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Università Ca’Foscari Venezia Cafoscari Rivista universitaria di cultura 3Anno XIII L’anno che verrà Giulia Baccini Giorgio Bertinetti Margherita Cannavacciuolo Maria Celotti Federica Ferrarin Simone Francescato Marco Fumian Mario Infelise Alessandra Pelizzaro Giovanna Puppin Andrea Stocchetti Alessandra Trevisan Pierantonio Zanotti Dicembre 2009

Cafoscari Rivista Venezia universitaria di cultura · concetto di “frontiera”, e spaziando dalla letteratura alla storia, dalle arti visive alla musica. Il pacchetto formativo

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UniversitàCa’FoscariVenezia

CafoscariRivista universitaria di cultura

3Anno XIII

L’anno che verrà

Giulia Baccini

Giorgio Bertinetti

Margherita

Cannavacciuolo

Maria Celotti

Federica Ferrarin

Simone Francescato

Marco Fumian

Mario Infelise

Alessandra Pelizzaro

Giovanna Puppin

Andrea Stocchetti

Alessandra Trevisan

Pierantonio Zanotti

Dicembre 2009

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IL DIRETTORE

Oh, ma guardate che ci vuole una bella faccia tosta!Uno che si spaccia per personaggio, venire adomandare a me, chi sono!

IL PADRE

Un personaggio, signore, può sempre domandare aun uomo chi è. Perché un personaggio ha veramenteuna vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui èsempre «qualcuno». Mentre un uomo – non dico lei,adesso – un uomo così in genere, può essere«nessuno».

[Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore,edizione del 1921]

I saperi, le arti, i sistemi costituiscono la materia su cui si fonda la vocazione educativa; ma spessonon basta tradurre il metodo in tecnica, e neppure coniugare nella giusta misura conoscenza eretorica. Serve, piuttosto, imparare a interrogarsi, invitare chi ascolta a interrogare, fornire risposteche hanno il sapore di nuove interrogazioni. In tal modo, forse, l’«anno che verrà» vedrà nascereprogetti e idee, animati dal desiderio e dall’utopia, come si addice ad ogni uomo che possa dirsi«qualcuno».

***

Con questo numero si conclude, dopo quattro anni, la mia direzione della rivista «Cafoscari».Ringrazio di cuore quanti hanno collaborato alla realizzazione dei singoli fascicoli, saluto laredazione, gli amici e le amiche dell’Ufficio Comunicazione e relazioni con il pubblico.

Tutti insieme auguriamo al personale dell’Ateneo, agli studenti e ai lettori buone feste e un sereno2010.

/ Interrogazioni /

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“The crisis and its lessons” è il titolo della lezione che ilPresidente della Banca Centrale Europea, Jean ClaudeTrichet, ha tenuto presso l’Auditorium Santa Margheritadella nostra Università lo scorso 9 ottobre.La lucida e puntuale descrizione degli avvenimentisvolta in tale occasione ha in primo luogo ripercorso letappe fondamentali degli eventi che hanno scosso imercati finanziari nell’ultimo triennio. E’ così emersocome nell’agosto del 2007 l’improvviso calo di fiducianei confronti del sistema bancario abbia fattoimprovvisamente salire il costo della provvista sulmercato interbancario di ben mezzo punto percentualeal di sopra del tasso sulle operazioni prive di rischio. Lasituazione è poi esplosa nel settembre del 2008,quando il dichiarato stato di insolvenza di alcuni istitutiha letteralmente fatto decollare i tassi interbancari finoa tre punti percentuali al di sopra del tasso risk free(figura 1).

La gravità della situazione era a quel punto tale da poterportare al collasso del sistema, privo di liquidità e nelcontempo schiacciato tra tassi di interesse in fortecrescita, che rendevano assai oneroso tenere leposizioni debitorie, e prezzi delle attività finanziate incalo, che impedivano di ridurre l’indebitamentoattraverso la loro dismissione.In siffatto contesto, al fine di far rientrare sottocontrollo la situazione gli interventi della BancaCentrale Europea hanno dovuto essere non soltanto didimensione importante, come nel caso dei tagli al

/La crisi e i suoi insegnamenti/Giorgio Bertinetti,Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale

tasso di sconto per complessivi 3,25 punti percentuali,ma anche in buona misura di tipo “non convenzionale”.Così, concedendo ampie opportunità dirifinanziamento alle banche centrali locali, sia perdimensione, sia per articolazione temporale, sia pervaluta, sia ancora per tipo di garanzie accettate, èstato possibile sbloccare il mercato interbancario escongiurare la depressione che si sarebbe verificata sefosse venuta meno la capacità di finanziare l’economiareale. Nel contempo anche programmi di acquisto diobbligazioni bancarie hanno permesso di ravvivaretale mercato, di fondamentale importanza per ilfinanziamento del settore.Conforta il fatto che gli interventi effettuati abbianoprodotto gli effetti sperati e che la strada per la ripresasia stata imboccata (figura 2), preoccupa tuttavia lafragilità del sistema finanziario per il timore che nuovecondizioni di dissesto possano ripetersi.

L’attenzione deve pertanto dedicarsi alla ricerca di comeabbia potuto accadere tutto ciò, e, di conseguenza, degliinterventi da effettuare perché non abbia aripresentarsi.Al riguardo, dalla lezione del Presidente è emersochiaramente come la ricerca di performance di breveperiodo abbia in passato spinto l’industria finanziaria asganciare progressivamente la propria attività daifabbisogni dell’economia reale, portando il sistema acreare nuovi prodotti e ad accollarsi crescenti rischifinanziari. Non solo, i titoli che incorporavano tali rischi

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erano scambiati tra operatori sul mercato, dove l’analisidel merito di credito del debitore finale era sostituitadalla fiducia nell’intermediario che aveva montatol’operazione. Come sostenuto da J. E. Stiglitz, anche inoccasione della sua lectio magistralis per laurea HonorisCausa che la nostra Università gli ha conferito il 14maggio 2008, aumentando il numero di passaggi tradebitore finale e creditore le asimmetrie informativecrescono e diviene pertanto possibile, per operatorispregiudicati, trasferire rischi a terzi senza che essisiano pienamente evidenti o, il che è la stessa cosa, aprezzi che non ne scontano l’effettiva dimensione.Siffatto comportamento non è solo eticamente edeontologicamente censurabile, ma è anche fortementedestabilizzante poiché prociclico. Infatti, fino a chel’economia risulta in fase di crescita la probabilità cheelevati rischi più o meno consapevolmente acquisitimanifestino il loro lato negativo (downside risk) ècontenuta, il che spesso induce gli operatori adaccumulare sempre maggiori posizioni rischiose.Quando però il ciclo economico si inverte, si manifestacon prepotenza il lato negativo del rischio (downsiderisk), portando perdite in conto capitale ancheconsiderevoli proprio nel momento in cui sarebbefondamentale disporre di una solida base di ricchezzasu cui costruire il rilancio dell’economia.La ricetta per una futura maggiore stabilità dei mercatifinanziari deve di conseguenza in primo luogoprovvedere a: - contenere la prociclicità del sistema finanziario, magarispingendo gli operatori ad accantonare riserve tecnichenelle fasi ciclo economico positivo a copertura dallepotenziali perdite in future fasi negative del ciclo;- accrescere la trasparenza, minimizzando leasimmetrie informative e riducendo le possibilità diprendere posizioni eccessivamente rischiose, qualiquelle fondate sull’iperindebitamento e sull’abuso distrumenti derivati;- evitare l’attivazione di meccanismi di incentivazionedel management delle istituzioni finanziarie che

