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BN21 OSSESSIONI NELLA NOTTE

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BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 21 del 13/8/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Estate, 1959 5 6 7 8 9 10

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Edge of Twilight

MIRA Books © 2004 Margaret Benson

Traduzione di Gigliola Foglia

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Bluenocturne agosto 2010

Questo volume è stato impresso nel luglio 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico mensile n. 21 del 13/8/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Estate, 1959 «Quel tizio se l'è proprio fatta addosso, tanto gli ho messo paura» disse Bridget ridendo, mentre tagliavano per il vicolo, balzavano su per i resti di una scala antincendio e si lancia-vano attraverso la finestra rotta per atterrare sul pavimento molto più in basso. I tavolati del magazzino abbandonato erano incrinati da quegli impatti ripetuti. Ma quella era una casa per la Banda dei Cinque. Edge voleva bene alla marmocchia. Tuttavia, in quel mo-mento, non era contento di lei. Le arruffò i riccioli, spostan-dole le mollette assortite. Dodici anni quand'era stata tra-sformata; a dodici sarebbe rimasta, anche se era non-morta da più di un decennio ormai. L'aveva trovata per strada, mentre vagabondava, da sola. Orfana di chi l'aveva trasfor-mata, proprio com'era stato lui. Proprio com'erano tutti gli altri. «Dunque, chi diavolo era lui?» domandò. Alzando le spalle, Bridget salì una scala a pioli fino al se-condo piano, che era simile a un loft, dove si incontravano tutti dopo una nottata a spazzare le strade, per spartirsi il bottino.

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Edge fece un balzo. Quando atterrò, si sollevò una nuvo-letta di polvere. «Bell'entrata» commentò Ginger senza alzarsi da dove stava seduta sul pavimento, la voce che stillava sarcasmo. Era vestita tutta di nero, teneva di quel colore anche i corti capel-li e le unghie affilate come pugnali, come se cercasse di in-carnare il cliché. Si spazzò la polvere dai jeans neri come se lui ce l'avesse buttata di proposito. «Piantala di fare la cagna, Ginger» scattò Bridget. «Tieni a bada la tua bocca, moscerino.» Ci fu uno scatto e in un lampo le due si stavano fronteg-giando. «Ehi, ehi, dateci un taglio!» Scott, col suo viso infantile, si alzò, frapponendosi tra loro. «Andiamo, qual è il problema, dopotutto?» Era ossuto ma forte. Quanto chiunque di loro, certo, il che significava maledettamente forte a paragone de-gli umani. Come vampiri, erano cuccioli. Pivellini, era il termine che Edge aveva sentito usare ai più anziani. Sia Ginger sia Scottie erano non-morti da meno di cinque anni. Lei ne aveva diciot-to, e lui era di un anno più giovane, quand'era avvenuto il cambiamento. Bambini. Ma era per questo che avevano bi-sogno l'uno dell'altro. E che avevano bisogno di lui. Ginger e Bridget non mostrarono alcun segno di arretra-mento. La testa bionda, gli occhi azzurri e la struttura sottile come un binario di Scottie non intimidivano più della sua voce, morbida come burro. «Calmatevi» ordinò Edge severo. «Adesso.» Battendo le ciglia con fare colpevole, le femmine si allon-tanarono. Lui non si era proposto per il compito di leader, gli era so-lo toccato in modo naturale. Era il più anziano. Aveva venti-tré anni quando era stato mutato. Ed era un vampiro da più tempo di chiunque di loro. Dodici anni erano passati ormai.

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Il nascondiglio era suo. Loro l'avevano per così dire... seguito fino a casa, uno per uno, finché si era ritrovato questa banda di vampiretti senza dimora. Una evoluzione naturale, dedusse. Lui aveva fatto parte di una gang di strada in Irlanda, l'an-no in cui era stato trasformato. Anche se quella gang era di-versa. Delinquentelli senza casa, ciascuno che cercava di far peggio degli altri. Questo gruppetto... Accidenti se non erano diventati qua-si... una famiglia. Edge voleva loro bene, se ne prendeva cura. E loro guarda-vano a lui perché li guidasse, si affidavano perché li proteg-gesse. Per la sua età, la sua esperienza, non lo sapeva. Era solo così che erano andate le cose. «Dov'è Billy Boy?» chiese Ginger. «Avrebbe dovuto essere tornato, a quest'ora.» Bridget scrollò le spalle e aprì lo zainetto. «Ho raggiunto un obiettivo tutto da sola, oggi» annunciò, rovesciandone fuori il contenuto. Un portafogli, gemelli da camicia e un orologio costoso. «E, come ti ho già ricordato, Bridget» esordì Edge, «tu non dovresti...» «All'inferno, Edge, non ho sul serio dodici anni, li dimo-stro soltanto.» Sorrise, con profonde fossette nelle guance da bambina. «Avreste dovuto vedere quel tipo» raccontò agli altri. «Studente di college, penso. Giovane, forse una ma-tricola. Ricco come il diavolo e con l'aria smarrita. Probabil-mente la sua prima volta nella grande città, giusto? Allora, ho intravisto il Rolex che aveva al polso e ho deciso che era una occasione troppo ghiotta per passarci sopra. Così l'ho prece-duto e mi sono infilata in un vicolo. Quando è passato, ho chiamato con questa dolce vocina da bimba.» Abbassò il vo-lume, alzò la tonalità fino a un innocente piagnucolio. «Mi aiuti. Per favore, mi aiuti, signore.»

