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Registro delle lezioni di Analisi Matematica 1 (7 CFU) Universit` a di Firenze - Facolt` a di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria per l’ambiente e il territorio Anno accademico 2005/2006 – Prof. Massimo Furi Testo di riferimento: Adams, Calcolo Differenziale 1, Casa Editrice Ambrosiana. Testi consigliati per approfondimenti: Giaquinta - Modica, Note di Analisi Matematica (funzioni di una variabile), Pitagora; Bertsch - Dal Passo, Elementi di Analisi Matematica, Aracne; Bramanti - Pagani - Salsa, Matematica (calcolo infinitesimale e algebra lineare), Zanichelli. Testo consigliato per le nozioni basilari (in caso di difficolt` a nel comprendere le spiegazioni): Boieri - Chiti, Precorso di Matematica, Zanichelli. Avvertenza. L’abbreviazione sd significa “senza dimostrazione”. Avvertenza. L’abbreviazione fac significa “dimostrazione facoltativa” (riservata agli studenti pi` u preparati). Gli studenti sono invitati a segnalare eventuali errori riscontrati nel registro delle lezioni scrivendo a massimo.furi@unifi.it e indicando il tipo di errore e il numero della lezione. ` E sufficiente scrivere la formula (o frase) errata e il numero della lezione (non la pagina, perch´ e nel file sorgente, in LaTeX, non ` e indicata). Ogni errore segnalato comporter` a un bonus di un voto nel primo compito scritto, successivo alla segnalazione, che lo stu- dente consegner` a per la correzione (allo scopo comunicare nome, cognome e numero di matricola). Per un rapido riscontro con precedenti versioni del registro, le modifiche apportate alle lezioni svolte da pi` u di una settimana risulteranno colorate come segue: - in blu se sono integrazioni di testo; - in rosso se sono correzioni di errori o modifiche del testo preesistente. 1 - Mar. 20/9/05 (per maggiori dettagli vedere gli appunti presi a lezione) Richiami sul concetto di insieme. Elementi di un insieme. Sottoinsiemi di un insieme. In- sieme vuoto. Unione e intersezione di due insiemi. Complementare di un insieme (rispetto ad un universo assegnato). Differenza tra due insiemi. Leggi di De Morgan. 2 - Mar. 20/9/05 (per maggiori dettagli vedere gli appunti presi a lezione) Richiami sull’insieme R dei numeri reali e sui seguenti suoi sottoinsiemi: dei numeri naturali (N), degli interi (Z) e dei razionali (Q). Esercizio. Provare che la somma di due numeri razionali ` e un numero razionale. 21 giugno 2006 1

Calcolo Differenziale 1 Precorso di Matematica - dma.unifi.itfuri/didattica/registri/am/old/am1/am1_05-06.pdf · Registro delle lezioni di Analisi Matematica 1 (7 CFU) Universit`a

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Registro delle lezioni di Analisi Matematica 1 (7 CFU)Universita di Firenze - Facolta di Ingegneria

Corso di Laurea in Ingegneria per l’ambiente e il territorioAnno accademico 2005/2006 – Prof. Massimo Furi

Testo di riferimento:• Adams, Calcolo Differenziale 1, Casa Editrice Ambrosiana.

Testi consigliati per approfondimenti:• Giaquinta - Modica, Note di Analisi Matematica (funzioni di una variabile),

Pitagora;• Bertsch - Dal Passo, Elementi di Analisi Matematica, Aracne;• Bramanti - Pagani - Salsa, Matematica (calcolo infinitesimale e algebra lineare),

Zanichelli.

Testo consigliato per le nozioni basilari (in caso di difficolta nel comprendere le spiegazioni):• Boieri - Chiti, Precorso di Matematica, Zanichelli.

Avvertenza. L’abbreviazione sd significa “senza dimostrazione”.

Avvertenza. L’abbreviazione fac significa “dimostrazione facoltativa” (riservata aglistudenti piu preparati).

Gli studenti sono invitati a segnalare eventuali errori riscontrati nel registro delle lezioniscrivendo a [email protected] e indicando il tipo di errore e il numero della lezione.E sufficiente scrivere la formula (o frase) errata e il numero della lezione (non la pagina,perche nel file sorgente, in LaTeX, non e indicata). Ogni errore segnalato comporteraun bonus di un voto nel primo compito scritto, successivo alla segnalazione, che lo stu-dente consegnera per la correzione (allo scopo comunicare nome, cognome e numero dimatricola).

Per un rapido riscontro con precedenti versioni del registro, le modifiche apportate allelezioni svolte da piu di una settimana risulteranno colorate come segue:- in blu se sono integrazioni di testo;- in rosso se sono correzioni di errori o modifiche del testo preesistente.

1 - Mar. 20/9/05 (per maggiori dettagli vedere gli appunti presi a lezione)

Richiami sul concetto di insieme. Elementi di un insieme. Sottoinsiemi di un insieme. In-sieme vuoto. Unione e intersezione di due insiemi. Complementare di un insieme (rispettoad un universo assegnato). Differenza tra due insiemi. Leggi di De Morgan.

2 - Mar. 20/9/05 (per maggiori dettagli vedere gli appunti presi a lezione)

Richiami sull’insieme R dei numeri reali e sui seguenti suoi sottoinsiemi: dei numerinaturali (N), degli interi (Z) e dei razionali (Q).

Esercizio. Provare che la somma di due numeri razionali e un numero razionale.

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Esercizio. Dedurre dall’esercizio precedente che la somma di un razionale e di un irrazio-nale e un irrazionale. Mostrare con un esempio che la somma di due irrazionali puo essererazionale.

Esercizio. Sia a un numero reale non negativo. Supponiamo che per ogni ε > 0 si abbiaa ≤ ε. Provare che a = 0.

Esercizio. Provare che il quadrato di un numero (naturale) dispari e dispari. Pertanto,se il quadrato di un numero e pari, tale numero e necessariamente pari.

