un processo di conversione termochi-mico di un combustibile solido (come ad esempio la biomassa) in un combustibile gassoso (gas di sintesi o syngas8). Nella scorsa edizione del Biomass Energy Report9 si era accennato a questa tecnologia nel para-grafo sulle soluzioni in fase di sperimentazione.

Nel corso del 2010, tuttavia, alcuni nuovi impianti sono entrati in funzione e le richieste di qualifica IAFR10 che sono arrivate al GSE riguardano altri 20 impianti in fase di realizzazione per una potenza elettrica complessiva di poco superiore ai 20 MW. Si tratta ancora, ovviamente, di una tecnologia che gioca un ruolo marginale nel panorama della generazione elettrica da biomassa ma che, come per l’ORC nel pa-ragrafo precedente, ha fatto segnare una “derivata” di crescita particolarmente interessante.

8 Il syngas è costituito da una miscela di monossido di carbonio (CO), idrogeno (H2), metano (CH4), anidride carbonica (CO2) e vapore, azoto (N2). Contiene – dipendendo dal tipo di processo utilizzo e dalla materia prima impiegata per la gassificazione – vari contaminanti, quali ceneri, tar (composti da idrocarburi a roma tici di tipo catramoso), char (materiale solido che rimane dopo l’eliminazione dei gas leggeri) ed oli.9 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 44. 10 La qualifica IAFR (Impianti Alimentati da Fonte Rinnovabile) viene riconosciuta dal GSE ed è necessaria per il rilascio dei certificati verdi (SI VEDA CAPITOLO 2.1).

1.2 La gassificazione: stato dell’arte ed evoluzioni attese

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La TABELLA 1.2 riporta – con esclusione delle piatta-forme sperimentali Enea di Trisaia (SI VEDA BOX 1.3) i primi 10 impianti di gassificazione, classificati per potenza, attivi in Italia.La piccola taglia degli impianti privilegia ovvia-mente l’impiego di biomassa agroforestale anche se, dal punto di vista tecnologico, è possibile utilizza-re anche i rifiuti.

La trasformazione in syngas avviene a temperatura elevata (700÷1200 °C) ed in presenza di un agente gassificante (aria, vapore, ossigeno o un loro mix) e l’energia termica necessaria al processo si ottie-ne dall’ossidazione parziale della biomassa o viene fornita dall’esterno (gassificazione indiretta). La TABELLA 1.3, riporta le diverse tecnologie attual-mente disponibili e le loro principali caratteristi-che. In particolare appare evidente come la tecno-logia a letto fisso, la più “matura” fra le due, abbia caratteristiche soprattutto termiche e di scalabilità inferiori rispetto alla tecnologia a letto fluido, che è

tuttavia contraddistinta da maggiori costi. Ad oggi la tecnologia più diffusa, che ha già anche trova-to qualche applicazione commerciale (SI VEDA TABELLA 1.2), è infatti quella a letto fisso di tipo down-draft (equicorrente), il cui funzionamento – per un impianto tipo che utilizzi combustibile le-gnoso – è descritto nel BOX 1.4.

La gassificazione ha indubbiamente il pregio di avere in uscita un vettore energetico gassoso che quindi garantisce una maggiore facilità di tra-sporto e distribuzione, un elevato rendimento di combustione (anche per potenze medio-piccole) ed emissioni più contenute durante il processo di conversione. Tuttavia, rimangono sul tavolo una serie di problemi irrisolti che rendono il suo im-piego – soprattutto nell’ambito della generazione distribuita di energia da biomasse – ancora diffi-coltoso. Innanzitutto, è una tecnologia che ha una disponibilità, intesa come ore di funzionamento, soprattutto per le piccole taglie, piuttosto limitata

Il Centro Ricerche Enea di Trisaia, in località “Trisaia Inferiore”, nel comune di Rotondella (MT), nasce nel 1962 come centro di ri-processamento degli elementi esauriti del combustibile nucleare. Nella seconda metà degli anni ‘80 il Centro ridefinisce le proprie attività, nell’ambito di un programma di potenziamento delle strutture di ricerca scientifica e tecnologica del Mez-zogiorno, arrivando ad oggi ad operare su cinque ma-croaree di ricerca: fonti rinnovabili, biotecnologie, tec-nologie ambientali e dei materiali, radioprotezione.Le attività condotte presso Trisaia nel campo della gas-sificazione riguardano tutti gli aspetti più importanti del processo: dalla identificazione delle biomasse uti-lizzabili allo sviluppo di reattori di gassificazione in-novativi, dalla verifica di metodologie avanzate per la purificazione del gas alla dimostrazione dei sistemi di utilizzazione del gas.In aggiunta viene svolta attività di consulenza e sup-porto alle pubbliche amministrazioni, per la scelta e la verifica delle tecnologie più adeguate ad una data applicazione, e alle imprese nazionali per lo sviluppo e l’ingegnerizzazione di sistemi di gassificazione.

Presso la sede di Trisaia sono presenti 4 impianti speri-mentali le cui caratteristiche principali sono riportate di seguito:

• impiantoalettofluidoadariaarricchita/vaporedal-la capacità di 1 MWt;

• impianto a letto fluido ricircolante ad aria/vaporedalla capacità di 500 kWt;

• impianto a letto fisso updraft ad aria/vapore dalla capacità di 150 kWt;

• impiantoalettofissodowndraft ad aria/vapore dalla capacità di 150-450 kWt.

Presso questi impianti sperimentali viene studiato il processo chimico-fisico mediante il quale si trasfor-ma un combustibile solido (legno, scarti agricoli, ri-fiuti) in combustibile gassoso. La sperimentazione viene condotta su tutti i tipi di gassificatori utilizzati anche per produzione di energia elettrica a partire da biomasse tipiche regionali quali: olivo, cerro, quercia, scarti di origine agricola (gusci di mandorle, noccioli di albicocche).

Box 1.3 Il Centro Ricerche ENEA di Trisaia

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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(inferiore al 60% contro ad esempio l’oltre 90% del-la tecnologia per la produzione di energia elettrica da oli vegetali o della combustione tradizionale) e che risente in maniera significativa – a differenza di quanto visto ad esempio per gli ORC – delle va-riazioni di carico. In conseguenza di questo, una corretta alimentazione del processo, non soltanto per quantità ma anche per caratteristiche della biomassa12, assume un ruolo estremamente criti-co e richiede l’impiego di professionalità elevate sia nella fase di progettazione che di gestione e ma-nutenzione. Da ultimo, il controllo della “pulizia” del gas, ov-vero della presenza di contaminanti, e le relative azioni da intraprendere per garantire la buona effi-cienza del sistema appare piuttosto onerosa.Il costo di investimento – anche a causa delle com-plessità di cui sopra – è quindi ancora decisamente elevato, pari in media a 3/5 mln €/MW13, e ad esso si associa (soprattutto in considerazione della rela-tivamente ridotta “disponibilità” dell’impianto) un costo di generazione dell’energia elettrica supe-riore ai 20 c€/kWh.

La gassificazione al 1.2.1 plasma: una nuova frontiera tecnologica per il trattamento RSU

Il plasma è un gas ionizzato ad elevate tempera-ture costituito da una miscela elettricamente neu-tra di ioni ed elettroni. Le sue prime applicazioni risalgono ad oltre 40 anni fa ad opera dall’agenzia spaziale americana (NASA). In quella occasione è stata utilizzata una tecnologia al plasma all’interno del programma spaziale degli Stati Uniti per simula-re le temperature di rientro sullo scudo termico dei vettori. La tecnologia ha oggi svariate applicazioni che spaziano dall’industria metallurgica alla sin-tesi di alcuni materiali. In particolare, nell’ultimo decennio, è stata utilizzata per il trattamento dei rifiuti. Il processo, noto sotto il nome di gas-sificazione/vetrificazione al plasma, attraverso l’utilizzo di energia elettrica, converte la materia trattata in syngas ed in scorie vetrificate. Il syngas può essere utilizzato come combustibile e viene in

Tabella 1.3 Le tecnologie disponibili per gassificatori

Tecnologia

Letto fisso Letto fluido

Updraft Downdraft BFB CFB

Controcorrente Equicorrente Bollente Circolante

Scalabilità Limitata Molto limitata Buona

Caratteristiche termiche

Difficile scambio termico Scambio termico molto buono

Cattiva distribuzione della temperatura con presenza di punti caldi

Ottima distribuzione della temperatura con assenza di punti caldi

Possibilità di fusioni delle ceneri/canlizzazioni Buon contatto solido/gas

Lunghi periodi di preriscaldmaneto Avvio e arresto sempliciRiscaldamento molto

veloce

Alimentazione combustibile

Possibilità di usare grosse pezzature (fino a 100mm)

Dimensione massima limitata (fino 50 mm)

Possibilità di usare materie prime con alto contenuto di ceneri

Tolleranza verso la variazione nella qualità del combustibile

Necessità di dimensioni uniformi Possibilità di variazione della pezzatura

Pulizia gas

Basso contenuto di polveri

Alto contenuto di polveri

Alto contenuto di polveri nel gas prodotto

Alto contenuto di tar

Basso contenuto di tar Medio contenuto di tar

Costo 3-4 mln € /MWe 4-5 mln € /MWe

Fonte: rielaborazione su dati Agroenerlab

12 Un cambio delle proprietà chimiche della biomassa in input necessita, per garantire la corretta produzione di syngas, di ritarare i principali parametri di funzionamento dell’intero processo di gassificazione.

1.2 La gassificazione: stato dell’arte ed evoluzioni attese

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In un impianto di questo tipo il flusso di biomassa, comburente e gas va dall’alto verso il basso ed è caratte-rizzato da 4 processi termochimici diversi, innescati in sequenza dalla combustione:

• essiccazione: la biomassa, che entra nel gassificatorecon un tasso di umidità non superiore al 15%, si surri-scalda e perde tutto il contenuto idrico che si trasfor-ma in vapore acqueo. La biomassa entra nella zona di pirolisi in fase anidra (0% di umidità);

• pirolisi:èunprocessodidecomposizionetermochimi-ca della biomassa. Si innesca a temperature comprese tra 150 e 800° C, in assenza di ossigeno. I prodotti del-la pirolisi sono gassosi, liquidi e solidi, in proporzioni che dipendono dalla tipologia di biomassa (porosità, composizione chimica, peso specifico, potere calori-fico). In pratica, la biomassa si avvicina alla zona di combustione ed entra nel range di temperatura della pirolisi, che estrae e scompone gli idrocarburi dalla biomassa vegetale;

• combustione:èl’ossidazionedellabiomassaedeideri-vati della pirolisi in forte carenza di ossigeno, a 1.000-1.100 °C. L’aria comburente entra nella zona di com-bustione attraverso degli ugelli (da 4 a 10, a secondo della dimensione d’impianto) dimensionati per avere una combustione ipoaerobica (soffocata). Gli idrocar-buri vengono trasformati in gas;

• riduzione:igasprodottidallacombustionepassanoat-traverso un letto di carbone a circa 600-800 °C. Il letto di carbone, costantemente alimentato dalla combustione stessa, contribuisce a rigenerare il gas, aumentandone il potere calorifico. La riduzione agisce principalmente sul vapore acqueo e sull’anidride carbonica.

Il syngas prodotto dal legno ha mediamente un potere calorifico inferiore medio di 1.200 Kcal, e ne vengono prodotti 2,5 Nm3 11 per ogni Kg di biomassa (3.000 Kcal totali). Considerando quindi il potere calorifico del le-gno (3.700 Kcal) è possibile ottenere con queste tecnolo-gie efficienze di conversione in syngas dell’80%.

Box 1.4 Il funzionamento di un gassificatore a letto fisso downdraft

13 Il costo varia a seconda della tecnologia utilizzata e aumenta passando da tecnologie a letto fisso a tecnologie a letto fluido.

parte bruciato per ottenere l’energia necessaria al processo; le scorie vetrificate, che hanno un bas-so livello di rilascio di sostanze tossiche, possono essere impiegate come materiali da costruzione edili o civili.

La tecnologia della gassificazione al plasma of-fre la possibilità di trattare una grande varietà di rifiuti anche con un basso potere calorifico. Per questo motivo essa si pone come alternati-va al deposito in discarica ed all’incenerimento per qualsiasi tipo di rifiuto quali: (i) rifiuti tos-sici/pericolosi; (ii) reflui industriali; (iii) rifiuti ospedalieri; (iv) fanghi e reflui degli impianti fognari; (v) rifiuti Solidi Urbani (RSU).

L’ utilizzo di torce al plasma consente di operare a temperature elevate e perciò di convertire sostan-ze che sarebbero altrimenti difficili da trattare con tecnologie convenzionali. Per questo motivo, ed a causa di elevati costi di installazione ed ope-rativi, oggi l’uso è principalmente destinato allo smaltimento di rifiuti ad elevata tossicità e gli im-pianti sono di dimensioni ridotte.

Negli ultimi anni, tuttavia, la gassificazione al pla-sma degli RSU si sta affermando come una valida alternativa ai processi di smaltimento tradizionali per un più ampio spettro di rifiuti ed esistono sue applicazioni anche a biomasse legnose.

Gli impianti con capacità di smaltimento signi-ficative oggi esistenti si trovano in USA, Canada e Giappone. Il più grande di questi è l’impian-to di Utashinai (Giappone) con una capacità di smaltimento di circa 300 t/g e una produzione netta di energia corrispondete a circa 4 MW di potenza. Questo tipo di tecnologia, spesso erro-neamente considerata una combustione, non è ancora molto diffusa in Italia, dove si conoscono pochi esempi di impianti pilota. Uno di questi è presente nel Centro Ricerche del Gruppo ECO-TEC, situato nella zona industriale di Macchia-reddu, Uta (CA). La ECOTEC, che è impegnata da anni su più fronti nel campo del trattamento delle terre inquinate, ha portato avanti delle cam-pagne sperimentali sullo studio del trattamento di terreni contaminati da idrocarburi con tecno-logie al plasma freddo e del trattamento della gli-

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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cerina con tecnologie al plasma caldo. Il Gruppo ha inoltre sviluppato, ed è in procinto di commer-cializzare un processo basato sulla tecnologia al plasma caldo finalizzato alla gassificazione di ri-fiuti oleosi provenienti dalla raffinazione del pe-trolio. L’impianto, dalla capacità di 7000 t/anno circa, fornisce un’alternativa ai processi di trat-tamento esistenti e consente la valorizzazione di un rifiuto pericoloso, grazie alla produzione di syngas che può essere sfruttato all’interno del processo o, in alternativa, all’interno del processo produttivo della raffineria. In TABELLA 1.4 sono riportati i principali impianti per il trattamento di RSU operanti nel mondo.

Nel caso della gassificazione al plasma l’energia necessaria al processo viene fornita attraverso la ionizzazione del gas compreso tra due elet-trodi e la formazione dell’arco elettrico tra gli stessi. In questo modo si ha la trasformazione di energia elettrica in energia termica ed è possibi-le raggiungere temperature dell’ordine delle mi-gliaia di gradi Celsius. Questo, oltre a consentire il trattamento di sostanze refrattarie, produce elevati gradi di conversione, prossimi al 100%.Un impianto di gassificazione al plasma è princi-palmente costituito dalle quattro sezioni descritte nel seguito:

• sistemadipre-trattamentodellacarica;• fornacealplasma;• sistemaditrattamentodelsyngas;• sistemadirecuperodell’energia.

Pre-trattamento della caricaI rifiuti da trattare, se solidi, vengono conferiti con una dimensione delle particelle non omogenea e spesso troppo elevata per questo genere di impian-ti e devono perciò venire sminuzzati prima del trattamento. Una fase di essiccamento è inoltre richiesta nel caso in cui la carica abbia un elevato tenore di umidità come ad esempio accade nel caso di fanghi prove-nienti da impianti fognari. Durante questa fase la carica viene trattata al fine di portare il contenuto d’acqua al di sotto del 50% in peso. La presenza dell’acqua, infatti, influisce sulla composizione del-la gas di sintesi risultante e soprattutto, diluendo il gas, ne fa diminuire il potere calorifico.

Fornace al plasmaLa fornace al plasma è il componente centra-le del sistema di gassificazione/vetrificazione. All’interno del reattore si estendono due elettrodi di grafite sottoposti ad una elevata differenza di potenziale. Gli elettroni presenti nelle moleco-le del gas che si trova tra i due elettrodi, poiché sollecitati dal campo elettrico, escono dai propri orbitali ionizzando il gas e vanno ad urtare al-tre molecole che a loro volta si ionizzano. Si ha a questo punto la formazione dell’arco elettrico: si genera passaggio di corrente ed il gas ionizza-to si comporta come una resistenza trasforman-do energia elettrica in energia termica. In questo modo è possibile raggiungere tra gli elettrodi temperature molto elevate che possono anche superare i 10.000 °C; nella zona circostante agli

Tabella 1.4 I principali impianti per il trattamento di RSU con torcia al plasma operanti nel mondo

Materiali trattatiCapacità [t/giorno]

Data di avvio

Europa

Bordeaux, Francia Ceneri provenienti da RSU 10 1998

Nord America

Ottawa, Canada RSU 85 2007

Madison, Pennsylvania Biomasse, rifiuti edili 18 2009

Asia

Mihama-Mikata Giappone RSU, Reflui e fanghi impianti fognari 28 2002

Utashinai, Giappone RSU 300 2002

Kinura, Giappone Ceneri provenienti da RSU 50 1995

1.2 La gassificazione: stato dell’arte ed evoluzioni attese

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Tabella 1.5 Composizione tipica di un syngas prodotto da RSU mediante arco al plasma (%vol)

Componente Contenuto (%vol dove non specificato diversamente)

H2 32 - 35

CO 34 - 48

CO2 15 - 26

O2 ASSENTE

Ar 0,07 - 0,1

N2 0,18 - 5,8 (variabile a seconda del reforming medium utilizzato)

NOx ASSENTE

SO2 ASSENTE

SO3 ASSENTE

CH4 60 ppmv – 1930 ppmv

H2S 0 - 7590 ppmv (variabile a seconda del contenuto di zolfo nella carica)

CO2 0 - 176 ppmv (variabile a seconda del contenuto di zolfo nella carica)

NH3 0 - 0,62 ppmv (a valle del lavaggio e del raffreddamento)

THC 0-27 ppmv

Potere calorifico medio 11,2 MJ/Nm3 - 13 MJ/Nm3

elettrodi si raggiungono temperature dell’ordi-ne dei 4.000-6.000 °C; la temperatura nel resto del reattore è dell’ordine dei 1.500°C. Alle temperature mantenute all’interno della for-nace le molecole organiche e l’acqua contenute nella carica si dissociano nei propri costituenti, reagiscono con il gas plasmogeno, e si ricombi-nano formando principalmente monossido di carbonio, idrogeno e biossido di carbonio. La composizione del syngas derivato dipende dalla composizione della carica e dalle condizioni di esercizio. Nell’impianto di Utashinai, ad esempio, all’interno della fornace al plasma, sul fondo del reattore, viene introdotto del coke metallurgico in rapporto 1:20 ca. con la carica per aumentarne il potere calorifero (i rifiuti provengono dallo smal-timento delle auto) e favorire il processo di gassi-ficazione. La TABELLA 1.5 riporta la composizio-ne tipica di un syngas prodotto da RSU mediante arco al plasma (%vol).

I composti inorganici presenti nella carica, prin-cipalmente ossidi e metalli, vengono fusi e for-mano una scoria vetrificata stabile e inerte. La scoria vetrificata fusa viene recuperata dal fondo del reattore in continuo e solidificata in maniera automatizzata sotto forma di ghiaia. La composi-zione delle scorie è stata soggetto di diversi studi che ne hanno dimostrato la possibilità di sfrutta-mento come materiale da costruzione visto il basso

potenziale di rilascio di sostanze pericolose.In TABELLA 1.6 si riportano i valori di rilascio del-le scorie prodotte dalla gassificazione al plasma di RSU confrontati con i limiti EPA.

Le tecnologie esistenti si differenziano a secon-da del tipo di gas utilizzato e della configurazio-ne degli elettrodi. Il gas utilizzato per generare il plasma può essere di diverso tipo a seconda della finalità del processo: si utilizza ossigeno o aria nel caso in cui si vogliano promuovere rea-zioni di combustione o gassificazione; viene uti-lizzato un gas inerte (principalmente N2, He ed Ar) se si vogliono promuovere reazioni di piroli-si. Spesso, nel caso della gassificazione al plasma, al fine di controllare la composizione del gas, si utilizza una miscela di aria e vapore o solo vapore acqueo. In questo modo, come in altre tecnologie di gassificazione, si può controllare meglio il rap-porto H2/CO.

Per quanto riguarda invece la configurazione degli elettrodi si parla di “torce ad arco trasfe-rito” (tansferred arc torch) o “torce ad arco non trasferito”. Nel primo caso il materiale che deve essere trattato viene inserito all’interno di un ser-batoio che va a costituire l’anodo e deve perciò es-sere un materiale conduttivo. Nel secondo caso gli elettrodi hanno la semplice funzione di generare il plasma.

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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14 L’EPA (Environmental Protection Agency) è una agenzia del governo federale degli Stati Uniti che ha il compito di proteggere la salute umana e dell’ambiente, attraverso la definizione e l’applicazione delle normative e delle leggi approvate dal Congresso.

Tabella 1.6 Valori di rilascio delle scorie prodotte dalla gassificazione al plasma di RSU confrontati con i limiti EPA14

Metalli pesanti Limiti EPA [mg/L] Rilascio da scorie vetrificate [mg/L]

Arsenico 5 <0,1

Bario 100 <0,5

Cadmio 1 <0,02

Cromo 5 <0,2

Piombo 5 <0,2

Mercurio 0,2 <0,01

Selenio 1 <0,1

Argento 5,0 <0,05

Sistema di trattamento del syngasA valle della fornace al plasma è presente un si-stema per il trattamento dei gas con lo scopo di eliminare i gas acidi (HCl, SOx, …), il particolato sospeso e altre impurità presenti nei gas in uscita. Questo sistema è tipicamente costituito da:

• raffreddamentoadacquadelsyngasfinoatem-perature di 70-90 °C al fine di evitare la forma-zione di diossine ed altri prodotti tossici;

• una colonnadi lavaggioper l’eliminazionedeigas acidi;

• unoscrubber per l’eliminazione del particolato;• unassorbitorediH2S;• filtri appositi per l’intrappolamento dimetalli

pesanti e polveri sottili.

Sistema di recupero energeticoIl sistema di recupero energetico può essere basa-to su un ciclo vapore (Rankine), un ciclo gas o un motore a gas. La tipologia di ciclo e di impianto dipende dalla quantità e qualità del syngas pro-dotto.La TABELLA 1.7 riporta il bilancio di energia e l’efficienza energetica di un impianto di gassifi-cazione al plasma per il trattamento dei RSU.

La gassificazione al plasma è diventata negli ul-timi anni competitiva rispetto al convenzionale. Tra i vantaggi legati allo sfruttamento della nuova tecnologia si annoverano tutti quelli riguardanti l’esercizio ad alte temperature che, ad esempio, consente la conversione di rifiuti pericolosi al-

trimenti difficili da trattare in maniera sicura. Un altro fattore, sempre legato alle alte tempera-ture, consiste nella generazione del vetrificato. Attraverso la formazione di questo prodotto si ha una marcata riduzione del volume occupato dal rifiuto. Diversi studi riportano che la conver-sione attraverso un processo di gassificazione al plasma comporta una riduzione del volume fino a 1/50 della dimensione originale secondo il ri-fiuto trattato; nel caso di un processo di incene-rimento è possibile ridurre il volume sino a 1/3 di quello iniziale. Un valore aggiunto è costitui-to dalla commerciabilità del prodotto vetrificato. Ulteriore vantaggio della tecnologia è costitui-to dalle basse emissioni che vengono garantite da questa tipologia di impianti. La produzione di sostanze tossiche, e diossine in particolare, è di gran lunga ridotta rispetto a quella di un in-ceneritore e sicuramente al di sotto dei limiti si soglia consentiti. In TABELLA 1.9 è stato riporta-to il confronto tra le emissioni di un impianto con tecnologia al plasma per il trattamento di rifiuti ospedalieri a Richland, Washington ed i valori li-mite imposti dall’EPA.Molti rimangono però gli svantaggi, tra i quali si annoverano le difficoltà legate ad operare con gas ad elevata temperatura e gli alti costi di in-stallazione ed operativi che ancora oggi limitano la diffusione di questo tipo di impianti su larga scala. La TABELLA 1.8 sotto riportata presenta il confronto tra la tecnologia convenzionale e la gassificazione al plasma.

1.2 La gassificazione: stato dell’arte ed evoluzioni attese

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Energia [MJ/ ton RSU]

InputRSU 10.900

Elettricità alla torcia 2.204

Output

Perdite dalla torcia 362

Perdite dalle scorie 89

Perdite dal reattore 60

Altre perdite 1.278

Totale perdite -1.789

Energia termica del gas 1.291

Energia Chimica del gas (basato su HHV) 10.020

Recupero dell’energia termica ad elettricità (20% eff.)

Efficienza di conversione ad energia elettrica 0,3

Energia termica recuperata 0 258,2

Energia elettrica prodotta 3.006 3.264,2

Energia elettrica alla torcia -2.204 -2.204

Elettricità netta [MJ] 802 1.060,2

Eff. di conversione netta 7,4 9,7

Tabella 1.7 Il bilancio di energia e l’efficienza energetica di un impianto di gassificazione al plasma per il trattamento dei RSU

Tabella 1.8 Confronto tra la tecnologia convenzionale e la gassificazione al plasma

Inceneritore Gassificazione Al Plasma

Condizioni operative

Temperatura di fiamma:1.650°C -1.930°C Temperatura dell’arco elettrico: 10.000 °C

-15.000°C

Temperatura della camera di combustione:980°C-1.370°C

Temperatura della camera al plasma: 1.200°C -1.600

Proprietà

Progettato per massimizzare la conversione della carica a CO2 e H2O

Progettato per massimizzare la conversione della carica a CO e H2

Opera in forte eccesso di aria Impiega limitate quantità di ossigeno

Ambiente fortemente ossidante Ambiente riducente

Richiede ingenti quantitativi di combustibili fossili

È in grado di operare in assenza di combustibili ausiliari

Lavora a temperature sotto il punto di fusione delle ceneri. I materiali inorganici sono trasformati in ceneri considerate

rifiuto speciale.

Lavora a temperature sopra il punto di fusione delle ceneri. I composti inorganici

sono trasformati in scorie vetrificate.

Purificazione dei gas

Purificazione dei gas a pressione atmosferica

Purificazione dei gas ad elevata temperatura

Il gas trattato è rilasciato in atmosfera Il syngas prodotto viene utilizzato per la

produzione di energia o come materia prima per processi chimici

Residui e trattamento delle scorie

Le ceneri prodotte devono essere raccolte, trattate e inviate in discarica

come rifiuti speciali

Le scorie vetrificate sono inerti e possono essere impiegate in applicazioni edili e civili

Ingombri e volumi Richiede ampie superfici per le

infrastrutture e il trattamento dei gas Dimensioni compatte

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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Il biometano: stato dell’arte 1.3 ed evoluzioni attese

Il PAN (Piano d’Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili15, prima, con una menzione specifica della possibilità di impiego del biometano anche in Italia e il cosiddetto Decreto Rinnovabili del 3 mar-zo 201116, poi, con l’indicazione – ancora da definirsi però nell’ammontare e nelle modalità al momento dell’uscita di questo Rapporto – di un incentivo per la produzione e l’immissione in rete di biometano, han-no posto le basi per una crescita, almeno nell’in-teresse, verso questo tipo di tecnologia anche nel nostro Paese.In Italia ad oggi non esiste nessun impianto di pro-duzione di biometano. Anche in Europa, nonostan-te arrivino importanti segnali sia da Germania che dalla Svizzera, solo in Svezia si può riconoscere lo sviluppo di un vero e proprio mercato (SI VEDA FIGU-RA 1.4). Nel Paese scandinavo, infatti, grazie ad oltre 35 impianti di upgrading, il 25% del biogas prodotto viene “convertito” in biometano (da utilizzarsi anche per l’alimentazione degli oltre 17.000 veicoli a gas che contribuiscono al parco auto nazionale).Il biometano è una miscela costituita principalmen-te da anidride carbonica (CO2) e metano (CH4), ot-tenuta per successiva “purificazione” del biogas (SI VEDA TABELLA 1.10), ovvero del combustibile gasso-so ottenuto da biomasse solide o liquide di varia na-tura17. Con un caratterizzazione del tutto assimilabile a quella del gas naturale (e quindi di fonte fossile), il biometano può essere immesso nelle reti nazionali di distribuzione, può essere utilizzato come carburante per autotrazione, come materia prima per l’industria chimica nonché come fonte di energia per particola-ri processi high tech.Il passaggio da biogas a biometano avviene at-

traverso un processo appunto di purificazione che viene comunemente detto di upgrading, il cui obiettivo primario è quello di aumentare la con-centrazione relativa del metano presente nel bio-gas fino a un valore superiore al 95%.

Come mostrato in FIGURA 1.5, il processo di upgra-ding del biogas consta di due macrofasi principali:

• larimozionedeicomponentiminori;• larimozionedellaanidridecarbonica.

Rimozione di componenti minoriLa rimozione delle impurità risulta necessaria per prevenire la corrosione e l’usura dei componenti meccanici utilizzati nella seconda delle due macro-fasi del processo. Le principali operazioni in questo ambito riguardano la rimozione di acqua, acido sol-fidrico, ossigeno, azoto, ammoniaca, siliconi e parti-colato, e vengono di seguito brevemente descritte:

• rimozione di acqua: pur non essendo un com-ponente del biogas, all’uscita del digestore viene a formarsi del vapore acqueo che può nuocere alle tubature. L’operazione di rimozione dell’ac-qua è pertanto necessaria e può avvenire trami-te raffreddamento, compressione, assorbimento e adsorbimento (tramite ad esempio l’utilizzo di carboni attivi o agenti essiccanti). Le prime due tecniche menzionate permettono il passaggio di stato da gassoso a liquido dell’acqua, rendendo quindi più agevole la sua rimozione;

• rimozione dell’acido solfidrico: qualora il pro-cesso di precipitazione dell’acido solfidrico nel di-gestore non ne porti alla completa eliminazione, è necessario rimuoverlo successivamente per evita-re rischi di corrosione dei metalli. Questa opera-

15 Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili (Direttiva 2009/28/CE).16 Decreto Legislativo n. 28 del 3 Marzo 2011, articolo 19.17 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 89.

Tabella 1.9 Confronto tra le emissioni di un impianto con tecnologia al plasma per il trattamento di rifiuti ospedalieri a Richland (Washington) ed i valori limite imposti dall’EPA

mg/Nm3, 7%O2 Misurato Standard Epa

PM <3,3 20

HCl 2,7 40,6

NOx 162 308

SOx - 85,7

HC 0 50

Diossine/ Furani (mg/Nm3) 0,01 13

1.3 Il biometano: stato dell’arte ed evoluzioni attese

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zione può essere fatta con adsorbimento tramite carboni attivi, assorbimento chimico e trattamen-to biologico. Con la prima tecnica, l’acido solfidri-co è adsorbito dalla superficie interna dei carboni attivi, che ne permettono la permeazione trami-te pori di dimensione adeguata. L’assorbimento chimico, invece, implica un lavaggio del gas con idrossido di sodio (NaOH), il cui utilizzo è però consigliato per grandi volumi di gas o in caso di elevate concentrazioni di acido solfidrico. Infine, nel caso della desolforazione biologica, vengono utilizzati micro-organismi delle specie Thiobacil-lius e Sulfolobus;

• rimozione di ossigeno e azoto: le fasi precedenti necessitano della presenza di una piccola quantità d’aria; l’ossigeno e l’azoto così introdotti devono poi essere rimossi tramite adsorbimento con car-boni attivi o utilizzando particolari membrane;

• rimozione dell’ammoniaca: la fase di rimozione

dell’ammoniaca è necessaria quando non avviene spon-taneamente durante la fase di upgrading del biogas;

• rimozione dei siliconi: in alcuni casi (biogas proveniente da rifiuti solidi urbani e da fanghi, ad esempio) il biogas contiene anche dei siliconi (come ad esempio i siloxani). La rimozione di tali componenti avviene tramite raffreddamento del gas, adsorbimento con carboni attivi o ancora ri-mozione con alluminio attivo o gel di silicio;

• rimozione di particolato: per evitare che i residui di particolato presenti nel biogas influiscano sullo stato di usura dei componenti meccanici della fase successiva, l’ultima fase della rimozione di com-ponenti minori prevede che tali residui vengano rimossi tramite filtri meccanici.

Rimozione di anidride carbonicaQuesta rappresenta indubbiamente la macrofase principale nel processo di upgrading ed ha come output il biometano vero e proprio. La rimozione

Figura 1.4 Numero di impianti di upgrading in Europa

Num

ero

di im

pian

ti

4035

30

25

20

15

10

5

0Svizzera OlandaSvezia Germania Austria

Componenti % (in volume)

Metano 50% - 75%

Anidride carbonica 25% - 45%

Vapore acqueo 1% - 2%

Azoto 1% - 5%

Monossido di carbonio 0 - 0,3%

Acido solfidrico (o Idrogeno Solforato) 0,1% - 0,5%

Ammoniaca 0,01%

Idrogeno 0 - 3%

Ossigeno Tracce

Tabella 1.10 Composizione del biogas agricolo prima del processo di upgrading

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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Figura 1.5 Processo di upgrading del biogas

Raffreddamento

Compressione

Assorbimento

Raffreddamentodel Gas

Assorbimento con i carboni attivi

Rimozionecon alluminioattivo o gel di silicio

Precipitazione

Assorbimentotramitecarboni attivi

Assorbimentochimico

Trattamento

Assorbimento tramite carboni attivi

Rimozione tramite membrane

Filtrimeccanici

PSA

Lavaggio con acqua in pressione

Lavaggio chimico

Lavaggio con solventi organici

Rimozione con membrane separatrici

Separazione criogenica

Arrichimeno in situPolmone ecologico

RIMOZIONE DICOMPONENTI MINORI

RIMOZIONE DIANIDRIDE CARBONICA

Rimozione acqua (H 0)

Rimozione ossigeno e

azoto

Rimozione ammoniaca

(NH )

Rimozione siliconi

Rimozione particolato

Rimozione anidride

carbonica (CO )

BiometanoBiogasRimozione

acido solfidrico (H S)2

22

3

dell’anidride carbonica può avvenire con diversi metodi, alcuni ormai “classici” e tecnologicamente consolidati, altri il cui stato di sviluppo è per lo più embrionale, e che vengono brevemente descritti nel seguito:

• adsorbimento con variazioni di pressione (PSA, Pressure Swing Adsorption): mediante questa tecnica la riduzione di anidride carbonica avviene tramite adsorbimento con carboni attivi o zeoliti. Il procedimento di adsorbimento prevede diversi cicli di pressione lungo la superficie dei carboni attivi e, quando completamente libera da residui di metano, l’anidride carbonica così catturata vie-ne liberata nell’atmosfera, dando così la possibilità di rigenerare i materiali adsorbenti. L’attività vie-ne ripartita lungo alcune torri di “lavaggio” (4/6/9 recipienti operanti in parallelo) tra loro collegate in cui la pressione generalmente dell’ordine di 4-7 bar, viene modificata. Il PSA consente inoltre la re-immissione di anidride carbonica in circolo qualora l’adsorbimento avesse coinvolto anche un piccolo quantitativo di metano;

• assorbimento tramite lavaggio con acqua in pressione: le tecniche di upgrading tramite as-

sorbimento implicano il passaggio del biogas in una torre di lavaggio dove incontra un liquido as-sorbente in controcorrente in modo da sfruttare la maggiore solubilità dell’anidride carbonica ri-spetto al metano. La torre di passaggio è costruita in modo tale da creare la più ampia superficie di contatto tra liquido e gas. In uscita dal contenitore si avrà quindi, il liquido con una concentrazione di CO2 aumentata e il biogas che presenterà una concentrazione maggiore di metano. Le tecniche di assorbimento maggiormente utilizzate sono il lavaggio con acqua, il lavaggio amminico e il la-vaggio con solventi organici.La tecnica più utilizzata è quella del lavaggio con acqua (o water scrubbing). Il gas in uscita dalle torri di lavaggio è ricco di metano e acqua e dovrà, pertanto, subire un processo di essicazione (nei gas drier). Nel caso in cui l’acqua venga riutilizza-ta per lavaggi successivi, essa deve essere preven-tivamente trattata in una torre di de-sorbimento, nella quale incontra un flusso d’aria che provoca il rilascio dell’anidride carbonica in essa contenuta.L’assorbimento tramite lavaggio chimico (la-vaggio amminico) usa, invece, come solvente le ammine (monetil- o dimetil-ammina), le quali

1.3 Il biometano: stato dell’arte ed evoluzioni attese

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garantiscono che l’anidride carbonica non sia solo assorbita dal liquido, ma anche che reagisca chi-micamente con esso. La reazione chimica risulta altamente selettiva, permettendo di ottenere un gas in uscita qualitativamente elevato e allo stesso tempo riducendo le perdite di metano al minimo (<0,1%).Nell’assorbimento tramite lavaggio con solventi organici, infine, il processo è simile al lavaggio con acqua, con la sostanziale differenza di impie-gare un solvente organico quale il glicole etileni-co. L’anidride carbonica è maggiormente solubile in questo solvente che in acqua, il che comporta che a pari capacità di upgrading sia necessaria una portata di solvente minore e quindi dimensioni di impianto a loro volta più contenute.

Nella TABELLA 1.11 sono sintetizzate alcune delle caratteristiche che differenziano le principali tecni-che di separazione discusse.Accanto a queste tecniche ormai “consolidate”, ve ne sono altre ancora in fase di sperimentazione e che possono a loro volta essere distinte in due macro categorie:

• letecniche di upgrading alternativo. In particola-re sono allo studio presso il centro ENEA di Brin-disi delle membrane separatrici, permeabili ad anidride carbonica, acqua e ammoniaca, che per-mettono di aumentare la concentrazione di meta-no fino a oltre l’85% (un valore quindi interessan-te anche se ancora lontano dai requisiti richiesti dal mercato). Altri operatori stanno mettendo a punto un processo di separazione criogenica che si basa sulla differenza nel punto di ebollizione / sublimazione tra i diversi componenti del biogas. Il gas viene raffreddato fino a temperature per cui l’anidride carbonica condensa o sublima e può quindi essere separata dal metano, che a suddette temperature non subisce una transizione di fase. In questo modo è possibile rimuovere anche ac-qua e siliconi eventualmente presenti. I costi di questa tecnologia sono però al momento ancora elevati. Infine, alcuni ricercatori stanno lavoran-do al progetto – per il momento ancora lontano dall’applicabilità concreta – cosiddetto “polmone ecologico”, ovvero di una tecnologia che prevede l’utilizzo di un enzima catalizzatore in grado di dissolvere l’anidride carbonica presente nel biogas e permetterne quindi la rimozione;

• l’arricchimento del metano in situ. L’anidride carbonica è in parte solubile in acqua, di conse-

guenza tracce di questo componente si troveran-no dissolte già nei liquami all’interno del dige-store che “genera” il biogas. L’arricchimento del metano in situ consiste quindi nel veicolare parte dei liquami in una torre di de-sorbimento, in cui i fanghi sono attraversati da un flusso d’aria che provoca il rilascio dell’anidride carbonica in essi contenuta. La costante rimozione del biossido di carbonio dai liquami comporta un aumento della concentrazione di metano in uscita dal digesto-re. Questa tecnologia risulta semplice e partico-larmente promettente dal punto di vista dei co-sti, in quanto non necessita di impianti ausiliari tecnologicamente avanzati. D’altro canto, tuttavia, le sperimentazioni sino ad ora condotte hanno portato a concentrazioni di metano non superiori all’87%.

Prima dell’immissione in rete il biometano ottenuto tramite upgrading del biogas deve essere sottoposto ad ulteriori trattamenti, che vanno sotto il nome di post treatment e consistono di:

• condizionamento,tramiteilqualevieneaggiuntopropano per raggiungere il potere calorifico desi-derato;

• odorizzazione, trattamento che consiste nell’ag-giunta di una sostanza odorante grazie alla quale è possibile percepire eventuali perdite o fughe dal sistema di distribuzione;

• regolarizzazionedellapressione,cherappresentauno dei problemi più significativi, soprattutto se è necessario immettere il biometano in condotte ad alta pressione (>12 bar).

I costi del processo di upgrading sono ancora ele-vati (SI VEDA PARAGRAFO 3.1.4) e tali da rendere giustificato un impianto di questo tipo solo per una produzione minima di 240 Nm3/h, corrispondenti ad una taglia di impianto a biogas da 0,5 MWe.Soprattutto rappresenta un problema – questa volta non di natura tecnologica, ma tecnica – la immissione in rete per la quale, nonostante l’Italia sia caratterizzata da una rete particolarmente capil-lare anche di media e bassa pressione, ancora non sono disponibili i requisiti tecnici per la immissione (SI VEDA PARAGRAFO 3.1.4) a differenza di quanto ad esempio accade in altri Paesi europei (SI VEDA TABELLA 1.12).

Il biometano, tuttavia, come già accennato all’ini-zio di questo paragrafo può essere utilizzato an-

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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che come combustibile per auto. Un progetto mol-to interessante in questo ambito è il GasHighWay, finanziato dall’Unione europea ed i cui dettagli sono riportati nel BOX 1.5.

Il trattamento dei nitrati 1.4 (post produzione del biogas): stato dell’arte ed evoluzioni attese

Se nel paragrafo precedente si è fatto riferimento all’impiego del biogas per la sua “trasformazione” in biometano, vale la pena affrontare – sempre con riferimento al medesimo input – il tema del tratta-mento dei nitrati, che rappresentano uno dei resi-dui del processo di “generazione” del biogas che impiega effluenti zootecnici come materia prima.Tradizionalmente gli effluenti zootecnici (letami e liquami animali) venivano impiegati, eventual-mente dopo opportuni trattamenti, come concimi ad elevato tenore di azoto. Questi ultimi, tuttavia, sono particolarmente ricchi in Nitrati (NO3), ovve-ro di una forma minerale dell’azoto che si forma nel terreno e si solubilizza in acqua e che in concentra-zione elevata rappresenta un inquinante del suolo e, soprattutto, delle acque superficiali e sotterranee. La normativa di salvaguardia del territorio è anda-ta evolvendosi in maniera sempre più stringente negli ultimi anni (SI VEDA BOX 1.6) soprattutto in quelle aree come il cosiddetto Bacino Padano-Ve-neto-Friulano dove più alta è la concentrazione di allevamenti animali.L’utilizzo degli effluenti zootecnici come materia

Tabella 1.11 Confronto tra le tecnologie disponibili di rimozione dei nitrati

Tecnica di separazione PSALavaggio con

acquaLavaggio con

solventi organiciLavaggio amminico

Prestazioni caratteristiche

Necessità di Prelavaggio

SI NO NO SI

Pressione di esercizio (bar)

4 – 7 4 – 7 4 – 7 Pressione ambiente

Perdite di metano (%)

3 – 10 1 – 2 2 – 4 < 0,1

Contenuto di metano (%)

> 96 > 97 > 96 > 99

Consumo elettrico (kWh/Nm3)

0,25 < 0,25 0,24 – 0,33 < 0,15

Fabbisogno termico (°C)

NO NO 55 – 80 160

Regolarità processo a regime

(%)± 10 – 15 50 – 100 50 – 100 50 – 100

Impianti operativi (Ottobre 2009)

> 20 > 20 3 3

PaeseContenuto energetico minimo

richiesto

Svizzera 96% metano

Francia 34,2 MJ/Nm3

Svezia 11 kWh/Nm3

Germania 87% metano

Tabella 1.12 Caratteristiche richieste al biometano per l’immissione in rete nei principali Paesi europei

1.4 Il trattamento dei nitrati (post produzione del biogas): stato dell’arte ed evoluzioni attese

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prima per la produzione di biogas era stato ini-zialmente pensato come un modo per risolvere il problema, ipotizzando che il processo di digestione potesse abbattere il contenuto di nitrati presenti del digestato che viene ancora utilizzato come concime (SI VEDA CAPITOLO 3.3).In realtà gli studi condotti sugli impianti esisten-

ti hanno identificato un effetto di abbattimento quasi trascurabile. Il quantitativo di azoto nel digestato, infatti, è funzione di quello presente nei substrati di partenza (SI VEDA TABELLA 1.15) poiché l’azoto totale rimane invariato lungo il pro-cesso di digestione e subisce solo una trasformazio-ne chimica (mineralizzazione) che da azoto preva-

Il progetto GasHighWay coinvolge attori provenienti dai più importanti Paesi dell’Europa ed ha il duplice obiet-tivo di accrescere la domanda per i veicoli alimentati a gas, biometano e CNG, e di espandere la rete di di-stribuzione del gas naturale e del biometano in Europa. L’azione in logica push mira ad aumentare la presenza di stazioni di rifornimento dedicato così come gli investi-menti riguardanti le tecnologie di upgrading. Il target di questo progetto, le cui caratteristiche sono riportate nel-la tabella di seguito, è rappresentato da aziende private proprietarie di importanti flotte di veicoli, autorità locali e regionali, produttori di biogas, compagnie distributri-

ci di carburante, proprietari e costruttori di autoveicoli con le rispettive associazioni di categoria e gli istituti di ricerca.Attualmente, a più di un anno dall’inizio del progetto, tutti i partner hanno mappato i fattori considerati rile-vanti e hanno fornito informazioni precise per delineare casi di best practice, è stata tracciata una mappa delle sta-zioni di rifornimento esistenti ed è stato pubblicato un report nazionale (disponibile sul sito del progetto www.gashighway.net) per ognuno dei Paesi europei con un partner nel quale descrivere lo stato attuale e le potenzia-lità per la produzione sostenibile di biogas e biometano.

Box 1.5 Il progetto GasHighWay

Titolo Progetto GasHighWay

Quadro di riferimento Programma Intelligent Energy – Europe Programme

Durata del progetto 3 anni

Data inizio progetto Maggio 2009

Partner

Jyväskylä Innovation Ltd, nel ruolo di coordinatore di progetto

Environment Park S.p.a

ETA – Energia, Trasporti, Agricoltura

Technology Centre Hermia Ltd.

Svedish Gas Centre Hermia Ltd.

Monus Minek SEES LLC – Estonia

Regional Development Agency S.A. – Polonia

Czech Biogas Association – Repubblica Ceca

German Society for Sustainable Biogas and Bioenergy Utilization – Germania

Graz Energy Agency Ltd. – Austria

Steirische Gas-Warme – Austria

Institute for Fuels and Renewable Energy – Polonia

Natural Gas Vehicle Association Europe - Spain

Tabella 1.13 Il progetto GasHighWay

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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Figura 1.6 Numero di impianti e rispettiva tecnologia per l’upgrading di biogas in Europa

PSA

4

9

Membrane

Lavaggio Chimico

Lavaggio ad acqua

Tecnoligie ”alternative”

16

22

26

lentemente organico lo porta nella forma di azoto ammoniacale, forma prontamente assimilabile dalle colture. Se il passaggio da effluente zootecnico “puro” a digestato, quindi, favorisce addirittura l’efficacia concimante è altrettanto vero che per risolvere il problema del rispetto delle norme di legge di fatto sta divenendo sempre più stringente l’obbligo per i produttori di biogas di interveni-re sul digestato per ridurne il tenore di nitrati ed evitare eventuali sanzioni.L’ oggetto di questo paragrafo sono le tecnologie a questo scopo utilizzate e che, proprio in conseguen-za della citata evoluzione della normativa, sono via via sempre più impiegate dagli operatori del setto-re.

Le tecnologie attualmente a disposizione si di-stinguono fondamentalmente in due macro-cate-gorie:

•quelle “conservative”, ovvero che permettono di recuperare l’azoto in prodotti “nobili” che pos-sono essere economicamente valorizzati;

•quelle “distruttive”, ovvero che rimuovono l’azo-to rendendolo inutilizzabile.

In entrambi i casi è tuttavia necessario che il di-gestato venga pre-trattato ed in particolare che si proceda alla separazione fra la frazione solida e la frazione liquida, che contiene la maggior parte dei nitrati. La separazione avviene attraverso processi meccanici, e quindi mediante vagli, stacci, presse a vite, filtropresse a nastro e centrifughe. Le centrifu-ghe permettono maggiori efficienze di separazione,

trattenendo anche le particelle più fini (0,02 mm) ma a fronte di maggiori consumi energetici e quindi di costi. La separazione meccanica genera un solido palabile (con circa il 20-30% di sostanza secca) e un liquido con basso tenore di solidi (circa il 2-8% di sostanza secca), consentendo una gestione agrono-mica più flessibile, nonché una riduzione dei volu-mi di stoccaggio. Il trattamento non porta ad una effettiva rimozione dell’azoto presente, ma compor-ta una redistribuzione dello stesso.La frazione solida (anche detta “palabile”) vie-ne fatta evaporare. L’evaporazione – che avviene con energia termica generata dalla stessa materia prima (e quindi non richiede l’apporto di energia dall’esterno) – consente di produrre un solido es-siccato ricco di azoto organico che ha un suo di-retto utilizzo come ammendante ed una ulteriore soluzione liquida ricca di sali di ammonio che deve essere soggetta ad ulteriori trattamenti e quindi va ad aggiungersi alla frazione liquida inizialmente se-parata.Le tecniche “conservative” che si applicano alla frazione liquida hanno alla base dei processi fi-sico-chimici rivolti ad estrarre e “concentrare” l’azoto. Questi processi sono solitamente molto efficienti (con possibilità di raggiungere efficienze di rimozione dell’ammoniaca > del 90%) ma sono anche caratterizzati da costi relativamente eleva-ti (alto utilizzo di reagenti, ad esempio la calce per aumentare il pH della soluzione, elevati consumi energetici per il riscaldamento e l’aerazione e costi per il trattamento e lo smaltimento dei residui). Si tratta infatti di tecnologie ormai consolidate ma il cui impiego – assai diffuso nei processi industriali

1.4 Il trattamento dei nitrati (post produzione del biogas): stato dell’arte ed evoluzioni attese

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e soprattutto nella depurazione civile – ha ancora scarsa applicazione in campo zootecnico. In par-ticolare, giocano a sfavore in questo ultimo caso le scale degli impianti, solitamente più ridotte rispetto al campo di applicazione “naturale” di queste tecno-logie: si pensi ad esempio che un depuratore civile per una cittadina di 100.000 abitanti “elabora” 800 m3/h di fanghi, mentre un impianto zootecnico da 1 MWe (la taglia più diffusa in Italia) non arriva che a 3,3 m3/h.Fra le tecniche più diffuse è possibile ricordare lo strippaggio dell’ammoniaca che è un processo di tipo fisico attraverso il quale viene rimosso l’azoto ammoniacale dalle acque reflue, quando questo sia presente in basse concentrazioni e per basse porta-te di acqua e permette la vendita dell’output diret-tamente come fertilizzante. Il funzionamento del processo richiede tuttavia energia termica che solo in parte può essere generata internamente dagli effluenti zootecnici ed è quindi necessario utilizzare anche colture dedicate (come ad esem-pio mais, soia e sorgo) oppure fornire energia ter-

mica dall’esterno. In entrambi i casi i costi (e nel primo caso anche la complessità organizzativa per il reperimento della materia prima) sono però più elevati.L’output del processo può essere utilizzato come concime minerale oppure come fertilizzante.

Le tecniche “distruttive” invece si basano su processi biochimici, ovvero sulla “ingestione” dell’azoto da parte di organismi microbici – gene-ralmente batteri che vengono poi periodicamente separati ed allontanati dal sistema – oppure nella sua “trasformazione” in metaboliti gassosi. Una delle tecniche più diffuse, anche in ambito zo-otecnico, è quella della nitrificazione/denitrifi-cazione convenzionale. Il processo – che è for-temente energivoro ed ha costi ancora elevati (3,4-6,6 €/m3 trattato stimato da un recente studio della Regione Lombardia) – comporta l’ossidazio-ne dell’azoto in nitrato grazie a batteri nitrificanti autotrofi e la successiva riduzione del nitrato a gas N2 grazie all’impiego di batteri eterotrofi.

Box 1.6 La normativa sui nitrati

A seguito della Direttiva Nitrati (91/676/CEE) che pro-muove la razionalizzazione dell’uso in agricoltura dei composti azotati e prevede che i fertilizzanti distribuiti non eccedano i fabbisogni delle colture, sia per i conci-mi di sintesi che, in caso di utilizzo di matrici organiche, per effluenti zootecnici, sono essenzialmente 3 i decreti che regolano la problematica dei nitrati a livello nazio-nale:

• il DecretoMinisteriale 19 aprile 1999, che adotta ilCodice di Buona Pratica Agricola (CBPA), formula una serie di prescrizioni per ridurre l’impatto am-bientale dell’attività agricola, attraverso una più atten-ta gestione del bilancio dell’azoto/pratiche agricole. Le prescrizioni indicate sono obbligatorie nelle ZVN (Zone Vulnerabili ai Nitrati) e fanno parte delle mi-sure contenute nei Programmi di Azione. Al di fuori delle ZVN, tali misure sono applicabili a discrezione degli agricoltori. Le Regioni, qualora lo ritengano op-portuno, possono integrare il CBPA in relazione a esi-genze locali. Il CBPA prevede indicazioni sull’uso dei fertilizzanti in particolari condizioni dei terreni, o in

determinati periodi dell’anno, sulla gestione dell’uso del terreno e il mantenimento della copertura vegeta-le, sulle lavorazioni, la struttura e le sistemazioni del terreno, sulla gestione degli allevamenti e delle relative strutture, sul controllo e il trattamento degli effluenti di origine zootecnica;

• ilD.lgs.3aprile2006,n.152costituisceilriferimen-to in materia di tutela ambientale. In particolare sono due gli articoli strettamente correlati alla problematica nitrati: il 92 e il 112. L’articolo 92 stabilisce: i criteri di individuazione delle ZVN, i criteri per la stesura dei Programmi d’Azione da parte delle Regioni, che de-vono anche predisporre e attuare interventi di forma-zione e informazione degli agricoltori sui Programmi stessi e sul CBPA. L’articolo 112 disciplina i criteri generali relativi all’utilizzazione agronomica degli ef-fluenti di allevamento, successivamente dettagliata dal Decreto Ministeriale 7 aprile 2006 del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MIPAF);

• ilDecretoMinisteriale7aprile2006delMIPAF“Crite-ri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di alleva-

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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Figura 1.7 Percentuale di ZVN in alcune regioni del nord Italia

Percentuale del territoriodi pianura

Piemonte 54%Lombardia 56%Emilia-Romagna 57%Veneto 60%Friuli Venezia Giulia 53%

Fonte: Ministero dell’Ambiente, elaborazione dati dati delle Regioni

1.4 Il trattamento dei nitrati (post produzione del biogas): stato dell’arte ed evoluzioni attese

mento” (articolo 112 D.lgs. 152/2006) detta gli indi-rizzi tecnici riguardanti l’intero ciclo di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento: produzio-ne, raccolta, stoccaggio, fermentazione e maturazio-ne, trasporto e distribuzione, sia nelle zone vulnera-bili, sia in quelle non vulnerabili. Il Decreto prevede norme specifiche sull’uso dell’azoto che riguardano in particolare le modalità di somministrazione (perio-do, dosaggio) e le relative restrizioni territoriali (es. distanza dai corsi d’acqua) e temporali (es. divieti di spandimenti invernali). In contesti territoriali carat-terizzati da un surplus di azoto, il Decreto Ministe-riale prevede il ricorso a ulteriori misure per ridurre l’azoto, tra le quali strategie di gestione integrata de-gli effluenti e soluzioni impiantistiche e tecnologiche quali rimozione biologica, strippaggio, digestione anaerobica con produzione di energia da biogas, ecc. Il Decreto Ministeriale include inoltre un’apposita se-zione (Titolo V) che sancisce criteri e norme tecniche per la predisposizione dei Programmi di Azione.

L’Unione Europea fissa in 170 Kg/ha di azoto da effluen-ti zootecnici il limite annuo di immissione nelle zone vulnerabili ai nitrati (ZVN). Questo provvedimen-to interessa molte Regioni del Nord Italia se si pensa che, dall’ultima analisi ministeriale condotta nel 2008, è risultato che mediamente più del 50% del terreno di Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna è classificato come ZVN (SI VEDA FI-

GURA 1.7). Inoltre la stessa indagine ha anche registrato anche un preoccupante trend con la superficie di ZVN che dai 12.701 km2 del 2003 è più che raddoppiata per raggiungere i 27.541 km2 nel 2008. L’Italia ha presenta-to una richiesta di deroga, attualmente in fase avanzata di valutazione da parte della Commissione Europea, a 250 kg/ha del carico massimo che può essere distribui-to annualmente nelle zone vulnerabili, ovvero nel citato Bacino Padano-Veneto-Friulano: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. La decisione europea è slittata nel corso del 2011. Infatti prima della votazione di questa proposta da parte del Comitato nitrati e quindi della decisione della Commis-sione Ue l’Italia dovrà aggiornare i piani d’azione regio-nali che stabiliscono le regole da seguire per rientrare nei parametri della direttiva e sottoporre i nuovi piani alla Vas (Valutazione ambientale strategica) per verificare ex ante gli impatti ambientali. Mentre il dossier scientifico che motiva la richiesta italiana è intanto già completo e da mesi è in corso il negoziato per un aggiornamento di questa documentazione in base alle modifiche chieste dai tecnici Ue. Nel Maggio 2011 inoltre è stato deciso durante la Conferenza Stato Regioni di effettuare un ul-teriore aggiornamento delle zone vulnerabili e l’adegua-mento dei Piani di azione per poter sostenere la richie-sta di Deroga in sede comunitaria. Deroghe analoghe, peraltro, sono state già concesse ad aree di altri Stati che si trovavano in condizioni simili, come riportato nella tabella seguente:

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Stato/RegioneQuantità di azoto anno da effluente zootecnico

consentitaCondizioni per la deroga

Decisione della Commissione

AustriaFino a 230 kg N/ha da

effluenti di allevamenti boviniOltre il 70% di colture ad elevato

consumo di azoto

2006/189/EC3;Scaduta il 31 Dicembre

2007

Fiandre(Belgio)

Fino a 250 kg/ha per prato e mais in doppia coltura; fino a 200 kg/ha per

frumento abbinato a coltura di copertura, barbabietola.

Il trattamento dell’effluente tramite separazione solido/liquido deve garantire almeno il 35% di efficienza per l’azoto; la frazione solida risultante deve essere consegnata a impianti autorizzati per

essere riciclata.

2008/64/EC4

Vallonia(Belgio)

Fino a 230 kg/ha su prati;su altre colture massimo

115 kg/ha

Almeno il 48% della SAU18 a prato permanente; no a colture leguminose

(eccezione per i prati con trifoglio fino al 50%).

2008/96/EC5

Irlanda Fino a 250 kg/ha

Almeno l’80% della SAU a prato permanente o avvicendato;

no a colture leguminose (eccezione per i prati con trifoglio fino al 50%).

2007/697/EC6

GermaniaFino a 230 kg/ha su prato

a produzione intensiva

Prato permanente o temporaneo (almeno 4 anni) con almeno 4 tagli o

3 tagli più un turno di pascolamento; il prato a produzione intensiva non deve contenere leguminose. Consentito un

prato misto con un massimo del 50% di trifoglio.

Prorogato dalla Decisione della Commissione 2009/753/EC8

DanimarcaFino a 230 kg/ha da

effluenti di allevamenti bovini

Oltre il 70% di colture ad elevato consumo di azoto come prati o

barbabietole e di altre colture intercalate da prati con un basso potenziale di

lisciviazione dei nitrati; no a colture leguminose (eccezione per i

prati con trifoglio fino al 50%).

2002/915/EC9;Sostituito dalla Decisione

della Commissione 2005/294/EC10;

prorogato dalla Decisione della Commissione 2008/664/EC11

Olanda Fino a 250 kg/ha

Almeno il 70% della SAU a prato permanente o avvicendato;

se la rotazione comprende leguminose si abbassa la dose di azoto in proporzione.

2005/880/EC12

Inghilterra Scozia Galles

(Regno Unito)Fino a 250 kg N/ha

Almeno l’80% della SAU a prato permanente o avvicendato

2009/431/EC13

Irlanda del Nord(Regno Unito)

Fino a 250 kg N/haAlmeno l’80% della SAU a prato

permanente o avvicendato2007/863/EC14

18 SAU, superficie agricola utilizzata.

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

Tabella 1.14 Deroghe alla direttiva nitrati concesse ad alcuni Paesi europei

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In alternativa, sono presenti processi che utilizza-no il principio di separazione a membrana (mem-brane bioreactors) che hanno efficienze di separa-zione dell’azoto anche prossime al 98%, ma la cui applicabilità (sia in termini di costi che di effettivi rendimenti) agli effluenti zootecnici è ancora in fase di sperimentazione. Si possono in particolare citare due processi:

• il processoSHARON (Single reactor system for High Ammonia Removal Over Nitrite) che con-verte l’ammonio a nitrito. Il processo opera con tempi di ritenzione del fango molto brevi ed è quindi necessario un volume di reazione molto più ridotto rispetto alla normale nitro-denitro ma è fondamentale il controllo della temperatura di processo in quanto si sfrutta il fatto che a tempe-rature abbastanza elevate (30 - 40 °C) i micror-ganismi nitrito-ossidanti hanno tassi di crescita inferiori rispetto ai microrganismi ammonio-ossidanti. Rispetto ai trattamenti convenzionali, il processo SHARON permette un risparmio del 25% dell’energia necessaria all’ossigenazione della massa e del 40% di fonte di carbonio esterna per la crescita dei batteri denitrificanti;

• ilprocessoANAMMOX (ANaerobic AMMonium OXidation) che converte l’ammonio direttamente ad azoto molecolare. Rispetto alla nitro-denitro tradizionale, questa denitrificazione autotrofa ha emissioni di CO2 significativamente inferiori (fino al 90%) e consumi di energia anch’essi ridot-ti del 60%. La lenta crescita della popolazione di microrganismi ANAMMOX causa però tempi di start-up estremamente lunghi e rende molto diffi-coltosa la gestione dei transitori.

E’ interessante sottolineare come la necessità di energia termica che caratterizza, a livelli più o

meno elevati, tutti i processi visti prima è tuttavia reperibile “gratuitamente” sotto forma di recu-pero calore (altrimenti disperso) in un impianto a biogas per la produzione di energia elettrica. Il BOX 1.7 riporta il caso di un impianto tipo e mostra i benefici economici complessivi del suo impiego per supportare il processo di trattamento dei nitrati. In questo caso poi, il reperimento di energia termica è molto più semplice e non richiede l’utilizzo di coltu-re dedicate e/o lo sviluppo di impianti ad hoc, tanto che alcuni degli operatori del settore (SI VEDA IL CAPITOLO 3.3) vedono nel prossimo futuro lo svi-lupparsi di impianti biogas che abbiano il “com-ponente” di trattamento dei nitrati come add on o addirittura già compreso nell’offerta.

Gli impianti ad oli vegetali 1.5 per la produzione di energia elettrica

Nella passata edizione del Biomass Energy Report19

si è trattato diffusamente dell’utilizzo degli oli ve-getali per la produzione di biodiesel e si è parlato in particolare delle diverse tipologie di piante ole-oginose con particolare riferimento a quelle (colza, girasole e soia) che sono maggiormente adatte alla coltivazione sul territorio italiano e più in generale nell’Europa. Gli oli prodotti dalla macinazione dei semi di queste piante, tuttavia, possono trovare un impiego diretto – decisamente preponderante se si considera che in Italia (si veda più nel dettaglio il CAPITOLO 5.2) la potenza installata in impianti di questo tipo è di circa 600 MW – per la produzione di energia elettrica.In questo caso, il dato rilevante è quello relativo alla resa in olio per ettaro (che è funzione del contenu-to percentuale di olio rispetto al peso della pianta)

Substrato Azoto (% sostanza secca) Azoto (kg/t di fresco)

Liquame bovino 2,6 - 6,7 4,42

Liquame suino 6 -18 8,4

Pollina 5,4 17,28

Silomais 1,1 - 2 4,26

Colletto e foglie di barbabietola 0,2 - 0,4 0,48

Marcomela 1,1 3,85

Sfalci d’erba 2 - 3 3

Tabella 1.15 Contenuto di azoto per tipologie di substrato

1.5 Il trattamento dei nitrati (post produzione del biogas): stato dell’arte ed evoluzioni attese

19 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 166.

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come riportato nella TABELLA 1.16. Accanto alle ti-piche coltivazioni europee si sono anche riportate la palma e la jatropha, che rappresentano su scala mondiale rispettivamente une delle principali fon-ti di olio vegetale per uso energetico (oltre 30% del mercato ) e la coltivazione con maggiore potenziali-tà di espansione per questi fini.Gli impianti per la produzione di energia elettrica da oli vegetali sfruttano tecnologie mature e conso-lidate. In particolare si compongono solitamente di:

• serbatoi di stoccaggio, la cui presenza e capaci-tà dipende dall’autonomia di gestione richiesta e dalla catena di approvvigionamento (che però nella maggior parte dei casi, come si vedrà anche più avanti, è molto lunga visto che la materia pri-ma viene importata dall’estero);

•un impianto di pretrattamento dell’olio, gene-ralmente costituito da cisterne a doppia parete con serpentine dove l’olio viene riscaldato, sino a 60-70 °C per l’olio di palma ma generalmente a temperature dell’ordine di 30 – 35 °C, e subisce qualche trattamento di filtraggio e purificazione;

• l’impianto di produzione di energia elettrica vero e proprio che è un “normale” motore endotermi-co – di tipo navale ad altissima affidabilità (supe-riore al 90%) e con rotazioni che non superano i 750-1.000 giri/minuto – collegato ad un alternatore e al sistema di connessione alla rete di distribuzione (eventualmente preceduto da un impianto di eleva-zione della tensione per raggiungere gli standard di rete). Il motore endotermico ha una durata me-dia di circa 20 anni e richiede revisioni periodiche ogni 7/8 anni;

• eventuali apparecchiature per il recupero del calo-re, visto che l’utilizzo cogenerativo dell’impianto è solitamente adottato poiché consente, da un lato, di

non sostenere i costi energetici del pretrattamento e, dall’altro lato, di poter usare il calore di recupero anche per alimentare processi industriali diversi o utilizzi civili (ad esempio piccole reti di teleriscalda-mento) locali.

Un impianto da 1 MW elettrico occupa uno spazio relativamente contenuto di circa 500 m2, richiede un investimento di circa 1,5 mln € e può funzio-nare per circa 8.000 ore anno, garantendo quindi una produzione di circa 8 GWh di energia. Dal mo-mento in cui si avviano le procedure per la richiesta delle autorizzazioni e si procede con la realizzazione dell’impianto, al momento della messa in funzione dell’impianto passano circa 10 mesi di tempo.Tenendo conto del sistema di incentivazione attual-mente in vigore (0,28 €/kWh in caso di olio traccia-bile di provenienza europea, 0,18 €/kWh in caso di olio importato extra europeo, come meglio descrit-to nel CAPITOLO 5.2) e del costo di approvvigiona-mento medio della materia prima, si tratta di un investimento che si ripaga in 6 anni e garantisce ritorni dell’ordine del 15-20% se lo si alimenta a girasole (costo medio 850 €/tonnellata nel 2010). La possibilità di impieghi cogenerativi (ipotizzan-do semplicemente di utilizzare il calore in proces-si industriali e quindi di risparmiare 0,75 €/metro cubo equivalente di gas) riduce di un ulteriore 20% mediamente i tempi di rientro e garantisce un ri-torno aggiuntivo stimabile in un incremento di 3-4 punti percentuali a seconda dell’entità del re-cupero. I numeri visti sopra, unitamente alla ma-turità della tecnologia e alla relativa semplicità di impiego, rendono questi impianti estremamente interessanti dal punto di vista dell’investimento, oltre a garantire una produzione di energia elettrica comunque rilevante. Ad oggi, tuttavia, con un ac-

Olio Contenuto di olio (%wt) Resa (tonn olio/ha) Principali Paesi produttori

Colza 30 - 50 0,7 - 0,9Europa, Cina, india, Canada,

Giappone

Girasole 40 - 50 0,8 - 1Russia, Europa, Ucraina,

Argentina, Turchia

Soia 18 - 21 0,4 - 0,5USA, Cina, Argentina, Brasile,

Europa

Palma 30 - 40 2,5 - 3,5Indonesia, Malesia, Tailandia,

Colombia, Nigeria

Jatropha 30 - 38 1,2 - 1,6 Indonesia, Tailandia, Messico

Tabella 1.16 Contenuto di olio, resa delle coltivazioni e Paesi produttori delle principali tipologie di olio

1. LE TECNOLOGIE PER LA ENERAZIONE ELETTRICA

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cenno ad un tema che verrà ripreso più avanti nel CAPITOLO 5.2, la gran parte dell’olio che viene uti-lizzato in Italia (e non solo) come vettore energeti-co proviene dal mercato estero e spesso da colture presenti solo in Paesi della fascia sub-tropicale, come la palma da olio e la jatropha. Questo feno-meno rischia di produrre effetti negativi in molti Paesi in via di sviluppo, dove il conflitto tra la de-stinazione alimentare o energetica delle superfici agricole può essere comunque un problema: ciò

è particolarmente vero per l’olio di palma, men-tre nel caso della jatropha va considerato che essa spesso è in grado di colonizzare contesti che dal punto di vista pedo-climatico non sono idonei ad altre colture destinabili ad uso alimentare. Va in-fine sottolineato come l’utilizzo di materia prima importata renda più complessa la tracciabilità e di più incerta ricostruzione la distribuzione della marginalità (garantita dagli incentivi) fra le diver-se parti della filiera.