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Edge si accigliò, ma vide l'attenzione rapita sulle facce de-gli altri. «Così lui viene passo dopo passo dentro il vicolo, ed è al-lora che gli salto addosso.» Bridget fece spallucce. «Caspita, avevo comunque fame.» «Bridget, non l'hai ucciso, vero?» chiese Scottie, scoccan-do a Edge un'occhiata preoccupata. «Non vogliamo attirare l'attenzione su di noi.» «Non ho bevuto abbastanza da ucciderlo. L'ho solo spa-ventato a morte. Alleviato la sete, anche.» Si leccò le labbra. Poi sorrise, riprendendo il filo della storia. «Gli sono saltata sulla schiena, gli ho agganciato le gambe attorno alla vita e le braccia attorno al collo e l'ho morso forte. Era così spaventa-to che si è bagnato i pantaloni!» Scottie borbottò, scrollando la testa: «Oh, Bridget... che cosa ti aveva fatto quel poveretto?». «Oh, lasciala stare, Scottie» latrò Ginger. «È sopravvivenza del più idoneo, là fuori. Uccidere o essere ucciso. Noi fac-ciamo quello che dobbiamo fare. E poi non gli ha fatto del male.» «Non doveva neanche spaventarlo così.» Bridget alzò gli occhi al cielo. «Tutto quel che ho preso è stato l'orologio, il portafogli, e quei gemelli da elegantone» insistette. «Gli hai preso molto di più, Bridget» contestò Scottie. «Gli hai portato via il suo orgoglio.» Edge si trovò a concordare. «Oltretutto, metti a rischio il resto di noi» disse alla ragazza. «Che cosa immagini stia per fare quell'uomo adesso? E se va alla polizia o parla alla stam-pa, e chiacchiera di una ragazzina dalla forza sovrumana che gli ha rubato il portafogli e gli ha morso il collo?» «Non lo farà» ribatté lei. «È un uomo, dopotutto. Ha il suo amor proprio a cui pensare. È già abbastanza brutto che deb-ba vivere col ricordo. Non si sognerebbe mai di ammetterlo

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con nessun altro. E poi chi gli crederebbe?» Sogghignò. «A-vreste dovuto sentirlo quando l'ho lasciato là, steso in mez-zo alla spazzatura coi calzoni pisciati e il collo sanguinante. Comincia a strillarmi contro, giurando che avrà vendetta. Co-sì mi giro e dico: Già, sono proprio spaventata da un uomo che si bagna i calzoni per paura di una ragazzina dai denti aguzzi.» Gettò all'indietro la testa e rise. «Quello gli ha chiu-so il becco in un battibaleno.» Edge sospirò, mentre un'oscura sensazione gli serpeggiava nell'animo. Bridget non stava sviluppando nessun genere di empatia, né alcun principio morale, malgrado i suoi sforzi di instillarle un minimo di etica. Prendi solo ciò che ti serve, non far del male agli innocenti senza necessità, insomma quel genere di cose. Scottie aveva un cuore grande come la notte, ma era già così prima della trasformazione. Ginger era semplicemente meschina, e crescendo lo era solo diventata di più; e Bridget non era abbastanza grande per sapere che cosa sarebbe di-ventata. Sembrava volersi modellare su Ginger, tuttavia, più che su altri di loro. Edge prese il portafogli, ne tolse la patente di guida ed e-saminò la foto di un giovanotto piuttosto piacente con occhi e capelli scuri. «Frank W. Stiles» lesse. «Ventun anni.» Frugò, trovando poco d'altro di interessante, a parte un biglietto da visita con un numero di telefono e le lettere DPI impresse in nero. Non sapeva che cosa fosse, ma il nome sul biglietto era J. D. Smith, e il titolo che seguiva era reclutatore. A quanto pareva il giovane signor Stiles veniva corteggiato da una qualche compagnia. Doveva essere uno studente dotato. Scosse il capo. «Quel che è fatto è fatto, suppongo. Ma tu e io dob-biamo fare una lunga chiacchierata, Bridget.» Con un sospiro rimise via la patente e il biglietto da visita, e gettò il portafogli sul pavimento. «Allora, come siete andati, voi altri?»

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«Totalizzato settantacinque in contanti e tre carte di credi-to» annunciò Scottie. «Ho usato quella tecnica di controllo mentale che ci hai insegnato, Edge. Ha funzionato, nessuno di loro ricorderà un bel niente. E, dal momento che ho preso solo un po' di contante e una carta da ciascuna vittima, sup-porranno di aver messo da qualche altra parte le carte man-canti e non si accorgeranno nemmeno del denaro che man-ca.» Guardò Bridget mentre parlava, come se volesse aiutarla a cogliere il messaggio. «Vedi, marmocchia? Si può fare sen-za spaventarli a morte e proclamare al mondo la nostra pre-senza.» Lei gli mostrò la lingua. «Io ho fatto trecento sacchi e una collana di diamanti» ag-giunse Ginger, con soddisfatta espressione di superiorità. «Unica vittima. Mi sono nascosta nel retro della sua limousi-ne, ho stordito l'autista e ho atteso. Lei è montata, e io le ho strappato la borsetta e la collana e sono saltata fuori dall'altro lato. Ha capito a malapena che cosa diavolo l'ha colpita.» «Povera piccola cagna ricca, spero non fosse troppo trau-matizzata» commentò Bridget. Scottie capì che l'osservazione era diretta a lui. «Solo per-ché è ricca non significa che meriti che le si faccia del male o la si spaventi.» Edge sospirò. «Aggiungi il contante alla cassa. Il resto lo impegneremo.» Lanciò un'occhiata al Rolex col nome di Frank Stiles inciso sulla cassa. «Sarà l'alba tra due ore. Io torno fuori a cercare Billy Boy. Non mi piace che sia così in ritardo.» «Avremo abbastanza per andarcene di qui presto, Edge?» chiese Bridget. Lei desiderava un posto in campagna. Un posto sicuro dove non dovessero preoccuparsi di venire scoperti in una giornata di sole, mentre dormivano. Francamente, lui pensa-va che sarebbe stato necessario molto di più di quella miseria