Teorema. Nell’insieme Q dei razionali non esiste un numero x tale che x2 = 2.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista un numero razionale p/q (con p, q ∈ N)tale che (p/q)2 = 2. Ovviamente si puo supporre che la frazione p/q sia irriducibile(cioe che il numeratore e il denominatore non abbiano fattori a comune). Dalla suddettauguaglianza si ottiene p2 = 2q2. Quindi p2 e pari e, di conseguenza, lo e anche p. Dunqueesiste un numero naturale k tale che p = 2k, e da cio, tenendo conto che p2 = 2q2, si deduce2k2 = q2. Pertanto anche q e pari, in contrasto con l’aver supposto p/q irriducibile. Lacontraddizione prova che p/q non puo essere un numero razionale.

In seguito proveremo che, dato un numero naturale n ed assegnato un numero reale nonnegativo a, esiste un’unica soluzione non negativa dell’equazione xn = a. Tale soluzionesi chiama radice n-esima aritmetica di a e si denota col simbolo n

√a (se n = 2 si scrive√

a). Se n e pari e a > 0, allora l’equazione xn = a ha due soluzioni, entrambe detteradici n-esime di a. Ciascuna delle due radici e opposta dell’altra, ma soltanto quellapositiva si chiama radice aritmetica, ed e quella denotata n

√a (l’altra e − n

√a). Se n e

dispari, allora, qualunque sia il numero a, l’equazione xn = a ha un’unica soluzione (incampo reale), denotata n

√a anche quando a < 0 (tale notazione, data l’unicita della radice

reale del polinomio xn = a, non da luogo a equivoci). Vedremo in seguito che (per evitarepedanti distinguo) e conveniente definire le potenze ad esponente reale soltanto quando labase e positiva (a meno che l’esponente non sia un intero). Pertanto n

√a coincide con a1/n

soltanto per a > 0 (se a < 0 ed n e dispari si ha n√a = −|a|1/n).

3 - Gio. 22/9/05 (per maggiori dettagli vedere gli appunti presi a lezione)

Definizione (di intervallo). Un intervallo e un sottoinsieme di R con la proprieta che seci stanno due punti, ci stanno anche tutti i punti intermedi. In altre parole, J ⊆ R e unintervallo se e vera la seguente proposizione: (x1, x2 ∈ J) ∧ (x1 < c < x2) =⇒ c ∈ J .

Un intervallo costituito da infiniti punti si dice non banale, mentre l’insieme vuoto e isingoletti (dell’universo R) sono intervalli banali.

Esercizio. Provare che se un intervallo contiene due punti (distinti), allora ne contieneinfiniti.

Esercizio. Mostrare che, in base alla suddetta definizione, l’insieme vuoto e i singoletti(cioe i sottoinsiemi di R costituiti da un sol punto) sono intervalli.

Suggerimento. Ricordarsi che una proposizione del tipo p =⇒ q e falsa solo in un caso:

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quando p e vera e q e falsa.

Esercizio. Provare che (in base alla suddetta definizione) i seguenti sottoinsiemi di Rsono intervalli (a e b sono due numeri reali assegnati):• (a, b) :=

{x ∈ R : a < x < b

};

• [a, b] :={x ∈ R : a ≤ x ≤ b

};

• (a, b] :={x ∈ R : a < x ≤ b

};

• (−∞, a] :={x ∈ R : x ≤ a

};

• (a,+∞) :={x ∈ R : a < x

}.

Esercizio. Mostrare che R\{0} non e un intervallo.

Ogni intervallo puo essere rappresentato in uno dei seguenti modi: ∅, {a}, (a, b), (a, b],[a, b), [a, b], (a,+∞), [a,+∞), (−∞, a), (−∞, a], R. Gli intervalli (a,+∞) e [a,+∞) sidicono semirette destre (di estremo a), mentre (−∞, a) e (−∞, a] sono semirette sinistre.

Ogni sottoinsieme di R puo possedere alcune proprieta che verranno introdotte piu avanti.Come vedremo, puo essere (o non essere) chiuso, aperto, limitato superiormente, limitatoinferiormente, limitato. Per ora ci limitiamo ad affermare, come se fosse una definizione,che gli intervalli ∅, {a}, (a, b), (a, b], [a, b) e [a, b] sono limitati, mentre (a,+∞), [a,+∞),(−∞, a), (−∞, a] e R non lo sono; che (a, b), (−∞, a) e (a,+∞) sono aperti, e che {a},[a, b], (−∞, a] e [a,+∞) sono chiusi; mentre l’intervallo (a, b] non e ne aperto ne chiuso(si dice che e aperto a sinistra e chiuso a destra, ma e un’affermazione che ha senso soloper gli intervalli e non per gli arbitrari sottoinsiemi di R).

Esercizio. Provare che l’intersezione di due intervalli e un intervallo (eventualmente vuotoo costituito da un sol punto).

Esercizio. Mostrare con un esempio che l’unione di due intervalli puo non essere unintervallo.

Esercizio. Provare che se due intervalli hanno intersezione non vuota, allora la loro unionee un intervallo.

4 - Gio. 22/9/05 (per maggiori dettagli vedere gli appunti presi a lezione)

Richiami sulle potenze ad esponente intero (la base e arbitraria, tranne il caso 00, che nonconviene definire). Richiami sulle potenze ad esponente reale (la base e positiva).

Le tre proprieta fondamentali delle potenze (ad esponente reale):1) axay = ax+y;2) (ax)y = axy;3) axbx = (ab)x.

Esercizio. Dedurre, dalle tre proprieta fondamentali delle potenze, le seguenti ulterioriproprieta:4) ax/ay = ax−y;5) (a/b)x = ax/bx.

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Il segno di un numero reale e cosı definito:

sign a =

1 se a > 00 se a = 0

−1 se a < 0

Ricordiamo che il valore assoluto di un numero reale e cosı definito:

|a| =

{a se a ≥ 0

−a se a < 0

Tre definizioni alternative di valore assoluto:|a| =

√a2, |a| = (sign a) a, |a| = max{a,−a}.

Talvolta per indicare il valore assoluto di un numero a si usa la notazione abs a.

Esercizio. Provare le seguenti proprieta fondamentali del valore assoluto:• |ab| = |a||b|;• |a+ b| ≤ |a|+ |b|.