Box 1.7 L’investimento in un impianto per il trattamento dei nitrati

Un impianto per l’abbattimento dell’azoto di tipo “tra-dizionale” è tipicamente costituito da un nitro/denitri-ficatore in alternanza realizzato in un’unica vasca CSRT (Completely Stirred Reactor Tank) ad ossidazione forzata. L’efficacia del processo si basa sulla capacità di “respirazio-ne” della biomassa che viene a formarsi nella vasca di trat-tamento. La quantità di ossigeno somministrata alla vasca può, alternativamente, essere ridotta a zero per un tempo prefissato e ad intervalli prestabiliti al fine di convertire in ambiente privo di ossigeno (denitrificazione) i nitrati pre-senti in azoto elementare. Il sistema permette di abbattere l’azoto nei liquami fino all’80%. Se si ipotizza di applicare

questa tecnologia a un piccolo impianto per la produzione di energia elettrica e termica da biogas formato da 1 va-sca da 150 m3 e con una capacita di produrre 400.000 m3/anno di biogas che alimentano un motore cogenerativo da 100 kWe e 125 kWt, l’investimento che si dovrà sostenere sarà di circa 200.000 €. Ipotizzando di dover trattare 4.500 m3 di digestato, i costi operativi aggiuntivi che ogni anno si dovranno sostenere sono indicativamente:

• acquistoattivatore:15.000€;• consumoenergiaelettricaperdenitrificazione:7.000€;• manutenzionedenitrificatore:1.800€;

1.5 Il trattamento dei nitrati (post produzione del biogas): stato dell’arte ed evoluzioni attese

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LE BIOMASSEAGROFORESTALI

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L’ obiettivo di questo paragrafo è di identificare e di-scutere i principali cambiamenti che si sono mani-festati nel sistema di incentivazione e di regolazione alla costruzioni di impianti alimentati a biomasse agroforestali. Come illustrato nella precedente edi-zione del Biomass Energy Report1, rientrano in que-sta categoria di impianti: (i) le stufe o caldaie a pellet utilizzate principalmente in contesti residenziali o piccolo-commerciali per riscaldare ambienti; (ii) gli impianti a servizio di reti di teleriscaldamento, che producono calore con cui si soddisfano i fabbisogni termini delle utenze collegate alla rete di teleriscal-damento; (iii) le centrali termoelettriche, impianti di taglia normalmente superiore a 5 MWe che produco-no prevalentemente energia elettrica. Per ognuna di queste categorie di impianti, si illustreranno le princi-pali evoluzioni nel sistema di incentivazione.

Il sistema di incentivazione 2.1.1 dell’energia elettrica

Il sistema di incentivazione alla produzione di ener-gia da impianti alimentati a fonti rinnovabili in Italia ha sempre favorito la generazione elettrica, non riservando alcun in-centivo specifico alla produzione termica. Anche nel corso del 2010, quindi, la sola produzione di ener-gia elettrica da biomassa agrofore-stale è stata incentivata attraverso due meccanismi: per gli impianti di piccola taglia (inferiore ad 1 MWe), attraverso la co-siddetta tariffa omnicomprensiva; per quelli di ta-glia maggiore o uguale ad 1 MWe, invece, attraver-so il meccanismo dei Certificati Verdi2. Poiché la stragrande maggioranza degli impianti a biomasse agroforestali (oltre il 70%) che producono energia elettrica hanno taglia superiore ad 1 MWe3, di fatto il meccanismo incentivante di cui hanno usufruito gli investitori è stato quello dei Certificati Verdi.

Nel 2010, il valore del Certificato Verde è stato me-diamente pari a 88 €/MWh, prezzo al quale a Mar-zo 20114il GSE ha ritirato tutti i Certificati Verdi in eccesso sul mercato dai produttori che ne hanno fatto richiesta. Il prezzo del Certificato Verde è sta-to oggetto di numerose discussioni e il suo valore è stato incerto fino a fine 2010. Durante il 2010 sono si sono infatti susseguite numerose voci di imminen-ti e significative riduzioni all’incentivo assicurato da questo meccanismo, che non si sono però nor-malmente concretizzate (come accaduto nel Luglio 2010, con le discussioni riguardo all’art. 45 della Leg-ge Finanziaria 2010, che di fatto stabiliva inizialmen-te di togliere al GSE l’obbligo di ritiro dei Certificati Verdi in eccesso). Questo ha portato ulteriore insta-bilità sui piani di investimento che gli operatori han-no intenzione di realizzare nei prossimi anni. Va det-to tuttavia che lo strumento dei Certificati Verdi, nei suoi primi anni di funzionamento (ossia nel periodo 2002-2006), quando ancora domanda ed offerta era-no in equilibrio, ha dimostrato di essere efficace e di saper sostenere la crescita del mercato degli impianti di grande taglia.

Il funzionamento del meccanismo dei Certificati Verdi è stato però oggetto di un profondo cambia-mento all’inizio del 2010, per ef-fetto dell’approvazione del cosid-detto Decreto Rinnovabili (Decre-to Ministeriale del 3 Marzo 2011).

In particolare, il Decreto stabilisce alcuni principi “chiave” cui dovranno ispirarsi i decreti attuativi dello stesso che saranno promulgati entro i pros-simi mesi5 e che riguarderanno ovviamente tutti gli impianti alimentati a fonti rinnovabili. In particola-re, la determinazione dell’incentivo dovrà essere re-alizzata considerando i seguenti criteri:

• l’incentivohaloscopodiassicurareunaequaremu-

2.1La normativa

1 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 47.2 Si rimanda al PARAGRAFO 1.2.1.1 della passata edizione del Biomass Energy Report (p. 47) per una descrizione più approfondita del sistema di incentivazione alla produzione di energia elettrica in vigore in Italia.3 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 60.4 Si consideri che marzo è solitamente il mese in cui il GSE ritira tutti i Certificati Verdi dell’anno precedente in eccesso sul mercato.5 Indicativamente dai 3 ai 6 mesi, a seconda della complessità del provvedimento e del numero di istituzioni differenti coinvolte.

“Quest’anno abbiamo rischiato che il GSE non ritirasse più i Certificati Verdi, in quel caso sarebbe stato

veramente difficile continuare a far funzionare l’impianto.”

Titolare di un impianto a biomasse agroforestali

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nerazione dei costi di investimento ed esercizio;• il periodo di diritto all’incentivo è pari alla vita

media utile convenzionale delle specifiche tipolo-gie di impianto e decorre dalla data di entrata in esercizio dello stesso;

• l’incentivo resta costante per tutto il periodo didiritto e può tener conto del valore economico dell’energia prodotta;

• gliincentivisonoassegnatitramitecontrattididi-ritto privato fra il GSE e il soggetto responsabile dell’impianto, sulla base di un contratto-tipo defi-nito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

Inoltre, è prevista una distinzione della modalità di erogazione degli incentivi in due categorie:

• perimpiantidipotenzanominalefinoaunvaloredifferenziato sulla base delle caratteristiche delle diverse fonti rinnovabili, comunque non inferiore a 5 MW elettrici, sarà disponibile un incentivo di-versificato per fonte e per scaglioni di potenza, al fine di legarlo ai costi specifici degli impianti e per tenere conto delle economie di scala;

• pergliimpiantidipotenzasuperioreaivalorimi-nimi invece sarà invece previsto un incentivo as-segnato tramite aste al ribasso gestite dal GSE.

Chiaramente ad oggi non è possibile conoscere come i Decreti Attuativi tradurranno in pratica questi prin-cipi molto generici nel caso degli impianti a biomasse agroforestale. Ad ogni modo, è altamente proba-bile che, considerata la taglia media degli impianti a biomassa agrofore-stale per la produzione di energia elettrica realizzati in Italia, essi rientreranno nel meccanismo delle aste al ribasso che, a detta degli operatori intervi-

stati, potrebbe rivelarsi particolarmente articolato e farraginoso nella sua applicazione concreta, con un impatto potenzialmente negativo sulla crescita futura del settore. Considerando gli obiettivi molto ambiziosi che il Piano di Azione Nazionale prevede per la generazione elettrica da biomasse agroforesta-li da qui al 2020, con il raggiungimento in quell’an-no di 7,5 TWh elettrici prodotti, è immediato capire come la definizione rapida di un chiaro ed efficace strumento di incentivazione sia indispensabile per eliminare l’incertezza del mercato e degli investitori evitando così il blocco degli investimenti. Ciò detto, da qui al 2012 i nuovi impianti di taglia superiore al MWe che entreranno in funzione in Italia potranno ancora beneficiare del meccani-smo dei Certificati Verdi fino al 2015, quando è previsto che questo meccanismo di incentivazio-ne sia sostituito con un altro, ancora da definirsi, che permetta di mantenere inalterata la redditività degli investimenti effettuati (art. 24, comma 5 del Decreto Ministeriale del 3 Marzo 2011). Tuttavia, il Decreto Rinnovabili introduce anche delle signifi-cative modifiche a questo periodo di transitorio. In particolare, esso stabilisce che il GSE ritiri annual-mente i certificati verdi rilasciati per le produzioni da fonti rinnovabili (e quindi anche da biomasse agroforestali) degli anni dal 2011 al 2015, eventual-

mente eccedenti quelli necessari per il rispetto della quota d’obbli-go. Il prezzo di ritiro dei predetti certificati è pari al 78 % del prezzo determinato dalla differenza tra 180 €/MWh e il prezzo dell’ener-gia elettrica. Contestualmente, il Decreto stabilisce anche il progres-

sivo esaurirsi della quota d’obbligo di immissione di energia elettrica rinnovabile per i produttori di energia, necessaria e strettamente legata alla nascita

Anno Prezzo di ritiro assicurato dal GSE [€/MWh] Quota d’obbligo di energia rinnovabile

2010 88 6,05%

2011 87 6,80%

2012 78% (180-penergia) 7,55%

2013 78% (180-penergia) 5%

2014 78% (180-penergia) 2,50%

2015 78% (180-penergia) 0%

Tabella 2.1 Andamento del prezzo di ritiro dei Certificati Verdi da parte del GSE e della quota d’obbligo di immissione di ener-gia rinnovabile

“Finché non conosco con esattezza l’entità dell’incentivo, come posso

decidere se conviene o no effettuare l’investimento?.”

Amministratore Delegato di un’impresa che investe in impianti da fonti rinnovabili

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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ed al funzionamento del mercato dei Certificati Ver-di. In particolare esso stabilisce che a partire dal 2013, la quota d’obbligo si riduca linearmente in ciascuno degli anni successivi, a partire dal valore assunto per l’anno 2012 in base alla normativa vigente, fino ad an-nullarsi per l’anno 2015”. L’andamento del prezzo di ritiro assicurato dal GSE nei prossimi anni e la rela-tiva quota d’obbligo sono illustrati nella TABELLA 2.1. In media si può stimare che nel periodo 2012-2015, rispetto ad un ipotetico prezzo di Certificati Verdi e dell’energia che avrebbe dovuto raggiungere, in as-senza delle modifiche introdotte dal Decreto Rinno-vabili, complessivamente i 180 €/MWh, un’impresa proprietaria di un impianto alimentato a biomasse da 20 MWe vedrà i suoi ricavi derivanti dall’incen-tivazione ridursi di oltre il 15%, con un significativo impatto negativo sulla redditività dell’investimento ed un altrettanto importante allungamento dei tempi di rientro dell’investimento.Oltre alle centrali termoelettriche, questi cambia-menti al sistema di incentivazione della generazione elettrica interesseranno anche quegli impianti al ser-vizio di reti di teleriscaldamento che sono costruiti prioritariamente per generare calore, ma che pro-ducono anche energia elettrica in cogenerazione. Lo stesso Decreto stabilisce infatti (art. 25, comma 4) che il GSE si impegni a ritirare anche i certificati verdi relativi agli impianti di coge-nerazione abbinati a teleriscalda-mento. Per questi impianti, in realtà, il Decreto introduce anche delle im-portanti novità per quanto riguarda l’incentivazione dell’energia termi-ca prodotta (SI VEDA PARAGRAFO 2.1.2).

Nel 2010 si registra anche l’emana-zione, da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, del Decre-to del 2 Marzo 2010, n. 296, sulla tracciabilità del-le biomasse per la produzione di energia elettrica, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 maggio 2010. Esso di fatto sancisce la definizione operativa di “filiera corta”, attesa dagli operatori da oltre 3 anni, quando per la prima volta la Finanziaria 2007 (Legge 296/2006) introduceva particolari incentivi addizionali per l’energia prodotta da “biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, ottenuti nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro, oppure di filiere corte”6. In parti-colare, il Decreto Ministeriale stabilisce con chia-rezza l’esistenza di tre tipologie di biomasse, tra

cui appunto quelle da “filiera corta”:

• “La biomassa e biogas derivanti da prodotti agri-coli, di allevamento e forestali” sono quella parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui pro-venienti dall’agricoltura, comprendente sostanze vegetali e animali, e dalla silvicoltura e dalle indu-strie connesse. Il Decreto specifica ancora più nel dettaglio, mediante un’ulteriore classificazione, la provenienza di questo tipo di biomassa e biogas:

– colture dedicate agricole e forestali;– gestione del bosco;– residui di campo delle aziende agricole;– residui delle attività di lavorazione dei pro

dotti agroalimentari, zootecnici e forestali;– residui di zootecnia.

• “La biomassa da intese di filiera” è invece pro-dotta nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro tra operatori locali, le cui modalità di at-tuazione sono già stabilite nel precedente Decreto Ministeriale n. 102 del 27 maggio 2005 riguardan-te la “Regolazioni dei mercati agroalimentari”;

• “La biomassa da filiera corta”, infine, comprende la biomassa ed il biogas prodotti entro il raggio di 70 km dall’impianto di produzione dell’energia

elettrica. La lunghezza del predetto raggio è misurata come la distan-za in linea d’aria che intercorre tra l’impianto di produzione dell’ener-gia elettrica e i confini amministra-tivi del Comune in cui ricade il luo-go di produzione della biomassa.

Questa definizione delle tre tipolo-gie di biomasse ha portato chiarez-za in un settore in cui coesistono

molteplici e diverse materie prime, ognuna oggetto di differenti possibili modalità di approvvigiona-mento. La prima definizione permette di accedere alla Tariffa Omnicomprensiva e ai Certificati Verdi, la seconda invece risponde ad una passata formu-lazione della stessa Tariffa Omnicomprensiva che prevedeva maggiorazioni (0,30 c€/kWh) per bio-masse derivanti da intese di filiera.

In particolare, il soddisfacimento del requisito di filiera corta permette ai titolari di impianti a biomassa agroforestale di taglia maggiore di 1 MWe di beneficiare di un coefficiente moltipli-cativo del Certificato Verde pari a 1,8. Questo in-

6 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 48.

“E’ da 3 anni che aspettiamo la definizione di filiera corta. Da quando

l’hanno annunciata la prima volta, sono perfino cambiati gli incentivi, ora per gli impianti che accedono

alla Tariffa Omnicomprensiva non è nemmeno più necessaria, serve solo

per i Certificati Verdi.”

Titolare di un impianto a biomasse agroforestali

2.1 La normativa

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cremento si traduce in un vantaggio economico di circa 40 €/MWh (considerando un valore medio dei Certificati Verdi di 80 €/MWh) che permette agli operatori di compensare, in parte, la riduzione del prezzo di ritiro del Certificato Verde effettuata dal GSE a partire dal 2012. Va ricordato tuttavia come questo beneficio associato al Certificato Ver-de potrà essere sfruttato dagli operatori solo fino al 2015 quando, come detto in precedenza, entrerà in vigore un nuovo meccanismo di incentivazione in sostituzione dei CV, che al momento non si sa ancora se prevedrà maggiorazioni per le biomasse da filiera corta.

Il sistema di incentivazione 2.1.2 dell’energia termica

Come accennato in precedenza, per tutto il 2010 il calore prodotto da stufe e caldaie a pellet ad uso residenziale e da impianti al servizio di reti di te-leriscaldamento non ha ricevuto alcuna forma di incentivazione diretta, attraverso ad esempio l’ap-plicazione di una tariffa omnicomprensiva.

L’unica possibilità, per quanto riguarda le caldaie di tipo residenziale, è stata quella di sfruttare la detrazione fiscale dall’imposta lorda (pari al 55%) delle spese di riqualificazione energetica dell’edi-ficio, introdotta dalla Legge Finan-ziaria 2007.7 E’ interessante rilevare come, con il Decreto Ministeriale del 3 Marzo 2011, il periodo di detrazione del 55% delle spese di riqualificazione energetica è stato aumentato da 5 a 10 anni. E’ an-cora presto per giudicare l’impatto che questa misura avrà sulle future installazioni di stufe a pellet e, più in generale, sugli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Tuttavia, a detta degli operatori intervistati, si tratta di una mo-difica molto penalizzante che potrebbe ostacolare, viste anche le complessità burocratiche da ottem-perare per usufruire di questo sgravio, una crescita dell’ammontare di questi investimenti in efficienza energetica.

Per quanto riguarda invece gli impianti per la produzione di calore da biomasse di taglia mag-giore, normalmente asserviti ad una rete di tele-riscaldamento, rimane la possibilità di sfruttare il sistema dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE),

detti anche Certificati Bianchi. Va detto che, come già riportato nella scorsa edizione del Biomass Energy Report8, questo strumento non ha mai fun-zionato correttamente per questo tipo di impianti, a causa della complicazione e della inadeguatezza della modulistica da compilare. Questo si spiega con il fatto che il meccanismo dei TEE è stato pensato prioritariamente per favorire altre tipologie di inter-venti di efficienza energetica, quali quelli riguardanti gli usi elettrici e termici nel settore civile. Il Decreto Rinnovabili, citato in precedenza, introduce anche delle modifiche a livello del funzionamento del siste-ma dei Certificati Bianchi, ad esempio collegando la durata dell’incentivazione con il periodo di vita utile dell’intervento, aggiungendo 15 nuove schede per la valutazione degli interventi di efficienza energetica e, inoltre, con l’obiettivo di semplificare e standardiz-zare le procedure, obbliga l’ENEA a “pubblicare casi studio e parametri standard come guida per facilita-re la realizzazione e la replicabilità degli interventi a consuntivo”. Di fatto ci si attende che questi cambia-menti al sistema dei Certificati Bianchi, i cui De-creti attuativi necessitano di 6 mesi per l’emanazione, possano trasformarsi in un maggior incentivo per i titolari di impianti a biomasse agroforestali che producono calore a sfruttare maggiormente que-sto meccanismo per finanziare i loro investimenti. Probabilmente però gli impianti di teleriscaldamento trarranno maggior vantaggio, come si vedrà nel se-

guito di questo PARAGRAFO, dagli incentivi ad hoc che il Decreto in-troduce per la realizzazione di reti di teleriscaldamento, principale moda-lità per sfruttare calore da biomassa agroforestale in impianti di grande taglia.

Tuttavia l’approvazione del Decreto Rinnovabili modifica molto più profondamente di quanto visto finora in questo PARAGRAFO, in quanto introdu-ce per la prima volta degli incentivi specifici per la produzione di calore in impianti alimentati a fonti rinnovabili, tra cui appunto quelli a biomasse agroforestali. Per quanto riguarda i piccoli impianti, quindi ad uso residenziale, quali le caldaie a pellet, il Decreto Ministeriale del 3 Marzo 2011 stabilisce che, per gli impianti realizzati dopo il 31 dicem-bre 2011, sarà possibile accedere ad un sistema di incentivazione che si ispira ai seguenti principi:

• il periodo di diritto all’incentivo sarà minore ouguale a 10 anni dalla conclusione intervento;

7 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 51.8 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 51.

“L’incentivo per la produzione di energia termica da biomasse era quello che ci voleva per dare uno

stimolo tangibile a questo settore!”

Titolare di un impianto di teleriscaldamento a biomasse

agroforestali

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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59 www.energystrategy.itBIOMASS ENERGY REPORT • COPYRIGHT © DIG – POLITECNICO DI MILANO

9 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 51.

• gliincentivisarannocommisuratiallaproduzionedi energia termica o ai risparmi energetici generati dagli interventi;

• l’incentivorimarràcostantepertuttoilperiododidiritto e potrà tener conto del valore economico dell’energia prodotta o risparmiata;

• gli incentivi saranno a valere sulle componentidelle tariffe del gas naturale stabilite dall’AEEG.

Le modalità attuative di questi incentivi (riguar-danti, ad esempio, il valore puntuale delle tariffe in base all’effetto scala, i requisiti tecnici minimi che gli impianti dovranno soddisfare per accedere a questi benefici, i contingenti incentivabili, le mo-dalità di erogazione e di aggiornamento delle tarif-fe, le condizioni di cumulabilità) saranno stabilite con un decreto del Ministero dello Sviluppo Eco-nomico, di concerto con il Ministro dell’ambien-te e della tutela del territorio e del mare e, con il Ministro delle poli-tiche agricole e forestali, previa in-tesa con Conferenza Unificata, da emanarsi entro 6 mesi dall’entrata in vigore del Decreto del 3 Marzo 2011. Ovviamente dipenderà mol-to da come questi principi verran-no tradotti in pratica, ma si può già da ora dire che, anche a detta degli operatori inter-vistati, questi principi rappresenteranno un im-portante stimolo alla crescita del mercato delle stufe a pellet, che in Italia ha già raggiunto volumi di vendita estremamente significativi (SI VEDA PA-RAGRAFO 2.2.2.1).

Il mercato degli impianti residenziali alimentati a biomasse agroforestali sarà probabilmente stimo-lato da un ulteriore provvedimento introdotto dal Decreto Rinnovabili, riguardante gli obblighi di impiego di calore prodotto da fonti rinnovabili negli edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti. In particolare, il decreto prevede che gli impianti di produzione di energia termica debbano coprire il 50% dei consumi per acqua calda sanitaria e le seguenti percentuali della somma dei consumi per l’acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raf-frescamento:

• 20%selarichiestadeltitoloedilizioèpresentatatra il 31/05/2012 e il 31/12/2013;

• 35%selarichiestadeltitoloedilizioèpresentatadal 1/01/2014 al 31/12/2016;

• 50% se la richiestadel titolo edilizio è rilasciatodal 1/01/2017.

Chiaramente ad oggi esistono diverse tecnologie che possono essere utilizzate per assicurare il sod-disfacimento di questi obblighi, quali gli impianti solari termici, quelli geotermici a bassa entalpia e le stufe o caldaie a pellet. Se si ipotizzasse che il tasso di crescita registrato negli ultimi dieci anni nella costruzione di nuove abitazioni, pari a circa l’1% rispetto ai fabbricati esistenti, si mantenesse costante anche per il prossimo decennio e si de-cidesse di dotare le nuove abitazioni costruite con stufe a pellet per soddisfare i fabbisogni di acqua calda sanitaria e riscaldamento domestico, potreb-bero essere installati oltre 400.000 nuovi impianti all’anno, pari a poco meno del doppio dell’attuale installato annuo per questo tipo di apparecchi (SI

VEDA PARAGRAFO 2.2.2.1).

Oltre a queste novità per gli im-pianti di piccola taglia, il Decreto Rinnovabili, introduce significati-ve modifiche per gli impianti di te-leriscaldamento. Se, come già det-to precedentemente e nella scorsa edizione del Biomass Energy Re-

port9, questi impianti non hanno potuto usufruire di un incentivo ad hoc per la loro realizzazione, ora il Decreto stabilisce che venga istituito presso la Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico un fondo di garanzia a sostegno della realizzazio-ne di reti di teleriscaldamento, alimentato da un corrispettivo applicato al consumo di gas metano, pari a 0,05 c€/Sm3, posto a carico dei clienti finali. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas avrà il com-pito di disciplinare le modalità di applicazione e la gestione di questo fondo. Considerando l’applica-zione di un corrispettivo di 0,05 c€/Sm3 a carico dei clienti finali previsto nel Decreto Rinnovabili su un totale consumo italiano di oltre 45.000 mln di Sm3, la disponibilità prevista di fondi sarà pari a circa 22,5 mln di € l’anno da destinare esclusi-vamente alla realizzazione di reti di teleriscalda-mento. Tenendo conto che, in media, una rete di teleriscaldamento in Italia ha un costo di 5 mln €/mln m3, questo significherebbe poter servire circa 15.000 nuove utenze ogni anno, corrispondenti ad una cittadina di 45.000 abitanti. Se è vero che si tratta di incentivi di valore assoluto non particolar-mente consistente, essi rappresentano pur sempre

“L’efficienza di conversione termica è molto maggiore di quella elettrica,

le biomasse sono ideali per la produzione termica”

Titolare di un impianto di teleriscaldamento a biomasse

agroforestali

2.1 La normativa

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un importante passo avanti rispetto alla situazione che si è registrata negli ultimi anni. In conclusione, quindi, nel prossimo futuro si pro-spettano cambiamenti nel sistema di incentivazione alla produzione di energia da biomasse agroforestali che sono apprezzabili e vanno nella direzione di col-mare alcune lacune registrate nella scorsa edizione del Biomass Energy Report10. Il cambiamento più significativo, oltre alla progressiva cancellazione del sistema dei Certificati Verdi e la sostituzione dello stesso con un nuovo meccanismo basato sul princi-pio delle aste al ribasso ancora da definire nei suoi dettagli pratici, riguarda sicuramente l’incentiva-

zione della produzione di energia termica, tanto in impianti residenziali che di grande taglia, asserviti alle reti di teleriscaldamento. Questo favorirà verosi-milmente anche gli impieghi co-generativi nelle cen-trali termoelettriche, specialmente quelle realizzati da grandi gruppi industriali ed alimentate dagli scar-ti dei loro processi produttivi, che spesso si trovano nelle vicinanze di utenze termiche e che quindi più facilmente possono trovare impieghi per il calore che esse generano. Il BOX 2.1 fornisce una sintesi del caso del Regno Unito, che ha recentemente varato un si-stema per l’incentivazione della produzione di calore da fonti rinnovabili.

Box 2.1 L’incentivazione alla produzione di calore da fonti rinnovabili nel Regno Unito

Il Regno Unito ha recentemente approvato un importan-te provvedimento che incentiva la produzione di energia termica in impianti di piccola taglia, che utilizzano la tec-nologia del solare termico, delle biomasse, della geotermia e delle pompe di calore. Approvato lo scorso 10 Marzo, il “Renewable Heat Incentive” (RHI) entrerà in vigore già nel corso del 2011 per imprese e per il settore terziario, men-tre da ottobre 2012 si applicherà anche alle famiglie. Esso garantisce una tariffa feed-in di entità costante e di durata pari a 20 anni per gli impianti che producono calore dal-le rinnovabili. Un kWh termico prodotto da una caldaia a biomasse, ad esempio, sarà premiato con 1,9 pence, la stessa quantità di energia prodotta con un pannello solare

termico sarà incentivata con 8,5 pence. All’RHI avranno diritto tutti gli impianti a rinnovabili termiche installa-ti dopo il 15 luglio 2009. Inoltre sono previsti dei bonus addizionali per installazioni in edifici energeticamente efficienti o di nuova costruzione. Secondo le previsioni, questo provvedimento stimolerà investimenti per oltre 4,5 miliardi di sterline, con una crescita del numero di im-pianti termici installati alimentati a rinnovabili al 2014 di oltre 7 volte rispetto a quelli attuali. Si stima che questo provvedimento possa tradursi in un significativo stimo-lo alla crescita degli investimenti da parte degli operatori della filiera delle rinnovabili, con una ricaduta importante in termini di occupazione.

Tipologia impianto a biomasse agroforestali Taglia Documento richiesto

Impianti cogenerativi e non cogenerativi realizzati in edifici

esistenti senza alterazione di volumi o superfici, cambi

d’uso, modifiche strutturali, aumento del numero di unità

immobiliari e incremento dei parametri urbanistici

0 – 200 kW Comunicazione

Altri impianti cogenerativi

0-50 kW Comunicazione

50 kW – 1 MW Dia/Scia

Oltre 1 MW Autorizzazione Unica

Altri impianti non cogenerativi0 – 200 kW Dia/Scia

Oltre 200 kW Autorizzazione Unica

Tabella 2.2 Le procedure autorizzative previste dal DM del 10 Settembre 2010 per diverse tipologie di impianti a biomasse agroforestali

10 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 54

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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L’autorizzazione alla 2.1.3 costruzione dell’impianto

Come descritto nel PARAGRAFO 3.1.3, nel corso del 2010 sono state approvate le Linee Guida naziona-li per l’autorizzazione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili. Per quanto riguarda gli impianti alimentati a biomasse agroforestali, il Decreto Mini-steriale del 10 Settembre 2010 prevedeva un regime autorizzativo basato sui principi riportati nella TA-BELLA 2.2.

Il Decreto richiedeva poi alle Regioni di recepire le Linee Guida entro 90 giorni dalla loro emanazione a livello nazionale. Purtroppo in molte Regioni ciò non è ancora avvenuto e, anche in quelle che si sono mosse tempestivamente (si tratta di 11 Regioni, ossia Puglia, Emilia Romagna, Molise, Toscana, Piemon-te, Calabria, Marche, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Sicilia), si registra una marcata eterogeneità per quanto riguarda, ad esempio, i limiti in termini di aree vincolate in cui non è possibile autorizzare la realizzazione di impianti o le soglie minime per ac-cedere ai diversi procedimenti autorizzativi. Si tratta di una situazione molto variegata che di certo non favorisce gli investitori, cui il Decreto Rinnovabili

ha cercato di porre rimedio, prevedendo una serie di semplificazioni ulteriori rispetto a quanto stabi-lito dalle Linee Guida nazionali (SI VEDA PARAGRA-FO 3.1.3) e che ad ogni modo, a detta degli operatori intervistati, non sembra possano comunque tradursi in un miglioramento sostanziale all’attuale quadro che si è affermato nel nostro Paese.

Sicuramente nel caso di impianti di grandi dimen-sioni, come sono tipicamente quelli asserviti a reti di teleriscaldamento o le centrali termoelettriche alimentate a biomasse agroforestali, il processo di autorizzazione può risultare molto lungo ed ar-ticolato (e durare anche un anno qualora fosse ne-cessaria l’approvazione della Conferenza dei Servi-zi). Tuttavia esso, come rilevato anche nella passata edizione del Biomass Energy Report11, non viene percepito dagli operatori come un significativo ostacolo che scoraggia l’investimento, come inve-ce accade nel caso del mercato fotovoltaico. Questo in quanto fare accettare alla collettività locale l’im-pianto comporta spesso uno sforzo e una profusione di risorse decisamente superiore rispetto a quanto richiesto dalla procedura di autorizzazione, che di conseguenza viene percepita come meno vincolante dall’investitore.

11 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 53.

2.1 La normativa

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2.2Il mercato

Come anticipato nei capitoli precedenti, nel corso del 2010 non si sono verificati dei cambiamenti sostanziali di tipo tecnologico o nel sistema di in-centivazione e regolamentazione nel settore delle biomasse agroforestali, in particolar modo in Ita-lia. Di conseguenza, le dinamiche di mercato che la nostra analisi ha messo in evidenza non modificano nella sostanza il quadro delineato nella precedente edizione del Biomass Energy Report, cui si rimanda per approfondimenti. L’obiettivo di questo capito-lo, dopo un breve aggiornamento della situazione europea, è di fornire un quadro delle evoluzioni di mercato che hanno interessato il comparto delle biomasse agroforestali in Italia, per i tre segmenti in cui esso può essere scomposto e studiato, ossia il mercato residenziale, quello delle centrali di teleri-scaldamento e delle centrali termoelettriche.

Il mercato delle biomasse 2.2.1 agroforestali in Europa

La TABELLA 2.3 riporta un quadro aggiornato dei principali paesi europei in cui lo sfruttamento delle biomasse agroforestali ha avuto un maggiore svilup-po. I dati sono comprensivi della potenza installata in stufe e caldaie ad uso residenziale, tipicamente ali-mentate a pellet. La classifica per energia comples-sivamente prodotta da biomasse agroforestali è del tutto analoga a quella riportata nella passata edi-zione del Biomass Energy Report12, con Germania, Francia, Svezia e Finlandia che occupano le prime posizioni, largamente favorite in questo da una gran-de disponibilità di materia prima e da una politica incentivante particolarmente lungimirante su questa fonte. L’Italia, coni suoi più di 8 GWt di potenza com-plessiva installata, si conferma al quinto posto della classifica, ad una notevole distanza rispetto alla Ger-mania. Dall’analisi della tabella si nota anche come non si siano registrate differenze, rispetto al quadro emerso lo scorso anno, in termini di tipologia di im-pianti installati, ossia se destinati prevalentemente alla produzione di energia termica o elettrica. Pesi

come la Germania e la Finlandia continuano a sfrut-tare maggiormente le biomasse agroforestali per la produzione di energia elettrica, mentre la Francia predilige gli impieghi termici, spesso in reti di tele-riscaldamento. In questo contesto, l’Italia non è dis-simile dall’Austria, con circa il 14%% della potenza complessiva installata destinata alla generazione elettrica. La TABELLA 2.4 riporta invece i primi pae-si europei per contributo percentuale delle biomasse agroforestali alla produzione di energia elettrica da rinnovabili. Il Belgio si conferma leader in questa classifica, nonostante il peso delle fonti agroforestali (pari a circa il 70%) si sia leggermente ridotto rispetto ai valori dello scorso anno (quando si era raggiunto il 77%). Dal confronto con i dati riportati nella pas-sata edizione della Biomass Energy Report13, emerge come la Germania abbia registrato un lieve aumento del peso delle biomasse agroforestali sul totale del-la produzione elettrica da rinnovabili, passando dal 32% a poco più del 35%. In Italia, invece, il peso del-le biomasse agroforestali è diminuito, passando dal 20 a poco più del 11%. Questo in larga parte si spiega con l’enorme crescita che altre fonti di energia rinno-vabile (una su tutte, il fotovoltaico14) ha fatto registra-re negli ultimi mesi nel nostro Paese, a fronte di un mercato delle biomasse decisamente meno dinamico. Inoltre bisogna ricordare come la produzione elettri-ca da fonte rinnovabile in Italia risenta fortemente della producibilità dell’idroelettrico che, a seconda della piovosità dell’annata precedente, può alterare sensibilmente il contributo relativo alla produzione totale delle diverse fonti. Più sensibile è la crescita nel peso delle biomasse agroforestali fatta registrare in Finlandia, dove da 30 si è saliti a oltre il 38%.

Il mercato delle biomasse 2.2.2 agroforestali in Italia

Nel corso del 2010, le biomasse agroforestali han-no contribuito alla produzione di energia prima-ria in Italia per 5,6 Mtep (equivalenti a 65,1 TWh di produzione termica o 25,4 TWh di produzione

12 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 57.13 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 58.14 Si veda a questo proposito il Solar Energy Report, edizione Aprile 2011.

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elettrica), che corrispondono a circa il 2,9% del fab-bisogno totale del nostro Paese. Rispetto all’energia elettrica prodotta attraverso lo sfruttamento delle al-tre tipologie di biomasse descritte in questo studio, quelle agroforestali hanno contribuito nel 2010 per oltre il 30%. Rispetto al 2009, il contributo alla pro-duzione di energia primaria dalle biomasse agrofo-restali è cresciuto del 7%. Complessivamente, si può stimare in 8.140 MWt e in 550 MWe la potenza com-plessiva installata in impianti a biomasse agroforesta-li (come si desume anche dalla TABELLA 2.3), pari a circa il 23% della capacità elettrica totale in funzione in impianti alimentati a biomasse. Visto il loro peso molto significativo, sicuramente esse giocheranno

un ruolo fondamentale nell’assicurare il rispetto degli ambiziosi obiettivi delineati per le bioenergie dal Piano di Azione Nazionale (SI VEDA PARAGRAFO 2.1.1). Nel prosieguo di questo paragrafo, si descrivo-no le evoluzioni che hanno interessato nel corso del 2010 i tre segmenti in cui si articola il mercato delle biomasse agroforestali in Italia, ossia gli impianti resi-denziali, le centrali di teleriscaldamento e gli impianti termoelettrici di grande taglia.

Il mercato residenziale2.2.2.1

Rientrano in questo segmento di mercato gli im-

Paese Energia prodotta [ktep] Potenza termica totale* [MWt] Potenza elettrica [MWe]

Germania 11.217 16.304 1.420

Francia 9.795 14.237 220

Svezia 8.608 12.512 1.257

Finlandia 6.469 9.403 1.048

Italia 5.600 8.140 550

Polonia 5.191 7.545 613

Spagna 4.315 6.272 267

Austria 3.917 5.693 415

Romania 3.224 4.686 8

Portogallo 3.038 4.416 214

Repubblica Ceca 1.968 2.860 175

Danimarca 1.428 2.076 245

Regno Unito 1.307 1.900 442

Olanda 1.004 1.459 444

Tabella 2.3 Produzione di energia da biomasse agroforestali e capacità installata in Europa

Tabella 2.4 Quota della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e da biomasse in alcuni Paesi europei [fonte: elabo-razione su dati GSE]

* include anche la potenza utilizzata per la produzione elettrica

* la produzione elettrica da biomasse include anche la produzione da RSU

PaeseQuota della produzione elettrica totale

realizzata attraverso rinnovabiliQuota della produzione elettrica da rinnovabili

realizzata attraverso biomasse*

Austria 68% 11%

Svezia 59% 13%

Finlandia 30% 38%

Italia 21% 11%

Germania 16% 35%

Belgio 5% 70%

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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Figura 2.1 Andamento del numero di stufe e caminetti a pellet in Italia

pianti destinati alla produzione di energia termica ad uso prevalentemente residenziale, ossia stufe e caldaie a pellet, di taglia normalmente inferiore a 1 MWt, che sono utilizzati in sostituzione o integra-zione degli impianti di riscaldamento di una singo-la unità abitativa, di più appartamenti facenti parte del medesimo edificio, o di uffici di piccole attività commerciali o produttive. Nella scorsa edizione del Biomass Energy Report si sottolineava come il mercato italiano fosse il primo in Europa in ter-mini di numero di dispositivi in-stallati (avendo superato il milione di unità a fine 2009). Dopo il boom delle installazioni registrato nel 2006 (per effetto dell’elevata eco-nomicità che il pellet in quei mesi assicurava rispetto ai combustibili tradizionali) ed il successivo calo delle installazioni nel 2007 (di oltre il 40% su base annua), per effetto del conseguente incremento del prezzo del combustibile, dal 2008 il mercato italia-no si è stabilizzato su un trend di crescita a due cifre, intorno al 10% all’anno.

Nel corso del 2010 sono stati installati circa 220.000 nuovi impianti residenziali per un giro d’affari an-nuo stimabile nell’ordine di 840 mln €. Il prezzo di acquisto medio di una caldaia a pellet nel corso del 2010 non ha subito sostanziali cambiamenti rispetto ai prezzi del 2009, con un impianto da 10 kWt, adat-to per riscaldare uno spazio di circa 100-120 metri quadrati, che comporta un investimento intorno ai 7-8.000 € (nel caso di caldaia in grado di soddisfare anche il fabbisogno di acqua calda per usi sanitari e dotata di sistema di caricamento automatico del pel-

let). La crescita sopraccitata porta il numero di cal-daie in funzione nel nostro paese a fine 2010 a cir-ca 1.200.000 unità, facendo registrare una crescita della potenza installata annua di circa il 20% rispetto al cumulato delle installazioni al 2009, tasso di cre-scita leggermente inferiore a quello medio osservato negli ultimi anni in Italia (SI VEDA FIGURA 2.1).

Oltre che con una naturale saturazione del mercato, questa crescita inferiore alle attese si spiega con

il trend in aumento del prezzo di acquisto medio del pellet, che in Italia nel corso del 2010 è salito di oltre il 5% rispetto al valore medio del 2010, attestandosi su valori prossimi a 210 € alla tonnellata (SI VEDA FIGURA 2.2). Anche se si è ancora ben lontani dai picchi di

prezzo di oltre 400 €/tonnellata fati registrare nel 2007, un incremento di circa 10 € del prezzo unita-rio del combustibile (supposto costante nel tempo) può portare ad un allungamento del tempo di pay back nell’ordine di quasi un anno. Nonostante l’an-damento sfavorevole del prezzo del combustibile, la crescita delle installazioni è comunque conti-nuata anche nel 2010 in quanto l’investimento nel-la stufa a pellet rimane particolarmente convenien-te. Di fatto, considerando i costi di investimento iniziali e quelli annuali (su una vita utile stimata in 20 anni) legati alla manutenzione dell’impianto e soprattutto all’approvvigionamento della mate-ria prima, si può stimare che una stufa a pellet è tanto conveniente per l’investitore quanto una tradizionale caldaia a metano (nel caso ipotetico di edificio con fabbisogno termico di 10.000 kWh).

300.000

250.000

200.000

150.000

100.000

50.000

02003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Num

ero

stuf

e/ca

ldai

e a

pelle

t

“Il mercato delle stufe a pellet è in buona salute, anche se

probabilmente il cambiamento nel meccanismo della detrazione del 55% potrebbe frenare la sua

crescita”

Rivenditore di stufe a pellet

2.2 Il mercato

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Chiaramente la soluzione più tradizionale ha il vantaggio della maggiore comodità (legata alla non necessità di occuparsi dell’approvvigionamento del combustibile) e della minore variabilità del prez-zo della stessa nel tempo. Questo è il motivo per cui un elemento essenziale per la diffusione delle stufe a pellet in Italia è stato anche l’introduzione nel 2006, attraverso la Legge Finanziaria 2007, del meccanismo della detrazione del 55% delle spese di riqualificazione energetica degli edifici, tra cui appunto l’acquisto delle stufe alimentate da bio-combustibili.Nel corso dei primi mesi del 2011, la crescita del prezzo del pellet sem-bra almeno momentaneamente es-sersi arrestata. Ci si potrebbe quin-di aspettare che nel corso dell’anno il numero di nuove installazioni si avvicini a quanto fatto registrare nel corso del 2010. Purtroppo, tutta-via, come si diceva nel PARAGRAFO 2.1.2, le attese degli operatori sulla crescita di que-sto segmento di mercato nel prossimo futuro non sono particolarmente rosee, a causa dell’allun-gamento del periodo di detrazione del 55% delle spese di riqualificazione energetica da 5 a 10 anni. Insieme alla complessità delle procedure burocrati-che per accedere a questa forma di incentivo diretto lamentata dagli operatori, la modifica sopraccitata potrebbe portare ad un deciso rallentamento degli interventi di riqualificazione energetica degli edifici in Italia, e di conseguenza anche dell’installazione di stufe e camini a pellet. È probabilmente ancora pre-sto per poter valutare l’impatto che questa misura potrà avere sul mercato italiano, ma sembra difficile che si possano replicare i tassi di crescita costante-

mente a due cifre osservati negli ultimi anni in Ita-lia. I livelli di sviluppo di questo mercato previsti nella scorsa edizione del Biomass Energy Report (in cui si stimava un tasso di crescita del 7-10% per arrivare al 2015 a un mercato annuo di 300.000 stu-fe15), sono quindi difficilmente raggiungibili, stante l’attuale contesto incentivante. Come accennato nel PARAGRAFO 2.1.2, un contributo positivo potrebbe invece arrivare dai nuovi requisiti in termini di livel-li minimi di energia termica da fonte rinnovabile da assicurare in edifici nuovi o sottoposti a significativa ristrutturazione delineati dal Decreto Rinnovabili.

L’efficacia di questi ultimi, tuttavia, dipenderà molto dall’approvazione e dal contenuto dei decreti attuativi e dalle sanzioni per il non rispetto dei requisiti che saranno approvati nei prossimi mesi.

Nel corso degli ultimi anni, ed in particolar modo nel 2010, le calda-

ie o stufe a pellet sono state oggetto di molti inter-venti di riqualificazione energetica di grandi edi-fici (quali immobili delle Amministrazioni Pubbli-che, tra cui scuole, asili, municipi, ospedali, piscine e centri sportivi, condomini plurifamiliari ed uffici di imprese) attraverso il meccanismo del contrat-to di “servizio energia”. In base ad esso il fornitore si occupa di tutte le attività di progettazione e finan-ziamento a costo zero dell’impianto, realizzazione dello stesso, manutenzione, assistenza (spesso attra-verso sistemi di tele gestione attivi 24 ore su 24) e garanzia completa, oltre alla fornitura del combu-stibile, contabilizzazione e fatturazione dell’energia consumata ad un prezzo prefissato. Al termine del contratto di “servizio energia” (mediamente di du-

Figura 2.2 Andamento del prezzo medio del pellet in Italia.

230

220

210

200

190

180

2006 2007 2008 2009 2010

�/

ton

15 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 70.

“L’incentivo per l’energia termica, se ben progettato ed attuato, farà probabilmente decollare il mercato

del teleriscaldamento, che ha ancora enormi potenzialità.”

Segretario generale di un’associazione di categoria

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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Figura 2.3 Potenaza installata in centrali di teleriscaldamento da biomasse agroforestali nei principali “distretti” italiani.

16 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 64

rata pari a 5 anni), la proprietà dell’impianto passa al cliente, che ne può beneficiare negli anni. Attraverso questo meccanismo, il cliente beneficia di un risparmio sulla bolletta energetica predefini-to come entità (e quindi indipendente dal prezzo di acquisto del pellet) ed evita di doversi preoccupare dell’approvvigionamento del combustibile. Inoltre il cliente, qualora non sia un ente pubblico, può ri-chiedere, supportato in questo dall’impresa che of-fre il contratto di “servizio energia”, la detrazione del 55% cui si è accennato sopra, e beneficiare quindi di un risparmio aggiuntivo. In Italia nell’ultimo anno le richieste di detrazione per interventi di efficienta-mento energetico che hanno previsto l’installazione di una caldaia a pellet sono state oltre 11.000.

Il mercato degli impianti 2.2.2.2 di teleriscaldamento

In questo segmento di mercato rientrano gli im-pianti a biomasse agroforestali che, collegati ad una rete di teleriscaldamento in cui scorre un opportuno fluido termovettore, forniscono energia a più edifi-ci. Alla fine del 2010, in Italia sono in funzione poco meno di 250 centrali di teleriscaldamento di questo tipo, per una potenza termica complessiva vicina a 430 MWt. La loro distribuzione nei prin-cipali 3 distretti del teleriscaldamento da biomasse agroforestali, di cui si è già parlato nella precedente edizione del Biomass Energy Report, è rappresenta-ta in FIGURA 2.3.Nel corso dell’ultimo anno sono stati installati quindi poco meno di 20 nuovi impianti, per un volume d’affari complessivo stimabile in 100 mln

€. Si tratta di un livello di installato paragonabile a quello fatto registrare negli anni passati. Complessi-vamente, gli impianti in esercizio a fine 2010 produ-cono annualmente 2,5 TWh di calore, pari al fabbi-sogno di oltre 170.000 famiglie. Le nuove installazioni realizzate nel 2010 non cam-biano la geografia del teleriscaldamento da biomassa in Italia, con il Nord del Paese che è responsabile ancora di oltre il 90% della potenza complessiva-mente installata. In particolare, la Lombardia rive-ste un ruolo di assoluto primo piano nel mercato italiano del teleriscaldamento da biomassa agrofo-restale, come illustrato nel BOX 2.2. Come già segna-lato nella precedente edizione del Biomass Energy Report 16, nel panorama italiano del teleriscalda-mento da biomasse agroforestali pare voglia rita-gliarsi un ruolo sempre più importante la Toscana che ha anche stanziato dei finanziamenti specifici a questo scopo. In questo programma si collocano i 30 impianti già realizzati o in fase di ultimazione nel 2011, a cui si aggiungeranno altri 13 nuovi progetti (4 in provincia di Pistoia, 3 in provincia di Arezzo, 2 in provincia di Lucca, 1 ciascuno nelle province di Siena, Prato, e Firenze, per una potenza complessiva di 7 MWt), che riceveranno dalla Regione Toscana un finanziamento complessivo di 8 mln €. Questi impianti dovranno essere alimentati con legname derivante dalle normali attività di conduzione del bosco e dagli scarti della lavorazione agricola.L’analisi condotta sul campo non rileva dei cambia-menti sostanziali, rispetto al quadro delineato nella precedente edizione della ricerca, per quanto riguar-da le tecnologie utilizzate negli impianti (anche le nuove installazioni di cui si è parlato in precedenza impiegano le più tradizionali tecnologie di combu-

Altoatesino-Trentino

maggiore o uguale a 10

MW

t

Lombardo-Valtellinese Piemontese-Valdaostano

300

250

200

150

100

50

0

da 1 a 10

meno di 1

2.2 Il mercato

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Box 2.2 Il teleriscaldamento da biomasse agroforestali in Lombardia

La Lombardia riveste un ruolo di assoluto primo piano nel panorama italiano della produzione di energia in impianti di teleriscaldamento alimentati a biomasse agroforestali. In particolare, il distretto del teleriscaldamento valtellinese è il secondo come importanza nel nostro paese dopo quello altoatesino – trentino. Sono 14 le centrali oggi in funzione in Lombardia, le prime delle quali costruite a partire dagli anni ’90. Questi impianti sono complessivamente dotati di 19 caldaie ed una potenza totale di circa 100 MWt (pari al 25% del totale della potenza installata in Italia in centrali di teleriscaldamento a biomasse). Nella TABELLA 2.5 sono ri-portate le principali centrali di teleriscaldamento di questo tipo in esercizio in Lombardia.Gran parte di queste centrali sono localizzate in prossimi-tà di zone montane, dove spesso esse vengono installate in sostituzione di impianti dotati di vecchie caldaie a gasolio o a metano. Gli impianti installati in Lombardia hanno ca-ratteristiche piuttosto simili dal punto di vista tecnico, con un tradizionale e maturo sistema a caldaia. Spesso questi impianti funzionano in modalità di cogenerazione, pro-ducendo così energia elettrica che beneficia delle forme di incentivazione descritte nel CAPITOLO 2.1. Considerando la taglia media degli impianti, si può notare come in Lombar-dia siano presenti sei impianti dotati di caldaie con poten-za termica inferiore a 1 MWt e due impianti con potenza compresa tra 1 e 5,5 MWt. Le restanti centrali hanno una potenza nominale maggiore di 10 MWt, il che consente di soddisfare il fabbisogno termico di un numero decisamente più consistente di utenze. L’analisi effettuata mostra come, per gli impianti di maggiori dimensioni, sono tipicamente società a partecipazione mista pubblico/privata,

nate per iniziativa delle stesse amministrazioni comunali, ad occuparsi della gestione dell’impianto. Nel caso invece degli impianti più piccoli, essi tipicamente sono promossi da investitori privati, che intendono innanzitutto soddisfare i loro fabbisogni di calore e traggono poi vantaggio dalla vendita dell’energia termica prodotta in eccesso in rete. E’ anche interessante analizzare la differenza della taglia me-dia degli impianti installati nelle diverse Regioni italiane (SI VEDA TABELLA 2.6). Dai dati riportati in Tabella emerge una certa eterogeneità. In Friuli Venezia Giulia, ad esempio, gli impianti hanno una taglia media inferiore a 0,5 MWt, il che comporta la necessità di creare reti di teleriscaldamen-to di limitate dimensioni, cui sono collegate poche utenze. Al contrario, in Lombardia la potenza unitaria installata è decisamente superiore, molto al di sopra del valore medio in Italia, con centrali che servono centinaia di utenze. Da ricordare in questo senso è l’impianto di Tirano, collegato a più di 600 utenze.

Tabella 2.5 I più importanti impianti di teleriscaldamento a biomasse agroforestali in Lombardia

Localizzazione della centrale

Società di gestionePotenza termica installata (MWt)

N° di caldaieN° di utenze

servite

Tirano (SO) T.C.V.V.V. 20 3 691

Sellero Novelle (BS) T.S.N. 12,9 1 415

Collio (BS) F.R. Alta Val Trompia 12,9 1 320

Sedrina (BG) Servizi Comunali Sedrina 12,9 1 200

S.Caterina Valfurva (SO) T.C.V.V.V. 12 2 54

Sondalo (SO) T.C.V.V.V 10 2 361

Piancogno (BS) Integra 5,5 2 200

Abbiategrasso (MI) I Leprotti 1,5 1 10

Marchirolo (VA) Energia Legno Varese 1 1 8

Ospitaletto (BS)Fraternità Agricola

Onlus0,9 1 2

Tabella 2.6 La potenza termica media degli impianti di teleriscal-damento a biomassa nelle principali Regioni italiane

Regione Potenza [MWt]

Lombardia 6,404

Valle D’Aosta 5,367

Piemonte 3,725

Trentino Alto Adige 3,051

Friuli Venezia Giulia 0,338

Media in Italia 2,891

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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stione), il livello di investimenti ri-chiesti (per una centrale di 6 MWt di potenza termica e 2 MW elettrici in cogenerazione l’entità dell’investi-mento ammonta a oltre 10 mln €), le modalità con cui i progetti vengono finanziati e le tipologie di promotori che sono interessati ed investono in questi impianti.

Per quanto riguarda l’evoluzione attesa delle nuove installazioni nel breve periodo, l’analisi condotta suggerisce che è ragionevole ritenere, confermando in questo le prospettive delineate nella passata edi-zione del Biomass Energy Report17, che possano es-sere installati nei prossimi due anni, fino alla fine del 2012, circa 10-15 impianti all’anno, arrivando quindi ad una potenza complessiva stimabile in 450 MWt. Spostandosi su un orizzonte di medio-lun-go termine, invece, diventa nei fatti impossibile prevedere lo sviluppo che questo comparto della produzione di energia da biomasse potrà avere. Come descritto nel CAPITOLO 2.1, infatti, il Decre-to Rinnovabili ha stabilito un principio chiave, da tradursi in pratica nei prossimi mesi, che potrà mo-dificare sostanzialmente le prospettive di crescita del mercato. Ci si riferisce in particolare all’intro-duzione di un sistema per l’incentivazione della produzione di energia termica, principale output di questi impianti, che potrà rendere decisamente

più conveniente l’investimento, con enormi impatti sullo sviluppo futu-ro del mercato. La direzione e l’enti-tà di questo impatto dipenderanno fortemente dagli specifici livelli di incentivazione che saranno intro-dotti e dalle modalità concrete at-traverso cui l’incentivo sarà messo

in pratica, aspetti che ad oggi è nei fatti impossibile anticipare e quindi valutare (SI VEDA PARAGRAFO 2.1.2).

Il mercato delle centrali 2.2.2.3 termoelettriche

In questo segmento di mercato rientrano gli im-pianti a biomasse agroforestali, normalmente di grande taglia, costruiti con il principale obiettivo di produrre energia elettrica, da destinare princi-palmente all’autoconsumo (nel caso di impianti re-alizzati da imprese private e gruppi industriali che dispongono di biomasse come scarti dei loro pro-cessi produttivi) ed alla vendita (nel caso invece di centrali realizzate da utilities e imprese produttrici di energia).

Nel corso del 2010 sono stati installati circa 10 nuovi impianti di questo tipo nel nostro Paese, cui corrisponde una crescita della potenza com-

“Questi impianti per funzionare necessitano di biomasse che sono molto costose e vanno comprate

in anticipo, senza certezza sui ricavi non è possibile fare nuovi

investimenti.”

Titolare di un impianto a biomasse agroforestali

Figura 2.4 Numero di impianti e potenza istallata delle centrali termoelettriche a biomassa agroforestale in italia

2007 2008 2009 2010

Numero Impianti

Num

ero

Impi

anti

MW

e

120 600

500

400

300

200

100

0

100

80

60

40

20

0

MWe

17 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 62.

2.2 Il mercato

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plessiva di oltre 40 MW. Alla fine dell’anno, come si desume dalla FIGURA 2.4, in Italia sono quindi in funzione oltre 100 centrali termoelettriche, con una potenza cumulata prossima ai 550 MWe. Si tratta di una crescita del numero di impianti e della potenza cumulata rispettivamente di circa il 14 e l’8%, valori decisamente inferiori rispetto ai dati fatti registrare negli ultimi anni, che segnalano una inversione di tendenza dettata dalla crescente incertezza sul siste-ma di incentivazione degli impianti di grande taglia di cui si è parlato in precedenza. A questa crescita seppur contenuta del mercato è corrisposto un vo-lume d’affari complessivo generato nel 2010 pari a oltre 1.232 mln €.

Come si nota dalla FIGURA 2.4, nel corso del 2010 la potenza installata è aumentata proporzional-mente in misura inferiore rispetto al numero di impianti, a testimonianza del fatto che la taglia me-dia degli impianti entrati in funzione nell’ultimo anno sia inferiore rispetto a quella media registra-ta sul mercato. Nella passata edizione del Biomass Energy Report18 ci si aspettava che già nel corso del 2010 si potesse assistere ad una decisa crescita delle installazioni in impianti di grande potenza rispet-to ai tassi medi fatti registrare negli ultimi anni, nel caso in cui una maggiore chiarezza sul futuro dei Certificati Verdi e sulla certezza della remunerazio-ne dell’investimento fosse fatta. Questo tuttavia non è accaduto, a causa delle continue incertezze che nel

corso di tutto il 2010 hanno caratterizzato il futu-ro dei Certificati Verdi. Di fatto, oggi non è possi-bile realizzare un business plan per un impianto di grande taglia, con un orizzonte temporale che si spinga oltre il 2015. Poiché questi investimenti hanno orizzonti temporali molto più lunghi e, a dif-ferenza di altre fonti rinnovabili, prevedono ingenti costi di esercizio per l’acquisto della biomasse, gli operatori preferiscono rimandare gli investimenti fino a quando non avranno chiarezza sui possibili ricavi che andranno a realizzare.

È stata condotta anche un’analisi sul grado di dif-fusione relativa degli impianti a biomasse agrofore-stali nelle diverse regioni italiane. In FIGURA 2.5 si riporta, per ogni regione, il rapporto tra la poten-za elettrica installata in centrali termoelettriche e la superficie boschiva disponibile (che rappresenta ovviamente una delle principali fonti di materia pri-ma, insieme alle paglie, sanse e potature, per l’ali-mentazione di queste centrali). Dall’analisi emerge come in Italia siano mediamente installati poco meno di 10 kWe per ogni km2 di area boschiva e come Piemonte, Toscana e Trentino Alto Adige, che rappresentano le Regioni che dispongono delle più estese aree boschive, siano in realtà al di sotto della media nazionale. La Regione che, in base a questo indicatore, occupa la prima posizione di questa particolare classifica è il Molise, nonostante ciò sia dovuto non tanto alla potenza cumulata tota-

18 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 71.

Figura 2.5 Rapporto tra potenza installata in centrali la produzione di energia elettrica da biomassa agroforestale e superficie complessiva delle aree boschive delle diverse Regioni italiane

Piem

onte

Vene

to

Lazio

Cam

pania

Sicilia

Tosc

ana

Puglia

Mar

che

Ligu

ria

Calabr

ia

Um

bria

Sard

egna

Abru

zzo

Molise

Valle

d’A

osta

Basilic

ata

Lom

bard

ia

Emilia

Rom

agna

Friuli Ve

nezia

Giulia

Tren

tino

Alto

Adige

45

40

35

30

25

20

15

10

5

0

KW

e/Km

2

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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le, quanto piuttosto all’estensione delle sue aree boschive, estremamente limitata.

Come discusso sopra nel caso degli impianti di te-leriscaldamento, anche per le centrali termoelettri-che non si registrano particolari evoluzioni rispetto al quadro delineato nel 2010 per quanto riguarda le tecnologie impiegate, l’entità dell’investimento richiesta (che si attesta intorno ai 3.200 €/kWe), le tipologie di imprese che investono in questo tipo di impianto.

Per quanto riguarda infine l’evoluzione futura di questo mercato, va detto che nel corso del 2011 è verosimile attendersi che alcuni impianti in fun-zione saranno oggetto di revamping a causa della scadenza del periodo di incentivazione e della ne-cessità di interventi di questo tipo per poter riac-cedere al sistema di incentivi, come anche ribadito nel recente Decreto Ministeriale del 3 Marzo 2011. Se si ipotizza che tutti gli impianti in scadenza di incentivazione decidano di effettuare gli investi-menti di revamping sui propri impianti, è possi-bile stimare complessivamente per i prossimi 3-4 anni una potenza soggetta a questo tipo di inter-vento pari a 60-80 MWe che corrispondono alla necessità di investimenti per oltre 250 mln di €. Nel complesso, il Decreto Rinnovabili ha definitivamen-te stabilito, ad inizio 2011, cosa sarà dei Certificati Verdi da qui al 2015. Come accennato nel CAPITOLO

2.1, è prevista una riduzione del 22% sul prezzo di riacquisto del GSE calcolato come la differenza tra 180 €/MWh e il prezzo medio dell’energia elettrica registrato dall’AEEG nell’anno precedente(SI VEDA PARAGRAFO 2.1.1). Probabilmente, quindi, da qui al 2012 il numero di nuove installazioni di questi impianti sarà molto limitato, e caratterizzato dai soli interventi di revamping necessari per permettere di accedere ai nuovi meccanismi di incentivazione gli impianti di cui si è parlato prima. Dopo il 2012, l’evoluzione del mercato è di fatto impossibile da prevedere, dato che molto dipenderà dalle caratte-ristiche del sistema di incentivazione attraverso il meccanismo delle aste al ribasso (SI VEDA PARAGRA-FO 2.1.1) che i Decreti Attuativi del Decreto Mini-steriale del 3 Marzo 2011 definiranno nei prossimi mesi. Considerando la taglia media delle centrali termoelettriche, infatti, esse saranno probabil-mente, così come gli impianti alimentati ad olio vegetale, interessate dal meccanismo delle aste che, a detta degli operatori, rischia di essere piut-tosto complesso e di difficile applicazione pratica. L’auspicio è che invece, visto l’importante contribu-to che le biomasse dovranno assicurare al raggiun-gimento degli obiettivi contenuti nel PAN al 2010 (SI VEDA PARAGRAFO 2.1.1), questo sistema riesca ad essere impostato in modo da non rappresentare un ostacolo alle installazioni, quanto piuttosto un volano più efficace di quanto ha dimostrato di esse-re il sistema dei Certificati Verdi fino ad oggi.

2.2 Il mercato

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Come discusso nelle precedenti sezioni di questo capitolo, nel corso del 2010 il comparto delle bio-masse agroforestali non è stato interessato da cam-biamenti radicali di tipo tecnologico, normativo o di mercato. Di riflesso, anche a livello di filiera industriale non si riscontrano delle particolari evoluzioni rispetto al quadro delineato nella scor-sa edizione del Biomass Energy Report, sia per quanto riguarda l’articolazione della filiera che per quanto concerne la presenza di operatori stranieri sul nostro mercato, le relative posizioni di forza ed i modelli di business utilizzati. L’obiettivo di questo capitolo è quindi innanzitutto quello di fornire un aggiornamento sui volumi d’affari fatti registrare dalle imprese attive sul mercato italiano nel 2010 e sulle loro marginalità. Oltre a ciò, si riportano i risultati di alcune analisi ed approfondimenti che sono stati condotti sul tema dell’approvvigionamen-to della materia prima, che nella scorsa edizione della ricerca aveva avuto meno spazio, nonostante si tratti indiscutibilmente di un elemento fondamen-

tale per assicurare un corretto funzionamento degli impianti, specialmente quelli di taglia maggiore19. In particolare, si presenterà un’analisi del comparto della Short Rotation Forestry (SRF) in Italia e del-la produzione di pellet.

I volumi d’affari e le 2.3.1 marginalità

La FIGURA 2.6 fornisce una rappresentazione del-la filiera italiana della produzione di energia da biomasse agroforestali aggiornata al 2010, da cui è possibile desumere la numerosità degli operatori coinvolti, i volumi d’affari generati nei tre segmenti di mercato in cui essa si articola (ossia le caldaie e stufe a pellet ad uso residenziale, gli impianti di teleriscaldamento e le centrali termoelettriche) e la relativa presenza di imprese straniere ed italiane. Per quanto riguarda la numerosità degli operatori, il censimento condotto ha permesso di identifi-

2.3La filiera

Mercato degli impiantidi teleriscaldamento

Mercato delle centrali termoelettriche

98%

2%

8%5%

87%

92%

8%

8%

87%

5%Tecnologie & componenti

Progettazione & distrbuzione di materia prima

Progettazione & installazione

114 Imprese

85 Imprese

197 Imprese

Mercato residenziale 450 Imprese

Produzione di energia elettrica e/o termica

Impresa italiana Impresa estera con filiale italiana Impresa estera

Figura 2.6 Imprese nella filiera delle biomasse agroforestali in Italia

19 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 67.

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care più di 380 imprese attive nelle diverse fasi della filiera, ad esclusione dei titolari degli im-pianti di teleriscaldamento e delle centrali ter-moelettriche, che superano le 200 unità. Si osserva quindi un significativo incremento del numero di imprese attive in questo comparto delle biomasse rispetto al 2009 (di circa il 25%) ed un corrispon-dente aumento della competizione. Questo lascia intendere che il mercato italiano, nonostante non abbia fatto registrare dei tassi di crescita partico-larmente elevati (SI VEDA CAPITOLO 2.2) e nono-stante il meccanismo dei Certificati Verdi abbia continuato a rivelarsi particolarmente incerto ed inefficace, sia stato giudicato attrattivo da diver-si nuovi operatori che hanno deciso di investirvi, come ad esempio i player specializzati nelle tecno-logie di gassificazione od ORC (SI VEDA CAPITOLO 1). È interessante notare come questo incremento del numero di operatori non sia andato a discapito delle imprese italiane, che hanno mantenuto di fatto inalterato (se non in alcu-ni casi, come nel comparto della produzione di tecnologie e com-ponenti, addirittura aumentato) il loro peso percentuale. Di fatto si conferma ancora, quella delle biomasse agroforestali, una filiera in cui la presenza degli operatori italiani, anche nelle aree di business a maggiore intensità tecnologica, è preponderante, diversamente da quanto accade in

altri comparti delle rinnovabili, su tutti il fotovol-taico e l’eolico.

Per quanto concerne il volume d’affari complessivo, si può stimare che nel 2010 esso abbia raggiunto e superato i 2,1 mld €, con una crescita di oltre il 15% rispetto al valore fatto registrare nel 2009. In questa stima si considerano, come fatto anche nella scorsa edizione del Biomass Energy Report, i rica-vi dalla vendita di materia prima, della vendita ed installazione di nuovi impianti, oltre che dalla ven-dita dell’energia elettrica non autoconsumata (e dei Certificati Verdi associati). La crescita del volume d’affari rispetto all’anno precedente è in larga par-te dovuta all’aumento significativo delle installa-zioni nel segmento delle centrali termoelettriche, cui è corrisposto un aumento dei ricavi complessivi di oltre il 27%. Diversamente, il segmento residen-

ziale ha fatto segnare solo un lieve aumento dei ricavi totali (stimabi-le nell’ordine del 6-7% rispetto al 2009), mentre addirittura il com-parto del teleriscaldamento ha re-gistrato incrementi di soli 1-2 punti percentuali.

La FIGURA 2.7 riporta invece l’andamento delle marginalità industriali lorde (misurate attraverso l’EBITDA Margin) nelle diverse aree di business in cui si articola la filiera. Si nota come, rispetto alla

“La tecnologia ORC è molto interessante e ci attendiamo

importanti sviluppi nei prossimi anni.”

Progettista di impianti a biomasse agroforestali

0

5

10

15

20

25

Produzione elavorazione

materia prima

Progettazionee istallazione

Produzione dienergia elettrica

e/o termica

Tecnologia ecomponenti(segnmentoresidenzile)

Tecnologia ecomponenti(segnmento

teleriscaldamentoe centrali

termoelettriche)

18%

11%

15%

9%

17%

Figura 2.7 EBITDA Margin medio delle imprese operanti nelle diverse fasi della filiera delle biomasse agroforestali in Italia.

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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rilevazione effettuata lo scorso anno, la produzio-ne di energia in questi impianti abbia fatto segnare una lieve riduzione della marginalità complessiva, a causa della maggiore instabilità del sistema di in-centivi, che ha negativamente impattato sui ricavi dei produttori di energia. Si mantengono pressoché costanti invece i livelli della marginalità nelle aree di business relative alla progettazione, installazione e fornitura di tecnologie e componenti, che non han-no sperimentato particolari cambiamenti rispetto alla situazione competitiva che ha caratterizzato gli anni passati. Rimangono anche particolarmente elevati i margini nell’attività di produzione e la-vorazione della materia prima (prossimi a valori del 18%), ad ulteriore testimonianza della scarsità di biomasse agroforestali disponibili nel nostro Pa-ese e delle enormi difficoltà insite nel loro approv-vigionamento e distribuzione, che aumenta signi-ficativamente il potere contrattuale dei fornitori. La disponibilità e l’accesso a costi contenuti e in modo continnuativo nel tempo si conferma quin-di anche nel 2010 un fattore critico di successo per il buon funzionamento di questi impianti e per assicurare un soddisfacente ritorno sul capitale in-vestito per l’investitore.

Nei seguenti due paragrafi si forniranno alcuni ap-profondimenti sull’area di business relativa alla pro-duzione e distribuzione della materia prima. Ci si occuperà, in particolare, di Short Rotation Forestry e di produzione di pellet, due aspetti cui si è volu-tamente solo fatto cenno nella scorsa edizione del Biomass Energy Report, ma che hanno delle inte-ressanti specificità. Per il resto, non si riscontrano particolari evoluzioni nel corso del 2010 in termini di organizzazione e funzionamento di questa area di business rispetto al quadro delineato lo scorso anno, cui si rimanda per approfondimenti e richiami.