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che riuscivano a ricavare da piccoli crimini e borseggi. Avreb-be dovuto pensare a qualcosa di meglio, qualcosa di più grosso. «Presto» le rispose. «Presto davvero, zuccherino.» Poi uscì. Ma non trovò Billy Boy. Non fino a quando tor-nò, appena prima dell'alba, e li trovò tutti quanti. Erano appesi a testa in giù alla trave del loft. Delle funi e-rano state loro legate alle caviglie e fatte passare sopra la tra-ve. Il pavimento sotto era zuppo del loro sangue. Avevano tutti la gola tagliata. Ginger, Billy Boy, il buon Scottie dall'animo dolce, e la sua diletta piccola Bridget. Morti. Assassinati. Quella vista gli tolse il fiato. Edge cadde sulle ginocchia. Non ebbe bisogno di control-lare i corpi. Il puzzo di morte era fortissimo. L'aveva percepi-to dall'istante in cui si era avvicinato al magazzino, e aveva corso a tutta velocità per gli ultimi isolati. Ma era troppo tardi. Chiuse gli occhi davanti al dolore, purtroppo questo non lo alleviò. E alla fine dovette fronteggiare il macabro compito che lo attendeva. Doveva prendersi cura di loro un'ultima volta. Si arrampicò fino al sottotetto per calarli giù. E lì, sul pavi-mento, vide il mucchietto di portafogli rubati, contanti e car-te di credito, proprio dov'erano quando era uscito. Alcuni oggetti erano stati aggiunti alla pila, il bottino di Billy Boy, senz'altro. La collana di diamanti scintillò. A quanto pareva l'assassino non vi si era interessato. Accigliandosi, si avvicinò. Il Rolex era sparito. I gemelli pure. E il portafogli che era appartenuto all'uomo di nome Frank W. Stiles. Aveva avuto la sua vendetta, proprio come aveva promes-so. Come avesse fatto, Edge non sapeva.

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Un solo uomo contro quattro vampiri? Pareva davvero im-possibile. Eppure era successo. Chiuse gli occhi, giurò vendetta sull'uomo che aveva as-sassinato la sua famiglia. «Pagherai, Frank Stiles» urlò. «Mi ci volesse un'eternità, ti troverò, e pagherai.»

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Oggi La donna non avrebbe potuto sapere che lui stava aspettan-do nel suo appartamento, quando entrò quella notte. Non poteva percepire il suo calore corporeo, perché lui non ne emetteva. Aveva lui tutto il vantaggio. Poteva vederla altrettanto be-ne nel buio quanto in piena luce. Forse meglio. Riusciva a sentire ogni suono che lei produceva, giù giù fino al deciso pulsare del suo cuore e allo scorrere del sangue nelle vene. Riusciva a sentirne l'odore. Shampoo alla fragola, deodorante all'aroma di borotalco, smalto per unghie vecchiotto, una traccia di profumo, perfino la fragranza dell'ammorbidente sui vestiti. Lei chiuse la porta dietro di sé e bloccò le serrature, il tutto senza tendere la mano a un interruttore della luce. Si appog-giò di schiena contro la porta e si sfilò le scarpe; si scosse dalla spalla la borsetta pesante, insieme alla giacca, e le ap-pese a un gancio. Sospirò e avanzò a piedi nudi sul tappeto, sprofondò nel divano, lasciò cadere la testa all'indietro. Lavorava come in-fermiera in una scuola elementare nella Pennsylvania rurale, passava le sue giornate asciugando nasi sanguinanti e con-

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trollando testoline in cerca di pidocchi. Lontano un miglio dalla sua precedente professione. Lui attese finché ebbe chiuso la mano sul telecomando e l'ebbe puntato verso il televisore, poi parlò. «Quello non accenderlo.» Il telecomando cadde a terra, e la donna scattò in piedi con un grido, le mani premute al petto scrutando l'oscurità con enormi occhi spaventati. «Non è il caso di spaventarsi» disse lui, avanzando. Poteva vederlo adesso. Una sagoma nera nel buio. Scosse una sigaretta dal pacchetto, se la portò alle labbra, l'accese. Osservò la sua paura che si faceva più profonda mentre la fiamma brevemente gli illuminava il viso. Tirò una lunga boccata ed emise il fumo mentre lei se ne stava lì col cuore che martellava come quello di un coniglio. «Non sono venuto per farti del male. Lo farò, certo, se mi costringi. Pro-babilmente mi piacerebbe. Ma sta a te.» «Ch... chi sei? Cosa vuoi?» Roteò gli occhi alla totale prevedibilità della domanda. «Siediti. Rilassati. Voglio solo parlarti.» Tese il pacchetto. «Vuoi fumare?» «N... no.» Lei sedette in bilico sul bordo del divano, tre-mando dalla testa ai piedi. «M... ma...» «Ma cosa? Avanti, chiedi. Il peggio che posso fare è dire di no. Che cosa vuoi?» «Potresti a... accendere una luce?» «No.» Sorrise, divertito dal suo stesso piccolo scherzo. «Vedi? Non è stato così brutto.» Lei lasciò cadere la testa in avanti, reggendosi il viso tra le mani. Piangendo, adesso. Dio, lui detestava le donne che piangevano. Si protese ad afferrare una manciata dei capelli biondi, le alzò la testa. Non le causò dolore, ma lei piagnucolò lo stesso. «Andiamo, via. Avrò bisogno della tua piena attenzione.»