Esercizio. Provare che |x| < c se e solo se −c < x < c (e, analogamente, |x| ≤ c se e solose −c ≤ x ≤ c).

Esercizio. Sia x0 un punto di R. Dedurre dall’esercizio precedente che |x− x0| < c se esolo se x0 − c < x < x0 + c.

Ulteriore proprieta del valore assoluto (deducibile fac dalle proprieta fondamentali):| |a| − |b| | ≤ |a− b|.

Definizione (di distanza). Dati due punti a, b ∈ R, il numero non negativo |b − a| sichiama distanza tra a e b.

Definizione (di intorno). Dato un punto x0 ∈ R ed assegnato un numero r > 0, l’intornodi x0 di raggio r e l’insieme

I(x0, r) ={x ∈ R : |x− x0| < r

}costituito dai punti x che distano da x0 meno di r. Pertanto, I(x0, r) coincide conl’intervallo aperto (x0 − r, x0 + r) di centro x0 e ampiezza 2r.

5 - Ven. 23/9/05

Da ora in avanti, con la notazione R intenderemo l’insieme dei numeri reali estesi, ossial’insieme costituito dai numeri reali con l’aggiunta dei simboli −∞ e +∞. Per quantoriguarda la relazione d’ordine, si fa la convenzione che ogni numero reale sia maggiore di−∞ e minore di +∞. Si definiscono inoltre le seguenti operazioni (la lettera a rappresentaun arbitrario numero reale e ∞ sta per −∞ o +∞): −∞ + a = −∞, +∞ + a = +∞,(−∞) + (−∞) = −∞, (+∞) + (+∞) = +∞, a(±∞) = ±∞, se a > 0 e a(±∞) = ∓∞

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se a < 0, a/∞ = 0, a/0 = ∞ se a 6= 0, ∞/0 = ∞. Ogni eventuale definizione delleespressioni (+∞) + (−∞), 0/0, 0 · ∞ e ∞/∞, chiamate forme indeterminate, porterebbea delle incoerenze, e quindi non conviene introdurla.

Esercizio. Mostrare che (in R) il numero reale esteso +∞ non ammette opposto.

Definizione (di maggiorante e di minorante). Sia X un sottoinsieme di R. Un numeroreale b si dice un maggiorante (o una limitazione superiore) per X se x ≤ b per ogni x ∈ X.Analogamente, a e un minorante (per X) se a ≤ x,∀x ∈ X.

Ad esempio, i numeri 5, 6, 4 e 1+π sono dei maggioranti per l’insieme X = [−1, 0)∪ (2, 4),mentre non lo sono 0, 3 e −1. Il numero −1 e un minorante per X ma non lo sono 0, 3,5, 6, 4 e 1+π.

Definizione (di insieme limitato). Un insieme X ⊆ R si dice limitato superiormentese ammette un maggiorante. Analogamente X e limitato inferiormente se ammette unminorante. SeX e limitato sia superiormente sia inferiormente, allora si dice che e limitato,e in tal caso esistono due numeri a e b tali che a ≤ x ≤ b, ∀x ∈ X (n.b. cio non implicache X sia un intervallo).

Per esempio, l’insieme X = [−1, 0) ∪ (2, 4) e limitato sia superiormente sia inferiormente,e quindi e limitato (si osservi che ogni x ∈ X verifica la condizione −1 ≤ x ≤ 4, ma Xnon e un intervallo). Il sottoinsieme N di R e limitato inferiormente ma non superior-mente, e quindi non e limitato. Il sottoinsieme Z di R non e limitato ne inferiormente nesuperiormente, e quindi . . . (completare il discorso)

Si osservi che se b e un maggiorante perX, allora lo e anche ogni c > b. Percio i maggiorantidi un insieme, se esistono, sono infiniti.

Esercizio. Provare che se un insieme non vuoto ammette un maggiorante, allora l’insiemedei suoi maggioranti e una semiretta destra (piu avanti vedremo che tale semiretta e semprechiusa).

Esercizio. Negare la proposizione “ogni pecora e bianca”. Analogamente, dato un insiemeX ⊆ R e un numero b, negare la proposizione “ogni x di X verifica la condizione x ≤ b”(che equivale ad affermare che b e un maggiorante per X).

Esercizio. Negare la proposizione “esiste una pecora verde”. Analogamente, dato uninsieme X ⊆ R, negare la proposizione “esiste un maggiorante per X” (che equivale adaffermare che X e limitato superiormente).

Esercizio. Provare che un sottoinsieme X di R e limitato se e solo se esiste un numero ctale che |x| ≤ c, ∀x ∈ X.

Il massimo di un sottoinsieme X di R e, per definizione, un elemento di X maggioreo uguale ad ogni altro elemento di X. In altre parole, quando esiste, il massimo e unmaggiorante appartenente all’insieme (se ne provi l’unicita). In modo analogo si definisceil concetto di minimo.

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Si osservi che non tutti gli insiemi limitati superiormente ammettono massimo (si pensi adun intervallo aperto). Cio giustifica l’introduzione di un concetto sostitutivo: la nozionedi estremo superiore.

Definizione (di estremo superiore e di estremo inferiore). Sia X un sottoinsieme di R. SeX e limitato superiormente, il suo estremo superiore e il minimo dei maggioranti di X esi denota col simbolo supX. Analogamente, se X e limitato inferiormente, il suo estremoinferiore (infX) e il massimo dei minoranti di X. Si scrive inoltre supX = +∞ se X none limitato superiormente e infX = −∞ se non e limitato inferiormente. E convenienteinfine porre inf ∅ = +∞ e sup ∅ = −∞ (l’insieme vuoto e l’unico sottoinsieme X di R percui non vale la relazione infX ≤ supX).

Esercizio. Mostrare che il massimo di un insieme, quando esiste, coincide con l’estre-mo superiore. Provare inoltre che l’estremo superiore di un insieme, quando appartieneall’insieme, coincide col massimo.

Teorema sd (Proprieta di Dedekind dei numeri reali). Ogni sottoinsieme di R ammetteestremo inferiore ed estremo superiore (in R).