Area di 2.3.2 business “Produzione e distribuzione della materia prima”: la Short Rotation Forestry

Come si accennava nella scorsa edizione del Bio-mass Energy Report20, la materia prima per l’ali-mentazione delle centrali di teleriscaldamento e termoelettriche (ossia materiale legnoso nella forma di ciocchi o, più frequentemente, cippato) viene rifornita da tre principali tipologie di opera-tori: le imprese di lavorazione primaria del legno

quali segherie e falegnamerie, le società forestali e di manutenzione boschiva, normalmente di pro-prietà comunale, ed infine le cosiddette imprese di Short Rotation Forestry (SRF), il cui business consiste nella realizzazione e avviamento di piantagioni destinate alla produzione di legno per alimentare impianti di generazione di ener-gia. L’obiettivo di questo PARAGRAFO è fornire un panorama sulla SRF, con particolare riferimento al contesto italiano.

Con il termine Short Rotation Forestry (SRF), os-sia selvicoltura a turno breve, vengono solitamente indicate quelle coltivazioni, ad elevata densità, di specie arboree caratterizzate da una rapida crescita e la cui gestione prevede frequenti interventi di ce-duatura e taglio, per massimizzare la produzione di materiale legnoso, cippato e bricchetti, da destinare prevalentemente alla trasformazione energetica. Si-nonimi di SRF sono Energy Forestry, Short Rotation Intensive Culture e Short Rotation Coppice. In Italia questa tecnica di coltura è di recente introduzio-ne (i primi esperimenti risalgono ai primi anni ‘80), ma è solo con il Programma Nazionale di Va-lorizzazione Energetica delle Biomasse Agricole e Forestali (PNERB) del 1999 che la SRF viene seria-mente considerata come strumento a supporto del-lo sviluppo della filiera delle biomasse agroforestali. Il PNERB si poneva lo scopo preciso di promuo-vere la nascita e l’attività di nuove organizzazioni produttive basate sulla valorizzazione dei residui agroforestali e, in particolare, sulla produzione di biomassa da colture energetiche dedicate. L’obiet-tivo era quello di portare, nel giro di pochi anni, a 200.000-250.000 ha la superficie coltivata utiliz-zabile per la produzione di biomasse agroforestali. Purtroppo gli obiettivi del Programma sono molto lontani dall’essere raggiunti, se si considera che ad oggi alla SRF è destinata una superficie di solo 10.000 ettari (che, se si considera una coltura con ceduazione biennale, permetterebbero di alimenta-re costantemente un singolo impianto da non più di 20 MWe). Le specie maggiormente impiegate sono il pioppo e il salice al Nord e la robinia nel Centro Italia. I turni di ceduazione più frequenti sono il biennale e il quinquennale. La maggior parte delle piantagioni italiane a SRF si trovano in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia.

In Italia negli ultimi 10 anni diverse aziende si sono interessate al business della Short Rotation Forestry. Queste imprese tipicamente si occupavano di ge-

20 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 69.

2.2 La filiera

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stione boschiva o manutenzione del verde e han-no deciso di ampliare la propria attività nel campo della Short Rotation Forestry, in questo spinte dalla crescente attrattività del business della produzione di energia da biomasse agroforestali. Le attività in questo business consistono essenzial-mente nella realizzazione e nell’avviamento di colti-vazioni legnose ad alta produttività che, situate so-litamente nei pressi delle centrali e spesso addirit-tura su richiesta dei produttori di energia, vengono destinate ad alimentare impianti a biomasse agroforestali (tanto cen-trali termoelettriche quanto sistemi di teleriscaldamento) dopo essere state trasformate, normalmente in loco, in cippato o materiale analo-go. Quest’ultima fase di trasforma-zione della materia prima ottenuta e di vendita della stessa alle centrali termoelettri-che è spesso gestita dalle stesse imprese che si sono occupate dell’avviamento della coltivazione di SRF, che annualmente ritirano dai propri clienti la bio-massa prodotta e la rivendono ai titolari degli im-pianti per la valorizzazione energetica. Ci sono poi imprese, come accade nel caso di Biomasse Italia, che dispongono di un impianto termoelettrico ali-mentato a biomassa ed i volumi di materia prima necessari per alimentarlo hanno giustificato prima lo sviluppo di competenze agronomiche interne in questo comparto, quindi la concreta realizzazione di coltivazioni di SRF.

La Lombardia riveste un ruolo di primo piano

nell’industria italiana della Short Rotation Forestry, con oltre 5 imprese attive in questo comparto, tra le prime nel nostro Paese. La TABELLA 2.7 riporta le principali imprese italiane attive nella SRF.

Dall’analisi della TABELLA 2.7 si nota come come, escludendo Biomasse Italia (i cui ricavi sono in-fluenzati dal business primario dell’impresa, attiva da anni nella produzione di energia), le altre azien-de siano tipicamente di piccole dimensioni, con fatturati che nel migliore dei casi raggiungono i 2

mln di €. Queste imprese operano su aree territoriali limitate, in al-cune specifiche aree del nostro Pa-ese, il che si rende necessario vista l’importanza che avere un comple-to presidio sulle attività di produ-zione della biomassa comporta. Questo spiega anche i limitati vo-

lumi d’affari che queste imprese riescono comples-sivamente a totalizzare. Si segnala tuttavia un trend positivo nell’evoluzione dei fatturati di queste im-prese nel corso degli ultimi 2 anni, con realtà come la Forenergy che nel 2009 ha più che raddoppiato il risultato conseguito nell’anno precedente. Inol-tre, analizzando le potenzialità di questo tipo di coltivazioni che, come detto precedente, possono raggiungere i 200-250 mila ettari, a fronte dei soli 10.000 attualmente realizzati, e grazie alla recente definizione della filiera corta (SI VEDA PARAGRA-FO 2.1.1), che promuove questo tipo di iniziative, è facile aspettarsi un aumento di interesse anche da parte di altri operatori (che già si occupano di energie rinnovabili) per questo tipo di attività.

“In Italia ci sono solo 10.000 ettari dedicati a SRF. È incredibile pensare che ci sia un potenziale per arrivare

tranquillamente a 200-250.000 ettari.”

Impiegato di impresa di SRF

Nome Regione Comune Fatturato 2009

Biomasse Italia Calabria Strongoli (CR) 93.459.321

Forenergy Lombardia Vigevano (PV) 2.363.922

Biomasse Europa Veneto Ponte San Nicolò (PD) 1.133.865

Atena Umbria Acquasparta (TR) 782.154

Rinnova Green Energy Lombardia Scandolara Ravara (CR) 282.778

Alasia Franco Vivai Piemonte Savigliano (CN) n.d.

Allasia Plant Piemonte Cavallermaggiore (CN) n.d.

Consorzio GBE Lombardia Pavia n.d.

Tenuta Civrana Veneto Pegolotte di Cona (VE) n.d.

Tabella 2.7 Principali imprese italiane attive nella Short Rotation Forestry

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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I BOX 2.3 e 2.4 descrivono i casi di due imprese italiane attive nel campo della SRF.

In Italia sono diversi i progetti sperimentali pro-mossi per valutare la fattibilità tecnico-economica

della realizzazione di investimenti in nuove colture energetiche, anche e soprattutto in aree dove ciò si tradurrebbe anche in un significativo e tangibile be-neficio ambientale. Il BOX 2.5 riporta un progetto di questo tipo, che si è concluso durante il 2010.

Box 2.3 Atena

Atena nasce nel 1984 ad Acquasparta, in provincia di Ter-ni, come azienda per la consulenza agronomica, la ricerca nel campo delle coltivazioni agronomiche e per il soste-gno delle imprese sementiere, attività per le quali essa di-spone di significative competenze. Il nome, Atena, è un acronimo che sta per Agricoltura, Tecnologia, Energia, Ambiente. L’ingresso nell’area di business della SRF vie-ne effettuato ufficialmente nel 2004, come risultato di due anni di ricerche ed attività sperimentali condotte in Italia e in Europa. Le sperimentazioni condotte rappresentano tutt’ora la base per le scelte relative alle specie, al turno di ceduazione, alla densità e alle modalità di investimento effettuate dall’impresa. Atena, attraverso l’attività dei 10 addetti impegnati a tempo pieno, ai quali si aggiungono non di rado, per progetti di ricerca specifici, esperti con contratti a tempo determinato, è attiva unicamente nel Centro e Sud Italia, con una forte presenza in Umbria, grazie anche alla partecipazione alle attività del Consor-zio Produttori Agricoli Acque Minerali Umbre. Le attività che impegnano direttamente Atena nel campo della SRF riguardano il trapianto di talee, l’installazione di impianti di irrigazione a goccia, la raccolta e il ritiro del cippato, l’assistenza tecnica nei primi due anni di vita dell’impian-to, cui si aggiungono la consulenza e l’espletazione delle attività burocratiche. Nel 2010 l’impresa ha fatto registrare un fatturato nelle attività di SRF pari a 650.000 €, a fronte di ricavi nel 2009 e 2008 intorno a 300.000 €, per effetto di un incremento degli ettari lavorati da 60 a oltre 185. Nella gestione del rapporto con i propri clienti, Atena la-scia solitamente all’azienda agricola la responsabilità della lavorazione principale del terreno, attraverso la quale esso viene preparato per il trapianto, per poi occuparsi diret-tamente, con macchinari propri (o rivolgendosi ai soci del Consorzio Produttori Agricoli Acque Minerali Umbre oppure, ancora, a contoterzisti) delle attività per le quali sono necessarie competenze specifiche, quali appunto tra-pianto, raccolta e ritiro della produzione. Inoltre l’impresa ha siglato un accordo di collaborazione con la società Ala-

sia Franco Vivai, in base a cui si stabilisce che Atena è con-cessionaria delle varietà di pioppo di Alasia Franco Vivai per le zone del Centro e del Sud Italia. Dal punto di vista strategico, Atena intende puntare su quello che potremmo chiamare “modello del distretto agricolo energetico ter-ritoriale”, in cui la produzione di materia prima legnosa locale è utilizzata per soddisfare il fabbisogno di impianti e utenze situate nelle vicinanze. Attualmente infatti i prin-cipali problemi riscontrati da Atena hanno a che vedere con la parte conclusiva della filiera, dato che la maggior parte del cippato prodotto viene venduto alle grandi cen-trali termoelettriche presenti nel Centro Italia. La pre-senza di un numero esiguo di potenziali clienti sposta in modo significativo il potere contrattuale nei confronti del cliente, che riesce spesso a spuntare condizioni contrat-tuali estremamente vantaggiose e con prezzi tipicamente al ribasso. Per porre rimedio a questa situazione l’impresa ha deciso di sviluppare propri impianti di produzione di energia elettrica e/termica a partire dalle proprie biomas-se; il primo ad essere realizzato dovrebbe essere quello ad Acquasparta da 2 MWe e 6 MWt di potenza. Nell’ottica di espansione a valle della filiera e della realizzazione del modello del distretto agricolo energetico territoriale, Ate-na ha in progetto di realizzare anche un impianto per la produzione di pellet dal legno prodotto nelle coltivazio-ni di proprietà. Tale impianto sfrutterà l’energia termica generata dalla caldaia di Acquasparta per l’essiccazione delle varie materie legnose. Si otterrà in questo modo una materia prima “umbra” al 100%. L’espansione dei confini delle attività di Atena dovrà inoltre coinvolgere principali Enti pubblici locali, nel tentativo (si tratta di progetti in fase di valutazione) di fornire al comune di Acquasparta il combustibile necessario per la caldaia da 800kW che sod-disferà il fabbisogno termico di piscina comunale e cen-tro sportivo, al comune di Massa Martana la materia pri-ma per l’alimentazione di un’utenza di teleriscaldamento comunale e al comune di San Gemini la materia prima necessaria per riscaldare l’intero plesso scolastico.

2.2 La filiera

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Box 2.4 Forenergy

Forenergy (acronimo di Forestry Energy) nasce in provincia di Pavia, a Vigevano, con lo scopo prefissato di operare nel campo delle colture energetiche dedicate legnose. La com-pagine sociale di Forenergy, allo stato attuale, vede la pre-senza di GBE (al 25%), Enervision (al 10%) e Overland (al 65%), tutte imprese attive nella stessa area di business, ossia nella produzione e movimentazione di biomassa agrofore-stale. Essa può anche vantare una stretta collaborazione con Terra Viva, studio tecnico agroforestale con competenze in campo agronomico, ambientale e di pianificazione ecologi-ca ed una partnership commerciale con Alasia Franco Vi-vai, principale fornitore a livello nazionale di talee ed astoni per Short Rotation Forestry (Forenergy è concessionario delle specie arboree sperimentate da Alasia Franco Vivai). Nel Settembre 2005 Forenergy ha fornito il proprio fonda-mentale contribuito alla fondazione del CNER, (Consorzio Nazionale delle Energie Rinnovabili Agricole), nato con l’obiettivo di incentivare e valorizzare le produzioni di ener-gia rinnovabile attraverso l’utilizzo di risorse provenienti dal settore primario ed attivo soprattutto nel settore delle

produzioni agricole energetiche. Sfruttando le competenze dei 7 addetti che compongono il suo organico, Forenergy si occupa in modo integrato di tutte le attività di cui si compo-ne la filiera della SRF, ad esclusione della preparazione del terreno, che viene tipicamente demandata all’agricoltore. Essa opera principalmente in Lombardia, dove ha consoli-dato nel corso degli anni la propria presenza nella provin-cia di Pavia (con circa 1.600 ha destinati a SRF), Cremona (260 ha), Lodi (170 ha), Brescia e Bergamo (per un totale di 130 ha), Mantova (120 ha) e Milano (100 ha). Per quanto concerne la parte terminale della filiera, Forenergy, non si occupa direttamente della produzione di energia, bensì ri-acquista il prodotto “in piedi” dai propri clienti e, dopo una lavorazione di cippatura, procede alla vendita del cippato con umidità pari al 50%. I clienti cui in questo caso essa si rivolge sono i titolari delle centrali termoelettriche presenti sul territorio regionale. Il fatturato di Forenergy degli ultimi anni risulta essere in decisa crescita, avendo raggiunto i 2,5 mln € nel 2010, a fronte di ricavi totali nel 2008 pari a circa 1 mln €.

Area di 2.3.3 business “Produzione e distribuzione della materia prima”: la produzione di pellet

Proseguendo nell’approfondimento sulla produzione di biomasse agroforestali e muovendosi verso il seg-mento residenziale, si forniscono di seguito alcuni elementi di dettaglio relativi alla produzione italiana di pellet. Oggi in Italia si stima siano attivi circa 80 produttori in questo comparto, che hanno fatturati medi di 10/12 mln di € e capacità produttive media-mente di 20.000 ton/anno. Queste imprese solitamente dispongono di scarti di materia prima legnosa, che decidono di rilavorare e valorizzare attraverso la produzione di pellet. In alcuni casi, per le imprese di più grandi dimensioni, vengono inol-tre attivati accordi per il conferimento di biomassa legnosa derivante da gestione boschiva o manuten-zione del verde. Infine, come nel caso della Energy Pellets di Treviso (SI VEDA TABELLA 2.8), le imprese più grandi ricorrono anche all’utilizzo di biomas-

sa legnosa ottenuta da colture boschive di proprietà dell’impresa, in Italia o all’estero.Per quanto riguarda la vendita dei propri prodotti, invece, esistono sostanzialmente tre modalità attra-verso cui il pellet viene commercializzato ed arriva dal produttore al cliente finale (tipicamente un pri-vato o una famiglia o piccole realtà industriali e com-merciali che utilizzano queste caldaie per riscaldare uffici o altri ambienti): (i) vendita diretta al clien-te da parte del produttore di pellet. Si tratta di un approccio distributivo diffuso soprattutto tra i pro-duttori di non grandi dimensioni che riforniscono, attraverso accordi bilaterali di durata anche annua-

le, utilizzatori che si trovano nelle immediate vicinanze dell’azienda produttrice; (ii) vendita tramite i produttori e rivenditori di stufe e caldaie, che oltre a fornire ai clienti l’impianto completo, sono in gra-do di soddisfare la loro domanda

di combustibile durante l’anno. Tipicamente questa modalità distributiva è più comune tra i produttori di pellet di piccole dimensioni che operano principal-mente su scala provinciale, i quali stipulano accordi con i rivenditori di stufe per soddisfare la domanda

“Ormai trovare il nostro pellet è molto facile, lo vendiamo pure nei

grandi supermercati.”

Marketing manager di un’impresa produttrice di pellet

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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Box 2.5 Il Progetto Biocolt

Promosso da Veneto Agricoltura, il progetto Biocolt (Col-ture Energetiche per il Disinquinamento della Laguna di Venezia) riguarda una delle zone più delicate dal punto di vista ambientale dell’intera regione Veneto: l’entroter-ra della laguna di Venezia, che ne costituisce il bacino di conferimento delle acque (il cosiddetto “bacino scolan-te”). Negli anni Ottanta e Novanta, un eccessivo scarico di nutrienti nelle acque della laguna attraverso il bacino scolante ha dato luogo ad un fenomeno di eutrofizzazione, che ha messo in luce la necessità di un intervento per la salvaguardia e il risanamento delle acque del bacino idro-grafico della zona. Uno degli approcci che si è deciso di seguire per risolvere il problema consiste nella riduzione dell’apporto di nutrienti da parte dei settori agricolo e zootecnico. È proprio in questo scenario che si inserisce il progetto Biocolt, attraverso il quale si è proceduto ad analizzare l’opportunità di introdurre nel bacino scolan-te colture da biomassa a ciclo breve a fini energetici, che presentano una scarsa necessità di apporti di fertilizzanti. In particolare, sono state considerate colture di canna co-mune, panico e pioppo in un primo momento, miscanto, loiessa e festuca in un secondo momento. In sintesi, il progetto Biocolt si è posto questi principali obiettivi:

• sperimentazione delle condizioni agronomiche di colti-vazione e le rese produttive in campo;

• verificadellecondizionitecnichedisfruttamentoenerge-tico del combustibile ottenuto;

• verificadelladiminuzionedell’apportodinutrientiallarete idraulica;

• verificadell’efficienzaeconomicadellafilieradiproduzio-ne e utilizzo delle colture energetiche;

• diffusionedeirisultatiottenutipressoglioperatoriagri-coli presenti nel bacino scolante della Laguna di Venezia.

Le analisi condotte mettono in luce la piena sostenibilità energetica ed ambientale delle filiere agro-energetiche an-che se di piccola scala, con un rapporto tra energia disponi-bile in uscita e input energetici necessari estremamente po-sitivo. Nei casi analizzati, che prevedevano di destinare un terreno di 1-2 ha a SRF, la cui produzione viene interamente impiegata per alimentare una caldaia a biomassa in sostitu-zione di una tradizionale a metano o a gasolio (ovviamente di analoga potenza installata), è stato stimato un risparmio medio annuo di oltre 24 tep a favore del modello di filiera “biomasse – energia”, il che si traduce in un tempo di pay back dell’investimento nell’impianto a rinnovabili stimabili nell’ordine dei 3-5 anni.

locale; (iii) vendita tramite distributori. Si tratta della modalità più comune, specialmente tra i pro-duttori di pellet di grande taglia che intendono servi-re ampie fette del territorio nazionale. Questi ultimi vendono normalmente il loro prodotto (in sacchi da 15-20 kg, la dimensione normalmente utilizzata dal 90% dei clienti privati e dalle famiglie) a grandi cate-ne di distribuzione generaliste (ad esempio Auchan, Gigante e Coop), a quelle specializzate in materiale “tecnico” (ad esempio Bricocenter o Leroy Merlin), a centri di giardinaggio e a cooperative di consumo. Nel complesso, quasi il 70% della produzione na-zionale passa attraverso questo canale distributivo intermediato, il che testimonia la grande importan-za che il mercato residenziale e domestico ha per il pellet in Italia.La TABELLA 2.8 riporta un elenco dei principali ope-ratori attivi in Italia in questo particolare segmento di mercato.Considerando la distribuzione sul territorio dei pro-

duttori elencati in tabella, si nota innanzitutto che oggi nel Nord del Paese è concentrata la maggio-ranza degli operatori, sia per quanto riguarda la loro numerosità che la capacità produttiva instal-lata (oggi circa il 70% dell’offerta nazionale proviene dalle regioni settentrionali). Ciò è dovuto all’impatto del settore delle stufe e/o caldaie a pellet, che risulta decisamente concentrato nel Nord del Paese e che è il principale sbocco di mercato per questi operatori. Un trend interessante che si rileva dall’analisi di questo segmento di mercato riguarda la scelta, messa in pra-tica da diversi operatori negli ultimi anni, di abbando-nare l’attività di produzione del pellet per focalizzarsi sulla sua distribuzione (frequentemente ricorrendo a contratti con fornitori stranieri). Questo è dovuto in buona sostanza all’elevata aleatorietà del prezzo del pellet, sia sul mercato italiano che su quelli interna-zionali, che a sua volta determina un andamento ci-clico nella domanda di stufe e camini, che può subire bruschi e repentini rallentamenti (come è successo in

2.2 La filiera

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Impresa Sede RegioneCapacità

(ton)

Italiana Pellets Corana (PV) Lombardia 120.000

Energy Pellets Treviso Veneto 100.000

Friul Pellet Captiva del Friuli (GO) Friuli Venezia Giulia 40.000

IT-Fire Sassocorvaro (PU) Marche 40.000

SittaSan Giovanni al Natisone

(UD)Friuli Venezia Giulia 30.000

Rossikol Sambuceto (CH) Abruzzo 30.000

Elle-Bi Cerreto Guidi (FI) Friuli Venezia Giulia 30.000

Pe.Pe. Azzana Decimo (PN) Friuli Venezia Giulia 30.000

Italtrucciolo Bologna Emilia Romagna 30.000

SegatifriuliSan Michele de Piave di

Cimandolmo (TV)Veneto 25.000

Del Curto Verderio Inferiore (LC) Lombardia 25.000

Produttori Sementi Verona Caldiero (VR) Veneto 25.000

Braga Casalmaggiore (CR) Lombardia 23.000

Biocalor Romans D’Isonzo (GO) Friuli Venezia Giulia 20.000

Ecologic Fire Pietrabbondante (VS) Molise 15.000

Priant Vazzola (TV) Veneto 15.000

Bordignon Giuseppe Selva del Montello (TV) Veneto 15.000

Geminati Brescia Lombardia 15.000

Imola Legno Imola (BO) Emilia Romagna 15.000

Melinka Italia Verona Veneto 15.000

Mallarini Savona Liguria 10.000

Tabella 2.8 I principali produttori di pellet italiani.

Italia nel 2007, quando il numero di stufe e/o calda-ie a pellet installate annualmente è sceso dalle oltre 250.000 del 2006 alle sole 150.000 del 2007). Quando ciò accade, il produttore di pellet, specialmente se ha un mercato esclusivamente locale, come tipica-mente accade per i player italiani, soffre di un re-pentino e sostanziale calo della redditività, causato dal livello dei costi fissi che la sua struttura produttiva impone. Molti degli operatori italiani hanno perciò negli ultimi anni trovato più conveniente spostarsi a valle nella filiera, così da ridurre il loro grado di rigidità ed essere meno esposti alle variazioni della domanda di cui si è detto. La FIGURA 2.8 riporta il quantitativo di pellet prodotti in Italia ed importati. Si può notare come nel 2009 la domanda nazionale di pellet si attestasse su 1,2 mln di tonnellate all’anno, di cui circa il 35% proveniva da importazioni. Nel corso

del 2010 non si registrano sensibili incrementi del-la produzione (e della capacità produttiva) di pellet da parte degli operatori italiani, a fronte di una do-manda salita a quasi 1,5 mln di tonnellate all’anno, di cui meno di 0,8 coperte attraverso produzioni nazionali. L’importazione avviene prevalentemente da Paesi europei non distanti dai confini italiani, in modo da ridurre i costi del trasporto della materia prima. I principali Paesi da cui l’Italia importa sono l’Austria (con 230.000 tonnellate all’anno), la Ger-mania e la Croazia (160.000 tonnellate) e la Slovenia (60.000 tonnellate). Bisogna infine sottolineare come i produttori italiani non facciano export, bensì tutta la loro produzione è destinata al mercato locale.Il BOX 2.6 riporta alcune informazioni su Italiana Pel-lets, una delle imprese produttrici di pellet del nostro Paese.

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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Figura 2.8 Andamento della quantità di pellet prodotta e importata in Italia.

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Import Produzione

ton

1.600.000

1.400.000

1.200.000

1.000.000

800.000

600.000

400.000

200.0000

Aree di 2.3.4 business “Tecnologie e componenti” e “Produzione ed installazione”

Come detto per l’area di business relativa alla pro-duzione e distribuzione di materia prima, anche per quanto riguarda i comparti dello sviluppo e fornitura di tecnologie e componenti e della pro-gettazione ed installazione, non si riscontrano delle

differenze sostanziali rispetto al quadro delineato nella passata edizione del Biomass Energy Report21. Le TABELLE 2.9, 2.10 e 2.11 riportano in partico-lare un elenco dei principali operatori attivi sul mercato italiano in queste due aree di business, da cui si desume che le posizioni di forza tra i top players non hanno subito sostanziali modifiche, come d’altronde già descritto in precedenza in que-sto capitolo. Si tratta quindi di un mercato che si conferma maturo, in cui gli operatori hanno con-quistato e mantengono posizioni consolidate.

Box 2.6 Italiana Pellets

Italiana Pellet è un’impresa italiana operante nel settore dei combustibili da biomasse legnose e nella produzio-ne di energia rinnovabile. Il suo core business consiste nella produzione di pellet ricavati da legno vergine di provenienza prevalentemente italiana, con due linee di prodotto dedicate all’utenza domestica e industriale. Ita-liana Pellets ha iniziato la produzione nel Maggio 2010, circa un anno dall’avvio operativo della società. Attual-mente impiega una ventina di dipendenti che divente-ranno circa il doppio verso la fine dell’anno 2011, quando la società prevede di arrivare a pieno regime di attività. Il giro di affari previsto è di oltre 20 mln € all’anno. Lo stabilimento produttivo, situato a Corana in provincia di Pavia, copre una superficie di oltre 40.000 metri quadri. A pieno regime sarà in grado di produrre oltre 100.000 tonnellate di pellet all’anno, pari a circa l’8% del fabbi-sogno nazionale, rendendo così Italiana Pellets il primo

produttore italiano in questo particolare comparto. Il fabbisogno energetico dell’impianto produttivo è soddi-sfatto da fornaci a biomassa e da un sistema cogenerati-vo a gas naturale costruito da Enplus Italia, impresa di progettazione e costruzione di impianti di produzione di energia con sede a Erbusco (BS), in collaborazione con MTU Onsite Energy, azienda tedesca con una filiale in Italia (nello specifico, a La Spezia) attiva nella realizza-zione di gruppi di cogenerazione e motori. Quest’ultimo garantisce all’azienda circa 3 MW di potenza elettrica, 2 MW di potenza termica e permette di evitare emissioni in atmosfera per circa 15 mila tonnellate annue di ani-dride carbonica. La tecnologia è invece stata realizzata dall’impresa Costruzioni Nazzareno, di Vacil di Breda di Piave, in provincia di Treviso, attiva nella produzione di impianti per la produzione di pellets, bricchettatrici, ma-cinatori e impianti di filtrazione dell’aria.

21 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 79.

2.2 La filiera

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Tabella 2.9 I principali produttori di stufe e caldaie a pellet per uso residenziale

Tabella 2.10 I principali produttori di caldaie di medio-grande dimensione

Impresa SedePresenza sul

mercatoFatturato 2009* [€] Dipendenti 2009

Palazzetti Porcia (PN) Impresa italiana 76.210.000 344

Edilkamin Lainate (MI) Impresa italiana 74.653.000 224

Mcz GroupVigonovo di Fontana-

fredda (PN)Impresa italiana 55.777.000 219

Olimpia Splendid Gualtieri (RE) Impresa italiana 46.802.000 252

La Nordica Montecchio Precalcino Impresa italiana 34.567.000 99

Thermorossi Arsiero (VI) Impresa italiana 31.089.000 31

Cola Arcole (VR) Impresa italiana 17.327.000 68

Jolly Mec Caminetti Telgate (BG) Impresa italiana 9.808.000 n.d.

Laminox Sarnano (MC) Impresa italiana 9.262.000 48

Klover Verona Impresa italiana 7.388.000 n.d.

UngaroSan Mango d’Aquino

(CZ)Impresa italiana 7.037.000 n.d.

C.T.P. Motesarchio (BN) Impresa italiana 2.547.000 25

Vibrok Paliano (FR) Impresa italiana 1.814.000 35

Kwb Austria Filiale in Italia 1.804.000 7

Jotul Norvegia Filiale in Italia n.d. n.d.

Kolbach Austria Impresa estera n.d. n.d.

Hwam Danimarca Impresa estera n.d. n.d.

Morso Danimarca Impresa estera n.d. n.d.

Austro Flamm Austria Impresa estera n.d. n.d.

Tulikivi Oyj Finlandia Impresa estera n.d. n.d.

* Per le imprese estere senza filiale in italiana è stato riportato il fatturato complessivo, mentre per le altre imprese il fatturato realizzato in Italia.

Impresa SedePresenza sul

mercatoFatturato 2009* [€] Dipendenti 2009

Ansaldo Energia Genova Impresa italiana 857.761.000 2.898

Ansaldo Caldaie Milano Impresa italiana 178.481.845 456

Busi Group Bologna Impresa italiana 160.894.000 401

SFT Magenta (MI) Impresa italiana 136.717.081 393

Babcock & Wilcox

VølundDanimarca Impresa estera 79.000.000 363

Bono Energia Milano Impresa italiana 44.340.000 137

Comef Carpenteria Tradate(VA) Impresa italiana 14.738.000 13

UniconfortSan Martino di

Lupari(PD)Impresa italiana 10.456.000 28

KWB Austria Filiale in Italia 1.804.000 7

Kolbach Austria Impresa estera n.d. n.d.

* I fatturati per i gruppi industriali diversificati comprendono anche i ricavi generati dalle attività non correlate al settore delle biomasse. Per le imprese estere senza filiale in italiana è stato riportato il fatturato complessivo, mentre per le altre imprese il fatturato realizzato in Italia.

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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Tabella 2.11 I principali progettisti e installatori di impianti.

* I fatturati per i gruppi industriali diversificati comprendono anche i ricavi generati dalle attività non correlate al settore delle biomasse. Per le imprese estere senza filiale in italiana è stato riportato il fatturato complessivo, mentre per le altre imprese il fatturato realizzato in Italia.

Impresa SedeSegmento Mercato

Presenza sul mercato

Fatturato 2009* [€]

Dipendenti 2009

Maire Tecnimont MilanoCentrali

termoelettricheImpresa Italiana 2.179.000.000 4.395

Techint MilanoCentrali

termoelettricheImpresa Italiana 599.540.000 n.d.

Foster Wheeler

ItalianaMilano

Centrali

termoelettricheImpresa Italiana 451.617.670 n.d.

Termomeccanica La SpeziaCentrali

termoelettricheImpresa italiana 231.272.000 949

Busi Group BolognaCentrali di

teleriscaldamentoImpresa Italiana 160.894.000 401

SFT Magenta (MI)Centrali

termoelettricheImpresa italiana 136.717.081 393

STC Group ForlìCentrali

termoelettricheImpresa Italiana 103.578.000 57

Carlo Gavazzi Impianti Marcallo (MI)Centrali

termoelettricheImpresa Italiana 79.381.000 1.431

Atzwanger BolzanoCentrali di

teleriscaldamentoFiliale italiana 57.780.000 255

Merloni Progetti MilanoCentrali

termoelettricheImpresa Italiana 15.270.000 98

UniconfortSan Martino

di Lupari (PD)

Centrali di

teleriscaldamentoImpresa Italiana 10.456.000 28

Friel Green Power BolzanoCentrali

termoelettricheFiliale italiana 1.743.000 37

Euroenergy Group MilanoCentrali

termoelettricheImpresa Italiana 875.000 12

Api Nova Energia RomaCentrali

termoelettricheImpresa Italiana 31.000 41

I produttori di stufe e caldaie a pellet per uso residen-ziale di maggiori dimensioni (per quanto riguarda il loro fatturato 2009) hanno registrato dinamiche piuttosto eterogenee, con imprese come Palazzetti che hanno aumentato i propri ricavi rispetto al 2008 (+18%), scalzando dalla leadership Edilkamin, che invece ha registrato una flessione dei ricavi (-13%). Complessivamente il trend che è possibile osser-vare, soprattutto nelle imprese di più piccole di-mensioni, è quello di una lieve crescita dei fattu-rati in linea con quelle che sono state le dinamiche di mercato.Analizzando i fatturati delle imprese riportati in TA-

BELLA 2.10, è possibile tuttavia notare delle flessioni abbastanza comuni nei volumi d’affari complessivi, con i ricavi 2009 che si sono rivelati mediamente inferiori del 10% rispetto a quelli del 2008. Oltre al comparto degli impianti a biomasse agroforestali, certamente non in particolare salute, ciò si spiega con la flessione dei mercati dell’impiantistica tradi-zionale in cui queste imprese normalmente opera-no. Per quanto riguarda la TABELLA 2.11, che riporta i principali progettisti e installatori di impianti, ri-spetto alla passata edizione della ricerca è possibile segnalare l’ingresso di alcuni operatori provenien-ti da settori affini, quali gli impianti per il recupe-

2.2 La filiera

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ro energetico da RSU, che dispongono anche di competenze per sviluppare e progettare impianti a biomasse agroforestali. Confrontando i fatturati re-gistrati quest’anno con quelli pubblicati nella scor-sa edizione del Report22 è immediato notare come Maire Tecnimont si confermi il primo operatore per ricavi, seguita da altri top player come Techint e Foster Wheeler Italiana. Questo gruppo di tre im-prese comprende senza ombra di dubbio gli opera-tori più importanti nel campo della progettazione e dell’impiantistica italiana, non solo nel campo delle biomasse agroforestali. Gli operatori che invece si collocano nella parte bassa della tabella sono tipi-camente quelli specializzati nella progettazione di impianti per la generazione di energia (anche se è molto infrequente che essi si focalizzino solo sugli impianti a biomasse agroforestali, trattandosi di un business di portata e volumi in assoluto non partico-larmente consistenti) e raggiungono fatturati com-plessivi inferiori. Da segnalare, rispetto alla media delle imprese, che hanno confermato i fatturati re-gistrati l’anno scorso, il risultato ottenuto da STC Group che ha dal 2008 al 2009 quasi triplicato il suo fatturato.

Aree di 2.3.5 business “Produzione e trading di energia”

Come illustrato nella scorsa edizione del Biomass Energy Report23 esistono due principali categorie di player che investono in questi impianti: utilities e imprese energetiche e gruppi industriali. Questa tendenza si è confermata anche nell’ultimo anno, sia se si considerano gli impianti per la produzione di energia elettrica da biomasse agroforestale, sia nel caso di impianti di teleriscaldamento.

Normalmente, le utilities e le imprese energetiche sono responsabili dei progetti di maggiori dimen-sioni, finalizzati esclusivamente alla produzione di energia elettrica. Diversamente, imprese e gruppi industriali che operano in comparti differenti pro-muovono tipicamente impianti più piccoli, attraver-so cui valorizzare gli scarti dei propri processi in-dustriali. A questi due tipologie di attori, interessati alla produzione di energia elettrica, si affiancano poi, nella realizzazione di impianti e reti di teleriscalda-mento, realtà di dimensioni inferiori (normalmente imprese di gestione del calore, spesso di natura pub-blica, o piccoli imprenditori locali), supportati spes-

so economicamente dagli Enti Locali.

Uno degli esempi più interessanti di centrale ter-moelettrica realizzata nel corso del 2010 riguarda l’impianto di Olevano Lomellina (Pavia). L’im-presa promotrice del progetto e futura proprietaria dell’impianto è la BiOlevano, detenuta per il 90% da Met NewEn, società veicolo di Maire Tecnimont, e con una partecipazione di minoranza del 10% dei fornitori della biomassa legnosa. I lavori di costru-zione dell’impianto sono iniziati nel 2010 ed hanno portato alla realizzazione di un impianto di poten-za pari a 18 MWe (capace di produrre 140 GWh di energia elettrica all’anno, sufficienti per soddisfare il fabbisogno di un paese di circa 40.000 abitanti). La progettazione e la realizzazione è stata seguita da Maire Tecnimont in qualità di EPC Contractor ed il costo complessivo stimato è stato di 80 mln €. Il mo-dello adottato per la realizzazione di questo impian-to è comune nel comparto degli impianti agrofore-stali per la generazione elettrica, con l’impresa che decide di investire che si affida a un EPC Contractor per la realizzazione dell’impianto. L’analisi di questo caso mostra ancora una volta come i maggiori osta-coli ad un completamento di successo del progetto non siano di tipo tecnologico, ma dipendano piutto-sto dall’accettazione dell’impianto sul territorio, che può causare frequenti e consistenti rallentamenti nel processo di costruzione. Se infatti l’impianto è stato ormai praticamente completato, un primo ricorso al TAR e un successivo ricorso al Consiglio di Stato hanno, agli inizi del 2011, bloccato gli ultimi lavori impedendo il completamento e l’avvio della centra-le. Oggi si è in attesa di un pronunciamento definito del Consiglio di Stato che possa decidere sul futuro della centrale. Il caso dell’impianto di Olevano Lo-mellina è emblematico della situazione che anche per tutto il 2010 ha caratterizzato il settore degli impianti a biomasse agroforestali in Italia.

Per quanto riguarda invece gli impianti di teleriscal-damento, come anticipato nel PARAGRAFO 2.2.2.2, nel 2010 ne sono entrati in funzione in Italia circa 15, tra cui si contano due importanti progetti a La Thuile (in Valle D’Aosta) e a Fiera di Primiero (in Provincia di Trento). In entrambi i casi, come è or-mai comune, alla potenza termica necessaria per il teleriscaldamento è abbinata una potenza elettrica in cogenerazione rispettivamente di 600 kW ed 1 MW. Anche questi impianti sono stati realizzati, come descritto nella scorsa edizione del Biomass Energy Report24 e come è frequente nel nostro pa-

22 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 83.23 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 84.

2. LE BIOMASSE AGROFORESTALI

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24 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 83.25 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 84.

ese, attraverso la creazione di una società veico-lo, come La Thuile Energie nel caso dell’impianto in Valle D’Aosta, che si occupa anche della gestione dell’impianto e della vendita dell’energia prodotta, oltre a consentire di finanziare più agevolmente l’impianto attraverso la forma del debito bancario. Oltre ai due impianti sopra menzionati, si segnalano diversi progetti in fase di realizzazione, tra cui quelli

a Renon e a Brunico (in Provincia di Bolzano) e a Busca (in Provincia di Cuneo), oltre ovviamente a quelli in Toscana, già citati in precedenza in questo rapporto (SI VEDA PARAGRAFO 2.2.2.2).

Il BOX 2.7 descrive alcune recenti sviluppi nel com-parto dello sfruttamento delle biomasse agrofore-stali di “scarto” in Italia.

Box 2.7 Lo sfruttamento delle biomasse di “scarto”

Nella scorsa edizione del Biomass Energy Report25, in un box con questo medesimo titolo, era stato analizzato il caso di al-cune imprese che, in modo virtuoso, avevano investito nella costruzione di impianti per la valorizzazione energetica dei propri scarti produttivi o materiali secondari. Recentemente sono state portate all’evidenza della cronoca delle indagini per presunte irregolarità nella gestione di al-cuni impianti, in particolare una di queste centrali avrebbe dovuto produrre energia pulita dagli scarti del riso e da fonti rinnovabili, ma in realtà all’interno, secondo quanto riporta l’accusa, venivano buttati anche legno, plastiche, imballaggi e fanghi di depurazione. Dalle indagini è emerso anche un pro-blema in tema di sicurezza alimentare, dovuto al fatto che il

titolare dell’impianto avrebbe mischiato la lolla, cioè la parte del riso che racchiude i chicchi, agli altri rifiuti ed alle scorie di combustione, in parte bruciandola, ma in parte anche ri-vendendola ad alcuni allevamenti zootecnici in Lombardia, Veneto e Piemonte, dove sarebbe stata usata come lettiera per gli animali. Questa vicenda, ancora al vaglio della magistra-tura e su cui quindi non è possibile esprimere alcun giudizio, sottolinea ad ogni modo quanto sia critica, in tutto il com-parto della produzione di energia da biomassa, la fase di ap-provvigionamento della materia prima, che richiede di essere regolamentata e sottoposta ad attento controllo per evitare il rischio di comportamenti speculativi e pericolosi per la salute e l’ambiente.

2.2 La filiera

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IL BIOGAS

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3.1La normativa

1 SI VEDA CAPITOLO 2.1.2 Si rimanda al PARAGRAFO 2.2.1 della passata edizione del Biomass Energy Report (p. 97) per una descrizione più approfondita del sistema di incentivazione alla

produzione di energia da biogas in vigore in Italia.3 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 103.

Nel corso dell’ultimo anno non si sono verificate delle evoluzioni sostanziali nel sistema di incenti-vazione alla produzione di energia da biogas e nell’in-sieme delle norme che regolamentano l’installazione e l’esercizio di questa tipologia di impianti. I due cam-biamenti che meritano di essere ricordati riguardano l’approvazione della definizione operativa di “filiera corta” (DM del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 2 Marzo 2010, in attuazione della Legge n. 296 del 27 Dicembre 2006), che interessa (SI VEDA CAPITOLO 2.1) tutti gli impianti di produzione di ener-gia da biomasse, tra cui quindi anche quelli a biogas, e la pubblicazione delle linee guida per l’autorizzazio-ne degli impianti alimentati ad energie rinnovabili (Decreto Ministeriale del Ministero dello Sviluppo Economico n.219 del 18 Settembre 2010, come pre-visto dal Decreto Legislativo n. 387 del 29 Dicembre 2003). A questi si affianca l’approvazione del Decreto Rinnovabili (Decreto Ministeriale 3 Marzo 2011)1, che stabilisce per il prossimo futuro degli importanti cambiamenti al sistema di incentivazione alla produ-zione di energia rinnovabile, con interessanti impatti anche sul comparto del biogas. L’ obiettivo di questa sezione è quindi innanzitutto quello di riassumere le caratteristiche del sistema di incentivazione in vigo-re in Italia e di descrivere i principali cambiamenti che i provvedimenti sopraccitati hanno introdotto. Questo consentirà di comprendere meglio le dinami-che di mercato e di filiera che verranno descritte più avanti in questo capitolo e di interpretare le evoluzioni attese nel comparto del biogas nel prossimo futuro.

Il sistema di incentivazione 3.1.1 attuale

La produzione di energia elettrica da biogas è incen-tivata attraverso due meccanismi: per gli impianti di piccola taglia (inferiore ad 1 MWe) si applica la

cosiddetta tariffa omnicomprensiva; per quelli di taglia maggiore o uguale ad 1 MWe, invece, è in vi-gore il sistema dei Certificati Verdi2.La tariffa omnicomprensiva assicura una remu-nerazione pari a 0,28 € per ogni kWh di energia elettrica prodotta in impianti a biogas agricolo, comprensiva del prezzo di vendita dell’energia. Per gli impianti a biogas da discarica, invece, la tariffa omnicomprensiva assume un valore di 0,18 € per kWh. Le tariffe omnicomprensive sono state in-trodotte dalla Legge n. 244 del 24 Dicembre 2007 (Legge Finanziaria 2008). Questo contributo vie-ne riconosciuto per 15 anni dall’entrata in funzio-ne dell’impianto, al termine dei quali quest’ultimo

continuerà comunque a produrre energia senza però ricevere alcuna forma di incentivazione. La tarif-fa per gli impianti agricoli è stata portata a 0,28 €/kWh (rispetto ad un precedente valore di 0,22 €/kWh) nel Gennaio 2009. A seguito di questo cambiamento, si è regi-strato un vero e proprio boom di

installazioni di impianti a biogas agricolo nel nostro Paese, a testimonianza di quanto questo meccani-smo incentivante sia generoso3. È interessante rile-vare come il Decreto Rinnovabili del Marzo 2011 abbia confermato le tariffe omnicomprensive in essere in Italia per tutti gli impianti che entrano in esercizio entro il 31 Dicembre 2012, oltre a ri-badire che esse avranno entità costante per l’intero periodo di diritto. In conseguenza di ciò, la produ-zione di energia elettrica da biogas agricolo rimarrà verosimilmente, almeno fino al termine del 2012, una della forme di generazione da fonte rinno-vabile maggiormente remunerative, che attirerà, come si discuterà anche nel CAPITOLO 2.1 del pre-sente rapporto, un numero significativo di investi-tori. In confronto alla tariffa omnicomprensiva, il siste-ma dei Certificati Verdi risulta essere sicuramen-te meno remunerativo per l’investitore. Questo

“La tariffa omnicomprensiva è il principale motivo alla base del boom di installazioni di impianti a biogas in

Italia.”

Amministratore Delegato di una società di progettazione e installazione di impianti

a biogas

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è testimoniato dalla limitata presenza in Italia di impianti a biogas agricolo di taglia superiore ad 1 MWe, che hanno quindi il diritto di accedere ai Certificati Verdi. In base all’art. 2 della Legge n. 244 del 24 Dicembre 2007 ed all’art. 15 del Decreto Mi-nisteriale dello Sviluppo Economico 18 Dicembre 2008, il GSE si è impegnato a ritirare i Certifica-ti Verdi per il 2010 e il 2011 ad un prezzo pari al prezzo medio riconosciuto ai Certificati Verdi regi-strato nell’anno precedente dal Ge-store del Mercato Elettrico (GME). Per gli anni seguenti (2012 - 2015), come stabilito dall’art. 23 del De-creto Miniseriale 3 Marzo 2011, il ritiro avverrà ad un prezzo pari al 78% della differenza tra il valore di riferimento, fissato in sede di pri-ma applicazione in 180 €/MWh, e il valore medio annuo del prezzo di cessione dell’energia elettrica definito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Rispetto al valore della tariffa omnicomprensiva, si tratta di un contributo che nel 2010 è stato infe-riore di circa il 50%. Il minore ricavo dovuto all’ap-plicazione del Certificato Verde rispetto alla tariffa omnicomprensiva non è inoltre controbilanciato dal più basso costo chiavi in mano dell’impianto

di grande taglia, che comporta anche notevoli complessità addizionali per quanto riguarda l’approvvigionamento continuativo di grandi quantità di ingestato (tipicamente insilato di mais, grano o sorgo). Come accennato in prece-denza in questo rapporto (SI VEDA CAPITOLO 2.1), inoltre, il futuro del sistema dei Certificati Verdi è stato caratterizzato nel corso del 2010 da una notevole incertezza, come d’altronde è successo

sin dai primi anni della sua entrata in funzione nel 2003. E’ stato però il Decreto Rinnovabili ad avere de-finitivamente sancito la graduale riduzione e la definitiva abolizione al 2015 di questo strumento di in-centivazione. Sulla base di queste considerazioni, è poco verosimi-le che nei prossimi anni in Italia verranno realizzati impianti a biogas di grande taglia, superio-

re ad 1 MWe, almeno fino a quando non saranno definiti, per effetto dell’entrata in vigore di quan-to previsto dal Decreto Rinnovabili, i nuovi criteri complessivi di incentivazione della produzione di energia da fonte rinnovabile, che potrebbero mo-dificare significativamente i livelli di redditività di questa tipologia di impianti4.Bisogna notare come

Box 3.1 Il sistema di incentivi alla produzione di energia da biogas in Francia e Germania

4 SI VEDA CAPITOLO 2.1 per un approfondimento sulle logiche di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili introdotte dal Decreto Rinnovabili.

“Ho realizzato un impianto da 1,3 MWe per poter sfruttare a pieno la biomassa di cui disponevo, ma

viste le complicazioni dei Certificati Verdi sto valutando l’ipotesi di limitare la potenza a 999 kW per poter accedere alla tariffa

omnicomprensiva.”

Titolare di un’impresa agricola che ha investito in un impianto a biogas

In Germania sin dal 2004 è stato adottato un sistema a tarif-fe feed in di entità a scalare in base alla potenza dell’impian-to. Esso è stato introdotto dal Renewable Energy Source Act (EEG), lanciato nel 2004 e revisionato anche recentemente, nel 2009. A questa tariffa si affiancano inoltre bonus per il recupero del calore in impianti cogenerativi o per impian-ti con tecnologie a basso impatto ambientale e con ridot-te emissioni. I bonus premiano anche l’utilizzo di motori Stirling o impianti ORC e prevedono incentivi specifici per l’immissione in rete del biometano. Inoltre, il sistema preve-de incentivi diversi anche a seconda della materia prima in input, che dipendono dal fatto che esse siano colture dedica-te o derivino dal recupero di biomasse legnose dalla gestio-ne del verde paesaggistico o, ancora, che si compongono di liquami per almeno il 30%. A partire dal 2012 queste tariffe saranno riviste per evitare alcuni squilibri che si sono creati recentemente, come ad esempio il forte aumento della do-manda di mais per uso energetico che ha portato pressioni

sui prezzi di questa produzione in diretta concorrenza con l’uso zootecnico, specialmente in Regioni come la Bassa Sassonia e la Baviera. Nel 2010 di 530.000 ettari coltivati a mais in Germania, ben 180.000 sono stati infatti destinati ad alimentare impianti a biogas.La Francia si è ispirata al modello tedesco per incentivare la produzione di energia da biogas. La legge Grenelle2 del 12 Luglio 2010 allinea infatti le tariffe francesi a quelle tede-sche, introducendo incentivi per il biometano e bonus legati all’efficienza dell’impianto. Inoltre il Governo francese, con la proposta di legge del 24 Febbraio 2011, ha deciso di soste-nere primariamente il settore del biogas ritenendolo strate-gico per la propria politica energetica anche a scapito di altri settori (ad esempio il fotovoltaico), proponendo incrementi di tariffe mediamente di oltre il 20%. La Tabella 3.1 riporta un quadro sintetico delle tariffe in vigore in Germania e in Francia.

3. IL BIOGAS

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GERMANIA FRANCIA

Taglia dell’impianto< 150 kW

< 500 kW

<= 5.000 kW

< 150 kW<

2.000 kW

> = 2.000 kW

Tariffa base * 11,67 9,18 8,25 13,513,5 – 11,3

11,3

Bonus riduzione inquinamento atmosferico

1 1 - -

Bonus *

Cogenerazione elettricità e calore

3 3 3 > 75% > 75% > 75%

Impianti senza immissione gas in rete

2 2 2 4 4 4

Impianti per l’immissione di

gas in rete

Fino a 350

Nm3/h2 2 2 -

Fino a 700

Nm3/h2 2 2 -

< 60 m3/h

- 10,3

60 – 700 m3/h

- 10,3 – 5

> 700 m3/h

- 5

Materia prima vegetale 7 7 4 -

Gestione paesaggistica 2 2 - -

Liquame 4 1 - 2,6 2,6 - 0 0

Tabella 3.1 Gli incentivi per il biogas in Germania e in Francia

continui ad essere del tutto assente in Italia una forma di incentivazione alla produzione di ener-gia termica da biogas, come d’altronde accade anche alle altre fonti rinnovabili. Diversamente da alcuni Paesi pionieri nel campo delle rinnova-bili come la Germania, questa mancanza frena la diffusione di impianti a biogas che funzionino in modalità di cogenerazione. Quest’ultima risulte-rebbe invece una soluzione particolarmente vir-tuosa, specialmente in termini di efficienza com-plessiva che essa consente di raggiungere e per le applicazioni di valore che permette di alimentare (quali il teleriscaldamento o i processi di tratta-mento dei nitrati contenuti nel digestato). In real-

tà, come si è già discusso in precedenza in questo Rapporto, il Decreto Rinnovabili introduce qui un cambiamento radicale, prevedendo strumen-ti di incentivazione per l’energia termica prodotta da fonti rinnovabili (SI VEDA CAPITOLO 2.1). Con l’entrata in vigore dei provvedimenti intro-dotti da questo Decreto, quindi, è auspicabile e verosimile che la produzione di energia termica in impianti a biogas assuma un peso ed un’im-portanza crescente anche in Italia. A titolo di confronto, il BOX 3.1 riporta un breve quadro del sistema di incentivazione della produzione di energia da biogas in vigore nel 2010 in Francia e Germania.

* in Germania per gli impianti costruiti dopo il 2009 è prevista una riduzione annuale dell’ 1% delle tariffe base e dei bonus.

3.1 La normativa

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La filiera corta3.1.2

Come descritto nel CAPITOLO 2.1 del presente rappor-to, il Decreto Ministeriale del 2 Marzo 2010 ha final-mente sancito la definizione pratica di “filiera cor-ta”, attesa dagli operatori da oltre 3 anni, quando per la prima volta la Finanziaria 2007 (Legge 296/2006) introduceva particolari premialità per l’energia pro-dotta da “biomasse e biogas derivan-ti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, ottenuti nell’ambito di in-tese di filiera o contratti quadro, op-pure di filiere corte”. Questa defini-zione permette finalmente ai respon-sabili dell’impianto di sfruttare con-tributi incentivanti maggiorati, come già previsto dal sistema normativo vigente. Gli incentivi maggiorati introdotti dalla Fi-nanziaria 2007 prevedevano infatti, in caso di biomas-sa proveniente da filiera corta, un innalzamento a 0,30 €/kWh della tariffa onnicomprensiva ed un coeffi-ciente moltiplicativo di 1,80 per i Certificati Verdi. Va detto tuttavia che la successiva Legge 99/2009 ha eli-minato dalla tabella delle fonti che possono accedere alla tariffa omnicomprensiva la categoria “Biomasse e biogas prodotti da attività agricola, allevamento e fo-restale da filiera corta” e la relativa tariffa di 0,30 €/kWh, eliminando di fatto la possibilità di accedere ad una maggiorazione derivante dall’utilizzo di biomassa da “filiera corta” per gli impianti di taglia inferiore a 1 MWe. In compenso, la stessa Legge ha però aumenta-to la tariffa per biomasse e biogas per così dire “gene-rici”, quindi anche quelle non da filiera corta, da 0,22 a 0,28 €/kWh. La filiera corta in questi anni è rimasta quindi in vigore, ma inapplicabile per la mancanza

di una definizione operativa, solo per gli impianti di taglia superiore ad 1 MWe, cui si applicano i Cer-tificati Verdi.Per il biogas agricolo è quindi oggi possibile beneficia-re di Certificati Verdi in numero superiore attraverso l’applicazione di un coefficiente moltiplicativo pari a 1,8 nel caso in cui si rientri nei requisiti della defini-zione di filiera corta (SI VEDA CAPITOLO 2.1). Nono-

stante idealmente questo cambia-mento renda decisamente più conve-niente investire in impianti a biogas di grande taglia, maggiore di 1 MWe, nei fatti il suo impatto sullo svilup-po del mercato italiano sarà proba-bilmente molto limitato. Come det-to in precedenza, il sistema di incen-tivazione attraverso Certificati Verdi

è stato reso meno generoso dall’approvazione del De-creto Rinnovabili ed è destinato ad esaurirsi per il 2015. Se a questo si aggiungono le complessità orga-nizzative che realizzare e gestire impianti a biogas di grande taglia comportano, specialmente in termini di approvvigionamento della materia prima, e la fram-mentazione delle aziende agricole nel nostro Paese, si comprende come difficilmente assisteremo in futuro a consistenti flussi di investimenti in questa tipologia di impianti di dimensioni maggiori.

Le procedure autorizzative3.1.3

Come descritto nel CAPITOLO 2.1 del presente Rap-porto, il 10 Settembre 2010 è stato approvato il Decre-to Ministeriale “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati a fonti rinnovabili”, che prevede

Tabella 3.2 Le procedure autorizzative previste dal Decreto Ministeriale del 10 Settembre 2010 per diverse tipologie di im-pianti a biogas agricolo

Tipologia Impianto a biogas Taglia Documento richiesto

Impianti cogenerativi e non cogenerativi realizzati in edifici esistenti senza alterazione di volumi o superfici, cambi d’uso, modifiche strutturali, aumento numero unità immobiliari e incremento dei

parametri urbanistici

0 – 200 kW Comunicazione

Altri impianti cogenerativi

0-50 kW Comunicazione

50 kW – 250 kW Dia/Scia

Oltre 250 kW Autorizzazione Unica

Altri impianti non cogenerativi0 – 250 kW Dia/Scia

Oltre 250 kW Autorizzazione Unica

“Con l’introduzione della tariffa a 0,28 €/kWh nel 2009, per il biogas

la mancanza di una definizione operativa di filiera corta non è stato

più un problema!”

Titolare di un’impresa agricola che ha investito in un impianto a biogas

3. IL BIOGAS

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che le Regioni adottino o eventualmente adeguino le proprie procedure alle indicazioni riportate nel De-creto stesso. Le Linee Guida nazionali prevedono un regime autorizzativo analogo a quello descritto in TA-BELLA 3.2.

Queste Linee Guida avrebbero dovuto essere re-cepite entro 90 giorni dalle Regioni. Ciò tuttavia in molte Regioni non è avvenuto ed anche quelle che si sono mosse per tempo (Puglia, Emilia Roma-gna, Molise, Toscana, Piemonte, Calabria, Marche, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Sicilia) hanno intro-dotto delle procedure anche molto differenti tra loro. Ognuna di esse ha definito, infatti, dei diversi crite-ri per stabilire delle limitazioni alla realizzazione di impianti in alcune aree di pregio ambientale, pae-saggistico ed architettonico.

Ha provato a portare chiarezza in questa situazione il recente Decreto Rinnovabili, di cui si parlerà nel PARAGRAFO 3.1.4, che ha chiarito che la Segnalazio-ne Certificata di Inizio Attività (Scia) non si applica alle rinnovabili e ha anche introdotto delle modifi-che al regime di autorizzazione stabilito dalle Linee Guida nazionali, prevedendo quattro nuovi diversi iter procedurali:

• unasempliceComunicazionealComune;• laComunicazionealComuneconrelazioneasse-

verata redatta da un tecnico;• laProceduraAbilitativaSemplificata(PAS);• l’AutorizzazioneUnica.

Per quanto riguarda l’Autorizzazione unica, il De-creto Rinnovabili riduce da 180 giorni a 90 giorni i tempi burocratici per la conclusione del procedi-mento (ad esclusione dei progetti che richiedono la Valutazione di Impatto Ambientale). La PAS - Pro-cedura Abilitativa Semplificata – sostituisce la DIA (Denuncia di Inizio Attività), e richiede in aggiunta di ottenere gli elaborati tecnici dal gestore di rete. La Pas deve essere presentata al Comune entro 30 gior-ni dalla data di inizio dei lavori e deve essere accom-pagnata dagli elaborati progettuali e da una appro-fondita relazione sulla conformità del progetto fir-mata da un progettista abilitato. Qualora fossero ri-chieste altre autorizzazioni (come quella paesaggi-stica) non allegate alla domanda, viene sospeso il termine di 30 giorni ed è prevista la convocazione

da parte del Comune di una conferenza dei servizi per approvare il progetto. Trascorsi 30 giorni senza che il Comune abbia manifestato parere negativo o abbia richiesto integrazioni della documentazione, il progetto è da considerarsi autorizzato. Per presen-tare la Pas la soglia di potenza dell’impianto richie-sta è la stessa di quella indicata per la DIA (SI VEDA TABELLA 3.2), anche se le Regioni possono estendere

tale soglia fino ad 1 MW.Bisogna tuttavia notare, come già commentato nella scorsa edizione del Biomass Energy Report5, che l’autorizzazione non rappresenta un ostacolo particolarmente cri-tico ad uno sviluppo più sano e vigoroso del comparto, dato che gli impianti a biogas, specialmen-

te quelli di tipo agricolo, sono normalmente di non grande taglia e realizzati nelle pertinenze delle so-cietà agricole. Questo non determina delle partico-lari complessità in termini di accettazione dell’im-pianto sul territorio e di necessità di misure com-pensative, come invece accade nel caso ad esempio degli impianti alimentati a biomasse agroforestali o ai termovalorizzatori, dove invece la snellezza delle procedure di autorizzazione ha un peso più rilevan-te sull’investitore.

Il sistema di incentivazione 3.1.4 futuro definito dal Decreto Rinnovabili

Ovviamente l’approvazione del Decreto Rinnovabili avrà anche nel comparto del biogas degli impatti ri-levanti, per quanto riguarda in particolare il sistema delle tariffe incentivanti. Come descritto nel CAPI-TOLO 2.1, il meccanismo della tariffa omnicompren-siva rimarrà in vigore fino alla fine del 2012. Inoltre, le tariffe resteranno costanti per l’intero periodo di diritto e ferme sui valori a suo tempo stabiliti. C’è quindi una finestra temporale, prima del cambia-mento previsto del sistema incentivante, sufficiente-mente ampia per consentire un’ulteriore e consi-stente crescita del mercato. Per quanto riguarda i Certificati Verdi, il Decreto stabilisce che, a partire dal 2015, questo strumento di incentivazione dovrà essere sostituito da uno più efficiente e che tutti gli impianti che ancora avrebbero avuto diritto a Certi-ficati Verdi riceveranno un incentivo sostitutivo an-cora da definire che tuttavia dovrà permettere di mantenere inalterata la redditività dell’investimento.

5 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 99.

“Dal punto di vista autorizzativo, non ci sono stati cambiamenti

tangibili negli ultimi mesi, nonostante l’approvazione di diversi provvedimenti potenzialmente utili,

che sono rimasti inefficaci”

Titolare di un’impresa di progettazione ed installazione

3.1 La normativa

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94 www.energystrategy.itBIOMASS ENERGY REPORT • COPYRIGHT © DIG – POLITECNICO DI MILANO

Va detto tuttavia che questo cambiamento del mer-cato dei Certificati Verdi non avrà degli impatti con-sistenti sul mercato italiano del biogas, essendo pra-ticamente tutti gli impianti, sia quelli già funzionan-ti che in fase di realizzazione, di taglia inferiore ad 1 MWe.

Per quanto riguarda invece gli im-pianti entrati in funzione dopo il 31 Dicembre 2012, come già discusso nel CAPITOLO 2.1, il Decreto Rin-novabili stabilisce alcuni principi “chiave” cui dovranno ispirarsi i decreti attuativi dello stesso che saranno promulgati entro i pros-simi mesi6 e che riguarderanno ov-viamente tutti gli impianti alimen-tati a fonti rinnovabili. In partico-lare, la determinazione dell’incentivo dovrà essere realizzata considerando i seguenti criteri:

• l’incentivohaloscopodiassicurareunaequare-munerazione dei costi di investimento ed eserci-zio;

• il periodo di diritto all’incentivo è pari alla vitamedia utile convenzionale delle specifiche tipolo-gie di impianto e decorre dalla data di entrata in esercizio dello stesso;

• l’incentivo resta costante per tutto il periodo didiritto e può tener conto del valore economico dell’energia prodotta;

• gliincentivisonoassegnatitramitecontrattididi-ritto privato fra il GSE e il soggetto responsabile dell’impianto, sulla base di un contratto-tipo defi-nito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

Inoltre, è prevista una distinzione della modalità di erogazione degli incentivi in due categorie:

• perimpiantidipotenzanominalefinoaunvaloredifferenziato sulla base delle caratteristiche delle diverse fonti rinnovabili, comunque non inferiore a 5 MW elettrici, sarà disponibile un incentivo di-versificato per fonte e per scaglioni di potenza, al fine di legarlo ai costi specifici degli impianti e per tenere conto delle economie di scala;

• perimpiantidipotenzasuperioreaivaloriminimiinvece sarà invece previsto un incentivo assegnato tramite aste al ribasso gestite dal GSE.

Chiaramente ad oggi non è possibile conoscere come i decreti attuativi tradurranno in pratica que-

sti principi molto generici nel caso degli impianti a biogas. È comunque ragionevole ritenere che la soglia oltre la quale si accede al meccanismo del-le aste al ribasso, sicuramente piuttosto complesso nella sua applicazione pratica, sia almeno pari ad 1 MWe, in modo da non limitare e penalizzare la cre-scita di cui il mercato italiano per impianti di questa

taglia ha dimostrato di essere capa-ce negli ultimi anni. Il Decreto, inoltre, introduce dei principi specifici per gli impianti a biogas, stabilendo innanzitutto che gli incentivi dovranno considera-re la tracciabilità e la provenienza della materia prima utilizzata per alimentare l’impianto. Inoltre l’in-centivo dovrà essere finalizzato a promuovere l’uso efficiente di bio-

gas da reflui zootecnici o da sottoprodotti delle attività agricole, agro-alimentari, agroindustriali, di allevamento e forestali, di prodotti ottenuti da coltivazioni dedicate non alimentari, nonché bio-gas da filiere corte, contratti quadri e da intese di filiera. Infine dovrà essere promossa la realizzazione di impianti operanti in cogenerazione e la realizza-zione e l’esercizio, da parte di imprenditori agricoli, di impianti a biogas asserviti alle attività agricole, in particolare di micro e minicogenerazione. Si tratta di principi fortemente condivisibili, come è già stato rilevato nella passata edizione del Bio-mass Energy Report7, che sperabilmente daranno ulteriore stimolo al mercato del biogas agricolo o da processi industriali rispetto a quello da discarica e favoriranno forme di utilizzo più efficienti di questi impianti, quali la co- e tri-generazione. Ovviamente, l’impatto reale di questi principi dipenderà molto dalla bontà dei decreti attuativi che saranno ema-nati nei prossimi mesi, ma senza ombra di dubbio le linee guida tracciate sembrano andare nella direzio-ne corretta e testimoniano l’intento del legislatore di promuovere uno sviluppo sano e robusto di questa particolare fonte di energia rinnovabile. Inoltre, per alcune tipologie di impianti a biogas, il Decreto permette anche la cumulabilità degli incentivi previsti con altri contributi pubblici non ecceden-ti il 40% del costo dell’investimento. Gli impianti che possono beneficiare di ciò sono:

• gliimpianticonpotenzaelettricafinoa1MW,diproprietà di aziende agricole o gestiti in connes-sione con aziende agricole, agro-alimentari, di al-levamento e forestali, alimentati da biogas

6 Indicativamente dai 3 ai 6 mesi, a seconda della complessità del provvedimento e del numero di istituzioni differenti coinvolte.7 Cfr. Biomass Energy Report 2009, pp. 101 – 107.

“L’entrata in vigore del Decreto Rinnovabili potrà avere un impatto

estremamente significativo sul futuro del biogas in Italia. La nostra speranza è che venga finalmente

premiata adeguatamente la produzione di energia termica in

cogenerazione.”

Titolare di un’impresa agricola che ha investito in un impianto a biogas

3. IL BIOGAS

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95 www.energystrategy.itBIOMASS ENERGY REPORT • COPYRIGHT © DIG – POLITECNICO DI MILANO

• gli impianti co-generativi e tri-generativi ali-mentati da biogas ottenuto da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, inclusi i sottoprodotti, ottenuti nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro, oppure di filiere corte, cioè ottenuti entro un raggio di 70 chilometri dall’impianto che li uti-lizza per produrre energia elettrica.

Come accennato nella sezione delle biomasse agro-forestali, il Decreto Rinnovabili stabilisce anche che dovranno essere assicurati degli adeguati incen-tivi alla produzione di energia termica da fonte rinnovabile. Per questo motivo, è verosimile rite-nere che gli usi degli impianti alimentati a biogas in co-generazione o tri-generazione, ed asserviti ad esempio alle utenze termiche delle società agricole che ne sono proprietarie o allacciati ad una rete di teleriscaldamento, dovrebbero divenire nel medio-lungo termine in Italia via via più comuni, sempre che la messa in pratica di questi principi avvenga tempestivamente ed in modo efficace.

Un’ulteriore importante novità del Decreto Rin-novabili riguarda la promozione dell’uso del biometano. L’Autorità per l’Ener-gia Elettrica e il Gas ha 3 mesi di tempo, dalla data di entrata in vi-gore del Decreto Rinnovabili (ossia entro la fine di Giugno 2011), per emanare le direttive riguardanti le condizioni tecniche ed economi-che per l’erogazione del servizio di connessione di impianti di produ-zione di biometano alle reti del gas naturale i cui gestori hanno obbligo di connessione di terzi. Il Decreto stabilisce che queste direttive de-finiscano:

• lecaratteristichetecnichedelbiometanodasoddi-sfare, con particolare riguardo alla qualità, l’odoriz-zazione e la pressione del gas, necessarie per l’im-missione nella rete del gas naturale;

• lemodalitàdipubblicazione,dapartedeigestoridirete, degli standard per il collegamento alla rete del gas naturale degli impianti di produzione di biome-tano, che stabiliscano anche dei termini entro cui le attività di competenza dei gestori di rete debbano concludersi, individuando sanzioni e procedure sostitutive in caso di inerzia;

• leprocedure,itempieicriteriperladeterminazio-ne dei costi per l’espletamento di tutte le fasi istrut-torie necessarie per l’individuazione e la realizza-zione della soluzione definitiva di allacciamento.

Inoltre si prevede che esistano diversi meccanismi tramite cui verrà incentivato il biometano:

• rilascio di incentivi per la produzione di ener-gia elettrica da fonti rinnovabili nel caso in cui sia immesso in rete ed utilizzato in impianti di co-generazione;

• rilascio di certificati di immissione in consumo ai fini dell’adempimento dell’obbligo di immis-sione di biocarburanti, qualora il biometano sia immesso in rete e usato per i trasporti;

• erogazione di uno specifico incentivo, definito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, qualora sia immesso nella rete del gas naturale.

Anche per quanto riguarda la definizione degli in-centivi, il Decreto rimanda a futuri decreti attuativi.