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possano indurre a privilegiare obiettivi di breve periodo.Nel contempo Autorità e sistemi di controllo devonoattivare più stringenti meccanismi di coordinamento,tesi al controllo dei rischi e ad una politica disostenibilità macroeconomica di medio e lungoperiodo. Solo in questo modo si può pensare dipervenire ad una bilanciata crescita mondiale.Un unico commento finale pare doveroso. Ledeterminanti degli errori del passato sono stateindividuate e le direttrici di intervento per evitare chein futuro si ripetano situazioni simili sono altrettantochiare, ma sarà effettivamente possibile raggiungereun simile obiettivo? Due sono gli ostacoli che, a parere di chi scrive,potrebbero frapporsi.In primo luogo, l’effettivo impegno delle principalipotenze economiche a cooperare per coordinare lepolitiche di medio e lungo periodo in funzione diun’equilibrata crescita mondiale potrebbe risentiredella diversa convenienza ad assumere un simileimpegno da parte di Paesi con tassi ed opportunità dicrescita assai diversi tra loro. Si pensi ad esempio cheIndia e Cina sono destinate ad entrare a breve nel G8,al cui interno l’unico Paese europeo che dovrebbepermanere è la Germania.In secondo luogo, le attitudini dell’essere umano,spesso non compatibili con principi di equità e ditrasparenza, lasciano presumere che difficile sarà larinuncia ad opportunità di grandi profitti, ancorchéiniqui. Del resto, anche nei modelli economico-finanziari “l’ingordigia” degli individui è di normaconsiderata attraverso il principio di non sazietà e lapreferenza per livelli di ricchezza maggiori; nelcontempo l’egoismo individuale, che spinge adanteporre l’interesse personale a quello collettivo, èampiamente studiato tra le altre dalla teoriadell’agenzia.Spetta dunque agli esseri umani, come sempre, ilcompito di imparare a rispettarsi reciprocamente ed anon danneggiarsi.

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/Lifelong LearningProgramme a Ca’ Foscari/Margherita Cannavacciuolo, SimoneFrancescato, assegnisti,Dipartimento di Americanistica,Iberistica e Slavistica

L’Università Ca’ Foscari è stata sede della primaedizione dell’Intensive Programme europeo “Frontiers &Cultures: New Perspectives in Euro and Pan-AmericanStudies”, coordinato da Susanna Regazzoni e DanielaCiani e svoltosi in collaborazione con sette importantiuniversità europee. L’evento, che ha avuto luogo tra il 26ottobre e il 7 novembre 2009, ha contribuito, econtinuerà a contribuire significativamente, al progettodi internazionalizzazione dell’Università Ca’ Foscari. Ledue settimane di studio intensivo ospitate dalDipartimento di Americanistica, Iberistica e Slavistica,hanno coinvolto in un’esperienza unica e senzaprecedenti dottorandi e docenti provenienti dal nostroAteneo e dalle università di Alcalá de Henares e Cordoba(ES), Lipsia e Monaco (D), Katowice (PL), Sofia (BG) eIstanbul (TR). Il gruppo ha lavorato sui rapporti tranazionalismo e multiculturalità in Europa e nell’universotransatlantico, impegnandosi in una rielaborazione delconcetto di “frontiera”, e spaziando dalla letteratura allastoria, dalle arti visive alla musica. Il pacchetto formativoera notevolmente ampio e variegato. Utilizzando le duelingue previste dal programma, inglese e spagnolo, sisono svolte lezioni frontali, attività seminariali e visiteculturali. Un forum in rete, appositamente costruito sulportale dell’università, ha permesso ai partecipanti diimpostare e mantenere vivo un dibattito in cui tutti sisono confrontati con interesse ed entusiasmo.Madrina dell’evento è stata la studiosa di famainternazionale Linda Hutcheon dell’Università diToronto, che ha inaugurato i lavori con una lezione sulcomplesso rapporto tra multiculturalità epostmodernismo. Il tema è stato ripreso dagli interventidi Klaus Benesch (LMU, Monaco) ed Ewelina Szymoniak(Univ. della Slesia, Katowice) che hanno illustrato i piùrecenti sviluppi teorici sulle problematichetransatlantiche, introducendo un seminario in cui sonointervenute le docenti italiane A. Scacchi, E. Vezzosi, E.Perassi e S. Serafin. Durante altri incontri si è analizzatal’idea di “frontiera razziale” nell’ambito letterario ispano-americano (Angel Estévez Molinero, Univ. di Cordoba;Valle Del Valle Ojeda, Marco Presotto e Julian GonzalezBarrera) e nordamericano (Simone Francescato e PiaMasiero). Al tema delle connessioni letterarietransatlantiche era dedicato l’intervento di HandeTekdemir (Univ. di Bogazici, Istanbul), mentre WilkRaçieska (Univ. della Slesia, Katowice) ha suggerito un

interessante approccio di tipo cognitivo al tema dellamulticulturalità.Una ridefinizione multiculturale del concetto di arte èstata al centro di un interessante seminario a cui hannopartecipato Rosella Mamoli Zorzi e il maestro e direttored’orchestra Claudio Ambrosini, che ha vivacementeillustrato l’essenza multiculturale della musica stessa,presentando alcune sue composizioni. Sull’interazionetra letteratura e arti visive, sono intervenuti AntonioFernández Ferrer (Univ. di Alcalá de Henares), sulrapporto tra cinema e letteratura, Elide Pittarello sullarelazione che intercorre tra poesia e rappresentazionepittorica, e Kornelia Slavova (Univ. di St. Kl. Ohridski,Sofia) che ha focalizzato il suo intervento sugli aspettimulticulturali nel teatro contemporaneonordamericano. Infine, Alfonso de Toro ha esplorato la“frontiera teorica” negli studi sulla multiculturalità,proponendo un superamento del vecchio concetto diintertestualità attraverso la teorizzazione dellatranstestualità e transmedialità.Particolarmente stimolanti e ricche di spunti sono statele Tavole Rotonde organizzate intorno a tre temi centrali– “Riscritture”,“Storia e Rappresentazioni”,“Letteraturae Arti Visive”- che hanno visto la partecipazione attiva ditutti gli studenti presenti. Una partecipazione che ciauguriamo continui e si sviluppi negli anni futuri, e chevedrà l’Università Ca’ Foscari sempre più protagonistadell’universo accademico europeo e mondiale.

