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PERSONAGGI MATEMATICI Silvio Maracchia Nel numero di Giugno 2006 della rivista sono stati presentati tredici indovinelli e, alla rinfusa, tredici date di nascita e morte dei personaggi nascosti in essi. Ripetiamo qui gli stessi indovinelli, seguito dal nome del matematico corrispondente, successivamente da una breve “spiegazione” della soluzione e, infine, da qualche cenno sulla vita del personaggio. (1) Di tutto si occupò sino alla fine e nella varietà non ebbe alcun confine: con occhio vigile oppur con occhio spento scrisse lavori… più di mille e cento! Visse per molti anni nella Prussia ma lavorò ugualmente nella grande Russia. LEONHARD EULERO (1707-1783) SPIEGAZIONE : Non vi è ramo della matematica, teorica o applicata, in cui non si incontri questo grande matematico che continuò a comporre opere significative anche dopo essere stato colpito da una progressiva perdita della vista. Eulero fu professore di fisica matematica all’Accademia di Pietroburgo e direttore della Classe di Matematica nell’Accademia di Berlino. 1

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PERSONAGGI MATEMATICI

Silvio Maracchia

Nel numero di Giugno 2006 della rivista sono stati presentati tredici indovinelli e, alla rinfusa, tredici date di nascita e morte dei personaggi nascosti in essi.

Ripetiamo qui gli stessi indovinelli, seguito dal nome del matematico corrispondente, successivamente da una breve “spiegazione” della soluzione e, infine, da qualche cenno sulla vita del personaggio.(1)Di tutto si occupò sino alla finee nella varietà non ebbe alcun confine:con occhio vigile oppur con occhio spentoscrisse lavori… più di mille e cento!Visse per molti anni nella Prussiama lavorò ugualmente nella grande Russia.

LEONHARD EULERO (1707-1783)

SPIEGAZIONE: Non vi è ramo della matematica, teorica o applicata, in cui non si incontri questo grande matematico che continuò a comporre opere significative anche dopo essere stato colpito da una progressiva perdita della vista. Eulero fu professore di fisica matematica all’Accademia di Pietroburgo e direttore della Classe di Matematica nell’Accademia di Berlino. L’edizione svizzera delle sue opere è costituita da circa ottanta volumi.

CENNI SULLA VITA DI EULERO. Quando E. si affacciò sulla scena del mondo matematico alcuni fondamentali rami di essa, nati da poco (geometria analitica; calcolo infinitesimale; teoria dei numeri; trigonometria; astronomia …), erano in piena evoluzione, cosicché egli si trovò inserito naturalmente in questo grande fermento: l’uomo giusto, si può dire, al momento giusto. E. ripagò infatti questa fortunata circostanza contribuendo notevolmente allo sviluppo della matematica in tutte le branche citate e in altre ancora, spaziando dalle applicazioni pratiche a risultati del tutto teorici.

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Nato a Basilea, E. ebbe come maestro il grande matematico svizzero Jean Bernoulli e fu amico dei suoi figli Daniel e di Nicolaus grazie ai quali potè recarsi a Pietroburgo a vent’anni (a diciassette aveva già conseguito il titolo di “baccelliere” e due anni dopo quello di “magister”) come membro aggregato nella classe di medicina (!). In verità E. si occupò però solo di matematica per 14 anni, dopo i quali si trasferì a Berlino, invitato da Federico il Grande. Dopo 25 anni passati a Berlino si trasferì di nuovo in Russia dove trascorse gli ultimi 17 anni della sua vita, 12 dei quali in assoluta cecità.Gli incarichi ufficiali di E. furono molti e prestigiosi ma essi non gli vietarono una intensa vita familiare se si pensa che ebbe due mogli (tra loro sorellastre) e che dalla prima ebbe tredici figli. I contemporanei raccontano che, però, neppure la sua attività familiare e cioè, ad esempio, un figlio sulle ginocchia, era in grado di impedire che E. pensasse contemporaneamente a difficili problemi teorici. Questa sua grande capacità creativa non lo abbandonò mai da quando a diciassette anni scrisse il suo primo lavoro, cosicché la sua produzione è assai vasta e le dimensioni di essa non sono ancora completamente note. Carl Boyer afferma addirittura che E. scrisse non meno di 800 pagine l’anno considerando l’intero arco della sua vita!Quello che sorprende maggiormente è che in ogni lavoro di questa sua produzione sterminata vi sono contributi notevoli ed ogni storico che presenta il matematico E., al cospetto di una tale mole di argomenti così vari e significativi, si limita a trarre solo alcuni risultati ottenuti da E. a seconda del proprio gusto e dei propri studi. Oltre alla ricchezza dell’intuizione matematica e alla sua notevole memoria e capacità di concentrazione che gli permisero di dettare lavori di ogni tipo anche dopo essere stato colpito da cecità, E. era anche uno straordinario calcolatore e fu questa sua capacità che gli consentì di smentire l’affermazione di Fermat secondo la quale ogni numero del tipo 2^(2^n) + 1, è primo (per n=3, ad esempio, si ha 2^(2^3) + 1 = 2^8 + 1 = 257). Infatti già per n = 5 si ottiene 4.294.967.297 che non è numero primo poiché, come osservò E., uguale a 6416.700.417.In questa sede ricordiamo soltanto poche cose e non tra le più grandi dato che queste ultime sono generalmente note. Ad esempio, si deve ad E., che ne sia stato o no l’autore, la creazione o la diffusione di molti simboli matematici, tra cui gli ormai notissimi: , i, e. Si deve proprio ad E.

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quella formula (ei = -1, caso particolare di una più estesa formula, sempre di E., relativa alla potenza avente per esponente un qualsiasi numero complesso) che pone uno straordinario legame tra questi tre simboli. Per la sua bellezza, questa formula si trova scolpita all’ingresso del Palais de la Dècouvert di Parigi quale sintesi dei risultati che civiltà diverse in epoche diverse avevano raggiunto con quanto era stato poi riassunto con tali simboli.Fu E., inoltre, ad indicare i punti con lettere maiuscole; i lati di un triangolo con lettere minuscole ed r, R, s i raggi dei suoi cerchi inscritti e circoscritti e del suo semiperimetro e l’aver accettati questi simboli testimonia l’influenza e la considerazione in cui era tenuta l’opera di E.Ricordiamo, inoltre un’altra “formula di E.”: F + V = S + 2, che lega il numero F delle facce di un qualsiasi poliedro convesso, con i suoi vertici V e gli spigoli S, formula sulla quale sono stati scritti interi libri per la singolarità delle varie dimostrazioni possibili.

(2) Voleva dedicarsi all’azionema questo lo mandò dritto in prigione.Voleva tutto dir sull’equazioni,ma nessuno capì le soluzioni.Voleva raccontar quanto pensatoMa da un colpo di pistola fu fermato.

ÈVARISTE GALOIS (1811-1832)

SPIEGAZIONE: Èvariste G. cercò invano di partecipare ai moti insurrezionali suscitati a Parigi dalle cosiddette Ordonnances (1830); sorpreso in seguito con la divisa proibita della guardia nazionale, fu mandato in prigione. Si applicò alla risoluzione delle equazioni ma il suo lavoro una prima volta fu smarrito e una seconda volta non fu capito. Sfidato a duello (nel quale troverà la morte), indicò in una lettera scritta la notte prima sia alcuni risultati ottenuti e sia altri sviluppi che avrebbe potuto compiere.