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La donna tirò su col naso, strizzò gli occhi nell'oscurità. Lui aveva rifiutato di accendere le luci soltanto perché lei le voleva accese. Aveva bisogno che fosse a disagio, spaven-tata e spiazzata. «Ho dato la caccia a quest'uomo per... Oh, più di quarant'anni. E, nel corso della ricerca, ho scoperto che ha avuto un legame con te. Uno recente. Così eccomi qui.» «Che uomo?» La voce fu solo un bisbiglio. «Frank Stiles.» Vide il suo improvviso trasalire e poi il ten-tativo di nasconderlo. «Perché stai cercando questo... Stiles?» Non era tenuto a rispondere. Ma lo fece. «È un cacciatore di vampiri. Io sono un vampiro, vedi. Ho pensato potesse es-sere divertente. Capovolgere le carte, il cacciatore diventa cacciato...» «Oh Dio, oh Dio...» «Ho inteso che hai lavorato per Stiles cinque anni fa o giù di lì.» Prese un'altra boccata, esalò alcuni anelli di fumo. «Questo è vero?» «No. Io... non l'ho mai sentito nominare.» Lui mosse la mano troppo in fretta perché lei la seguisse, le afferrò la gola e strinse. Abbastanza per mandarla nel pani-co. Non abbastanza per schiacciarle la laringe. Non gli sareb-be servita a niente da morta. La tirò su un po' dal sofà, per la gola, prendendo un'altra boccata dalla sigaretta. Poi la lasciò andare. Lei cadde di lato, e le mani le scattarono alla gola mentre ansimava per respirare. «Tu mi dirai tutto ciò che voglio sapere prima che questa notte finisca.» Si sedette sulla soffice poltrona, fumando e dandole il tempo di riprendere fiato. «Il tuo nome è Kelsey Quinlan» dichiarò alla fine. «Sei un'infermiera professionale. Lavori alla Scuola Elementare Remsen. Queste informazioni sono esatte?»

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Mettendosi di nuovo dritta, ancora premendosi una mano sulla gola, la donna annuì. «E, cinque anni fa, lavoravi per Frank W. Stiles come assi-stente di ricerca. Giusto?» «Sì. Lo facevo. M... ma...» «Ssst. Rispondi solo alle mie domande. Non sono qui per punirti dei tuoi crimini.» Lei alzò la testa, deglutì a fatica. Sentì male nel farlo. Lui lo percepì. «È lui che vuoi punire, vero? Che cosa intendi fa-re? Ucciderlo?» «Oh, l'ho già ucciso. Un paio di volte, in effetti. Bizzar-ramente, continua a riprendersi.» La faccia della donna impallidì nell'oscurità. «Questo... non è possibile.» «È quel che pensavo io. Ma l'ho ucciso proprio per bene la seconda volta. Era molto, molto morto. E poi... ecco, poi semplicemente non lo era.» Fece spallucce. «Così quel che mi serve sapere adesso è, con esattezza, che genere di ricer-che stava facendo quando lavoravi per lui.» Lei spalancò gli occhi di scatto. Edge sentì l'odore della sua paura. «Non ho intenzione di punirti, Kelsey. Te l'ho già detto.» Alzò di nuovo le mani. «A meno che ti piaccia quel genere di cose, in tal caso...» «Io non ho fatto niente alla ragazza! Non sono stata io. Ha fatto tutto Stiles. Lo giuro.» «Che ragazza?» chiese abbassando pian piano le mani a-desso che l'aveva fatta parlare. «La prigioniera che teneva cinque anni fa. La vampira mezzosangue.» Questo si accordava con ciò che il soldato mercenario che aveva lavorato per Stiles gli aveva raccontato... dopo molti tentativi di persuasione. «Questa... mezzosangue aveva un nome? O le avevate so-lo assegnato un numero?»

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«Lei diceva di chiamarsi Amber Lily Bryant. Nei fascicoli era il Soggetto X-1.» Amber Lily. La Figlia della Promessa. Allora esisteva. Lui a-veva sentito delle storie, certo. Quale vampiro non le aveva sentite? Tuttavia le aveva liquidate come leggende. E il solda-to che aveva interrogato era male informato su ciò che acca-deva dentro la vecchia casa nel Connecticut dove Stiles con-duceva la sua ricerca. «Questa ragazza... era una vampira mezzosangue, dici?» La donna annuì. «Non esiste niente del genere. Stai inventandoti storie per distrarmi dal mio scopo qui. Tutti sanno che i vampiri sono sterili.» «Solo i maschi. Le femmine sembra abbiano l'ovulazione per i primissimi mesi dopo esser state trasformate. Credevo... credevo che tu già sapessi. Pensavo che tutti voi sapeste tut-to ciò.» «Perché allora non fingi che io non sappia e mi metti al corrente?» La donna sembrò frugarsi nella mente. «C'è stato un mor-tale, uno dei Prescelti. Sai, gli unici che possono diventare vampiri. Hanno tutti lo stesso raro antigene Belladonna nel sangue.» «E tendono tutti a morire giovani se non vengono trasfor-mati. Tutto questo lo so, va' avanti.» Lei annuì. «Ecco, i geni di questo mortale, un maschio, vennero accoppiati con quelli di una vampira appena trasfor-mata, e X-1 fu la prole risultante.» «Fu un esperimento del DPI, deduco.» «Sì. Ebbe luogo tutto prima che la Divisione delle Investi-gazioni Paranormali venisse smantellata. Allora Stiles lavora-va per loro. Ritengo fosse coinvolto direttamente in quell'e-sperimento. Tuttavia un gruppo di vampiri attaccò il centro ricerche...»