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Tra le dinamiche più rilevanti messe in luce dallaletteratura manageriale nel corso dell’ultimo decennio,due appaiono di portata epocale: lo spostamento dellacreazione di valore verso risorse immateriali el’importanza della sostenibilità nell’azione d’impresa.La smaterializzazione del valore cambia il peso relativodei fattori produttivi: assegna importanza alle risorse diconoscenza e alle doti di coordinamento mentreridimensiona il ruolo delle risorse fisiche e del presidiodella tecnologia. La tensione verso la sostenibilità assegnaall’impresa responsabilità di cui non era consapevole ecrea i presupposti per una contabilizzazione di costi evalore molto differente da quella degli schemi tradizionali,ma più aderente alle conseguenze dell’agireimprenditoriale sul sistema socio-economico.Questi due fenomeni, apparentemente slegati tra loro,hanno in comune il fatto di costringere l’impresa aripensare il proprio rapporto con l’ambiente in senso lato,comportando un ordine di complessità rispetto al qualele imprese (in particolar modo quelle medie e piccole)sono in genere poco attrezzate. Si tratta, infatti, di uncambiamento complesso e difficile da gestire, più diquanto non lo siano ad esempio i cambiamenti nellatecnologia, nella domanda, nei mercati di sbocco e dellerisorse, e così via. Le imprese, infatti (si dovrebbe dire unaparte delle imprese, ma stiamo ragionando su unidealtipo) sono molto brave nel governare il cambiamentotecnologico, la riprogettazione funzionale, il ridisegno deiprocessi e altre forme di innovazione che investono ciòche in qualche modo ha un diretto rapporto con le variecompetenze organizzative sviluppate internamente. Dirado, invece, sono altrettanto efficaci nel gestire le macro-tendenze ambientali, quei cambiamenti che investonosimultaneamente e in modo radicale diverse aree diconoscenza e che rimettono in discussione la formulaimprenditoriale nel suo complesso.Testimonianze di questa sorta di inerzia sistemica sipossono trovare anche in tempi relativamente recenti. Adesempio, in occasione della diffusione di internet, in moltisettori le imprese hanno letto il fenomeno in termini quasiesclusivamente tecnologici e commerciali,sottovalutando i rischi e/o perdendo di vista leopportunità di quello che poi si è rivelato essere unfattore capace di mutare radicalmente le strutture didomanda e offerta, di creare nuove forme di business e disancire la sostanziale scomparsa di interi comparti. Inaltro contesto, il simultaneo evolvere della

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globalizzazione e dei sistemi di produzione “snelli”raramente è stato affrontato dalle imprese in termini diripensamento della business idea, quanto piuttosto comeun problema di delocalizzazione ed esternalizzazione. Inentrambi i casi non sono mancate le spinte innovative,sono però state quasi sempre circoscritte ad aspettiparziali, tranne ovviamente in quei “casi aziendali” cheproprio in quanto atipici sono proposti come esempi.Con tutti i limiti delle generalizzazioni (e qui si trattadopotutto di una generalizzazione estrema)sembrerebbe di poter dire che, sebbene le imprese sianoin continua tensione verso il perfezionamento deiprocessi, esista una sostanziale inerzia nei confronti delripensamento d’insieme. Le ragioni di ciò sono ancoraoggi difficili da comprendere, nonostante il cambiamentoe l’innovazione siano concetti forte della culturaimprenditoriale, i convitati più o meno visibili o espliciti diuna vasta letteratura e di un gran numero di concettichiave delle discipline manageriali. L’imprenditorialitàstessa esprime, direi quasi per antonomasia, la costantetensione al mutamento dei fenomeni economici e comequesti siano avidi di innovazione. Ma è anche vero chel’impresa nasce spesso come un atto creativo che, perquanto accompagnato da robusti supporti “tecnici”, fattidi stime, piani, tecnologie, analisi e quant’altro, apparepur sempre legato ad una sorta di alchimia nonpropriamente formalizzabile e comunque unica o quasi;a ben vedere, perfino il fatto che si usi il termine “casiaziendali“ molto più spesso che “tipi aziendali” sembraesprimere il sottostante di fortuito che, più o menoinconsapevolmente, si assegna alle sorti dell’impresa.Nella contrapposizione che ne deriva circa la reale naturadella gestione del cambiamento, se richieda creatività oscienza, se sia governata dal caso o dalla pianificazione,la scelta delle masse ricade sistematicamente sulleprime ipotesi, se non altro perché quegli argomentirifuggono la formalizzazione e non richiedono la mole diconoscenza ed esperienza richiesti invece da unadescrizione scientifica. In questo quadro è fuorviante edannosa la banalizzazione della conoscenza managerialead opera dei tanti “intermediari” e “operatori” economiciche tendono a ridurre ogni questione a categoriesemplici, così come a circoscrivere problemi di vastaportata a soluzioni di ordinaria amministrazione.Smaterializzazione delle fonti di valore non vuol dire soloimportanza del marchio o del design, e la sostenibilitànon è solo inquinare e consumare meno, tanto per citare

/L'impresa verso l'immateriale: la ricerca di nuovi paradigmi per il management/Andrea Stocchetti,Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale

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i più comuni tra gli esempi di banalizzazione estrema.Di certo vi è che alla fine di tutto ciò la gestione delcambiamento e dell’innovazione è percepita più spessocome arte che come scienza, quando in realtà è unproblema che va affrontato in modo sistematico e,soprattutto, integrando il cambiamento dei processi edelle tecnologie all’interno di un processo di innovazionestrategica che coinvolga la stessa visione dell’impresa.L’innovazione incrementale, infatti, è necessaria ma nonsufficiente a garantire quella continua ridefinizionedell’equilibrio tra impresa e ambiente richiesta daimutamenti di cui si parla. Se mi è concessa unametafora, si immagini un viaggiatore che ha una o piùmete di riferimento, per raggiungere le quali deveaffrontare ostacoli e insidie le più varie. Questecondizionano la sua direzione non solo per i problemi checomportano, quanto per il fatto che ad ogni cambio didirezione cambiano le mete raggiungibili e le priorità. Nelmanagement questo fenomeno è chiamato pathdependence e in concreto comporta, tra le altre cose, chela strategia non è autonoma rispetto alle decisioni che sipotrebbero definire “operative”; ma le scelte operativeche risultano utili per superare le contingenze possonoessere disfunzionali rispetto al disegno strategicocomplessivo. In qualunque organizzazione, una voltaacquisite specifiche risorse di conoscenza, questereclamano una propria autonomia e valorizzazione, ed èimpensabile che non facciano del loro meglio perriorientare la direzione dell’organizzazione stessa. Lo sivede anche nelle Università, dove i rapporti di forza tra iraggruppamenti disciplinari e i docenti che vi fanno capo