Per quanto concerne l’ammontare di questi incen-tivi, è stata condotta un’analisi per comprendere che entità essi dovrebbero avere per consentire un’adeguata remunerazione dell’investimento necessario all’upgrading del biometano ed alla sua immissione in rete. Si prendano quindi come riferimento due impianti simili per capacità di trat-

tamento di ingestato e quindi per capacità di produzione di biogas. In uno di essi si decide di valorizzare il biogas producendo energia elettri-ca, beneficiando quindi della tariffa omnicomprensiva (pari a 0,28 €/kWh). Nell’altro invece si decide di installare un impianto di upgrading e di immissione del biogas nella rete di distribuzione del metano in

Italia. Ci si chiede quale debba essere l’incentivo alla produzione di biometano in grado di rendere indif-ferenti gli investimenti. Si supponga che entrambi gli impianti vengano alimentati con 18.000 tonnel-late all’anno di silo mais, capaci quindi di generare 4 mln di m3 di biogas. L’investimento si assume sia finanziato per l’80% con capitale di debito, ad un tas-so di interesse annuo pari al 6%. Si veda il CAPITOLO 1.3 per informazioni più dettagliate relative alla strut-tura di costo “tipo” di un impianto di upgrading e di produzione di energia elettrica. Ipotizzando di voler ottenere il medesimo IRR e tempo di payback per en-trambi gli investimenti, sarebbe necessario ritirare il biometano immesso in rete ad un prezzo incenti-vato in un range compreso tra 0,8 e 1 €/m3.Questo valore sembra essere piuttosto elevato, se si pensa che nel 2010 il prezzo del gas metano per un con-sumatore residenziale è stato in media pari a 0,7 €/m3 e, di questo, il 40% è stato dovuto a imposte, il

“Per incentivare lo sviluppo del biometano sono necessarie due

cose: un’adeguata remunerazione sul metro cubo immesso in rete e, soprattutto, norme tecniche

chiare sui requisiti che esso deve soddisfare.”

Direttore Generale di un’impresa fornitrice di tecnologie di upgrading

3.1 La normativa

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Box 3.2 Il biometano in Germania

Il Paese a livello internazionale in cui negli ultimi 10 anni l’applicazione della digestione anaerobica, in particolare nel comparto agro-zootecnico, si è maggiormente svi-luppata è la Germania. A fine 2010 sono oltre 6.000 gli impianti installati con una potenza elettrica complessiva di circa 2.280 MWe. Il settore rispetto all’anno preceden-te è cresciuto del 20% e attualmente occupa oltre 19.000 addetti. Ciò è merito della politica di incentivazione, co-nosciuta come EEG. E’ interessante qui rilevare come il sistema di incentivazione tedesco preveda anche consi-stenti aiuti al biometano, realizzati attraverso bonus ag-giuntivi, oltre all’incentivo tradizionale per la produzione del biogas, pari ai 2 c€/kWh. Questo per raggiungere l’ obiettivo che la Germania si è data di sostituire il 10% del

totale di gas naturale consumato in tutto il paese con bio-metano entro il 2030. Nel 2009 gli impianti di immissione di biometano in rete erano meno di 30 e sono diventati 50 nel 2010, con una previsione di crescita oltre 80 per fine 2011. Recentemente, oltre la EEG, il Gas Grid Access Ordinance che regolamenta l’iniezione in rete del biome-tano tedesco ha previsto che il gestore della rete di gas naturale sia obbligato a garantire l’assorbimento in rete del biometano mentre i costi di allaccio alla rete sono so-stenuti dal fornitore di biometano e dal gestore. Inoltre, il biometano rientra tra gli strumenti attraverso i quali, secondo quanto stabilito dal Renewable Energy Heat Act, gli edifici costruiti dopo il 1 Gennaio 2010 possono sod-disfare il proprio fabbisogno termico.

35% al costo reale del gas e il restante 25% a costi di infrastruttura e di vendita.Il BOX 3.2 descrive sinteticamente il caso del bio-

metano in Germania, Paese all’avanguardia anche in questa particolare forma di valorizzazione delle bioenergie.

3. IL BIOGAS

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97 www.energystrategy.itBIOMASS ENERGY REPORT • COPYRIGHT © DIG – POLITECNICO DI MILANO

L’ obiettivo di questa sezione è di fornire un aggior-namento sul mercato italiano della produzione di energia da biogas rispetto al quadro delineato nel-la passata edizione del Biomass Energy Report8. In particolare, verranno riportati e discussi i risultati di un’analisi sul campo condotta con l’obiettivo di evi-denziare, più nel dettaglio di quanto fatto lo scorso anno, le caratteristiche essenziali di un investimento in impianti di questa natura.

Il mercato della produzione 3.2.1 di energia da biogas in Italia

Ad inizio 2011 in Italia esistevano più di 500 impianti per la produzione elettrica da biogas in esercizio, cui corrispondeva una potenza complessiva superiore ai 550 MWe ed una produzione annua complessi-va di 2.891 TWh (SI VEDA FIGURA 3.1). Rispetto al quadro delineato nella passata edizione del Biomass Energy Report, nel corso del 2010 si è registrata una crescita di circa il 20% in termini di potenza installa-ta e del 13% del numero di impianti, a testimonianza del continuo interesse per questa forma di sfrutta-

mento delle biomasse. Se si considera la potenza in-stallata nell’anno, nel 2010 si registra una crescita sul dato 2009 di circa il 60%. Come si nota dalla FIGU-RA 3.1, la crescita registrata nel corso dell’ultimo anno è pressoché interamente da attribuire al bio-gas agricolo e zootecnico, con la potenza installata in impianti da discarica che è rimasta costante (il lie-ve aumento osservabile in FIGURA 3.1 si spiega con la lenta crescita del mercato delle discariche). Come anticipato nella passata edizione del Biomass Energy Report, il mercato del biogas da discarica è arriva-to nel nostro Paese, come d’altronde in diversi altri europei, ad uno stadio di completa maturità a cau-sa della saturazione delle discariche esistenti e per l’impossibilità nei fatti di aprirne di nuove. Per effet-to di questa evoluzione, la quota di potenza instal-lata in impianti da discarica scende, rispetto al 70% dello scorso anno, a circa il 60%. Come facilmente intuibile, la quasi totalità del biogas prodotto da digestione anaerobica nel nostro Paese è destinata alla generazione elettrica, tranne alcuni casi molto sporadici. Ciò accade per effetto del sistema di in-centivazione vigente, che anche nel corso del 2010 non ha premiato la produzione di energia termica in questa tipologia di impianti. Come anticipato nel

3.2Il mercato

8 Cfr. Biomass Energy Report 2009, pp. 89-119.

Figura 3.1 Andamento della potenza elettrica installata in impianti a biogas in Italia

0

100

200

300

400

500

600

Biogas “agricolo”

MW

e

2007 2008 2009 2010

Biogas da discarica

3.2 Il mercato

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98 www.energystrategy.itBIOMASS ENERGY REPORT • COPYRIGHT © DIG – POLITECNICO DI MILANO

CAPITOLO 3.1, tuttavia, con l’approvazione del De-creto Rinnovabili ci si attente nel prossimo futuro un cambiamento in questo senso, che potrebbe favorire una diffusione delle applicazioni in co-generazione o al servizio di reti di teleriscalda-mento per questa tipologia di im-pianti. Nel corso della prima metà del 2011, si osserva il continuo trend positivo di crescita già registrato nel corso del 2010 (a Maggio 2011 sono già stati installati oltre 60 MWe), che potrebbe portare a confermare i tassi di crescita della potenza cumulata del 20% registrati nel 2010. Inoltre la recente approvazione del DM del 3 Marzo 2011, che di fatto ha stabilizzato la tariffa omnicomprensiva fino al 2012 (SI VEDA PARA-GRAFO 3.1.4), ha contribuito a dare una forte spinta a questi investimenti.

Per quanto riguarda le aspettative di crescita di que-sto particolare segmento delle biomasse, le opinioni degli operatori rimangono parti-colarmente ottimistiche, confer-mando di fatto le previsioni di cre-scita presentate lo scorso anno per gli impianti di tipo agricolo, che si stimava potessero crescere con tassi intorno al 20% all’anno, fino a rag-giungere 1,3-1,5 GWe di potenza cumulata installata nel 2014-2015. Questo ovviamente nel caso in cui il cambiamento del sistema incentivante previsto dal Decreto Rinnovabi-li per l’inizio del 2013, e l’associato sistema delle aste al ribasso, non introduca delle penalizzazioni troppo consistenti per gli operatori agricoli, tali da scoraggiar-ne ulteriori investimenti. Quello che si può dire con un maggior livello di confidenza, vista la conferma dell’at-tuale sistema di incentivazione di cui si è parlato anche nel capitolo precedente, è che il mercato del biogas agricolo continuerà a crescere con tassi consistenti fino alla fine del 2012, quando si potrebbe arrivare ad avere una potenza complessiva installata di quasi 800 MWe.A detta degli operatori intervistati, particolari speran-ze sono riposte nello sviluppo di alcuni segmenti di mercato fino ad oggi marginali nel panorama del bio-gas italiano, quali la produzione di biogas da scarti di processi industriali (ad esempio, fanghi di depurazio-ne delle acque urbane) o dalla frazione organica di Rifiuti Solidi Urbani. Ad oggi la percentuale di questi impianti risulta essere ancora molto limitata (stimabile nell’ ordine del 5-6%), poiché trattando materia prima

in input classificata come “rifiuto”, le problematiche legate all’ottenimento delle autorizzazioni alla costru-zione sono ancora particolarmente significative. Come già notato nella passata edizione del Biomass Energy

Report9, esistono tuttavia degli im-portanti spazi di crescita di questi segmenti di mercato.Per quanto riguarda il posiziona-mento del mercato italiano del bio-gas all’inizio del 2011 a livello inter-nazionale, non si rilevano delle par-ticolari differenze rispetto al quadro delineato lo scorso anno, con l’Italia

che, con 2,8 TWh di produzione elettrica nel 2010, rappresenta il terzo Paese europeo di questa parti-colare classifica. Il riferimento nel settore resta sem-pre la Germania, che ha incrementato la sua produ-zione annua di quasi il 20%, raggiungendo i 12,5 TWh a fronte di una capacità cumulata installata di 2.280 MW, cresciuta nell’ultimo anno di ben 387 MW. Se si analizza invece l’incidenza della produzione da biogas

rispetto a quella delle altre rinnovabili, i due Paesi principali risultano essere il Lussemburgo e il Regno Unito, per i quali la generazione elettrica da bio-gas pesa per oltre il 30% della produ-zione da rinnovabili. La TABELLA 3.3 fornisce un quadro della produzione di energia elettrica da biogas nei prin-cipali paesi europei.

Un’analisi per Regioni del 3.2.2 mercato della produzione di energia da biogas in Italia

Per quanto concerne la distribuzione regionale del mercato della produzione di energia da bio-gas, si conferma la tendenza già registrata lo scorso anno, quando si faceva notare come gran parte della potenza installata in Italia fosse lo-calizzata nel Nord del Paese. Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte rimangono ad ini-zio 2011 le Regioni a maggior concentrazione di impianti a biogas. Da sole ospitano quasi il 60% (corrispondenti ad oltre 320 MW) della potenza complessiva installata in Italia. Considerando la nuova potenza installata nel corso del 2010 (cir-ca 100 MW complessivi), ben il 74% è entrata in funzione in queste Regioni. Quella degli ultimi 12 mesi è quindi una dinamica di sviluppo del settore assolutamente in linea con quanto fatto

9 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 106.

“Il mercato italiano del biogas agricolo nel 2010 ha superato i già decisamente positivi risultati ottenuti

nel 2009”

Marketing manager di una società di progettazione e installazione di impianti

“A livello europeo l’Italia è già oggi il terzo Paese per produzione di

energia elettrica da biogas”

Marketing manager di una società di progettazione e installazione di impianti

3. IL BIOGAS

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registrare negli ultimi anni dal mercato italiano, dove si conferma una marcata disuniformità, con il 60% della potenza complessiva installata nel Nord del Paese. Questo si spiega con la for-te concentrazione dei aziende agricole, in alcu-ni casi di dimensioni rilevanti, che si registra in Lombardia e nelle altre Regioni succitate, ed in generale alla loro particolare vocazione all’alle-vamento ed alla produzione cerealicola.

Come si nota dalla FIGURA 3.2, la prima Regione in assoluto per potenza complessiva installata è la Lombardia, che ospita all’ini-zio del 2011 oltre 100 impianti a biogas, per una potenza comples-siva di oltre 140 MWe. Di que-sti, circa 80 MWe sono realizzati in impianti di tipo agricolo, che pesano per oltre il 50% del totale della potenza installata. Una simile composizione ed articola-zione della potenza installata si registra in Emilia Romagna ed in Veneto, rispettivamente seconda e quarta nella classifica della potenza complessiva. Al terzo posto si colloca il Piemonte, dove però il peso del biogas da discarica è leggermente supe-riore, attestandosi attorno al 62% della potenza

complessiva. Lontane da una pur minima forma di sviluppo del mercato del biogas rimangono re-gioni quali l’Abruzzo, il Molise, la Valle D’Aosta e la Basilicata, confermando l’impressione di un mercato “a due velocità” in Italia. Complessiva-mente, in queste 4 Regioni nel corso dell’ultimo anno è stato installato poco più di 1 MW in im-pianti a biogas, pari a circa il 3% della potenza installata in Lombardia nello stesso periodo.

Per quanto riguarda la dimensio-ne degli impianti (si veda in pro-posito la FIGURA 3.3), è possibile notare che, rispetto alla media nazionale che si attesta sugli 0,7 MWe, esistono diverse Regioni con valori decisamente superio-ri in termini di potenza nomi-nale installata per impianto. Un

esempio è il Lazio, con una taglia media prossima a 3 MWe. La Lombardia si colloca su una potenza media al di sotto del valore nazionale, con circa 0,5 MWe per impianto. Gli operatori intervistati suggeriscono che le ragioni di questa disomoge-neità non devono essere ricercate in un differente grado di maturità dei mercati regionali, quanto al diverso peso relativo degli impianti a biogas

PaeseProduzione energia elettrica da biogas

[TWh]

Percentuale della produzione da biogas rispetto alla produzione da fonti

rinnovabili

Austria 0,7 1%

Belgio 0,4 8%

Danimarca 0,3 0%

Finlandia 0,1 0%

Francia 0,9 1%

Germania 12,5 13%

Grecia 0,2 3%

Irlanda 0,1 3%

Italia 2,8 4%

Lussemburgo 0,1 33%

Olanda 1 8%

Portogallo 0,1 1%

Regno Unito 7,6 31%

Spagna 0,7 1%

Svezia 0 0%

Tabella 3.3 Quadro sulla produzione di biogas nei principali Paesi europei

“La Lombardia è sicuramente la Regione che presenta le maggiori potenzialità per il biogas agricolo,

tutti gli agricoltori della zona dovrebbero dotarsi di un impianto a

biogas!”

Marketing manager di una società di progettazione e installazione di impianti

3.2 Il mercato

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da discarica e agricoli. Nello specifico, nel Lazio esiste una quota molto consistente di impianti da discarica (circa l’80%) che necessariamente, per ragioni prettamente tecniche, hanno una potenza nominale normalmente superiore rispetto a quel-li di natura agricola.Diventa quindi interessante analizzare la taglia media dei soli impianti di tipo agricolo, che rap-presentano il comparto sicuramente di maggiore interesse per il futuro del nostro Paese (SI VEDA FIGURA 3.4). Si rileva come il valore medio a li-vello nazionale sia pari a circa 0,5 MWe, con una

distribuzione della taglia nelle Regioni diversa ri-spetto a quella riportata in FIGURA 3.3. In partico-lare, Umbria, Lazio e Campania fanno registrare una potenza nominale media più alta, nonostante abbiano solo poco più 10 impianti complessiva-mente installati. A detta degli operatori intervi-stati, questa dinamica si spiega con il fatto che le installazioni in queste Regioni sono più recenti rispetto a quanto accade in Lombardia, Veneto o Emilia Romagna e che nel corso degli ultimi anni si sia assistito ad una progressiva crescita della ta-glia media degli impianti alla ricerca di un mag-

Figura 3.2 Potenza cumulata installata in impianti a biogas nelle diverse Regioni italiane

Figura 3.3 Taglia media degli impianti a biogas installati nelle diverse Regioni italiane

0

20

40

60

80

100

120

140

160

Biogas “agricolo”

MW

e

Piem

onte

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toLa

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Sicilia

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Biogas da discarica

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0

2,0

3,0

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zzo

Molise

Valle

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Basilic

ata

Emilia

Rom

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Lom

bard

ia

3,5

2,5

1,5

1,0

0,5

3. IL BIOGAS

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Figura 3.4 Taglia media degli impianti a biogas agricolo nelle diverse Regioni italiane

gior livello di efficienza complessivo.È ragionevole quindi attendersi, anche nelle Regioni in cui il mercato del biogas agricolo è sviluppato da più tempo, che la taglia media delle installazioni vada progressivamente ad aumentare. Come più volte sottolineato, tuttavia, esiste un limite alla crescita delle dimensioni di questi impianti, che è dovuta alle caratteristiche del sistema di incentivazione basato su una tarif-fa omnicomprensiva che premia in modo decisa-mente superiore gli investitori rispetto ai Certifi-cati Verdi, che si applicano invece ad impianti di taglia superiore. Questa diversa generosità della tariffa omnicomprensiva rispetto ai Certificati Verdi si è ulteriormente accentuata negli ultimi mesi, con l’acuirsi dell’incertezza sul funziona-mento del meccanismo dei Certificati Verdi e con le penalizzazioni che li hanno interessati e che sono state sancite dal Decreto Rinnovabi-li. Questo varrà almeno fino all’inizio del 2013, quando l’intero sistema incentivante potrebbe essere profondamente modificato dai principi stabiliti dal più volte citato Decreto Rinnovabili. Per le Regioni e le amministrazioni locali in ge-nerale che vogliano promuovere installazioni di impianti a biogas agricolo di taglia superiore (in modo da asservirli ad esempio ad una rete di te-leriscaldamento), diventa quindi di importanza critica, almeno nei prossimi due anni, mettere in atto dei meccanismi (ad esempio stimolando un ruolo più attivo dei consorzi agricoli) tali da rendere conveniente l’investimento in centrali

di grande potenza nonostante il “disincentivo” relativo derivante dall’attuale sistema di incen-tivazione.

Passando ad un’analisi della diffusione relativa del biogas nelle regioni italiane, si conferma il ruolo di assoluto primo piano della Lombar-dia. La FIGURA 3.5 riporta in particolare il va-lore della potenza installata nelle varie Regioni rapportata alla superficie agricola utilizzabile (SAU). Il valore medio sul territorio italiano è pari a 1 kWe per ogni km2 di SAU e la Lombar-dia è l’unica Regione che presenta un valore de-cisamente più alto, superando i 5 kWe per km2. Questo risultato fatto registrare dalla Lombardia è ancora più significativo se si considera che la SAU della Regione è una tra le 5 più estese in tutta Italia.Nella passata edizione del Biomass Energy Re-port si era sottolineato il ruolo di assoluto pri-mo piano della Germania nel mercato europeo del biogas, che si conferma, come visto in prece-denza in questa sezione, anche all’inizio del 2011. Quest’anno si riporta nel BOX 3.3 un approfondi-mento sul caso dell’Austria che, nonostante in termini assoluti non abbia un livello di potenza installata particolarmente elevata (solo 100 MWe cumulati a confronto con i 2.280 tedeschi o con gli oltre 550 italiani), ha fatto registrare una crescita particolarmente rapida delle installa-zioni che l’ha resa di fatto uno dei mercati più promettenti in tutta Europa.

0

0,2

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Adige

3.2 Il mercato

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Figura 3.5 Rapporto tra la potenza installata in impianti a biogas agricolo e superficie agricola utilizzabile nelle principali Regioni italiane

0

KW

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Um

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2

Gli elementi caratterizzanti 3.2.3 l’investimento in un impianto a biogas

In questo paragrafo si riportano i risultati di un’analisi condotta con l’obiettivo di identifica-re le principali caratteristiche di un progetto di investimento in un impianto a biogas agricolo. L’analisi ha richiesto il confronto diretto con una serie di operatori del settore che hanno recente-mente investito in questa tipologia di impianti. La TABELLA 3.4 riporta alcuni esempi di imprese ed impianti coinvolti nell’analisi, da cui si possono desumere delle informazioni rilevanti, tra le altre cose, sull’entità dell’investimento, il tempo di pay back atteso, i fornitori delle principali componenti dell’impianto e la tipologia di ingestato utilizzata. Nella passata edizione del Biomass Energy Report10 si sottolineava come fossero 3 le principali catego-rie di imprese titolari degli impianti in funzione in Italia, ossia: (i) proprietari e gestori di discariche; (ii) imprese agricole e zootecniche; (iii) imprese e gruppi industriali che dispongono di sottoprodotti dei processo produttivi da destinare a digestione anaerobica. Nel corso dell’ultimo anno si raffor-za decisamente il peso delle imprese agricole e zootecniche come promotrici della costruzione di impianti a biogas. Sull’installato 2010, esse pe-sano per oltre l’80%. Tradizionalmente le imprese agricole e zootecniche dimensionavano i propri impianti in base alla loro disponibilità di ingesta-

to (ad esempio reflui zootecnici, insilato di mail, di triticale e di sorgo, residui di grassi vegetali, o sot-toprodotti di coltivazioni), per evitare di ricorrere all’approvvigionamento di materia prima dall’ester-no, spesso molto costoso e soggetto a dinamiche di prezzo non sempre facilmente gestibili. L’analisi condotta ha mostrato come sempre più frequen-temente, negli ultimi due anni, molte imprese agricole abbiano cercato di incrementare la ta-glia dei loro impianti fino al limite che permette di accedere alla tariffa omnicomprensiva, anche se questo comporta la necessità di ricorrere all’im-portazione della materia prima. Ciò nel tentativo di sfruttare le significative economie di scala che negli ultimi mesi hanno contraddistinto l’investimento nell’impianto a biogas, come illustrato nel BOX 3.4. La logica adottata dall’impresa agricola nell’impo-stare il progetto di investimento influenza alcune caratteristiche distintive dello stesso, tra cui:

• la fiscalità,cheèdecisamentepremiantenelcaso in cui l’imprenditore agricolo utilizzi per alimentare l’impianto biomassa prodotta dalla società di cui è titolare. Bisogna ricorda-re infatti che la produzione di energia elettrica da biogas rientra nelle attività agricole se oltre il 51% delle biomasse responsabili degli introiti sono gestite dalla società titolare dell’impian-to. Si stima che l’assoggettare la produzione di energia elettrica a reddito agrario anziché alla normale tassazione permetta di ottenere alcuni punti percentuali di miglioramento dell’IRR,

10 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p.116.

3. IL BIOGAS

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Box 3.3 Il biogas in Austria

Figura 3.6 Andamento della potenza installata in impianti a biogas in Austria

020406080

100120

MW

e

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

La FIGURA 3.6 mostra la consistente crescita del numero di impianti a biogas in funzione in Austria e della loro po-tenza installata nel corso degli ultimi anni. Come si nota, dal 2004 a oggi il mercato ha sperimentato dei tassi di cre-scita particolarmente significativi, più che raddoppiando la capacità installata cumulata in soli 5 anni. A questo ha sicuramente contribuito l’introduzione di opportuni stru-menti di incentivazione simili a quelli italiani.Gli impianti in funzione in Austria hanno una potenza installata me-dia superiore a 500 kW. È interessante rilevare come circa l’80% di questi utilizzi il biogas prodotto in cogenerazio-ne. Più del 15% degli impianti di biogas è organizzato in cooperative, tutte in attività dal 2000 in poi, anno in cui nacquero i primi impianti che poterono beneficiare dei regolamenti fissati dalla legge nazionale sulla liberaliz-zazione del mercato dell’elettricità. Oltre alla possibilità di usufruire del potenziale energetico del biogas e poter così diversificare i ricavi delle aziende che sono parte del-

le cooperative, l’ottenimento di un digestato di qualità e la riduzione degli odori sono tra le motivazioni che hanno spinto verso la creazione di queste realtà associative, che hanno permesso di raggiungere le dimensioni minime tali da rendere conveniente e sostenibile l’investimento. Quasi tutti gli impianti attualmente in attività operano la co-di-gestione di effluenti zootecnici con altre matrici organiche. La maggior parte utilizza liquami bovini o suini (questi ultimi in crescita negli ultimi anni). Tra le colture energe-tiche si utilizzano mais e in misura minore l’insilato d’erba, il sorgo da zucchero e il girasole, principalmente coltivate sui propri terreni, solo raramente acquistate da esterni. La Regione più sviluppata è quella della Styria, dove sono pre-senti quasi 50 impianti di digestione anaerobica. Di questi, oltre l’80% utilizza il biogas in cogenerazione e la potenza elettrica media installata è di 450 kW. La maggior parte degli impianti ha una potenza elettrica installata pari a 500 kW e solo 2 impianti raggiungono la potenza di 1 MW.

stimabili in un 3-4% a seconda della tassazione a cui si sarebbe stati soggetti;

• laconvenienzasull’investimento. Un impianto a biogas alimentato interamente tramite mate-rie prime provenienti dalla società agricola può arrivare ad avere IRR superiori al 20% e tempi di pay back di 5 anni. L’impresa agricola, come detto precedentemente, solitamente dimensiona gli impianti in funzione della reale disponibili-tà di biomassa, quindi ipotizzando un impianto di dimensioni medio-piccole, con una potenza elettrica pari a 500 kWe, l’NPV che l’investimen-to può garantire è pari a circa 500.000 €. Diver-samente, gli investimenti realizzati utilizzando materia prima interamente acquisita dall’esterno

hanno un pay back che è spesso superiore ai 7 anni ed una redditività che si attesta mediamente sul 17-18%. Tuttavia, analizzando l’NPV di un in-vestimento di questo tipo, grazie alle già discusse economie di scala (SI VEDA BOX 3.4), è possibi-le ottenere per impianti di taglia 1 MWe valori superiori a 650.000 €. Considerando la relativa facilità con cui nel mercato italiano del biogas del 2010 le imprese agricole hanno recuperato a debito capitale per investire in nuovi impianti, è facile comprendere il motivo per cui le società agricole si sono orientate verso impianti di taglia maggiore. Il BOX 3.5 riporta con maggiori detta-gli il caso di un investimento in un impianto di questo tipo.

3.2 Il mercato

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Tabella 3

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triticale, di frumento e di segale.

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Liquami bovini, insilato di m

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Azienda

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i suini, bovini, residui oli di grassi vegetali, insilati di m

ais, triticale, sorgo e girasole

Azienda

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Lombardia

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contenuto rum

inale.

3. IL BIOGAS

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Dall’analisi realizzata su un vasto numero di impianti re-centemente installati in Italia è stato possibile stimare l’en-tità delle economie di scala realizzabili all’atto di acquisto di un impianto a biogas. La FIGURA 3.7 mostra in parti-colare l’andamento del costo chiavi in mano unitario in un impianto a biogas in funzione della taglia dell’impian-to stesso. Si notano degli effetti di scala particolarmente consistenti, che fanno ridurre ad esempio il costo chiavi in mano, passando da un impianto da 100 kW ad uno da 1.000 kW, di oltre il 30%. Questi rendimenti di scala sono sostanzialmente dovuti ai risparmi ottenibili sull’acquisto delle componenti chiave dell’impianto (principalmente

il motore per la cogenerazione) che si aggiungono anche ad un deciso contenimento del costo per KWe installato della manutenzione.

Sinteticamente, per un impianto agricolo con taglia in-feriore ai 250 kW, il costo al kW è superiore a 4.500 €, nel caso di impianto con potenza installata compresa tra 250 e 500 kW, il costo scende a 4.000-4.500 €, mentre è possibile acquistare un impianto di taglia superiore ai 500 kW sostenendo un costo chiavi in mano di circa 3.500 – 4.000 €/kW. Il costo dell’impianto è ripartito tra le diverse componenti come indicato in FIGURA 3.8.

Box 3.4 Le economie di scala negli impianti a biogas

100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000

�/

KW

e

7000

6000

5000

4000

3000

Figura 3.7 Riduzione del costo al kW di un impianto a biogas all’aumentare della taglia

Figura 3.8 Ripartizione dei costi complessivi di un impianto a biogas di grande taglia

Gruppo vasche

3%Opere civili

Impianto di congenerazione

Allestimento fermentatori,apparecchiature elettriche,tubature e componentistica varia

Piazzali di manovra e eventuali silos

26%

11%17%

42%

3.2 Il mercato

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Box 3.5 Investimento in un impianto a biogas in Lombardia

L’impianto a biogas agricolo di Orzinuovi (BS) di pro-prietà di un’impresa lombarda operante nel settore della zootecnia, è composto da quattro vasche di fermentazio-ne che raccolgono liquami suini e bovini, miscelati con biomassa vegetale (insilato di mais). L’impianto è stato commissionato nel Dicembre del 2009; la richiesta delle autorizzazioni e la costruzione sono durate nove mesi, conclusi con l’entrata in produzione, seppur non ancora a regime, a Settembre 2010.Per un impianto di questo tipo con una potenza elet-trica di 1 MW è richiesto un investimento complessivo nell’ordine di 4 mln €, con costi operativi annui stimabili nell’ordine del 5% dell’investimento iniziale. Solitamen-te questi impianti permettono un funzionamento annuo pari a 6.500 ore e vengono finanziati attraverso un debito di durata pluriennale (15-20 anni e con tassi di interesse annuo intorno al 6%), con un rapporto di leva del 75%. Questi impianti possono accedere alla tariffa omnicom-prensiva di 0,28 €/kWh. Qualora il titolare dell’impianto

non avesse a disposizione liquami o prodotti di colture energetiche e dovesse perciò approvvigionarsi esterna-mente di tutta la materia prima necessaria ad alimentare l’impianto, si avrebbe un aggravio di costo annuo sti-mabile nell’ordine di 750.000 €. Solitamente chi investe in questo tipo di impianti ha a disposizione l’ingestato necessario ad alimentarli e quindi il tempo di pay back è molto ridotto (nell’ordine di 4-5 anni), e l’IRR com-plessivo superiore al 20%. Per quanto concerne le tem-pistiche, in media la progettazione e l’autorizzazione dell’impianto possono richiedere fino a 6 mesi di tempo, mentre la costruzione vera e propria può avere una dura-ta anche di 4-5 mesi. Una volta terminata la realizzazio-ne dell’impianto, l’allacciamento alla rete, le procedure per la concessione della tariffa incentivante e l’entrata in regime dell’impianto possono richiedere altri 4-6 mesi. Complessivamente, dall’inizio del progetto e i primi ri-cavi derivanti dalla produzione di energia possono tra-scorrere fino a 18-20 mesi.

3. IL BIOGAS

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L’obiettivo di questa sezione è di descrivere le principali evoluzioni che si sono manifestate nel corso dell’ultimo anno a livello della filiera della produzione di energia da biogas in Italia, con particolare riferimento alla presenza di ope-ratori stranieri ed ai modelli di business adottati. Verranno anche riportati e commentati alcuni risultati di analisi condotte sulle modalità di fi-nanziamento degli impianti a biogas, al ruolo dei consorzi agricoli nella filiera del biogas italiano ed alle dinamiche occupazionali del settore.

La filiera del biogas, 3.3.1 i volumi d’affari e le marginalità

Come descritto nella passata edizione del Bio-mass Energy Report, la filiera della produzione di energia da biogas può essere articolata in tre fondamentali aree di business, ossia: (i) “tecnolo-gie e componenti”, in cui operano le imprese che

progettano, sviluppano e producono i componen-ti necessari per la realizzazione dell’impianto; (ii) “progettazione e installazione”, in cui operano le aziende coinvolte nella progettazione ed installa-zione dell’impianto; (iii) “produzione e trading di energia”, che raggruppa le imprese che investono nella realizzazione dell’impianto e nella sua gestio-ne. La FIGURA 3.9 riporta il numero di imprese atti-ve nelle diverse fasi nella filiera italiana del biogas, divise in base alla loro provenienza geografica.

Si nota innanzitutto come il numero di imprese complessivamente attive sul mercato italiano sia au-mentato, ma in modo non particolarmente consi-stente, rispetto allo scorso anno. In totale sono state censite oltre 560 imprese, contro le circa 500 dello scorso anno. Se si escludono le imprese attive nella gestione dell’impianto, la crescita si attesta all’11%. Questo lascia intendere che, nonostante il mercato abbia dato nel corso del 2010 degli importanti se-gnali di vitalità e di dinamicità, il livello di com-petizione non è cresciuto sensibilmente.

3.3La filiera

Mercato degli impiantiper la produzione

di energia da biogas agricolo

20%

27%

53%

69%

6%

94%

15%

17%

Tecnologie & componenti

Progettazione & installazione

51 Imprese 64 Imprese Mercato degli impiantiper la produzione di biogas da rifiuti

450 Imprese

Produzione & Trading di energia

Impresa italiana Impresa estera con filiale italiana Impresa estera

Figura 3.9 Imprese nella filiera del biogas in Italia

3.3 La filiera

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Anche per quanto riguarda la posizione relativa del-le imprese italiane, non si notano dei cambiamenti di particolare rilievo. Come già sottolineato nel-la passata edizione della ricerca, si registra una prevalenza di operatori italiani in questa filiera, anche se il loro peso è leggermente in riduzione, in tutte le aree di business in cui si articola la filiera, ma specialmente nelle fasi a monte in cui si ha luogo lo sviluppo e produzione delle tecnologie e dei com-ponenti.

Dal punto di vista dei ricavi, nel 2010 è possibile stimare che il mercato del biogas in Italia abbia generato un volu-me d’affari complessivo di oltre 900 mln €, in netta crescita (di cir-ca il 60%) rispetto al volume d’af-fari fatto registrare lo scorso anno. Questo rispecchia la consistente crescita delle installazioni, special-mente in impianti di tipo agricolo, di cui si è parlato in precedenza in questo capito-lo. Nel 2010 il mercato del biogas pesa sul sistema economico italiano quanto il mercato del recupero energetico da RSU o poco meno del mercato del-la produzione di energia elettrica da oli vegetali. Si ricorda che nella stima del volume d’affari 2010 sono compresi i ricavi delle imprese coinvolte nella realizzazione dei nuovi impianti entrati in funzione durante lo scorso anno, oltre ovviamente ai ricavi generati dalla vendita dell’energia elettrica prodotta dagli impianti in funzione.

Per quanto concerne l’andamento delle marginalità

industriali, l’analisi dei bilanci conferma i dati già registrati nel 2009, con livelli di redditività par-ticolarmente elevati nell’area di business relativa alla produzione e trading di energia (fino a oltre il 20% dell’EBITDA Margin), dovuti alla generosi-tà della tariffa incentivante, che si riducono mano a mano che si risale la filiera, per arrivare all’area di business “tecnologia e componenti”, dove si raggiun-gono valori di EBITDA Margin di poco superiori al 10%, a causa della limitata complessità ed elevata maturità tecnologica delle soluzioni e dei compo-nenti in gioco.

Interessante è anche esaminare le ricadute occupazionali del biogas italiano. Incrociando i dati raccolti durante le interviste ad esperti ed operatori di settore con i risultati di alcune ricerche condotte recen-temente da alcune Associazioni di settore e dal Consorzio Italiano

Biogas, si può stimare che a fine 2010 il numero di addetti complessivamente impegnati dalla fi-liera italiana del biogas superasse le 4.500 unità, a fronte di un livello occupazionale alla fine del 2009 di quasi 3.000 addetti. Questo comprendendo i di-pendenti delle imprese attive nelle diverse fasi della filiera illustrate in precedenza, ossia la produzione e vendita di componenti e tecnologie, la progettazio-ne ed installazione ed infine la gestione e manuten-zione dell’impianto. Si tratta di valori che in termini assoluti non sono particolarmente significativi, ma fanno sicuramente registrare un trend di crescita molto importante. Bisogna anche considerare come

“Il mercato nell’ultimo anno è cresciuto talmente rapidamente che abbiamo dovuto rifiutare degli ordini.”

Marketing Manager di una società di progettazione e installazione di impianti a

biogas

Figura 3.10 EBITDA Margin medio delle imprese operanti nelle diverse fasi della filiera del biogas

11% 13%

23%

0

5%

10%

15%

20%

25%

30%

Tecnologia e componenti Progettazione e installazione Produzione e trading di energia

3. IL BIOGAS

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gli impianti a biogas agricolo spesso abbiano un’importante ricaduta occupazionale legata alla loro capacità di evitare il fallimento di moltissi-me imprese agricole, che hanno sperimentato negli ultimi tempi una contrazione della loro redditività già piuttosto ridotta e che hanno visto ed utilizzato la produzione di energia da biogas come una pos-sibilità per migliorare i propri bilanci ed evitare, ad esempio dolorose razionalizzazioni e licenziamenti.

Area di 3.3.1.1 business “Progettazione e installazione”

Come descritto nella precedente edizione del Bio-mass Energy Report, in questa area di business competono tanto imprese specializzate nella pro-gettazione ed installazione di impianti alimentati da biogas, dotate di tutte le competenze necessarie per fornire al cliente un impianto “chiavi in mano”, quanto studi di ingegneria e progettazione che hanno competenze tecniche più generiche e che, tradizionalmente attivi in altri comparti, hanno deciso di operare anche nel campo del biogas per sfruttare opportunità di crescita e di fatturato.

Non si riscontrano particolari evo-luzioni a livello delle posizioni di forza relative delle imprese attive sul mercato italiano né tantomeno a livello delle strategie competitive che esse adottano. Per quanto ri-guarda gli operatori specializzati, essi sono spesso delle filiali italiane di imprese straniere, hanno fatturati annui nell’or-dine di 15-20 mln €, sono integrate verticalmen-te nella produzione di alcuni componenti critici (quali sistemi di caricamento e agitatori) e spesso offrono al cliente delle soluzioni proprietarie, coper-te da protezione brevettuale. Gli operatori generici, invece, sono più frequentemente imprese italiane, con dimensioni più contenute, per le quali diventa-no fondamentali le referenze ed il presidio del ter-ritorio per mantenere la propria posizione compe-titive. Nel corso dell’ultimo anno si registra, a detta degli operatori intervistati, un crescente ricorso da parte delle imprese specializzate ai cosiddetti contratti “full service”, che solitamente possono comprendere l’assistenza, la manutenzione ordina-ria, l’assicurazione, il telecontrollo dell’impianto e gli interventi in caso di malfunzionamenti. Grazie

a questi contratti, che tutelano i clienti rispetto a rischi ed incertezze che si potrebbero manifestare durante il funzionamento e la vita utile dell’impian-to, le imprese specializzate stanno riuscendo a con-quistare quote di mercato in quei segmenti meno propensi ad investire in impianti a biogas, che sono critici per assicurare una continua crescita dell’in-stallato con la progressiva maturazione del settore, seguita all’euforia iniziale registrata nel 2008 e nel 2009. Questo ha consentito agli operatori spe-cializzati di conquistare posizioni di mercato rispetto agli studi di ingegneria con competen-ze generiche, che erano stati in grado di ritagliar-si fette importanti del mercato in una fase iniziale di crescita ed espansione del settore. Gli operatori generici sono tipicamente italiani e questa leggera perdita di competitività, potrebbe accentuarsi nei prossimi mesi e anni con l’ulteriore maturazione del comparto. La tendenza è visibile dal confronto della FIGURA 3.9 con la corrispondente immagine riportata nella passata edizione del Biomass Energy Report, da cui si nota una riduzione della presenza di imprese italiane nell’area di business “progetta-zione ed installazione”.La TABELLA 3.5 riporta un quadro delle principali imprese attive in questa area di business in Italia.Innanzitutto bisogna notare come l’impresa austria-

ca Thöni Industriebetriebe occupa la prima posizione della Tabella 3.5 in quanto il fatturato dell’inte-ro gruppo, attivo su diversi mercati europei, raggiunge livelli partico-larmente consistenti. In Italia, l’im-presa opera attraverso l’export puro, con una focalizzazione sull’area del

Nord-Est del Paese, senza avere una propria filiale commerciale. In questo senso l’impresa rappresenta un’eccezione rispetto al quadro che si è delineato ne-gli ultimi due anni nel mercato del biogas italiano, in cui si osserva la tendenza da parte di tutte le grandi imprese straniere, tedesche ed austriache in primis, ad aprire filiali commerciali sul nostro territorio per poter trarre maggiore vantaggio dalla grande cresci-ta del mercato. Oltre all’apertura di nuove filiali, nel corso del 2010 sono cresciuti sensibilmente i fattu-rati di quelle già presenti da alcuni anni. Si pensi ad esempio che la filiale di Schmack Biogas ha fatto registrare un tasso di crescita che è passato da 3,1 mln € nel 2009 a oltre 26 mln nel 2010, SI VEDA BOX 3.13. I BOX dal 3.6 al 3.9 riportano alcuni casi di imprese che operano nell’area di business “Proget-tazione e installazione” in Italia.

“Per le imprese tedesche investire in Italia è diventata una grandissima chance, grazie alla tariffa a 28 c€

per kWh.”

Business Developer di una società di progettazione e installazione di impianti a

biogas

3.3 La filiera

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Tabella 3.5 Principali operatori dell’area di business “Progettazione e installazione”

Impresa SedePresenza sul

mercatoTipologia di operatore

Fatturato 2009 [€]

Thöni Industriebetriebe

Austria Impresa estera Impresa specializzata 151.891.000

Asja.Biz Rivoli (TO) Impresa italianaSocietà di ingegneria e

progettazione52.773.039

ICQ Holding Roma Impresa italianaSocietà di ingegneria e

progettazione36.960.621

Rota GuidoFiorenzuola D’Arda (PC)

Impresa italianaSocietà di ingegneria e

progettazione24.241.692

Sebigas Bologna Impresa italiana Impresa specializzata 5.781.564

B.T.S. Italia Brunico (BZ) Filiale in Italia Impresa specializzata 4.666.905

Brevetti Francesco Cremonesi

Albignano D’Adda (MI)

Impresa italiana Impresa specializzata 3.767.000

MT Energie Conselve (PD) Filiale in Italia Impresa specializzata 3.714.912

Pignagnoli ImpiantiPieve Porto Morone (PV)

Impresa italiana Società di ingegneria e

progettazione3.240.570

Schmack Biogas Bolzano Impresa italiana Impresa specializzata 3.172.670

Envitec Verona Filiale in Italia Impresa specializzata 2.579.895

Biogas EngineeringNoventa

Vicentina (VI)Impresa italiana

Società di ingegneria e progettazione

799.328

Biogas Nord Brescia Filiale in Italia Impresa specializzata 116.577

UTS Biogas Germania Filiale in Italia Impresa specializzata 69.136

* per le imprese estere senza filiale italiana è riportato il fatturato complessivo mentre per le altre imprese il fatturato realizzato in Italia

Biogas Engineering è una società italiana con sede a Noventa Vicentina (VI), fondata nel 2005 e da sempre operante nel settore delle biomasse. La società oggi impiega 12 addetti tutti dedicati al business del bio-gas. Nella filiera del biogas, l’impresa si occupa delle seguenti attività: progettazione, costruzione, direzione lavori, avviamento e collaudo dell’impianto e consulen-za ambientale e sulla sicurezza. Inoltre essa sviluppa,

brevetta e produce alcuni componenti chiave dell’im-pianto Spesso la costruzione dell’impianto è esternaliz-zata attraverso contratti di outsourcing. L’azienda opera principalmente nell’Italia settentrionale e in particolare in Lombardia e Piemonte. Ad oggi Biogas Engineering non è presente sui mercati esteri. Essa ha installato 13 impianti già in esercizio, per una potenza elettrica com-plessiva di 7.000 KW.

Box 3.6 Biogas Engineering

3. IL BIOGAS

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B.T.S Italia è una società italiana che opera nel settore del biogas dal 2008, anno in cui l’impresa è stata fondata. L’impresa ha la propria sede legale a Brunico (BZ) e una sede operativa a Porto Mantovano (MN). In totale impie-ga 65 addetti tutti dedicati all’unica area di business in cui l’azienda è attiva, ossia il biogas. L’azienda svolge le atti-vità di progettazione e realizzazione degli impianti e di

tutti i componenti/tecnologie accessorie. L’impresa ope-ra soprattutto nell’Italia settentrionale, ma ha anche una sede in Germania, dove opera attraverso B.T.S. Biogas Gmbh, controllata da B.T.S. Italia. B.T.S. è presente anche in Repubblica Ceca e sta portando avanti progetti che la vedranno attiva in altri paesi europei e negli Stati Uniti.

UTS Biogas è una società italiana con sede legale ad Asola (MN) attiva dal 2008 nel settore del biogas. L’impresa ha anche una sede operativa a San Ger-vasio Bresciano (BS) e impiega in totale 15 addetti. L’azienda è controllata dalla società tedesca UTS Bio-gastechnik GmbH. UTS opera solamente nel settore del biogas e svolge le attività di progettazione (con servizi accessori per autorizzazioni e consulenze tec-niche), installazione dell’impianto e produzione di al-cune componenti/tecnologie accessorie quali pompe, mixer e sistemi di caricamento biomassa. La società italiana fa ricorso all’outsourcing per alcune attività quali la costruzione ed alcune consulenze tecniche (relative, ad esempio, alla relazione geologica ed acu-stica). UTS acquista poi dalla casa madre tedesca tut-ta la componentistica che è prodotta in una delle sedi

operative in Germania. La casa madre, a differenza della filiale italiana, è anche integrata a valle della filiera, svolgendo l’attività di produzione e vendita di energia elettrica, essendo proprietaria di alcuni impianti di biogas realizzati. L’impresa italiana è re-sponsabile solo del territorio nazionale mentre la casa madre tedesca ha sedi anche in Spagna, UK, Ungheria e Repubblica Ceca. A detta di UTS, i fattori critici per operare nella filiera con successo sono legati alla ca-pacità di saper gestire il processo biologico, a formare il cliente a gestire correttamente l’impianto e disporre di una tecnologia solida, la cui durata nel tempo deve superare i 15 anni. Assumono quindi particolare im-portanza i servizi pre- e post-vendita, attraverso cui essa cerca di differenziare la propria offerta da quella dei concorrenti.

Box 3.7 B.T.S. Italia

Box 3.8 UTS Biogas

La Brevetti Francesco Cremonesi spa è una società italiana operante nel settore agro-zootecnico da oltre 50 anni. E’ però dagli anni ’80 che l’azienda è diventata una società per azioni. La società ha sede legale e operativa ad Albignano d’Adda (MI) e ha altre due sedi operative, una a Piobbico (PU) nelle Marche e un’altra in Israele. L’azienda impiega circa 30 addetti, cinque dei quali sono esclusivamente de-dicati al settore del biogas agricolo in cui ha cominciato ad operare nel 2004. All’interno del settore la Brevetti Cremo-nesi opera come fornitrice di impianti “chiavi in mano”. Le

attività svolte dall’impresa riguardano: la progettazione e l’installazione dell’ impianto di digestione, la realizzazione delle opere in carpenteria, l’assistenza manutentiva (eccet-to quella del motore) e biologica. Seppur responsabile della fornitura di tutti i componenti di impianto, sia di digestio-ne che a volte anche di combustione, l’azienda non produce internamente. L’azienda ha realizzato ad oggi 6 impianti a biogas agricolo in Italia, per una potenza complessiva di 1.060 kWe e prevede di installarne circa 15 tra il 2011 e 2012

Box 3.9 Brevetti Francesco Cremonesi

3.3 La filiera

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Area di 3.3.1.2 business “Tecnologie e componenti”

In quest’area di business operano produttori di: (i) componenti uti-lizzati nella sezione di digestione anaerobica dell’impianto, quali vasche, strutture di supporto, tra-mogge per il caricamento della biomassa, ecc; (ii) altri compo-nenti meccanici ed elettrici uti-lizzati nell’impianto, quali sistemi di movimentazione per fluidi, se-paratori e vagliatori del digestato già processato, ecc; (iii) produttori di motori per la conversione del biogas in energia, ossia sostan-zialmente motori alternativi a combustione inter-na. Anche per quanto riguarda questa area di business, la situazione descritta nella precedente

edizione del Biomass Energy Report si è confer-mata nel 2010. I principali fornitori di tecnologie per la digestione anaerobica sono imprese stra-niere, normalmente integrate anche nell’attività di progettazione e realizzazione dell’impianto “chiavi

in mano”, oltre che nella produzio-ne di alcune tipologie di compo-nenti critici per l’efficienza dell’im-pianto. Il comparto dei produttori di motori per la conversione del biogas in energia elettrica continua ad essere fortemente concentrato. Vi operano pochi produttori di medie-grandi dimensioni con un portafoglio prodotti molto ampio. Tra di essi, si conferma in Italia la

leadership indiscussa di GE Jenbacher, seguita da imprese quali Man, Deutz e Mtu. La TABELLA 3.6 riporta un elenco dei principali operatori che for-niscono componenti per la sezione anaerobica e per quella di generazione elettrica attivi in Italia.

“Nel 2010 abbiamo avviato ingenti investimenti per poter aumentare

la nostra capacità produttiva e riuscire ad assemblare e consegnare

un maggior numero di gruppi cogenerativi.”

Marketing Manager di una società di produzione di gruppi di cogenerazione per

impianti a biogas

Impresa SedePresenza sul

mercatoTipologia di operatore

Fatturato 2009* [€]

Deutz Germania Impresa esteraProduttore di

motori927.000.000

MTU La Spezia Filiale in ItaliaProduttore di

motori75.705.185

Wolf System Campo di Trens (BZ) Filiale in ItaliaProduttore di vasche/silos

61.935.876

GE Jenbacher Bolzano Filiale in ItaliaProduttore di

motori59.101.135

Paver Costruzioni Piacenza Impresa italianaProduttore di vasche/silos

52.272.025

AB Energy Orzinuovi (BS) Impresa italianaProduttore del gruppo

cogenerativo44.925.325

Tessari Energia Padova Impresa italianaProduttore di

motori8.738.269

MAN Diesel Genova Filiale in ItaliaProduttore di

motori6.061.919

2G Italia Verona Filiale in ItaliaProduttore del gruppo

cogenerativo-

Tabella 3.6 Principali operatori dell’area di business “Tecnologie e componenti”

3. IL BIOGAS

* per le imprese estere senza filiale italiana è riportato il fatturato complessivo mentre per le altre imprese il fatturato realizzato in Italia

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Anche per quanto riguarda il comparto delle tec-nologie e componenti si conferma il trend discusso per gli operatori della progettazione e installazione, ossia la maggiore propensione da parte dei player internazionali di aggredire il mercato italiano tra-mite l’apertura di filiali commerciali attraverso cui presidiare il territorio. L’unica impresa di rilievo che ancora oggi non ha una filiale nel nostro paese è Deutz, mentre una delle filiali aperte più di re-cente è sicuramente 2G Italia, branch italiana di 2G Bio-Energietechnik (SI VEDA BOX 3.10), che è attiva nel nostro Paese solo dal Marzo 2011 (per questo motivo ad essa nella TABELLA 3.6 non è associato un valore di fatturato). L’impresa che negli ultimi anni ed in particolar modo nel 2010 e 2011 ha fatto registrare i maggiori tassi di crescita del proprio fat-turato dovuti alla vendita di tecnologie per biogas agricolo è il Gruppo AB, specializzato in impianti di cogenerazione.

I BOX 3.10 e 3.11 riportano alcuni casi di impre-se che operano nell’area di business “tecnologie e componenti” in Italia. Vista l’importanza che il biogas potrebbe assumere nei prossimi anni anche in Italia, alla luce dei cambiamenti sanciti dal più volte citato Decreto Rinnovabili, è stata condotta un’analisi per identificare quali imprese attive sul mercato italiano hanno già le competenze per for-nire tecnologie e componenti, oltre che servizi di progettazione ed installazione, per l’upgrading del biogas in biometano. Queste imprese hanno svi-luppato determinate competenze per altri mercati o per settori simili e potrebbero facilmente sfrut-tarle appena il mercato italiano del biogas crescesse

in modo significativo. Le principali sono riportate nella TABELLA 3.7.

Dall’analisi della TABELLA 3.7 si evince come in Ita-lia siano presenti imprese con le competenze per operare in questo nuovo settore. È possibile di-stinguere queste imprese in base alla modalità at-traverso cui hanno sviluppato le loro competenze e le loro tecnologie nel campo del biogas. Ci sono imprese come la General Filter e la Air Liquide che, occupandosi della purificazione e trattamen-to dei gas in generale, hanno deciso di applicare le proprie conoscenze al biogas sviluppando tec-nologie proprietarie (Air Liquide in joint venture con DuPont ha sviluppato e messo in commercio la tecnologia MEDALTM, acronimo di MEmbra-ne systems Dupont Air Liquide, per la separazione dei gas). Ci sono altre imprese come la Mascherpa Tecnologie Gestionali e Ladurner Ambiente che, invece, occupandosi di progettazione, hanno stret-to accordi con imprese proprietarie delle tecnolo-gie di upgrading (Ladurner ha una partnership con Haase, una delle più attive imprese tedesche che si occupano di purificazione del biogas, attraverso la tecnica dell’Organic Physical Scrubbing) per poterle implementare nelle loro realizzazioni. Ci sono infi-ne imprese provenienti dal settore del biogas come MT Energie, Schmack Biogas ed Envitec che hanno sviluppato tecnologie per il trattamento del biogas per ampliare la propria offerta commerciale in quei mercati più maturi rispetto a quello italiano come quello tedesco. I BOX 3.13 e 3.14 riportano un bre-ve profilo di alcuni degli operatori attivi in Italia con competenze sull’upgrading del biometano.

2G Italia è la filiale italiana con sede a Verona del grup-po tedesco 2G Bio-Energietechnik GmbH. L’azienda tedesca è stata fondata nel 1995 e si è sempre occupata della costruzione/assemblaggio di gruppi per la cogene-razione da gas naturale o biogas. L’azienda è presente con diverse filiali commerciali in tutta Europa e ha at-tuato collaborazioni strategiche con partner in USA e in Canada. Nel mese di marzo 2011 è stata fondata la società italiana del gruppo che occupa 4 addetti e opera nella filiera del biogas e del gas naturale (in particolare nel mercato degli impianti a cogenerazione compatta).

2G Italia si occupa della progettazione, installazione dell’impianto per la combustione del biogas e ha inten-zione, come la casa madre, di integrare anche l’attività di connessione elettrica ed allacciamento alla rete dell’im-pianto. 2G oggi ha installato in Italia circa 30 gruppi di cogenerazione per impianti a biogas, per una potenza totale di 15 MWe. Nel prossimo anno l’impresa prevede di vendere gruppi di cogenerazione in altri 30 impianti, per una potenza totale di 15 MWe, raddoppiando così la capacità installata e la propria presenza sul mercato italiano del biogas.

Box 3.10 2G Italia

3.3 La filiera

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Tabella 3.7 Principali operatori attivi in Italia con competenze sull’upgrading del biogas

Il Gruppo AB è una società italiana, con sede a Orzinuo-vi (BS) fondata nel 1981 e che oggi occupa 350 addetti totali. La società opera anche all’estero, ha sedi operative in Romania, Spagna e Polonia oltre che una moltitudine di unità service sparse su tutto il territorio nazionale e nei Paesi in cui ha installazioni. Il gruppo, sin dalla sua fondazione, opera nei settori della cogenerazione del gas metano e dell’efficienza energetica, mentre ha visto so-prattutto negli ultimi 3-4 anni una crescita vertiginosa del business del biogas, dove l’azienda è diventata leader del settore come fornitrice di gruppi cogenerativi. Oggi l’attività principale di AB è proprio legata al mercato del

biogas agricolo, anche se le prime installazioni sin dal 1981 sono state soprattutto in impianti di biogas da di-scarica. A dimostrazione del crescente interesse e del suc-cesso dell’azienda in questo settore si noti come circa il 60-70% degli addetti totali sono dedicati al mercato delle rinnovabili e quindi al biogas. AB ad oggi ha effettuato 400 installazioni (inclusi impianti a biogas da discarica e a gas naturale) per un totale di 750 MWe e prevede di installare circa 120 MWe di nuova potenza all’anno, con la quota di impianti dedicati al biogas in costante cresci-ta. Basti pensare che nel 2010 il Gruppo AB ha venduto quasi 120 impianti per questo comparto.

Box 3.11 Gruppo AB

Nome impresa Nazione Sede italianaPosizione occupata nella

filieraTecnologia di upgrading

Air Liquide Francia MilanoTecnologie e componenti

per l’upgradingMembrane

Envitec Germania Verona

Realizzazione impianti a biogas e tecnologie

e componenti per l’upgrading

Water Scrubber

General Filter Italia Paese (TV)Tecnologie e componenti

per l’upgradingFiltri carboni attivi

Ladurner Ambiente Italia Lana (BZ)

Realizzazione impianti a biogas e tecnologie

e componenti per l’upgrading

Organic Physical Scrubbing

Mascherpa Tecnologie Gestionali

Italia Rozzano (MI)

Realizzazione impianti a biogas e tecnologie

e componenti per l’upgrading

Membrane

MT Energie Germania Conselve (PD)

Realizzazione impianti a biogas e tecnologie

e componenti per l’upgrading

Chemical absorption

Schmack Biogas Germania Bolzano

Realizzazione impianti a biogas e tecnologie

e componenti per l’upgrading

PSA

3. IL BIOGAS

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Area di 3.3.1.3 business “Produzione e trading di energia”

Appartengono a quest’area di business le imprese che investono nella realizzazione dell’impianto a biogas, si occupano della sua gestione e traggono vantaggio dalla vendita dell’energia elettrica prodotta in rete e dalla relativa tariffa incentivante. Nel CAPITOLO 3.2 del presente Rapporto sono già stati commen-tati i principali cambiamenti che hanno interessato questa area di business nel corso dell’ultimo anno.

Essi riguardano sostanzialmente la crescita della propensione da parte delle imprese agricole ad investire in impianti a biogas alimentati non solo attraverso materia prima disponibile in loco, ma anche attraverso l’approvvigionamento della stes-sa sul mercato. Bisogna tuttavia rilevare l’esistenza di alcuni casi, seppur limitati in numero, di imprese attive nel campo della generazione elettrica, tipica-mente da rinnovabili, che hanno deciso di investire nella costruzione e gestione di impianti a biogas, in modo da beneficiare delle tariffe incentivanti parti-colarmente generose. Si tratta di una tendenza già anticipata nella passata edizione del Biomass Ener-

Envitec è una società con sede legale e operativa a Somma-campagna (VR), fondata nel 2007. Essa impiega 32 addetti ed opera nella filiera delle biomasse, in particolare degli im-pianti di biogas da reflui zootecnici e biomasse agricole. En-vitec Biogas Italia srl è la filiale italiana di Envitec Biogas AG, società tedesca da sempre operante nel settore del biogas con sedi dislocate in tutta Europa e con forte vocazione ad esplo-rare i mercati esteri. La filiale italiana si occupa di progetta-zione, installazione degli impianti, assistenza post-vendita (in outsourcing) e fornitura dei servizi accessori necessari per l’ottenimento delle autorizzazioni necessarie. Il gruppo

Envitec Biogas AG si occupa invece anche della costruzione in serie di numerose componenti tecnologiche dell’impianto, costituenti una struttura modulare standardizzata. Le aree in cui l’azienda è maggiormente presente sono il Nord dell’Italia (soprattutto Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emi-lia Romagna) con decine d’impianti realizzati in totale, men-tre ci sono solo poche installazioni nel Centro-Sud Italia. Per quanto concerne il biometano, Envitec si è specializzata nella tecnica del Water Scrubbing, che ha già installato in alcuni impianti in Germania.

Negli ultimi 10 anni Schmack Biogas (dal 2010 parte del gruppo Viessmann) si è notevolmente ampliata e consoli-data, tanto da essersi quotata alla Borsa di Francoforte nel 2006, aver raggiunto una forza lavoro composta da circa 360 dipendenti e aver realizzato oltre 200 impianti distribuiti in Europa, Stati Uniti e Giappone. In particolare, in Euro-pa l’impresa ha ultimato l’installazione di impianti in Gran Bretagna, Francia, Polonia, Svizzera, Belgio, Olanda, Lus-semburgo e Austria. L’ampliamento dell’impresa è stato sup-portato anche dalla costituzione di sedi operative in alcuni Paesi europei. In Italia la sede, che nel 2010 ha realizzato un fatturato di 26,1 mln € contro i 3,1 mln € del 2009, si trova a Bolzano. Dal 2006, inoltre, Schmack Biogas sta sviluppando anche tecnologie per la purificazione del biogas, con le pri-me applicazioni industriali realizzate già nel corso del 2007.

In particolare, da quell’anno l’impresa ha realizzato impianti per l’upgrading del biogas in Francia, Stati Uniti e Polonia, oltre che in Germania.Il processo di purificazione proposto è stato sviluppato dalla CarboTech (società controllata dalla Schmack Biogas) ed è stato brevettato. Si tratta di un processo basato su tecnologia PSA, in cui il gas viene inizialmente compresso, viene in se-guito rimossa l’acqua attraverso un raffreddamento graduale seguito da una fase di desolforizzazione che sfrutta i carbo-ni attivi. Il biogas così ottenuto viene convogliato attraverso delle colonne che svolgono l’attività di filtraggio. In queste colonne viene effettuato l’adsorbimento. L’ output è un gas con una concentrazione di metano fino al 99% sul volume. Il procedimento CarboTech lavora ad una pressione di circa 5 bar.

Box 3.12 Envitec

Box 3.13 Schmack Biogas

3.3 La filiera

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gy Report11, che richiede a queste imprese di dare vita a partnership ed accordi con operatori agricoli, per semplificare l’accesso alla ma-teria prima e il superamento delle difficoltà in merito all’accettazione dell’impianto sul territorio locale. Il BOX 3.14 riporta un esempio di in-vestimenti realizzati da una di que-ste imprese.

Nonostante il mercato del biogas agricolo abbia fatto registrare degli importanti passi avanti e sia stato oggetto di un importante processo di maturazione, non si rilevano negli ultimi anni miglioramenti nella facilità di accesso al credito da parte delle società che investono nella realizza-zione dell’impianto. La nostra analisi e le intervi-ste condotte mostrano come le banche e gli istitu-

ti di credito frequentemente abbiano una certa ritrosia, o comunque richiedano delle eccessive

e non sostenibili garanzie ipote-carie, per concedere un finanzia-mento. Questo si spiega col fatto che ad essi spesso mancano le competenze tecnico-energetiche e agronomiche-zootecniche per giudicare un business plan relati-vo alla costruzione ed esercizio di un impianto a biomasse. Le fonti di rischio principali che le banche difficilmente riescono a valutare con sufficiente livello di confiden-

za riguardano: (i) l’acquisto delle materie prime dal mercato, se esse non sono 100% prodotte dal titolare dell’impianto; (ii) l’idoneità delle colture energetiche dedicate all’alimentazione dell’im-pianto; (iii) il dimensionamento delle strutture di

Fri-El Biogas è un importante player nella produzione di energia elettrica proveniente da biogas e partner per chi dispone di biomasse agricole e zootecniche da valo-rizzare. L’impresa si occupa della progettazione, finanzia-mento, costruzione, vendita dell’energia e gestione degli impianti a biogas in compartecipazione societaria con le imprese agricole/zootecniche. Fri-El Biogas affianca

l’agricoltore nell’individuazione delle biomasse idonee e nel supporto agronomico. Attualmente l’impresa è attiva in Piemonte, Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Puglia e Toscana. Complessivamente sono 10 le centrali a biogas realizzate, 5 gli impianti auto-rizzati e cantierabili e ulteriori 15 gli impianti in sviluppo, per una potenza ciascuno di circa 1 MWe.

Box 3.14 Fri-El

11 Cfr. Biomass Energy Report 2009, pp. 116-117.

Nome Impianto Provincia Inizio Attività

Gardilliana Rovigo Dicembre 2010

Grupellum Pavia Dicembre 2010

Il Bue Ferrara Dicembre 2010

Jonica Taranto Maggio 2010

Momo Novara Aprile 2010

Mortara Pavia Ottobre 2010

Pannellia Udine Dicembre 2010

Piovera Alessandria Dicembre 2010

Quadrivium Udine Aprile 2009

Rhodigium Rovigo Aprile 2010

Tabella 3.8 Impianti sviluppati da Fri-El

“Il principale vantaggio del biometano è quello di poter essere trasportato

attraverso la rete del gas e di sfruttare a pieno il suo potere

calorifico in impianti ad alta efficienza termica ed elettrica”

Business Developer di una società di progettazione e installazione di impianti a

biogas

3. IL BIOGAS

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stoccaggio e di quelle logistiche. Si stima che una non corretta valutazione di questi elementi pos-sa portare anche a perdite del valore dell’IRR del progetto di investimento anche nell’ordine del 30%. Solitamente gli strumenti più utilizzati dagli investitori sono il leasing per quanto riguarda il finanziamento dell’impianto e la cambiale agraria o l’apertura di una linea di credito per quanto ri-guarda la gestione ordinaria del magazzino e delle anticipazioni colturali. Esistono ad oggi solo alcu-ni istituti di credito che offrono prodotti specifi-ci per l’avvio degli impianti a biogas. Tra le altre, Unicredit e alcune BCC hanno sviluppato offerte ad hoc per l’avvio di questi impianti.

I consorzi agrari e gli 3.3.2 impianti a biogas

Come si è avuto modo di discutere più volte nel corso della passata edizione del Biomass Energy Report, un modello di sviluppo più virtuoso del biogas in Italia dovrebbe passare, come illustrato dal caso di altri Paesi europei come la Germania, da un ruolo maggiormente attivo dei consorzi agrari.I consorzi agrari sono organizzazioni di agricol-tori, costituiti in forma di società cooperativa, su base provinciale o interprovinciale, per la forni-tura di beni o servizi utili per l’attività impren-ditoriale agricola o per la commercializzazione delle loro produzioni. In Italia Federconsorzi ha, dal 1892 al 1991, svolto un ruolo di importante punto di aggregazione per tutti i consorzi agrari esistenti sul territorio nazionale, diventando una delle realtà più importanti e capillarmente diffuse. Essa però è stata purtroppo travolta dall’indebita-mento che l’ha portata dal Maggio 1991 dapprima

al commissariamento e poi alla richiesta di con-cordato preventivo. Allo stesso modo la maggior parte dei consorzi agrari provinciali finirono in liquidazione coatta amministrativa. Per molti anni la rete di consorzi agrari in Italia rimase altamente inefficace per effetto, tra le altre ra-gioni, di questa mancanza di un coordinamento centrale.Solo nel 2009 una gruppo consistente di consorzi non travolti dalle procedure fallimentari hanno ricreato una organizzazione centrale. Nello speci-fico, nell’ottobre del 2009 è stata fondata la società “Consorzi Agrari d’Italia” (CAI) composta da una ventina di consorzi con capitale complessivo di 4 mln €, ma che dispone, sin dalla partenza, di 1.300 punti di vendita con un fatturato complessivo di 2,5 mld €. L’obiettivo della nuova società consortile per azioni è di ampio raggio e spazia dallo svilup-po di servizi multifunzionali, logistici e finanziari, al rafforzamento di una rete distributiva destinata a favorire i prodotti firmati dagli agricoltori. Ma nella strategia rientra anche l’impulso alla ricerca e l’innovazione, in cui sono già impegnati molti consorzi provinciali, e la creazione di «marchi co-muni». Tra i principali obiettivi inoltre il debut-to nelle agro energie, che si è già concretizzato con alcuni accordi con i principali operatori del settore per lo sviluppo di impianti da biomasse, tra cui impianti a biogas. Si tratta tuttavia di accordi ad uno stadio di sviluppo fortemente embrionale, che non hanno ancora dato vita a progetti concreti di realizzazione di impianti a biogas. Nonostante quindi non esistano ad oggi in Italia impianti a biogas promossi da consorzi agrari, le iniziative sopraccitate lasciano ben sperare per il prossimo futuro, che potrebbe vedere un ruolo più attivo dei consorzi nella promozione e nello sviluppo di questo mercato.

3.3 La filiera

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I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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4.1La normativa

Nella passata edizione del Biomass Energy Report1 il capitolo sulla normativa relativa ai rifiuti solidi urbani si era concentrato sui meccanismi normativi che regolano la raccolta e la gestione dei rifiuti e si era posta particolare enfasi al rapporto “gerarchico” fra riciclaggio, recupero energetico e smaltimen-to. In chiusura di capitolo si era infine accennato al problema della “transizione” da un meccanismo di incentivazione basato sul CIP6 (ossia sulla deli-bera del Comitato Interministeriale Prezzi numero 6 dell’Aprile 1992) al meccanismo dei Certificati Verdi, che in qualche modo “uniforma” il recupero energetico dei rifiuti alla produzione di energia elet-trica attraverso l’impiego di altre biomasse e più in generale (con la parziale esclusione del fotovoltaico) di fonti rinnovabili.Nonostante sia passato poco più di un anno da allo-ra, gli effetti di questa “transizione” sono apparsi (ed in prospettiva saranno ancora di più) estremamen-te rilevanti, poiché variegate sono state le reazioni degli operatori e incerta sembra essere la strada da seguire. Su questo aspetto si concentra il presente capitolo che – oltre a dare un quadro di quanto ac-caduto nel corso del 2010 – raccoglie le “sensazioni” degli operatori in merito alle modifiche introdotte dal Decreto Rinnovabili del 3 Marzo 2011.Viene poi affrontato il tema della gestione delle emissioni di CO2 e di inquinanti dagli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti, anche questo ogget-to spesso di dibattito nell’opinione pubblica.

La gestione del passaggio 4.1.1 da CIP 6 a Certificati Verdi

Sino a tutto il 2009, oltre il 90% del totale dell’ener-gia prodotta nei 53 impianti italiani di recupero energetico dei rifiuti era incentivata attraverso il meccanismo dei CIP6 ed il “transitorio” verso i Certificati Verdi aveva interessato quindi solo una minoranza degli impianti, ed in particolare quelli di più piccole dimensioni. Come si vede, invece, dalla TABELLA 4.1 – che riporta i dati sugli impianti per cui

è definitivamente scaduta nel corso del 2010 o in sca-denza nel prossimo biennio l’incentivazione CIP6 – la situazione oggi è decisamente differente.