E noto che l’insieme Q dei razionali non gode della proprieta di Dedekind. Ad esempio,si potrebbe provare (ma non lo facciamo) che, nell’universo dei razionali, l’insieme deinumeri positivi il cui quadrato e minore di 2 non ammette estremo superiore (in R esistee si denota col simbolo

√2).

Esercizio. Provare che se A ⊆ B allora supA ≤ supB. Osservare inoltre che, in virtudella convenzione sup ∅ = −∞, tale relazione e verificata anche quando A = ∅.

Dalla Proprieta di Dedekind e possibile dedurre la seguente Proprieta di Archimededei numeri reali: il sottoinsieme N di R non e limitato superiormente. Si osservi che cioequivale ad affermare che per ogni a ∈ R esiste un n ∈ N tale che n > a (significa che “ognia ∈ R non e un maggiorante per N”, e cio non e altro che la negazione della proposizione“esiste un maggiorante per N”).

Esercizio. Si consideri l’insieme X = {1/n : n ∈ N} e si dimostri, usando le definizionidi estremo inferiore e di estremo superiore, che infX = 0 e supX = 1.

Suggerimento (per l’estremo inferiore). Si usi la Proprieta di Archimede per mostrare cheX non ammette minoranti positivi.

6 - Ven. 23/9/05

Dal punto di vista informale, una funzione (o applicazione) f da un insiemeX in un insiemeY (si scrive f : X → Y ) e una “legge” che ad ogni elemento x ∈ X fa corrispondere ununico elemento y ∈ Y , detto immagine di x e denotato col simbolo f(x). Gli insiemi X eY si chiamano, rispettivamente, dominio e codominio di f (quest’ultimo non va confusocon l’immagine di f , che definiremo piu avanti). La relazione y = f(x) che lega ognielemento del dominio col corrispondente elemento del codominio si chiama equazione delgrafico di f . La lettera che si usa per rappresentare un generico elemento del dominio si

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chiama variabile indipendente mentre quella che rappresenta gli elementi del codominio edetta variabile dipendente. E di uso frequente denotare con x la prima e con y la secondama, ovviamente, si possono usare altre lettere. L’importante, quando e data l’equazionedel grafico, e che risulti chiaro (almeno dal contesto) quale delle lettere rappresenta glielementi del dominio e quale gli elementi del codominio.

Un esempio di funzione e la legge che ad ogni studente dell’aula associa la prima letteradel suo cognome. Il dominio, in questo caso, e l’insieme degli studenti presenti in aula.Riguardo alla scelta del codominio, e prudente considerare l’insieme di tutte le letteredell’alfabeto. L’immagine della funzione, come vedremo, e l’insieme costituito dalle lettereche corrispondono ad almeno uno studente presente in aula (e molto probabile che sia unsottoinsieme proprio del codominio, e in tal caso diremo che la funzione non e suriettiva).

Definizione (di restrizione di una funzione). La restrizione di una funzione f : X → Y adun sottoinsieme A diX (denotata f |A : A→ Y ) e definita dalla stessa legge che rappresentala funzione f , ma considerata da A in Y ; ossia valida soltanto per gli elementi di A.

Per indicare che f associa ad un generico elemento x ∈ X l’elemento f(x) ∈ Y , talvolta siusa la notazione f : x 7→ f(x). Ad esempio, la funzione f : R → R definita da f(x) = x2 sidenota anche f : x 7→ x2.

Definizione (di funzione iniettiva). Una funzione f : X → Y si dice iniettiva (o 1− 1) seper ogni y ∈ Y esiste al piu un x ∈ X tale che f(x) = y o, equivalentemente, se per ognix1, x2 ∈ X tali che x1 6= x2 risulta f(x1) 6= f(x2).

Ad esempio, la funzione che ad ogni studente presente in aula associa il suo codice fiscale eovviamente iniettiva, mentre non lo e quella che ad ogni studente in aula fa corrisponderel’iniziale del suo cognome (possiamo affermarlo con certezza, dato che gli studenti presentisono piu di 26).

Definizione (di immagine). Data una funzione f : X → Y e dato un sottoinsieme A diX, l’immagine di A (tramite f) e il sottoinsieme f(A) del codominio Y di f costituitodagli elementi y che sono immagine di almeno un x ∈ A. In simboli:

f(A) ={y ∈ Y : y = f(x) per almeno un x ∈ A

}.

L’immagine f(X) di tutto il dominio si chiama anche immagine di f e si denota col simboloImf (oltre che con f(X)).

Definizione (di retroimmagine). Data una funzione f : X → Y e dato un sottoinsieme Bdel suo codominio Y , la retroimmagine (o controimmagine o immagine inversa o preim-magine.) di B (tramite f) e il sottoinsieme f−1(B) di X costituito dagli elementi la cuiimmagine sta in B. In simboli:

f−1(B) ={x ∈ X : f(x) ∈ B

}.

Analogamente, fissato un elemento y ∈ Y , si pone

f−1(y) ={x ∈ X : f(x) = y

}.

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Ad esempio, per f : R → R definita da f(x) = x2 risulta f−1(4) = {−2, 2}, f−1(−4) = ∅,f−1([−1, 4]) = [−2, 2] e f−1((1, 4]) = [−2,−1) ∪ (1, 2].

Definizione (di funzione suriettiva). Una funzione f : X → Y si dice suriettiva se perogni y ∈ Y esiste almeno un x ∈ X tale che f(x) = y; ossia, se Imf = Y .

Ad esempio, la funzione f : R → R definita da f(x) = 3x+ 2 e suriettiva perche, dato unqualunque numero reale y, esiste un x tale che y = 3x+ 2. In questo caso x e addiritturaunico ed e il numero (y− 2)/3 (quindi f e anche iniettiva). Vedremo in seguito che (comeconseguenza del teorema dei valori intermedi) anche la funzione f(x) = x3−x e suriettiva,ma non iniettiva perche l’equazione x3 − x = 0 ammette piu di una soluzione (verificarloper esercizio).

Definizione (di funzione biiettiva). Una funzione f : X → Y si dice biiettiva (o corri-spondenza biunivoca) se e sia iniettiva sia suriettiva.