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CENNI SULLA VITA DI GALOIS. La breve vita di Èvariste G. ha commosso tutti coloro che hanno conosciuto la storia drammatica dei suoi ultimi anni.Scopertosi matematico ad appena sedici anni, G. fu travolto da questa sua consapevolezza abbandonando quasi del tutto lo studio delle altre materie e complicando così la sua carriera di studente. La sua impazienza («Sono troppo impaziente di arrivare allo scopo» avrebbe confessato ad un suo conoscente) gli fece ingigantire quelle difficoltà naturali che si presentano ad un ragazzo ancora sconosciuto per far conoscere il suo genio.Nonostante questo, già a diciassette anni G. era riuscito a pubblicare suoi lavori in importanti riviste di matematica. Cauchy, inoltre, che passa per essere stato una delle cause del mancato riconoscimento del valore di G., aveva presentato nel 1829 due lavori del giovanissimo matematico all’Accademia delle Scienze di Parigi.Probabilmente questi due lavori vennero ritirati per costituire il lavoro che G. presentò poi al Gran Premio di Matematica l’anno dopo. Fu questo lavoro che si smarrì per la morte del segretario Fourier che se l’era portato a casa per esaminarlo. Una successiva copia, inviata l’anno dopo, fu giudicata negativamente da Poisson (Cauchy era nel frattempo andato in esilio per seguire Carlo X detronizzato dalla rivoluzione del 1830) e fu questa ulteriore sconfitta, aggiunta a due insuccessi precedenti ottenuti all’esame di ammissione al Politecnico, che spinsero maggiormente G. ad intraprendere la lotta politica che lo condusse in prigione.Uscito di prigione per motivi di salute, fu sfidato a duello probabilmente a causa di una ragazza («infâme coquette »come la definì proprio G.). Ma prima di scendere sul terreno e morire appena ventenne, volle ricordare in una drammatica lettera all’amico Chevallier le poche cose messe sicuramente a punto, trascurando quelle immense, sono parole sue, solo intraviste.Non si può leggere la lettera di G., costretto a trascurare su molte cose scrivendo «non ho tempo!», senza sentire commozione per una giovane vita che si sarebbe spenta di lì a qualche ora, e rimpianto per quello che avrebbe sicuramente potuto fare e che non fece.Pochi anni dopo la sua morte, a cominciare dal matematico Joseph Liouville (1846) e successivamente da Enrico Betti (1852) e Camille Jordan (1870) gli scritti di Galois furono finalmente capiti. Vi era negli

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scritti di G., oltre a varie intuizioni di analisi e di teoria dei numeri, principalmente la risoluzione del secolare problema delle equazioni algebriche e cioè di quando esse sono risolubili o meno per radicali e, dalla traduzione di un problema di geometria in equazione, quando il problema può essere risolto con riga e compasso. Per ottenere questo G. pose le basi, al di là delle varie intuizioni a lui precedenti, di quell’importante ramo della matematica, ancora oggi uno dei capisaldi più fecondi di essa: l’algebra astratta. Già nel 1895, il matematico norvegese Sophus Lie potè scrivere il bel saggio Influence de Galois sur le developpement des Mathématiques, parlando appunto dell’uso dell’algebra astratta in vari campi matematici e non matematici.

(3)La matematica non ti salvò la vitané la scienza o la tua bellezzae davanti alla folla allibitafosti uccisa con grande sconcezza.

IPAZIA DI ALESSANDRIA (IV-V sec. d.C.)

SPIEGAZIONE: Studiosa di grande cultura filosofica e matematica, I. aveva suscitato gelosie e rivalità anche nella lotta di religione che divampava tra cristiani e pagani. Per questi motivi I. fu aggredita per una strada di Alessandria da una turba di fanatici cristiani; il suo corpo fu straziato orribilmente, sezionato, esposto a ludibrio della folla e bruciato.

CENNI SULLA VITA DI IPAZIA. I. è una delle poche donne che raggiunsero fama per meriti scientifici, matematici in particolare. Non è nota la precisa data della sua nascita ma quella della sua morte è il 415 d. C.. Di lei hanno scritto molti autori dell’antichità tra cui i contemporanei e storici della chiesa, Socrate Scolastico e Filostorgio. Dopo poco meno di un secolo dalla morte di I., scrisse di lei anche Damascio, l’ultimo direttore dell’Accademia fondata da Platone, chiusa da Giustiniano nel 529, ed altri ancora.Figlia di Teone di Alessandria, I. aiutò il padre nel suo commento a Tolomeo e fece a sua volta un commento all’Aritmetica di Diofanto e alle Coniche di Apollonio. Grande conoscitrice pertanto di astronomia e

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matematica si dice che andasse per le strade a spiegare scientificamente. a chi volesse ascoltarla, il moto degli astri ed a far ritrovare in se stessi (come aveva indicato Platone nel Timeo) quell’ordine che si poteva osservare nella volta stellata.Pagana, I. aveva anche allievi cristiani tra cui, ad esempio, Sinesio che divenne anche vescovo di Cirene ed era molto amata per la sua scienza e disponibilità.Le sue opere non ci sono pervenute ma sappiamo che scrisse, oltre i commenti detti, un Canone astronomico e che avrebbe costruito anche un astrolabio, un idroscopio ed un aerometro.Seguace principalmente di Platone e di Plotino, I. aveva una grande cultura filosofica che metteva a disposizione di tutti suscitando per questo e per quanto sosteneva, la gelosia e l’avversione dei cristiani che solo da poco avevano potuto uscire allo scoperto. Dal 391, infatti, il Cristianesimo era diventato, grazie a Teodosio, religione di stato e l’anno seguente era stata promulgata una legge contro i culti pagani. Si dice anche che fosse lo stesso vescovo di Alessandria, Cirillo, lodato dai cristiani per aver distrutto gli ultimi resti dell’idolatria, a spingere all’uccisione di I.. Questo però mal si concilia con il fatto che nel 1882 Cirillo venne fatto santo e dottore della chiesa cattolica.La tradizione è comunque concorde nel ricordare l’orribile morte di I. che fu affrontata per strada, denudata, uccisa selvaggiamente con dei cocci, smembrata e poi bruciata. Con lei scomparve una importante comunità scientifica. Molti studiosi e/o poeti furono ispirati dalla sorte crudele di I. Riportiamo a tal proposito i versi di Vincenzo Monti:La voce alzate, o secoli caduti,gridi l’Africa all’Asia e l’innocente ombra di Ipazia il grido orrendo aiuti.

(4)Ranetta oppur Frasconaè sempre “roba” sicuramente buona;ma quando cade e ti colpisce il suolosubitamente cambia il proprio ruolo.E per capir bene quanto vale

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dovè crear, ci pensi ?, l’infinitesimale.

ISAAC NEWTON (1642-1727)

SPIEGAZIONE: Racconta una leggenda, probabilmente non vera, che in seguito alla caduta di una mela (Ranetta e Frascona sono due qualità di mele), Newton intuisse quella legge di gravitazione universale che lo rese famoso. Con il calcolo infinitesimale, poi, un altro dei suoi grandi risultati, è possibile non solo studiare il moto di un grave ma anche l’analogo movimento dei pianeti del sistema solare.

CENNI SULLA VITA DI NEWTON. N. nacque l’anno della morte di Galileo e questa semplice coincidenza ha fatto la gioia di astrologi sempre alla ricerca di magici legami. N. ebbe la fortuna di avere avuto nel Collegio della Trinità di Cambridge un grande maestro, Isaac Barrow, che riconobbe ben presto le grandi qualità del suo allievo e gli trasmise l’amore per la matematica e lo aiutò nella sua carriera. Fu nel biennio 1664-65, dopo il conseguimento del diploma, che N., ritiratosi a Woolsthorpe per sfuggire all’epidemia della peste, ebbe l’opportunità di meditare su molti argomenti di matematica facendo molte importanti scoperte.Oltre allo studio della matematica per se stessa alla quale contribuì in maniera notevole, N. intravide in essa la possibilità di indagare in modo risolutivo le leggi dell’Universo, realizzando il sogno di Pitagora e proseguendo quello di Galileo.L’abilità manuale di N., manifestatasi sin dai suoi primi anni, l’aiutò a concretizzare alcune sue intuizioni quali, ad esempio, la costruzione di un telescopio a riflessione che eliminava qualsiasi distorsione cromatica (fu lui a scoprire la natura composita della luce). Ma le scoperte maggiori di N. furono teoriche anche se talvolta generate da problemi di carattere pratico; ad esempio la velocità di un elemento in un certo istante; la determinazione di una tangente in un punto di una curva; il calcolo di particolari aree. Furono questi i tre grandi problemi che, affrontati sin dall’antichità, porteranno a quel “calcolo infinitesimale” che è stata la più alta scoperta dell’età moderna di cui N. fu uno dei principali creatori e che fu definito entusiasticamente anche “calcolo sublime”. A queste si può aggiungere la legge di gravitazione