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«Centro ricerche» sbottò lui beffardo. «Campo di stermi-nio, vuoi dire.» «I genitori scapparono insieme alla bambina.» La donna chinò la testa. «Questo è tutto l'antefatto che mi fu fornito su di lei.» «Così, anche se il DPI non fu mai ripristinato come agen-zia governativa, Frank Stiles continuò per conto suo. E il suo lavoro includeva cacciare e catturare questa bambina mezzo-sangue che era loro sfuggita anni prima?» «A quanto sembra. Ma lei non era certo una bambina, al-lora.» «No?» «Diciotto anni, quando lui la teneva nel Connecticut.» I suoi occhi si spostarono verso il basso e poi a sinistra. «Feci del mio meglio per proteggerla, durante la prigionia. Ed era ancora viva quando i vampiri arrivarono e la fecero evadere.» Incontrò di nuovo il suo sguardo e forse vi vide il dubbio. «Non mi uccisero quando vennero a prenderla, senz'altro questo dovrebbe dirti qualcosa.» «Di regola, i miei simili tendono a rifuggire dall'omicidio a sangue freddo, perfino quando è meritato. Il fatto che ti ab-biano lasciato in vita non mi dice nient'altro se non che ave-vano lo stomaco debole.» Scrollò le spalle. «Sono una sorta di eccezione a quella regola, io.» Lei sedeva immobile, tenendo il fiato. «Stiles trattenne la ragazza per quanto?» «Io... non mi ricordo. Pochi giorni. Non di più.» «Ed eseguì esperimenti su di lei?» La donna chinò il capo. «Sì.» «Dettagli, Kelsey. Ho bisogno di dettagli.» Le spinse in al-to la testa così che lo guardasse in viso. «E capirò se stai mentendo. So che stavi mentendo sul cercare di proteggerla. Fosti crudele verso di lei come chiunque altro. Per tua fortu-na, non me ne importa un fico. Il mio interesse è nei con-

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fronti di Stiles. Per cui dimmi, e dimmi tutto.» Lei si inumidì le labbra. «Voleva sapere che genere di pote-ri avesse. Se fosse immortale o no. Che cosa potesse uccider-la. Quel genere di cose. La drogava, però, così lei non era consapevole di gran parte degli esperimenti. Probabile che non abbia sentito niente.» «E che genere di cose lei non sentì, Kelsey?» Lei prese un respiro, ebbe la decenza di apparire piena di vergogna. La voce fu un mero sussurro. «Scossa elettrica, suf-ficiente a fermarle il cuore, tanto per vedere se sarebbe riparti-to. Annegamento, per vedere se l'avrebbe uccisa. Varie tos-sine introdotte nel flusso sanguigno in dosi mortali. Prelievo di sangue. Colpi alla testa.» «Gesù» mormorò Edge. «Lei si riprese ogni volta, e se n'era andata da un pezzo prima che lui potesse provare cose come proiettili nel cervello o paletti nel cuore.» Paletti! Strabuzzò gli occhi. «Sembra invecchiare come un'umana. Almeno, aveva l'a-spetto di una diciottenne che cresceva in modo normale, ma si rianimava come un'immortale.» «E cos'altro?» «Lui prese i consueti campioni. Sangue, sacche e sacche di sangue. Tessuti, capelli, midollo osseo.» «Che cosa ne faceva?» «Non lo so. Io pensavo stesse cercando di mappare il suo DNA, ma lui era solito chiudersi a chiave in un laboratorio personale per ore. Uno degli altri che lavoravano per lui cre-deva che avesse due serie di appunti, una che potevamo ve-dere e l'altra solo per i suoi occhi.» Fece spallucce. «Una vol-ta l'ho beccato che si iniettava qualcosa. Ma non ho mai sa-puto cosa fosse.» «Stiles trovò mai il punto debole della ragazza? Ha scoper-to che cosa l'avrebbe uccisa?»

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«Non che io sappia, no. Se lui l'avesse fatto, lei non sa-rebbe stata viva al momento della fuga.» Non aveva importanza. L'avrebbe fatto lui. Avrebbe trova-to Amber Lily Bryant, e allora avrebbe scoperto la sua vulne-rabilità. Il suo veleno. La sua kryptonite. Poiché, qualunque cosa fosse, sarebbe stata l'arma che gli sarebbe servita per uccidere Frank Stiles. E, per più di quattro decenni, il suo unico scopo nella vita era stato uccidere Frank Stiles. Nessuno avrebbe potuto bloccargli la strada. Neppure la cosiddetta Figlia della Promessa. Lasciò cadere sul tappeto il mozzicone della sigaretta, lo schiacciò sotto il tacco mentre si alzava in piedi. «Sei stata molto utile, Kelsey.» Lei chiuse gli occhi, sedendo immobile. «E adesso mi uc-ciderai, vero?» «Grazie, ma ho già mangiato.» Sorrise, ma lei non sembrò cogliere l'umorismo. «Non sei una minaccia per me, Kelsey Quinlan. Mi hai detto ciò che avevo bisogno di sapere, e du-bito che tu sia così stupida da cercare di avvertire Stiles, an-che se sapessi dove trovarlo, e non è così. Dunque perché pensi che adesso ti ucciderei?» «Per i miei crimini contro... i tuoi simili.» Scosse la testa andando verso la porta. «Non me ne frega un accidente dei miei simili.» Amber infilò la sua bassa e allungata Ferrari nera nel viale della casa dei suoi genitori, a mezzanotte. Era una dimora georgiana di mattoni rossi in un'isolata, piccola insenatura della Baia Irondequoit sul Lago Ontario. Era completa di passaggi segreti e uscite di sicurezza nasco-ste, ed era una dei loro più recenti acquisti. La casa sul Lago Michigan, infatti, aveva dovuto essere venduta cinque anni prima.