condizionano le scelte nella didattica e nella ricercamolto più di quanto non faccia la dialettica con la societàcivile, alla quale l’Università deve render conto delleproprie strategie.In tutto questo, i temi della smaterializzazione del valoree della sostenibilità non sono semplicemente due tra letante mode manageriali di stagione, ma passaggiobbligati per ripensare il sistema economico in modocompatibile con lo sviluppo di lungo termine dellasocietà e, secondo alcuni, perfino del genere umano,dove il riferimento va chiaramente alle conseguenze piùestreme, ma purtroppo del tutto plausibili e concrete,della non-sostenibilità. Tornando alla metafora, leimprese e la società stessa si trovano sopra un ghiacciosottile (risorse in rapido esaurimento) e avvolti dallanebbia (incertezza sulle strategie più opportune);occorre che i movimenti siano agili e leggeri (cogliere ilvalore derivante dalle risorse immateriali e dalle doti dicoordinamento) così come occorre dotarsi di strumenticapaci di guardare al di là delle strette vicinanze (crearele condizioni per uno sviluppo durevolmente sostenibile).Fuor di metafora, la prossima frontiera degli studi dimanagement deve essere rivolta a strumenti per lagestione dell’innovazione e di analisi strategica piùevoluti rispetto a quelli tradizionali; occorre superarel’approccio all’adattamento puntuale e la visioneriduttiva dell’innovazione come innovazione tecnologicae ridisegno dei processi. Occorre che le innovazionioperative siano parte di un disegno strategico sviluppatoin modo coerente con l’ambiente e in modo da esseremotore dello sviluppo sostenibile di lungo termine.

© Foto Stefania Massenz

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Lei Feng prima serviva le masse, ora studia da collettobianco, accende la TV, perde la testa per una supergirl.Il popolo è out, il pop è in.

La nostra idea di un ciclo di seminari sulla cultura popcinese è nata in continuità con la serie di incontri sul popgiapponese organizzati dal gruppo studentesco PoppuPawa–!!! che si sono svolti con ottimo riscontro nelsecondo semestre dell’a.a. 2008/2009. Come gruppoD.A.O. (Dottorandi Asia Orientale), incoraggiati dalsuccesso della giornata sulla traduzione “TranslatingWorlds”(28/05/2009), abbiamo raccolto simbolicamenteil testimone dei compagni di giapponese per lanciareuna nuova sfida epistemologica: esiste il “pop cinese”? E se sì, dove va cercato? Il nostro “cantiere” intende avvicinare gli studenti alla

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poco esplorata cultura pop della Cina contemporanea,mostrando loro un mix di istantanee scattate nei piùsvariati ambiti culturali; gli incontri prevedono un’ampiarosa di relatori – accademici, dottorandi e professionisti– che vengono a raccontare il loro punto di vista sualcune fra le più interessanti manifestazioni pop cinesiattuali, cercando di dare rilievo anche alle dinamiche chene regolano la produzione e il consumo, e lo spazio cheesse occupano nell’esperienza degli individui.Le culture pop dell’Asia Orientale reclamano spazio alivello accademico, e noi glielo diamo.L’iniziativa si svolge grazie ai fondi di Ateneo per leattività studentesche autogestite e il patrocinio delDipartimento di Studi sull’Asia Orientale.Il calendario degli incontri e i materiali relativi sonodisponibili sul sito: www.culturapop09.wordpress.com

/Pop in corso/a: cantiere di studi sulle culture pop della Cina contemporanea/Giulia Baccini, gruppo D.A.O.- Dottorandi Asia Orientale; Marco Fumian, Giovanna Puppin, Comitato scientifico; Pierantonio Zanotti, di Studi sull’Asia Orientale

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Il primo incontro del nostro cantiere di studi sul “pop”cinese ha avuto per oggetto l’interpretazione di un“popolare” testo di letteratura, il romanzo scritto dalgiovanissimo autore Guo Jingming Città incantata(Huancheng, 2003).L’opera merita attenzione per due ordini di motivi: inprimo luogo costituisce uno dei primi e più clamorosisuccessi dell’industria culturale cinese (lacommercializzazione della cultura, nella RepubblicaPopolare Cinese, è cominciata alla fine degli anni Ottanta,per affermarsi pienamente solo nel decennio successivo);in secondo luogo ha suscitato una vasta e profondarisonanza fra i suoi lettori (per lo più adolescenti urbanidel ceto medio), di cui esprime significativamentel’immaginario e le “strutture di sentimento”.Chiave di lettura per l’interpretazione del romanzo è lanozione di “mito”. Da un lato perché sul piano formale lanarrazione si presenta effettivamente come mitica (ilromanzo è una storia fantasy ispirata al mangagiapponese RG Veda, il cui titolo è un rimandoall’omonimo libro sacro indiano), dall’altro perché essaha prodotto nel suo pubblico profondi effetti diproiezione e identificazione, in gran misura inconsci.In sintesi, il mito narra la storia di un malinconicosovrano adolescente, che parte per un’avventurosaricerca al fine di resuscitare l’amato fratello minore (dalui stesso ucciso poiché quegli gli contendeva il trono),il quale, una volta tornato in vita, lo costringe al suicidio:ciò che viene rispecchiato, attraverso il filtro simbolicodel mito, è l’anelito diffuso, da parte della comunità deilettori, a ricostituire sul piano immaginario una sferaaffettiva integra e soddisfacente che nella vita reale èinvece percepita largamente come frustrata emenomata.Una simile lettura allegorica ha consentito di inserire lanarrazione mitica nella dimensione sociale in cui sisono prodotti sia l’immaginario di Città incantata sia le“strutture di sentimento” dei suoi lettori. Da un lato,infatti, ha imposto di indagare gli aspetti fondamentalialla base dell’esperienza comune all’autore e ai lettori(l’appartenenza alla prima generazione dei cosiddetti“figli unici” e la vita nel mondo scolastico); dall’altro,invece, ha richiesto di considerare gli effettidell’ideologia dominante, il cui slogan più significativo è“lo sviluppo è l’unica ragione dura”, sulla strutturazionedella soggettività degli adolescenti urbani.