Definizione (di funzione inversa). Data una funzione iniettiva f : X → Y , la sua funzioneinversa, denotata f−1, e quella legge che ad ogni y dell’immagine Imf di f associa l’unicoelemento x ∈ X tale che f(x) = y (in questo caso la lettera y rappresenta la variabileindipendente e la x e la variabile dipendente).

E bene precisare che in alcuni testi di Analisi Matematica vengono dette invertibili soltantole funzioni biiettive (cioe iniettive e suriettive). Noi preferiamo chiamare invertibili tuttele funzioni iniettive (senza richiedere la suriettivita). In tal caso il dominio della funzioneinversa coincide con l’immagine della funzione che si inverte.

Osservazione. L’immagine [il dominio] di una funzione inversa coincide col dominio[l’immagine] della funzione che viene invertita.

E immediato verificare che se f : X → Y e iniettiva, allora

f−1(f(x)) = x, ∀x ∈ X, e f(f−1(y)) = y, ∀ y ∈ Imf.

7 - Ven. 23/9/05

Il prodotto cartesiano di due insiemi X e Y e l’insieme, denotato col simbolo X × Y ,costituito dalle coppie ordinate (x, y) con x ∈ X e y ∈ Y . Il prodotto X × X si denotaanche X2. Analogamente, X3 e l’insieme delle terne ordinate degli elementi di X. Piu ingenerale, dato n ∈ N, Xn rappresenta l’insieme delle n-ple ordinate di numeri reali.

Il grafico di una funzione f : X → Y e il sottoinsieme del prodotto cartesiano X × Ycostituito dalle coppie (x, y) che verificano la relazione y = f(x) che, come abbiamo visto,e detta equazione del grafico di f .

Fino ad ora ci siamo accontentati soltanto della nozione intuitiva di funzione, senza pre-cisare il significato dell’espressione “legge che ad ogni elemento del dominio associa ununico elemento del codominio”. La definizione che segue introduce il concetto di funzionein modo rigoroso (la riportiamo soltanto per le esigenze degli studenti desiderosi di unapiu profonda comprensione dei concetti astratti).

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Definizione formale di funzione. Una funzione (o applicazione) e una terna (ordinata)f = (X,Y,G), dove X e un insieme, detto dominio, Y e un insieme, chiamato codominio,e G, il cosiddetto grafico di f , e un sottoinsieme del prodotto cartesiano X × Y che godedella seguente proprieta: per ogni x ∈ X esiste un unico y ∈ Y per il quale si ha (x, y) ∈ G;tale elemento, univocamente associato ad x, si chiama immagine di x e si denota con f(x).

Una funzione si dice reale quando il suo codominio e un sottoinsieme di R (indipendente-mente dal dominio, che puo essere un qualunque insieme), si dice di variabile reale quandoil suo dominio e un sottoinsieme dei reali. Pertanto, una funzione reale di variabile realeha sia dominio che codominio nei reali (lo studio di tali funzioni e il principale scopo delcorso di Analisi Matematica 1).

Per semplicita, a meno che non venga diversamente specificato, supporremo sempre cheil codominio di ogni funzione reale sia tutto R. Cio ci permettera di combinare tra lorole funzioni reali, mediante operazioni di somma, prodotto, quoziente e composizione, con-centrando la nostra attenzione esclusivamente sulla eventuale determinazione del dominiodi validita delle funzioni cosı ottenute, senza preoccuparsi del loro codominio.

Un modo diretto per rappresentare una funzione reale di variabile reale f e quello discriverne l’equazione del grafico. Tale equazione, infatti, individua univocamente il terzoinsieme della terna f = (dominio, codominio, grafico), e una volta noto il grafico G di f(che in questo caso e un sottoinsieme di R2), il dominio non e altro che l’insieme degli x ∈ Rper cui la retta parallela all’asse y e passante per il punto (x, 0) interseca G (ovviamentein un sol punto, altrimenti G non sarebbe un grafico). Il codominio di f , per convenzione,e tutto R (a meno che non venga diversamente specificato). Ad esempio, invece di scrivere“Consideriamo la funzione da R\{0} in R definita da x 7→ 1/x” oppure “Consideriamola funzione f : R\{0} → R definita da f(x) = 1/x”, si puo piu semplicemente scrivere“Consideriamo la funzione y = 1/x”. In questo caso si sottintende che il dominio e l’insiemedei numeri x per cui ha senso (nei reali) il rapporto 1/x (cioe R\{0}) e il codominio (pertacita e prudente convenzione) e tutto R.

Esercizio. Mostrare che l’insieme{(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = 1

}non e un grafico, mentre lo e{

(x, y) ∈ R2 : x2 + y2 = 1, y ≥ 0}.

Esercizio. Scrivere in forma esplicita la funzione il cui grafico e dato da{(x, y) ∈ R2 : x2 + 4y2 − x = 4, y ≥ 0

}e determinarne il dominio.

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8 - Mar. 27/9/05

Definizione (di funzione composta). Siano f : X → Y e g : Y → Z due applicazioni trainsiemi. La composizione di f con g, denotata g◦f , e quell’applicazione da X in Z (dettaanche funzione composta) che ad ogni x ∈ X associa l’elemento g(f(x)) di Z.

Ad esempio se f : R → R e la funzione che ad ogni x associa x3 e g : R → R e definita dag(y) = 1/(2 + y2), allora (g◦f)(x) = 1/(2 + x6).

Notazione. Da ora in avanti il dominio di una funzione f verra denotato col simbolo D(f).

In realta per definire la composizione g◦f di due funzioni f e g, non c’e bisogno che ildominio di g coincida col codominio di f : la g puo essere definita anche in un sottoinsiemedel codominio di f . In tal caso il dominio della composizione g◦f e dato da tutti gli x percui ha senso scrivere g(f(x)), ovvero dagli x ∈ D(f) tali che f(x) ∈ D(g). In simboli:

D(g◦f) = f−1(D(g)) ={x ∈ D(f) : f(x) ∈ D(g)

}.