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«Allora, di cosa supponi che tratti questa riunione di fami-glia?» chiese Amber. «Un altro tentativo ragionato di indurci a tornare da loro?» Alicia sganciò la cintura di sicurezza e aprì la portiera. «Fi-nora hanno mantenuto la promessa di non farci pressioni al proposito.» «Già, in cambio del fatto che noi restiamo entro un raggio di venti miglia.» «Dopo la nostra piccola disavventura a New York, siamo fortunate che non ci abbiano rinchiuse in un convento da qualche parte.» Amber aprì la portiera e smontarono entrambe. Richiuse lo sportello e premette il pulsante di chiusura sul portachiavi. «Quale presumi sia lo statuto delle limitazioni, in questi casi?» «Per le normali famiglie, o per la nostra?» Alicia alzò le spalle, passando una mano sul liscio, lucido paraurti della Ferrari. «Tuttavia, immagino che le normali famiglie non comprino regali così carini per le loro figlie vagabonde.» Inar-cò le sopracciglia. «Anche se penso ancora che avresti dovu-to tirare avanti con la piccola Corvette rossa. Allora poteva-mo essere pari.» Amber roteò gli occhi, gettò indietro i capelli e camminò a fianco a fianco con sua sorella. E non gliene importava molto quanto ufficiale o non ufficiale fosse, Alicia era sua sorella. Era una bizzarra famiglia, una bizzarra, iperprotettiva, o-scenamente ricca famiglia. Le ragazze avevano due madri, da sempre. Una vampira, una mortale. E il padre di Amber ve-gliava su entrambe e le proteggeva, anche se sembrava abba-stanza giovane da essere il loro fratello. Era per questo che lei non gli aveva raccontato del sogno che la stava tormentando ormai da più di un anno. Un sogno che l'affascinava, e la terrorizzava. I suoi sogni tendevano a essere precognitivi, e lo sapevano tutti. Quindi non c'era

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nessuna ragione di turbare l'intera tribù fino a che lei avesse capito che cosa significasse. Chi diavolo era il vampiro dai capelli biondi e gli occhi in-fuocati che faceva fondere ogni parte di lei? E che cosa c'era nella scatola scolpita che lui le tendeva e che le trasformava il cuore in ghiaccio per il terrore? Amber non riusciva mai a ri-cordarlo. Ma la lacrima nell'occhio del vampiro mentre le porgeva la scatola era troppo reale per venire negata. Morte. Chiunque lui fosse, le avrebbe portato la morte. Amber chiuse gli occhi e focalizzò la mente su sua madre, ordinandosi di chiudere a chiave il sogno e tenerlo per sé. Siamo qui, mamma. Appena furono sui gradini, la porta si spalancò e Angelica, bellissima e per sempre giovane, le cinse con le braccia. «Oh, sono così contenta che siate qui. Proprio non sapete.» Amber l'abbracciò forte, poi arretrò. «Mamma, siamo qui tutti i fine settimana. Com'è possibile che ti manchiamo già?» E fu allora che la colse... la tesa, triste vibrazione che sua madre non avrebbe potuto sperare di nasconderle. Si sentì mancare. «Dio, che cosa c'è? È successo qualche cosa a papà?» «Io sto bene, mia cara.» Jameson era entrato in anticamera con Susan e le stava tendendo le braccia. Le ragazze corsero dai rispettivi genitori, poi si scambiaro-no di posto. Torcendosi le mani, Angelica si precipitò in soggiorno, e gli altri la seguirono. Amber continuava a guardare suo padre, chiedendogli in silenzio che cosa stesse succedendo. Lui la pregò senza una parola di essere paziente e di prepararsi alla tragedia. Amber era sull'orlo delle lacrime ancor prima di arrivare in soggiorno e sistemarsi in una soffice poltrona. Alicia, benché incapace di leggere le menti con la precisione di un vampiro, era esperta nel leggere le facce e percepire emozioni. Anche

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lei aveva colto il dolore nell'atmosfera. Si sedette su una se-dia a dondolo e si protese a stringere la mano dell'amica. Su-san sedette sul divano, con Angelica accanto. Nel corso degli anni, man mano che era invecchiata come una donna normale, Susan aveva assunto un ruolo quasi ma-terno con Angelica. La proteggeva, le voleva bene, e adesso le teneva una mano sulla spalla. Jameson restò in piedi, e sembrò radunare le parole nella mente. «Padre, per l'amor di Dio, di' qualcosa!» esplose infine Amber. «È morto qualcuno? Eric e Tamara stanno bene? Dio, si tratta di Rhiannon? O Roland? Cos'è successo?» Jameson si inumidì le labbra e scrollò la testa. «Non è morto nessuno, Amber. Ma è... Si tratta di Willem.» Amber batté le ciglia per il colpo. Cinque anni prima, Wil-lem Stone l'aveva salvata dalle mani di uno spietato scienzia-to che la stava trattando come la propria personale cavia da laboratorio. Da allora, lui e la vampira di cui si era innamora-to, Sarafina, erano diventati parte della sua bizzarra famiglio-la. Ma diversamente dal resto di loro, Willem era un semplice uomo. Non uno dei Prescelti, non uno che potesse venire trasformato. Solo un mortale. Il più eccezionale, incredibile mortale che lei avesse mai conosciuto. Quasi timorosa di porre la domanda, costrinse le parole a uscire. «Cos'è successo a Willem?» La mano di Alicia strinse più forte la sua quando Jameson pronunciò quell'unica parola. «Cancro.» Fu come se stesse parlando una lingua straniera. Amber sentì le sopracciglia piegarsi a punto interrogativo. «Che cosa?» «Ha un tumore al cervello, Amber. È inoperabile. Ed è... terminale.» «No.» Lei indagò negli occhi di suo padre, poi in quelli di