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universale descritta nella sua famosa opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (presentata alla Royal Society e stampata l’anno dopo, 1686); è singolare che, pur avendo raggiunto molti suoi risultati con il calcolo infinitesimale, N. li esprimesse in forma geometrica classica che considerava più nota e convincente.La capacità di concentrazione di N. era veramente eccezionale (questo spiega alcuni gustosi episodi della sua “distrazione”) e la sua creatività non lo abbandonò mai. Ebbene, pur nella consapevolezza che non si può parlare di ciò che non è accaduto, possiamo ragionevolmente affermare che se non avesse dovuto disperdere tante energie come direttore della zecca, la cui nomina era apparsa un giusta ricompensa!, N. avrebbe dato altri notevoli contributi alla matematica teorica oltre i numerosi effettivamente forniti.Termino questa breve biografia riportando il sintetico giudizio che di N. espresse Albert Einstein e cioè di quello scienziato che maggiormente ne proseguì l’opera nella descrizione dell’Universo e delle sue forze in una prefazione all’Ottica: «La natura era per lui un libro aperto, in cui leggeva senza alcuno sforzo. I concetti che egli usò per riordinare i dati dell’esperienza sembravano uscire spontaneamente dall’esperienza stessa, dai bellissimi esperimenti che mise in ordine come giocattoli e che descrisse con affezione ricca di particolari. Egli combinava in una persona lo sperimentatore, il teorico, il meccanico e, non ultimo, l’artista nell’esposizione delle sue opere. Egli sta dinanzi a noi forte, sicuro, solo: la sua gioia nella creazione e la sua minuta precisione sono evidenti in ogni sua parola e ogni sua cifra».

(5)Si mosse con grande maestria,ma non fu certo per la geometria:anche se i poligoni trattavaera ai numeri che in verità pensava.Quando infin quel suo lavoro fu stampato,un margine stretto troppo gli fu dato.

DIÓFANTO DI ALESSANDRIA (III sec. d. C.)

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SPIEGAZIONE: Sembra che D. si sia occupato, a quanto ci risulta, solo di teoria dei numeri e di algebra. Una sua opera sui numeri poligonali tratta di particolari successioni e non di geometria. La sua opera maggiore è l’Aritmetica e su una copia a stampa di essa, Fermat annotò che una bella dimostrazione da lui trovata a completamento di una di D. non poteva scriverla poiché il margine era troppo stretto.

CENNO SULLA VITA DI DIOFANTO. A dar retta ad un epigramma dell’Antologia greca (IV-VI sec.; autore (?) Metrodoro di Bisanzio), D. sposò a 33 anni, ebbe un figlio a 38 che morì a 42 anni quattro anni prima del padre il quale cercò di reagire «mitigando il proprio dolore coll’occuparsi della scienza dei numeri»Di D. è pervenuta la breve opera Sui numeri poligonali che tratta di particolari progressioni aritmetiche e geometriche nate nella scuola pitagorica. Ad esempio la progressione aritmetica dei numeri n-simali (triangolari, quadrangolari, pentagonali ecc.)

an,k = k + k(k-1)(n-2)/2 con n>2 e k = 1; 2; 3; …

(con n = 3 si hanno, ad esempio, i “numeri triangolari”: 1; 3; 6; 10… Vedere a questo proposito anche la successiva biografia di Fermat)

L’opera maggiore di D. pervenuta sino a noi (sei libri su tredici oppure dieci su tredici a dar retta ad un recente ritrovamento) è l’Aritmetica che è un misto di algebra e di teoria dei numeri dato che in genere nei vari problemi sono richieste soluzioni razionali e questo comporta, ad esempio, stabilire in quali condizioni i radicali delle radici quadrate risultino quadrati perfetti. In D. vengono operate opportune sostituzioni di variabili in modo da semplificare le equazioni e i sistemi assegnati e condurli, inoltre, ad una sola incognita (“il numero”) da lui indicata con la lettera greca e cioè con il sigma di fine parola.In D. compare in maniera sistematica un particolare simbolismo algebrico di tipo sincopato ed astratto preceduto però in parte da quanto è stato trovato in un papiro greco anteriore di almeno cinquant’anni (“Papiro Michigan” n. 620, I-II sec. d. C.). Questo simbolismo rimase però limitato allo scritto di D. e non influì pertanto sul simbolismo moderno che ebbe un lungo e faticoso percorso (tra i principali protagonisti del

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nostro simbolismo indichiamo Leonardo Pisano, i maestri d’abaco, Luca Pacioli, Cardano, Bombelli, Viète, Girard, Cartesio).Come esempio, uno dei più semplici, dell’abilità di D. nel risolvere equazioni algebriche, ricordiamo la risoluzione, esclusivamente numerica ma di portata generale come qui indicato, del sistema “somma e prodotto”(I,27):

Diofanto pone x = s/2 + t; y = s/2 – tin tal modo la prima relazione è verificata; sostituendo nella seconda si ha dunque: (s/2 + t)(s/2 – t) = p da cui (s/2)2 – t2

e quindi, dal valore (positivo ovviamente) di t, le due radici:

D. mostrò inoltre come sia possibile dividere un numero quadrato (16 nel suo caso, ma il procedimento è generale) nella somma di due altri quadrati di numeri interi o razionali. D. ottiene nel suo esempio ( prop. II,8):

16 = (16/5)2 + (12/5)2

da cui si può ottenere la risoluzione 16, 12, 20 dell’ “equazione pitagorica” x2 + y2 = z2.

Fu in margine dell’edizione di Bachet del 1621 che Fermat scrisse di aver trovato una bella soluzione dell’impossibilità di poter risolvere con numeri interi l’equazione indeterminata xn + yn = zn con n>2 e questa sua affermazione, oggi dimostrata vera (Andrew Wiles 1995), impegnò per secoli i più grandi matematici contribuendo ad arricchire la teoria dei numeri.

(6)Tutto trovava senza sforzo alcuno:numeri, geometria e … derivata;

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ma risultò a volte un po’ importunoper non voler spiegar la proprietà trovata.Fermata fu però la sua passionedall’esercizio della professione.

PIERRE DE FERMAT (1601-1665)

SPIEGAZIONE: F. ebbe grande facilità a trattare geometria, aritmetica, teoria dei numeri ed analisi; in quest’ultima egli mostrò un procedimento che oggi si può considerare antesignano della derivata e del fatto che essa è uguale a zero in un punto di massimo (o di minimo). Spesso indicava per lettera alcuni risultati raggiunti trascurando di indicarne la strada seguita per ottenerli. Nella prima parola della quinta riga della “poesia-indovinello” vi è inserito il cognome del nostro matematico. Le molteplici attività ufficiali tolsero a F. tempo ed energie che avrebbe potuto dedicare alla matematica.

CENNI SULLA VITA DI FERMAT. Pierre De F. ebbe una vita tranquilla e laboriosa, basata su un’ottima preparazione scolastica scientifica ed umanistica. Nominato Consigliere del re al Parlamento di Tolosa, ricoprì la carica per diciassette anni con grande scrupolo e capacità e consacrò la sua ricerca scientifica, matematica in particolare, ai ritagli di tempo.Qualcuno, però, ha addirittura asserito che il riserbo che veniva richiesto al suo posto di magistrato favorì anziché nuocere la sua ricerca. Si deve comunque riconoscere che spesso le sue grandi intuizioni nel campo dell’analisi (Methodus ad disquirendum maximum et minimum, 1637), della geometria analitica (Ad locos planos et solidos isagoge, 1636) di cui fu uno dei fondatori, della probabilità e specialmente della teoria dei numeri, non vennero da lui sfruttate pienamente o completamente giustificate. Giustamente, a tal proposito, F. è stato definito il “re dei dilettanti”.Non possiamo dimenticare lo stimolo che F. diede alla teoria dei numeri quando fece la famosa affermazione che abbiamo già visto sopra nella vita di Diofanto.