/Sinizzazione di un manga: adolescenti e letteratura pop nella Cina contemporanea/Marco Fumian, Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale

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Una cinquantina di anni fa, slogan come “La luce del pensierodi Mao Zedong illumina la via della Grande rivoluzioneculturale proletaria!” accompagnavano i visual dei poster dipropaganda, che immortalavano quasi sempre il GrandeTimoniere mentre sorrideva rassicurante (Fig. 1).Dalla fine degli anni ’70, sono stati ben altri gli slogan e i visualtrasmessi dai mass media: quelli della pubblicitàcommerciale. È nel rinnovato contesto di riforme e aperturache la pubblicità inizia a godere di una reputazione migliore:etichettata in passato come “frutto del capitalismo”, è statareintrodotta nel paese attraverso un processo dilegittimazione, dal quale è uscita insignita di titoli prestigiosicome quello di “acceleratore dello sviluppo economico”. Intempi recenti, a questo fenomeno se n’è aggiunto un altro: ilriciclaggio di icone rivoluzionarie cinesi in pubblicità.Nel 2007, all’esterno di un ristorante di Nanchino, è statoaffisso un cartellone che vedeva come testimonial proprioMao. Il volto del leader, che corrisponde al famoso ritratto diPiazza Tian’anmen, compariva dentro a un ovale posto alladestra del bodycopy: “Giuriamo al Presidente Mao che tutte lenostre pietanze hanno uno sconto del 50 %” (Fig. 2).L’icona di Mao è stata “riciclata” dal proprietario del ristorantecome garanzia di onestà, ma il contesto è completamenteopposto rispetto a quello in cui veniva utilizzata in passato: non sitratta più di propaganda politica (comunista), bensì di liberomercato (capitalista).Nelle pubblicità occidentali, l’icona di Mao è stata “ritoccata”in maniera hard: qui ritroviamo il leader cinese in una versionedecisamente meno classica, ovvero truccato come il cantantedel gruppo The Kiss. Lo slogan, che assolve alla funzionedefinita da Roland Barthes ancrage, recita: “Hard Rock is thereal Cultural Revolution” (Fig. 3).Realizzata nel 2007, questa pubblicità era parte di unacampagna per una radio greca, che ha utilizzato anche leicone di Hitler e Stalin, facendo sempre ricorso alla metalepsivisiva.Dalle pubblicità made in China esaminate nel corso di questoincontro, è emerso che gli ibridi che nascono dall’unione dicultura rivoluzionaria e cultura commerciale rispecchianoappieno le contraddizioni del socialismo di libero mercatocinese. E sono proprio le stesse contraddizioni che vengonoadditate e criticate, in maniera più esplicita e ironica, anchedai pubblicitari occidentali.

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/CHINA POP RECYCLES: il riciclaggio di icone rivoluzionarie cinesi in pubblicità/Giovanna Puppin, Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale

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A conclusione della seconda edizione del corso“Donne, Politica ed Istituzioni”, organizzato dalComitato Pari Opportunità del nostro Ateneo, il 13novembre scorso all’auditorium Santa Margherita èstato proiettato il documentario Il corpo delle donne diLorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi e CesareCantù. Al tavolo di discussione, coordinato da RomanaFrattini, docente di Fisica, responsabile del corso,hanno partecipato oltre a Lorella Zanardo, SilviaBurini, docente di Storia dell’arte russa, SusannaRagazzoni, docente di Lingua e letterature ispano-americane, Nicoletta Benatelli, giornalista e MariaElena Petrilli, psicoterapeuta.Si tratta di un video sul degrado della televisioneitaliana da cui sono scomparse le donne vere,sostituite da una loro rappresentazione volgare edistorta. Scorrono immagini di donne con il labbrosuperiore irrigidito senza sorriso, maschere con lelabbra gonfie e il corpo rifatto dalla chirurgia plastica,che non esprimono più né età né sentimenti. Iprogrammi stessi, i giochi e gli spettacoli che vedonopartecipare giovani aspiranti veline, del resto,appaiono irreali e sconcertanti. Gli uomini sono vestitie le donne svestite, gli uomini parlano e le donnetacciono e applaudono servili. Alcune scene sonoimpressionanti. Una ragazza, per esempio, è appesa aun gancio e come a un prosciutto le vengonostampigliate le natiche. “Perché le donne non siribellano?” chiede più volte Zanardo agli spettatori.Erica Jong avrebbe risposto così, commentaRegazzoni: “La schiava migliore / non avrà bisogno diessere colpita. / Si colpirà da sola / … con la taglientefrusta / della sua lingua / e il ticchettìo sottile / dellasua intelligenza / contro la sua intelligenza.”Il documentario che ha conosciuto un’ampiadiffusione tramite internet (www.ilcorpodelledonne.it)ed è stato doppiato in numerose lingue, ha avutorisonanza nella stampa internazionale e ha suscitatodiverse riflessioni e discussioni. Che cosa è accaduto?In questi ultimi sei mesi è emerso, osserva Zanardo,che le donne non erano zitte bensì zittite. Ladisuguaglianza invisibile si trasmette soprattuttoattraverso la cultura e i mezzi di comunicazione,ovvero, attraverso testi scritti e visivi che costituisconoe configurano il nostro modo di pensare econdizionano i nostri modelli di identità. Se è vero che

le donne sognano attraverso i sogni degli uomini, ènecessario un cambiamento di valori, uncambiamento nella condotta etica che generi nuovivalori estetici che ci permettano di sognare i nostrisogni. Le battaglie vinte finora per ottenere uno statusdi dignità e libertà ci hanno portato all’uguaglianzagiuridica, ma resta ancora molto da fare nel campo dellinguaggio, della cultura e dell’immaginario sociale. Aquesto punto la questione non riguarda più soltanto ledonne, ma anche gli uomini tutti, perché della violenzae dell’umiliazione che queste immagini trasmettono èresponsabile tutta la società.

/Il corpo delle donne/Alessandra Trevisan, Dipartimento di Americanistica, Iberistica e Slavistica

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Ha appena tre anni, ma può già vantare grandi numeri.Dall’avvio con la prima edizione nel 2007 che portavaa Ca’ Foscari 700 studenti, il Career Day è salito nelledue edizioni successive a 1800 studenti partecipanti.La formula dell’open day in cui studenti e laureatipotevano avere un contatto diretto con le aziende,portare agli stand i loro curriculum, fare colloqui con iresponsabili delle risorse umane di imprese anchemolto conosciute, si è rivelata vincente e di grandeappeal per studenti e neolaureati.La sede storica di Ca’ Foscari ha sospeso le normaliattività per far posto agli stand di 28 aziende nazionalie internazionali tra cui banche, aziende, agenzie diconsulenza, gruppi internazionali, agenzie interinali.Ragazzi speranzosi con fogli e fogli di curriculum inmano si aggiravano per i piani di palazzo facendo la filadavanti ai banchi dell’azienda più vicina al loro settoredi studi.Ma uno su mille ce la fa....Anche Elena De Lazzari l’anno scorso era tra loro, maquest’anno si trova dall’altra parte della barricata, araccogliere i curriculum dei suoi ex colleghi di studio ea dispensare consigli e incoraggiamenti. E’ stata infattiassunta a tempo indeterminato come assistente diDirezione alla Moncler del Gruppo Industries.