Ad esempio se f e g sono due funzioni (reali di variabile reale) definite, rispettivamente,da f(x) =

√x e g(y) = 1/(2− y), allora il dominio di g◦f e [0, 4) ∪ (4,+∞).

Attenzione. Da ora in avanti, a meno che non venga esplicitamente dichiarato diversa-mente, le funzioni che considereremo avranno dominio contenuto in R e codominio ugualead R (da non confondere con l’immagine). Pertanto, con una notazione del tipo f : A→ Rintenderemo D(f) = A ⊆ R.

Si fa presente che, data f : A → R, col simbolo f(x) si dovrebbe intendere il valore chela funzione f assume nel punto x (punto che si sottintende appartenente al dominio dif , altrimenti non ha senso scrivere f(x)). In altre parole, a rigore, f(x) rappresenta unnumero e non una funzione. Talvolta, pero, per abuso di linguaggio e in conformita conuna tradizione dura a morire, spesso con f(x) intenderemo la funzione f , e la lettera x(detta variabile indipendente) rappresentera un generico elemento del dominio, e non unpunto fissato. Comunque, se f(x) rappresenta un numero o una funzione si capisce dalcontesto. Ad esempio, f(2) rappresenta inequivocabilmente un numero (il valore assuntoda f nel punto 2), cosı come la notazione f(x0) denota presumibilmente il valore assuntoda f in un punto x0 fissato. Per indicare la funzione coseno non scriveremo cos (come arigore si dovrebbe fare) ma cosx o cos t o cos θ, ecc. (la lettera usata per rappresentare lavariabile indipendente e spesso suggerita dal suo significato fisico o geometrico).

Definizione (di funzione combinata). Date due funzioni reali di variabile reale f e g, laloro somma f + g, il loro prodotto fg, il loro quoziente f/g e la loro composizione g◦f sidefiniscono nel modo seguente:• (f + g)(x) = f(x) + g(x);• (fg)(x) = f(x)g(x);• (f/g)(x) = f(x)/g(x);• (g◦f)(x) = g(f(x)).

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Il dominio di ciascuna delle suddette quattro funzioni (ottenute combinando f e g mediantele operazioni di somma, prodotto, quoziente e composizione) e dato dall’insieme dei numerireali x per cui ha senso l’operazione che la definisce. Per esempio, il dominio di f + g el’insieme dei numeri x per cui ha senso scrivere sia f(x) sia g(x), altrimenti non e definita lasomma f(x)+g(x). Pertanto D(f+g) = D(f)∩D(g). Analogamente D(fg) = D(f)∩D(g),D(f/g) = {x ∈ D(f) ∩ D(g) : g(x) 6= 0} e D(g◦f) = {x ∈ D(f) : f(x) ∈ D(g)}.

9 - Mar. 27/9/05

Una funzione f (reale di variabile reale) si dice crescente se da x1, x2 ∈ D(f) e x1 < x2

segue f(x1) ≤ f(x2); si dice strettamente crescente se da x1, x2 ∈ D(f) e x1 < x2 seguef(x1) < f(x2). Analogamente, f e decrescente se f(x1) ≥ f(x2) per ogni x1, x2 ∈ D(f)tali che x1 < x2, ed e strettamente decrescente se . . . (completare il discorso). Si dice chef e monotona (l’accento tonico cade sulla penultima sillaba) se e crescente o decrescente,e che e strettamente monotona se e strettamente crescente o strettamente decrescente.

Osservazione. Le funzioni strettamente monotone sono anche monotone.

Si osservi che una funzione f e monotona se e solo se il prodotto (x2−x1)(f(x2)− f(x1)),con x1 e x2 nel dominio, non cambia mai di segno.

E ovvio che se una funzione reale di variabile reale f : A → R e strettamente monotona,allora e anche iniettiva (provarlo per esercizio). Pertanto, in tal caso, e ben definita la suafunzione inversa f−1 : Imf → R, la cui immagine coincide col dominio A di f . Ricordiamoche, per convenzione, il codominio di una funzione reale e R, a meno che non vengadiversamente specificato (e cio vale anche per la funzione inversa f−1 di f). Pertanto,poiche l’immagine di f−1 coincide col dominio di f , f−1 e suriettiva se e solo se f edefinita in tutto R.

Esercizio. Provare che se f : A→ R e strettamente crescente (o strettamente decrescen-te), allora lo e anche la sua funzione inversa.

Definizione (di funzione pari, dispari, periodica). Una funzione f : A→ R si dice pari se

x ∈ A =⇒ −x ∈ A e f(−x) = f(x),

si dice dispari sex ∈ A =⇒ −x ∈ A e f(−x) = −f(x),

si dice periodica (in futuro) di periodo T > 0 se

x ∈ A =⇒ x+ T ∈ A e f(x) = f(x+ T ).

Osservazione. Se una funzione e periodica di periodo T , allora e periodica anche diperiodo 2T , 3T , ecc. Pertanto, una funzione periodica ha infiniti periodi. Il piu piccolotra tutti si chiama periodo minimo.

Si osservi che la somma, il prodotto e il quoziente di funzioni periodiche, tutte dello stessoperiodo T , e ancora una funzione periodica di periodo T . La minimalita del periodo,

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tuttavia, non si conserva con dette operazioni. Ad esempio, senx e cosx sono periodichedi periodo 2π, e quindi, per quanto detto, e periodica di periodo 2π anche la funzionetang x := senx/ cosx; ma mentre 2π e il periodo minimo per le prime due funzioni, nonlo e per la terza (il periodo minimo di tang x e π).

Esempi di funzioni pari: le costanti, x2, 1/x2, x4, x2k (con k ∈ Z), cosx, cos 3x,1/ cosx, 1− x2 cosx, x tang x, |x|e−x2− x2 cosx.

Esempi di funzioni dispari: senx, sen 3x, 1/ senx, senx cosx, tang x, xe−x2− x2 senx.

Esempi di funzioni periodiche: le costanti, senx, sen 3x, 1/ senx, tang x, senx cosx,sen 2x+ 3 cos 5x, xe−x2

+ 2x2 senx.

Esercizio. Consultare, nel testo di riferimento, la definizione di funzione “parte intera dix” (denotata [x] o intx) e provare che f(x) = x− intx e una funzione periodica.