Nel 2010 sono stati costretti ad abbandonare il CIP6 – che si applica per la durata di 8 anni al to-tale dell’energia elettrica prodotta dall’impianto e definisce un prezzo di cessione alla rete predeter-minato su base annuale ma comunque mediamente del 200% superiore al prezzo di mercato dell’energia elettrica2 – ben 6 impianti, per un totale di oltre 677 mila tonnellate di rifiuti trattati (circa il 10% del totale). Nel corso del 2011, si aggiungono alla lista altri 5 impianti (3 dei quali nella top ten degli impianti italiani per potenza) per oltre 1 mln di ton di rifiuti trattati. Se si includono anche i tre im-pianti che saranno costretti ad abbandonare l’incen-tivazione CIP6 nel corso del 2012 (per altre 277.000 tonnellate di capacità di trattamento), ci si rende conto della portata complessiva del cambiamento.Entro il 2012, infatti, impianti con capacità di trattamento per quasi 2 mln di ton di rifiuti (il 30% circa del totale) e potenza elettrica comples-siva di 225,8 MWe (il 30% del totale) vedranno terminare il loro periodo di incentivazione.

Nella passata edizione del Biomass Energy Report3

si era valutata la sostanziale “equivalenza” fra le due forme di incentivazione per quanto concerne il rendimento dell’investimento (che per un impianto tipo da 20 MW e 80.000 tonnellate di rifiuti trattati si attesta nell’intorno del 15-20%) ma si era messo in guardia rispetto al fatto che il “transitorio” verso i Certificati Verdi, allungando sensibilmente i tempi di pay back dell’investimento da 6 a 10 anni, ha l’ef-fetto di incrementarne notevolmente il rischio.Le ipotesi alla base dell’analisi che era stata condot-ta, e che vale la pena qui discutere di nuovo, erano però piuttosto “forti”. Da un lato, infatti, si ipotizzava che l’impianto nascesse ex novo con l’opzione di sce-gliere fra le due forme di incentivazione o – alterna-tivamente ma con un medesimo effetto sulla stima dei flussi finanziari – che fosse possibile il passaggio

1 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p.123.2 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p.129.3 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p.130.

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LocalitàSocietà

proprietariaScadenza

CIP6

Capacità di trattamento autorizzata

Carico termico [MWt]

Potenza elettrica [MWe]

Ranking impianti per

capacità

Sesto S. Giovanni (MI)

CORE 2010 80.000 31,2 5,5 29

Dalmine (BG) REA Dalmine 2010 151.000 55,8 19,5 11

Como ACSM 2010 106.000 39 5,3 21

Piacenza Tecnoborgo 2010 120.000 45,5 11,7 14

Colleferro Mobilservice

(RM)Mobilservice 2010 110.000 52 13,6 18

Colleferro EP Sistemi (RM)

EP Sistemi 2010 110.000 49 13,6 19

Milano A2A 2011 500.000 184,5 59 3

Trezzo d’Adda (MI)

Prima 2011 195.000 83,2 20 8

Granarolo nell’Emilia (BO)

Frullo Energia Ambiente

2011 218.000 81,4 22 7

Livorno AAMPS 2011 54.000 31,2 6,7 45

Massafra (TA) Appia Energy 2011 90.000 49,5 12,5 26

Corteolona (PV)

Ecodeco 2012 75.000 34 9,3 32

Bergamo Bas Power 2012 72.000 48 11,5 34

Gioia Tauro (RC)

Regione Calabria

2012 120.000 60 15,6 15

Tabella 4.1 Impianti in scadenza CIP6 negli anni 2010, 2011 e 2012

dall’una all’altra forma di incentivazione senza ne-cessità di investimenti aggiuntivi. Dall’altro lato, si era ipotizzato – sulla base dei valori medi misurati nel periodo precedente – un valore complessivo per la vendita di energia e Certificati Verdi (che si appli-cano però solo sul 51% dell’energia effettivamente prodotta) di 180 €/MWh. Entrambe queste ipotesi si sono rivelate “errate” nella pratica. La prima poiché la gran parte degli impianti per avere accesso all’incentivazione me-diante Certificati Verdi ha necessitato e necessi-terà di interventi di revamping, ovvero di un in-tervento “pesante” di modifica tecnologica per ottenere in conformità al Decreto Ministeriale del 18 Dicembre 2008 dal GSE la nuova qualifica di Im-pianto Alimentato a Fonti Rinnovabili (IAFR). Nella maggior parte dei casi questo richiede l’esecuzione di alcuni interventi che comportano la completa ricostruzione di alcune parti di impianto (griglia, forno, generatore di vapore) e la sostituzione con nuovi componenti di alcuni macchinari (turbina,

alternatore), come ad esempio descritto nel BOX 4.1. Durante il revamping, poi, che può durare anche 10-12 mesi, può essere necessario fermare completamente l’intera linea e si pone quindi per i proprietari dello stesso anche il problema – in taluni casi risolto con il ricorso alla “cassa integrazione” – di gestire gli esuberi di personale. Rispetto all’ipo-tesi “semplificativa” fatta, quindi, è necessario tener conto sia dei maggiori costi di investimento che dei mancati introiti da produzione durante il periodo di fermo, ulteriormente gravati dalla più o meno rile-vante rigidità dei fattori produttivi e del lavoro.

Anche la seconda ipotesi, circa la “stabilità” del pri-cing dei Certificati Verdi, è risultata nei fatti pesan-temente disattesa, non soltanto perché è stato ope-rato un taglio del 22% sul prezzo di riferimento ma soprattutto perché il Decreto Rinnovabili del 3 Marzo 2011 – come si affronterà diffusamente nel prossimo paragrafo – ha ulteriormente modificato le “regole” e di fatto fermato a partire dal 2015 il mercato dei Certificati Verdi.

4. I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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Se è vero che la modifica al regime dei Certificati Verdi è intervenuta solo nel 2011 è altrettanto vero che già nel corso del 2010 le problematiche con-nesse agli interventi di revamping cui si è fatto riferimento sono state affrontate dagli operatori e con esiti particolarmente interessanti.Il passaggio è stato relativamente “indolore” per quegli operatori quali ad esempio la ACSM che ge-stisce il termovalorizzatore di Como che – nel caso specifico approfittando di un revamping comunque da eseguire nel corso del 2008 per la manutenzione straordinaria dell’impianto che è attivo dal lontano 1968 – avevano già ottenuto dal GSE la qualifica IAFR e per i quali quindi non si sono posti pro-blemi di adeguamento.Gli impianti invece – come ad esempio quello di REA Dalmine nell’omonima città dell’hinterland bergamasco e quello di Tecnoborgo a Piacenza, entrambe realizzati nel 20024 – la cui vita utile era ancora lunga prima del revamping pro-grammato (che per questo tipo di impianti avviene mediamente ogni 15 anni) hanno dovuto affrontare il problema del-la qualificazione IAFR. Le scelte sono state diffe-renti e ben rappresentano le opzioni a disposizioni:

•READalminehamantenutoperilmomentoatti-

vo l’impianto senza alcun intervento di riquali-ficazione e quindi senza ottenere alcun incenti-vo per la produzione di energia elettrica a partire dal 31 Maggio 2010 (data di scadenza del CIP6). In realtà la situazione è ferma a causa della tratta-tiva in atto con la Provincia di Bergamo. L’impresa che gestisce l’impianto intende rivedere la tariffa di smaltimento applicata (in anticipo rispetto alla naturale scadenza della convenzione in essere che ha validità sino all’agosto 2013) per tener conto degli investimenti aggiuntivi che essa dovrà soste-nere per il necessario adeguamento tecnologico ed ha allo studio diverse proposte che vanno dal revamping integrale dell’impianto (l’intervento

più oneroso) alla costruzione di una terza linea ex novo che possa invece essere direttamente quali-ficata IAFR e quindi permetta un più “graduale” passaggio al nuovo meccanismo di incentivazione. Gli incrementi in gioco vanno dal 5% della soluzione “parziale” ad oltre il 15% di quella “completa”, calco-lati tenendo conto dei valori medi

di tariffa registrati in Lombardia nell’ultimo anno (pari a poco meno di 100 €/ton);

•Tecnoborgo–inquestoseguitaanchedaA2Aconil Silla2 (SI VEDA BOX 4.2) – ha invece optato per una riconfigurazione più decisa dell’impianto

Box 4.1 Il revamping per l’ottenimento della qualifica IAFR per gli impianti di recupero energetico da RSU

La qualificazione degli Impianti Alimentati da Fonti Rin-novabili (IAFR), riconosciuta dal GSE, è prerequisito per il successivo rilascio dei Certificati Verdi in funzione dell’energia elettrica prodotta. La possibilità di accedere a questo meccanismo di incentivazione per gli impianti di recupero energetico da RSU deriva dal fatto che media-mente il 51% dei rifiuti solidi urbani raccolti è compo-sto da sostanza organica e quindi di natura rinnovabile ed equiparabile alle “classiche” biomasse. Un impianto già funzionante per poter richiedere la qualifica IAFR deve prima effettuare degli interventi di modifica tecnologi-ca sull’impianto che spesso prevedono la ricostruzione di alcune parti di impianto (griglia, forno, generatore di vapore) e la sostituzione con nuovi componenti di alcuni macchinari (turbina, alternatore). Un caso interessante è quello dell’impianto di Pozzilli (IS) di proprietà del-

la Energonut S.p.A, società controllata al 60% da Veolia Servizi Ambientali e per il 40% da CNIM S.A. (Construc-tions Industrielles de la Mediterranée). L’attuale impian-to è infatti è il risultato del rifacimento del precedente, ubicato nello stesso sito e disattivato alla fine del 2005 ai fini dell’ottenimento della qualifica IAFR. Il revamping ha comportato la sostituzione della caldaia e del gruppo turbina-alternatore-condensatore ed ha di fatto richiesto un approfondito e sistematico riesame di tutti i criteri di progettazione e di costruzione alla luce delle più recenti normative ambientali. L’impianto ha ora una capacità di trattamento di 100.000 ton/anno e una potenza elettrica di 16,7 MW. L’Energonut è autorizzata ad utilizzare per uso energetico biomasse e CDR (combustibile deriva-to dai rifiuti) quest’ultimo per una quantità massima di 85.000 tonnellate annue.

4 Nonostante gli impianti siano entrati in funzione quando il meccanismo dei Certificati Verdi era già attivo, la richiesta di incentivazione era stata fatta precedente-mente e quindi gli impianti hanno potuto inizialmente usufruire dell’incentivo CIP6. Questo è successo anche per numerosi altri impianti entrati in funzione dopo l’introduzione dei Certificati Verdi. Gli ultimi impianti che potranno accedere all’incentivo CIP6, grazie a ulteriori deroghe concesse nella Finanziaria 2009, sono quelli che saranno costruiti per risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti in Campania.

“Stiamo valutando la possibilità del revamping di una linea ma per il futuro non sono previste nuove

politiche di incentivazione. C’è troppa incertezza nelle decisioni del

governo.”

Ingegnere di una società di progettazione e installazione di impianti

4.1 La normativa

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a favore della produzione di energia termica, pensando alla realizzazione di una nuova centrale di teleri-scaldamento interconnessa al ciclo termico dell’impianto di termovalorizzazione esistente. Il calore prodotto potrà poi es-sere impiegato nella rete di tele-riscaldamento che nella città di Piacenza è attiva sin dal 2006 ed ha subito nel corso degli ultimi anni continue e significative espansioni. Il recupero del calore – meno oneroso sia dal punto di vista dell’inve-stimento che dei tempi di realizzazione rispetto al revamping del ciclo complessivo – permette di sostituire parte della produzione elettrica (a questo punto priva di incentivazione) con quel-la altrettanto remunerativa di energia termica. E’ evidente, tuttavia, come questo sia reso econo-

micamente sostenibile dalla presenza di una rete di teleriscaldamento già svi-luppata ed alla realizzazione della quale hanno concorso anche altri enti (nel caso di Piacenza realizzata dall’allora ex municipalizzata Enìa, ora Iren Emilia).

Solo 13 impianti sul totale dei 53 italiani e per una capacità com-

plessiva di 2.303.000 tonnellate (il 33% del totale) hanno effettuato un revamping nel corso degli ul-timi 5 anni e quindi si trovano potenzialmente nelle condizioni del sopra citato impianto di Como, men-tre per tutti gli altri la progressiva scadenza della incentivazione CIP6 – con un processo in atto di moral suasion per una transizione anticipata ver-so il nuovo sistema anche prima della naturale scadenza – deve necessariamente tradursi in un

Box 4.2 Specifiche tecniche dell’impianto Silla 2 dopo l’intervento previsto nel 2011

La scelta di impiegare il calore generato dal processo di re-cupero energetico dei rifiuti da parte di A2A ha una storia ormai decennale, avviata nel 2001 in occasione della messa in funzione del nuovo impianto “Silla2” da parte di AMSA, ora società del gruppo A2A. L’impianto, ubicato in locali-tà “Figino” nella zona nord-ovest del territorio comunale di Milano, ha sostituito l’esistente forno di incenerimento dei rifiuti (“Silla1”) ormai obsoleto sia in termini di im-patto ambientale che di rendimento energetico. Il nuovo termovalorizzatore recupera il calore della combustione dei rifiuti mediante un ciclo a vapore che produce energia elettrica con una turbina di potenza massima pari a circa 50 MWe. Il vapore estratto dalla turbina del termovalorizzato-re alimenta l’impianto di scambio termico che, mediante 3 scambiatori per totali 110 MWt, riscalda l’acqua della rete di teleriscaldamento fino a 130 °C. L’impianto ha inoltre un generatore di vapore a metano da 50 MWt, con funzione di riserva in caso di fuori servizio per manutenzione ordinaria o straordinaria delle linee di incenerimento. La rete di tele-riscaldamento distribuisce calore ad alcuni grandi quartieri limitrofi della zona del gallaratese che già disponevano di una rete centralizzata di quartiere. La dorsale principale che esce dalla centrale di scambio presso il termovalorizzatore è costituita da circa 4,5 km di doppia tubazione preisolata con diametro interno pari a 600 mm: nel complesso la rete è attualmente estesa per 16 km.

Nel 2006 è stata completata una grande estensione di rete verso i comuni di Pero e Rho per la fornitura di calore alla nuova Fiera di Milano, che è stata dotata di una sottocen-trale di scambio da 25 MWt. La potenza allacciata ha rag-giunto oggi quindi circa 87 MWt. La rete è in fase continua di espansione, sia nel comune di Pero, sia soprattutto nel comune di Milano che rappresenta il vero obiettivo per il futuro. Grazie agli investimenti di A2A dai circa 150.000 abitanti serviti nel 2006 attualmente il distretto milanese del teleriscaldamento comprende quasi 260.000 persone allacciate alla rete. La nuova rete di teleriscaldamento do-vrebbe servire la zona San Siro ed in particolare il grande quartiere di proprietà Aler alimentato dalla centrale termi-ca di piazza Selinunte. E’ interessante sottolineare come il progressivo incremento dell’utilizzo termico dell’energia prodotta dall’incenerimen-to dei rifiuti – che è passata dai 45.000 MWht del 2005 a oltre 110.000 MWht nel 2010, con un ulteriore balzo del 25% rispetto al 2009 – abbia anche un fondamento “ter-modinamico” nella maggior efficienza complessiva del si-stema. A2A ha stimato che – grazie ai recenti investimenti che diverranno operativi nel corso del 2011 per aumentare ulteriormente la capacità di utilizzo di energia termica per il teleriscaldamento a discapito della produzione elettrica – l’efficienza complessiva del sistema passerà da 57,8% a 88,08% (SI VEDA TABELLA 4.2).

“Le 2 linee del nostro impianto sono ancora perfettamente funzionanti e non ci sarebbe nessuna necessità

di effettuare un revamping … ma ormai è scaduto il periodo di

incentivazione CIP6 e non abbiamo altre alternative.”

Gestore di un impianto

4. I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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intervento che può seguire una delle due strade viste in precedenza: il revamping per la conserva-zione dell’incentivazione alla produzione di energia elettrica o la “conversione” verso un maggiore sfrut-tamento dell’energia termica.

La prima strada appare indubbiamente la più “na-turale” ma anche quella più rischiosa, visto che ci si espone alla variabilità del prezzo dell’energia e soprattutto del meccanismo di incentivazione, mentre la seconda appare preferibile – nonché come visto nel caso di A2A anche energeticamen-te più efficiente – ma richiede come necessario pre-requisito l’esistenza di una idonea rete di teleriscaldamento. Come si è visto nel CAPITO-LO 2.2, infatti, la costruzione ex novo di una rete di teleriscaldamento richiede investimenti molto elevati. In relazione alla quota di popolazione teleriscaldabile (che dipende dalla densità territoriale media dell’utenza), il costo spe-cifico delle reti subisce incrementi significativi passando dalle regioni del Nord che hanno una maggiore concentrazione abitativa a quelle centro-meridionali: 4,4 mln €/mln m3 nelle regio-ni del Nord5; 5,1 mln €/ mln m3 nelle regioni del Centro (+16%); 5,7 mln €/mln m3 nelle regioni del Sud (+32%). Un impianto da 200.000 tonnellate che volesse sfruttare appieno l’energia termica prodotta (480 GWth) dovrebbe avere a disposi-zione una rete da circa 10 mln m3 (corrisponden-ti a quasi 40.000 utenze domestiche allacciate) e quindi fare investimenti fra 44 mln € (qualora sia

ubicato al Nord) e 57 mln € (qualora sia ubicato al Sud). Appare evidente come questi costi siano estremamente significativi, e come vi sia quindi la necessità di coinvolgimento (anche per l’otteni-mento delle necessarie autorizzazioni) degli Enti Pubblici Locali.

L’impatto del Decreto 4.1.2 Rinnovabili sulle scelte degli operatori

Nel paragrafo precedente abbiamo visto le scelte de-gli operatori del settore costretti a fare i conti con la scadenza dell’incentivazione CIP6 nel corso dell’anno 2010, e l’emergere di due soluzioni fra di loro poten-zialmente alternative per farvi fronte.

L’approvazione del Decreto Rin-novabili del 3 Marzo 2011 ha però creato un deciso “squilibrio”. Le novità introdotte dal Decreto sono già state discusse precedentemente, ma vale la pena qui richiamarne tre che si applicano nello specifico al caso dei termovalorizzatori e sulle

quali abbiamo chiesto un parere agli operatori:

•la cancellazione del meccanismo dei Certifica-ti Verdi e la sua prevista sostituzione con quello delle “aste al ribasso” gestito dal GSE6;

•l’annunciodiun sistema di incentivi dedicato alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili7;

•ladefinizionediunsistema di supporto alla realiz-zazione di infrastrutture per il teleriscaldamento,

Prima del potenziamento del teleriscaldamento

Dopo il potenziamento del teleriscaldamento

Potenza termica 184,6 MWt 184,6 MWt

Potenza elettrica netta 38,3 MWe 26,2 MWe

Potenza termica per teleriscaldamento

68 MWt 136 MWt

Efficienza elettrica netta 21% 14,18%

Efficienza termica per teleriscaldamento

36,8% 73,9%

Efficienza netta complessiva 57,8% 88,08%

Tabella 4.2 Specifiche tecniche dell’impianto Silla 2 dopo l’intervento previsto nel 2011

“Senza teleriscaldamento l’inceneritore di Trento è inutile.”

Ingegnere di una società di progettazione e installazione di impianti

5 Costo al m3 riscaldato allacciato alla rete.6 Comma 4, Art.24 del DM 3 Marzo 2011.

4.1 La normativa

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cui è dedicato il Capo III del suddetto Decreto.

L’abolizione nel 2015 del meccanismo dei Cer-tificati Verdi nonché il taglio del 22% imposto ex lege al valore riconosciuto dal GSE per il loro ritiro8

se da un lato – e qualche operatore effettivamente lo ammette – va nella giusta direzione di eliminare le inefficienze di un mercato che non si è mai rivela-to effettivamente “liquido” e dove il ruolo del GSE come apportatore di risorse pubbliche è sempre sta-to fondamentale, dall’altro lato, rende estremamente incerta la possibilità di rientro dell’investimento per tutti quegli operatori che devono effettuare un re-vamping dei loro impianti. Se è certa l’abolizione del vecchio meccanismo – e con essa quella della quota di obbligo della produzione di energia da rinnovabili9

– è invece incerta l’applicazione del nuovo sistema delle aste al ribasso. L’incertezza – al di là dei principi generali di salva-guardia dei ritorni sugli investimenti e dello speci-fico riferimento all’articolo 24 comma 2 lettera (i)10

che è decisamente rivolto agli interventi di revam-ping – è legata sia all’ammontare dell’incentivo che alle procedure operative di qualificazione e parteci-pazione all’asta. La preoccupazione è meno sentita dai gestori degli im-pianti di più grandi dimensioni in quanto:

•lalorostrutturaorganizzativaègià“adatta”aproces-si burocratici complessi, come ad esempio quelli di interfaccia con gli Enti Pubblici Locali (tipicamente grandi città) con cui correntemente si relazionano;

•illoromaggiorepoterecontrattualepermetterebbepiù agevolmente di poter “recuperare” parte della redditività eventualmente perduta attraverso un in-cremento della tariffa di smaltimento a carico dei conferitori di rifiuti.

Gli operatori di più piccole dimensioni, invece, per i quali è meno facile agire sulla leva della contrat-tazione tariffaria e che sono spesso anche meno “strutturati” di fronte ad un meccanismo di quali-ficazione potenzialmente molto complesso, hanno manifestato la loro forte preoccupazione. Inoltre, essi temono – in assenza di una chiara definizione dei “contingenti di potenza” ovvero delle classi di-

mensionali in cui verranno suddivisi gli impianti – che buona parte della capacità incentivata vada ap-pannaggio dei grandi operatori. Se si considera che il sistema italiano, come già di-scusso nella precedente edizione del Biomass Energy Report11, è caratterizzato da impianti di taglia più piccola della media europea (meno di 100.000 ton-nellate contro le oltre 150.000 tonnellate degli altri Paesi) si può valutare la portata “destabilizzante” di questa modifica normativa soprattutto su quegli operatori che hanno nel revamping l’unica modalità “concreta” di ottenere degli incentivi. Il medesimo effetto “destabilizzante”, per certi versi ancora più significativo giacché si applica all’intero investimento e non solo ai costi di am-modernamento di un impianto esistente, si osser-va sui termovalorizzatori attualmente in costru-zione, come quello da 421.000 ton/anno di Gerbido nei dintorni di Torino i cui lavori sono già inizia-ti e che dovrebbe entrare in esercizio provvisorio nel 2013 e in completa operatività nel 2014. L’iter

progettuale e autorizzativo è infat-ti cominciato addirittura nel 2002, ovvero molto prima che venisse approvato il Decreto Rinnovabili, così come già completamente ap-paltati sono i lavori di costruzione. Non è quindi possibile modifica-

re – a meno di sostenere ulteriori costi e dilata-re ulteriormente i tempi di entrata in funzione – la scelta fatta originariamente di privilegiare la componente di produzione elettrica su quella ter-mica, anche se è evidente che la modifica al sistema di incentivazione abbia un peso più che rilevante: nel caso dell’impianto di Gerbido (Torino) il peso che nel business plan (in base al quale si era deciso di dare il via all’impianto) era stato assegnato ai Certificati Verdi era di circa 15 mln di € l’anno, il 18% del fatturato complessivo previsto di circa 84,5 mln di €. Di tutt’altro tenore è invece la rea-zione – soprattutto per quegli operatori che hanno scelto come risposta all’abbandono del CIP6 la stra-da del potenziamento dello sfruttamento dell’ener-gia termica – relativamente alle altre due novità del Decreto Rinnovabili sopra richiamate. Anche in questo caso l’ammontare dell’incentivazione è incerto, ma partendo da una situazione di assenza

“L’utilizzo dell’energia termica prodotta è il modo di valorizzazione

più efficiente in assoluto.”

Amministratore delegato di una società di progettazione e installazione di impianti

7 Comma 2, Art.24 del DM 3 Marzo 2011.8 A partire dal 2012, come stabilito dal DM 3 Marzo 2011, i Certificati Verdi saranno ritirati dal GSE a un valore pari a: pCV = 78% x (180 €-penergia 2011).9 Comma 3, Art 25 del DM 3 Marzo 2011, prevede una riduzione lineare della quota d’obbligo a partire dal 2013 fino al completo annullamento nel 2015.10 DM 3 Marzo 2011, Articolo 24 Comma 2: “[…] i) l’incentivo è altresì attribuito, per contingenti di potenza, alla produzione da impianti oggetto di interventi di rifaci-

mento totale o parziale, nel rispetto dei seguenti criteri: l’incentivo massimo riconoscibile non può essere superiore, per gli interventi di rifacimento parziale, al 25% e, per gli interventi di rifacimento totale, al 50% dell’incentivo spettante per le produzioni da impianti nuovi; nel caso degli impianti alimentati a biomassa, ivi compresi quelli alimentati con la frazione biodegradabile dei rifiuti, l’incentivo massimo riconoscibile non può essere superiore, per gli interventi di rifacimento parziale, all’80% e, per gli interventi di rifacimento totale, al 90% dell’incentivo spettante per le produzioni da impianti nuovi[ …] ”

11 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p.133.

4. I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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di qualsiasi forma di supporto, è certo destinato ad aumentare (quindi in maniera inverso rispetto alla norma citata in precedenza) la redditività dell’inve-stimento. Gli operatori guardano poi con interes-se alla disponibilità di fondi per circa 22,5 mln di € l’anno (con l’applicazione di un corrispettivo di 0,05 c€/Sm3 a carico dei clienti finali previsto nel Decreto Rinnovabili su un totale consumo italiano di oltre 45.000 mln di Sm3) destinati alla realizzazione di reti di teleriscal-damento. Tenendo conto che, in media, una rete di teleriscaldamento in Italia ha un costo medio di 5 mln €/mln m3 questo signifi-cherebbe poter servire circa 15.000 nuove uten-ze ogni anno, corrispondenti ad una cittadina di 45.000 abitanti. Se quindi, come visto nel para-grafo precedente, uno dei limiti allo sfruttamen-to dell’energia termica generata dagli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti è proprio l’assenza di una adeguata infrastruttura per il teleriscalda-mento, è abbastanza evidente come l’evoluzione della normativa conseguente al Decreto Rinnova-bili contribuisca a limitarne l’impatto, anche se gli operatori si aspettavano maggiore “coraggio” in tal senso da parte del legislatore. E’ abbastanza probabile, tuttavia, che l’iniezione di capitali a livello nazionale possa fare da “volano” anche per gli investi-menti degli Enti Pubblici Locali.

La maggior parte degli operato-ri, infine, ha sottolineato come l’eventuale “transizione” verso un modello in cui l’impiego termico dell’energia da rifiuti sia il prima-rio obiettivo degli impianti di re-cupero energetico è potenzialmente in grado di apportare ulteriori benefici. Le comunità locali, infatti, da sempre “preoccupate” (si veda anche la passata edizione del Biomass Energy Report12

dove si è affrontato il tema delle “compensazioni” garantite per la realizzazione degli impianti) della presenza dei termovalorizzatori sul loro territorio potrebbero mutare opinione, secondo gli inter-vistati, qualora vi sia per loro una ricaduta di-retta e “tangibile” quale quella garantita dalle reti di teleriscaldamento. Un ambiente più “favorevo-le” per esempio ha caratterizzato la realizzazione di grandi impianti come quelli di Milano, Brescia e Granarolo dell’Emilia (BO).

La gestione delle emissioni 4.1.3 di inquinanti

Il recupero energetico da rifiuti in Italia è regola-to dal Decreto Legislativo n.133 dell’11 Maggio 2005 di recepi-mento della Direttiva 2000/76/CE. Il Decreto regolamenta gli im-pianti di incenerimento e di coin-cenerimento dei rifiuti, stabilendo le misure e le procedure finalizzate a prevenire l’inquinamento atmo-

sferico, idrico, del suolo ed a proteggere la salute umana. A tal fine esso disciplina:

• le procedure per il rilascio delle autorizzazionialla costruzione e all’esercizio degli impianti di in-cenerimento e di coincenerimento;

• ivalorilimitedelleemissionidiinquinantiprove-nienti dai suddetti impianti;

• imetodidicampionamento,dianalisiedivaluta-zione delle emissioni;

• icriterielenormetecnichegeneraliriguardantilecaratteristiche costruttive e funzionali, nonché le condizioni di esercizio degli impianti;

•icriteritemporalidiadeguamentodegliimpiantiesistenti alle nuove disposizioni.

La TABELLA 4.3 riporta nel dettaglio tutti i limiti di legge delle emissio-ni stabiliti nel Decreto.Confrontando i limiti imposti per legge agli impianti di recupe-ro energetico da RSU con quelli a cui sono soggetti impianti che utilizzano le stesse tecnologie di combustione, ma in altri settori,

è possibile constatare come il settore del tratta-mento dei rifiuti sia quello più strettamente rego-lamentato (SI VEDA FIGURA 4.1). L’analisi effettuata sulle effettive emissione degli impianti italiani ha consentito inoltre di verificare come le tecnologie per l’abbattimento delle emissioni attualmente in uso sulla maggior parte degli impianti, grazie agli ingenti investimenti che le imprese sostengono in continuazione per l’ammodernamento di queste parti dell’impianto, permettono di ottenere livelli effettivi di emissioni notevolmente inferiori ai li-miti di legge (SI VEDA FIGURA 4.2).Gli operatori sono quindi piuttosto preoccupa-ti del fatto che, nonostante performance decisa-

12 Cfr. Biomass Energy Report 2009, pp. 143, 147-150.

“Gli investimenti effettuati per il miglioramento della linea di

trattamento fumi ci permettono di essere notevolmente sotto la soglia

di legge.”

Gestore di un impianto

“Per raggiungere valori di legge così stringenti abbiamo dovuto dotarci di un DeNOx ottenendo così emissioni estremamente ridotte, a differenza

di altri settori dove invece si “arrangiano” con filtri a maniche che sono però sufficienti per rispettare i

loro limiti di legge.”

Gestore di un impianto

4.1 La normativa

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Inquinante Limite su 24 ore [mg/Nm3]

Polveri 10

COT 10

HCl 10

HF 1

SO2 50

NOx 200

CO 50

Tabella 4.3 Limiti alle emissioni di componenti inquinanti

Figura 4.1 Limiti di legge per le emissioni in diversi settori

Figura 4.2 Limiti di legge ed emissioni effettive per termovalorizzatori

0

100

200

300

400

500

600

700

NO SO CO

RSU

Biomasse

Raffinazione

mg/

Nm

Generazione da carbone

3

2x

0

50

100

150

200

250

CO

Limiti di legge

Emissioni medieeffettive

SO2NOx

mg/

Nm

3

4. I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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mente migliori rispetto alle previsioni di legge e soprattutto in confronto di quelle di altri settori industriali, non si riesca a far percepire all’opinio-ne pubblica la “sicurezza” ambientale di questo tipo di impianti, che invece ancora scontano, come

ampiamente dibattuto nella precedente edizione del Biomass Energy Report13 e come dimostrato dal BOX 4.3, una forte diffidenza delle comunità locali quando sono chiamati a fare interventi (anche di ammodernamento) sui propri impianti.

13 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 128.

Box 4.3 Il dibattito sugli impianti di termovalorizzazione

Nella TABELLA 4.7 (più avanti in questo Rapporto) sono stati riportati alcuni dei progetti di nuovi impianti di ter-movalorizzazione attualmente in corso in Italia. Alcuni di questi sono ad uno stato di completamento più avanzato altri invece ancora embrionale, ma per tutti si sono già creati comitati cittadini per discutere, e nella maggior par-te dei casi per protestare contro la loro costruzione. Ad esempio l’impianto di Manfredonia ha recentemente ra-dunato per le strade cittadine numerosi abitanti uniti per dire di no al termovalorizzatore. La manifestazione citta-dina voleva esprimere la più totale contrarietà del paese, in questo caso Cerignola, all’entrata in funzione dell’im-pianto di termovalorizzazione situato in Contrada Paglia,

nei pressi di Manfredonia, ma vicino al territorio di Borgo Tressanti, la più popolosa e importante borgata agricola cerignolana. Simile situazione si è verificata a Trento dove la mobilitazione ha coinvolto anche esperti del settore e associazioni pronte a spiegare in convegni e riunioni le motivazioni del necessario ripensamento all’investimen-to nell’impianto. Come se non bastasse l’opposizione dei comitati locali e descritta dall’acronimo Nimby (not in my backyard, non nel mio cortile), oggi a fermare numerosi progetti sono anche le stesse Amministrazioni Pubbliche, tanto che si comincia a parlare di una nuova sindorme Nimto (not in my term of office, non durante il mio man-dato elettorale).

4.1 La normativa

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Nella passata edizione del Biomass Energy Report si era analizzato il differente ricorso dei Paesi euro-pei e dell’Italia in particolare al recupero energetico come forma di sfruttamento dei rifiuti e lo si era messo in relazione con la diversa “base installata” di impianti di termovalorizzazione. Appare eviden-te come, da un lato, la relativa rigidità del sistema di raccolta dei rifiuti (fortemente connesso alle “abitudini” al riciclo e alla raccolta differenziata dei cittadini) e, dall’altro lato, le tempistiche necessa-rie per la realizzazione di nuovi impianti, rendano assai improbabile misurare variazioni significative dei dati di mercato anno su anno. In questo capi-tolo quindi, oltre a fornire comunque un aggiorna-mento dei dati, ci si concentrerà su alcuni aspetti di dettaglio che caratterizzano il recupero energetico da rifiuti nei diversi Paesi europei e – per quanto riguarda l’Italia – si fornirà un quadro dei proget-ti attualmente in fase di sviluppo e della loro re-lazione con il fabbisogno “potenziale” di capacità di trattamento dei rifiuti ai fini della produzione di energia.

Il recupero energetico da 4.2.1 rifiuti in Europa

Il recupero energetico da rifiuti solidi urbani nell’ul-timo anno ha consentito di generare energia corri-spondente a poco meno di 8 mln di tep14, attraver-so la termovalorizzazione di quasi 69 mln di ton di rifiuti negli oltre 450 impianti sparsi sul territorio europeo. Si tratta di una crescita dell’energia pro-dotta – ad un tasso che si è rivelato pressoché co-stante negli ultimi cinque anni – di poco inferiore al 10% rispetto all’anno precedente. Tre sono le determinanti di questa crescita:

•laprimaepiùovviaèlacrescita del volume com-plessivo di rifiuti generati – quantificabile negli ultimi cinque anni con un valore medio annuo del 2% - che è strettamente connesso alle dinami-

che demografiche e all’andamento dei consumi da parte della popolazione;

•lasecondahaachevedereconl’incremento della quota parte di rifiuti rispetto al totale generato che è destinata al recupero energetico. La nor-mativa europea sui rifiuti15 stabilisce, infatti, un principio gerarchico fra le diverse forme di “smal-timento” ed in particolare ne incentiva il riciclo in primis e la valorizzazione energetica, lascian-do come ultima opzione il ricorso alla discarica. Per effetto dell’adeguamento delle normative dei diversi Paesi nel corso degli ultimi anni la percen-tuale di rifiuti “sottratta” alle discariche per esse-re avviati al recupero energetico è costantemente cresciuta. Nell’ultimo anno, in media, la quota dei rifiuti in discarica è diminuita del 4%;

•laterzadeterminante,epercertiversilapiù“na-scosta”, è l’incremento dell’efficienza di valoriz-zazione energetica negli impianti europei. In assenza, infatti, come citato in premessa, di un incremento significativo del numero di impian-ti di recupero energetico dei rifiuti, la crescita nell’energia prodotta va imputata agli inter-venti di revamping che hanno caratterizzato nel corso degli ultimi anni una parte dei 450 impianti europei.

Nel corso dell’ultimo anno – anche qui percor-rendo un trend già definito – si è ulteriormente assistito ad un incremento relativo negli impie-ghi finali della quota di energia termica rispetto a quella elettrica. Se è vero che la componente di produzione di elettricità è ancora di gran lun-ga preponderante – con oltre 15,5 TWh prodotti nell’ultimo anno (corrispondenti allo 0,5% del fab-bisogno elettrico europeo e, giusto come termine di paragone, pari alla metà del consumo di un Paese come l’Irlanda) – è altrettanto vero che la sua cre-scita percentuale rispetto all’anno precedente è meno della metà (2% contro il 5%) di quanto fat-to registrare dall’energia termica che ha superato quota 2 mln di tep.

4.2Il mercato

14 Tep = tonnellata equivalente di petrolio.15 Direttiva Europea 2008/98/CE, per approfondimenti si veda Biomass Energy Report 2009, p. 123.

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Come sempre sono i Paesi del nord Europa (Svezia e Danimarca in te-sta) a guidare la classifica degli im-pieghi termici dell’energia prodot-ta dal trattamento dei rifiuti, ma anche nel resto d’Europa questo tipo di impiego (che è dal punto di vista energetico più efficien-te16) sta crescendo di importanza.

Le TABELLE 4.4 e 4.5 di seguito riportano rispettiva-mente i dati relativi ai 5 principali Paesi per capacità di trattamento – fra i quali al terzo posto spicca co-munque l’Italia – e la top 10 per recupero energetico complessivo con l’indicazione della quota di produ-zione elettrica sul totale.Per quanto riguarda le posizioni di testa di entrambe le classifiche è opportuno sottolineare alcune signifi-

cative differenze nella situazione dei due Paesi. La Germania, con 71 impianti fra i più grandi d’Europa e l’assenza di un qualsiasi sistema di incentiva-zione alla produzione di energia da rifiuti, è sicuramente destinata anche nel prossimo futuro a rima-

nere il Paese leader in Europa. La sua “forza”, infat-ti, risiede nell’avere le tariffe di termovalorizzazione (in media 88 €/ton) in assoluto più ridotte come ri-sultato sia della già citata “scala” degli impianti sia, soprattutto, della disponibilità di vecchie miniere di salgemma (se ne contano parecchie decine nella sola regione della Bassa Sassonia) dove è possibile stoccare le cosiddette ceneri volanti, ossia tutto quel-lo che rimane nei filtri dopo la depurazione dei fumi degli inceneritori e che contiene alte concentrazio-

Paese Numero impiantiCapacità complessiva

[ton/g]Capacità media [ton/g]

Germania 71 60.180 847

Francia 132 48.856 370

Italia 53 20.674 390

Olanda 13 16.780 1.290

Danimarca 36 14.648 406

PaeseRecupero energetico da RSU pro capite

[tep/1000 ab]

Recupero energetico complessivo [ktep]

Produzione di sola energia elettrica [GWh]

Danimarca 98 542 1.019

Svezia 69,1 645 1.241

Olanda 46,7 774 1.573

Finlandia 29,5 157 291

Lussemburgo 25,6 12,8 24,3

Germania 25 2.045 4.766

Belgio 21,9 236 456

Austria 20,6 172 301

Francia 18,7 1.207 1.980

Italia 18 1.063 1.616

Totale EU - 6.854 13.267

16 SI VEDA BOX 4.2

Tabella 4.4 Impianti di recupero energetico in Europa

Tabella 4.5 Recupero energetico da rifiuti in Europa

“La Germania è il più grande importatore di rifiuti, tutti i Paesi ormai esportano parte dei propri

rifiuti lì.”

Gestore di un impianto

4. I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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ni di metalli pesanti, diossine, furani e idrocarburi policiclici. La possibilità di “chiudere” il ciclo dei rifiuti anche con lo smaltimento dei residui della loro termovalorizzazione è un differenziale im-portante che i tedeschi hanno sfruttato (trasferen-dolo nel costo a tonnellata dei rifiuti da avviare a re-cupero energetico) anche per divenire “importatori” di rifiuti17 e quindi ottenere ulteriori ritorni dallo sfruttamento dei loro impianti. Tutt’altra situazione è invece quella francese. La Francia è stato uno dei primi Paesi in Europa ad avere costruito impianti per la termovalorizza-zione, adottando a differenza della Germania un modello più “distribuito” che l’ha infatti portata ad avere oltre 130 impianti, alcuni dei quali di piccole dimensioni. Il risultato di questo pionierismo e del-la scelta di avere tagli più piccole è che attualmente l’efficienza di recupero energetico sia tra le più basse in Europa. Circa il 27% del tonnellaggio di rifiuti trattati in Francia è a basso rendimento (meno di 0,03 tep per tonnellata), mentre la media comples-siva di 0,064 tep per tonnellata è comunque dell’ 80% inferiore rispetto alla media europea (per non parlare dei 150 punti percentuali che la separano da quella olandese). La situazione diventa più critica mano a mano che gli impianti “invecchiano” e – se-condo molti degli operatori intervistati – presto co-stringerà la Francia ad avviare un piano su larga scala di modernizzazione degli impianti esistenti (molti dei quali hanno anche problemi di emissio-ni inquinanti) che evidentemente dovrà coinvol-gere anche le risorse pubbliche degli Enti Locali. Nel frattempo, sono stati avviati progetti per la co-struzione di 4 nuovi grandi impianti di valorizza-zione energetica dei rifiuti per 639.000 tonnellate complessive, evidentemente nel tentativo di non “perdere posizioni” nella classifica europea.

Sebbene sia distante dai leader nella produzione di energia da rifiuti è particolarmente interessante il caso del Regno Unito. E’ sempre opportuno ricor-dare, infatti, che il recupero energetico è la via “in-termedia” – almeno secondo quanto disposto dalle autorità europee – fra il riciclo (gerarchicamente da preferirsi) e l’avvio alla discarica.Il Regno Unito, dove ancora nel 2009 circa il 60% dei rifiuti era comunque avviato in discarica, è un Paese che deve rapidamente intervenire sulla sua politica di gestione dei rifiuti, e decidere del futuro delle oltre 4 mila discariche attive nel Pa-ese. Considerando poi la bassa propensione attua-le dei cittadini del Regno Unito al riciclaggio18, ci si attende un incremento significativo del ricorso al recupero energetico dei rifiuti, aumentando la sa-turazione degli impianti già esistenti e investendo nella realizzazione dei nuovi. Attualmente nel Re-gno Unito ci sono solo 21 centrali di termovalorizza-zione e otto sono in fase di costruzione. Il Governo inglese sta però valutando lo stanziamento di 10 mln di sterline per la costruzione di 80 nuovi impianti di termovalorizzazione.

Il recupero energetico da 4.2.2 rifiuti in Italia

Se, come appena visto, c’ è un certo “fermento” sul-la scena europea per quanto riguarda l’evoluzione della produzione di energia da rifiuti, il mercato italiano ha invece fatto segnare uno “stallo” nel corso del 2010. Nessun nuovo impianto è entrato in funzione (SI VEDA LA FIGURA 4.3) ed anche dal punto di vista della capacità produttiva si è avuto un incremento di soli 40 MWe (il 5%) per effet-to di interventi di ampliamento e revamping già programmati. Le tonnellate di rifiuti avviate al re-

17 Nel 2009, ultimo anno per cui si ha un dato consolidato, la Germania ha ricevuto dall’estero 773.000 tonnellate di rifiuti in più rispetto al 2008 (+11,3%), per un totale di circa 7,63 mln di ton, il livello più alto mai registrato. Per avere un’idea dell’enorme sviluppo di questo settore, basti pensare che dal 1995 al 2009 l’import tedesco di rifiuti dal resto del mondo è aumentato di circa il 2.615%, cioè da appena 281mila tonnellate fino al livello attuale.

18 Il sindaco di Londra, Boris Johnson, nel Maggio 2011 ha lanciato la campagna di sensibilizzazione, “Recycle for London” invitando i cittadini al riciclo. Infatti i 33 quartieri della città pagano attualmente il 25% in più rispetto alla media inglese per lo smaltimento dei rifiuti raccolti nei black bin, ovvero i cassonetti per l’indifferenziata, in cui l’80% di materiali che vi vengono gettati quotidianamente potrebbero essere riciclati.

Figura 4.3 Impianti di recpero energetico da RSU installati in Italia

0 0100200300400500600700800900

10

20

30

40

50

60

Numero Impianti

MWe

MW

e

Num

ero

Impi

anti

2005 2006 2007 2008 2009 2010

4.2 Il mercato

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cupero energetico sono state nel corso dell’ultimo anno pari a oltre 4,6 mln di tonnellate.Già nella passata edizione del Biomass Energy Re-port19 si era fatto riferimento alle profonde differen-ze geografiche che sono sottese alla valorizzazione energetica dei rifiuti in Italia, dove solo la Lom-bardia – che ospita il 45% di tutta la capacità di generazione elettrica da questa fonte ed ha oltre il 20% dei termovalorizzatori che dispongono di una capacità di trattamento superiore a 200.000 ton/anno – può essere paragonata ai mercati più “maturi”, quali ad esempio quello tedesco.La FIGURA 4.4 riporta nel dettaglio la distribuzione per numero e potenza dei 53 impianti nelle diverse Regioni italiane.

Oltre alla già citata leadership della Lombardia, è interessante mettere a confronto due diverse ti-pologie di modelli di realizzazione degli impian-ti di recupero energetico da rifiuti che emergono dall’analisi della FIGURA 4.4:

•il modello “distribuito” ben rappresentato dal caso dell’Emilia Romagna ed ancor più della Toscana dove si privilegia la presenza territo-riale degli impianti (seguendo la suddivisione del territorio in ATO20) a discapito della loro “taglia”. In Emilia Romagna gli 8 impianti han-no in media una capacità di trattamento di poco

superiore alle 100.000 ton/anno, valore che scen-de a meno di 50.000 ton/anno nel caso degli 8 impianti toscani. Sono valori ben lontani dalla media europea di oltre 150.000 ton/anno, e so-pratutto dalla soglia di “efficienza” tecnologica che solitamente viene posta nell’intorno delle 200.000 ton/anno di rifiuti da termovalorizzare;

•il modello “accentrato”, ben rappresentato dal Friuli Venezia Giulia ma anche dalla Sardegna, ove si privilegia la realizzazione di un unico impianto in grado di soddisfare il fabbisogno di un ampio bacino di utenti. In questo caso la maggiore efficienza tecnologica deve “fare i conti” con i maggiori costi logistici del repe-rimento degli input e soprattutto con quelli “politici” di coordinamento fra i diversi ATO. Il primo modello sembra replicare quello adot-tato in Francia, mentre il secondo ha una chiara matrice tedesca. Si è già discusso sulla maggiore opportunità offerta da quest’ultimo, ma va co-munque sempre ribadito come sia indispensa-bile – a detta di tutti gli operatori – superare le distinzioni geografiche “rigide” degli ATO e far prevalere gli aspetti progettuali e tecno-logici su quelli più squisitamente territoriali e “politici”, che pur tuttavia hanno grande parte nel nostro Paese.

Se è vero che nel corso del 2010 non si è assistito

Figura 4.4 La capacità di trattamento di RSU media e il numero di impianti nelle diverse Regioni italiane

19 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 136.20 ATO – Ambito Territoriale ottimale – ovvero aree omogenee dal punto di vista territorial dove organizzare servizi pubblici integrati di gestione dei rifiuti. Per mag-

giori informazioni si veda Biomass Energy Report 2009, p. 125.

0

2

46

8

10

12

14 2.500.000

2.000.000

1.500.000

1.000.000

500.000

0

Ton/anno

Piem

onte

Vene

toLa

zio

Cam

pania

Sicilia

Tosc

ana

Puglia

Mar

che

Ligu

ria

Calabr

ia

Um

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Sard

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Molise

Valle

d’A

osta

Basilic

ata

Impianti attuali Capacità attuali

Num

ero

Impi

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Lom

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ilia R

omag

na

Friuli Ve

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Tren

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Alto

Adige

4. I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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a nulla di nuovo sul fronte della messa in fun-zione di nuovi impianti, è altrettanto vero che il quadro – fatte salve le considerazioni del CAPITO-LO 4.1 – sembra essere destinato a cambiare nel prossimo futuro. La TABELLA 4.6 riporta infatti i principali investimenti in corso o in progetto per la realizzazione di impianti per il recupero energe-tico da rifiuti in Italia.

I BOX dal 4.4 al 4.7 riportano le informazioni più ri-levanti circa i progetti in stadio più avanzato.E’ interessante in chiusura fare alcune considera-

zioni su quello che sembra essere lo scenario atteso del recupero energetico da rifiuti in Italia nei pros-simi anni. Ipotizzando che gli impianti in fase più avanzata (quelli di cui si conosce già il dimensiona-mento) entrino tutti in funzione, la capacità com-plessivamente messa a disposizione è di 1.673.000 tonnellate, con un balzo di oltre il 35% rispetto alla capacità attualmente disponibile. Si tratta poi, con l’unica eccezione di Trento (giustificata però da ragioni geografiche), di nuovi impianti con una “ta-glia” decisamente significativa e più in linea con gli standard di efficienza tecnologica europei. Consi-

Impianto Stato Capacità [ton/anno]

Torino In costruzione 421.000

Trento Definizione 2° gara 103.000

Salerno Analisi delle candidature dopo 2° gara 450.000

Napoli Est Gara per appalto in corso 450.000

Verona Realizzazione nuova linea 190.000

Milano Progetti per nuovo impianto n.d.

Manfredonia Progetti per nuovo impianto n.d.

Modugno in Puglia Progetti per nuovo impianto n.d.

Ugozzolo in provincia di Parma Progetti per nuovo impianto n.d.

San Vittore a Roma Progetti per nuova linea n.d.

Tabella 4.6 Nuovi impianti di recupero energetico da RSU a progetto in Italia

L’impianto che sorgerà nel territorio di Gerbido nei pressi di Torino dovrà smaltire per l’intera Provincia il rifiuto che residua dopo la raccolta differenziata e che è previsto in circa 420.000 tonnellate l’anno. In output sono previsti 350.000 MWh/anno di produzione elettrica (corrispon-denti al fabbisogno di circa 175.000 famiglie, ovvero circa il 20% della popolazione della Provincia), oltre ad una produzione di energia termica per teleriscaldamento cor-rispondente a 17.000 abitazioni di 100 m2 ciascuna. L’in-vestimento complessivo previsto è di 503 mln di € (di cui 413 di debito, negoziato presso un sindacato guidato da BNP Paribas ma che ha al suo interno anche Unicredit e Banca Popolare di Vicenza), cui vanno sommati 36 mln

di € annui per la gestione, mentre a regime l’impianto do-vrebbe consentire di generare ricavi per quasi 85 mln di € annui. Il collaudo finale dell’impianto è previsto nel 2013, con l’entrata a regime dall’anno successivo; anno in cui la titolarità dell’impianto verrà definitivamente trasferi-ta alla TRM (Trattamento Rifiuti Metropolitani) ovvero alla società a capitale totalmente pubblico (i Soci di TRM sono tutti Enti Pubblici, con il comune di Torino che pos-siede una quota del 95%) che ha ricevuto l’affidamento in house per progettare, costruire e gestire il primo termo-valorizzatore dei rifiuti urbani e assimilati della provincia di Torino per lo smaltimento finale dei rifiuti urbani resi-dui da raccolta differenziata.

Box 4.4 Il termovalorizzatore di Torino

4.2 Il mercato

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Box 4.5 Il termovalorizzatore di Trento

Box 4.6 Il termovalorizzatore di Napoli Est

L’impianto dovrà trattare 103.000 tonnellate di rifiuti all’anno per una produzione di energia elettrica di oltre 90.000 MWh. L’investimento si è reso ormai necessario poiché al 2015 saranno esaurite tutte le discariche pro-vinciali e – nell’impossibilità di realizzarne di nuove21 – si è fatta strada l’ipotesi di realizzare un termovalorizzatore a Trento. La collocazione ha due vantaggi: è baricentrica rispetto alla produzione dei rifiuti, e quindi è il luogo che minimizza gli oneri di raccolta e trasporto, ed è l’unica città nella Provincia in grado potenzialmente di utilizzare il calore recuperabile dal termovalorizzatore.Il primo bando di gara per la realizzazione del’impianto si è chiuso nel dicembre 2010 e, nonostante l’interesse di una decina di imprese, non sono state presentate doman-de formali per l’aggiudicazione dell’appalto. Un dato cu-rioso è che due di queste imprese sono spagnole, ed una

di queste – la Urbaser, che fa parte del gruppo ACS – è già conosciuta in Italia, avendo vinto nel 2010 l’appalto per la ristrutturazione del termovalorizzatore di Ca’ del Bue, a Verona.Al fine di rendere più “appetibile” l’appalto in un rilancio che è attualmente allo studio, il Comune ha ipotizzato la realizzazione a proprie spese di una rete di teleriscalda-mento di 50 chilometri che potrebbe servire un quarto degli abitanti della città e in cui far convogliare il calore di recupero generato dall’impianto. Inoltre, a seguito della recente approvazione del Decreto Rinnovabili, Provincia e Comue hanno allo studio un meccanismo per farsi ca-rico almeno nei primi anni di vita dell’impianto di “com-pensare” la perdita dei Certificati Verdi in modo da man-tenere inalterati i rendimenti del business plan sulla base del quale è stato sviluppato inizialmente l’appalto.

Il 15 Aprile del 2011 è stato pubblicato – con scadenza per la presentazione delle offerte a 90 giorni – il bando di gara per la progettazione, costruzione e gestione per 24 anni del termovalorizzatore di Napoli. La procedura, attesa da circa due anni, e con un importo a base d’asta di 349 mln di € è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del 20 Aprile 2011.

L’impianto dovrò essere capace di trattare a regime 450 mila tonnellate l’anno (corrispondenti quindi al 28% dei

rifiuti prodotti in città) e funzionerà su tre linee con un sistema di trattamento delle scorie in grado di realizza-re il recupero di metalli ferrosi e non. Poiché l’impianto rientra in quelli previsti per risolvere l’ “emergenza Cam-pania” potrà accedere ancora per 8 anni all’incentivazio-ne CIP6, oltre a 93 €/ton per il conferimento dei rifiuti da parte degli operatori di raccolta provinciali. I recenti risultati elettorali con l’elezione del nuovo sindaco di Na-poli potrebbero rallentarne la costruzione, vista la dichia-rata avversione verso il termovalorizzatore a Napoli Est.

21 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 123.22 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 144.

derando i tempi medi di realizzazione di questo tipo di impianti è ragionevole attendersi che questa con buona approssimazione sia la nuova capacità di re-cupero energetico dei rifiuti che l’Italia è in grado di esprimere da qui al 2015.

Nella scorsa edizione del Biomass Energy Report22 si era calcolato il fabbisogno di capacità di tratta-mento che al 2020 avrebbe consentito all’Italia di al-linearsi alla media europea: 11,5 mln di ton. Come si vede anche dalla FIGURA 4.5 che riprende la situazione

delle diverse Regioni italiane, “a metà del guado” sia-mo ad appena il 15% dell’obiettivo. Se quindi è ne-cessario sottolineare la “ripartenza” delle realizzazioni di nuovi impianti, dall’altro lato è palese come i tassi di crescita non siano sufficienti per garantirci un ade-guato collocamento in Europa. Lo scetticismo degli operatori in questo caso si accompagna alle attese con riferimento all’impatto del Decreto Rinnovabili che, come visto nel PARAGRAFO 4.1.2, potrebbe contribu-ire a cambiare questo scenario, anche se forse ormai troppo tardi rispetto agli obiettivi del 2020.

4. I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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Box 4.7 Il termovalorizzatore di Salerno

Nel Marzo 2008 è uscito il primo bando per la realizzazio-ne di un termovalorizzatore dalla capacità di trattamento di 450.000 tonnellate a servizio della città di Salerno, l’im-presa vincitrice avrebbe realizzato e gestito l’impianto, rien-trando dall’investimento tramite le tariffe di smaltimento della spazzatura e con l’incentivo CIP6 sulla corrente elet-trica prodotta. L’impresa inoltre avrebbe pagato una royalty al Comune per ogni tonnellata di immondizia trasformata in energia.Alla gara si presentarono 4 imprese: la bolognese Hera, la lombarda A2A, la francese Veolia con tecnologia Termo-meccanica e infine il raggruppamento formato dalla tori-nese-avellinese De Vizia Transfer con la società francese di ingegneria Cnim. L’impresa selezionata è stata l’aggregazio-ne De Vizia Transfer - Cnim. L’offerta ha superato la fase amministrativa e tecnica, tuttavia il Decreto Legge 90/2008 ha tolto la competenza dei rifiuti campani ai Comuni ed il sindaco ha quindi annunciato che avrebbe mandato deser-ta la gara.

A fine 2010 è stato presentato il nuovo bando provinciale e nel Febbraio 2011 si è chiusa la nuova gara per la rea-lizzazione dell’impianto; il bando prevedeva l’affidamento in concessione della progettazione, realizzazione e gestione dell’impianto di termodistruzione dei rifiuti solidi urbani (RSU e RSA) con potenzialità non inferiori ai quantitativi di rifiuti prodotti nella provincia di Salerno (450.000-500.000 ton/anno), con recupero di energia. Il valore dell’investi-mento è di oltre 400 mln. € e il tempo di esecuzione do-vrà essere di 36 mesi. A questa gara sono state presentate 2 domande: quella di Daneco impianti (in Ati con Acmar e Rcmr costruzioni) e quella di De Vizia Transfer (in asso-ciazione con Lombardi). La Giunta comunale di Salerno ha quindi proceduto a deliberare un atto di indirizzo per la nomina della Commissione di gara che aggiudicherà la concessione per la realizzazione dell’impianto e se questa commissione dovesse dichiarare la gara infruttuosa, po-trebbe venir nominato un commissario straordinario per la realizzazione dell’impianto.

Figura 4.5 Nuovi impianti necessari in Italia per allinearsi alla media europea

0

2.500.000

2.000.000

1.500.000

1.000.00

500.00

Capacità necessaria Capacità “progetto” Capacità attuale

Piem

onte

Vene

toLa

zio

Cam

pania

Sicilia

Tosc

ana

Puglia

Mar

che

Ligu

ria

Calabr

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Um

bria

Sard

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Abru

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Molise

Valle

d’A

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Basilic

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ilia R

omag

na

Friuli Ve

nezia

Giulia

Tren

tino

Alto

Adige

Ton

/an

no

3.000.000

4.2 Il mercato

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Nella passata edizione del Biomass Energy Report23 si era dato ampio spazio all’analisi della filiera del recupero energetico dei rifiuti ed in particolare, da un lato, ricostruendo le diverse cordate di attori in-dustriali che erano alle spalle della realizzazione dei principali impianti attivi in Italia e, dall’altro lato, con un focus sulle attività di progettazione e realiz-zazione della componentistica. Lo “stallo” del mer-cato che si è discusso nel capitolo precedente si è riflesso anche nella filiera ove non si sono registrate variazioni di rilievo. Si è optato quindi per riporta-re qui un confronto con i principali operatori del settore in Europa per misurarne la “distanza” con la realtà italiana.

Il confronto con i principali 4.3.1 operatori europei

Il mercato italiano – che complessivamente può contare sulla valorizzazione energetica di 4,6 mln

di ton di rifiuti l’anno per un corrispettivo di circa 460 mln di €, cui vanno aggiunti 300 mln di € derivanti dalla “vendita” (comprensiva di incen-tivi) di energia elettrica e 50 mln di € dall’energia termica – è caratterizzato da una forte parcelliz-zazione della proprietà degli impianti.

La TABELLA 4.7 riporta infatti la struttura proprie-taria dei primi dieci impianti in Italia per dimen-sione da cui si evince il ruolo preponderante (già discusso nella passata edizione del Biomass Energy Report24) delle utility locali (le ex municipalizzate) e la scarsa presenza di operatori specializzati che abbiano come business la gestione di impianti di questo tipo.

La “peculiarità” del mercato italiano appare evi-dente se invece si osserva, in TABELLA 4.8, la “fi-liera” europea della valorizzazione energetica dei rifiuti e si mettono in evidenza i principali “gesto-ri” di impianti.

4.3La filiera

LocalitàCapacità di

TrattamentoProprietario Note

Brescia 810.000 ASM Gruppo A2A

Acerra 609.000 Partenope Ambiente Gruppo A2A

Milano 500.000 AMSA Gruppo A2A

Parona 380.000 Foster Wheeler Italiana -

Modena 240.000 Hera Ambiente Gruppo Hera

Trieste 223.000 AcegasAps -

Granarolo nell’Emilia 218.000 Frullo Energia Ambiente Gruppo Hera

Trezzo sull’Adda 195.000 Actelios Gruppo Falck

Capoterra 172.000Consorzio Industriale

Provinciale di Cagliari

Soci sono il Comune e la Provincia di

Cagliari, il Comune di Capoterra e altri

Comuni

Dalmine 151.000 REA Dalmine -

23 Cfr. Biomass Energy Report 2009 p.147.24 Cfr. Biomass Energy Report 2009 p.147.

Tabella 4.7 Primi 10 impianti in Italia per dimensione

4.3 La filiera4.3 La filiera

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Impresa NazionalitàNumero di impianti

Tonnelate di RSU trattate 2009

Energia elettrica

TWh

Energia termica

TWhFatturato 2009

Veolia

Environmental

Services

Francia 92 63.170.000* 4,6 2,3 9.020.000.000

Tiru Francia 22 4.000.000 0,4 3,1 233.000.000

Remondis Germania 10 3.800.000 n.d. n.d. 5.400.000.000

E.ON Energy

From WasteGermania 18 4.064.000 1,5 2,2 539.000.000

Urbaser Spagna 9 2.226.000 1.6 n.d. 2.584.000.000

Tabella 4.8 Imprese europee coinvolte nella gestione dei rifiuti

Leader indiscusso è la francese Veolia Enviromen-tal Services, business unit del gruppo Veolia, che ha all’attivo la gestione di 92 impianti di termovalo-rizzazione sparsi in tutti e 5 i continenti (questa bu-siness unit realizza il 38% dei suoi ricavi in Francia, il 39% nel resto d’Europa, il 14% in Nord America, il 7% in Asia e nel Pacifico e il restante 2% in Afri-ca, sud America e Medio Oriente) e che lo scorso anno ha complessivamente valorizzato energeti-camente oltre 12,5 mln di ton di rifiuti (quasi tre volte l’intero mercato italiano). L’impresa ha la sua “roccaforte” in Francia, dove controlla da sola oltre il 70% della quantità di rifiuti annualmente avvia-ta al recupero energetico ed è titolare di 49 dei 130 impianti attualmente in funzione sul territorio fran-cese. Se quindi si è fatto prima correttamente riferi-mento al modello “distribuito” di sviluppo in Fran-cia della termovalorizzazione è qui opportuno far notare come l’accentramento si sia un questo caso realizzato attraverso la struttura proprietaria degli impianti. E’ dunque Veolia a doversi far carico dei costi di ammodernamento cui si è fatto riferimento nel PARAGRAFO 4.2.1, che sono indispensabili per mantenere attiva una produzione di energia elettri-ca che complessivamente ha totalizzato nell’ultimo anno oltre 4,6 TWh elettrici.Il primo degli inseguitori – anche se con un no-tevole distacco – è la tedesca E.ON, anch’essa una impresa energetica “a tutto tondo”, che ha supe-rato nell’ultimo anno i 4 mln di tonnellate di rifiuti complessivamente avviati al recupero energetico nei suoi 18 impianti europei. Nel corso del 2010 l’impresa ha continuato ad investire nel settore, po-tenziando l’impianto di Hameln in Germania con una nuova linea da 140.000 tonnellate e portando a

compimento, dopo due anni di lavoro, un impianto a Delfzijl in Olanda da 275.000 tonnellate.Ancora francese, ma più “focalizzata” sulla pro-duzione di energia da rifiuti, è la terza in classifica, ovvero la Tiru (controllata però al 51% dal 1946 da EDF) – che nasce nel 1922 per gestire la raccolta dei rifiuti di Parigi e che ora conta 22 impianti di incenerimento (di cui 16 sul territorio francese) e 4 mln. di tonnellate di rifiuti avviati al recupero ener-getico Chiudono la classifica la tedesca Remondis, con sede a Lünen in Germania e che controlla 15 impianti con una capacità di oltre 3,5 mln di tonnel-late l’anno, e la spagnola Urbaser, del gruppo ACS (molto più simile alle prime per essere un gruppo energetico diversificato) e che conta 9 impianti di valorizzazione energetica per il trattamento dei ri-fiuti. Urbaser durante il 2010 ha avviato un nuovo impianto per il recupero energetico da rifiuti a Mar-siglia (Francia) della capacità di 450.000 tonn/anno e ha anche installato 2 nuove linee presso l’impianto di Maiorca (Spagna) che ora tratta complessivamen-te 450.000 ton/anno.

Il modello che emerge è particolarmente interes-sante, soprattutto se se ne evidenziano le differen-ze con la realtà italiana:

•sono i grandi gruppi dell’energia (Veolia, E.ON, EDF, ….) a fare propria l’attività di valorizzazio-ne energetica dei rifiuti che viene organicamen-te inserita nel loro business sfruttando quindi tutte le potenzialità di sinergia (di progettazio-ne e di gestione) dei grandi impianti “di potenza”. Nessuna delle grandi imprese italiane, invece, si è dedicata sino ad ora realmente a questo busi-

*valore complessivo, riferito non solo ai rifiuti trattati negli impianti di termovalorizzazione

4. I RIFIUTI SOLIDI URBANI

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ness, che viene nella maggior parte dei casi solo “osservato” con attenzione;

•è la scala – non solo dei singoli impianti, ma anche e soprattutto delle attività di progetta-zione, gestione e sviluppo delle tecnologie – la vera “chiave di volta” su cui si basa la redditività dei principali operatori della “filiera” europea, mentre è più limitato e prettamente locale l’ambi-to di riferimento delle imprese italiane;

•è ancora una volta la “terna” Francia, Germa-nia e Spagna a giocare un ruolo rilevante in questo particolare (come in altri) comparto delle

rinnovabili, segno soprattutto per le ultime due dell’elenco di una volontà chiara di orientarsi ver-so le “nuove” fonti di energia.

Appare chiaro – ed anche buona parte degli opera-tori intervistati ne è conscio – che fino a quando rimarrà predominante il ruolo “politico” delle utility locali e quindi non si avrà il coraggio di operare secondo una vera logica di business, la filiera italiana del recupero energetico da rifiuti sarà costretta a giocare la propria partita in un mercato comunque “piccolo”.

4.3 La filiera

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GLI OLI VEGETALI

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5.1La normativa

La normativa italiana definisce per la prima volta, nel Decreto Legislativo 128/2005 (che recepisce la Direttiva Comunitaria 2003/30/CE), l’olio vegetale come “olio prodotto da piante oleaginose prodot-to mediante pressione, estrazione o processi ana-loghi, greggio o raffinato ma chimicamente non modificato, qualora compatibile con il tipo di mo-tore usato e con i corrispettivi requisiti in materia di emissioni”. La produzione di energia elettrica in impianti alimentati da olio vegetale è incenti-vata in Italia, come stabilito dalla Legge 99/2009, attraverso i medesimi meccanismi in vigore per le altre forme di biomasse. Questo si rende neces-sario in quanto, nonostante le tecnologie in gioco siano particolarmente mature (SI VEDA CAPITOLO 1.4), il Levelized Energy Cost (LEC) di questi im-pianti si aggira intorno a 15-25 c€/kWh (a seconda del prezzo di acquisto dell’olio), il che renderebbe sconveniente investire nella loro realizzazione in assenza di un adeguato sistema di incentivazione. In particolare:

• pergliimpiantiditagliainferio-re ad 1 MWe è prevista una ta-riffa omnicomprensiva di 0,18 €/kWh, in caso di olio impor-tato da Paesi extra-europei, e di 0,28 €/kWh nel caso di generazione elettrica da oli tracciati provenienti da filiera europea. Attualmente, inoltre, per effetto dei numerosi cambiamenti che la tariffa omnicomprensiva per questo tipo di biomasse ha subito negli ultimi anni, sono in funzione in Italia alcuni impian-ti, non più di una decina, che essendo entrati in esercizio tra il 1 Gennaio 2008 e il 1 Agosto 2009 hanno diritto ad un incentivo pari a 0,22 €/kWh per qualsiasi olio utilizzino, come stabilito dalla Legge 129/2009;

•gli impianti di taglia superiore ad 1 MWe han-no invece accesso al meccanismo dei Certifica-ti Verdi, con un coefficiente moltiplicativo pari

a 1,3 per gli oli extra-europei e di 1,8 nel caso di olio proveniente da filiera corta (SI VEDA CAPI-TOLO 2.1).

Questo sistema di incentivazione si è dimostrato inizialmente molto efficace per lo sviluppo del mercato italiano della produzione di energia da olio vegetale. I primi impianti di questo tipo sono stati realizzati nel 2007, proprio a seguito dell’intro-duzione di questi incentivi. Inoltre, mentre i primi impianti erano solo di piccole dimensioni (in media inferiori ai 5 MWe), negli anni successivi si sono su-bito diffusi (SI VEDA TABELLA 5.1) anche impianti di grande taglia, a dimostrazione di come sia lo stru-mento della Tariffa Omnicomprensiva che quello dei Certificati Verdi hanno garantito per questi im-pianti ritorni più che soddisfacenti (SI VEDA PARA-GRAFO 5.2.2.2). E’ interessante notare come questo trend crescente nelle installazioni si è manifestato

nonostante l’andamento piuttosto altalenante del prezzo degli oli, che ha raggiunto un picco storico nel 2008 e che, almeno inizialmente, non ha scoraggiato gli imprendito-ri dal realizzare questo tipo di im-pianti.

Agli incentivi di tipo diretto cui si è fatto cenno in precedenza si aggiunge una forma “indiretta” di incentivo, che è pensata per favorire lo sviluppo delle filiere agro energetiche locali. Si tratta nello specifico, come stabilito dalla Legge 266/05 (ossia la Legge Finanziaria 2006), della possibilità di ac-cedere ad un regime fiscale agevolato nel caso in cui i produttori di semi oleosi ed oli si dotino di un impianto per la produzione di energia elettri-ca. In questo caso, la produzione di energia elettri-ca e termica costituisce attività agricola connessa al reddito agrario, con un beneficio stimabile anche in 3-4 punti percentuali di miglioramento dell’IRR del progetto, in funzione della tassazione cui alter-nativamente si sarebbe soggetti. Questo strumento,

“Per i piccoli impianti l’incentivo italiano è superiore a quello

tedesco!”