Qual è stato il tuo percorso per arrivare a essereinserita in Industries Spa?Maturità scientifica, una laurea triennale in Marketinge Gestione delle imprese, conseguita a Ca’ Foscaririspettando i tempi, poi la laurea specialistica inMarketing e Comunicazione con indirizzo quantitativo.Fin dalle scuole superiori ho svolto una serie di lavoriestivi in negozi ed agenzie turistiche del centro storicodi Venezia; esperienze che mi hanno indubbiamenteaiutato ad implementare la mia conoscenza dellelingue estere nonché hanno consentito lo sviluppodelle mie attitudini relazionali e delle capacitàpersonali che ritengo siano delle variabiliestremamente importanti per attività lavorativeinerenti all’ambito commerciale.Mi sono presentata lo scorso anno alla secondaedizione del Career Day ed ho avuto l’opportunità dilasciare il mio curriculum e di fare un primo colloquioconoscitivo, cui ne sono seguiti altri 3 con iresponsabili HR ed il mio attuale dirigente.

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L’inserimento in Industries è stato molto positivo, hoavuto attorno a me persone molto capaci e disponibilisin dal primo giorno e mi è stato possibille instauraredei rapporti lavorativi molto proficui e stimolanti.

Quali sono stati secondo te i motivi per cui seistata scelta in mezzo a tanti altri candidati e cosapuoi consigliare a chi si accinge, come te l’annoscorso, a cercare un lavoro attinente al suopercorso di studi?Personalmente ritengo che la voglia di fare, di mettersirealmente in gioco e di dimostrare, credendoci nelprofondo, di essere “la persona giusta” siano levariabili chiave per avere successo in un colloquioconoscitivo.Un ottimo punto di partenza è il presentarsi “in linea”con quelle che secondo noi possono essere leaspettative del responsabile aziendale per il ruoloproposto, mantenendo allo stesso tempo franchezza etrasparenza.Tuttavia ho avuto modo di sostenere svariati colloqui,più o meno di successo, e devo ammettere hanno tuttiavuto un’importante valenza formativa.Mi sento quindi di consigliare a tutti di non rifiutaremai in primis un colloquio in quanto si è sempre intempo per rifiutare un’offerta decidendo di nonintraprendere quel percorso lavorativo, è inveceimportante capitalizzare quella singola esperienza aifini di conseguire una certa abilità nel sostenere egestire i primi contatti con un responsabile dellaselezione risorse umane.

Quanto contano le caratteristiche personali equanto le competenze specifiche e gli studi fatti?Sono due fattori estremamente importanti.. seguendola mia natura economista azzarderei un 50 e 50..Devo dire che sono entusiasta del mio percorso distudi e credo che la facoltà di economia, qualsiasi sial’indirizzo di specializzazione, garantisca buoneprospettive di impiego nel breve o medio termine.Ad ogni modo per quanto riguarda la mia esperienzapersonale durante le selezioni iniziali i test svolti eranodi tipo psico-attitudinale più che nozionistici, in talsenso il percorso universitario consente di avere unacerta flessibilità mentale ed una predisposizione alragionamento.

/Career Day 2009 a Ca’ Foscari/intervista a cura di Federica Ferrarin

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Il livello di preparazione ed i concetti interiorizzati inquesti lunghi anni di studio avranno modo di affiorarein seguito, nelle singole attività quotidiane; all’inizio levariabili chiave sono secondo me l’attitudine a portarea termine un progetto in tempi brevi/brevissimi e adimmagazzinare informazioni molto velocemente, a talriguardo mi sento di affermare che Ca’ Foscari èdavvero una buona palestra!

Che impressione hai avuto degli studenti che ti seitrovata davanti? Fiduciosi o pessimisti?Pensi che questo tipo di manifestazioni possanoservire a facilitare il contatto dei giovani con ilmondo del lavoro o che siano solo un’utile vetrinaper le aziende?Chiaramente scontrarsi con una realtà fatta di centinaiadi ragazzi in coda davanti agli stand aziendali non èsemplice, l’idea di essere “in lizza” con i tuoi compagnidi corso e con persone molto qualificate provenienti daesperienze di master all’estero o percorsi di ricercauniversitaria può essere disincentivante. Tuttavia in quelcontesto mi sembravano tutti molto fiduciosi e “carichi”.Personalmente credo non ci debba essere spazio per ilpessimismo in occasioni come queste, si può entrare incontatto con aziende di ottimo livello e le opportunità di

inserimento esistono realmente, la mia esperienza ne èuna prova.Il mio bilancio sul Carreer Day? Una fantasticaoccasione! Ho partecipato a tutte e tre le edizioni ed honotato che avvicinandomi alla data della laureal’interesse delle aziende per il mio profilo aumentava,l’ho interpretato come un segnale della loro intenzioneveritiera di introdurre delle nuove risorse nell’organico,passando comunque per il tramite di un “primocontatto” di stage.Dovrebbero essere molto più frequenti eventi diquesto tipo!

Hai qualche suggerimento da dare in proposito?Insistere! La voglia di fare e di impegnarsi dandosempre il 100% sono convinta venga ricompensata, èsolo una questione di tempo. Non siamo manovalanzaintellettuale a costo zero, ma delle risorse importantied il nostro valore dipende da quanto sappiamo farrisaltare le nostre attitudini, capacità e conoscenze. Ilprimo passo per affrontare l’oceano del mondo dellavoro? Avere un “atteggiamento vincente”!

Nonostante la congiuntura attuale e la difficoltà nellaricerca del posto di lavoro sicuramente storie comequesta aiutano ad avere fiducia nel futuro.