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Molti risultati di F. si trovano però solo nelle sue lettere; le sue opere sono comunque riassunte nei quattro volumi delle Oeuvres più un Supplemento (Paris, 1891, 1894, 1896, 1912, 1922).Non è possibile in una breve biografia qual è la presente, entrare nei molteplici particolari relativi alla molteplice produzione di F.; privilegeremo l’analisi dandone in ogni caso solo l’indicazione della sua originalità. Ebbene, allorché F. vuol trovare un punto in cui una funzione raggiunga un particolare massimo (o minimo), egli considera un punto in cui suppone che si raggiunga tale massimo e un punto“vicino” a questo facendo la differenza tra i due valori della funzione in essi. F. divide poi la differenza trovata per la distanza dei due punti e pone uguale a zero la differenza ponendo, infine, uguale a zero anche quello che ottiene. In questo modo egli raggiunge la possibilità di individuare il punto cercato.In termini moderni, se egli cerca un massimo della funzione f(x) egli non fa altro che risolvere l’equazione:

Questo implica la consapevolezza, già espressa da Oresme e da Keplero, che in un punto di massimo (o di minimo) la funzione è “stazionaria” cioè, come diremmo oggi, la sua variazione è un infinitesimo di ordine superiore rispetto alla tendenza a zero della variazione “e” della variabile indipendente.Quel porre e = 0 è, come abbiamo riassunto con la nostra formula, proprio un calcolo del rapporto al tendere a zero dell’incremento e; si tratta pertanto della prima apparizione del concetto di limite e del primo calcolo della derivata di una funzione per il computo di un suo punto di stazionarietà.Vedremo tra poco un esempio dello stesso F.; per ora osserviamo che egli riesce a trasformare, tra l’altro, in un calcolo di massimo il problema di condurre la tangente in un punto ad una curva, oppure quello del calcolo del baricentro di un segmento di conoide; cosicché poté scrivere: «È impossibile trovare un metodo più generale».

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Alcuni storici negano a F. la consapevolezza, infinitesimale potremmo dire, di quanto si celasse nel suo metodo, è però significativo che Newton, in una lettera a L. T. More, dichiarasse che era stato il metodo di F. per tracciare le tangenti ad avergli dato l’idea del suo metodo del calcolo differenziale. Lagrange, inoltre, proclamò F. addirittura creatore del calcolo differenziale!Veniamo ora all’esempio annunciato nel quale F. vuole ritrovare un risultato già noto (ad esempio è contenuto nella II,5 degli Elementi di Euclide): tra tutti i rettangoli di ugual perimetro è il quadrato ad avere area massima.Pertanto, dato il segmento AB si tratta di determinare un suo punto C in modo che sia massima l’area AC·CB (e verificare che C è proprio il punto medio).

A BC D

AB = b; AC = a (tesi: 2a = b)

F. suppone che il punto C risolva il problema per cui risulti massimo il prodotto (vedremo i vari passaggi espressi a fianco con il nostro simbolismo)

a(b – a) [f(xo)] con f(x)=x(b-x)

e considera un punto D vicino al punto C (CD = e) cosicché il prodotto AD·DB è “quasi uguale” (adequabitur) al prodotto AC·CB:

(a + e)(b- a – e) ~ a(b – a) [f(xo + e) ~ f(xo)]

semplificando portando al primo membro, si ha:

2ae + e2 – be ~ 0 [f(xo + e) - f(xo) ~ 0]

F. divide ora per e ottenendo

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2a + e - b~ 0 [

]

e pone successivamente e = 0 ottenendo finalmente l’uguaglianza (equabitur)

2a – b = 0 [ ]

risultato cui si voleva arrivare.

Tra i molteplici risultati di F. in altri campi (per uno di essi v. sopra la biografia di Diofanto) ne ricordiamo solo uno, singolare per la sua straordinaria bellezza (dimostrato poi da Cauchy): Ogni numero o è triangolare (i n. triangolari sono le somme parziali della serie 1 + 2 + 3 + 4 + 5 +…) oppure è la somma al massimo di tre numeri triangolari. Ogni numero o è quadrato (somme parziali della serie: 1 + 3 + 5 + 7 + 9 +…) oppure è la somma al massimo di quattro numeri quadrati. Ogni numero o è pentagonale(somme parziali della serie 1 + 4 + 7 + 10 + 13 +…) oppure è la somma al massimo di cinque numeri pentagonali. Ecc. ecc.

(7)Scrisse lavori per lo più in franceseanche se era un vero piemontese;trattò di variazioni e di stabilità(non è un ossimoro, è la verità).Trattò meccanica, numeri ed equazionidi cui cercò la via per le risoluzioni.Visse oltre la morte per compiacer la moglie,benigna fu la sorte per l’onorate spoglie.Per l’eccellenza, infatti, della produzionegloria gli tributò perfin Napoleone.

GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE (1736-1813)

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SPIEGAZIONE: L. nacque a Torino da genitori piemontesi, scrisse i suoi primi lavori in italiano e successivamente in francese. Raccontò lui stesso che, sentendosi morire, si stava abbandonando con serenità all’evento ma si riprese per qualche giorno per le insistenze della moglie. L. creò il calcolo delle “variazioni” e studiò la “stabilità” del sistema solare, argomenti tra loro assolutamente indipendenti. Napoleone colmò L. di numerose e importanti onorificenze e gli elogi funebri tributategli rispecchiano tutta la considerazione che aveva goduto.

CENNI SULLA VITA DI LAGRANGE. La vita di L., fatta eccezione per una crisi che riuscì a superare grazie al suo secondo matrimonio (1792) e all’attività didattica che dovette intraprendere a Parigi dopo il Terrore, fu tutta dedicata alla ricerca matematica. Anche un suo viaggio a Parigi (1763) gli servì soltanto per conoscere vari matematici (D’Alembert, Clairaut, Condorcet, Fontaine, Nollet, l’abate Marie…) con i quali conserverà rapporti scientifici ed anche, talvolta, di amicizia.L. fu uno dei fondatori dell’Accademia di Torino (1757), città in cui era nato e in cui rimase i primi trent’anni della sua vita occupando per oltre dieci anni l’ufficio di insegnante di matematica nella Scuola di Artiglieria. Altri ventuno anni li passò a Berlino e i rimanenti ventisei a Parigi.In questi pochi cenni si potrebbe riassumere tutta la vita di L. per cui la Francia emanò una legge speciale affinché potesse rimanervi ad onta della disposizione che rimandava nella patria di origine ogni socio straniero dell’Accademia di Francia (L.divenne in seguito cittadino francese allorché il Piemonte fu annesso alla Francia ed ottenne ulteriori e prestigiosi riconoscimenti).L’opera di L. è molto vasta (sono ben 4678 le pagine che compongono i 14 volumi delle sue Oeuvres complètes) e spazia in vari campi della matematica. Nonostante i suoi vasti interessi, L. si può però considerare essenzialmente un analista e su tale disciplina pubblicò il suo primo lavoro (scritto in italiano) all’età di diciotto anni e i suoi studi sugli “isoperimetri” che poi lo porteranno a quel “calcolo delle variazioni”, una delle sue più importanti scoperte (« Si tratta di trovare, scrive L., le curve stesse, nelle quali una certa espressione integrale sia un massimo o un minimo rispetto a tutte le altre curve»).

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Un altro risultato importante ottenuto da L. è la sua dimostrazione analitica della stabilità del sistema solare secondo il quale le variazioni non possono essere che periodiche, risultato che venne considerate all’epoca una delle più belle scoperte astronomiche dopo quelle di Newton.L. si applicò anche alla teoria dei numeri e all’algebra; nella prima ricordiamo la sua soluzione finalmente completa della cosiddetta “equazione di Pell-Eulero” che ha origine nell’antica matematica greca e consiste nel risolvere con radici intere l’equazione indeterminata: x2 + ay2 = 1 con a numero intero non quadrato perfetto, equazione legata a molti importanti sviluppi della teoria dei numeri. Ricordiamo inoltre un teorema poco noto ottenuto da L. sempre nella teoria dei numeri: Fissato un qualsiasi numero primo p (diverso da 2 e da 3),sono multipli di p la somma di tutti i numeri naturali minori di p, ed anche la somma di tutti i possibili prodotti a due a due di tali numeri oppure la somma dei prodotti a tre a tre, a quattro a quattro ecc. sino alla somma dei prodotti a p-2 fattori. Nel caso dell’unico prodotto dei p – 1 numeri minori di p si deve aggiungere 1 al prodotto che si ottiene [(p-1)! + 1]. (Quest’ultima condizione è pero il famoso teorema di Wilson ed è condizione necessaria e sufficiente).Così, ad esempio, considerando il numero primo 5, sono suoi multipli:1 + 2 + 3 + 4 1·2 + 1·3 + 1·4 + 2·3 + 2·4 + 3·41·2·3 + 1·2·4 + 1·3·4 + 2·3·41·2·3·4 + 1.