I concetti di minorante, maggiorante, limitato inferiormente, limitato superiormente, limi-tato, estremo inferiore ed estremo superiore (precedentemente definiti per i sottoinsiemidi R) si estendono alle funzioni reali riferendosi all’immagine. Ad esempio, diremo cheuna funzione f : A → R e limitata se e limitata la sua immagine Imf . Diremo che unnumero b e un maggiorante per f se lo e per Imf ; vale a dire se f(x) ≤ b per ogni x ∈ A.Analogamente, gli estremi inferiore e superiore di f , denotati rispettivamente con

infx∈A

f(x) e supx∈A

f(x)

o, piu semplicemente, con inf f e sup f , coincidono, per definizione, con gli estremi dellasua immagine. Se B e un sottoinsieme del dominio A di f : A→ R,

infx∈B

f(x) e supx∈B

f(x),

denotano, rispettivamente, l’estremo inferiore e l’estremo superiore della restrizione f |Bdi f a B. Ovviamente, ricordando la nozione di immagine di un insieme, tali estremi sipossono denotare anche inf f(B) e sup f(B).

Esercizio. Mostrare che f : A→ R e limitata se e solo se esiste una costante c ≥ 0 per laquale si ha |f(x)| ≤ c, ∀x ∈ A.

Il massimo dell’immagine di una funzione (se esiste) si chiama massimo (assoluto) dellafunzione, ed e un concetto da non confondere con i punti in cui tale massimo e assunto,detti punti di massimo (assoluto). In maniera analoga si definisce il concetto di minimo(assoluto), e di punto di minimo (assoluto).

Si osservi che il massimo di una funzione (se esiste) e unico ed appartiene al codominio(piu precisamente, appartiene all’immagine), mentre i punti di massimo possono essereanche piu di uno e stanno nel dominio.

Esempio. Il massimo di cosx e 1, mentre i punti di massimo sono infiniti (sono i numerix = 2kπ, con k ∈ Z). Il minimo di cosx e −1 ed e assunto nei punti . . . (quali?).

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Esempio. Il massimo di

f(x) =3

1 + |x+ 2|vale 3 ed e assunto nel punto in cui e minima la funzione |x + 2|. Pertanto f ha comeunico punto di massimo x = −2. Poiche f(x) > 0 per ogni x ∈ R, 0 e un minorante perf ma non e un minimo. Dato che il denominatore di f(x) si puo rendere arbitrariamentegrande, e lecito supporre che 0 sia l’estremo inferiore di f . Per provare che effettivamente0 = inf f (cioe, ricordiamo, che 0 e il massimo dei minoranti per i numeri f(x)) occorremostrare che se a > 0, allora a non e un minorante; ossia esiste un x per il quale si haf(x) < a (e la negazione della proposizione “per ogni x ∈ R si ha f(x) ≥ a). In altreparole, occorre provare che, dato un arbitrario a > 0, la disequazione

31 + |x+ 2|

< a

ammette almeno una soluzione (verificarlo per esercizio).

Esercizio. Provare che se f : [a, b] → R e monotona, allora ammette massimo e minimo(quindi, in particolare, e una funzione limitata).

Esercizio. Provare che se una funzione f : (a, b) → R e strettamente monotona, alloranon ammette ne massimo ne minimo.

10 - Gio. 29/9/05

Definizione (di funzione continua). Una funzione f si dice continua in un punto x0 deldominio D(f) se fissato un arbitrario ε > 0 esiste un numero δ > 0 con la proprieta cheda |x − x0| < δ e x ∈ D(f) segue |f(x) − f(x0)| < ε. In caso contrario si dice che f ediscontinua in x0 o che ha una discontinuita in x0. Se f e continua in ogni punto del suodominio, allora si dice semplicemente che e una funzione continua, altrimenti si dice che ediscontinua.

In base alla suddetta definizione, f e discontinua se non e vero che e continua in ogni puntodel suo dominio; cioe se esiste (almeno) un punto del dominio in cui f e discontinua(ricordarsi di come si nega la proposizione “tutte le pecore sono bianche”). Quindi, adifferenza di cio che si legge in alcuni libri, non ha senso l’affermazione “la funzione 1/xnon e continua perche ha una discontinuita nel punto x0 = 0”, dato che detto punto nonappartiene al dominio di 1/x (sarebbe come dire che non e vero che tutte le pecore sonobianche perche c’e una capra che non lo e).

Esercizio. Provare che se una funzione e continua in un insieme A, allora e continuaanche la sua restrizione ad un qualunque sottoinsieme di A.

Intuitivamente, affermare che una funzione f e continua in un punto x0 significa chel’immagine f(x) di un punto x del dominio di f si puo rendere vicina quanto si vuolea f(x0) purche si prenda x sufficientemente vicino a x0. In altre parole, se ci vienedato un arbitrario margine di errore ε > 0 e ci viene chiesto di far sı che la distanza

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|f(x) − f(x0)| tra f(x) e f(x0) risulti minore dell’errore assegnato, deve essere possibile(almeno teoricamente) determinare un intorno I(x0, δ) del punto x0 con la proprieta cheper tutti i punti x di tale intorno (che appartengono anche al dominio di f) il valore f(x)approssimi f(x0) con un errore inferiore ad ε.

In “matematichese”, per esprimere il fatto che una funzione f e continua in un puntox0 ∈ D(f), talvolta si usa dire che “per ogni intorno V di f(x0) esiste un intorno U di x0

(relativo al dominio di f) che viene mandato in V da f”.

Esempio. La funzione signx non e continua nel punto x0 = 0. Infatti in ogni intorno dix0 ci sono punti che vengono mandati “lontano” dal valore signx0 = 0. Piu precisamente,se si fissa l’intorno V di signx0 di raggio ε = 1/2, non e possibile trovare un intorno U dix0 che viene (interamente) mandato in V (cioe in ogni intorno di x0 ci sono punti x taliche signx 6∈ V ).

Esercizio. Consultare, nel testo di riferimento, la definizione di funzione di Heaviside(denotata H(x)) e provare che e discontinua nel punto x0 = 0.