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sua madre e di Susan. «Dev'esserci qualcosa che possiamo fare. Dev'esserci...» «Lui è un mortale» bisbigliò Angelica. «E i mortali... muo-iono.» Alicia e sua madre si scambiarono un'occhiata consapevo-le, di triste accettazione, che ad Amber non sfuggì. Non era abituata ad affrontare la morte. Si rifiutava di accettarla come la fine inevitabile per coloro che amava. Perfino per quelli mortali. «Non può succedere. Non adesso, non ancora» disse, come se pronunciare le parole con sufficiente enfasi potesse renderle vere. «Dio, Sarafina l'ha appena trovato. Come può esserle tolto a questo modo? Avrebbero dovuto avere anni insieme. Decenni!» «Non è giusto» mormorò Alicia. Poi scrollò la testa. «Que-sto non lo ucciderà. Will è l'uomo più forte che conosco. Lui lo vincerà. Lo farà.» Amber annuì. «Lish ha ragione. Dio, ha sopportato torture nel deserto, ha ricevuto medaglie per aver protetto tutti que-gli uomini che sarebbero morti se avesse parlato. Lui è davve-ro un eroe. Ha affrontato Stiles ed è sopravvissuto per rac-contarlo!» «Questo è diverso, Amber» mormorò Susan. «So che non è giusto, ma è così che funziona la vita. La morte è... parte dell'essere umani.» Amber la fissò a lungo, notando i capelli grigi, il peso che aveva messo su, le rughe attorno agli occhi. Guardò Alicia, che negli ultimi cinque anni era cambiata in molti modi più sottili. Aveva perso l'aria da adolescente, appariva donna a-desso. Mentre lei non era cambiata per niente. Non da quella casa a Byram, Connecticut. Non da Frank Stiles e i suoi esperimenti. «Rhiannon è con loro adesso, alla casa di Salem Harbor» disse Jameson. «Eric sta effettuando delle ricerche al laborato-

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rio di Wind Ridge, ma...» Scosse il capo. «Non c'è molto tempo.» Amber alzò le sopracciglia. «Quanto?» «Sei mesi, al massimo.» Sei mesi. Era meno di un battito. Tirò su col naso e si a-sciugò le lacrime con le nocche. «Devo andare da lui. Ho bi-sogno di vederlo... di vedere tutti e due. Come sta? Gli avete parlato?» «È stata Rhiannon a telefonarci per darci la notizia» mor-morò Angelica. «Ha chiesto espressamente di te.» «E il resto di voi?» «Verremo più avanti. Per prima cosa andremo da Eric. Ro-land è già là. Hanno bisogno di tutto l'aiuto, con le ricerche» spiegò Jameson. «Inoltre» aggiunse Angelica, «non vogliamo sovraccaricare Fina e Will. Piombare su di loro tutti in una volta potrebbe essere un po' troppo.» «Vorranno un po' di tempo da soli.» Amber inghiottì le lacrime. «Vieni con me, Alicia?» «Una di noi deve rimanere a tenere aperto il negozio, teso-ro. Ma, se hai bisogno di me, chiamami, e sarò là come un lampo.» «Alicia, mi sentirei meglio se l'accompagnassi» cominciò Angelica. Amber la interruppe. «Mamma, ho ventitré anni e sono perfettamente in grado di andare fino a Salem Harbor da sola.» La madre serrò le labbra. «Abbiamo imparato entrambe dai nostri errori, Angelica» mormorò Alicia. «Siamo donne adulte e responsabili. Tutt'e due.» «Questo lo so.» Angelica scoccò un'occhiata a Jameson, che annuì in silenzio. Amber sospirò di gratitudine. Alicia le stava concedendo il

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tempo e lo spazio per fare per conto proprio quella cosa. Will era come il fratello maggiore che non aveva mai avuto. Gli voleva bene alla follia, forse proprio perché lui era un estra-neo, parte di quella famiglia allargata di non-morti, anche se non era uno di loro. Proprio come Susan e Alicia. Proprio com'era lei stessa. Ecco, non esattamente... Neanche lei era mortale. Non sapeva con esattezza che cos'era. Annuendo decisa, annunciò: «Farò i bagagli stasera. Parti-rò domattina presto». «Devo chiamare le compagnie aeree per te, Amber?» chie-se Susan. «No, io... pensò che andrò in macchina. Mi darà tempo di... assimilare tutto questo.» «Sembra una buona idea.» Alicia si alzò in piedi. «Voi, ra-gazzi, state tutti bene?» «Stiamo affrontando la cosa come meglio possiamo» ri-spose Angelica. «Non è facile per nessuno di noi. Ma Eric si rifiuta di lasciar cadere la speranza, e forse c'è qualche possi-bilità che abbia ragione.» «Tu non lo pensi davvero, è così?» domandò Amber. E percepì la disperazione nel suo cuore, quando abbassò gli occhi. Alicia disse: «Amber, andiamo. Ti aiuterò a fare i bagagli, magari ti preparerò anche qualche spuntino per il viaggio, che ne dici?». Sorridendo con gratitudine, Amber annuì. Si alzò, lasciò che suo padre l'abbracciasse forte. «Quando arrivi là, dimentica il tuo dolore. Pensa ad alle-viare il loro.» Edge stava di guardia nell'ombra, fuori dal negozietto un po' kitsch di articoli magici e New Age, in uno dei sobborghi di Rochester, New York, una cittadina che era chiamata Iron-dequoit.