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Se nel cortile di un nobile palazzo veneziano vediamoun affresco che attira la nostra attenzione e cichiediamo chi ne sia l’autore, difficilmente pensiamo diattribuirlo a uno dei proprietari della dimora,considerato che la tecnica richiesta da questo genere dipittura prevede l’uso di malta, intonaco e pigmenti, dausare con competenza di professionisti; ancor più se ildipinto, collocato in un’edicola sopra una porta, harichiesto di staccare i piedi da terra per eseguirlo.Ma il motivo principale della mancata identificazionedell’autore sta nel fatto che si è oscurato il ricordo diGiovanni Schiavoni (1804-48), che abitò nel palazzo, purcon lunghe assenze, dal 1824 fino alla morte. L’affrescoin questione rappresenta una Madonna con il Bambino esi trova in uno dei cortili della sede centrale di Ca’ Foscarie precisamente nella corte di Ca’ Giustinian dei Vescovi,

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di fronte alla bella scala scoperta che porta al Rettorato.La prima attribuzione dell’opera a Giovanni Schiavonifu avanzata da Luigi Sernagiotto nella biografia daquesti dedicata ai pittori Natale (1776-1858) e Felice(1803-81) Schiavoni, rispettivamente padre e fratellodell’artista sopra citato. Erede delle memorie dellafamiglia e del palazzo, nel 1881 Sernagiotto scriveva:«Esiste […], fatto da lui nel 1830 in casa Schiavoni, acielo aperto, sulla porta, che dal cortile mette in unmagazzino terreno, un affresco, rappresentante laMadonna col Putto sul ginocchio, che è molto bello eben conservato e che fa conoscere la grande attitudineche avea Giovanni Schiavoni per dipingere a fresco».Questa attribuzione e questa datazione testimonianoanche il recupero, in atto in quegli anni, della «tecnica‘nazionale’ dell’affresco», una «tradizionesquisitamente italiana», che Fernando Mazzoccapresenta come elemento degno di nota nella difficilestagione primo-ottocentesca dell’arte veneziana.Nel 1936 Lodovico Foscari propose invece unadifferente interpretazione che ha avuto un certoseguito: che si tratti di un’opera «di buona epoca», valea dire più o meno coeva ad altre tracce di antichiaffreschi presenti sui muri esterni del palazzo, costruitoverso la metà del XV secolo.A provocare un tale disorientamento nella datazione èl’evidente maestria di cui ha dato prova il giovaneGiovanni Schiavoni nel rappresentare il soggettoreligioso alla maniera dei grandi maestri delCinquecento, com’era in voga nella pittura accademicadella prima metà del XIX secolo.Giovanni, più che Natale e Felice Schiavoni, è un artistaquasi del tutto dimenticato, e la Madonna con ilBambino del cortile di Ca’ Giustinian dei Vescovi risultaessere il suo unico dipinto noto in città.Per ritrovare una consistente quantità delle sue opere,dobbiamo seguirlo a Iasi, che era allora la capitale delprincipato di Moldavia, dove eseguì ritratti, tavole disoggetto religioso, litografie e disegni, conservatipresso le istituzioni pubbliche. L’artista arrivò nella cittàmoldava nel 1834, dopo aver lasciato Vienna su unbattello a vapore che scendeva il Danubio, nel pienodella tendenza romantica dei pittori-viaggiatori, e lìvisse per lunghi periodi fino al 1843. Gli studi sull’arte esulla cultura moldava dell’Ottocento mettono in luce ilruolo fondamentale di innovatore svolto da Giovanni

/Un affresco nel cortile.La Madonna con il Bambinodi Giovanni Schiavoni/Maria Celotti, docente

Giovanni Schiavoni, Madonna con il Bambino

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Schiavoni come ‘pittore di ritratti e di storia’ e comeprofessore nella Accademia Mihaileana. AlexandrinaMititelu nel suo saggio sui rapporti culturali tra Veneziae la Romania, pubblicato nel 1964, individuò in Ca’Giustinian dei Vescovi il palazzo dov’era vissutoGiovanni Schiavoni e riferì a proposito dell’artista e delsuo dipinto nel cortile veneziano: «C’è da rimpiangere che il suo insegnamento non si siasvolto anche nella direzione dell’affresco, il cui segretoegli conosceva bene […]. L’affresco, bello per le lineenobili e pure del disegno, va deperendo, esposto com’èall’aria e alle intemperie».Osserviamo più da vicino la composizione dell’affresco:a sinistra della Madonna che sorregge il Gesù bambino,si distinguono le esili tracce della figura di un altrobimbo – che secondo l’iconologia di questo genere didipinto religioso dovrebbe rappresentare SanGiovannino – e, dietro i personaggi, di un paesaggio,elemento altrettanto consueto nella pittura veneziana.Il colore è sparito quasi del tutto e della scena rimanevisibile essenzialmente il disegno. Per questo lo studioin corso sull’affresco da parte dell’Ateneo è un’attesainiziativa per la conservazione di un prezioso bene cheporterà al ripristino dei suoi valori pittorici e al recuperodella figura di un artista di cui si è perduto il ricordo.

Natale Schiavoni,Ritratto del figlio Giovanni

FRANCESCA BISUTTI e MARIA CELOTTI, «Illazioni su una scala:Lady Helen D’Abernon a Ca’ Giustinian dei Vescovi», inOriente e Occidente sul Canal Grande, a cura di RosellaMamoli Zorzi, Annali di Ca’ Foscari, XLVI, 2, 2007.LODOVICO FOSCARI, Affreschi esterni a Venezia, Milano, UlricoHoepli, 1936.FERNANDO MAZZOCCA, Immagini di arte italiana: FrancescoHayez, Milano, Ricordi, 1999.UGO GALETTI e ETTORE CAMESASCA, Enciclopedia della PitturaItaliana, Milano, Garzanti, 1950.ALEXANDRINA MITITELU, «Rapporti culturali romeno-veneziani», Acta Philologica, tomus III, Romae, SocietateaAcademica Româna, 1964.LUIGI SERNAGIOTTO, Natale e Felice Schiavoni. Vita, opere etempi, Venezia, Tipografia Municipale G. Longo, 1881.Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici diVenezia e Laguna, Archivio fotografico.FRANCESCO VALCANOVER, MARIA AGNESE CHIARI MORETTO WIEL,ANTONELLA DALLA POZZA, BRUNO NOGARA, Pittura muraleesterna nel Veneto. Venezia e provincia, Giunta Regionaledel Veneto, Ghedina & Tassotti Editori, 1991.

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Il Dipartimento di Storia delle arti e conservazione deibeni artistici “Giuseppe Mazzariol” e la rivista «VeneziaArti», hanno promosso il 2 ottobre 2009, presso l’Aula“Mario Baratto” dell’Ateneo di Ca’ Foscari, una giornatadi riflessione sul tema Il sistema delle arti. Didattica, frui-zione, politiche culturali, dedicato allo stato delle artinella contemporaneità in relazione al rinnovamento delledidattiche, ai problemi inerenti la diffusione e il consumodei beni artistici e alla necessità di definire ulteriori politi-che culturali interessate a progettare il futuro.All’inizio della giornata è stato ricordato il professoreMazzariol, a vent’anni dalla scomparsa, con la presenta-zione, affidata a Bruno Barilli, del volume Colore segno

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progetto spazio. Giuseppe Mazzariol e gli “Incontri con gliartisti”, a cura di Franca Bizzotto e Michela Agazzi, pub-blicato nella collana «Miscellanea» della Facoltà diLettere e Filosofia con il contributo del Dipartimento diStoria delle arti e conservazione dei beni artistici.Come è stato ricordato, sulla scrivania di GiuseppeMazzariol non mancava mai un fiore, un singolo fiore,che spesso dava in dono ai suoi interlocutori.La rivista «Cafoscari» intende rendere omaggio alla suafigura di intellettuale, studioso e docente attraverso unagalleria fotografica, nella quale è ritratto sia con persona-lità della cultura e dell’arte, sia in momenti istituzionalipresso le Università di IUAV e di Ca’ Foscari.