Nell’Algebra si può notare la caratteristica principale della matematica di L.: dopo l’analisi di qualche grado particolare (equazioni di terzo e quarto grado in questo caso), anche attraverso quanto era stato ottenuto da altri matematici, affrontare il problema nella maniera più generale possibile e da questo dedurre i vari casi particolari sforzandosi di essere il più possibile chiaro senza tralasciare passaggi ancorché “evidenti”. Questo nel caso di soluzioni per radicali (si tratta delle cosiddette risoluzioni radico-razionali ottenute con le sole operazioni aritmetiche ed estrazioni di radici usate un numero finito di volte), ma per quanto riguarda le approssimazioni L. ottiene notevoli risultati introducendo le frazioni continue oppure le serie.

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Il capolavoro di L. è però la sua Mécanique analytique scritto con piena consapevolezza della sua novità: enunciato di formule generali dalle quali dedurre e risolvere ogni problema. «Non si troveranno affatto figure in quest’opera. I metodi che vi espongo non richiedono né costruzioni, né ragionamenti geometrici o meccanici, ma esclusivamente operazioni algebriche, assoggettate ad uno sviluppo regolare ed uniforme. Coloro che amano l’Analisi vedranno con piacere la Meccanica divenirne una nuova branca e mi saranno grati di averne così esteso il dominio »Dobbiamo necessariamente trascurare i molti risultati ottenuti in questi e in altri campi della matematica e i vari “teoremi di Lagrange”. Mi limito a ricordare, per la singolarità del caso, quando procrastinò la sua morte a causa delle preghiere della sua seconda moglie con il suo stesso racconto: «Io volevo morire, sì, volevo morire e ci trovavo del piacere; ma mia moglie me l’ha impedito: avrei preferito in quei momenti una moglie meno buona, meno attenta a rianimare le mie forze, che mi avesse lasciato morire dolcemente. Ho finito la mia carriera, ho acquistato una certa celebrità in matematica, non ho odiato nessuno, non ho fatto nessun male e bisogna bene che me ne vada; ma mia moglie non vuole».

(8)La matematica, si sa,dà sempre e solo verità;eppur ei fece la dimostrazioneche tutto questo è solo un’illusione,un circolo vizioso solo c’è.E per la verità … ognun per sé.

KURT GÖDEL (1906-1978)

SPIEGAZIONE: Nel 1931 il giovane Kurt G. riuscì a mostrare che la matematica non è in grado di giustificare la verità delle proprie asserzioni per cui credere o non credere in essa risulta, in definitiva, una mera scelta personale.

CENNI SULLA VITA DI KURT GÖDEL. G. nacque a Brünn (oggi Brno) in Moldavia ed apparteneva alla minoranza di lingua tedesca; fu

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uno studente eccezionale in tutte le materie (sembra che una sola volta non prendesse il massimo dei voti), studiò poi a Vienna e nel 1929 prese la cittadinanza austriaca. A Vienna G. fece parte (1926-1928) del cosiddetto “circolo di Vienna” che aveva come scopo quello di analizzare la conoscenza in maniera del tutto distaccata dalla metafisica ma soltanto attraverso la logica e l’empirismo; appartenenza che condizionò i suoi interessi anche quando non ne fece più parte.Quando la sua domanda di immissione in ruolo (1939) fu accolta, G. già si trovava in America ove era emigrato (1940) dopo l’annessione dell’Austria alla Germanica nazista. G. si stabilì a Princeton come Membro Ordinario dell’Institute of Avanced Study avendo per colleghi l’economista Oskar Morgestern e Albert Eistein che lo accompagnarono all’esame sulla costituzione americana che sostenne per ottenere la cittadinanza.G. soffrì per tutta la vita di vari disturbi depressivi forse a causa della grande concentrazione che richiedevano i suoi studi ma forse, più verosimilmente, per una congenita ipocondria che, aggravatasi nel corso degli anni, lo portò alla morte. Infatti dagli anni 60 la sua salute peggiorò anche per il fatto che spesso rifiutava di essere curato e perché la moglie, l’unica persona di cui si fidasse, anch’essa ammalata, non poteva accudirlo. Fu così che G., il più grande logico dopo Aristotele, come lo aveva definito von Neumann, morì all’ospedale di Princeton praticamente di fame per non essersi voluto nutrire per paura di essere avvelenato; morì, infatti, come è scritto nel suo certificato di morte per «malnutrizione e inanizione causata da disturbi della personalità».La produzione di G. è molto diversificata, però, pur essendosi applicato a vari ed importanti problemi di matematica, fisica e filosofia (nei suoi appunti si trovarono anche argomenti di storia e di teologia), la sua notorietà è massimamente legata ai lavori che segnarono uno spartiacque tra la fede che sempre si era avuto nella consistenza della logica e l’autentico studio dei fondamenti e della completezza o meno dei sistemi assiomatici.Il primo grande risultato di G. si trova nella sua tesi di laurea (1930) allorché gli riuscì di dimostrare la completezza del calcolo dei predicati del primo ordine e quindi l’impossibilità, in tale formalismo, di ottenere formule espresse correttamente che non fosse possibile dimostrare o

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dimostrare la loro negazione. In altre parole in tale sistema non esistono “formule indecidibili”.Il secondo e più importante risultato G. l’ottenne l’anno successivo (fu questa poi la sua tesi di libera docenza del 1932) secondo il quale in un sistema formale abbastanza potente da contenere nel suo ambito la formalizzazione dell’aritmetica (e quindi di tutta la matematica) accade che:

(1) Se lo si suppone coerente, allora esso è incompleto potendo nel suo ambito costruire sempre formule indecidibili (come già indicato, se A è una di esse, non è possibile dimostrare né A e neppure non A);

(2) La “coerenza” del sistema è una delle formule indecidibili del sistema stesso (dunque essa non è dimostrabile ma neppure è dimostrabile l’incoerenza).

Ecco, pertanto, che la fede nella coerenza della logica e della matematica diventa, come in senso positivo si esprimerà poi lo stesso G., una scelta personale.

(9)Studiò le serie con grande serietàe la famosa … impossibilità(pur già nota con piccola lacuna).Viaggiò spesso per cercar confortoma di lui nessuno s’era accorto.Ebbe però un colpo di fortunapoiché a mostrar le cose sue belleci pensò infine il suo amico Crelle.

NIELS HENRIK ABEL (1802-1828)

SPIEGAZIONE: Uno dei compiti che A. si era proposto, fu quello di rendere rigoroso lo studio delle serie stabilendo quando erano o no convergenti. Dopo la dimostrazione di Ruffini, che aveva per altro una lacuna (superabile), A. dimostrò l’impossibilità di risolvere in modo generale le equazioni di grado maggiore di quattro. La grandezza di A. fu

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riconosciuta inizialmente da pochi, ma egli potè stampare molti suoi lavori nel “Giornale di Crelle” che era nato proprio per pubblicare lavori di matematica.

CENNI SULLA VITA DI NIELS HENRIK ABEL. A. nacque a Finnöy, Norvegia, in un momento di gravi difficoltà economiche della Nazione a causa delle guerre napoleoniche. Anche il padre di A. aveva risentito di queste difficoltà ed era morto lasciandolo, appena diciottenne, a capo di una famiglia numerosa e povera.A sedici anni A. aveva avuto la fortuna di un bravo insegnante in Bernt Michael Holmboe che poté apprezzare le sue notevoli capacità e che lo aiuterà per tutta la sua breve vita pubblicandone anche le Oeuvres Complètes (1839). Nonostante questo A. dovrà penare tutta la vita per ottenere quei riconoscimenti ufficiali che otterrà solo postumi.A vent’anni A. aveva messo a punto la dimostrazione sull’impossibilità di poter risolvere equazioni generiche di grado maggiore di quattro, lavoro che pubblicò l’anno seguente a sue spese e, successivamente ampliata, nel Journal di Crelle (1826).Nonostante la crisi finanziaria della Norvegia, A. poté ottenere una borsa di studio per l’estero che gli consentì di compiere un lungo viaggio nei maggiori centri matematici europei. A Berlino conobbe A. L. Crelle che in quel momento stava proprio iniziando a fondare il suo Journal che divenne ben presto, anche grazie ai lavori di A., una delle principali riviste di matematica. Si pensi che nel primo volume vi sono sei importanti lavori di A. tra cui, oltre al teorema già indicato, lo studio della serie

(1 + x)m =

e della sua convergenza.