Amministratore Delegato di una società di progettazione e installazione di impianti ad

olio vegetale

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particolarmente utilizzato per gli impianti di picco-la taglia, insieme all’altrettanto generosa tariffa om-nicomprensiva, ha favorito, come si vedrà successi-vamente nel CAPITOLO 3.1, lo sviluppo e la crescita di questi impianti. Il BOX 5.1 fornisce un cenno sul sistema incentivante in vigore in Germania.

Recentemente, come già discusso più volte in que-sto rapporto di ricerca, è stato approvato in Italia il Decreto Rinnovabili. Esso conferma di fatto gli strumenti di incentivazione attualmente in vigore per la produzione di energia elettrica da olio ve-getale, prorogando la validità della tariffa omni-comprensiva per i piccoli impianti fino al 2012 e stabilendo, come per le altre biomasse, il passaggio ad un futuro strumento incenti-vante in sostituzione dei Certificati Verdi per i grandi impianti. Il De-creto introduce inoltre la possibi-lità di incentivare l’energia termica prodotta da olio vegetale nel pros-simo futuro, il che verosimilmente

favorirà il funzionamento in cogenerazione di que-sti impianti. Lo stesso Decreto Rinnovabili, come si discuterà nel paragrafo successivo, introduce infine per la prima volta in Italia il concetto di “sosteni-bilità” degli oli vegetali, in accordo con la Direttiva Europea 2009/30/CE.

I sistemi di qualifica degli 5.1.1 oli vegetali

Un elemento di carattere normativo molto impor-tante in questo particolare comparto delle biomasse riguarda il tema della qualifica degli oli vegetali. Innanzitutto bisogna sottolineare come esistano

dei requisiti di tracciabilità per la certificazione degli oli cui bisogna ottemperare per poter accedere alla tariffa omnicomprensiva di 0,28 €/kWh nel caso di impianti di taglia inferiore ad 1 MWe che utilizzano materie prime di ori-

Box 5.1 Il sistema di incentivazione degli oli vegetali in Germania

La produzione di energia elettrica in impianti da olio vegeta-le in Europa è particolarmente diffusa in Germania (SI VEDA

PARAGRAFO 5.2.1). La sostenuta crescita delle installazioni che si è registra tra il 2005 e il 2007 (quando sono stati in-stallati oltre 300 MWe) è stata stimolata dai provvedimenti contenuti nella Legge EEG (“Erneuerbare Energie Gesetz”, ossia legge per le fonti rinnovabili) del 2000, che è stata ri-vista nel 2009. Nel caso delle biomasse, e nello specifico degli oli vegetali, la legge ha introdotto un sistema tariffario differenziato a seconda della taglia d’impianto, impiego di tecnologie innovative, qualità ambientale dell’intervento e sostenibilità delle materie prime usate per alimentare gli im-pianti. La normativa attuale si fonda sul sistema della tariffa feed-in, in base a cui viene riconosciuto un incentivo co-stante comprensivo del prezzo dell’energia elettrica di durata ventennale al titolare dell’impianto. Le tariffe attualmente in vigore, per la produzione di energia da biomasse e quindi da oli vegetali, ammontano a:• 0,1167€/kWhperimpiantidipotenzainferioreai150kW;• 0,0918€/kWhperpotenzecompresetra150e500kW;• 0,0825€/kWhperpotenzecompresetra500kWe5MW;• 0,0779€/kWhperpotenzecompresetra5e20MW.

Sono previste integrazioni a queste tariffe omnicompren-sive, fino ad un massimo di 0,03 €/kWh, nel caso di uti-lizzo di tecnologie innovative ed in caso di ricorso alla cogenerazione, che diviene un requisito necessario per potere accedere agli incentivi nel caso di impianti di taglia superiore a 5 MWe. Inoltre per poter accedere agli incen-tivi le società devono anche attenersi a criteri sempre più stringenti in materia di sostenibilità, fornendo garanzie in merito alla provenienza della biomassa, la protezione dei terreni agricoli ed il risparmio potenziale di CO2 che si ottiene grazie all’installazione dell’impianto. Se si effettua un confronto con il sistema italiano, si nota che per gli impianti di piccola taglia, inferiore ad 1 MWe, la tariffa omnicomprensiva in vigore nel nostro Paese è decisa-mente più conveniente delle tariffe feed-in tedesche, fino al 70% in più, anche considerando gli eventuali bonus aggiuntivi previsti dalla normativa tedesca. Se si consi-derano invece gli impianti di grande taglia, i livelli di in-centivazione assicurati dai Certificati Verdi si avvicinano molto a quanto accade in Germania, anche se la maggiore stabilità del sistema tedesco rappresenta un incentivo de-cisamente superiore per l’investitore.

“La tariffa omnicomprensiva in vigore in Italia è un incentivo veramente

importante e permette investimenti molto convenienti in questo settore.”

Amministratore Delegato di una società di progettazione e installazione di impianti ad

olio vegetale

5. GLI OLI VEGETALI

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gine comunitaria. In particolare, la Legge 99/2009 stabilisce che, per accedere a questo incentivo, gli operatori della filiera devono garantire la completa tracciabilità dell’intero ciclo produttivo delle mate-rie agricole utilizzate. Per verificare la tracciabilità è stato sviluppato, su indicazione e supervisione dell’Agenzia per le Ero-gazioni in Agricoltura (AGEA), un sistema infor-mativo chiamato SIAN (Sistema Informativo Agri-colo Nazionale), presso il quale è necessario che le imprese impegnate lungo la filiera degli oli si registrino per certificare e tracciare tutti gli scambi di oli che avvengono sul mercato. Le imprese che saranno chiamate a registrarsi su questo sistema e che dovranno inserire le informazioni relative ad ogni scambio di materia prima sono:

• l’impresaagricolacheproducesemioleosi;• ilcollettore,ossiaqualsiasisoggettochecommer-

cializza direttamente o per conto terzi semi oleosi e/o oli vegetali;

• iltrasformatore,ossiailsoggettochetrasformaisemi oleosi in oli vegetali;

• l’operatoreelettrico,ossiailsoggettoconqualificaIAFR (Impianto Alimentato a Fonti Rinnovabili) attribuita dal GSE che utilizza oli vegetali per pro-durre energia elettrica.

Al sistema informativo ha accesso anche il MIPA-AF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) e il GSE che, una volta verificata la prove-nienza della materia prima utilizzata da un operato-re elettrico che ha fatto richiesta di incentivazione, provvede ad erogare la tariffa omnicomprensiva di 0,28 €/kWh. Questa procedura elettronica che si basa sul SIAN è attiva dall’Ottobre 2010, tuttavia per gestire il transitorio e soprattutto le numerose richieste di accesso alla tariffa omnicomprensiva di 0,28 €/kWh pervenute al GSE durante gli ultimi anni è prevista la possibilità di un’autocertificazione sulla provenienza da semi nazionali o comunitari degli oli vegetali per i quali il collettore abbia con-servato e possiede tutte le informazioni e la docu-mentazione necessaria a consentire la loro traccia-bilità. L’impresa si dovrà impegnare poi a inserire queste informazioni nel portale SIAN. Gli operatori intervistati nell’ambito dell’indagine ritengono che, una volta entrato a regime, questo sistema renderà

decisamente più semplice per loro accedere alla ta-riffa omnicomprensiva maggiorata di 0,28 c€/kWh.Oltre al tema della tracciabilità degli oli, esiste un problema relativo alla sostenibilità degli stessi, come riportato nella Direttiva Europea 2009/30/CE, che avrà un impatto su questo segmento di mercato a partire dal 2012, data limite indicata dalla Direttiva stessa entro cui i vari Paesi dovranno adeguarsi ai nuovi criteri di sostenibilità. In particolare la diret-tiva introduce dei limiti più stringenti che riguarda-

no ad esempio il controllo dell’ab-battimento delle emissioni di CO2 lungo tutta la filiera di produzione e la garanzia che la produzione dell’olio non abbia causato defore-stazioni o cambiamenti del terri-torio ad alto impatto ambientale. Se un impianto non utilizzerà olio definito “sostenibile” secondo que-

sti requisiti, non potrà ricevere incentivi. Il recepi-mento della Direttiva (la cui scadenza era prevista per il Dicembre 2010) è stato in parte realizzato at-traverso il Decreto Ministeriale del 3 Marzo 2011. Quest’ultimo non stabilisce tuttavia gli strumenti per la verifica del rispetto dei criteri di sostenibili-tà e le sanzioni in caso di infrazione e rimanda al provvedimento di attuazione della Direttiva Euro-pea 2009/30/CE per la spiegazione e la definizione di questi strumenti. A inizio Giugno, nel momento in cui il presente studio viene redatto, il Decreto at-tuativo non è stato ancora discusso, né è stata piani-ficata la sua redazione. Gli operatori sono ancora in attesa di capire quindi quali saranno gli strumenti che verranno introdotti per misurare e certificare la sostenibilità della materia prima. Quello che è certo, anche in base a quanto emerso dall’inda-gine condotta sul campo, è che l’introduzione di questi strumenti si tradurrà in un aggravio di costo nell’approvvigionamento della materia pri-ma, con la “forchetta” di prezzo tra oli sostenibili e oli non sostenibili che si allargherà sempre più, così come è già accaduto per gli oli tracciabili EU utilizzati nell’alimentazione dei piccoli impianti, il cui valore di mercato ha recentemente superato i 1.000 €/ton (SI VEDA PARAGRAFO 5.2.2.1). Questa incertezza non solo condiziona i nuovi investimen-ti, ma potrebbe avere ripercussioni anche su quelli già effettuati, con impianti che, non disponendo di materia prima sostenibile a prezzi economicamen-te convenienti, potrebbero essere costretti ad inter-rompere la loro produzione.

“In pochissimi anni sono stati installati circa 600 MW, con 700 mln € di investimenti che, qualora i biocombustibili utilizzati in queste centrali non fossero considerati

sostenibili, verrebbero messi così a rischio.”

Segretario generale di un’associazione di categoria

5.1 La normativa

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L’ obiettivo di questa sezione è di fornire un qua-dro aggiornato del mercato italiano della produ-zione di energia da impianti alimentati ad olio ve-getale. Come accennato nel CAPI-TOLO 1.5, si tratta di un comparto del sistema industriale delle bio-masse che nella passata edizione del Biomass Energy Report si era deciso di non esaminare in modo approfondito. Considerati i tassi di crescita che questo segmento di mercato ha fatto registrare anche nel corso del 2010, si è quindi deciso di dedicare ad esso uno spazio adeguato.

Il mercato della produzione 5.2.1 di energia da olio vegetale in Europa

Nel 2009 in Europa sono stati prodotti oltre 100 TWh di energia elettrica attraverso le varie tipo-logie di biomasse, pari a quasi il 19% della produ-zione totale da fonti rinnovabili. Si stima che il 5% di questa energia da biomasse sia stata pro-dotta da impianti alimentati a biomasse liquide (ossia olio vegetale), che corrisponde a oltre 5

TWh, sufficienti per fornire energia elettrica a ol-tre 1,8 milioni di famiglie. La quasi totalità di que-sta energia elettrica è stata prodotta in due Paesi,

ossia Germania e Italia. In Ger-mania sono stati prodotti nel 2009 circa 3,3 TWh di energia elettrica da olio vegetale (pari al 65% del totale in Europa), mentre in Italia si è raggiunto il valore di quasi 1,4 TWh, pari a circa il 27% della pro-

duzione europea. Queste due nazioni sono seguite ad una distanza significativa da Belgio, Paesi Bassi e Svezia, rispettivamente con 0,2 TWh, 0,1 TWh e 0,1 TWh.

Il mercato degli impianti per la produzione di energia elettrica da olio vegetale in Germania ha avuto una dinamica evolutiva particolare (SI VEDA FIGURA 5.1). Dopo una rapida crescita partita nel 2005, che ha portato nel 2008 ad avere una po-tenza installata di 400 MWe, distribuita in quasi 2.500 impianti, il mercato ha rallentato negli anni successivi e si è addirittura contratto, per effetto della chiusura di alcuni impianti causata dall’ec-cessivo incremento del prezzo delle materie pri-me. Nel 2010 si è arrivati ad avere una potenza in-

5.2Il mercato

Figura 5.1 Andamento della potenza installata e del numero di impianti alimentati ad olio vegetale in Germania

3.000

2.500

2.000

1.000

500

0

1.500

Num

ero

impi

anti

MW

e

450400350300250200150100500

Numero impianti Potenza installata

“L’eccessivo rialzo del prezzo degli oli vegetali nel 2008 ci ha costretti prima a spegnere l’impianto e poi a

chiudere definitivamente.”

Proprietario di un impianto ad olio vegetale tedesco

5.2 Il mercato

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stallata di 300 MWe, distribuita in meno di 1.500 impianti. A differenza del mercato Italiano, dove sono presenti impianti di grande taglia (SI VEDA TABELLA 5.1), l’80% della potenza tedesca è instal-lata in impianti di taglia inferiore ai 500 kWe, vista l’enorme diffusione di questi impianti presso atti-vità agricole o zootecniche.

Il mercato della produzione 5.2.2 di energia da olio vegetale in Italia

L’andamento della potenza elettrica installata in impianti alimentati ad olio vegetale in Italia è ri-portato nella FIGURA 5.2. Si può notare come a fine 2010 si sia arrivati al valore ragguardevole di circa 620 MWe cumulati, facendo registrare una crescita, rispetto al livello raggiunto nel 2009, di oltre il 60%. Questo mentre la capacità installa-ta a fine 2009 rispetto a fine 2008 era cresciuta di oltre il 240%. Il rallentamento nella crescita delle installazioni annue è stato in parte condizionato dall’andamento del prezzo degli oli (SI VEDA PA-RAGRAFO 5.2.2.1) che condiziona notevolmente la redditività di questo tipo di investimenti (SI VEDA PARAGRAFO 5.2.2.2) e in parte, in particolare per quanto riguarda i grandi impianti, dall’incertezza sul sistema di incentivazione dovuta al valore dei Certificati Verdi (SI VEDA CAPITOLO 5.1).

Si tratta di un livello di potenza installata estrema-mente consistente, superiore sia a quello raggiun-to nel segmento delle biomasse agroforestali sia nel biogas. Nonostante quindi non si parli spesso di questa forma di sfruttamento delle biomasse di origine vegetale, si tratta sicuramente di un com-parto che dà, e che potrebbe dare anche in misu-ra maggiore nei prossimi anni, un significativo contributo al raggiungimento degli obiettivi di nuova potenza installata per le bioenergie che prevede il Piano di Azione Nazionale presentato dal Governo Italiano nel Giugno 2010. Nel corso dei primi mesi del 2011 la crescita delle installa-zioni sta proseguendo in modo consistente, con grandissima parte degli impianti in progetto che stanno concretamente vedendo la luce. A Giu-gno 2011 si è già arrivati ad oltre 100 MWe in-stallati annualmente. I primi impianti di questo tipo installati in Italia risalgono al 2007, e ciò è dovuto all’introduzione del sistema di incenti-vazione diretta di cui si è detto prima, all’epoca

contraddistinto da una generosità anche superiore rispetto ai livelli raggiunti oggi. Basti pensare che il prezzo di mercato dei Certificati Verdi nel 2006 era pari a 125 €/MWh e la tariffa omnicomprensi-va ammontava a 30 c€/kWh).

Per quanto riguarda invece l’elettricità prodotta, nel 2010 si stima che gli impianti installati ab-biano contribuito a generare 1,9 TWh di ener-gia, con un funzionamento medio di sole 3.200 ore all’anno. Si tratta di valori estremamente con-sistenti, che corrispondono al fabbisogno elettrico di oltre 670.000 famiglie. Va inoltre considerato che gli impianti installati in Italia hanno lavora-to nel corso del 2010 con un grado di saturazio-ne stimabile mediamente al 40%, a causa degli elevati costi di approvvigionamento degli oli (SI VEDA PARAGRAFO 5.2.2.2).

Figura 5.2 Andamento della potenza installata in impianti alimentati ad olio vegetale in Italia

700

600500

400

300

200

100

02008 2009 2010

MW

e

Figura 5.3 Andamento del numero di impianti alimentati ad olio vegetale in Italia

140

120

100

80

60

40

200

2008 2009 2010

Num

ero

impi

anti

5. GLI OLI VEGETALI

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La FIGURA 5.3 riporta invece l’andamento del nu-mero di impianti in esercizio in Italia, che hanno superato all’inizio del 2010 il numero ragguarde-vole di 130. In media un impianto ad olio vege-tale installato oggi in Italia ha una taglia di 4,7 MWe, contro un valore medio unitario di circa 10 MWe del 2008. La forte riduzione della taglia media è dovuta alla sempre maggior presenza di installazioni di piccola taglia, che sono divenute particolarmente convenienti vista l’incertezza che ha sempre più caratterizzato il funzionamento del sistema dei Certificati Verdi e per le quali è dive-nuto sempre più facile e meno rischioso gestire l’approvvigionamento della materia prima, in un contesto di forte variabilità del prezzo unitario di approvvigionamento.

La distribuzione regionale della potenza instal-lata e del numero di impianti è illustrata invece nelle FIGURE 5.4 e 5.5. Dall’analisi dei dati in esse riportati, si può immediatamente notare come la Puglia rappresenti la prima Regione italia-na per potenza installata complessiva, seguita dall’Emilia Romagna e dalla Campania. È inte-ressante anche rilevare come la Sardegna occupi la quarta posizione di questa particolare classifica e come invece la Lombardia sia solo quinta, con una potenza intorno ai 40 MWe. La posizione di assoluta leadership della Puglia è in primo luogo

dovuta alla presenza in questa Regione di impre-se da tempo attive nella produzione di oli (quali il Gruppo Casa Olearia Italiana a Bari), che han-no deciso di diversificare la propria attività nella produzione di energia, sfruttando la conoscenza dell’andamento del mercato di approvvigiona-mento. Inoltre la Puglia può sfruttare la vicinanza di alcuni dei suoi grandi impianti con porti da cui è possibile agevolmente gestire l’approfondimento di grandi quantità di materia prima. In Lombar-dia, viceversa, sono più diffusi impianti di piccola-media taglia, proprio per l’assenza di un sistema industriale consolidato nella filiera dell’olio ve-getale e per le maggiori difficoltà di approvvigio-namento. Bisogna infatti considerare che questo problema è decisamente complesso da gestire, vi-sto che ad esempio un impianto da 20 MWe può richiedere oltre 30.000 ton/anno di oli vegetali per essere alimentato, che corrispondono a circa 1.500 camion cisterna.

Coerentemente con le considerazioni sopra svolte, dal punto di vista della numerosità degli impianti, si nota come il numero maggiore sia concentrato nel Nord del Paese. Essi hanno quindi una taglia media decisamente inferiore rispetto al Centro ed al Sud del Paese (ad esempio, la taglia media unitaria è su-periore a 15 MWe in Puglia, Campania e Basilicata, contro i circa 1 MWe di Lombardia, Piemonte e Ve-neto). Nella TABELLA 5.1 si riportano gli impianti in

Figura 5.4 Potenza installata in impianti alimentati ad olio vegetale nelle diverse Regioni italiane

O

50

100

150

200

250

Piem

onte

Vene

to

Lazio

Cam

pania

Sicilia

Tosc

ana

Puglia

Mar

che

Ligu

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Calabr

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bria

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Molise

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osta

Basilic

ata

MW

e

Lom

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Emilia

Rom

agna

Friuli Ve

nezia

Giulia

Tren

tino

Alto

Adige

5.2 Il mercato

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Figura 5.5 Numero di impianti alimentati ad olio vegetale nelle diverse Regioni Italiane

30

25

20

15

10

5

Piem

onte

Vene

to

Lazio

Cam

pania

Sicilia

Tosc

ana

Puglia

Mar

che

Ligu

ria

Calabr

ia

Um

bria

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Molise

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Basilic

ata

Num

ero

impi

anti

Lom

bard

ia

Emilia

Rom

agna

Friuli Ve

nezia

Giulia

Tren

tino

Alto

Adige

0

Regione Provincia Città Potenza elettrica (MWe)

Campania Napoli Acerra 76,5

Emilia Romagna Ravenna Conselice 58,2

Puglia Bari Monopoli 51

Sardegna Nuoro Ottana 36,5

Puglia Bari Molfetta 34,1

Emilia Romagna Ravenna Faenza 34

Puglia Bari Monopoli 34

Puglia Bari Monopoli 24,8

Toscana Livorno Piombino 24,7

Lazio Frosinone Guarcino 21,2

Puglia Bari Monopoli 17

Puglia Bari Molfetta 13

Puglia Bari Monopoli 13

Trentino Alto Adige Bolzano Fortezza 10

Sicilia Agrigento Favara 9,6

Campania Salerno Palomonte 8,7

Lombardia Pavia Mezzana Bigli 8,6

Lombardia Varese Lonate ceppino 8

Trentino Alto Adige Bolzano Naz-Sciaves 7,4

Emilia Romagna Ravenna Ravenna 7,2

Lombardia Brescia Visano 7,1

Lombardia Mantova Mantova 5,1

Veneto Vicenza Camisano vicentino 5,1

Tabella 5.1 Elenco degli impianti in funzione in Italia con potenza superiore a 5 MWe

5. GLI OLI VEGETALI

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Figura 5.6 Potenza in impianti ad olio vegetale in fase di progettazione nelle Regioni Italiane

funzione in Italia con taglia superio-re ai 5 MWe.Dalla TABELLA 5.1 si nota come tut-ti gli impianti di taglia elevata (ad esempio, oltre i 10 MWe) siano lo-calizzati in aree costiere e in pros-simità di porti. Ancora una volta questo conferma la criticità dei processi di approv-vigionamento, che per gli impianti di grande taglia fanno affidamento frequentemente a forniture da pa-esi extra UE. L’ elevata concentrazione di grandi impianti in Pu-glia ed, in particolare, a Monopoli e Molfetta si spiega con la presenza in quest’area del Gruppo Marseglia che, attraverso la sua controllata Ital Green Energy, ha negli ultimi 5 anni investito molto nella produzione di energia elettrica da oli vegetali, in-stallando quasi 150 MWe di capaci-tà produttiva a Monopoli e altri 34 MWe a Molfetta (SI VEDA TABELLA 5.5 e PARAGRAFO 5.3.4 per una de-scrizione dettagliata degli operatori coinvolti nella realizzazione di questi impianti). L’importanza della logistica per la realizzazione di questi impianti è tale che anche il primo impianto per dimensione realiz-zato nel Nord Italia e non in prossimità diretta di un porto (ossia l’impianto da 10 MWe realizzato a Fortez-za, in provincia di Bolzano), è stato costruito nel 2009

nei pressi di un importante centro logistico che consentirà il trasporto del combustibile su rotaia.Per quanto riguarda le aspettative di crescita future di questo merca-to, gli operatori del settore inter-vistati concordano nel ritenere

che il settore presenti ancora delle potenzialità in linea con quelle fatte registrare negli ultimi anni. Come accennato in precedenza, tuttavia, spe-cialmente per gli impianti di taglia maggiore, l’an-damento atteso delle installazioni dipenderà forte-mente dall’evoluzione dei prezzi degli oli (SI VEDA PARAGRAFO 5.2.2.2) e dai Decreti attuativi del De-

creto Ministeriale del 3 Marzo 2011 (SI VEDA PARAGRAFO 5.1.1). Non è inverosimile immaginare che a fine 2012 in Italia potranno esse-re installati impianti alimentati ad olio vegetale per una potenza complessiva superiore a 1 GWe. Questo è confermato dall’analisi dei

progetti per la realizzazione di nuovi impianti che sono stati presentati al GSE per richiedere l’accesso al sistema incentivante, che ammontano a oltre 2 GWe. La distribuzione della potenza in fase di rea-lizzazione è illustrata nella FIGURA 5.6, in cui si nota come la Puglia confermi la sua leadership in questo segmento di mercato delle biomasse, mentre tra le

Piem

onte

Vene

to

Lazio

Cam

pania

Sicilia

Tosc

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Puglia

Calabr

ia

Sard

egna

MW

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Lom

bard

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Emilia

Rom

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tino

Alto

Adige

500450400350300250200150100500

“La localizzazione per questi impianti è un fattore critico di successo.”

Amministratore Delegato di una società di progettazione e installazione di impianti ad

olio vegetale

“L’affitto nell’area portuale ci costa molto di più di un normale terreno,

ma risparmiamo significativamente a livello di costi di trasporto.”

Amministratore Delegato di una società di progettazione e installazione di impianti ad

olio vegetale

5.2 Il mercato

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Regioni del Nord Italia è il Veneto che ha in proget-to la maggiore quantità di potenza da installare. In questa particolare classifica, la Lombardia vede ulteriormente ridimensionato il suo ruolo nel panorama italiano della produzione di energia da impianti ad olio vegetale, attestandosi all’ottavo posto, dietro Friuli Venezia Giulia e Basilicata.

Chiaramente è impossibile prevedere l’evoluzione di questo mercato dopo il 2012, quando dovrebbe-ro entrare in funzione i nuovi criteri di incentiva-zione della produzione di energia da fonte rinno-vabile sanciti dal Decreto Ministeriale del 3 Marzo 2011. Quello che si può già oggi intuire è che questo mercato sarà, più di altri nel comparto delle bio-energie (pensiamo ad esempio al caso del biogas), influenzato dal meccanismo delle aste al ribasso per l’assegnazione delle tariffe incentivanti. Ciò in quanto, come visto anche in precedenza, la taglia di questi impianti è mediamen-te elevata e quasi l’80% dei nuovi progetti (anche oltre il 90%, se si considera la potenza elettrica) su-pereranno probabilmente il limi-te oltre cui entra in funzione il meccanismo delle aste al ribasso. Ciò vale tranne che per gli impianti di grandissima taglia che, come si accennerà più avanti in questo capitolo, godono di tali economie di scala da essere già oggi e, a maggior ragione nel prossimo futuro, decisamente convenienti e ca-paci di assicurare un soddisfacente ritorno sull’in-vestimento anche in assenza di un sistema di in-centivazione attraverso tariffa omnicomprensiva o Certificato Verde. Oggi questo tipo di impianti non è ancora particolarmente diffuso nel nostro Paese (se ne contano solo 3 di taglia maggiore a 50 MWe) per le difficoltà che essi comportano in termini di processo di autorizzazione ed accettazione da parte della comunità locale e, soprattutto, di reperimento a condizioni vantaggiose e continuativamente nel tempo della materia prima necessaria ad assicurare un adeguato funzionamento dell’impianto.

Il mercato dell’olio 5.2.2.1 vegetale

L’andamento della potenza installata in impianti alimentati ad olio vegetale, come si è accennato an-che in precedenza in questo capitolo, è strettamente collegata alle dinamiche che interessano il mercato

degli oli vegetali, tanto su scala italiana quanto in-ternazionale.Innanzitutto bisogna rilevare come il fabbisogno annuo di olio vegetale per alimentare con continu-ità (ossia per oltre 8.000 ore) gli impianti esistenti in Italia a fine 2010 ammonta a quasi 1.000.000 di tonnellate. Esse corrispondono a circa 1.000.000 di ettari all’anno di superficie coltivata a oleaginose (soia, girasole, colza), che raddoppierebbero tenen-do conto della rotazione delle colture1. Ad oggi le superficie sfruttate in Italia per questo tipo di col-ture, considerando il complesso degli usi finali (ali-mentare, chimico ed energetico) cui possono essere destinate, ammontano a circa 280.000 ettari all’an-no, pari al 2% della Superficie Agricola Utilizzata. Di questi, meno di 1/5 sono attualmente impiegati per finalità energetiche. Essi corrispondono ad una

produzione annua di olio vegetale di 56.000 tonnellate. Di fatto, quin-di, gli impianti italiani dipendono per oltre il 95% da olio vegetale importato. Il BOX 5.2 fornisce un breve quadro degli operatori coin-volti nella produzione di olio vege-tale, da coltivazioni nazionali o da

semi importati, in Italia.

L’ olio vegetale importato per usi energetici provie-ne o da Paesi europei, solitamente dell’Est, o da i principali Paesi produttori d’olio a livello mondia-le, quali Stati Uniti, Brasile, Argentina, Malesia e Indonesia. Il prezzo dell’olio vegetale sui mercati internazionali ha avuto negli ultimi anni un prez-zo estremamente variabile. Il fattore che influen-za sensibilmente il prezzo è la provenienza dell’olio che in Italia, come in Germania, determina l’entità dell’incentivo a cui si può accedere. Per questo mo-tivo, attualmente gli oli vegetali di origine europea hanno un prezzo maggiore anche del 15-20% rispet-to ad oli con provenienza extra EU. L’andamento del prezzo degli oli influenza notevolmente la redditivi-tà dell’investimento (SI VEDA PARAGRAFO 5.2.2.2), e un loro eccessivo rincaro può portare alla chiusura, inizialmente temporanea, nei peggiori dei casi an-che definitiva, di diversi impianti, come già successo in Germania (SI VEDA PARAGRAFO 5.2.1).

Il mercato degli oli ha avuto negli ultimi 5 anni un andamento molto altalenante che ha portato nell’estate del 2008 a prezzi, per olio di colza di ori-gine EU, prossimi alle 1.000 €/ton, picco assoluto per questo tipo di materia prima. Successivamente,

1 La rotazione delle colture è una tecnica agronomica che permette di mantenere e/o migliorare la fertilità dei suoli e quindi il rendimento. Essa consiste nell’alternare coltivazioni diverse in un ordine regolare e predefinito sul medesimo terreno. Esistono rotazioni biennali, triennali e quadriennali.

“Per l’olio da filiera europea ormai ti chiedono più di 1.000 €/ton, con questi prezzi conviene tener spento

l’impianto.”

Amministratore Delegato di una società di progettazione e installazione di impianti a

olio vegetale

5. GLI OLI VEGETALI

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Box 5.2 I produttori di olio vegetale in Italia

I principali operatori nel campo della produzione di olio vege-tale in Italia sono sostanzialmente grandi oleifici, di fatto tutti associati ad Assitol (Associazione Italiana dell’Industria Olea-ria). Assitol è stata costituita nel 1972, a seguito della fusione delle tre associazioni all’epoca esistenti e operanti nel campo dell’olio di oliva, dell’olio di semi, della margarina e dei prodotti derivati. Ad oggi questi operatori, che raccolgono e gestiscono la maggior parte della produzione italiana, non hanno un par-ticolare incentivo ed interesse a destinare la loro produzione al comparto energetico (così come, d’altronde alla produzione di biocarburanti), vista la maggiore convenienza e redditività degli impieghi alimentari. I principali oleifici del Nord Italia si trovano in Veneto nei pressi di Camisano Vicentino (VI), Por-to Marghera (VE), San Pietro di Morubio (VR) e Fontanelle (TV) così come a Castelfiorentino (FI) in Toscana e a Porto Corsini (RA) e Faenza (RA) in Emilia Romagna. Scendendo invece verso il Sud del Paese, si incontrano i grandi oleifici di Cisterna di Latina (LT) nel Lazio e a Proto di Ancona (AN)

nelle Marche. Infine si segnala l’importante Casa Olearia lo-calizzata nei pressi di Monopoli (BA) in Puglia. È interessante citare il caso dell’impresa Cereal Docks, con sede in Veneto, a Camisano Vicentino, particolarmente interessata ad utilizzare una parte consistente della sua produzione di oli, soprattutto di colza e soia, agli impianti di proprietà per la produzione di energia elettrica e di biodiesel. L’impresa si è anche fatta pro-motrice, ormai da qualche anno, di un’iniziativa per favorire la diffusione delle colture energetiche offrendo agli agricoltori una remunerazione maggiore dei semi per usi energetici ri-spetto ai prezzi di mercato e organizzando dei centri di raccol-ta locali per convogliare presso le proprie sedi la produzione agricola del Nord Est. Inoltre ha sviluppato un servizio on line per semplificare la gestione dei contratti energetici che rende più semplice, rapido e sicuro l’iter contrattuale e le relative pratiche ministeriali per la tracciabilità degli oli con AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) e il SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale).

nel 2009 e all’inizio del 2010, il prezzo è tornato ad assestarsi a valori di circa 550 €/ton, salvo poi a fine 2010 e all’inizio del 2011 raggiungere di nuovo va-lori anche superiori alle 1.000 €/ton. Ovviamente questo andamento altalenante dell’olio, con rincari anche del 100% su base semestrale, crea incertezza nell’investitore e può rendere del tutto sconvenien-te l’utilizzo dell’impianto. Con valori della materia prima prossimi alle 1.000 €/ton, in particolare, sicu-ramente far funzionare l’impianto non è economi-camente sostenibile (SI VEDA PARAGRAFO 5.2.2.2).

Ad oggi solo una piccola parte dell’olio vegetale de-stinato alla produzione di energia in questi impian-ti proviene da materia prima riciclata (oli esausti provenienti dall’industria alimentare e dal compar-to della ristorazione). Questo tanto in Italia quanto a livello europeo. L’utilizzo di olio vegetale rici-clato dall’industria alimentare e dal comparto della ristorazione rappresenta una delle soluzio-ni possibili al grave problema della competizio-ne tra gli usi energetici ed alimentari di alcune delle più importanti colture oleaginose. Questo specialmente in quei paesi in via di sviluppo in cui gran parte di queste coltivazioni sono concentrate. In Italia esiste un potenziale di oli esausti, secondo il Ministero della Sanità, di oltre 280.000 tonnel-

late ogni anno. Tuttavia, nonostante l’obbligo del-lo smaltimento differenziato e i crescenti risultati ottenuti dal CONOE, il Consorzio Obbligatorio Nazionale di raccolta e trattamento Oli e grassi vegetali e animali Esausti, nel 2010 sono state solo 44.000 le tonnellate di oli esausti raccolte, con enor-mi quantità di materiali che scompaiono ancora nel “nulla”, smaltiti illegalmente negli scarichi (SI VEDA BOX 5.2). A livello europeo esistono alcuni progetti interessanti finalizzati a favorire un maggiore uti-lizzo di questa importante fonte di oli vegetali. Nel Regno Unito, ad esempio, l’impresa Agri Energy ha coinvolto alcune famose catene di fast food per or-ganizzare il recupero su scala nazionale degli oli di frittura esausti, per la trasformazione in biodiesel e per l’utilizzo nei veicoli aziendali. Inoltre sta valu-tando la realizzazione di una centrale elettrica da 35 MWe, alimentata anch’essa da olio di frittura.

L’investimento in 5.2.2.2 un impianto per la produzione di energia da olio vegetale

In Italia è possibile distinguere due principali tipolo-gie di impianti per la produzione di energia elettrica

5.2 Il mercato

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alimentati ad olio vegetale: (i) impianti di piccola taglia, inferiore ad 1 MWe, che beneficiano della tariffa omnicomprensiva e che sono realizzati da imprenditori che decidono di affiancare alla pro-pria attività principale, tipicamente manifatturiera o di processo, quella della produzione di energia elettrica e/o termica da utilizzare nei loro proces-si primari, rendendosi così, se possibile, indipen-denti dal punto di vista energetico; (ii) impianti di grande taglia, superiore ad 1 MWe, che accedono al meccanismo dei Certificati Verdi e che vedo-no, tra i soggetti proponenti e finanziatori, grandi gruppi industriali, provenienti dal settore alimen-

tare o da quello della produzione di oli, o produt-tori di energia che decidono di investire in questa determinata fonte o per diversificare la propria ca-pacità produttiva in fonti rinnovabili e interessati ai ricavi garantiti dagli incentivi, o per sfruttare co-noscenze già possedute come le dinamiche dell’an-damento dei mercati degli oli. Di seguito si ripor-tano i risultati dell’analisi condotta per evidenziare le principali caratteristiche di queste due classi di impianti, con una particolare attenzione ai ritor-ni sul capitale investito, alla configurazione tipica dell’impianto ed alle problematiche e complessità che gli investitori si trovano a gestire quando deci-

Box 5.3 Il mercato degli oli esausti in Italia

La filiera degli oli e grassi commestibili esausti in campo nazionale è gestita dal CONOE (Consorzio Obbligatorio Nazionale di raccolta e trattamento Oli e grassi vegetali e animali Esausti). I dati parlano di un trend in continua cre-scita per quanto riguarda la raccolta e il riciclo di oli e grassi vegetali usati, con un risultato raggiunto nel 2009 di 42.000 tonnellate raccolte, in aumento del 5% rispetto al 2008, e la previsione di raggiungere nel 2013 il valore di 100.000 tonnellate.I quantitativi raccolti vengono interamente rici-clati, fatta eccezione per gli scarti di lavorazione, e destinati ad utilizzi industriali, principalmente per la produzione di biodiesel, per il recupero energetico e per la produzione di lubrificanti vegetali, soprattutto impiegati nelle macchine agricole. In particolare, l’olio vegetale esausto sottoposto a rigenerazione viene trasformato nelle seguenti materie pri-

me seconde, ordinate per importanza: (i) estere metilico per biodiesel; (ii) lubrificanti vegetali; (iii) glicerina per saponi-ficazione; (iv) grassi per l’industria. Le stime del Ministero della Sanità parlano di circa 280.000 tonnellate/anno di oli e grassi esausti prodotti, provenienti dall’industria alimentare (circa 300.000 aziende coinvolte) e dalle utenze domesti-che delle famiglie italiane. Prendendo in considerazione le 44.000 tonnellate raccolte e riciclate nel 2010 si ottiene una percentuale di riciclo del 16%, con l’obiettivo di arrivare al 35% nel 2013. Tuttavia considerando che un impianto da 20 MWe per essere alimentato costantemente in un anno me-diamente consuma 36.000 tonnellate di olio vegetale è pos-sibile capire come il recupero di questi oli sia solo una delle molteplici iniziative necessarie per limitare la competizione tra gli usi energetici ed alimentari delle colture oleaginose.

120.000

100.000

Ton

80.000

60.000

40.000

20.000

-

2006 2007 2008 2009 2010 2013*

Figura 5.7 Raccolta e riciclo oli e grassi vegetali dal 2006 al 2013

5. GLI OLI VEGETALI

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dono di intraprendere il progetto per la costruzione di questa tipo-logia di impianti.Gli impianti di piccola taglia sono solitamente sviluppati da impren-ditori che decidono di entrare in questo business per affiancare alla propria attività primaria quella della produzio-ne di energia da utilizzare, una volta terminato il periodo di incentivazione della tariffa omnicom-prensiva, nei loro processi principali. Gli impianti di questo tipo sono infatti di taglia inferiore al MWe e adottano nella maggior parte dei casi so-luzione cogenerative per poter recuperare anche la produzione di energia termica. Questi impianti producono energia costantemente e raggiungono livelli di operatività annua superiori alle 8.000 ore. Questi impianti consumano in media 1.800 t/MWe di olio che viene solitamente importato preferibil-mente da Paesi EU per poter accedere all’incenti-

vazione maggiorata di 0,28 €/kWh. L’investimento nell’impianto può ammontare complessivamente a 1.500 €/kWe. Annualmente, i costi necessari ad assicurare l’ope-ratività dell’impianto riguardano principalmente la manutenzione

e, soprattutto, l’acquisto della materia prima. A se-conda del prezzo dell’olio, tali costi possono facil-mente superare l’entità dell’investimento iniziale, con impianti da 1 MWe che richiedono oltre 1,6 mln € di costi d’esercizio. I costi di Operations & Maintenance si attestano indicativamente sul 5% del costo totale iniziale. L’investimento viene ti-picamente finanziato con un debito bancario, attraverso lo strumento del leasing, e si possono raggiungere leve finanziarie dell’80%. La struttu-ra dei costi dipende dal tipo di impianto, in ogni caso il motore pesa sempre per un 40/50% dell’in-vestimento iniziale, la parte elettrica per il 10%, con

Box 5.4 L’impianto ad olio vegetale di Kòmaros Agroenergie a Osimo (AN)

Kòmaros Agroenergie Srl è una società nata a Osimo (AN) nel febbraio 2007, su iniziativa di un gruppo di agricoltori e imprenditori locali, con lo scopo di produrre energia rin-novabile dalle risorse agricole disponibili sul territorio. La società è per un terzo di proprietà di una cooperativa locale che raggruppa circa 100 agricoltori della zona, e per i restanti due terzi di sei imprenditori agricoli. Il progetto di Kòmaros è nato per cercare degli investimenti alternativi per sostene-re l’attività primaria agricola, in difficoltà a causa della crisi del settore bieticolo. In pochi anni l’impresa ha attivato una filiera completa dell’olio vegetale puro, ossia una filiera corta che va dalla produzione agricola locale di sementi oleagi-nose alla produzione di energia elettrica e termica. E’ stato attivato un centro produttivo di trasformazione dei prodotti che si occupa del ritiro e dello stoccaggio della semente, del-la sua successiva spremitura con la conseguente produzione di olio (da destinare ad uso bioenergia) e panello proteico (da destinare ad uso zootecnico). Per garantire poi il com-pletamento della filiera stessa, è stato sviluppato dall’azienda il progetto HELIANTHUS 1, con lo scopo di utilizzare l’olio vegetale puro ottenuto dall’estrazione meccanica a freddo come biocombustibile in motori cogenerativi. Il progetto HELIANTHUS 1 ha fatto sì che la chiusura della filiera energetica si realizzasse attraverso l’impiego dell’olio in un

gruppo cogenerativo installato presso l’impianto sportivo Palarossini di Ancona. L’impianto è composto da un mo-tore MAN con potenza elettrica di 420 kW, adatto all’uso dell’olio, con un sistema a “doppio serbatoio” allestito in un container. Le due cisterne per il conferimento dell’olio sono riempite alternativamente ogni 10 giorni e hanno una capa-cità di circa 25 metri cubi. L’olio, prima di entrare nel moto-re, viene riscaldato in un serbatoio intermedio fino alla tem-peratura di 70° per ottenere maggiori efficienze. Il consumo annuo è pari a circa 650 tonnellate di olio, di cui il 55% co-stituito da olio di girasole prodotto direttamente da Kòma-ros e la restante parte acquistato sul mercato (olio tracciato UE, di soia o colza). L’energia elettrica prodotta è ceduta in rete e mediamente l’impianto può generare 2.600 MWhe/anno, che ricevono l’incentivo della tariffa omnicomprensi-va pari a 280 €/MWhe, trattandosi di produzione di energia elettrica da olio tacciabile. La potenza termica cogenerata e recuperata, ceduta al Palarossini, ammonta mediamente ad oltre 550 MWht/anno, fatturati ad una tariffa pari a 50 €/MWh. Per l’immediato futuro l’azienda ha in programma di installare altre centrali di cogenerazione e/o trigenerazio-ne ad olio vegetale puro, di implementare e migliorare lo stabilimento di ricezione e stoccaggio della materia prima nonché l’impianto di spremitura delle oleaginose.

“La tecnologia è matura e accessibile a buoni prezzi, ma tutto dipende

dall’approvvigionamento della materia prima.”

Amministratore Delegato di una società di progettazione e installazione di impianti ad

olio vegetale

5.2 Il mercato

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Box 5.5 L’impianto ad olio vegetale di Porto Energia

L’impianto ad olio vegetale realizzato da Porto Energia, un’impresa ad hoc promossa dalla Compagnia Portuale di Livorno, si baserà su un ciclo combinato composto da 4 turbine ad olio vegetale ciascuna della potenza di 13 MWe, affiancati da una turbina a ciclo Rankine che genera ulte-riori 3 MWe dal recupero del calore dei fumi emessi dalle turbine, per una potenza complessiva prevista di 55 MWe. In aggiunta al ciclo combinato la centrale è predisposta alla cogenerazione, fino ad una potenza di 16 MWt. Gli addetti dedicati al funzionamento dell’impianto saranno 30 e lavo-reranno su 3 turni. La progettazione e la costruzione dell’im-pianto verrà effettuata dalla INSO, impresa di Firenze attiva da oltre 30 anni come EPC Contractor per progetti di inge-gneria, costruzione e fornitura di tecnologie rivolti ai settori della sanità, dell’industria (compresa quella energetica) e del terziario. Per quanto riguarda le turbine, invece, saranno acquistate dalla General Electric, che è d’altronde una delle poche imprese con esperienza nelle turbine ad olio vegetale. L’impianto è stato localizzato nel porto di Livorno in modo da agevolare la ricezione ed il caricamento della materia pri-ma, in larga parte importata. Le navi in arrivo con il carico d’olio scaricano infatti direttamente dalla banchina nel ser-batoio dell’impianto. L’investimento complessivo è stato di

80 mln di €, finanziati per il 20% con capitale proprio, e per il restante 80% sfruttando la formula del project financing. Nell’investimento iniziale è compreso il valore del terreno, che ha avuto un costo particolarmente elevato vista la sua localizzazione nel porto (indicativamente può pesare anche il 10% dell’investimento). L’impianto andrà a regime per la fine 2012, con un tempo necessario per l’entrata in funzione che è stato pari addirittura a 4 anni. Il tempo di pay back previsto è di 4 anni, con una redditività sul capitale investito, che per questi impianti, può essere nell’ordine dell’20%. La centrale verrà alimentata con olio di colza di origine comu-nitaria (Bulgaria e Romania) e a cascata, se la quantità di combustibile non fosse sufficiente per far marciare a pieno regime l’impianto, non è escluso il ricorso all’olio di palma extra-europeo. Ad ogni modo la priorità è quella di stipulare contratti pluriennali, di durata più lunga possibile (intorno ai 5 anni), così da assicurarsi una certa indipendenza dall’an-damento ciclico dei prezzi delle materie prima. Il principale problema che l’impresa ha incontrato nella realizzazione di questo impianto è riconducibile alla complessità del proces-so per ottenere l’autorizzazione alla costruzione, aggravato tra l’altro da un ricorso al TAR, poi rigettato, promosso da un comitato locale contrario al progetto.

la componentistica (cofanatura, pompe, scambiatori) e il costo della manodopera che sono responsabili della rimanente quota. Per gli im-pianti da 1 MWe, dal momento in cui il cliente sottoscrive il contratto (ossia dà mandato all’installatore di adempiere tutte le pratiche autorizzativa) a quando l’impianto entra in funzione passa circa 10-12 mesi. I ritorni di questi investimenti (IRR) sono anche su-periori al 20% e possono variare molto a seconda del prezzo di acquisto della materia prima (ipotesi di acquisto a 850 €/ton) e delle ore di funzionamen-to dell’impianto. Il tempo di pay back è mediamen-te intorno a 4 anni. Quando è presente anche una componente di finanziamento bancario consistente il tempo di pay back può essere influenzato dalle scelte del cliente, che in alcuni casi preferisce non fare utile nei primi anni ed avere una rata del finan-ziamento molto alta che permette di pagare rapi-damente l’impianto. Questo per proteggersi subito

da fluttuazioni del prezzo dell’olio e per poi permettersi, in caso di incremento molto consistente del prezzo della materia, di tener fer-mo l’impianto essendo già rientrati dei costi di investimento.Il BOX 5.4 riporta il caso di un im-

pianto di piccola taglia realizzato nel 2007 a Osimo (AN), che ben esemplifica le caratteristiche di questa tipologia di impianti illustrata in precedenza. Passando invece agli impianti di grande taglia (su-periore ai 10 MWe), hanno caratteristiche funzio-nali e specificità completamente diverse rispetto a quelli presentati precedentemente. Esse possono essere riassunte come segue:

• i titolaridiquesti impianti appartengono tipica-mente a due categorie: (i) imprese già attive nel-la produzione di oli e che, conscendo il mercato, hanno deciso di diversificare la propria attività nella produzione di energia, sfruttando compe-

“Se acquisti l’olio al momento giusto, con gli incentivi che ci sono ora, in pochi anni hai già ripagato

l’impianto.”

Titolare di un impianto ad olio vegetale

5. GLI OLI VEGETALI

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tenze quali la conoscenza della dinamica di anda-mento del mercato della materia prima; (ii) grandi gruppi industriali ed energetici (SI VEDA TABELLA 5.4) che decidono di diversificare il proprio porta-foglio di investimenti nella produzione di energia rinnovabile, soprattutto interessati alle possibilità di profitti;

• questi impianti, visto il loro elevato fabbisognodi materia prima, vengono solitamente collocati in aree ben servite dal punto di vista logistico e facilmente raggiungibili, spesso a poca distanza da porti presso i quali possano attraccare le navi cariche di oli. Il consumo specifico di olio è di 1.600 ton/MWe, inferiore di anche 200 ton/MWe rispetto a quello degli impianti precedenti, grazie alle maggiori efficienze permesse dalla dimensio-ne del motore;

• le quantità di olio necessario per alimentare, ad esempio, un impianto da 55 MW, costitui-to da 3 motori della potenza di 17 MWe, sono dell’ordine di 90.000 tonnellate all’anno. Si trat-ta di quantità difficilmente recuperabili su scala locale. Questo è il motivo per cui questi impianti ricorrono quasi interamente all’import di olio, so-litamente di palma o, negli impianti più recenti, anche di jatropha, a seconda delle dinamiche di prezzo sul mercato al momento dell’acquisto;

• l’investimento iniziale è mediamente pari a 1.100 €/kWe e, considerata l’entità dell’investi-mento iniziale, è di fatto indispensabile il ricorso a tecniche di project financing;

• ancheperquestatipologiadiimpiantiicostiannuisono in gran parte (fino al 90%) dovuti all’acqui-sto della materia prima (ipotesi d’acquisto a 700 €/ton) e la loro tempistica di realizzazione varia sensibilmente a seconda della taglia e può arrivare fino a 3-4 anni.

Se si considera ad esempio l’investimento in un im-pianto da 20 MWe che funziona mediante oli vege-tali importati da paesi extra EU (accedendo ad un Certificato Verde con coefficiente moltiplicativo 1,3), si raggiungono mediamente ritorni econo-mici nell’ordine del 15-20% a seconda del prezzo di acquisto della materia prima e tempi di pay back di soli 6 anni.Il BOX 5.5 riporta il caso di un impianto di grande taglia realizzato nel 2010 a Livorno, che ben esem-plifica le caratteristiche di questa tipologia di im-pianti illustrata in precedenza.L’analisi empirica, che ha richiesto lo studio di di-versi progetti di investimento in questa tipologia di impianti, ha permesso di stimare l’entità delle eco-

nomie di scala realizzabili con l’incremento della di-mensione dell’impianto, misurata attraverso la sua potenza elettrica nominale. In particolare, si rileva che l’investimento per impianti di taglia inferio-re ai 250 kWe è nell’ordine di oltre 2.000 € / kWe, valore che scende intorno a 1.600 €/kWe per im-pianti compresi tra 250 e 1.000 kWe, a 1.300 per impianti fino a 5 MWe ed, infine attorno a 1.000 per impianti grandi, con potenza complessiva su-periore a 5 MWe. A questo significativo risparmio del costo chiavi in mano dell’impianto si associa un miglioramento particolarmente consistente del ren-dimento elettrico dell’impianto al crescere della ta-glia, fenomeno che si è particolarmente accentuato negli ultimi anni per effetto, tra gli altri fattori, di un crescente ricorso, negli impianti di taglia maggiore, a motori diesel di derivazione marina. Di fatto, con-siderato il livello di investimento e la producibilità annua, si può stimare che tra non molto produrre energia elettrica in impianti ad olio vegetale di taglia superiore a 50 MWe sarà economicamen-te sostenibile anche con un ridotto contributo incentivante (a patto di accedere a materia prima ad un prezzo “competitivo”). Il futuro sviluppo di questi grandi impianti ad olio vegetale, quindi, più che dall’esistenza di un efficace sistema di incentiva-zione, dipenderà dalla possibilità di accedere, ad un costo conveniente e con un certo livello di sicurezza, ad una fornitura continua nel tempo di olio vegetale che rispetti i vincoli di sostenibilità.

L’olio vegetale per 5.2.2.3 autotrazione

Un impiego ad oggi marginale dell’olio vegetale, ma comunque di interesse e che merita di essere citato, riguarda il suo utilizzo in forma pura (ossia sen-za essere prima trasformato in biodiesel) per au-totrazione. Va subito detto che, per impiegare olio vegetale puro in motori a ciclo diesel sono necessari alcuni aggiustamenti tecnici dovuti ad alcune speci-ficità dell’olio vegetale rispetto al diesel tradizional-mente impiegato. L’olio vegetale, infatti, è contrad-distinto da una maggiore viscosità, un più elevato punto di infiammabilità e dalla tendenza a formare più depositi ed incrostazioni.È possibile stimare che oggi in Italia venga impie-gato un quantitativo decisamente marginale di olio vegetale puro per scopi di autotrazione (il BOX 5.6 riporta un caso di azienda agricola che ne fa uso), stimabile in pochi punti percentuali rispetto al consumo di gasolio tradizionale.

5.2 Il mercato

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Box 5.6 Un caso di di utilizzo dell’olio vegetale puro per autotrazione

L’ Azienda Agricola Mondeggi Lappeggi di Bagno a Ri-poli, in Provincia di Firenze, nel 2008 ha effettuato un investimento in un trattore agricolo con motore modi-ficato per l’utilizzo di olio vegetale puro. Il trattore John Deere 6230 Premium è stato modificato dall’azienda tedesca VWP, con sede a Norimberga e attiva nelle tec-nologie per lo sfruttamento degli oli vegetali. Il trattore viene utilizzato per le operazioni di manutenzione e ge-stione forestale. L’utilizzo di olio vegetale al posto del tradizionale gasolio agricolo garantisce numerosi bene-fici ambientali, fra cui ridotte emissioni di CO2 (circa il 50% in meno rispetto ad un motore diesel tradizionale), praticamente nulle emissioni di SOx e significative ridu-zione delle emissioni di particolato. La gestione del trat-tore modificato non differisce da quella di un normale mezzo alimentato a gasolio agricolo. Anche per quanto riguarda le prestazioni si è rilevato un funzionamento

assolutamente in linea con quello ottenibile con combu-stibile tradizionale. I semi delle oleaginose utilizzate per l’alimentazione del trattore sono prodotti nell’azienda agricola e successivamente spremuti meccanicamente. Sulla base dei dati di produzione ed estrazione, è sta-ta valutata una differenza media di costo di circa 0,10 € al litro a favore dell’olio vegetale puro. L’acquisto del kit di trasformazione del motore è stato finanziato dalla Commissione Europea, nel corso del progetto “VOICE – Vegetable Oil Initiative Cleaner Environment”. Consi-derando un ammontare di ore di utilizzo annuo pari a 1.000, un costo del kit di modifica intorno ai 5.000 €, un consumo di circa 9 litri di olio vegetale puro per ogni ora di funzionamento e, infine, un risparmio di costo di circa 0,1 € per litro nel caso si utilizzi olio vegetale puro rispetto a gasolio agricolo, si ottiene un tempo di rientro dell’investimento di circa 5,5 anni.

5. GLI OLI VEGETALI

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L’obiettivo di questa sezione è di descrivere le ca-ratteristiche della filiera industriale della pro-duzione di energia da olio vegetale in Italia, con particolare riferimento al peso relativo degli ope-ratori stranieri rispetto a quelli italiani, ai volumi d’affari generati ed alle marginalità industriali che si registrano nelle diverse aree di business in cui si articola la filiera.

La filiera dell’olio vegetale, 5.3.1 i volumi d’affari e le marginalità

Se si esclude l’attività di produzione o importazione di olio vegetale, di cui si è parlato nel PARAGRAFO 5.2.2, è possibile suddividere la filiera della produ-zione di energia in impianti alimentati ad olio vege-tale nelle seguenti aree di business:

•Tecnologie e componenti, in cui competono le imprese che sviluppano e forniscono le diverse

componenti di cui si compone l’impianto, ossia motori per i gruppi cogenerativi, silos e cisterne per lo stoccaggio degli oli e tubature e pompe per la loro movimentazione. Come discusso nella CA-PITOLO 1.5, si tratta di sistemi di generazione elet-trica che impiegano tecnologie piuttosto mature, in cui il componente critico è rappresentato dal motore, solitamente diesel a basso numero di giri e spesso di derivazione navale;

•Progettazione e installazione, in cui sono attivi gli operatori che si occupano dell’attività di pro-gettazione e installazione dell’impianto secondo il modello EPC;

•Produzione e trading di energia, che compren-de le imprese che investono nella realizzazione dell’impianto, che si occupano della sua gestione e beneficiano della vendita dell’energia prodotta e del contributo incentivante ad essa associato.

La FIGURA 5.8 riporta il numero di imprese attive nelle diverse fasi nella filiera italiana, divise in base alla loro provenienza geografica.

5.3La filiera

Figura 5.8 Imprese nella filiera della produzione di energia da olio vegetale in Italia

Mercato degli impiantiper la produzione

di energia da oli vegetali

26%

21%

53%

77% 100%

7%

16%

Tecnologie & componenti

Progettazione & installazione

16 Imprese 44 Imprese 54 Imprese

Produzione & Trading di energia

Impresa italiana Impresa estera con filiale italiana Impresa estera

5.3 La filiera

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Si nota innanzitutto come, complessivamente, si possa parlare di un comparto industriale che in Italia coinvolge oltre 100 operatori, distribuiti lungo le diverse fasi della filiera. Il segmento della produzione di tecnologie e componenti, special-mente con riferimento al componente fondamen-tale rappresentato dal motore, presenta un elevato grado di concentrazione, con pochi grandi player che si spartiscono il mercato italiano. Molti di que-sti sono imprese straniere (quali Man, Mitsubishi, Caterpillar o Wartsila), che possono vantare una pluriennale esperienza nello sviluppo e produzio-ne di motori facilmente adattabili per queste ap-plicazioni. La presenza delle imprese italiane sale invece se ci si sposta a valle. Per quanto riguarda la progettazione ed installazione dell’impianto, la grande maggioranza (poco meno dell’80%) degli EPC contractor è italiana, mentre la presenza di im-prese straniere, specialmente di quelle senza una filiale commer-ciale o produttiva nel nostro Paese, è decisamente limitata. Questo ov-viamente è dovuto all’importanza che la presenza locale e la vicinanza geografica rivestono nell’attività di progettazione ed instal-lazione, che spesso richiede un contatto diretto con il cliente per diversi mesi, prima che la realizzazio-ne dell’impianto possa essere completata, e che tipi-camente prosegue anche oltre l’installazione, con i necessari servizi di assistenza e manutenzione post

vendita. Spostandosi ancora più a valle, nella fase di produzione e trading di energia, si rileva come la totalità delle imprese che sono titolari di un impianto e beneficiano della vendita dell’energia che esso produce sono italiane. Questo lascia in-tendere che, nonostante in Italia il sistema di in-centivazione, come mostrato nel CAPITOLO 5.1, è particolarmente generoso anche rispetto a quanto accade in altri paesi europei, gli operatori stranie-ri non hanno ancora visto nell’Italia un territorio di caccia, in questo ostacolati dall’instabilità della stessa normativa italiana, come il caso dei Certifi-cati Verdi illustra in modo particolarmente eviden-te (SI VEDA CAPITOLO 5.1).

Dal punto di vista dei ricavi, è possibile stimare che nel 2010 il mercato della pro-duzione di energia in impianti alimentati ad olio vegetale ab-bia generato un volume d’affari complessivo di oltre 1,1 mld €. Si tratta di un valore decisamente importante, di poco superiore al volume d’affari fatto registrare nel

2010 dal settore del biogas e del recupero energeti-co da RSU, che fa dell’olio vegetale utilizzato per la produzione di energia elettrica la seconda forma, dopo le biomasse di origine agroforestale, di sfrut-tamento delle biomasse nel nostro Paese.Per quanto riguarda invece l’analisi delle redditivi-tà, il risultato dell’indagine sui bilanci è sintetizza-

0

5%

10%

15%

20%

25%

30%

Tecnologia e componenti Progettazione e installazione Produzione e trading di energia

10%13%

20%

Figura 5.9 EBITDA Margin medio delle imprese operanti nelle diverse fasi della filiera della produzione di energia da olio vegetale

“La scelta del motore per i grandi impianti è obbligata, le imprese

leader in questo comparto sono non più di 4-5.”

Amministratore Delegato di una società di progettazione e installazione di impianti ad

olio vegetale

5. GLI OLI VEGETALI

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ta nella FIGURA 5.9. Si nota innanzitutto come la produzione dei componenti dell’impianto, com-preso in particolare il motore, sia contraddistinta da una marginalità piuttosto contenuta, che si aggira intorno al 10% di EBITDA Margin medio. Nonostante la centralità di questo componente per il corretto funzionamento dell’intero impianto ed il regime di particolare concentrazione in cui opera-no i fornitori, le tecnologie in gioco sono piuttosto mature e consolidate, il che ha un impatto negati-vo sul potere contrattuale del produttore. Sale la marginalità delle società coinvolte nelle fasi di progettazione ed installazione, nonostante esse si mantengano a livelli non particolarmente eleva-ti, intorno al 12-13%. Questo si spiega con il fat-to che la progettazione dell’impianto è un’attività piuttosto standard, che sostanzialmente richiede di dimensionare le varie componenti del sistema (silos e cisterne per lo stoccaggio degli oli, appa-recchiatura per il filtraggio e tubature e pompe per la movimentazione) alle caratteristiche del motore selezionato. Oltre a ciò, bisogna considerare che negli ultimi anni si è assistito ad una crescita del-la competizione in questa area di business, che ha sicuramente contribuito a spingere verso il basso i margini di questi operatori.

Infine, è interessante rilevare gli elevati livelli di marginalità industriale conseguiti nell’attività di produzione e trading dell’energia elettrica, soste-nuti dalla generosità del sistema di incentivazione in vigore nel nostro Paese e che possono raggiun-gere anche il 20% di EBITDA Margin. Da notare è anche la rilevante variabilità di questo indicatore riscontrata nel corso dell’analisi empirica, il che si spiega principalmente con la forte instabilità del prezzo dell’olio vegetale importato, attraverso cui si alimentano gran parte degli impianti in funzione nel nostro Paese. Complessivamente, quindi si os-serva un aumento consistente della marginalità in-dustriale media mano a mano che ci si sposta verso le fasi a valle della filiera. Il fatto che in queste aree di business la presenza delle imprese sia particolar-mente forte suggerisce che gran parte dei generosi incentivi erogati ai titolari di impianti va in real-tà a sostenere la crescita degli utili di operatori locali, diversamente da quanto accade invece in al-tre filiere industriali delle energie rinnovabili, quali ad esempio il fotovoltaico, in cui le aree di business a più alta marginalità sono appannaggio di player stranieri.

Area di 5.3.2 business “Tecnologie e componenti”

I principali produttori di motori per applicazioni in impianti ad olio vegetale sono riportati nella TA-BELLA 5.3. Come si nota dall’analisi dei dati in tabel-la, è possibile distinguere due tipologie di imprese attive sul mercato italiano: quelle che si focalizzano su impianti di grande taglia, utilizzati prevalente-mente in sistemi con potenza complessiva installata vicina o superiore a 10 MWe, e quelle che invece sono più concentrate su motori di piccole dimensioni, im-piegati tipicamente in sistemi con potenza elettrica inferiore a pochi MWe. In tutti e due i casi, i prin-cipali operatori sono in larga misura stranieri, di grandi dimensioni, con una filiale in Italia. Il fatto di disporre di una filiale nel nostro Paese assicura un grande vantaggio relativo alla possibilità di offrire più facilmente servizi di installazione e di assistenza post vendita in caso di malfunzionamenti. L’installazio-ne, soprattutto per gli impianti di grande taglia, cui sono quindi associati investimenti considerevo-li, è spesso realizzata dall’impresa produttrice del motore e la filiale in Italia permette a queste imprese di poter gestire al meglio gli ordini dei clienti. I grup-pi industriali, quali Wartsila, MAN, Mitsubishi e Ca-terpillar, che realizzano motori per i grandi impianti ad olio vegetale, sono specializzati nella realizzazione di motori di grandi dimensioni anche per altri uti-lizzi (come il trasporto) e hanno convertito ed adat-tato i proprio prodotti per la generazione di energia elettrica. Il settore della produzione di energia da oli vegetali rappresenta tuttavia ad oggi per essi una parte marginale dei loro ricavi. Il driver più impor-tante che spiega la scelta di un particolare motore rispetto ad un altro è certamente l’affidabilità e in relazione alle ore di funzionamento che essi pos-sono garantire. Va detto tuttavia che gli standard di qualità attualmente raggiunti, grazie anche all’elevata maturità dei prodotti, hanno decisamente ridotto le differenze tra produttori da questo punto di vista.

Anche nel caso degli impianti di taglia minore i motori sono tipicamente realizzati e forniti da imprese stranie-re, come la Deutz e la Daewoo. Queste ultime, tuttavia, spesso operano attraverso l’export, senza sfruttare delle filiali localizzate nel nostro Paese. Ciò si spiega con la minore complessità tecnologica ed impiantisti-ca di queste installazioni, che consente ai produttori di tecnologia di delegare spesso l’installazione ad imprese

5.3 La filiera

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locali selezionate dai progettisti. Inoltre bisogna rile-vare come la competizione in questo comparto dei motori di minori dimensioni sia decisamente più accesa rispetto al caso dei grandi impianti, con i for-nitori che investono molto più decisamente in ricerca e sviluppo alla ricerca di migliori efficienze dei loro prodotti e cercano di agire sul prezzo per conquistare quote di mercato maggiori.

Per quanto riguarda gli operatori italiani, l’unica impresa con una presenza importante nella pro-duzione di motori è l’Isotta Fraschini, che ha le competenze per realizzare completamente interna-mente, in Italia questo componente. I sistemi forniti da questa impresa non superano tuttavia i 2 MWe e si adattano quindi solo ai piccoli impianti. Esistono poi diverse altre imprese italiane, di minori dimen-sioni, che offrono gruppi cogenerativi per piccoli impianti utilizzando tuttavia dei componenti chiave (motore compreso) forniti da player stranieri, effet-tuando in Italia solo l’assemblaggio finale in modo da offrire al cliente un prodotto completo. Nel complesso, non pare che in questa area di bu-

siness le nostre imprese possano trovare particolare spazio e conquistarsi consistenti quote di mercato nel prossimo futuro, anche a fronte di una pos-sibile crescita ed espansione dei volumi d’affari. Come più volte accennato, le tecnologie sono a tal punto mature e consolidate da determinare un significativo vantaggio per quei player che pos-sono sfruttare consistenti economie di scala e di apprendimento, derivanti dalla contemporanea presenza su più mercati e da una più lunga tradi-zione di attività in questo comparto.

Area di 5.3.3 business “Progettazione e installazione”

Per quanto concerne l’area di business “progettazio-ne e installazione”, la TABELLA 5.4 riporta un elenco dei principali EPC contractor e studi di progettazio-ne attivi sul mercato italiano.L’analisi empirica ha messo in luce l’esistenza di due diverse tipologie di EPC contractor che operano in

Impresa SedePresenza sul

mercatoTipologia Fatturato 2009*

Mitsubishi Agrate Brianza Filiale in ItaliaGeneratori diesel ad

olio vegetale2.097.602.000

Wartsila Trieste Filiale in ItaliaGeneratori diesel ad

olio vegetale341.554.512

Caterpillar Bologna Filiale in ItaliaGeneratori diesel ad

olio vegetale159.706.189

Daewoo Agrate Brianza Filiale in ItaliaImpianti di piccola

taglia150.490.834

Isotta Fraschini Bari Impresa italianaImpianti di piccola

taglia23.337.031

Man Diesel Genova Filiale in ItaliaGeneratori diesel ad

olio vegetale6.061.919

Deutz Germania Impresa esteraImpianti di piccola

taglia927.000

Senertec Germania Impresa esteraImpianti di piccola

taglian.d.

Tabella 5.2 I principali operatori nell’ara di business “Tecnologie e componenti”

*per le imprese estere senza filiale in Italia è stato riportato il fatturato complessivo, mentre per le altre quello realizzato in Italia.

5. GLI OLI VEGETALI

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Tabella 5.3 I principali operatori nell’ara di business “Progettazione e installazione”

*per le imprese estere senza filiale in Italia è stato riportato il fatturato complessivo, mentre per le altre quello realizzato in Italia.

Impresa SedePresenza sul

mercatoTipologia Fatturato 2009*

Cefla Imola (BO) Impresa italianaEPC Contractor

generico312.994.574

Inso Firenze Impresa italianaEPC Contractor

generico177.692.615

Intergen (IMLS Impianti) Lomagna (LC) Impresa italianaEPC Contractor

specializzato rinnovabili

35.959.424

CEG Como Impresa italianaEPC Contractor

specializzato rinnovabili

24.735.803

TermoindustrialeSanta Vittoria d’Alba

(CN)Impresa italiana

EPC Contractor specializzato rinnovabili

19.856.681

AltertecnoCalderara di Reno

(BO)Impresa italiana

EPC Contractor specializzato rinnovabili

10.647.218

Co. Stell Forlì Impresa italianaEPC Contractor

specializzato rinnovabili

4.154.270

Energen (Italcom)Castiglione delle

Stiviere (MN)Impresa italiana

EPC Contractor specializzato rinnovabili

3.793.958

IBT Villorba (TR) Impresa italianaEPC Contractor

generico3.400.728

Sinergo Mestre (VE) Impresa italianaEPC Contractor

generico3.280.019

TEI Milano Impresa italianaEPC Contractor

generico2.222.400

Termoservice Cerano (NO) Impresa italianaEPC Contractor

specializzato rinnovabili

648.972

CC Engineering Meda (MB) Impresa italianaEPC Contractor

genericon.d.

TecnoEnergySun Carrara Impresa italianaEPC Contractor

specializzato rinnovabili

n.d.