/Il riflesso di un fiore.Memorie fotografiche di Giuseppe Mazzariol/

Giuseppe Mazzariol, nel suo studio a Ca’ Bernardo, 1988

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Mazzariol tiene la prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico 1964-1965, IUAV, Venezia, aprile 1965

Mazzariol con Giulio Alessandri, Rosella Mamoli Zorzi, William Congdon, Vincenzo Fontana,Istituto di Discipline Artistiche, Ca’ Foscari, seminario su Congdon, 1980

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Mazzariol con Rober Bresson, Leone d’oro alla XXVIII Mostra del cinema, nel giardino della Fondazione Querini Stampalia, settembre 1967

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Mazzariol con Louis Kahn, 1968

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Mazzariol e Carlo Scarpa relatori della tesi di laurea di Mario Botta, IUAV di Venezia, 1969

Mazzariol e Giulio Carlo Argan, Ferrara, giugno 1981

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Mazzariol e Alberto Viani all’Accademia di Venezia, 1988

Mazzariol con il Rettore Feliciano Benvenuti e Anco Marzio Mutterle in occasione del conferimento della laurea honoris causa a Biagio Marin,Neri Pozza, Andrea Zanzotto, Ca’ Dolfin, Ca’ Foscari, Venezia, 9 marzo 1982

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Mazzariol, Cleto Munari, Luciano Gemin, Dipartimento di Storia e critica delle arti, Ca’ Foscari, 1984

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Giuseppe Del Torre è mancato lo scorso 26 ottobre.Aveva da poco compiuto 50 anni. Come capita a chiscompare nella piena maturità ha lasciato molti lavoriincompiuti: un libro sui rapporti tra patriziatoveneziano e istituzioni ecclesiastiche tra ‘400 e ‘500, acui aveva lavorato per molti anni e ormai quasiultimato, e poi tanti altri progetti avviati e portatiavanti, dai diari ancora inediti di Girolamo Priuli, allacultura veneziana del primo Ottocento e altro ancora.Senza dubbio non mancheranno le occasioni perricordare questo suo impegno scientifico e per cercaredi portarlo avanti. Ma non è solo nella ricerca che simisura la serietà e l’impegno di un docente. Giuseppesi era molto impegnato a partire dal 1999 nei progetti diriforma della didattica. So bene che questo è unargomento delicato e che sia diffusa la convinzione chei mali dell’università italiana siano iniziati con l’avviodella riforma degli ordinamenti didattici del 1999.Ma l’università non andava bene neppure prima e leragioni per provare ad adeguarla alle trasformazionidella società c’erano tutte già allora. Giuseppe, delresto, non credeva che quella riforma, con tutti gliadattamenti successivi, fosse la migliore delle leggipossibile. Era però fermamente convinto cheoccorresse darsi da fare e che la riuscita della riformadipendesse in primo luogo dall’impegno delleistituzioni universitarie e dalla buona volontà deidocenti di superare interessi corporativi e personali.Ha quindi lavorato senza sosta per alcuni anni perinfrangere tutte quelle resistenze determinate in realtàdall’incapacità di vedere che i tempi sono cambiati eche non è solo anacronistico, ma anche dannosoentrare nel XXI secolo con la mentalità e lo spirito deglianni ’50 del ‘900. Così aveva inteso per molto tempo ilsuo generosissimo impegno come presidente delcorso di laurea in Storia, rammaricandosi peraltro dinon riuscire sempre a superare la diffidenza di molticolleghi.L’impegno in questo campo era d’altra partestrettamente connesso con una dedizione tuttaparticolare nei riguardi delle necessità degli studenti.In tanti anni di amicizia avevo constatato che in questocredeva più di ogni altra cosa. Lo studente in primo

/Per ricordare Giuseppe Del Torre/Mario Infelise, Dipartimento di Studi Storici

luogo, nella convinzione che deludere uno studente oignorare una richiesta, per quanto bizzarra, fosse untradimento del proprio mestiere. Sapevo quanto aquesto tenesse, ma non l’avevo verificato a pienocome nelle ultime settimane. Sinché ha potuto, sino aldefinitivo aggravarsi delle condizioni di salute,Giuseppe ha tenuto i contatti con gli studenti,leggendo tesi, fornendo indicazioni e suggerimenti,raccomandando a me e ad altri amici di rispondere allequestioni a cui non era più in grado. Si spiega così ildolore sincero e diffuso che è immediatamenteseguito all’arrivo della notizia della morte.Diversi sono stati gli studenti che sono venuti atrovarmi nei giorni successivi. Solo per parteciparmi ildolore o per testimoniare la particolarità di unarelazione. Tra questi anche Ruy Yugami, studentegiapponese della laurea magistrale in Storia che stavalavorando alla sua tesi. Aveva avuto istruzioni daGiuseppe sino alla metà di settembre quando eraritornato per qualche settimana in patria con l’accordoche si sarebbero rivisti al rientro. Una volta ritornato aVenezia Yugami, che non aveva avuto nessuna notiziadi quanto era avvenuto, gli ha scritto, come era solitofare, per concordare un incontro. Ma con una solerziainsolita, l’indirizzo [email protected] era già statocancellato dalla posta di Ca’ Foscari. Yugami si è rivoltoallora a me e qualche giorno dopo è venuto a trovarmi.Con quel pudore e quell’eleganza che sono tuttigiapponesi, mi ha mostrato un video realizzato dueanni prima in occasione della laurea triennale e del suomatrimonio, con lo scopo di spiegare alla famiglia eagli amici giapponesi il senso della vita universitaria aVenezia. Un’intervista a Giuseppe – il maestro, comelo chiama Yugami – era il centro della narrazione. L’horivisto, come l’avevo visto tante volte, seduto nel suostudio mentre spiega ad un misterioso pubblicogiapponese in cosa era consistito il lavoro di ricercadello studente. In poche parole era riuscito atrasmettere l’idea di un lavoro forse non facile dacomprendere in un paese così distante. Ma col suotono pacato e discreto anche una ricerca sul dazio delvino a Treviso nel ‘600 riusciva a diventare occasioned’incontro tra mondi lontani.

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Notiziario dell’Università Ca’ Foscari VeneziaPubblicazione trimestraleReg. del Trib. di Venezia n. 994 del 19.10.1989

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In copertina: Mazzariol con Le Corbusier in gondola, 1965

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