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L'insegna nella vetrina diceva Lo Scrigno di Pandora, e in-cludeva il disegno stilizzato di una cassa di tesori col coper-chio aperto e delle scintille viola che se ne levavano a spirale. L'appartamento in cui Amber Lily Bryant viveva con la sua compagna mortale, Alicia Jennings, era al secondo piano, e la sua ricerca mostrava che le due ragazze erano proprietarie in società del negozio, che avevano acquistato dai precedenti proprietari, due anni prima. Perché la Figlia della Promessa stesse dividendo un appar-tamento e un'attività con una mortale, anziché vivere sotto la protezione costante di una dozzina di guardie del corpo vampire, lui non riusciva a immaginarlo neanche lontana-mente. Nessuno di coloro che aveva interrogato per rintrac-ciarla aveva fornito una ragione. Lui era stato insistente, men che morale, e aveva raccolto gli occasionali pensieri non sorvegliati. Messi assieme, i pezzi l'avevano condotto lì... dove lei viveva in un comune appartamento con una comune ragazza mortale. Doveva essere il trofeo più ricercato di ogni caccia-tore di vampiri esistente... aveva sentito parlare di molti, oltre al fuoriuscito agente DPI Frank Stiles. Se lei aveva dei tutori, avrebbero dovuto essere presi a botte. Le due donne tornarono attorno alle due e mezza di notte in un'auto che lo fece sbavare ancor più della Corvette rossa nel garage. Una Ferrari nera. Lui non avrebbe cambiato la sua Mustang del '69 per niente al mondo, ma accidenti! Uno po-teva lustrarsi gli occhi. Entrarono nel viale, ma non nel garage doppio annesso alla parte posteriore del negozio. Edge si diede gran pena di mascherare la propria presenza alla Figlia della Promessa, di schermare la mente, i pensieri, la propria stessa esistenza. Non aveva idea di quali poteri possedesse. Non che lei l'avrebbe notato comunque, nel suo stato.

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Smontò dall'auto, fece due passi malfermi in direzione del-l'edificio, poi appoggiò un braccio al muro di mattoni e chi-nò la testa. Aveva i capelli lunghi, perfettamente lisci, e così scuri che lui sulle prime li aveva creduti neri. Invece, era la più scura sfumatura immaginabile di ramato, con profondi riflessi Bor-gogna che scintillavano al bagliore dei lampioni. Se costretto, lui li avrebbe descritti come raso nero, sciacquato nel sangue. Le pendevano in avanti, così che non poteva osservarle il vi-so. Tuttavia riusciva a percepirla... Non gli dava la sensazione di un mortale, ma non del tutto neppure quella di un vampi-ro. Lei produsse un suono, un singhiozzo che le si fermò in gola, e lui si rese conto che piangeva. D'istinto fece un passo, prima di bloccarsi. Liquidò la rea-zione di pancia, coprendola col sarcasmo a lui più caratteri-stico. Proprio quel che gli serviva, si disse. Altre femmine che facevano le fontane. Che diavolo aveva questa qui? L'altra le fu accanto in un secondo, e poi le due si abbrac-ciarono disperatamente, singhiozzando. L'altra ragazza era chiaramente quella mortale. Aveva capelli corti, biondi come quelli di Edge. Sarebbero stati ricci se lasciati crescere, ma nello stato attuale spara-vano in tutte le direzioni in un disordine ricercato che su di lei appariva bello. Era attraente. Odorava lievemente di magia. Doveva aver fatto qualcosa in più che rifornire gli scaffali e gestire il registro in quel suo negozietto. Aveva studiato, sperimentato un po', e l'aveva tenuto per sé. «Non posso aspettare fino a domattina, Alicia» disse Am-ber. «Devo partire prima. Appena sarò pronta.» Tirò su col naso, asciugandosi gli occhi e sgusciando fuori dalle braccia dell'altra. «Butta qualche cosa in una borsa, tesoro mio. Io andrò

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on-line e cercherò le indicazioni stradali intanto che tu fai i bagagli.» Amber annuì, e le due salirono la scala esterna per l'appar-tamento al secondo piano, a braccetto, chiudendo a chiave la porta dietro di sé. Di certo, una porta chiusa a chiave non aveva mai rappre-sentato un problema per Edge.

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Ossessioni nella notteChi è il vampiro dai capelli biondi che popola i suoi sognie le fa ribollire il sangue nelle vene? E perché il suo donole trasforma il cuore in ghiaccio per il terrore? Al risveglio

Amber non riesce mai a ricordarlo. Sa solo che lui le porteràla morte. O forse la sedurrà per l’eternità.

Il graffio della panteraNessuno sospetta che Faythe Sanders sia una creaturadalla doppia natura, umana e felina. Poi un Randagio,

un mutaforma senza legge né branco, attacca la comunità,mandando all’aria i suoi sogni e i suoi progetti.

E a quel punto Faythe decide di sfoderare gli artiglie fargliela pagare. Chiunque lui sia.

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