5.3 La filiera

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questa area di business: (i) imprese specializzate nel-la progettazione e gestione di impianti alimentati da fonti rinnovabili di energia, che hanno come cliente target quelle piccole e medie imprese che decidono di investire in un impianto ad olio vegetale per gestire al meglio il proprio approvvigionamento energetico e per aumentare la loro autonomia energetica; (ii) imprese, spesso parte di grandi gruppi industriali, che non operano solo nel campo degli impianti per la produzione di energia ma che, avendo competen-ze molto vaste ed articolate, sono attive anche nella progettazione e realizzazione di altre infrastrutture complesse. Normalmente, questi operatori sono in grado di seguire al meglio progetti di maggiore com-plessità, di taglia decisamente superiore. Di questo gruppo di imprese fanno parte operatori come Cefla (SI VEDA BOX 5.7) o la Inso, impresa di Firenze che opera da oltre 30 anni come EPC Contractor, che si occupano anche di impiantistica complessa per ap-plicazioni civili ed industriali.

Tipicamente l’EPC contractor è in grado di realiz-zare impianti chiavi in mano partendo dallo studio di fattibilità e dalla progettazione, passando attra-verso l’approvvigionamento dei componenti costi-tutivi, l’installazione e l’avviamento dell’impianto. È inoltre ormai consuetudine per l’EPC contractor offrire anche contratti di service ed assistenza plu-riennale. Normalmente tutte queste attività vengo-no svolte internamente dell’EPC contractor, mentre le attività di montaggio sono spesso appaltate a so-cietà esterne.Oltre agli EPC contractor, nel segmento degli

impianti di taglia minore, inferiore ai 10 MWe, operano anche numerosi studi di ingegneria e progettazione che hanno recentemente ampliato la loro offerta di prodotti a quelli riguardanti le energie rinnovabili, oli vegetali compresi. Queste imprese, quali la Intergen (SI VEDA BOX 5.8) e la Al-tertecno, offrono servizi completi come gli EPC con-tractor descritti precedentemente, ma decisamente più standardizzati. Questo si spiega con il fatto che gli impianti di piccola taglia su cui si concentrano sono piuttosto semplici e non richiedono la messa a punto di soluzioni costruttive o impiantistiche particolari. Inoltre per gli impianti di piccola taglia, particolarmente critica è diventata negli ultimi tem-pi la capacità di assicurare al cliente una fornitura di olio da utilizzare come materia prima per ali-mentare il funzionamento dell’impianto. Infat-ti oltre alla semplice progettazione e realizzazione dell’impianto alcune società offrono ai propri clienti anche contratti per la fornitura dell’olio per alimen-tare l’impianto. Si segnala anche il caso di alcune imprese di progettazione che, al crescere dei volu-mi trattati, hanno creato società esterne alle quali si appoggiano per il trading dell’olio. Queste società trattano oli di qualsiasi genere, dall’olio d’oliva ali-mentare, ai sottoprodotti dell’olio (oleine), fino agli oli vegetali usati per la combustione degli impianti di cogenerazione.

Particolare il caso della CC Engineering che, fon-data nel 2010, ha deciso di operare in questo seg-mento attraverso un modello di “filiera totale” (SI VEDA BOX 5.9).

Box 5.7 Cefla

La Cefla, fondata nel 1932, ha sede a Imola e filiali ope-rative a Milano, Roma e Rotello (CB). Essa dispone di una business unit, la Cefla Impianti Group, composta da 140 dipendenti, dedicata alla progettazione, realizzazione e manutenzione di impianti di cogenerazione a gas per la produzione di energia, dal 2006 anche alimentati da fonti rinnovabili. Oltre al comparto dell’energia ed in particolari delle rinnovabili, Cefla è una realtà estremamente diversi-ficata attiva anche nel campo delle apparecchiature odon-toiatriche, in quello dell’arredamento e della verniciatura del legno. In aggiunta alle biomasse, l’impresa opera anche nel campo della cogenerazione industriale, nella costruzio-

ne di impianti tecnologici per edifici civili, industriali ed infrastrutture (condizionamento, riscaldamento, idrosa-nitario, elettrico e speciale, teleriscaldamento) e nella ge-stione e manutenzione pluriennale degli impianti tecnolo-gici realizzati. La maggior parte del fatturato di Cefla, che nel 2009 è stato di 70,5 mln di €, viene realizzata in Italia. Complessivamente l’impresa ha realizzato un totale di 60 MW di impianti alimentati a biomasse liquide. Le attività di progettazione, approvvigionamento, direzione lavori e avviamento di tutti gli impianti di produzione di energia realizzati sono svolte direttamente dalla società, mentre vengono appaltate all’esterno le attività di montaggio.

5. GLI OLI VEGETALI

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Box 5.8 Intergen

Box 5.9 CC Engineering

Intergen, fondata nel 1988 e oggi con più di 130 dipenden-ti, ha sede centrale a Lomagna, in provincia di Lecco, e ope-ra dal 2002 nell’ambito della progettazione e realizzazione di impianti alimentati da biomasse liquide. In aggiunta al campo delle rinnovabili, Intergen è attiva nella progettazio-ne e costruzione di impianti di cogenerazione alimentati da combustibili convenzionali (soprattutto gasolio e metano)

e biogas, e in quello della distribuzione di motori a gasolio per forza motrice (destinati per esempio a trattori, scava-tori, pompe). Il fatturato nel 2009 della business unit attiva nel campo dell’energia ammonta a 36 mlni €. Nella filiera della produzione di energia da olio vegetale, la società si occupa dalla progettazione, costruzione, collaudo e manu-tenzione delle centrali.

CC Engineering, fondata nel 2010, ha sede a Meda (MB) e dispone di altre filiali operative a Montagnana (PD), Civitanova Marche (MC), Rimini, Andria (BT) e Trani (BT). Essa opera principalmente nell’ambito della progettazione e costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. In aggiunta al settore delle rinnovabili (biomasse liquide e solide, eolico e idroelettrico), CC Engineering è attiva anche nel campo delle telecomu-nicazioni, con installazioni di impianti per la telefonia mobile. L’impresa, con 25 dipendenti, opera esclusiva-mente in Italia, principalmente in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche e Puglia, ma ha anche una sede a Timisoara, in Romania, per la produzione di olio vegetale. Il fatturato nel 2010 è stato di 5 milioni di €,

mentre le previsioni su quello 2011 salgono a oltre 16 milioni di €. Rispetto alla filiera della produzione di energia da olio vegetale, la società è forse l’unica in Ita-lia ad utilizzare un modello che potremmo definire del-la “filiera totale”, che prevede un presidio su tutte le atti-vità della filiera, dalla raccolta, spremitura, trasporto e stoccaggio dell’olio, passando per le opere civili, i lavori elettrici, il montaggio ed il collaudo dell’impianto, fino alla gestione dello stesso, la manutenzione ordinaria e straordinaria e la gestione dell’approvvigionamento della materia prima. L’impresa intende rafforzare que-sta strategia integrata investendo in 2 nuove stazioni di premitura in Italia, una nel Nord ed una nel Sud del Paese.

Area di 5.3.4 business “Produzione e trading di energia”

Come si è accennato in preceden-za in questo capitolo, i titolari de-gli impianti alimentati ad olio vegetale esistenti in Italia sono tutte società italiane, che hanno deciso di realizzare questo tipo impianto per diversificare i propri investimenti e interessate ai possibili guadagni at-tualmente realizzabili dalla produzione di energia da fonte rinnovabile. Diverse imprese hanno in progetto nuovi importanti investimenti in que-sta tipologia di impianti. Tra di esse si ricordano

Ital Green Energy del Gruppo Marseglia e Fri-El Group. La prima si contraddistingue per avere ne-gli anni maturato competenze nel campo dell’ap-provvigionamento degli oli vegetali, essendo nata ed avendo per molto tempo operato come produt-tore di biodiesel. Per Fri-El, invece, la scelta di in-

vestire in impianti ad olio vegetale rientra nella strategia competitiva che da alcuni anni ha adottato e che consiste nell’incrementare de-cisamente la propria capacità pro-duttiva in impianti alimentati a

fonti rinnovabili. Il BOX 5.10 descrive il caso di un impianto recentemente realizzato dall’impresa Bio Energia Guarcino, mentre la TABELLA 5.4 riporta le prime imprese italiane per capacità complessiva installata in impianti ad olio vegetale.

“In Puglia il Gruppo Marseglia ha installato quasi un terzo di tutta la

potenza italiana.”

Titolare di un impianto ad olio vegetale

5.3 La filiera

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Impresa Entrata in funzione Sede Impianto Potenza elettrica (MWe)

Ital Green Energy 2002 – 2009Monopoli (BA) e Molfetta

(BA)194,9*

FRI-El 2008 Acerra (NA) 76,5

Unigrà 2008 Conselice (RA) 58,2

Biopower 2009 Ottana (NU) 36,5

Dister Energia 2009 Faenza (RA) 34

Seca Di Piombino 2009 Piombino (LI) 24,7

BEG - Bio Energia Guarcino 2010 Guarcino (FR) 21,2

Bolzano Energia 2010 Fortezza (BZ) 10

Tabella 5.4 I principali titolari di impianti per la produzione di energia elettrica ad olio vegetale in Italia

*la potenza totale deriva dalla somma di più impianti posseduti dalla stessa impresa

Box 5.10 L’impianto di BEG - Bio Energia Guarcino

Nel Luglio 2010 è stato inaugurato a Guarcino, in pro-vincia di Frosinone, un impianto di cogenerazione da olio vegetale (in particolare, olio di palma). L’impianto si trova nel complesso produttivo delle Cartiere di Guar-cino ed è controllato da Bio Energia Guarcino (BEG), frutto della partnership tra l’impresa di progettazione CEG (50%), le Cartiere di Guarcino (20%) e la Finanzia-ria Valentini (30%). L’investimento complessivo è stato di 22 mln €. I tre motori endotermici Wartsila ed i tre generatori di vapore consentono di produrre comples-sivamente 20,6 MW elettrici e 7,7 MW termici (corri-

spondenti a 10,5 tonnellate all’ora di vapore). Si tratta di una produzione energetica importante, che oltre a com-pensare totalmente il fabbisogno energetico delle Car-tiere di Guarcino renderà disponibile in rete più di 11 MW elettrici. Le Cartiere di Guarcino oggi consumano a pieno regime 12 mln di m3 di gas metano e 60 mln di kWh di energia elettrica all’anno, emettendo in atmosfe-ra circa 24.000 tonnellate di CO2 da combustibile fos-sile. Con l’avviamento dell’impianto di cogenerazione, essa potrà ridurre la emissioni di CO2 da combustibile fossile di oltre il 70%.

5. GLI OLI VEGETALI

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I BIOCARBURANTI

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Secondo le stime dell’IEA1 (SI VEDA LA FIGURA 6.1) entro il 2035 il settore dei biocarburanti beneficerà di ulteriori investimenti in Ricer-ca & Sviluppo per 335 mld di $, il 64% dei quali andrà ancora ap-pannaggio della cosiddetta “prima generazione” (ossia prodotti de-rivanti da un processo che impie-ga materie prime che potrebbero essere alternativamente destinate all’alimentazione umana o animale), con l’etanolo – che oggi conta per il 75% degli oltre 40 mln di tep2

di biocarburanti prodotti nel Mondo – a prendersi ovviamente la lion’s share. Delle tecnologie che stan-no alla base della produzione di bioetanolo e del biodiesel di “prima generazione” si è già parlato dif-fusamente nella scorsa edizione del Biomass Energy Report3, vale quindi la pena concentrarsi qui sulle aree di ricerca che appaiono più promettenti per le successive “generazioni” di biocarburanti. In parti-colare – se si considera che gli investimenti attesi nel biodiesel di “nuova” generazione (17% del totale previsto dall’IEA) superano anche se di poco quelli

sul bioetanolo (14%), mostrando una interessante inversione di tendenza rispetto allo stato attuale del

settore – ci si focalizzerà sulla pro-duzione di oli vegetali da alghe, for-nendo un quadro completo dello stato dell’arte delle tecnologie e una panoramica dei principali operato-ri coinvolti, fra i quali anche alcune imprese italiane.

Le tecnologie per la 6.1.1 produzione di oli vegetali da alghe

Il termine ‘alga’ si riferisce comunemente ad un am-pio insieme di organismi, accomunati dalla capacità di svolgere il processo di fotosintesi clorofilliana e di vivere in ambiente acquatico. In particolare, per gli impieghi che hanno a che vedere con la pro-duzione di oli vegetali (e che quindi sono correla-ti alla produzione di biodiesel), si fa usualmente riferimento alle cosiddette microalghe, organismi

6.1La tecnologia

“Fino a qualche tempo fa pensavamo che il prefisso “bio” associato ai

carburanti facesse poca strada … oggi ormai è una realtà con cui non si può fare a meno di confrontarsi.”

Responsabile R&D di una impresa produttrice di carburanti tradizionali

Figura 6.1 Percentuale ed entità degli investimenti in biocarburanti entro il 2035

Etanolo 1° generazione

10%

14%

5%

Biodiesel 1° generazione

Etanolo “nuove” generazioni

Biodiesel “nuove” generazioni

Biocarburanti per aviazioni

17%

54%

335 mld $

1 International Energy Agency, www.iea.org.2 Il tep è l’acronimo di “tonnellata equivalente di petrolio” e rappresenta convenzionalmente la quantità di energia rilasciata dalla combustione di una tonnellata di petrolio grezzo (corrispondente a circa 11.628 kWh).3 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 161.

6.1 La tecnologia

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fotosintetici unicellulari eucarioti, dalle dimensioni generalmente inferiori ai 30 µm, in grado di con-vertire l’energia solare in carboidrati o in grassi. Gli studiosi hanno osservato che alcune specie di microalghe hanno la capacità di modulare la propria composizione biochimica se sottoposte a opportune condizioni, come ad esempio l’elevata esposizione alla luce o la starvazione (un partico-lare trattamento che prevede l’impiego di azoto), producendo e accumulando una grande quantità di grassi (soprattutto trigliceridi, che sono “l’in-grediente base” degli oli vegetali), sino al 60% del loro peso secco. I vantaggi potenzialmente derivanti dall’utilizzo di colture algali per la produzione di biodiesel sono molteplici:

• le alghe, a parità di estensione della coltivazio-ne, garantiscono una produttività maggiore ri-spetto ad altre piante oleaginose e, soprattutto, non entrano in competizione con l’agricoltura finalizzata all’alimentazione umana. Per quanto concerne la produttività, basti pensare che dalle alghe si possono ottenere mediamente 12.000 litri di biocarburante per ettaro all’anno, contro i 5.900 l/ha dall’olio di palma, i 1.900 l/ha dalla jatropha, gli 800 l/ha dal girasole e i 600 l/ha dalla soia;

• le alghe sono estremamente versatili e possono essere coltivate in acqua dolce, in acqua salata e in taluni casi anche in acque reflue, riducendo quindi potenzialmente anche la competizione per le risorse idriche;

• le alghe necessitano per la loro crescita di CO2 che può anche essere “recuperata” dalle emissioni

industriali4. A differenza, infatti, delle colture ve-getali correntemente utilizzate (ad esempio soia, colza, …), è possibile localizzarne la produzione anche in prossimità di insediamenti industriali, eventualmente aggiungendovi i già citati benefici derivanti dallo sfruttamento delle acque reflue.

Lo sfruttamento delle alghe per la produzione di olio vegetale e quindi – dopo la sua trans esterificazione5

– di biodiesel prevede tuttavia il ricorso a tecni-che relativamente complesse e, in larga misura, ancora sperimentali. Il processo è stato oggetto di lunghe analisi da parte del mondo scientifico nel corso degli ultimi 30 anni, a partire dall’Aquatic Species Program iniziato nel 1978 dal Department Of Energy (DOE) degli USA, ed è ad oggi suddivi-dibile in quattro fasi distinte (SI VEDA FIGURA 6.2): una prima fase di coltivazione della specie algale, che può avvenire alternativamente in sistemi aper-ti o in sistemi chiusi; la raccolta ed essicazione dei microrganismi che devono essere separati dall’ac-qua di coltura, l’estrazione vera e proprio dell’olio vegetale tramite rottura delle cellule e, infine, la transesterificazione dell’olio in biodiesel. Se si ec-cettua l’ultima fase e, almeno parzialmente, la penultima che hanno raggiunto un certo grado di maturità per le altre sono ancora invece allo studio diverse alternative.

Nella fase di coltivazione le alghe devono essere adeguatamente alimentate con energia radiante, anidride carbonica e nutrienti minerali. La colti-vazione può essere di tipo “indoor” o “outdoor” e, in base alle caratteristiche dell’impianto, si di-stinguono i cosiddetti sistemi aperti dai sistemi

4 Il computo della CO2 prodotta è fatto sulla base dell’intero ciclo di vita del prodotto, dalla generazione della materia prima e sino alla dispersione dei residui della sua combustione. Rispetto alla benzina tradizionale, il biocarburante gode del vantaggio che la CO2 prodotta dalla combustione è, anche se in misura differente, controbilan-ciata dalla CO2 assorbita per fotosintesi clorofilliana dalla materia prima da cui è prodotto.5 Nella reazione di trans-esterificazione un alcol, generalmente metanolo o etanolo, reagisce con i trigliceridi presenti nell’olio vegetale per produrre, in presenza di un catalizzatore, il biodiesel. Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 164.

Figura 6.2 Processo di produzione di biodiesel da microalghe

COLTIVAZIONE ALGHE

RACCOLTA E ESSICCAMENTO

ESTRAZIONE LIPIDI/OLIO VEGETALE

BIODIESELTRANSESTERIFICAZIONE

6. I BIOCARBURANTI

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chiusi. La scelta fra le diverse tipologie di coltiva-zione è la soluzione del trade off fra le esigenze di crescita e qualità del prodotto (con il controllo ad esempio di temperatura, pH, salinità dell’acqua) ed i costi di realizzazione, ma anche di gestione e manutenzione.

I sistemi aperti, che sono generalmente realiz-zati outdoor, sono grandi vasche (denominate open ponds) contenenti l’acqua, le alghe e i nu-trienti necessari per la coltivazione. Le open pon-ds possono essere di diverse forme e dimensioni, ma la configurazione più diffusa è quella cosiddet-ta delle raceway ponds (SI VEDA FIGURA 6.3) carat-terizzate dalla presenza di un percorso circolare e di un sistema di pale che mantiene in movimento

il contenuto delle vasche, che hanno generalmente una profondità di 15-20 cm ed una concentrazione algale di un grammo di biomassa secca per litro. E’ necessario movimentare le alghe per garantire un’adeguata esposizione alla luce solare e quindi aumentare la resa fotosintetica degli organismi coltivati, che può raggiungere nei periodi di pic-co i 10-25 g/m2 al giorno.

I sistemi aperti richiedono investimenti general-mente limitati per la costruzione (dell’ordine di circa 70.000 €/ha) e la manutenzione (soprattut-to per l’energia elettrica e l’insufflazione di CO2) e possono inoltre essere facilmente integrati con i sistemi fognari delle acque reflue (SI VEDA BOX 6.1). Allo stesso tempo, tuttavia, è molto più com-

Box 6.1 Il “sistema aperto” per la produzione di alghe a Melbourne

L’impianto di trattamento delle acque reflue di Melbou-rne - WTP (Western Treatment Plant) - è il più grande im-pianto di acque reflue della Regione Victoria e raccoglie la rete fognaria degli oltre 2 mln di abitanti di Melbourne. L’impianto occupa circa 12.000 ettari di terreno di pro-prietà della società Melbourne Water e “genera” circa 440 mln litri di acqua trattata al giorno. Nel corso del 2010 si sono completati gli studi di fattibilità e si è avviata la fase realizzativa di un progetto ad opera dell’australiana

Blue Sundial (acquisita dalla connazionale Plentex, socie-tà attiva nel settore delle bioenergie) per la coltivazione di alghe ai fini della produzione di energia. Il progetto ha degli obiettivi ambizioni in termini di produttività e si basa sul fatto che le acque reflue sono comunque ricche di sostanze necessarie alla crescita delle alghe e che l’esi-stente impianto di produzione di biogas lì ubicato mette a disposizione CO2 nel flue gas, ossia gas di scarico.

Figura 6.3 Open pond per la coltivazione di alghe outdoor in Israele (fonte: www.seambiotic.com)

6.1 La tecnologia

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plesso il mantenimento delle condizioni ottimali di funzionamento, in quanto questi sistemi sono esposti ai cambiamenti delle condizioni climati-che esterne e sono pertanto facilmente contami-nabili.

I sistemi chiusi, anche detti fotobioreattori e che possono essere realizzati sia “indoor” che “out-door” sono sistemi colturali ove è possibile ga-rantire un processo controllato che permetta di mantenere condizioni ottimali allo sviluppo di specie algali. La maggior parte dei fotobioreattori attualmente in uso hanno forma tubolare, ma sono allo studio anche fotobioreattori a piastre (flat) e fotobioreattori cilindrici. Lo scambio di masse con l’esterno è nullo, e quindi tutti i componenti ne-cessari alla crescita sono immessi inizialmente nel sistema. Per aumentare l’efficienza di processo, i fo-tobioreattori devono essere progettati in modo da distribuire la radiazione luminosa su una superfi-cie estesa, e quindi garantire alle cellule l’esposizio-ne a una moderata intensità luminosa.

Oltre a consentire il risparmio di acqua, energia e componenti chimici, sistemi di questo tipo per-mettono una produttività potenzialmente mag-giore (sino a circa 47 g/m2 al giorno di biomassa secca, ossia sino al 200% in più rispetto ai siste-mi aperti) grazie alla possibilità di controllare i parametri caratteristici che regolano la crescita e lo sviluppo delle colture algali. Nei sistemi chiu-si è poi ancora più importante che in quelli aperti predisporre un adeguato sistema di mescolamento, che eviti la sedimentazione delle cellule e permetta la distribuzione di CO2, O2 e dei componenti nutri-tivi all’interno dell’impianto. Questo sistema, inol-tre, è di fondamentale importanza per movimen-tare le cellule e garantire, su base statistica, uguale irraggiamento per ogni micro-organismo.

Una volta raggiunti i volumi di utilizzo, le coltu-re possono essere poi mantenute in modo semi-continuo, continuo o in discontinuo. Il modo semi-continuo consiste nel mantenere attiva la col-tura per lunghi periodi di tempo, prelevandone ad intervalli il 20-30% e riportandola al volume origi-nario con l’introduzione di nuova acqua arricchita con alghe. Quando prelievo e ricambio avvengono in continuo, si parla di modo continuo. Entram-be queste tecniche tuttavia espongono le colture a maggiori rischi di contaminazione. Il modo di-scontinuo consiste, invece, nel portare la coltura

alla massima concentrazione possibile e nell’uti-lizzo completo in una sola volta della biomassa ottenuta. Rispetto alle precedenti, questa tecnica è più semplice, garantisce una maggiore purezza della popolazione algale, ma richiede una rigorosa programmazione delle colture.

La varietà di soluzioni tecnologiche a disposizione per la coltivazione di microalghe, le loro possibili combinazioni ed il loro stadio di sviluppo rendo-no assai difficile identificare una configurazione “dominante”, anche perché non si hanno ancora a disposizione dati sufficientemente robusti per con-sentire di risolvere il citato trade off tra l’efficienza “operativa” e la sostenibilità economica. Una oppor-tunità interessante potrebbe essere quella, attual-mente in fase di sperimentazione negli USA dalla Green Star Products, di utilizzare sistemi ibridi che utilizzino un sistema chiuso nella prima fase di sviluppo della coltivazione, il cui contenuto viene in seguito riversato in una vasca aperta quando ormai si è raggiunta una certa fase di stabilità del-lo sviluppo algale. La raccolta – mediante opportuna separazione dall’acqua di coltura – e l’essicazione delle microal-ghe sono attività del processo a basso “valore ag-giunto”, in quanto non contribuiscono alla qualità del prodotto e/o alla quantità di olio producibile, e pur tuttavia sono estremamente “costose” (sino al 50% del costo totale del processo di produzione dell’olio vegetale) vista la evidente “sproporzione” fra la dimensione degli organismi da separare ed i volumi di acqua da trattare. In una coltivazione a sistema aperto per ottenere 1 kg di alghe (peso a secco) è necessario ad esempio “processare” oltre 10.000 litri di acqua. Le tecniche attualmente in fase di sviluppo sono tre: filtrazione, centrifuga-zione e flocculazione6. Di particolare interesse, soprattutto in ottica di ottimizzazione complessi-va del processo, è la selezione di particolari specie di alghe che facilitano questa fase di separazio-ne; ad esempio la Spirulina, una specie del tipo dei Cianobatteri, con la sua naturale conformazione a spirale permette di essere filtrata con un minor di-spendio di energia.A valle della fase di raccolta e essiccazione è pos-sibile lavorare le alghe per estrarre la componente lipidica presente al loro interno. Sono disponibili attualmente diverse tecnologie, alcune maggior-mente consolidate (anche se su piccola scala, ovvero per impianti dell’ordine di 5.000 tonnellate l’anno di capacità produttiva), come i processi meccanici o

6. I BIOCARBURANTI

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chimici, altre invece di più recente sviluppo, quali ad esempio quelle che promettono di bypassare la fase di estrazione, inducendo la secrezione dell’olio vegetale direttamente dall’alga stessa.

L’attuale sviluppo di queste tecnologie – che ha dato vita per ora solo ad alcuni impianti pilota – non consente di dare un giudizio definitivo sulle stesse. In particolare, come sempre capita nel caso di processi produttivi complessi nelle loro fasi di sviluppo embrionale, è necessario procedere lun-go due direttrici: (i) l’ottimizzazione della singo-la fase del processo; (ii) l’ottimizzazione del pro-cesso nel suo complesso e la definizione di una configurazione “dominante”, anche essendo di-sposti a sacrificare qualche prestazione “singola” a vantaggio della performance di trasformazione da alga a olio. Il tutto complicato dal fatto che, trattan-dosi di organismi viventi, le possibilità di azione si estendono all’eventuale “manipolazione” ge-netica delle alghe (o ad un più attento processo di selezione delle specie esistenti) per massimiz-zarne la resa e/o le caratteristiche di stabilità/re-sistenza durante la fase di coltivazione.Ciò che appare evidente dai risultati delle prime sperimentazioni è l’elevato potenziale di queste tecnologie, non soltanto perché si pensa di poter raggiungere costi comparabili con i 75 c€/l equi-valente di gasolio, attualmente necessari per la produzione di biodiesel “standard”, ma anche perché, come citato nell’introduzione del paragra-fo, il loro impiego permette di ridurre drastica-mente il consumo di terreno e di risorse idriche (riduzione ulteriormente amplificata dalla possibi-lità di “collegarsi” ai processi industriali).

Gli operatori industriali che 6.1.2 investono nella produzione di olio vegetale dalle alghe

Le prospettive di sviluppo tecnologico che sono sta-te delineate nel paragrafo precedente non sono certo passate inosservate agli operatori che già erano attivi nella produzione di biodiesel da olio vegetale. A que-sti si sono aggiunte nuove imprese che hanno colto l’opportunità offerta dalle alghe per fare il loro ingres-so in un mercato che appare essere in forte espan-sione soprattutto nel medio termine (ossia proprio nell’orizzonte temporale più adatto per il consolidarsi del processo di estrazione degli oli dalle alghe).Dai risultati della nostra indagine emerge che sono

oltre 60 (35 delle quali negli USA) le imprese che a livello internazionale stanno investendo nella produzione di oli vegetali da alghe. La TABELLA 6.1 riporta l’elenco dei principali operatori.Si è già accennato alla rilevanza degli operatori USA, in questo facilitati dall’impulso che il Go-verno americano (e più in particolare il DOE – Department Of Energy) ha dato a partire dalla fine degli anni ’70 a questo tipo di ricerche. Basti pensare che nei tre impianti dimostrativi installati in California, alle Hawaii e in New Mexico sono state isolate e caratterizzate oltre 3.000 specie algali, 300 delle quali considerate molto promettenti per la produzione di olio vegetale. Fra le società attive nel campo vale la pena citare la Exxon – colosso mon-diale dei carburanti “tradizionali” – che ha avviato nel 2009 una collaborazione con la Synthetic Geno-mics, un centro di ricerca attivo nello studio della caratterizzazione genetica dei ceppi algali, con un investimento da 600 mln di dollari.Anche in Europa (soprattutto Spagna, Olanda e, come si vedrà meglio più avanti, Italia) vi è un certo fermento in questo ambito. Vale la pena – per similitudine con il caso della Exxon – citare la decisione della Shell che nel 2007 ha costituito una società – Cellana – per lo sviluppo di biodiesel da alghe in joint venture con la HR Biopetroleum, un centro di ricerca americano (il che conferma ancora una volta la leadership tecnologica del Paese in que-sto settore).La situazione italiana è per certi versi ancora più interessante, anche perché la principale impresa italiana (non soltanto nel settore dei carburanti), ossia Eni, sta investendo in questo tipo di tecno-logie con l’installazione, pienamente attiva dallo scorso anno, di un impianto di coltivazione pres-so la raffineria di Gela (SI VEDA BOX 6.2). Sempre nel 2010 Eni ha anche depositato il brevetto di una tecnologia proprietaria per la coltivazione della biomassa algale alimentata con acque reflue, dimo-strando quindi un deciso interesse per l’evoluzione di questo tipo di tecnologie.Oltre all’Eni sono diversi gli operatori in Italia che partecipano allo sviluppo del processo produttivo di olio vegetale dalle alghe e che hanno le poten-zialità per fare del nostro Paese uno dei punti di riferimento per questo settore a livello interna-zionale. In particolare è possibile suddividerli in due categorie:

• glioperatorigiàattivinelbusiness dei biocarbu-ranti (SI VEDA LA TABELLA 6.2), che vedono

6 La flocculazione è il processo chimico-fisico che porta all’aggregazione delle particelle presenti in una soluzione colloidale.

6.1 La tecnologia

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Nome Nazionalità

Abengoa Spagna

Algaelink Paesi Bassi

Algenol Biofuels Germania

Aurora Biofuels USA

Biofuel Systems Group UK

Bio Oils Energy Spagna

Exxon Mobil USA

General Atomics USA

HR Biopetroleum USA

Livefuels USA

Mbd Energy Australia

Praj Industries India

Sapphire Energy USA

Solazyme USA

Solena Group USA

Synthetic Genomics USA

Bio Fuel Systems Spagna

Tabella 6.1 I principali operatori attivi nella ricerca e sviluppo di alghe per biocarburanti

Tabella 6.2 I principali operatori italiani attivi nella ricerca e sviluppo di alghe per biocarburanti

Impresa SedeFatturato 2009 (€)

Dipendenti 2009

Coltivazio-ne alghe

Raccolta e Essicca-

zione

Estrazione lipidi/olio vegetale

Trans-esterifi-cazione

Cereal Docks

Camisano

Vicentino

(VI)

332.580.000 65 X

DP Lubrifi-

cantiAprilia (LT) 36.420.000 46 X

Ecofox Vasto (CH) 158.200.000 32 X

EcoilPriolo Gar-

gallo (SR)3.000.000 4 X X X X

Ital Bi OilMonopoli

(BA)86.620.000 13 X

Novaol Milano (MI) 339.950.000 57 X

Oil.BSolbiate

Olona (VA)170.970.000 24 X

Oxem Pavia (PV) 60.150.000 22 X

6. I BIOCARBURANTI

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Impresa Sede Descrizione

Algae FactorMogliano Veneto

(TV)

Nata nel 2008 come spin-off di Ambiente & Energia srl, finalizzata alla coltivazione di biomasse algali e al loro utilizzo, sia per la generazione di energia elettrica, sia per la

produzione di biocarburanti.

Enalg Roma (RM)

Nata nel 2009 con l’obiettivo di ideare e progettare parchi tecnologici destinati a ospitare impianti per la produzione di biocarburanti e la generazione di energia elettrica, derivati dalla coltivazione intensiva di microalghe. La società possiede, in esclusiva per l’Italia,

la licenza per l’utilizzo della tecnologia di produzione di biodiesel da biomasse algali della spagnola Biofuel System.

ItalcomCastiglione delle

Stiviere (MN)

Da oltre 15 anni operante come consulente per la realizzazione di reti locali e per servizi di telefonia, ha dato vita nel 1998 alla business unit Energen, dedicata esclusivamente a offrire servizi di consulenza energetica per impianti da fonti rinnovabili. Dal 2006 l’azienda ha iniziato a operare nel settore della produzione di biodiesel da colture algali. L’azienda sta completando la realizzazione dell’Energreen Park, un parco, in provincia di Mantova,

attrezzato per la produzione controllata e intensiva di alghe.

Microlife Padova (PD)

Nata nel 2008 ha l’obiettivo di sfruttare le competenze acquisite nelle biotecnologie foto-sintetiche per sviluppare, ingegnerizzare, costruire e condurre impianti su scala industriale per la produzione di microalghe a fini energetici, cosmetici e farmaceutici e di biochimica

verde.

Biomedical Tissues

Sestu (CA)

Nata nel 2008 ha per obiettivo la ricerca, la sperimentazione e la sintesi di colture cellulari di vario tipo, e dei relativi impianti. L’impresa collabora attivamente con centri di ricerca e Università, fra cui l’Università di Cagliari e il CRS4 (Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi

Superiori in Sardegna).

M2M Engineering

Napoli (NA)

Nata nel 2005, propone strumentazioni e impianti scientifici per la crescita di coltivazioni biologiche. L’azienda si occupa sia della progettazione e sviluppo di questi sistemi, sia della successiva fase di ingegnerizzazione e costruzione. Da alcuni anni la società si è rivolta in modo specifico al mercato del biodiesel da biomassa algale, proponendo apparecchiature ottimizzate per coltivazioni di questo tipo e occupandosi dell’attività di screening e selezione dei ceppi algali e della produzione di inoculi (ceppi starter) da vendere a impianti industriali.

Tabella 6.3 Principali operatori italiani “dedicati” attivi nella produzione di biocarburanti da alghe

6.1 La tecnologia

nelle alghe un’interessante prospettiva di dif-ferenziazione del proprio portafoglio di tecno-logie e prodotti, anche in considerazione delle previsioni di crescita attese. Come si vede, quasi tutti si stanno attrezzando per l’ultima fase del processo in modo da essere pronti a sfruttare an-che l’input proveniente da questa “nuova” materia prima, mentre solo Ecoil sta investendo più deci-samente nello sviluppo dell’inte-ro processo;

• gli operatori “dedicati”, impre-se (in alcuni casi spin-off acca-demici) di dimensioni relati-vamente più piccole rispetto alle precedenti ma focalizzate esclusivamente sulla produzio-ne di olio vegetale da alghe (SI VEDA LA TABELLA 6.3). In molti casi, queste im-prese hanno beneficiato della partecipazione a progetti di ricerca finanziati (anche a livello lo-

cale) volti a valorizzare le eccellenze del nostro Paese.

E’ il caso per esempio del progetto “eNave” nato nel 2009, che vede coinvolta la Enalg e l’Autori-tà Portuale di Venezia con l’obiettivo di garantire – attraverso la coltivazione delle microalghe in fo-tobioreattori – la riqualificazione energetica e l’au-

tosufficienza del Porto di Venezia: il progetto prevede la realizzazione di un impianto pilota (2 bioreatto-ri) di coltivazione delle microalghe funzionale, in una seconda fase, alla costruzione di una struttura su sca-la industriale (una centrale elettrica – in ipotesi tra i 20 ed i 40 MW - a biocombustibile da alghe coltivate

in ambiente pilotato ed alimentate con CO2 di pro-venienza industriale); oppure ancora del più ambi-zioso progetto MARE (SI VEDA BOX 6.3).

“Le alghe possono veramente diventare la materia prima

dominante per il biodiesel di seconda generazione … e per una volta anche noi italiani abbiamo qualcosa da dire

a livello mondiale.”

Ingegnere di una società di progettazione e installazione di impianti

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Box 6.3 Il progetto MARE

Obiettivo del progetto è quello di mettere a punto un si-stema integrato di coltivazione di alghe a fini energetici caratterizzato da un elevato grado di innovazione: nella specie algale da impiegare (sono in fase di sperimenta-zione la Nannochloropsis e la Diatomea Marina), nella configurazione del bioreattore, nella definizione di un sistema di illuminazione adatto e che garantisca illumi-nazione uniforme a basso consumo energetico e nelle

tecnologie di produzione e raccolta in continuo (rapida flocculazione e sedimentazione) ed estrazione a basso co-sto (con l’impiego della cavitazione ultrasonica).Il progetto, che è partito nel 2009 (SI VEDA TABELLA 6.4) e terminerà nel 2012 vede il coinvolgimento di una serie di attori sia del mondo accademico che delle imprese, sta ora entrano nella fase cruciale di testing e verifica delle performance dell’intero sistema.

Durata del progetto 4 anni

A partire dal 2009

Partner Tecnologici ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente)

CNR (Consiglio Nazionale delle ricerche)

Centro Studi Ricerca e Sviluppo “Antonio Meucci”

Università degli Studi di Firenze - Dipartimento Biotecnologie Agrarie

Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Dipartimento Ingegneria Chimica

Università degli Studi di Verona - Dipartimento Scientifico e Tecnologico

Partner Industriali Iacorossi S.p.a.

Ital Bi Oil S.r.l. (Marseglia Group)

M2M Engineering S.a.s.

Maxcom Petroli S.p.a.

Renova S.r.l.

Tabella 6.4 Il progetto MARE

6. I BIOCARBURANTI

Box 6.2 L’impianto di coltivazione di Eni a Gela

Il progetto relativo alla coltivazione di microalghe nasce da una collaborazione tra la Raffineria di Gela, la Divisione Re-fining & Marketing, il Centro Ricerche Eni di Monterotondo (CR) e l’Università degli Studi di Firenze. Nell’ anno 2007 è stato installato nel sito industriale un impianto pilota grazie al quale sono state condotte le prime sperimentazioni al fine di verificare la compatibilità dei ceppi algali individuati rispetto alle acque di coltura a disposizione e di confermarne le rese produttive attese. I risultati riscontrati presso la raffineria con l’impianto pilota hanno incoraggiato l’impresa a sviluppare tale tecnologia e realizzare un impianto su scala più grande

per coltivare alghe ed estrarne olio vegetale. La struttura, ul-timata nei primi mesi del 2010, occupa un’area di circa un et-taro e utilizza acque provenienti dal ciclo industriale interno ed alghe autoctone sfruttabili per coltivazioni su larga scala. I prossimi passi prevedono la realizzazione di un impianto su scala commerciale, la cui produzione prevista a regime è di circa 10 tonnellate di olio vegetale l’anno. L’impianto sarà re-alizzato da Snamprogetti/Saipem su 3 ettari di superficie, con tre moduli dotati di vasche di coltivazione di diverse dimen-sioni ed un impianto di conversione, il cui progetto è stato affidato alla Technip.

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L’approvazione del Decreto Rinnovabili il 3 Mar-zo 2011 in recepimento della Direttiva Europea 2009/30/CE ha rappresentato un vero e proprio “terremoto” per l’industria dei biocarburanti in Ita-lia che non ha avuto grande risonanza nel dibatti-to pubblico (come invece accaduto per altre fonti rinnovabili) soltanto perché – come si è visto nella passata edizione del Biomass Energy Report7 e si vedrà più avanti nel CAPITOLO 6.4 – la “filiera” in-dustriale (e quindi le ricadute in termini economici ed occupazionali) di questo settore sono ancora ad oggi molto limitate nel nostro Paese. In particola-re, le novità possono essere ricondotte a tre diversi temi, che sono l’oggetto dei paragrafi seguenti: (i) la nuova definizione di biocarburanti e gli impatti sulle “materie prime” utilizzabili ai fini della loro produzione; (ii) l’introduzione di nuovi meccani-smi per la verifica del requisito di sostenibilità; (iii) la modifica degli obblighi di immissione in rete dei biocarburanti.

La nuova definizione di 6.2.1 biocarburanti

L’Unione Europea ha intrapreso ormai da tempo – e non a caso la Direttiva il cui recepimento ha dato vita, tra le altre cose, al cosiddetto Decreto Rinno-vabili del 3 Marzo 2011, è del 2009 – un processo di “restringimento” delle condizioni di ammissi-bilità nella categoria dei “biocarburanti” dei car-buranti “alternativi” prodotti da materie prime di origine vegetale. Se è infatti vero che oltre il 20% delle emissioni complessive di CO2 che si registrano ogni anno in Europa si deve ai trasporti, e quindi all’impiego dei carburanti per trazione, è altrettanto vero che l’impatto dei diversi carburanti di origine vegetale cambia significativamente a seconda della materia prima utilizzata. Non è tanto nel processo finale di combustione nei motori, infatti, che si ha una riduzione delle emissioni (nella maggior parte dei casi limitate infatti a qualche punto percentua-le), quanto nel bilancio complessivo che tiene con-

to del fatto che nel suo “passato” (ossia durante il suo accrescimento come vegetale) la materia pri-ma utilizzata per la produzione del carburante ha già assorbito CO2 per fotosintesi clorofilliana. Di-verse tipologie di materia prima, quindi, a seconda delle caratteristiche di assorbimento durante la fase vegetativa e di trasformazione in olio prima ed in biocarburante garantiscono livelli di riduzione delle emissioni molto differenti fra di loro. La TABELLA 6.5 riporta, suddivise per tipologia di impiego (ov-vero sulla base del loro utilizzo per la produzione di bioetanolo o di biodiesel), le principali materie prime utilizzate e la corrispondente riduzione delle emissioni di CO2 calcolate secondo la pro-cedura standard prevista dall’Unione Europea (SI VEDA BOX 6.4).

Gli effetti del recepimento della citata Direttiva sono però estremamente significativi, giacché sin dal prossimo anno (ossia dal 2012) in Italia sarà possibile considerare “biocarburanti” solo quei carburanti provenienti da materie prime vegetali che garantiscono un riduzione di emissioni pari ad almeno il 35%. La soglia di ammissibilità per essere considerati “biocarburanti” sale al 50% di emissioni in meno a partire dall’1 gennaio 2017 e si stabilizza poi al 60% dal 2018 per tutti i bio-carburanti prodotti in impianti la cui produzione sia iniziata successivamente al 1 gennaio 2017. In sostanza significa che dal 2012 il bioetanolo pro-dotto da mais e da grano ed il biodiesel prodotto a partire da olio di palma o da soia non saranno più considerati “biocarburanti”.

Ovviamente, il fatto di non essere annoverati fra i “biocarburanti” ha due fondamentali implicazioni:

• l’impossibilità di avere accesso aimeccanismidi incentivazione che, per quanto ridotti (come ampiamente dibattuto nella scorsa edizione del Biomass Energy Report)8, privilegiano l’utilizzo dei “biocarburanti” rispetto ai carburanti tradi-zionali;

6.2La normativa

7 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 187.8 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 177.

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• l’impossibilità di utilizzarli, una volta immessi in rete, per rispettare la quota d’obbligo, ossia la percentuale di miscelazione prevista dalla legge (SI VEDA PARAGRAFO 6.2.3) cui tutti i produtto-ri di carburanti devono adeguarsi per garantire il

raggiungimento dell’obiettivo europeo del 10% di utilizzo di biocarburanti al 20209.

Se si considera che negli ultimi anni in Italia la quantità di “biocarburanti” di provenienza dal-

BioetanoloRiduzione standard delle emissioni di gas a effetto

serra [%]Biodiesel

Riduzione standard delle emissioni di gas a effetto

serra [%]

Paglia di cerali 85 Cellulosa Fisher-Tropsch 95

Residui legnosi 74 Alghe 90

Canna da zucchero 71 Semi di girasole 51

Legno coltivato 70 Semi di colza 38

Barbabietola da zucchero 52 Soia 31

Granoturco (prodotto in UE) 49 Olio di palma 19-56

Cereali (mais, grano, …) 16-69

Tabella 6.5 Materie prime per la riduzione delle emissione di CO2

Box 6.4 Il calcolo della riduzione delle emissioni secondo la Direttiva 2009/30/CE

Le riduzioni di emissioni di gas a effetto serra grazie ai biocarburanti sono calcolate secondo la seguente formu-la:RIDUZIONE = (EF – EB)/EF

EB = totale delle emissioni derivanti dal biocarburante;EF = totale delle emissioni derivanti dal carburante fossile di riferimento

Le emissioni di gas a effetto serra provenienti dalla pro-duzione e dall’uso di biocarburanti vengono calcolate se-condo la seguente formula, che tiene appunto conto di tutte le “fasi” del ciclo di vita del biocarburante:E = eec + el + ep + etd + eu – esca – eccs – eccr – eee

E = il totale delle emissioni derivanti dall’uso del carbu-rante;eec = le emissioni derivanti dall’estrazione o dalla coltiva-zione delle materie prime;el = le emissioni annualizzate risultanti da modifiche de-gli stock di carbonio a seguito del cambiamento della de-stinazione dei terreni;ep = le emissioni derivanti dalla lavorazione;etd = le emissioni derivanti dal trasporto e dalla distribu-zione;eu = le emissioni derivanti dal carburante al momen-

to dell’uso;esca = le riduzioni delle emissioni grazie all’accumulo di carbonio nel suolo mediante una migliore gestione agri-cola;eccs = le riduzioni delle emissioni grazie alla cattura e al sequestro del carbonio dovute alla fotosintesi;eccr = le riduzioni delle emissioni grazie alla cattura e allo stoccaggio geologico del carbonio;eee = le riduzioni di emissioni grazie all’elettricità ecce-dentaria prodotta dalla cogenerazione.

Non si tiene conto delle emissioni dovute alla produzio-ne di macchinari e apparecchiature, ovvero degli effetti indotti. Risulta in ogni caso evidente come la complessità della formula e le innumerevoli assunzioni che stanno alla base del calcolo introduca un certo livello di aleato-rietà nella valutazione. Per questa ragione l’Unione Euro-pea ha provveduto al calcolo di valori standard per una serie di materie prime, come riportato nella TABELLA 6.5, suscitando tuttavia non poche perplessità da parte degli operatori che evidentemente sono assai “sensibili” a variazioni dei valori cui fanno riferimento le loro pro-duzioni e che hanno più volte richiesto di rivedere alcune delle ipotesi impiegate.

9 Come indicato nella Direttiva Europea 2009/28/CE.

6. I BIOCARBURANTI

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le materie prime che saranno “escluse” a partire dal 2012 è stata estremamente significativa (con alcuni operatori che, pur in assenza di un dato cer-to, parlano di valori superiori al 40%) si comprende l’impatto che l’entrata in vigore nel nostro Paese del Decreto Rin-novabili avrà sul settore dei bio-carburanti.

La nuova definizione di “biocarbu-ranti”, a detta degli operatori che sono stati sentiti “a caldo” prima della chiusura del presente Rap-porto, è destinata a cambiare pro-fondamente:

• l’orizzonte geografico ed il “mix” di materieprime utilizzato. Ad essere penalizzate saranno soprattutto le colture europee (mais, grano e soia) ma anche la palma, che si è fino ad ora guadagnata la lion’s share (quasi il 30%) dell’import di mate-rie prime dai Paesi extraeuropei ed in particola-re Malesia e Indonesia ai fini della produzione di biodiesel. L’impatto è ancora più significativo perché, come visto nel CAPITOLO 5.1, le condi-zioni di inammissibilità per l’accesso alle for-me di incentivazione si estendono anche per gli impieghi degli oli da queste materie prime de-stinati alla produzione di energia elettrica. Gli operatori non escludono lo shortage di materie prime “alternative” considerando la quantità di canna da zucchero (per il bioetanolo) e di colza (per il biodiesel almeno sino al 2017) che do-vrebbero essere reperite per mantenere costante la produzione europea;

• l’impatto dei “biocarburanti” – que-sta volta in positivo – sulle dinamiche di prezzo delle materie prime. Nella passa-ta edizione del Biomass Energy Report10

si era già discusso come l’impie-go “competitivo” di colture food (ad esempio la soia) per la pro-duzione di biocarburanti avesse incrementato significativamente (e spesso con isterie non con-suete per questo tipo di mercato) il prezzo a cui i beni venivano scambiati nelle cosiddette “borse agricole”, con conseguenti tensio-ni nell’opinione pubblica. Le nuove condizioni di ammissibilità sembrano andare a calmierare questo effetto e, secondo gli operatori, potreb-

bero rilanciare l’immagine “verde” dei biocar-buranti;

• illivellodiinvestimentisulla“secondagenera-zione” (SI VEDA CAPITOLO 6.1) di biocarburanti,

ossia quelli derivanti da cellulosa (nel caso del bioetanolo) o da alghe (nel caso del biodiesel) che invece rientrano appieno nella definizio-ne di “biocarburanti” che esce dal Decreto Rinnovabili. Il vero pro-blema, a detta degli operatori, riguarda la riconversione degli impianti esistenti di produzione di biodiesel visto che la scaden-

za per la riconversione è prossima, con buona parte delle colture che verranno escluse già dal 2012, e il cambio di materia prima (ed ancor di più quello di “generazione”) che richiede modifiche strutturali talora importanti agli impianti esistenti.

In questo nuovo quadro, ma se ne parlerà più avanti nel CAPITOLO 6.4, la filiera italiana sembra essere in gran parte ancora impreparata ad affrontare le sfide che si presenteranno.

I nuovi requisiti per la 6.2.2 sostenibilità

Oltre a quanto già visto nel paragrafo precedente, il successivo Decreto Legislativo n.55 del 31 Marzo 2011 per l’attuazione della direttiva 2009/30/CE sul-le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio, prevede che per essere considerati “bio-carburanti” – e quindi essere ammessi alle forme di incentivazione e soprattutto entrare nel computo dei rispetti delle quote d’obbligo – sia necessario an-che essere in possesso dei requisiti di sostenibilità,

ovvero non essere prodotti da ma-terie prime ottenute: (i) su terreni che presentano un elevato valore in termini di biodiversità; (ii) su terreni che presentano un elevato stock di carbonio; (iii) su terreni che erano al gennaio 2008 delle torbiere.

In altre parole, non soltanto ci si preoccupa del ciclo delle emissioni di CO2, ma an-che si vuole impedire che le coltivazioni (o più in generale le attività di recupero della materia prima)

“Troppo spesso chi fa le regole non si rende conto che principi certo

condivisibili, quali quello di spingere sulla riduzione di emissioni di gas serra, se applicati in modo miope

nella pratica si traducono solo in grosse perdite per la nostra

industria”

Responsabile Produzione di una impresa produttrice di biodiesel

“Siamo alle solite … mancano i regolamenti a livello nazionale, e

l’onere della tracciabilità ricade tutto sugli operatori. Purtroppo si hanno ormai meno di 6 mesi di tempo per attrezzarsi, dovendo risalire ad anelli della filiera che come produttori noi

nemmeno vediamo”

Amministratore Delegato di una impresa produttrice di biodiesel

10 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 165.

6.2 La normativa

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per la produzione di biocarburanti vadano a “con-sumare” ulteriore suolo in aree geografiche ove si ha attualmente una bassa concentrazione di attività agricole (primo criterio), oppure abbiano un conte-nuto “originario” in carbonio (secondo e terzo crite-rio) che le renda significativamente diverse rispetto ai valori medi con i quali sono stati calcolati nella Direttiva i parametri di riferimento.

Il Decreto mette a disposizione, almeno sulla car-ta, tre possibilità di certificazione rispetto ai cri-teri di sostenibilità per i biocarburanti immessi in consumo a partire dal 1 Gennaio 2012:

• l’adeguamento a un cosiddetto “sistema nazionale”, che identi-fichi le aree con le caratteristiche in oggetto e definisca le regole per la tracciabilità della materia prima e che però attualmente non esiste;

• l’adeguamento ad un sistema di accordi bilaterali con Paesi ter-zi, al fine di certificare a livello nazionale la produ-zione in un altro Paese così da poter considerare “automaticamente” il prodotto importato sosteni-bile. Anche in questo caso non si hanno ancora ad oggi esempi concreti di accordi bilaterali che possano quindi essere utilizzati;

• un sistema di certificazione volontario, svilup-pato dagli operatori e riconosciuto a livello nazio-nale, che definisca le regole per l’applicazione del criterio di sostenibilità.

L’unica via attualmente percorribile – viste le tempistiche a disposizione – è la terza di quelle indicate sopra, e che è tuttavia quella maggiormen-te osteggiata dagli operatori poiché attribuisce a loro, che solitamente in Italia rappresentano l’ul-timo anello della catena produttiva e non hanno un controllo diretto sulla provenienza della mate-ria prima, l’onere di sviluppare un sistema di trac-ciamento e di ottenerne l’adeguamento da parte dei fornitori.

Se si considera che, come discusso nel paragrafo precedente, la normativa restringe anche le possi-bili colture utilizzabili, si comprende ancora una volta la portata “destabilizzante” delle novità nor-mative introdotte dal Decreto.Vale la pena sottolineare poi, in chiusura, che il De-creto prevede – ed è sempre rilevante per rende-

re “effettive” le disposizioni da rispettare – delle sanzioni che possono arrivare sino a 100.000 € per quegli operatori che emettono l’autocertificazione sulla sostenibilità del biocombustibile in forma in-completa, inesatta o con una differente metodologia di calcolo, oppure che non effettua la verifica del ri-spetto dei criteri di sostenibilità.

Gli obblighi di immissione in 6.2.3 rete dei biocarburanti

La Finanziaria 2007 fissava per la prima volta gli obiettivi per l’immissione di biocarburanti in

rete nel nostro Paese nella misu-ra del 2% nel 2008, 3% nel 2009 e 5,75% nel 2010. Alla fine del 2009 gli obiettivi sono stati rivisti “al ribasso” ponendo la soglia mini-ma di immissione al 3,5 % (-40% rispetto all’obiettivo precedente) nel 2010, al 4% nel 2011 e al 4,5% al 2012. In sostanza si è passati ad un

modesto incremento costante di 0,5 punti percen-tuali nell’obbligo rispetto al periodo precedente.

Il Decreto Rinnovabili ha ulteriormente “smorza-to” la crescita ponendo l’obiettivo del 2012 al 4% (ovvero costante rispetto al 2011) e “spostando” al 2014 – mentre nella precedente versione sarebbe dovuto essere nel 2013 – il raggiungimento del 5% di carburanti “bio” immessi in rete sul totale. Se è vero che – per effetto di quanto visto nei due paragra-fi precedenti – il rilassamento dell’obbligo sembra es-sere una naturale conseguenza del fatto che si sono “strette le maglie” nell’identificazione dei “veri” biocarburanti, è altrettanto vero che ancora una volta l’Italia “segna il passo” rispetto a Paesi come la Germania, la Francia e la Spagna che per ade-guarsi a quanto indicato nella Direttiva 2009/30/CE hanno fissato come soglia di immissione per il 2012 rispettivamente il 6,25%, il 7% e il 5,83%.L’Italia si allontana ulteriormente dall’obiettivo europeo11 – a questo punto “praticamente” ir-raggiungibile a detta degli operatori – del 10% di biocarburanti immessi in rete al 2020. Non è un caso, fanno notare gli osservatori più attenti, che del processo di avvicinamento al 2020 non si parli nel Decreto Rinnovabili, che non prevede obiettivi intermedi da raggiungere entro il 2020 e quindi di fatto lascia totale incertezza per gli anni suc-cessivi al 2014. Peraltro, come riporta il BOX 6.5,

“Finalmente il legislatore ha capito che se vogliamo provare a risalire

la china in questo settore dobbiamo puntare sulla seconda generazione,

perché ormai la prima è già saldamente in mano a pochi player

stranieri”

Responsabile R&D di una impresa di tecnologie di produzione di biocarburanti

11 Come indicato nella Direttiva Europea 2009/28/CE.

6. I BIOCARBURANTI

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non sono poche le perplessità anche dei produtto-ri di autoveicoli rispetto ad una quota d’obbligo di immissione che si alzi troppo rapidamente. Unica consolazione – a detta degli operatori – è il fatto che il Decreto Rinnovabili incentiva espressamente:

• i biocarburanti (ad eccezione di quelli prodotti da rifiuti e sottoprodotti) realizzati in impianti produttivi ubicati nei Paesi dell’Unione Euro-pea, per i quali è prevista una maggiorazione del 10% (sarà rilasciato un certificato di immissione in consumo ogni 9 Gcal di biocarburante immes-se rispetto alle 10 degli altri biocarburanti) che quindi aumenta il loro “peso” (e quindi l’interesse degli operatori) nel rispetto della quota d’obbligo;

• i biocarburanti prodotti a partire da rifiuti e sot-toprodotti, materie cellulosiche di origine non alimentare e alghe – in una parola di “seconda generazione” – con una maggiorazione del 100% riconoscendo a questi biocarburanti il doppio del valore di immissione (in termini di certificati di immissione rilasciati) rispetto a quelli standard.

Coerentemente quindi con quanto visto nei para-grafi precedenti, gli operatori si aspettano una maggiore “spinta” verso lo sviluppo dei biocar-buranti di “seconda generazione” e guardano con favore – anche se ancora in attesa di conoscere i dettagli “attuativi” – alla premialità per le attività produttive locali.

Box 6.5 L’uso dei biocarburanti nei veicoli attualmente in circolazione

L’industria motoristica è contraria all’ipotesi di svilup-pare motori diesel progettati per funzionare con percen-tuali di biodiesel del 10% (attualmente è il 7%).Esistono infatti ancora aspetti tecnici da chiarire sia di tipo mo-toristico che logistico, quali la fluidificazione del lubri-ficante nel motore, la formazione di depositi nel sistema di iniezione e la filtrabilità delle miscele. Ad esempio già oggi con l’aumento della concentrazione del biodie-sel nelle miscele distribuite in rete si è manifestato con maggiore frequenza un fenomeno di intasamento dei filtri degli erogatori nei punti vendita. Si ritiene che ciò possa essere imputato sia ad un fenomeno di contami-nazione batterica che alla presenza di particolari com-ponenti originati nel processo di trans-esterificazione

del biodiesel.Per quanto riguarda il bioetanolo, invece, la nuova Di-rettiva contiene la specifica dell’E10 (benzina con il 10% in volume di etanolo) e la disposizione di mantenere sul territorio anche una distribuzione di benzina con-tenente bioetanolo fino al 5% in volume a protezione del parco circolante più anziano e non compatibile con l’E10. L’industria petrolifera ha condiviso l’opportunità di distribuire la benzina E5 nel 30% dei punti vendita in ciascuna provincia fino al 31/12/2015. Al di là di tale data la presenza di due benzine sul territorio, oltre a tut-ti i problemi logistici e distributivi di una distribuzione segregata, potrebbe compromettere il rispetto degli ob-blighi di miscelazione in prospettiva 2020.

6.2 La normativa

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In questo capitolo vengono analizzati i dati relati-vi al mercato dei biocarburanti, partendo da uno sguardo d’assieme che coglie – seppure con i dati 2009, che sono gli ultimi consolidati disponibili al momento della stesura di questo Rapporto – la si-tuazione a livello mondiale ed europeo, per poi of-frire l’aggiornamento – questo invece al 2010 – dei “numeri” del settore (peraltro vale la pena antici-pare piuttosto modesti) nel nostro Paese.

Il mercato dei biocarburanti 6.3.1 nel Mondo e in Europa

Nel corso del 2009 nel Mondo sono state prodotte (SI VEDA TABELLA 6.6) 51,6 mln di tep di biocarbu-ranti, corrispondenti – tenendo conto del diverso fattore di conversione energetico12 che privilegia il biodiesel rispetto al bioetanolo – a oltre 74 mln di tonnellate. Dall’analisi della TABELLA 6.6 emer-gono con chiarezza almeno due fattori rilevanti per comprendere le dinamiche di questo mercato:

• l’etanolo conta per il 75% del valore energetico

totale dei biocarburanti prodotti, rivelandosi di gran lunga (con la sola eccezione, che verrà di-scussa meglio in seguito, dell’Europa) il biocarbu-rante maggiormente diffuso al mondo, mentre il biodiesel gioca spesso un ruolo “marginale”;

• gli USA da soli contano per circa il 45% della produzione mondiale complessiva di biocar-buranti, quasi “doppiando” il primo degli inse-guitori ossia il Brasile (cui va un altro 27% del totale). L’Europa è terza nella classifica assoluta (17% con 8,7 mln di tep) ma con un distacco estremamente significativo sia dal Brasile che soprattutto dagli USA, che esprimono una produ-zione che è quasi tripla di quella europea.

La distribuzione geografica della produzione ri-flette, da un lato, la disponibilità di materie prime (ad esempio in Brasile la canna da zucchero e negli USA l’amido proveniente dalle coltivazioni di mais) e, dall’altro lato, le scelte normative fatte nel passato. Negli USA e in Brasile l’attenzione alla tematica della produzione di biocarburanti ha già quasi un decennio di storia (SI VEDA BOX 6.7), mentre l’Eu-ropa solo più recentemente (ed in particolare con

6.3Il mercato

12 1 tep equivale a 1,55 tonnellate di bioetanolo o 1,13 tonnellate di biodiesel.

Tabella 6.6 Produzione di biocarburanti nel Mondo

Paese Etanolo[mln tep]

Etanolo[mln ton]

Biodiesel [mln tep]

Biodisel[mln ton]

Totale [mln tep]

USA 21,5 33,34 1,6 1,81 23,1

Brasile 12,8 19,85 1,2 1,36 14,1

Europa 1,7 2,64 7 7,92 8,7

Cina 1,1 1,71 0,3 0,34 1,4

Canada 0,6 0,93 0 0 0,6

India 0,1 0,16 0,1 0,11 0,2

Altri 0,9 1,4 2,7 3,06 3,6

Mondo 38,7 60,01 12,9 14,6 51,6

6.3 Il mercato

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la Direttiva 2003/30/CE) ha iniziato a “incenti-vare” – e con esiti molto diversi da Paese a Paese e talora, come accade in Italia, certo non lusinghieri – la produzione di biocarburanti. La FIGURA 6.4, che riporta l’evoluzione temporale della produzio-ne di biocarburanti nel corso del decennio 2000-2009, ben sintetizza questo fenomeno.

Negli ultimi 10 anni la produzione di biocarbu-ranti è più che quintuplicata, passando da poco meno di 10 mln di tep nel 2000 agli oltre 50 mln di tep del 2010, con uno slancio nella crescita estremamente interessante nel triennio 2006-2008, che poi si è in parte “esaurito” per effetto della crisi economica globale nel successivo anno 2009. Gli USA, nel medesimo orizzonte temporale, hanno visto la loro produzione crescere da 4 mln di tep a oltre 33 (+725%), in questo superando anche il Brasile che era leader mondiale nel 2000, ma che non ha saputo (anche per carenze del suo merca-to interno) “tenere il passo” dei vicini nordame-ricani. Il Resto del Mondo (in larga parte espres-so dall’Europa) ha invece cominciato a giocare un ruolo di un qualche rilievo solo a partire dal 2006, scontando quindi il ritardo di cui si è già parlato.

L’Europa ha però anche altre peculiarità, ben messe in evidenza nella FIGURA 6.5, che riporta, suddiviso per tipologia, il peso relativo misurato nel 2009 dei biocarburanti sul totale dei carburanti impiegati per autotrazione. Si nota immediatamente come l’Europa – con un peso medio dei biocarburanti di poco superiore al 4% rispetto ai consumi tota-

li (ossia 8,7 mln di tep contro gli oltre 210 mln di tep totalmente “bruciati” in carburanti) – sia l’uni-ca area ove la percentuale di biodiesel (3,5%) è superiore al bioetanolo (0,8%). In particolare, il rapporto fra le due tipologie di biocarburanti è quasi completamente invertito rispetto a quan-to accade (e si è commentato all’inizio di questo paragrafo) a livello globale. La principale ragione addotta dagli operatori è la forte “dieselizzazione” del parco auto in Europa dove, anche a seguito di politiche di pricing molto aggressive negli ultimi quattro o cinque anni per questo tipo di carbu-rante (cui hanno fatto seguito offerte commerciali altrettanto allettanti da parte dei produttori di au-toveicoli), si registrano tassi di penetrazione delle auto diesel che sono passati in media dal 30% del 2000 a oltre il 50% degli ultimi tre anni.

Sempre con riferimento alla FIGURA 6.5, è eviden-te la sproporzione fra la quota di biocarburanti sul totale del Brasile rispetto agli altri Paesi, che invece sono più o meno prossimi ad un valore medio del 2,5%. Al contrario, il consumo di car-buranti brasiliano è stato nel 2009 per oltre il 22% soddisfatto da biocarburanti (in larghissima parte bioetanolo). Il Brasile peraltro è anche il Paese con i maggiori obblighi di immissione a livello mondia-le, con valori che per il bioetanolo superano il 20%, ed è anche il primo ove si sia assistito (SI VEDA BOX 6.6) ad uno storico “sorpasso” dei biocarburanti a danno dei carburanti tradizionali.Vale la pena analizzare più da vicino la situazione europea ed in particolare, come mostrato nella FI-GURA 6.6, la quantità di biocarburanti (misurata in

60

50

40

30

20

10

0

2000 2001

Resto del mondo

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Brasile

Usa

mln

tep

Figura 6.4 Produzione di biocarburanti nel Mondo

6. I BIOCARBURANTI

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6.3 Il mercato

Figura 6.5 Percentuali di utilizzo di biocarburanti nel Mondo

Figura 6.6 Immissione in consumo di biodiesel e di bioetanolo in Europa

25%

20%

15%

10%

5%

0%Brasile USA Europa Mondo India Cina

Etanolo

Biodiesel

Box 6.6 Il “sorpasso” dei biocarburanti sui combustibili tradizionali in Brasile

Per la prima volta nella storia del Brasile, secondo i dati dell’agenzia Misna (l’Autorità nazionale per il petrolio), negli ultimi mesi del 2008 le vendite di bioetanolo come carburante per autoveicoli hanno superato quelle della benzina. In Brasile, gli scambi di questo biocarburante sono aumentati in un anno del 45%, raggiungendo nel 2009 la quota di circa 12,5 mln di tep venduti nei distri-butori. Secondo il governo brasiliano, l’uso del bioetanolo come carburante per autoveicoli ha “impedito” l’importa-

zione di 1,1 mld di litri di gasolio, per un risparmio totale di circa 976 mln di $.Le case automobilistiche che per prime hanno creduto fortemente in questo tipo di alimentazione, con ingenti investimenti in Brasile, sono state la Fiat e la Volkswa-gen, da anni in testa alla classifica di vendita di auto. I due costruttori europei contano diversi modelli nelle loro gamme, definiti “Total Flex”.

2.500.000

2.000.000

1.500.000

1.000.000

500.000

0

Fran

cia

Germ

ania

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Aust

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Polonia

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Svez

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Slov

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ia

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Litu

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Grec

ia

Slov

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Luss

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Bulgar

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Cipr

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Bioetanolotep

Biodiesel

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6. I BIOCARBURANTI

Box 6.7 La produzione di bioetanolo negli USA

La principale materia prima utilizzata in USA per la produzione di etanolo è l’amido, per la maggior parte proveniente dal mais di cui gli USA sono fra i principali produttori al Mondo (quasi 300 mln di ton/anno all’anno rispetto alle 50 mln di ton/anno europee). Gli impianti per la produzione di bioetanolo hanno fatto la loro com-parsa negli USA Snegli anni ‘80 e già nel 2000 si contava-no 54 impianti attivi con una capacità produttiva di oltre 5,7 mln di tonnellate di bioetanolo.La capacità produttiva è poi cresciuta di circa 6 volte dal

2000 al 2010, raggiungendo quasi quota 33,4 mln di ton di bioetanolo l’anno e con un aumento anche in termini di tonnellaggio medio degli impianti.Negli Stati Uniti sono inoltre presenti obblighi crescenti di immissione che vanno dai 33 mln di ton nel 2010 ai 61 del 2015 fino ai 106 nel 2022. Parte di questi dovranno essere soddisfatti con etanolo ottenuto da materie prime lignocellulosiche così da avere nel 2022 circa 47 mln di ton di etanolo di questo tipo.

tep) immessi in consumo nel 2009 nei diversi Paesi. Emerge chiaramente come la Germania (2,1 mln tep, il 23% del totale europeo) e la Francia (21%) guidino la classifica dei maggiori utilizzatori di biocarburanti, men-tre il “terzetto” costituito da Ita-lia, Spagna e Inghilterra insegue “a distanza” con una immissione in consumo che si aggira attorno al milione di tep. Tutti gli altri Paesi giocano un ruolo – anche dimensio-nale – decisamente “marginale” ed anche la Svezia che pure è leader in Europa per utilizzo pro capite di biocarburanti, occu-pa l’ottava posizione della classifica con 360.000 tep nel 2009.

La capacità produttiva complessivamente installata in Europa è pari a circa 21 mln di tep, che tuttavia è utilizzata in media con un tasso di saturazione del 41,4%, con una produzione equivalente che nel 2009 è stata di poco superiore ai 8,7 mln tep (+16,6% ri-spetto al 2008). I restanti 0,3 mln di tep provengono dall’importazione di biocarburanti (in particolare di biodiesel B99 dall’America), anche se la percentuale di importazione sale significativamente oltre le due cifre se si considerano i biocarburanti realizzati con oli proveniente da Paesi non europei, ed è ancora più elevata se si prendono in considerazione anche i biocarburanti prodotti a partire da materie prime di importazione. Nonostante quindi gli sforzi, anche di natura legislativa, da parte dell’Unione Europea, il settore dei biocarburanti in Europa risulta ancora largamente dipendente dall’import (a vari stadi del-

la sua catena produttiva) e soprattutto ancora assai inefficiente, come dimostra il bassissimo grado di saturazione della capacità produttiva. Le raffine-

rie europee, impegnate quindi nella produzione dei carburanti “tradizio-nali”, nel medesimo periodo hanno lavorato con una saturazione media del 80%, ed anche le “bioraffinerie” USA hanno fatto segnare tassi di impiego della capacità produttiva in media pari a oltre il 56% (il 37% di efficienza in più di quelle euro-pee).