Altri risultati di A., su cui non possiamo però soffermarci, furono quello dello studio delle funzioni “simili” necessario a Galois per raggiungere il suo risultato; quello dei corpi commutativi (oggi detti “abeliani”) anch’esso legato alla teoria delle equazioni e, infine, la sua elegante

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soluzione delle cosiddette “funzioni ellittiche”, teoria condivisa con Jacobi che, indipendentemente da A., stava trattando lo stesso argomento.Ad onta dei tanti ed importanti contributi apportati allo sviluppo della matematica, A., ritornato in Norvegia (1827) a conclusione del suo viaggio, non ebbe quei riconoscimenti ufficiali che avrebbe meritato sebbene verso gli ultimi tempi il genio di A. fosse riconosciuto da molti grandi matematici dell’epoca.Cagionevole di salute, fu colpito da tubercolosi a causa del clima rigido e dell’eccessivo prodigarsi per il mantenimento della sua famiglia. Nonostante questo A. rimase attivo in matematica sino alla sua fine e sino alla fine il suo carattere rimase sempre amabile, ottimista e soprattutto modesto.Due giorni dopo la sua morte giunse da Berlino il consenso per una cattedra universitaria.Dal necrologio di Crelle (1829): «Tutti i lavori di Abel portano l’impronta di una sagacità e di una robustezza di spirito straordinaria e spesso veramente sorprendente anche senza tener conto della sua giovinezza. Egli penetrava, per così dire, sino al fondo delle cose con una forza che sembrava irresistibile (…) [tanto] che le difficoltà sembrano svanire al cospetto della potenza vittoriosa del suo genio».

(10)Il nome prese dalla sua cittàma con altro era nato per la veritàche “nessuno” conobbe per notorietà.Non divulgava i risultati svolti,amico a pochi ma nemico a moltie spesso litigò per prioritàdi esiti che altri avean pur colti.

GILLES PERSONNE DE ROBERVAL (1602 – 1675)

SPIEGAZIONE: Il nostro matematico, Gilles Personne (e “personne” in francese vuol dire “nessuno”) prese il nome dal suo paese di nascita: Roberval e con tal nome è conosciuto. Fu carattere spigoloso e si lanciò in varie critiche verso i matematici contemporanei, contestando ad alcuni

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di essi priorità talora inesistenti. Ebbe però anche amici importanti nel mondo matematico.

CENNI SULLA VITA DI ROBERVAL (GILLES PERSONNE). Il nostro matematico prese il nome dal villaggio ove nacque da famiglia povera e oscura. Fu forse questa origine e quello che probabilmente dovette subire per poter studiare in maniera adeguata alle sue capacità, che lo condizionò durante tutta la sua vita. In molte occasioni, infatti, si dimostrò invidioso, vendicativo e scorretto sia perché cercò di appropriarsi risultati non suoi e sia perché rivendicò spesso priorità talora non vere e altre volte basate solo su sue affermazioni (si potrebbe tentare a questo proposito un parallelo con la vita e il carattere di Tartaglia).Dopo essere stato professore di filosofia al collegio Gervais (1631), R. fu nominato, diciotto mesi dopo, nella prestigiosa cattedra di matematica al Collegio reale fondata da Pierre de la Ramèe (Ramus) che manterrà sino alla morte nonostante che ogni tre anni essa veniva rimessa a concorso.Questa continua necessità di dover superare gli eventuali concorrenti, porterà talvolta R. a nascondere risultati ottenuti in modo da poter concorrere vittoriosamente e però a soffrire se qualche sua scoperta veniva trovata anche da altri.In una lettera inviata a Torricelli (1644), R. rivendica a sé la scoperta degli indivisibili che egli aveva tenuto in petto proprio per procurarsi, afferma, superiorità tra i matematici. Però, nonostante che R. abbia ottenuto risultati più numerosi di Cavalieri, «è difficile - osserva Maximilien Marie che ha studiato a fondo la matematica di R. nella sua monumentale Histoire des sciences mathématiques et phisiques, notevole lavoro biografico - supporre che R. non debba nulla al geometra italiano».Altro motivo di litigi tra R. ed altri matematici fu il problema di condurre tangenti a particolari curve il cui metodo, per altro ingegnoso e personale, si differenziava però sia da quello di Fermat e sia da quello di Cartesio con i quali ebbe vari dissapori. R. ebbe una nuova disputa, in merito alla quadratura della cicloide, questa volta con Torricelli che era del tutto innocente e quella sulla rettificazione della cicloide con Wrenn che però l’aveva ottenuta prima di lui come riconobbero Huygens e persino il suo amico Pascal che altre volte l’aveva acriticamente difeso. Più grave, a nostro parere, appare l’appropriazione del carteggio di Mersenne quando

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questi morì e che rifiutò di mostrare agli studiosi (carteggio recuperato solo dopo la morte di R.).Nonostante tutto, R oltre i nemici che abbiamo già citato, ebbe anche alcuni amici che riconoscevano il suo talento e superavano tutti i suoi difetti, quali Gassendi, l’abate Mersenne, Blaise Pascal e il padre di questi.In definitiva R. è stato un matematico di buon livello ed avrebbe potuto sfruttare molto meglio il suo indubbio talento se non avesse perso tanto tempo in inutili polemiche nelle quali aveva di solito torto, ed eliminare i suoi sospetti ingiustificati. Gli storici della matematica sono concordi, ad esempio, nell’attribuire a R. la quadratura della cicloide e la cubatura del volume ottenuto da sue rotazione attorno a varie particolari rette.Le sue opere, pubblicate postume (Traité des mouvements composés; De recognitione et constructione aequationum, Méthode des indivisibles, De trochoide) si trovano nel primo volume dell’Accademia delle Scienze (1693) e risultano, pur nei suoi meriti, poco curate e prolisse. Molte delle sue lotte e delle sue conoscenze si possono però trarre dalle sue lettere.

(11)Allo studio del calcolo integrale,lasciando a metà la tua carriera,mutasti la tua casa in ospedalecurando tutti e da mane a seracon la bontà insieme alla preghiera.Salvasti così l’alma tua immortaleTrascurando per questo la … versiera.

GAETANA AGNESI (1718-1799)

SPIEGAZIONE: L’opera matematica di A. Istituzioni analitiche fece prevedere una brillante carriera accademica ma essa, nonostante questo ottimo inizio ed i numerosi riconoscimenti che ne ebbe, preferì dedicarsi completamente «a Dio e al prossimo» sino alla sua morte. Nell’opera di A. viene studiata una particolare curva che è passata col nome di versiera o di “curva di Agnesi”.