Il mercato dei biocarburanti 6.3.2 in Italia

Se la situazione del mercato europeo, come de-scritta nel paragrafo precedente, non è certo rosea, ancora meno buona è quella relativa al mercato italiano dei biocarburanti che risulta dall’indagine condotta presso gli operatori e che ci ha consentito di accedere ai dati dell’anno 2010. Anche il mercato italiano è per larghissima parte, oltre il 95%, ca-ratterizzato dall’utilizzo di biodiesel, mentre an-cora molto marginale è il ruolo del bioetanolo13.La FIGURA 6.7 mostra l’andamento nel triennio 2008-2010 delle tre misure chiave del mercato del biodiesel: (i) la capacità produttiva disponibile; (ii) la produzione effettivamente realizzata in Italia (ove si considera anche il biodiesel prodotto da oli o con materie prime di importazione); (iii) l’immissione in consumo nella rete nazionale dei carburanti. Il

13 Il bioetanolo non viene miscelato direttamente con le benzine ma prima subisce un processo di trasformazione in ETBE; cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 183.14 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 177.

“Bisogna essere onesti, senza il ricorso all’import la sola produzione italiana non è competitiva in termini di costo, anche perché siamo stati costretti a costruire impianti più

grandi del dovuto nella speranza di ottenere l’adeguata incentivazione”

Amministratore Delegato di una impresa produttrice di biodiesel

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quadro che emerge è molto chiaro e certo non con-fortante:

• la capacità produttiva, di poco superiore ai 2 mln di tonnellate (1,8 mln tep) è rimasta costante ri-spetto all’anno precedente, segno evidente di as-senza di nuovi investimenti da parte degli opera-tori del settore. Va segnalato tuttavia nei primi mesi del 2011 l’inaugurazione del secondo impianto di Novaol a Ravenna, che porterà ad un incremento di 200.000 ton/anno di capacità produttiva e che è il risultato di un investimento di 27 mln di € già pianificato da ormai molti anni. I tassi di crescita sono comunque molto ridotti soprattutto se si con-frontano con quelli degli anni 2003-2008, quando in soli 5 anni la capacità installata in Italia è aumen-tata di 1,5 mln di tonnellate;

• anchelaproduzioneèrimastapressochécostanteneitreanniconsiderati,dal2008al2010,attestan-

dosidi poco sopra le730.000 tonnellatemaconunlivellomediodisaturazionedegli impiantiat-torno al 28%, significativamente inferiore alla pur non brillante media europea e quasi sulla soglia della “accettabilità” per un impianto indu-striale. Si è già discusso nella scorsa edizione del Biomass Energy Report14 di come questo sia anche il frutto della scelta poco avveduta da parte del le-gislatore di legare il meccanismo di incentivazione in parte alla capacità produttiva oltre che all’ effet-tiva produzione, spingendo gli operatori a sovradi-mensionare i loro impianti. Pur tuttavia i problemi sono soprattutto di competitività delle strutture produttive, se è vero che l’immissione in consu-mo è quasi raddoppiata, passando dalle 0,74 mln di tonnellate del 2008 alle oltre 1,32 mln di ton-nellate nel 2010;

• la crescita dell’immissione in consumo, che come abbiamo visto non è stata “sfruttata” dagli

2.500.000

2.000.000

1.500.000

1.000.000

500.000

02008 2009 2010

Capacità produttiva Produzione Immesso in consumo

ton

Figura 6.7 Produzione di biodiesel, capacità produttiva e immissione in consumo in Italia

Figura 6.8 Produzione di bioetanolo e capacità produttiva in Italia

250.000

200.000

150.000

100.000

50.000

0

2008 2009 2010

Capacità produttiva Produzione

ton

14 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p. 177.

6.3 Il mercato

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190 www.energystrategy.itBIOMASS ENERGY REPORT • COPYRIGHT © DIG – POLITECNICO DI MILANO

operatori italiani dotati di una ca-pacità produttiva propria, è stata “compensata” da un incremen-to esponenziale dell’import (e quindi delle attività dei trader di biodiesel). Nel 2008 l’import ha pesato per il 29% del totale immesso in rete, nel 2009 per il 36% e nel 2010 ha raggiunto il 51%, con previsioni di ulteriore crescita per il 2011 sino a toccare, secondo gli operatori, quo-ta 70%.

La situazione non migliora, anzi il quadro è per certi versi – anche se su una “scala” che è di un or-dine di grandezza inferiore alla precedente – ancora più desolante se si prende in esame il bioetanolo. La FIGURA 6.8 riporta l’andamento di capacità pro-duttiva e produzione nell’ultimo triennio:

• la capacità produttiva, peraltro di poco supe-riore alle 200.000 ton/anno, è rimasta costante rispetto all’anno precedente ed anche la cresci-ta registrata nel 2009, con l’entrata in funzione dell’impianto di Alcoplus da circa 43.000 ton/anno, non si è più ripetuta lo scorso anno, segno evidente dell’arrestarsi di nuovi progetti di inve-stimento;

• la produzione è addirittura “crollata” nel 2010 rispetto al 2009, passando da 100.000 tonnellate

a poco meno di 50.000, riportan-dosi ai livelli di due anni fa. Le ra-gioni di questo crollo sono la forte riduzione degli incentivi che inve-ce avevano “forzato” la produzione 2009, come già discusso nella pre-cedente edizione del Biomass Ener-gy Report15. Ancora più desolante constatare che con la citata ridu-

zione della produzione, il tasso di saturazione medio degli impianti è sceso al di sotto del 25% (partendo comunque da un non lusinghiero 48% nel 2009).

A differenza della FIGURA 6.7, non si è riportata qui l’immissione in consumo visto che – come già am-piamente discusso nella scorsa edizione del Biomass Energy Report16 – il bioetanolo in Italia viene nor-malmente trasformato in etere (ETBE, con una resa peraltro all’incirca del 55%) prima di essere misce-lato con la benzina17.

Il quadro complessivo che emerge è, come detto in premessa, piuttosto desolante, non soltanto perché i valori assoluti non sono “di rilievo” ed anzi se-gnano un calo significativo rispetto agli anni pre-cedenti, ma anche e soprattutto perché il mercato italiano è quello meno efficiente fra i grandi Paesi d’Europa dal punto di vista della produttività de-gli operatori e della “esposizione” all’import.

“Lavoriamo praticamente ad un quarto della nostra capacità

produttiva … ma è la domanda che manca perché risulta purtroppo

più conveniente per i nostri clienti comprare dall’estero il prodotto

finito”

Responsabile Produzione di una impresa produttrice di bioetanolo

15 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p.177. 16 Cfr. Biomass Energy Report 2009, p.183.17 Le attuali tecniche di lavorazione permettono mediamente di ottenere 0,55 ton di ETBE da 1 ton di bioetanolo.

6. I BIOCARBURANTI

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Le conclusioni cui si è giunti analizzando il mercato italiano lasciano evidentemente pochi dubbi sullo stato della filiera dei biocarburanti in Italia, che è invece l’oggetto di questo capitolo. Poiché non mol-to è successo (anche se con qualche eccezione) dal punto di vista delle imprese coinvolte nel settore, si è colta l’occasione per approfondire, come già fatto nel precedente capitolo, la situazione internazionale in una sorta di benchmark con i principali operatori del settore a livello globale. L’analisi è suddivisa per tipologia di biocarburante giacché, come più volte visto, nonostante siano accomunati sul piano nor-mativo, biodiesel e bioetanolo sono assai differenti dal punto di vista tecnologico, di mercato e di “pro-cessi” industriali coinvolti nella loro produzione.

La filiera italiana del 6.4.1 biodiesel

Nonostante, come già accennato nel capitolo prece-dente, la capacità produttiva degli impianti presenti in Italia nel corso del 2010 non abbia subito variazio-ni, è necessario segnalare una variazione in negativo relativa agli operatori attivi, che passano dai 17 del 2009 ai 16 del 2010 (riportati nella TABELLA 6.7), che si spartiscono un volume d’affari di poco inferiore ai 500 mln. €. L’operatore mancan-te all’appello è Caffaro Biofuel, so-cietà proprietaria di due impianti (per un totale di 160.000 tonnellate di capacità di trattamento) a Torvi-scosa in provincia di Udine, che è stata costretta nel 2010 ad avviare la procedura di fallimento in seguito a insolvenza della società capogruppo SNIA.

Il calo della produzione nel corso del 2010 ha ul-teriormente indebolito la filiera. Gli operatori del comparto, tuttavia, che come già discusso nella pre-cedente edizione del Biomass Energy Report18 han-

no provenienze settoriali piuttosto differenti fra di loro, hanno saputo “compensare” la contrazione delle attività nel biodiesel con un “ritorno” al loro business originale:

• le imprese dell’agroalimentare (le più significa-tive in termini di presenza sul mercato, con una quota superiore al 60%) – che si erano lanciate in questo settore facendo leva sulla facilità di acces-so alla materia prima (soprattutto gli oli vegetali della catena food) – hanno ridotto i volumi di acquisto e, in taluni casi, sono ritornate ad im-piegare l’olio per produzioni alimentari, la cui redditività relativa è cresciuta visto il calo della domanda di biodiesel;

• leimprese del settore della raffinazione, pur con qualche inevitabile inefficienza di costo – giac-ché la minore saturazione degli impianti per la produzione di biodiesel ed il conseguente mag-giore peso degli ammortamenti ha inciso sulla loro redditività complessiva – hanno continuato la loro attività di “terzisti” adeguandosi alle ri-chieste dei produttori di carburanti “tradizio-nali”;

• leimprese chimiche, da ultimo, sono state quelle relativamente più colpite, giacché la loro scommessa – che si basava sulla messa a punto di proces-si produttivi più efficienti – si è scontrata con l’arretramento del mercato interno che ne ha quindi ridotto, e di molto, la competitivi-tà. Unica eccezione a questa regola la Oxem, il cui impianto da 200.000 tonnellate in provincia di Pavia ha continuato a funzionare ai ritmi dello scorso anno, sfruttando il col-

legamento diretto attraverso un oleodotto dedica-to con la raffineria Eni di Sannazaro.

Il quadro italiano è ancora più desolante se lo si confronta con il resto d’Europa. La TABELLA 6.8 ri-porta alcuni dei principali operatori europei impe-

6.4La filiera

18 Cfr. Biomass Energy Report 2009 p.187.

“Ci dobbiamo sempre adeguare alle esigenze dei nostri clienti. D’altra parte se scendono gli obblighi di immissione e aumenta l’import

dall’estero quello che rimane per le imprese italiane è piuttosto poco. Per fortuna la nostra forza è nella flessibilità operativa della nostra

raffineria”

Responsabile Marketing di una media raffineria di carburanti

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Tabella 6.7 I principali operatori italiani nella filiera del biodiesel

Tabella 6.8 I principali operatori europei nella filiera del biodiesel

ImpresaSettore di

provenienzaFatturato 2009 [€]

Impianto di produzione

Capacità produttiva (tonnellate)

Novaol Agro-chimico 339.948.000 Livorno + Ravenna 450.000

Ital Green Oil Agroalimentare 12.912.000San Pietro Morubio

(VR)365.000

Mythen Agroalimentare 114.996.000.000 Ferrandina (MT) 200.000

Oxem Agro-chimico 60.154.000 Mezzana Bigli (PV) 200.000

EcoilPetrolifero –

energetico3.000.000 Priolo* (SR) 200.000

Oil.B Petrolifero 170.973.000 Solbiate Olona (VA) 200.000

Ital Bi Oil Agroalimentare 93.807.000 Monopoli (BA) 190.304

DP Lubrificanti Petrolifero 36.423.000 Aprilia (LT) 155.520

Cereal Docks Agroalimentare 332.579.000 Vicenza 150.000

Eco Fox Petrolifero 158.200.000 Vasto (CH) 131.370

Comlube Petrolifero 7.705.926 Castenedolo (BS) 120.000

F.A.R. Fabbrica

Adesivi ResineChimico 91.983.000 Cologno Monzese (MI) 100.000

Bio Ve Oil Olimpo Agroalimentare n.d. Corato* (BA) 100.000

Foredbio – Redoil Italia Petrolifero 14.815.000 Nola Marigliano (NA) 70.000

GDR Biocarburanti Petrolifero 432.000Cernusco Sul Naviglio

(MI)50.000

Alchemia Italia Chimico 1.559.000 Rovigo 15.000

* impianti in fase di realizzazione

Impresa Sede impianti in EuropaNumero di impianti in

EuropaCapacità produttiva

[mln ton]

Diester Industrie Francia 9 2.000.000

ADM Biodiesel Germania 3 975.000

Infinita Spagna 2 900.000

Biopetrol Germania/Olanda 3 750.000

Enteban Spagna 3 500.000

Novaol Italia/Austria 3 450.000

Verbio Germania 2 450.000

Cargill Germania 2 370.000

Ital Green Oil Italia 1 350.000

Acciona Spagna 2 272.000

6. I BIOCARBURANTI

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gnati nella produzione di biodiesel con l’indicazione della capacità produttiva di cui dispongono.Innanzitutto è possibile sottolineare coma la capa-cità produttiva totale italiana sia assolutamente comparabile con quella della sola Diester Indu-strie, che gestisce 9 impianti in Francia per un to-tale di oltre 2 mln di tonnellate. Diester Industrie controlla poi, attraverso partecipazioni azionarie ri-levanti, anche altri stabilimenti al di fuori del suolo francese, compresi uno in Germania a Mannheim di Natura Energy West e vari stabilimenti della Novaol (partecipata al 60%) a Bruch in Austria ed anche a Livorno e Ravenna in Italia. La capacità comples-siva in qualche modo a disposizione della Diester Industrie è pari a quasi 2 mln di tonnellate e nel corso dell’ultimo anno è stata saturata per oltre il 60%. La distanza con l’industria italiana, che ha fatto segnare tassi di saturazione del 28%, appare evidente.La seconda impresa in classifica, l’americana ADM (che però ha una presenza europea in Ger-mania), è una realtà globale specializzata nel tratta-mento di svariate materie prime per la produzione di ingredienti per cibi, mangimi per animali e che ormai dagli inizi degli anni ‘90 è attiva anche nel-la produzione di biodiesel, con i suoi tre impianti di Amburgo (il principale, anche perché è il luogo dove arrivano la maggior parte delle materie prime di importazione), Leer e Mainz.Il terzo gradino del podio è – e già più volte si è richiamata in questo Rapporto la rilevanza del-la “terna” Germania (anche se qui solo come sede di una grande multinazionale americana), Francia e Spagna – appunto di una impresa spagnola, la

Infinita (SI VEDA BOX 6.8). Solo nona, e con il già ci-tato problema della saturazione della capacità pro-duttiva, la prima impresa effettivamente italiana.Se la situazione della produzione di biodiesel nel 2010 offre il quadro certo non positivo appena discusso, è interessante sottolineare come un’altra parte della filiera – quella più a monte della pro-duzione della materia prima vegetale da cui viene estratto l’olio che rappresenta poi l’input del pro-cesso di transesterificazione che porta al biodiesel – abbia invece visto nel corso degli ultimi anni (ed in particolare nel 2010) una serie di rilevanti inve-stimenti da parte di imprese italiane.La TABELLA 6.9 riporta gli investimenti esteri rea-lizzati da alcune grandi imprese italiane per l’acqui-sizione di aree, soprattutto nei Paesi africani, per la produzione di jatropha (160.000 ha comples-sivamente, se si considera la massima estensione coltivabile), olio di palma (160.000 ha anch’esso) e zucchero di canna (50.000 ha). Coinvolti in questi investimenti, come si vede, sono comunque grandi imprese come Eni (che non ha bisogno di ulteriori descrizioni), Moncada Energy (impresa multinazio-nale con sede ad Agrigento attiva nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili), Fri-El (impresa italiana con sede a Bolzano con all’attivo numerosi investimenti in impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili), Sfir (impresa con sede a Cesena attiva nel settore agro-alimentare in parti-colare nella filiera bieticola-saccarifera) e Agroils (SI VEDA BOX 6.9). Anche per questo tipo di investi-menti l’impatto del Decreto Rinnovabili (SI VEDA CAPITOLO 6.1) risulta estremamente significativo. Il Decreto, infatti, recependo la Direttiva Europea

Box 6.8 Infinita

Nel Marzo 2006 il gruppo spagnolo Isolux Corsan, Solar of Lukategi e Santander Investment hanno dato vita (con quote rispettivamente del 70, 25 e 5%) a Infinita Renewa-bles. L’investimento iniziale è stato pari a circa 300 mln € per la costruzione di 2 stabilimenti produttivi, con l’obiet-tivo ambizioso di divenire leader nazionale nella produ-zione e vendita di biodiesel in Spagna.Il primo dei due stabilimenti ha iniziato a produrre nel Febbraio 2009, ed è situato nel porto di Castellon. La sua capacità produttiva è di 600.000 tonnellate ed è il più

grande al momento in Europa. Il secondo impianto è nel porto di El Ferol in Galizia, con una capacità produttiva di 300.000 tonnellate.I due impianti funzionano con oli vegetali (soia, colza e palma) e circa metà della produzione è destinata al mer-cato domestico, mentre la restante parte viene esportata in Germania, Italia, Portogallo, Francia e UK.La sede dell’impresa è a Madrid e nel corso dell’ultimo anno ha superato i 150 mln di € di fatturato e oltre 120 dipendenti.

6.4 La filiera

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Box 6.9 Agroils

2009/30/CE, privilegia la cosiddetta “seconda gene-razione” di biodiesel e consente di mantenere at-tiva la “prima generazione” solo a patto che la materia prima utiliz-zata consenta un risparmio di CO2 superiore al 50% (se prendiamo la soglia al 2017). Pur prescindendo dalle tematiche di sostenibilità (e quindi di “certificazione” della filiera, di cui si è già discusso nel PARAGRAFO 6.2.1), appare chiaro che l’olio di palma – che abbiamo visto conta-

re su 160.000 ha (il 43% del totale) di investi-mento nel 2010 per le imprese italiane – non

potrà più essere utilizzato per la produzione di biocarburanti. Gli investimenti fatti da Eni e da Fri-El sono quindi destinati a rimanere improduttivi a meno di prevedere un processo di con-versione (certo non a costo zero) simile a quello che, anticipando i tempi, ha visto protagonista Api e

che è discusso nel BOX 6.10.

Impresa Stato Tipo di piantagioneEntità media investimento

(ha)

AgroilsRepubblica del Ghana Jatropha 50.000

Tunisia Jatropha 10.000

Eni Repubblica del Congo Olio di Palma 100.000

Fri-el GroupRepubblica del Congo Olio di Palma 50.000

Etiopia Olio di Palma 10.000

Moncada Energy GroupRepubblica del Ghana Jatropha 50.000

Repubblica di Mozambico Jatropha 50.000

Sfir Group Repubblica di Mozambico Zucchero di canna 50.000

Tabella 6.9 Investimenti esteri in piantagioni realizzati da alcune grandi imprese italiane

Agroils nasce nel 2006 a Firenze da un’idea di tre impren-ditori che hanno saputo cogliere sin da subito la dimen-sione internazionale dello sviluppo della filiera dei bio-carburanti e si sono concentrati sulle attività di business development e consulenza proprio in questo ambito. L’im-presa ha acquisito vasta esperienza nel settore anche con la collaborazione di alcuni importanti centri di ricerca e Università quali ad esempio l’ISRA (Senegal), il PTH (Bel-gio), l’UFRA (Brasile) e l’Università di Firenze (Italia). Per Agroils, l’integrazione verticale è un obiettivo di primaria importanza in quanto il controllo diretto sulle fasi upstre-am della filiera è visto come una determinante cruciale per la solidità del business stesso. L’approccio multidisciplinare (ingegneria della produzione, agronomia, ma anche finan-za, per gestire i piani di investimento dei capitali) ha fatto sì che l’impresa possa annoverare fra i suoi clienti imprese come Eni, Erg e Falck Group.

Agroils si è focalizzata soprattutto sullo sfruttamento della Jatropha con progetti attivi in Ghana e in Tunisia, e nel fu-turo anche in Senegal, in Camerun ed Etiopia. La produ-zione è destinata sia allo sfruttamento locale che all’export (di cui un 50% circa legato all’impiego per la produzione di energia elettrica (SI VEDA CAPITOLO 5.2) ed il re-stante 50% come input per la filiera del biodiesel). L’impre-sa è particolarmente attenta all’impatto socio-economico legato allo sfruttamento delle risorse locali, predisponen-do opportuni strumenti di compensazione per la popo-lazione locale come la protezione della biodiversità, la promozione dell’out-farming, la promozione delle colture tradizionali attraverso la fornitura gratuita di lavorazioni nel terreno con costi stimabili a carico di Agroils pari a circa 100 €/ha e la realizzazione di un impianto per la pro-duzione di energia elettrica da fornire al vicino ospedale di Yeji (Ghana) nel 2010.

“Come nei carburanti tradizionali si ha successo solo se si possiedono

giacimenti propri, così nei biocarburanti l’avere il controllo della materia prima diventa sempre più

fondamentale”

Responsabile Business Development di una impresa petrolifera

6. I BIOCARBURANTI

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Box 6.10 Api e la riconversione verso la Jatropha

Api, impresa italiana che nasce nelle Marche a Falconara Marittima (AN) nel 1933 per la produzione e commercia-lizzazione di prodotti petroliferi e che oggi conta (con i suoi marchi Api e IP) oltre 4.500 punti di distribuzione di carburanti, ha ormai da anni – e precisamente dal 1992, con la nascita di Api Energia – intrapreso una serie di in-vestimenti in altre forme di energia (ad esempio la produ-zione di energia elettrica da syngas “pulito” sin dal 2000 nella centrale di Falconara Marittima) e nei biocarburanti. Nel corso del 2009, Api Energia attraverso la società SAB (joint venture con il gruppo Maccaferri) si è mossa sul continente africano ed in particolare in Mozambico con un progetto di integrazione verticale che ha avuto come scopo primario la sostituzione del pregresso approvvi-gionamento di palma e colza (usati per la produzione di biodiesel) con la jatropha. SAB ha acquisito una impresa cotoniera locale che già aveva in essere una piantagione di jatropha da 3.000 ettari su un terreno marginale. Attraver-so tecniche agronomiche più avanzate è stato possibile re-cuperare ulteriori 100 ettari precedentemente considerati inutilizzabili ed incrementare la resa della coltivazione. Nel

2010 Api Energia ha messo in programma di piantare circa 400 ettari aggiuntivi e per il 2011 l’obiettivo è raggiungere i 1.000 ettari coltivati; ovviamente per un’impresa di que-ste dimensioni, l’obiettivo è di creare una base installata di dimensioni più importanti, con un forecast di 30.000 ettari coltivati. L’impatto sul territorio in termini occupazionali è stato sicuramente positivo, grazie all’impiego di risorse umane per i residenti del villaggio, che accedono a corsi di formazione con agronomi selezionati dall’azienda. Anche dal punto di vista socio-culturale Api Energia si è mossa verso un supporto alla realtà locale attraverso una fornitu-ra di materiali e manodopera all’ospedale dell’area, la con-cessione delle strutture dell’impresa per l’insegnamento scolastico a 500 alunni, finanziando alcune attività della scuola e fornendo elettricità e acqua. Con questo investi-mento Api ritiene di aver fatto un passo importante verso la “seconda generazione” dei biocarburanti e – alla luce delle più volte citate evoluzioni normative – ha certamente anticipato in maniera vantaggiosa una riconversione che avrebbe dovuto comunque da lì a poco mettere in atto.

La filiera italiana del 6.4.2 bioetanolo

Se la filiera del biodiesel ha “segnato il passo” an-cora meno attiva è stata quella del bioetanolo, ove di fatto solo due imprese, la IMA di Trapani e la Al-coplus di Faenza, dispongono di capacità produttiva per la lavorazione di etanolo da materie prime ve-getali (rispettivamente 172.000 e 43.000 tonnellate), come meglio riportato nella TABELLA 6.10. La pro-duzione complessiva, lo si è già visto nel PARAGRA-FO 6.3.2, è stata pari a 50.000 tonnellate (per un corrispettivo di oltre 35 mln di €), circa un quarto della capacità produttiva a diposizione.

La quasi totalità del bioetanolo utilizzato nelle benzine italiane proviene da importazione e, come già discusso nel PARAGRAFO 6.3.2, viene miscelato sotto forma di ETBE data la scarsa diffusione in Ita-lia dei cosiddetti veicoli flexifuel. Anche per il 2010, la maggior parte delle società petrolifere italiane si è limitata ad importare direttamente ETBE, in questo aiutate dalla forte presenza in Italia di un

produttore internazionale quale l’olandese Lyondel-lBasell, leader a livello mondiale nella produzione di eteri e di ETBE in particolare. Solo Eni ha av-viato – riconvertendo nel 2009 una raffineria di MTBE in ETBE – una produzione propria presso la già citata raffineria di Sannazzaro in provincia di Pavia. Come nel caso del biodiesel, anche qui vale la pena dare uno sguardo ai principali operatori che già oggi in Europa sono attivi nella produzione di bioetanolo e che sono riportati nella TABELLA 6.11.

Leader a livello europeo è una società spagnola, la Abengoa, che opera nelle rinnovabili un po’ a tut-to campo, e che – in considerazione dell’aumento nell’obbligo di tasso di miscelazione di bioetanolo in Spagna19 – ha ulteriormente incrementato la sua capacità produttiva, con l’apertura nell’Apri-le 2010 a Rotterdam del più grande impianto eu-ropeo di produzione di bioetanolo (400.000 ton/anno). Nel 2011, poi, l’impresa ha annunciato di voler interrompere l’importazione di olio di palma, fino ad oggi ottenuto dal gruppo indonesiano Sinar Maes, in linea con la policy ambientale di produrre biocarburanti sostenibili, ed ha dato un ulteriore

19 SI VEDA PARAGRAFO 6.2.2.

6.4 La filiera

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Tabella 6.10 Principali produttori di bioetanolo in Italia

Tabella 6.11 Principali produttori di bioetanolo in Europa

Impresa Sede Attività principaleCapacità produttiva di

bioetanolo [ton]

IMA Trapani

Impresa del Gruppo Bertolino,

attiva nella movimentazione

e stoccaggio di alcool nel

suo deposito costiero e nella

produzione di bioetanolo.

172.000

Alcoplus Faenza (RA)

Impresa del Gruppo Caviro per

la produzione di alcool etilico di

origine agricola destinato alla

produzione di biocarburanti.

43.000

Impresa Sede Fatturato 2009Numero

di impianti in Europa

Paese [impianti]

Capacità produttiva in

Europa[ton/anno]

Materia prima

Abengoa Spagna 5.422.942.000 6

Spagna (4)

Francia (1)

Rotterdam (1)

1.000.000

Grano,

cereali, alcool,

mais, colture

lignocellulosi-

che

Tereos Francia 1.383.074.000 (2008) 8

Francia (6)

Belgio (1)

Rep. Ceca (1)

670.000Zucchero,

grano, cereali

Cropenergies Germania 337.778.000 3

Germania (1)

Francia (1)

Belgio (1)

600.000

Cereali, mais,

alcool, zuc-

chero

Cristanol Francia 128.090.000 4 Francia 427.000

Zucchero,

barbabietole,

grano, alcool

Agrana Austria n.d. 2Austria (1)

Ungheria (1)324.000 Grano, mais

Ensus UK 418.000 1 UK 316.000 Grano

Verbio Germania 519.541.000 2 Germania 280.000Zucchero,

cereali

Agroetanol Svezia 132.629.000 1 Svezia 166.000Cereali, alcool,

zucchero

Wratislavia Bio Polonia 75.235.560 1 Polonia 134.000 Alcool

6. I BIOCARBURANTI

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boost agli investimenti nel bioe-tanolo di “seconda generazione”. Un impianto da 300.000 ton/anno di bioetanolo prodotto da materie prime ligno-cellulosiche sarà rea-lizzato a Hugoton in Kansas USA, sfruttando un finanziamento di 76 mln $ da parte del Department Of Energy (DOE), con cui sono stati siglati diversi accordi di ricerca a partire dal 2003.Interessante anche il caso della francese Tereos che con i suoi 14 impianti, 8 dei quali in Europa, ha saputo sfruttare ed integrare un portafoglio pro-dotti che in precedenza si basava sulla produzione di zuccheri (da barbabietola, canna da zucchero e cereali) e alcool per usi alimentari. Nel 2009 la Tere-os ha dato vita alla Tereos International, cui è stata data la titolarità dei 5 impianti brasiliani (Andrade,

Cruz Alta, Severinia, Tanabi e Ver-tente) del gruppo. La Tereos ha poi firmato nel marzo 2010 un accor-do di collaborazione con Deinove, azienda leader mondiale nelle bio-tecnologie green, per la validazio-ne a livello industriale di processi

innovativi sviluppati da Deinove per produrre etanolo dalla fermentazione di cereali.

Appare evidente come, se si escludono i progetti di Mossi&Ghisolfi (SI VEDA BOX 6.1) circa la pro-duzione di bioetanolo di seconda generazione, la filiera italiana sia sostanzialmente “ferma” (e quindi accumuli ritardo rispetto ai competitor euro-pei) e per certi versi incapace di cogliere il poten-ziale che anche il bioetanolo può esprimere.

“E’ inutile, il bioetanolo in Italia non è mai veramente partito … forse

avremo qualche chance in più solo con la seconda generazione”

Amministratore Delegato di una impresa di trading di prodotti petroliferi

Box 6.11 L’impianto di bioetanolo da canna comune di Mossi&Ghisolfi a Crescentino (Vc)

Il Gruppo Mossi&Ghisolfi, multinazionale chimica con sede a Tortona, attiva nell’ambito della produzione e ven-dita di resine PET per il mercato alimentare, il 12 Aprile 2011 ha avviato i lavori per la costruzione dell’impianto IBP (Italian Bio Products) di Crescentino, in provincia di Vercelli.L’impianto di Crescentino avrà una capacità produttiva di 40.000 tonnellate di bioetanolo all’anno e sfrutterà bio-masse ligno-cellulosiche disponibili in filiera locale (nel raggio di 40 km) e non destinate al consumo alimentare.Questo è uno dei risultati della ricerca sulla tecnologia PRO.E.SA. messa a punto nei laboratori di Chemtex, la so-cietà di ingegneria del Gruppo Mossi&Ghisolfi. Il progetto di ricerca è durato 5 anni ed è costato 120 mln di a. Nello sviluppo del progetto e della tecnologia, M&G si è avvalso del contributo di partner come ENEA, Politecnico di Tori-no, Regione Piemonte e Novozymes, la società danese che opera nel settore della bioenergia e nella fornitura di en-zimi per la produzione di bioetanolo di I e II generazione.Parte della ricerca si è concentrata sulla selezione della biomassa da utilizzare: la Arundo Donax, cioè la comune canna di fosso, che assicura un’elevata capacità di seque-

stro di CO2 e cresce su terreni marginali, con basso consu-mo di acqua, fertilizzanti e territorio (grazie all’elevata resa per ettaro). Oltre alla materia prima per produrre il bioe-tanolo dalla biomassa iniziale si potrà recuperare anche la lignina, che verrà sfruttata come combustibile per gli impianti di generazione elettrica così che l’impianto potrà funzionare in totale autonomia energetica.Ma l’impianto ha come obiettivo anche quello di diventare leva di sviluppo per il tessuto economico locale,in parti-colare per il settore agricolo, che potrà puntare sulla col-tivazione di Arundo Donax (una pianta non infestante) per incrementare la redditività dei terreni marginali e im-produttivi. Secondo gli obiettivi europei fissati per il 2020, almeno il 10% dei combustibili per autotrazione dovrà provenire da fonti rinnovabili. Questo crea un mercato, che, nella sola Italia, si traduce in una domanda stimata pari a non meno di 1,5 milioni di tonnellate di bioetano-lo. Sarebbe sufficiente coltivare con Arundo Donax il solo 3% dei terreni abbandonati in Italia per centrare quel tra-guardo. Inoltre, il bioetanolo di II generazione risulta più economico della benzina, con prezzi medi del greggio tra i 60 e i 70 dollari al barile.

6.4 La filiera

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Gruppo di lavoro

Vittorio Chiesa - Direttore Energy & Strategy Group

Davide Chiaroni - Responsabile della RicercaFederico Frattini - Responsabile della Ricerca

Riccardo Terruzzi - Project Manager

Marco AlbertiLorenzo BoscheriniAnnalisa Tognoni

Con la collaborazione di:

Andrea BenedettiLorenzo Bologna

Mariarosa BrunduLuigi Cancelli

Alessandro CitterioAndrea Cremonesi

Bruno D’AleoTommaso Difonzo

Alessandro Di MaioStefania ElleroSimone Franzò

Alessandro GhilottiSimone Lena

Enrico PompeiEnrico Verzotto

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La ricerca i cui risultati sono raccolti in questa edizio-ne del Biomass Energy Report è stata condotta utiliz-zando approcci metodologici diversi, ancorché com-plementari e tra loro interrelati. Ciò si è reso neces-sario data l’ampiezza ed eterogeneità delle tematiche che il Rapporto, per ciascuna forma di sfruttamento delle bioenergie (biomasse agroforestali, biogas, par-te organica dei rifiuti e biocarburanti), ha affrontato: le potenzialità e gli sviluppi delle tecnologie, il quadro normativo in essere, i volumi d’affari e le caratteri-stiche del mercato, e infine l’articolazione della filiera industriale.

La tecnologia

I capitoli del Rapporto che approfondiscono le tema-tiche di natura tecnologica si basano principalmente su:• l’analisi estensiva della letteratura scientifica sul

tema e delle ricerche promosse dai principali cen-tri ed istituti di ricerca a livello mondiale;

• irisultatideiprogettidiricercacheilDipartimen-to di Energia del Politecnico di Milano ha portato avanti negli anni sulle bioenergie;

•unaseriediintervistediretteconricercatoriepro-fessori universitari afferenti ad istituzioni diverse dal Politecnico di Milano.

La normativa

I capitoli del Rapporto che esaminano il quadro normativo in essere ed interpretano i suoi impatti sul business delle bioenergie si basano invece su:

•l’analisiestensivadellanormativarelativaall’incen-tivazione della produzione di energia da biomasse ed alle procedure di autorizzazione alla costruzio-ne di impianti in vigore in Italia e, in ottica com-parativa, nei principali Paesi europei e mondiali;

• il confronto con le associazioni di categoria chehanno patrocinato la ricerca, ossia APER, CIB, CRPA, CTI, FIPER e Provincia di Cremona.

Il mercato

La stima dei volumi d’affari dei mercati delle bioe-nergie e l’analisi delle loro caratteristiche distintive sono state condotte attraverso:

•intervistediretteadoltre85operatoridelsettore(imprese agricole e zootecniche, imprese produttri-ci di biomassa, imprese di progettazione e installa-zione di impianti, produttori di energia, istituti di credito, esperti di settore, associazioni di categoria, rappresentanti di organismi di regolazione);•l’analisicomparativael’interpolazionedelleprevi-sioni contenute in rapporti di ricerca o studi di set-tore, messi a punto da associazioni ed enti di ricerca italiani ed internazionali;•losviluppoel’applicazionedimodellidisimulazionecostruiti a partire da un’analisi del tasso di crescita della potenza installata sperimentato in altri Paesi, e validati attraverso un confronto con esperti di settore.

La filiera

I capitoli del rapporto che approfondiscono l’arti-colazione della filiera industriale nei mercati delle biomasse si basano su:

•ilcensimentoelaraccoltadiinformazionianagra-fiche ed economiche (attraverso l’esame di siti web istituzionali, la consultazione del database AIDA, l’analisi di annual report e altra documentazione pubblica) di circa 1.000 imprese operanti nei diver-si stadi delle filiere industriali delle bioenergie;

•larealizzazionedioltre100casidistudio,condot-ti attraverso interviste dirette e raccolta di docu-mentazione da fonti secondarie, su un campione di imprese selezionate tra quelle incluse nel cen-simento;

• ilpanel study con i manager delle imprese partner della ricerca, ossia Acea, Ansaldo Energia, Edison, Enel Green Power, Enipower, Fondazione Tronchet-ti Provera, Mossi &Ghisolfi, SGS, Siemens, Techint.

Metodologia

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Si riportano di seguito le principali fonti di natura bibliografica che sono state consultate nell’ambito della ricerca:

•AIEL(2010), Legna, cippato, pellet; Produttori di-stributori professionali

• AIEL (2010), Le rinnovabili termiche: i dati, gli obiettivi e il potenziale al 2020

•AGRIFORENERGY(2010),Gestione e riduzione dell’azoto di origine zootecnica

•AGRIFORENERGY(2010),Energia dal biogas•APER(2010),Report Bioenergie 2009 -2010•CIB(2011), Stato dell’arte del Biogas in Italia•Ecofys(2010),Evaluation of improvements in end-

conversion efficiency for bioenergy production•ENEA(2009),Aspetti economici del recupero ener-

getico da rifiuti urbani•ENEA(2010),Ricerca e innovazione per un futuro

low-carbon•ENEA(2010), Fonti Rinnovabili 2010•ENEA(2010), Rapporto Energia e Ambiente - Ana-

lisi e Scenari• ENEA (2010),Rapporto sulle tecniche di tratta-

mento dei rifiuti urbani in Italia• ENEMA (2010), Valorizzazione energetica delle

biomasse legnose•ENEMA(2010), Valorizzazione energetica del bio-

gas•ENEMA(2010), Valorizzazione energetica degli oli

vegetali puri•ERSE (2010), Analisi dei costi di produzione degli

impianti termoelettrici alimentati a biomassa•EurObserv’ER(2010),Biofuels•EurObserv’ER(2010), Solid Biomass Barometer•EurObserv’ER(2010),Biogas•EurObserv’ER(2010),Renewable Municipal Solid

Waste Barometer•EurObserv’ER(2010),Biofuels•EuropeanCommision(2010), EU energy trends to

2030• FederAmbiente (2009), Rapporto sul recupero

energetico da rifiuti urbani in Italia

•GSE(2010),Bilancio Rinnovabili•GSE(2010), Le biomasse e i rifiuti•GSE(2011), Incentivazione delle fonti rinnovabili.•Greenpeace(2009), Olio di palma: deforestazione

e clima in coma• IEA (2010), Status of 2nd Generation Biofuels

Demonstration Facilities in June 2010•IEA(2010), Algae – The Future for Bioenergy?•IEA(2010), Energy Technology Perspectives•IEA(2010), World Energy Outlook•IEA(2010), Key World Energy Statistics•IRER(2009)-GREEN BUSINESS•ITABIA(2010), Uso della biomassa a fini energeti-

ci: stato dell’arte•Legambiente(2011),Comuni rinnovabili 2011•Legambiente(2010),Biogas e Biometano - La stra-

tegia e le proposte•MinisterodelloSviluppoEconomico(2010), Pia-

no di azione nazionale per le energie rinnovabili•Ministerodello SviluppoEconomico (2010), Bi-

lancio energetico Nazionale•MSE-ENEA(2009),La stima del potenziale di bio-

gas da biomasse di scarto del settore zootecnico in Italia

•MSE-ENEA(2009),Censimento potenziale energe-tico Biomasse

•NREL(2010),Renewable Energy Data Book• Regione Lombardia (2009),Agrengest: L’oggi e il

domani dell’agro-energia nelle aziende lombarde•Regione Lombardia e ERSAF (2010), Gestione e

riduzione dell’azoto di origine zootecnica•REN21(20109), Renewables Global Status Report•RENLAB(2010),Il sistema industriale italiano nel business delle biomasse•Turboden (2010), La cogenerazione da biomassa

per impianti di piccola taglia con tecnologia ORC•VenetoAgricolturaeAIEL(2010), Purificazione e

upgrading del biogas in biometano

Bibliografia

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Elenco delle organizzazioni intervistate

• 2GITALIA•ACEA•ACEGASAPS• AEMCREMONA•AGEMACONSULTING•AGRICARIGNANO•AGRIGREENSOC.COOP.

AGRICOLA• AGROILS• ALCOPLUS•ALEA•AMSA•ANSALDOENERGIA•APER•APIENERGIA•ASJA•ATENA•AZ.AGRICOLABAGNOD•AZ.AGRICOLA

BARCHETTI• AZ.AGRICOLAF.LLI

BIZZONI• AZ.AGRICOLAHORTI

PADANI• AZ.AGRICOLAIRACI

BORGIA• BTSITALIA• BIOGASENGENEERING• BIOMEDICALTISSUES• BREVETTIFRANCO

CREMONESI• BURAX• BUSIGROUP• CCENGENEERING•CEG• CEFLA•COMEF• CRPA• ECODECO• ECOFUEL

• ECOIL• ECOINVESTMENT• EDISON• ELETTROSTUDIO• ENELGREENPOWER• ENERGEN• ENERGIAPULITA• ENERGYRECUPERATOR• ENIPOWER• ENVITEC• ETA• FALCKRENEWABLES• FONDAZIONE

TRONCHETTI PROVERA• FOR-ENERGY•GRUPPOAB•HERA• ICARO• IMLIMPIANTI• INSER• INTERGEN• ITALGESTENERGIA• LABOREX• LOMELLINAENERGIA•M2MENGINEERING•MAZZOLA&BIGNARDI•MONCADAENERGY•MT-ENERGIE•OILB• PORTOENERGIA• READALMINE• RENOVOBIOENERGY• RISOTICINO• SCHMACKBIOGAS• SIEMENS• SILVATEAM• SOC.AGRICOLA

COMINELLO• SOC.AGRICOLA

PERSICETO BIOENERGIA

• SOC.AGRICOLACERIOLIPRIMO

• STCGROUP• STEENERGY• TECHINT• TECNOBORGO• TEI• TERMOSERVICE• TRM• TURBODEN•UNENDO•UNICONFORT•UNIGRÀ•UTSBIOGAS•VIBE•WORLDBIOMEGAWATT

Si ringraziano, per la disponibilità e le informazioni forniteci, le imprese e le organizzazioni intervistatenel corso della ricerca:

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Energy & Strategy Group

L’Energy & Strategy Group della School of Mana-gement del Politecnico di Milano è composto da docenti e ricercatori del Dipartimento di Ingegne-ria Gestionale e si avvale delle competenze tecnico-scientifiche di altri Dipartimenti, tra cui in partico-lare il Dipartimento di Energia.L’Energy & Strategy Group si pone l’obiettivo di isti-tuire un Osservatorio permanente sui mercati e sulle filiere industriali delle energie rinnovabili in Italia, con l’intento di censirne gli operatori, analizzarne strategie di business, scelte tecnologiche e dinami-che competitive, e di studiare il ruolo del sistema normativo e di incentivazione.L’Energy & Strategy Group intende presentare i ri-sultati dei propri studi attraverso:

•rapportidiricerca“verticali”,chesioccupanodiuna specifica fonte di energia rinnovabile (solare, biomasse, eolico, geotermia, ecc.);• rapportidi ricerca“trasversali”, cheaffrontano iltema da una prospettiva integrata (efficienza ener-getica dell’edificio, sostenibilità dei processi indu-striali, ecc.).

School of Management

La School of Management del Politecnico di Milano è stata costituita nel 2003.Essa accoglie le molteplici attività di ricerca, forma-zione e alta consulenza, nel campo del management, dell’economia e dell’industrial engineering, che il Po-litecnico porta avanti attraverso le sue diverse strut-ture interne e consortili.Fanno parte della Scuola: il Dipartimento di Inge-gneria Gestionale, i Corsi Undergraduate e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP, la busi-ness school del Politecnico di Milano che, in parti-colare, si focalizza sulla formazione executive e sui programmi Master.La Scuola può contare su un corpo docente di più di duecento tra professori, lettori, ricercatori, tutor e staff e ogni anno vede oltre seicento matricole en-trare nel programma undergraduate.La School of Management ha ricevuto, nel 2007, il prestigioso accreditamento EQUIS, creato nel 1997 come primo standard globale per l’auditing e l’accre-ditamento di istituti al di fuori dei confini nazionali, tenendo conto e valorizzando le differenze culturali e normative dei vari Paesi.

La School of Managemente l’Energy & Strategy Group

es

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Acea

AnsaldoEnergia

Edison

Enel Green Power

Eni Power

Fondazione Silvio Tronchetti Provera

SGS

Siemens

Techint

Le imprese partner

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“Ansaldo” ed “energia” sono un binomio inscindi-bile fin dal 1853, quando l’impresa diede vita alla prima produzione di caldaie a vapore per le centrali energetiche della rivoluzione industriale. Oggi Ansaldo Energia è presente in 90 paesi, in cui sviluppa e realizza impiantistica per centrali elet-triche chiavi in mano, comprese le attività di inge-gneria di processo, meccanica e civile, installazione, avvio ed assistenza ai clienti, sulla base delle loro esigenze e delle caratteristiche degli impianti.

Sul fronte delle energie rinnovabili l’impegno di An-saldo risale ai primi anni ’20, con la progettazionee realizzazione delle prime centrali idroelettriche e geotermiche; impegno proseguito negli anni con at-tività nei settori del fotovoltaico, del solare, dell’eoli-co e delle biomasse.

Quella dell’attenzione verso l’ambiente è una filoso-fia che Ansaldo Energia ha adottato anche nel setto-re degli impianti per la generazione di energia con combustibili fossili: brevettando combustori a basso contenuto di NOx, orientando gli investimenti in innovazione verso impianti più efficienti, con emis-sioni a zero release e predisposti all’utilizzo di com-bustibili a basso contenuto energetico, altrimenti destinati allo smaltimento.Non solo investimenti, ma anche organizzazione a supporto delle scelte strategiche. Una delle Piatta-forme Prodotto della Divisione Innovazione è infat-ti dedicata allo sviluppo delle energie rinnovabili.Ansaldo Energia sta concentrando le proprie attivi-

tà su due filiere principali: Energia Solare e Waste to Energy. Nel comparto dell’energia solare, l’intento è quello di consolidare la propria presenza attraversol’offerta di una gamma di prodotti che include im-pianti fotovoltaici e CSP - Concentrated Solar Po-wer. Oltre all’impegno sul fronte dei captatori pri-mari (pannelli fotovoltaici e specchi concentratori), Ansaldo Energia dispone delle competenze per progettare e realizzare microturbine a gas, che rap-presentano una tecnologia di notevole interesse per la conversione dell’energia della radiazione solare in energia elettrica.Nel caso di applicazione del CSP agli impianti fos-sili (come accade nelle soluzioni ISCC – Integrated Solar Combined Cycle), Ansaldo Energia è in grado di offrire una soluzione integrata che ha numerosi vantaggi in termini di modularità e aumento del-la flessibilità dell’impianto, nonché della riduzione delle emissioni di CO2.Nel campo del Waste to Energy Ansaldo Energia è attiva dagli anni ’80 come integratore di sistema, sia di tecnologie proprietarie, sia di tecnologie terze, sviluppando capacità progettuali nell’ottimizzazione della combustione e della linea di trattamento fumi. Gli investimenti in innovazione si sono concentra-ti sulle tecnologie di gassificazione e sulla messa a punto e regolazione dei principali parametri di pro-cesso.Recentemente è stato progettato e realizzato un im-pianto pilota composto da un gassificatore a letto fluido bollente e da uno scrubber ad acqua. L’im-pianto può utilizzare come combustibile plastiche, biomasse legnose, scarti di pulper e CDR.

Imprese partner

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Edison è uno dei principali operatori in Italia nel set-tore dell’energia, attivo nell’approvvigionamento, pro-duzione e vendita di energia elettrica e di gas. Edison dispone di una capacità di generazione di circa 12,5 GW e gestisce circa 2,16 GW di capacità produttiva da fonte rinnovabile, di cui circa 1,74 GW di idroe-lettrico, 410 MW di eolico, 8,4 MW di fotovoltaico e 6 MW di biomasse solide. L’obiettivo di Edison è cre-scere e consolidare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, settore in cui è storicamente attiva.

•Nellafilieraeolicaèprevistaunacrescitasostenutain Italia anche in relazione all’elevata pipeline esi-stente di circa 700 MW. E’ prevista l’acquisizione di una presenza importante anche all’estero soprat-tutto nei paesi del sud-est Europa attraverso green field e possibili acquisizioni. Nel corso del 2010 è stato inaugurato l’impianto eolico di Mistretta in provincia di Messina (30 MW) e sono stati avviati i lavori di costruzione di altri due campi eolici in Campania - a San Giorgio La Molara (BN) e a Fo-iano di Val Fortore (BN) - con una potenza rispet-tivamente di 54 MW e 17 MW. Sempre nel 2010, è stata finalizzata l’acquisizione del 100% del Parco Eolico San Francesco Srl da Gamesa, impianto da 26 MW nel comune di Melissa (Crotone).

• Nelsettorefotovoltaicoèstatacompletatal’installa-zione dell’impianto fotovoltaico di Piedimonte San Germano (FR) da 1 MW e di due impianti in pro-vincia di Alessandria per complessivi 4 MW con tec-nologia mista fissa/inseguimento. E’ in costruzione un impianto da 1 MW in provincia di Campobasso.

•Nelsettoredellebiomasseneiprimimesidel2010è entrata a regime la centrale da 6 MW.

•Nelsettoreidroelettricoèprevistosialosviluppodi nuove centrali mini idro sia il ripotenziamento delle centrali storiche del gruppo Edison.

• Edisonèentratacondecisionenelsettoredell’effi-cienza energetica creando un’area di business de-dicata. Il modello che Edison intende promuovere è semplice ma innovativo: mettendo a disposizio-ne la sua esperienza di operatore energetico, Edi-son analizza la struttura dei consumi del cliente, impegnandosi sul conseguimento del risultato at-traverso interventi di ottimizzazione e di autopro-duzione. Edison è disponibile ad intervenire con proprie risorse finanziarie per sostenere l’investi-mento, a vantaggio non solo del cliente ma anche della collettività, con evidenti ricadute positive in termini di contenimento delle emissioni. In que-sto ambito, sono stati realizzati tre impianti foto-voltaici, per un totale di circa 3 MW, presso clienti industriali.

Edison dedica inoltre particolare attenzione all’atti-vità di innovazione nel settore delle energie rinno-vabili ed in particolare sta valutando tecnologie in-novative, quali l’eolico offshore ad acque profonde, l’eolico innovativo d’alta quota e il solare termodina-mico e a concentrazione. E’ inoltre attiva un’area test (Altomonte), per la sperimentazione ed il confronto di sistemi fotovoltaici tradizionali, innovativi ed a concentrazione.

Imprese partner

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213 www.energystrategy.itBIOMASS ENERGY REPORT • COPYRIGHT © DIG – POLITECNICO DI MILANO

Enel è una delle maggiori aziende elettriche a livello mondiale: la più grande in Italia e la seconda utilityd’Europa per potenza installata. Produce, distribu-isce e vende elettricità e gas in tutta Europa, Nord America e America Latina. A seguito dell’acquisi-zione della società spagnola Endesa, Enel è ora pre-sente in 23 Paesi, con una potenza di circa 97.000 MW e serve più di 61 milioni di clienti nell’elettri-cità e nel gas.

Enel Green Power è la società del Gruppo Enel in-teramente dedicata allo sviluppo e gestione delle at-tività di generazione di energia da fonti rinnovabili a livello internazionale, presente in Europa e nelle Americhe.Con una capacità di generazione di energia da ac-qua, sole, vento e calore della terra pari, nel 2010, a circa 22 miliardi di kWh – una produzione in grado di soddisfare i consumi di oltre 8 milioni di famiglie e di evitare l’emissione in atmosfera di più di 16 mi-lioni di tonnellate di CO2 - Enel Green Power è tra i leader di settore a livello mondiale e il principale operatore italiano con attività integrate a livello in-ternazionale.L’Azienda ha una capacità installata di oltre 6.100 MW, con un mix di fonti che comprende l’eolico, il solare, l’idroelettrico, il geotermico e le biomas-se; attualmente, gli impianti operativi e i progetti in stato di avanzato sviluppo di EGP sono collocati in 16 paesi in Europa e nel continente americano.

Lo sfruttamento della risorsa “biomasse” rappresen-ta un capitolo importante nello sviluppo delle fontirinnovabili in Europa. Da questa fonte sono attesi significativi contributi per la produzione di ener-gia elettrica, di calore e di biocarburanti, che nei trasporti rappresentano la principale alternativa ai combustibili fossili. Enel Green Power intende of-

frire un contributo allo sviluppo delle filiere bioe-nergetiche in Italia.

Due progetti sono già in fase di realizzazione: la con-versione a biomasse della centrale termoelettrica di Mercure (Basilicata) e l’installazione nella centrale del Sulcis, in Sardegna, di un nuovo gruppo termo-elettrico idoneo ad utilizzare residui vegetali come combustibile.Enel Green Power sta lavorando alla realizzazione di aree pilota per coltivazioni ad uso energetico in territoriagricoli attualmente poco utilizzati e in via di spopolamento, con l’obiettivo di utilizzare le bio-masse nella generazione elettrica e nella cogenera-zione. Inoltre, in collaborazione con la Scuola Uni-versitaria Sant’Anna e con l’Università di Pisa, sta realizzando una vera e propria fattoria dell’energia, nella quale sperimentare colture innovative per la produzione di biomasse ad elevato contenuto ener-getico e per lo sviluppo di processi e tecnologie per la produzione di biocombustibili alternativi e a bas-so costo.L’attività di Enel Green Power in Italia nel settore delle biomasse riguarda lo sviluppo di alcune cen-trali a combustione di media taglia (5-10 MWe) con ciclo acqua vapore alimentate a cippato proveniente da scarti forestali ed agricoli da filiera corta. Il reperimento della biomassa dal mercato locale ga-rantisce la sostenibilità ambientale ed energetica del progetto, in termini sia di riduzione delle emissioni in atmosfera sia di consumi di energia primaria da fonte fossile.Questo tipo di impianti necessitano e favoriscono un fortissimo legame col territorio dove le centrali vengono realizzate e possono essere motori primi di uno sviluppo sostenibile della gestione dei boschi, dei parchi e della filiera del legno e dell’indotto col-legato.

Imprese partner

Green Power

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214 www.energystrategy.itBIOMASS ENERGY REPORT • COPYRIGHT © DIG – POLITECNICO DI MILANO

Enipower è la società di Eni per le attività di genera-zione di energia elettrica, di vapore e per la produ-zione e commercializzazione di impianti fotovoltai-ci. La tutela dell’ambiente, della salute e della sicu-rezza delle proprie risorse umane, oltre ai rapporti con il territorio e con gli stakeholder, sono obiettivi primari nelle logiche gestionali dell’azienda.Enipower e le sue società controllate dispongono di 8 centrali di generazione elettrica, vapore tecnologi-co e acqua surriscaldata, con una potenza elettrica installata di oltre 5,3 GW, insediate nei siti indu-striali di Ravenna, Ferrara, Mantova, Ferrera Erbo-gnone, Livorno, Brindisi,Taranto e Bolgiano.La società sta completando un piano di investimenti che comporta la graduale sostituzione degli impian-ti tradizionali, acquisiti alla sua costituzione, con moderni impianti a ciclo combinato, alimentati a gas naturale, che garantiscono standard elevati per la sicurezza e la salute delle risorse umane impiegate e per la salvaguardia dell’ambiente.Nel comparto fotovoltaico, Enipower dispone dal giugno 2006 di un sito produttivo, localizzato a Net-tuno, nei pressi di Roma, dove si realizzano celle e moduli mono- e multi-cristallini. La linea di pro-duzione di questo impianto ha raggiunto nel 2008 una capacità di 10 MW e la società sta terminando un programma di investimenti (test running) per un suo significativo incremento. Lo stabilimento si estende su una superficie di circa 34.000 metri qua-drati, di cui 8.000 coperti, divisi in aree produttive, uffici e laboratori, aree di servizio tecnico e magaz-zini. L’impianto è in grado di produrre celle solari ad alta efficienza a base di silicio multi-cristallino

e di assemblare moduli fotovoltaici mono e multi-cristallini, mediante utilizzo di moderne tecnologie. Le linee di produzione dello stabilimento sono co-stituite da una serie di apparecchiature automatiche che sottopongono la materia prima acquistata sul mercato (“fette” di silicio o wafer dello spessore di circa 200 micron) a un trattamento chimico-fisico per la trasformazione in cella fotovoltaica, con una serie di processi consecutivi.Enipower fornisce impianti, con il marchio Euro-solare®, principalmente alle piccole-medie imprese. Essa si serve del supporto di società esterne sola-mente per la fase di installazione. Per la fornitura dei diversi componenti dei moduli (EVA, vetri e cornici in alluminio) e dell’impianto (inverter e componen-tistica elettrica), l’impresa indice delle gare d’appal-to cui partecipano fornitori pre-selezionati che han-no la possibilità di ottenere contratti di fornitura di lungo periodo.Oltre alla realizzazione di una serie di impianti fo-tovoltaici su pensiline di stazioni di distribuzione carburanti Eni, su pensiline dei parcheggi presso la sede di SnamProgetti di Fano e diversi impianti realizzati su tetti e terreni, al momento Enipower annovera nel suo portafoglio una centrale a produ-zione fotovoltaica in Italia, a Nettuno, ed ha in fase di connessione alla rete altre centrali a produzione fotovoltaica all’interno dei siti del gruppo Eni. In Algeria, Enipower ha realizzato, nell’ambito di un accordo di cooperazione e sviluppo delle energie rinnovabili nei paesi del Nord Africa firmato dal Governo Italiano ed Algerino, il primo impianto del paese connesso alla rete.

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La Fondazione Silvio Tronchetti Provera, costituita il 12 giugno 2001, da statuto promuove attività di sostegno alla ricerca nei settori dell’economia, del-la scienza, della tecnologia, del management e del-la formazione. Dalla data della sua costituzione ad oggi la Fondazione ha attivato più di 200 borse di studio nei settori delle energie rinnovabili, dei ma-teriali avanzati, delle nanotecnologie, della fotonica, della meccanica avanzata, delle green technologies e di quelle della scienza della vita.Nel campo delle nuove energie la Fondazione ha av-viato parecchie ricerche con varie Università e cen-tri di ricerca tra cui le più significative sono:

•Microgenerazione(Microcombinedheatandpo-wer) basata sulle fuel cell per basse potenze elet-triche (1-3 KW) e Termiche (8-10 KWTH)

•SistemidienergysavingbasatisuGreenITeGre-en Software

•Fotonicaperenergia: il progetto ha come obietti-vo generale lo sviluppo di nuove tecnologie atte ad aumentare l’efficienza dei pannelli per la produ-zione di energia solare fotovoltaica e ridurne i co-

sti di produzione con lo scopo ultimo di aumen-tare la competitività di questa fonte sul mercato dell’energia

•Minienergie: la Fondazione è impegnata nella de-finizione di nuove piattaforme per :

- Mini Hydro - Mini Eolico - Min solare termodinamico•Nuovisensibilizzatoriabaseporfirinicapercelle

solari organicche di tipo GRÄTZEL

Infine, di grande significato la collaborazione, sigla-ta il 18 ottobre 2010, con l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, che riporta diret-tamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La collaborazione consentirà nello specifico di con-dividere la promozione e l’organizzazione di un’os-servatorio internazionale sulle energie rinnovabili che, in una prima fase, comprenderà il fotovoltaico, le biomasse e le mini energie quali il mini hydro, il mini eolico ed il mini solare termico. I primi risul-tati verranno presentati in un convegno previsto per la prima metà del 2011.

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SGS, leader mondiale nei servizi di ispezione, verifi-ca, analisi e certificazione, è universalmente ricono-sciuta dal mercato come punto di riferimento per la qualità e l’integrità con cui opera nell’erogazione dei propri servizi. A livello internazionale SGS è pre-sente in oltre 140 paesi e impiega complessivamente 64.000 persone in 1.250 sedi fra uffici e laboratori. La sua struttura è quindi in grado di fornire risposte tempestive alle diverse esigenze dei propri Clienti. SGS offre una vasta gamma di servizi persona-lizzati, per consentire ai clienti di misurare – e quindi migliorare – sistemi, prestazioni e processi. SGS offre servizi in tutti i settori merceologici, attra-verso tecnici e professionisti propri, altamente qua-lificati e organizzati in 10 linee di business.

• Ispezione: i servizi di ispezione interessano tutti i contesti e scenari di produzione e movimentazio-ne di merci e materiali. Le attività ispettive sono svolte sia durante le diverse fasi del ciclo produtti-vo che nei punti critici della movimentazione dei prodotti.

•Verifica: le attività di verifica assicurano che pro-dotti e servizi siano conformi a standard interna-zionali e locali. La combinazione di presenza glo-bale con conoscenza locale, esperienza e compe-tenza in ogni settore, consente di coprire l’intera filiera, dalle materie prime al prodotto finito.

•Analisi: l’attività consiste nell’esecuzione di test qualitativi e prestazionali dei prodotti a fronte di standard tecnici, di sicurezza e di legge attraverso un network mondiale di laboratori dotati delle più moderne e sofisticate strumentazioni.

•Certificazione: l’attività certificativa si estende dai sistemi di gestione (qualità, ambiente, sicurezza, energia, etica sociale, ecc.) ai servizi e prodotti e consiste nell’attestazione di conformità sia agli standard nazionali e internazionali riconosciu-ti che a quelli direttamente elaborati dai singoli Clienti per specifiche esigenze.

•Formazione: L’SGS Training Lab è la nuova strut-

tura formativa ideata da SGS per rispondere agli stimoli e alle proposte delle Imprese e dei Profes-sionisti interessati a progettare nuovi percorsi for-mativi. L’approccio si basa sullo sviluppo di per-corsi formativi disegnati per il raggiungimento di obiettivi personali, professionali e delle Imprese.

Per rimanere sempre competitive, le Aziende sono alla continua ricerca di nuove metodologie per mi-gliorare qualità ed efficienza e allo stesso tempo ridurre i costi. SGS è all’avanguardia nella proget-tazione di nuovi servizi: su argomenti di attualità, quali l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, SGS ha messo a punto diverse novità.

L’audit energetico SGS è un processo di verifica in-dipendente svolto da tecnici e professionisti con competenze multidisciplinari in grado di coniugare la valutazione tecnica con quella economica e fi-nanziaria. L’obiettivo è fornire non solo indicazioni sulle reali performance energetiche di un edificio, un impianto o di un’attività/servizio, ma anche una valutazione sulla sostenibilità delle contromisure pensate per superare le passività riscontrate.

Anche nel campo dell’energie rinnovabili, i servi-zi offerti garantiscono una risposta professionale e competente a tutti gli attori delle diverse filiere (so-lare, eolico, biomasse, ecc). Si va dalla due diligen-ce tecnica di progetti e impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, ai servizi di expediting e di verifica e qualifica dei fornitori, dalla certificazione di componenti, alla valutazione dei siti individuati per l’installazione degli impianti.

Con specifico riferimento alle biomasse solide e li-quide, gli interventi di SGS coprono l’intero ciclo di vita del prodotto. I servizi offerti vanno dalla tracciabilità delle biomasse, alla verifica di criteri di sostenibilità, dalla qualifica dei fornitori, alla valu-tazione dei bacini di approvvigionamento, dalla pia-nificazione forestale a monte della filiera, alla carat-terizzazione dei prodotti finali con campionamenti e analisi chimiche, fisiche e microbiologiche svolte in propri laboratori.

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Il Gruppo Siemens, con un’organizzazione articolata in tre Settori - Energia, Industria e Sanità - è presen-te a livello mondiale con circa 405.000 collaboratori e un 2009/10 di 76 miliardi di Euro. Siemens S.p.A., attiva in Italia dal 1899, rappresenta una delle più importanti realtà industriali del Paese, con cinque stabilimenti produttivi, sei centri di ricerca e svilup-po e un fatturato pari a 2,5 miliardi di Euro nell’an-no fiscale 2009/10.

In un contesto caratterizzato da cambiamenti cli-matici, crescita della popolazione mondiale e au-mento dell’urbanizzazione, oltre che dall’esigenza di rispettare i vincoli di emissioni previsti dal Proto-collo di Kyoto, non si può prescindere dall’utilizzo di fonti alternative e rinnovabili. Siemens, unico fornitore in grado di coprire tutte le esigenze del sistema energetico elettrico – dalla generazione alla trasmissione e distribuzione fino alla gestione dei consumi industriali e civili, è indiscusso leader in innovazione tecnologica e player di riferimento per la generazione da fonte rinnovabile nei settori eolico, fotovoltaico, solare termodinamico, idrico, biomasse e geotermico. Nell’ambito delle Biomasse Siemens, grazie all’ampia gamma dei suoi prodotti, è in grado di offrire la maggior parte dei componen-ti tecnologici dell’impianto: dalla turbina a vapore, all’automazione e controllo di processo, protezioni e sistemi di controllo della parte elettrica, media tensione e distribuzione elettrica, alta tensione e connessione alla rete, fino a soluzioni di service e manutenzione.Uno dei componenti fondamentali di un impianto a Biomasse è rappresentato dalla turbina a vapore. Gra-zie alla sua esperienza di oltre un secolo nella costru-zione e nella continua innovazione e miglioramento tecnologico di turbine a vapore e la sua ampia gamma che si estende da 45 kW a 1.700 MW (la prima turbi-na di questa taglia è stata realizzata per un impianto nucleare in Finlandia ed è la più grande mai costruita al mondo) Siemens è in grado di fornire la turbina più adatta alle esigenze di ogni impianto. Le turbine si contraddistinguono per le loro doti di flessibilità e affidabilità e sono concepite per consentire una rapi-

da messa in servizio e l’economicità di esercizio. Gli esperti Siemens sono in grado di fornire l’adeguata assistenza all’installazione, alla messa in servizio, allo start-up e trial run, oltre, naturalmente, alla manu-tenzione preventiva e correttiva della macchina. Tut-ti i prodotti sono conformi agli standard qualitative ISO 19001 e ISO 14001.

Grazie alla sua capacità di coprire l’intera catena del valore dell’energia, Siemens offre sistemi di con-trollo di processo e della parte elettrica e protezioni all’avanguardia, molto flessibili e innovativi per la completa automazione dell’impianto. Vengono pro-gettati, costruiti e forniti apparecchiature e quadri completi per applicazioni nel campo della media tensione e dell’alta tensione, oltre a sistemi di poten-za di bassa tensione e soluzioni chiavi in mano per la connessione alla rete, garantendo la massima si-curezza operativa, una facile gestione dell’impianto e costi di esercizio particolarmente ridotti.

Con l’acquisizione del 60% di Steinmüller Enginee-ring GmbH di Gummersbach (Germania) Siemens ha ampliato la propria offerta di servizi nell’ambito dell’energia e delle tecnologie ambientali. Steinmül-ler Engineering, fornisce, infatti, supporto ingegne-ristico sia per tecnologie innovative di combustione progettate per ridurre significativamente le emis-sioni di CO2 (anidride carbonica) e NOx (ossidi di azoto), e nell’ambito delle centrali a biomasse è in grado di gestire il design della caldaia e fornire so-luzioni personalizzate per il trattamento fumi e la riduzione delle emissioni nocive.

I progetti più significativi a livello mondiale in-cludono un impianto di cogenerazione alimenta-to da residui di legno naturale finemente tritati in Baden-Wuerttemberg; due linee di cogenerazione a biomasse in Vorarlberg; il più grande impianto a biomasse (legno verde unitamente a residui e scar-ti di legno) in UK; il più grande impianto Europeo alimentato con legno fresco di origine forestale, si-tuato a Vienna; e un impianto in Italia meridionale a combustione di cippato e sansa di olive.

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Il Gruppo Techint è una realtà multinazionale che comprende oltre 100 società, in cui lavorano più di 50 mila persone e con un fatturato di circa 19 miliar-di di dollari. In quasi 70 anni di attività le società del Gruppo, presenti nei cinque continenti, hanno rag-giunto livelli di eccellenza in diverse aree di business: siderurgia (Tenaris & Ternium), impianti industriali (Tenova), Engineering & Construction (Techint), Oil & Gas (Tecpetrol) e sanità (Humanitas).Techint Engineering & Construction ha completa-to più di 3.500 progetti in tutto il mondo. L’attività spazia dalla costruzione di grandi infrastrutture alla realizzazione in tutte le fasi, dagli studi di fattibilità fino alla fornitura chiavi in mano, di impianti indu-striali, siderurgici, chimici e petrolchimici e centrali elettriche.Techint infatti è specializzata nella progettazione e costruzione su base EPC di impianti che richiedono comprovata capacità di gestione di progetti com-plessi e conoscenza approfondita del territorio.Grazie alla sua storica presenza in Europa, America Latina, Medio Oriente ed Africa, e più recentemen-te in India, Techint ha raggiunto una solida e radi-

cata posizione nei paesi in cui opera. L’approccio “multilocal” consente a Techint di lavorare in queste aree in maniera più efficace avendo come vantaggio competitivo la conoscenza delle pratiche di business e degli standard locali.Utilizzando le soluzioni progettuali e le tecnologie più all’avanguardia, Techint è in grado di progetta-re e costruire impianti industriali che garantiscono la completa soddisfazione delle esigenze dei propri clienti nel massimo rispetto degli obblighi in mate-ria di sicurezza, ambiente e qualità.Techint si è recentemente adoperata per associa-re la sua solida conoscenza nel settore dell’energia con l’innovazione e la ricerca, affrontando le sfide delle risorse energetiche e dell’ambiente per andare incontro alla domanda di mercato, investendo nelle energie rinnovabili.Grazie alle proprie referenze nel settore degli im-pianti termoelettrici e la lunga esperienza nella re-alizzazione e nella gestione dei progetti, Techint è garanzia di progetti realizzati con successo accom-pagnati da una sensibile riduzione dei costi, per il massimo rendimento dell’investimento del cliente.

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Copyright 2011 © Politecnico di Milano - Dipartimento di Ingegneria GestionaleCollana Quaderni AIP

Registrazione n. 433 del 29 giugno 1996 – Tribunale di Milano

Direttore Responsabile: Umberto Bertelè

Progetto grafico e impaginazione: New!Stampa: Grafiche Ponzio

ISBN: 978-88-904839-7-4

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