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CENNI SULLA VITA DI GAETANA AGNESI. Ingegno precocissimo, all’età di nove anni A. era già in grado di tradurre egregiamente dall’italiano in latino e parlare correttamente in francese. Due anni dopo era in grado di tradurre a prima vista dal greco in latino. Qualche anno ancora e A. era in grado di meritare il titolo di Oracolo settilingue dato che sapeva a perfezione, oltre quelle dette, le lingue ebraica, tedesca e spagnola.Dedicatasi alla filosofia, alla logica, alla fisica, materie nelle quali rapidamente fu in grado di sostenere dotte dispute, cominciò ad occuparsi anche di matematica. Dalle prime lettere con validi interlocutori è possibile notare la sua grande predisposizione. Applicatasi allo studio dell’opera di De l’Hospital sulle sezioni coniche e trovando in essa varie oscurità, e per le varie questioni che sorgevano via via anche in altri campi e il materiale preparato per l’insegnamento ad un fratello (tra maschi e femmine A. ebbe ben 23 fratelli) A. si propose di agevolare lo studio del calcolo differenziale ed integrale.A. scrisse pertanto, «Ad uso della Gioventù italiana», un trattato di Istituzioni Analitiche stampato a Milano nel 1748 dopo dieci anni di duro lavoro durante i quali ebbe una notevole corrispondenza con matematici italiani e stranieri dai quali era spesso interpellata per pareri, giudizi e problemi di vario tipo.Le Istituzione meravigliarono tutto il mondo matematico e non matematico che tributò alla giovane matematica italiana numerosissimi plausi e riconoscimenti ufficiali. Papa Benedetto XIV, ad esempio, motu proprio la nominò lettrice onoraria di analisi nell’Università di Bologna ove però A. non andò mai nonostante i pressanti inviti; così l’accurato esame eseguito dall’Académie Royale des Sciences (1749) termina con il seguente giudizio firmato dal fisico ed astronomo Dourtous de Mairan e dal matematico Mignon de Montigny: «[l’Opera] riprende tutta l’analisi di Descartes e quasi tutte le scoperte che sono state fatte sino ad oggi nel Calcolo differenziale ed integrale. E’ stata necessaria molta conoscenza e capacità per ottenere, come è stato fatto, di riportare a metodi quasi sempre uniformi, scoperte sparse nelle opere dei matematici moderni e spesso esposte in maniera del tutto difformi le une dalle altre. L’ordine, la chiarezza e la precisione si riscontrano in tutte le parti di quest’Opera. Non è ancora apparsa in nessuna lingua Istituzioni di Analisi che possano portare così presto né condurre così lontano coloro che

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vorranno introdursi nelle scienze analitiche: Noi la reputiamo come il Trattato più completo e migliore che sia stato fatto in questo genere e crediamo che l’Accademia non ci disapproverà se diremo che esso è degno della sua approvazione e dei suoi elogi».A quanto sopra riportato fa seguito il parere favorevole dell’Académie, su rapporto di D’Alembert, Condorcet e Vandermonde, per la traduzione in francese delle Istituzioni di A. (1775) cui seguì poi anche una traduzione in inglese (1801).Ma l’opera di A. non è solo un indovinato libro scolastico, vi sono anche nuove ed eleganti soluzioni di vari problemi e lo studio di una particolare curva, la versiera che venne anche chiamata la “curva d’A. e che mostra ancora una volta la grande potenzialità della matematica milanese. Tale curva, definita come luogo di punti, e A. dà un criterio per costruirla agevolmente, si può esprimere secondo il grafico della funzione:

In verità tale curva si incontra già in un lavoro di Guido Grandi e, nella forma indicata, anche in un passo di Fermat.Un merito non piccolo delle Istituzioni è dato dalla chiarezza con cui è esposta la materia, tanto che si è pensato che essa sia stata di esempio a Lagrange che, in una sua lettera (1814) affermava che la poneva tra le opere che erano servite alla sua cultura matematica.Molti e prestigiosi furono, come già detto, i riconoscimenti dell’Opera di A. anche al di fuori del mondo matematico, tuttavia, nonostante questi brillanti esordi, alla morte del padre (1752) potè seguire liberamente la sua vocazione di dedicarsi completamente alla missione di aiutare il prossimo meno fortunato, vivendo a sua volta una vita di privazioni. Da quel momento, infatti, fece della sua casa una sorta di ospizio e di ospedale, divenne poi direttrice delle donne del Luogo Pio Trivulzio ove si trasferì nel 1783 sino alla sua morte e abbandonò lo studio della matematica in cui avrebbe potuto ottenere risultati ben più significativi.Carlo Goldoni, che aveva ricevuto le Istituzioni dalla stessa A., si ricordò della grande matematica nella sua commedia Il medico olandese (1756) con alcuni versi con i quali chiudiamo questa breve biografia:Stupitevi piuttosto, che con saper profondoProdotto abbia una Donna un sì gran libro al mondo.E’ italiana l’Autrice, Signor, non è Olandese,

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Donna illustre, sapiente, che onora il suo paese.

(12)“Nomen omen” dicevano i latinied ei titolo ne ha veramentecon questo e quello che con passi finiciò ch’ottenuto s’era anticamentesistemò per bene con l’esposizionesei tipi, noti, di equazioni.

12) AL-KHUWARIZMI (Mohammed ibn Musa detto) (IX sec. d. C.)

SPIEGAZIONE: Il detto “Nomen omen” sta a significare che già nel “nome” vi è il “presagio” di quanto farà nella vita colui che tale nome porta. Il termine “titolo” è però usato qui in due modi diversi: nel significato di “aver le carte in regola” per rispettare questo detto tenendo conto che il nome di A.K., trasformato in “algoritmo”, servirà poi per indicare un procedimento di calcolo. Ma “titolo”, come intestazione di un opera, ricorda che il titolo della sua opera (Al-jabr wa-l-muqabala) nel quale si indicano le due operazioni fondamentali dell’algebra (“questo e quello” cioè trasporto di un termine da un membro all’altro e la successiva riduzione dei termini simili) saranno usati da quel momento per indicare la disciplina trattata: (“Algebra” da Al-jabr). In quest’opera vengono poi classificati e risolti i sei tipi di equazioni di primo e secondo grado già però noti e risolti nelle precedenti civiltà.

CENNI SULLA VITA DI AL-KHUWARIZMI. Poco si conosce della vita del matematico Mohammed ibn Musa che prese il nome A.K. dalla provincia persiana di Khwarizm ov’era nato. Sappiamo che era uno dei principali sapienti della “Casa del sapere” di Bagdad fondata dal califfo Iman al-Mamun forse ad imitazione del Museo e della Biblioteca di Alessandria.È probabile che A.K. sia stato mandato in India per apprendere conoscenze scientifiche. D’altra parte i suoi contatti con la scienza indiana sono sicuri, sia per l’esposizione della numerazione indiana nel suo trattato, giunto solo in versione latina, Algoritmi de numero indorum e sia per la conoscenza dell’astronomia e dell’algebra indiane. Riguardo

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alla prima, sappiamo che A.K. scrisse un Trattato di Astronomia, probabile compendio dell’opera astronomica indiana Sindo Judo maggiore per la cui conoscenza viene ad essere coinvolta l’aritmetica indiana e l’algebra. Riguardo all’algebra, a parte quanto già detto nella “Spiegazione”, è ragionevole pensare che vi sia stata l’influenza dell’algebra indiana anche se poi la materia viene organizzata sistematicamente tanto da costituire un piccolo trattato limitato, però, alle equazioni dei primi due gradi. È anche evidente l’influenza dell’algebra babilonese dato che le figure presenti nell’opera di A.K. sono proprio la traduzione geometrica dei calcoli presenti nelle tavolette babilonesi. Si pensa, anzi, che furono proprio le stesse figure dalle quali i matematici babilonesi trassero i calcoli con i quali risolvevano equazioni e sistemi di secondo grado. A.K. enuncia però prima a parole la formula risolutiva (questo avevano fatto anche i matematici indiani) e poi la giustifica con le figure geometriche dette. Egli inoltre, per primo, mostra un’equazione di secondo grado con due radici distinte (positive).È possibile notare anche un legame con la matematica greca dato che troviamo, ad esempio, un particolare esercizio nella Geometria dello pseudo-Erone anche nel libro di algebra del nostro matematico e con le stesse misure.Questo libro algebrico di A.K. (titolo completo: Al-Kitah al muhtasar fi isab al-jabr wa-l-muqabala, cioè “Il libro conciso dei calcoli di trasporto e riduzione”) è il primo libro specificatamente di algebra, applicata poi a problemi di eredità, di lasciti, di commercio e di calcolo geometrico (esiste però un altro lavoro contemporaneo di Hamid ibn Turk: “Necessità logiche in equazioni miste” simile a quello di A.K. a testimonianza che l’algebra era all’epoca ormai consolidata). In definitiva il libro di A.K. appare come un’opera scritta alla fine di un processo di crescita e l’autore sembra proprio sentire la necessità di esporre quanto ha appreso e quanto lui stesso ha pensato in forma sistematica e didatticamente valida.Il lavoro di A.K. venne subito commentato e servì per trasmettere in Occidente l’algebra tanto che l’autore venne per secoli considerato, nella ignoranza della matematica babilonese, dell’opera di Diofanto e di quella indiana, l’inventore dell’algebra (così ancora Cardano). Solo in seguito si vide che l’algebra, a prescindere dal suo nome che verrà proprio dal

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lavoro di A.K., era già stata scoperta ed applicata anche con livelli superioriLeonardo Pisano, Luca Pacioli, i maestri di abaco,Tartaglia, Cardano, si sono inspirati, ad esempio, al lavoro di A.K. e questo indica la sua grande importanza storica pur nella semplicità dei limiti considerati.

(13)Era dotato per fatti universalima predilesse cose … provinciali.Sarebbe stato grande in proiettivitàma più lo ricordiam per probabilità.A tutti insegnò a far di contoanche al più scarso anche al più tonto.Fu matematico essenzialmente pio,poiché convenne a lui scommettere su Dio.

BLAISE PASCAL (1623-1662)

SPIEGAZIONE: Matematico precoce a soli sedici anni compose un lavoro sulla proiettività andato smarrito. Avrebbe potuto compiere in matematica molto più di quanto non fece anche se viene ricordato come uno dei fondatori del calcolo della probabilità (la “speranza matematica” ottenuta puntando sull’esistenza di Dio, è tanto grande, data l’infinità del guadagno, da superare qualsiasi opinabile guadagno ottenibile puntando sulla sua inesistenza). P. costruì la prima calcolatrice meccanica con la quale chiunque sarebbe stato in grado di poter fare agevolmente le operazioni aritmetiche. Scrisse le Lettere Provinciali in polemica con i Gesuiti e in difesa del giansenismo e si dedicò, negli ultimi anni della sua vita, alla religione.

CENNI SULLA VITA DI BLAISE PASCAL. Il nostro matematico appartiene alla esigua famiglia dei bambini prodigi: all’età di dodici anni aveva già dato prova di una inesauribile curiosità per ogni cosa, specialmente per tutto ciò che richiedesse ragionamento e potesse giungere ad una spiegazione convincente e scrisse un saggio sulle vibrazioni di un corpo percosso. Alle reiterate richieste su che cosa fosse la matematica, il padre, che non voleva distoglierlo dallo studio del latino

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e del greco, gli diede poche nozioni di geometria: essa era un mezzo per tracciare figure esatte e di trovare proporzioni tra esse. Questo fu sufficiente (tutto l’episodio è raccontato dalla sorella Gilberte) perché P. giungesse da solo a molte proprietà, risalisse ad alcuni postulati, e trovasse la proprietà della somma degli angoli interni di un triangolo. Applicatosi alla matematica senza più impedimenti, scrisse a sedici anni il breve saggio Essay pour le coniques (1640). In esso si trova il famoso “esagramma di P. che oggi possiamo considerare un’applicazione della involuzione tra i punti di una conica, ma che allora rappresentava una vera novità. A questo lavoro seguì un trattato più vasto sulle coniche dal punto di vista proiettivo , opera che non è pervenuta sino a noi ma che venne lodata da Leibniz.P. era dotato anche di qualità sperimentali come mostrano la costruzione della prima calcolatrice meccanica (la “pascalina”, 1649) con la quale era possibile fare le quattro operazioni aritmetiche e alcuni suoi lavori sulla pressione atmosferica che seguirono l’idea basilare di Torricelli.In aritmetica teorica P. si applicò al cosiddetto “triangolo di Tartaglia” che in realtà era già noto ai matematici cinesi e che viene anche associato, oltre che a P., anche a Newton poiché ogni matematico citato vi ha tratto qualche risultato. Per questo è stato a suo tempo proposto di chiamarlo semplicemente “triangolo aritmetico”; P. vi trovò la capacità di poter calcolare con esso la probabilità di particolari giochi d’azzardo, ponendo (1654), assieme a Fermat le basi di questo nuovo ramo della matematica. Dobbiamo dire però che il geniale metodo seguito da P. (Fermat usò piuttosto formule che appartengono al calcolo combinatorio), su cui non ci soffermiamo, era stato già usato almeno un secolo prima da un matematico italiano rimasto anonimo. Sembra però che P. non conoscesse questo suo predecessore che solo da pochi anni è stato riscoperto.Per difendere il suo amico Arnauld, teologo di Port-Royal, P. prese posizione contro i gesuiti con le sue famose (diciotto) Provinciales (1656, data della prima) in cui egli mette in evidenza una grande forza polemica e una capacità espressiva coinvolgente, manifestata anche nei suoi famosi Pensées (una delle grandi opere dell’umanità) che ne fanno anche uno dei creatori della lingua francese. Dopo varie vicissitudini, interpretate da lui come miracoli, P. si dedicò completamente alle pratiche religiose, realizzando così i desideri della sorella Jacqueline, che l’aveva preceduto

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ritirandosi a Port-Royal. P. così trascurò completamente qualunque altra occupazione che non fosse volta alla religione.Vi fu però un’eccezione a questo suo proponimento allorché una notte, sofferente per un forte mal di denti, si curò pensando alla cosiddetta roulette, una particolare curva generata dal moto di un punto posto su una circonferenza ruotante senza strisciare su una retta, di cui era stato ripreso lo studio proprio in quegli anni. P. in otto giorni di intenso studio (il mal di denti era completamente passato!) ne trovò molte proprietà e in seguito a ciò lanciò una sfida al mondo accademico perché si rispondesse ai quesiti che egli pose a tal riguardo (era stabilito anche un premio in danaro). Sarebbe assai lungo ripercorrere tutte le vicissitudini che seguirono alla sfida e che vide coinvolti molti grandi matematici dell’epoca: tra P. ed essi a causa di rivendicazioni più o meno sincere, la questione si concluse, come scrisse Gino Loria che ne studiò a fondo tutte le vicissitudini nella sua Storia delle Matematiche, in un match nullo. Ciò non toglie che gli avvenimenti che ruotarono insieme alla rotazione della circonferenza, furono assai produttivi per lo sviluppo della matematica. Da parte nostra vogliamo solo ricordare che le accuse di P. a Torricelli che si sarebbe appropriato di risultati non suoi risultarono del tutto infondate. D’altra parte, il malvezzo di Roberval di tener celati molti risultati ottenuti per poter vincere i concorsi triennali alla cattedra di Ramus (vedi sopra la biografia di Roberval) rendeva problematico un veritiero giudizio di priorità.Chiudiamo ricordando che fu nei suoi Pensées, frammenti di un’opera più vasta, mai completata, nella quale avrebbe dovuto confutare l’ateismo, che P. mostrò (Pensiero 233, Infinito-niente) come sarebbe stato di gran lunga più conveniente scommettere sull’esistenza di Dio che non sulla sua inesistenza, miscelando in tal modo religione e calcolo delle probabilità, metafisica e matematica.

Premio “Personaggi matematici celati dietro alcuni versi”.Relazione della Commissione giudicatrice.

Sono giunte in Redazione quattro soluzioni dei quesiti relativi a personaggi matematici nascosti da alcuni versi pubblicati nel numero precedente della presente Rivista che in questo riporta le soluzioni redazionali.

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Le soluzioni, così era stato richiesto, avrebbero dovuto fornire anche opportune spiegazioni di quanto indicato dai versi.

Per questo motivo la risposta della professoressa Susanna Crudele di Bari (complimenti alla tredicenne figlia Arianna che l’ha aiutata nella ricerca), pur corretta nella individuazione dei personaggi, risulta incompleta.

Molto simpatiche e sintetiche le spiegazioni della professoressa Carla Simonetti di Firenze per le individuazioni dei personaggi. Con poca, ulteriore, fatica, avrebbe potuto andare più nel dettaglio nella spiegazione dei versi (vedi, ad esempio, “Pascal” nonostante la brillante risposta).

Più complete sono state le risposte dei professori Enrico Manfucci di Grosseto e Antonella Scorzoni di Rovigo, con una leggera prevalenza del primo cui, a nostro giudizio, va il premio stabilito: Il volume “Storia dell’Algebra” di Silvio Maracchia e gli abbonamenti per l’anno 2007 della presente Rivista e di “Archimede”.

Tuttavia la Commissione ha stabilito, d’accordo con il direttore della Rivista “Archimede”, professore Claudio Bernardi, di assegnare anche al secondo arrivato, professoressa Antonella Scorzoni, i due abbonamenti detti.

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