Esercizio. Consultare, nel testo di riferimento, la definizione di funzione “parte intera dix” (denotata [x] o intx) e provare che e discontinua in tutti i punti x ∈ Z.

Teorema sd (di continuita delle funzioni combinate). Ogni funzione ottenuta combinan-do funzioni continue tramite operazioni di somma, prodotto, quoziente e composizione econtinua.

Nel suddetto teorema si e supposto, per semplicita, che le funzioni siano continue in tuttii punti del loro dominio. In realta vale un risultato piu generale (anche se l’enunciato emeno elegante). Non e infatti difficile dimostrare (ma non lo facciamo per mancanza ditempo) che se f e continua in un punto x0 e g e continua in y0 = f(x0), allora (anchesenza ulteriori ipotesi di continuita di f e g negli altri punti del loro dominio) g◦f risultacontinua in x0. Analoghe considerazioni valgono per le funzioni combinate f+g, fg e f/g:per la continuita in un punto x0 del loro dominio e sufficiente che f e g siano entrambecontinue in x0.

Si osservi che dalla definizione di continuita segue subito che le costanti e la funzionef(x) = x sono continue (verificarlo per esercizio). Poiche il prodotto di funzioni continuee una funzione continua, ogni monomio f(x) = axn e una funzione continua. Quindi, inbase al precedente teorema, anche i polinomi sono funzioni continue, dato che si ottengonosommando monomi. Di conseguenza, anche le funzioni razionali, essendo rapporto dipolinomi, sono continue (compresa la funzione f(x) = 1/x).

Esercizio. Mostrare che se due funzioni coincidono in un intorno di un punto x0 e unadi esse e continua in tal punto, anche l’altra lo e.

Esercizio. Siano f e g due funzioni definite nello stesso dominio. Dedurre, dal teorema dicontinuita delle funzioni combinate, che se una sola delle due e discontinua, allora anchef + g e discontinua.

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Teorema (della permanenza del segno per funzioni continue). Sia f : A→ R continua inun punto x0 ∈ A. Se f(x0) 6= 0, allora esiste un intorno U di x0 tale che per tutti i puntix di tale intorno (e appartenenti al dominio di f) il numero f(x) ha lo stesso segno dif(x0), cioe f(x)f(x0) > 0 per ogni x ∈ U ∩A.

Dimostrazione. Senza perdere in generalita si puo supporre f(x0) > 0 (in caso contra-rio basta considerare la funzione g(x) = −f(x)). Fissiamo ε = f(x0). Per l’ipotesi dicontinuita esiste un intorno U di x0 tale che

x ∈ U ∩A =⇒ f(x0)− ε < f(x) < f(x0) + ε .

Quindi, in particolare, dato che ε = f(x0), se x ∈ U ∩A si ha f(x) > 0.

Esercizio. Sia f : A → R continua in un punto x0 ∈ A e sia c una costante assegnata.Dedurre, dal teorema della permanenza del segno, che se f(x0) < c (risp. f(x0) > c),allora esiste un intorno U di x0 tale che f(x) < c (risp. f(x) > c) per ogni x ∈ U ∩ A (siosservi che per c = 0 si ottiene l’enunciato del teorema della permanenza del segno).

Esercizio. Sia f una funzione definita in un intervallo (non banale) J ⊆ R. Supponiamoche f sia continua in un punto x0 ∈ J . Dedurre, dal teorema della permanenza del segno,che se f(x) = 0 per ogni x ∈ J tale che x 6= x0, allora f(x0) = 0.

Esercizio. Dedurre dall’esercizio precedente che se due funzioni continue coincidono intutti i punti di un intervallo (non banale) tranne uno (o anche tranne un numero finito),allora coincidono in tutto l’intervallo.

Suggerimento. Considerare la differenza delle due funzioni.

11 - Gio. 29/9/05

Mostriamo che la funzione f(x) = |x| e continua. Allo scopo occorre fissare un arbitrariopunto x0 ∈ R e dimostrare che f(x) e continua in quel punto. Dalla disuguaglianza||x| − |x0|| ≤ |x−x0| segue che, dato ε > 0, per far sı che |f(x)− f(x0)| risulti minore di εbasta che sia minore di ε la distanza |x−x0| di x da x0. Quindi, col gergo dell’epsilon-delta,fissato ε, basta prendere δ = ε (o un qualunque altro δ < ε, purche positivo).

Esercizio. Ripassare (ad esempio consultando il libro di riferimento) le funzioni trigono-metriche e le loro principali proprieta.

Esercizio. Dedurre, dalla definizione trigonometrica della funzione seno, la seguente notadisuguaglianza (valida per ogni valore dell’angolo x in radianti):• | senx| ≤ |x|.Suggerimento. Provarla per x > 0, e dedurre che e vera anche per x < 0 dato che lafunzione seno e dispari.

Esercizio. Dedurre, dalle formule di addizione del seno e del coseno, le seguenti formuledi prostaferesi:

• senx− sen y = 2 cos(x+ y

2) sen(

x− y

2);

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• cosx− cos y = 2 sen(x+ y

2) sen(

y − x

2).

Suggerimento (per la prima formula). Considerare la differenza sen(α+ β)− sen(α− β) eporre α+ β = x e α− β = y.

Mostriamo che la funzione senx e continua. Allo scopo fissiamo un arbitrario x0 e conside-riamo la seguente formula di prostaferesi: senx − senx0 = 2 cos(x+x0

2 ) sen(x−x02 ). Poiche

|cosα| ≤ 1, si ha

| senx− senx0| = 2 | cos(x+ x0

2)| | sen(

x− x0

2)| ≤ 2 | sen(

x− x0

2)|

e dalla disuguaglianza | senα| ≤ |α| segue

| senx− senx0| ≤ |x− x0| .

Pertanto, col solito gergo dell’epsilon-delta, fissato ε, basta scegliere δ = ε.

La continuita della funzione cosx si prova in maniera analoga (i dettagli sono lasciati aglistudenti).

Dalla continuita di senx e cosx si deduce che anche la funzione

tang x :=senxcosx

e continua (ovviamente nei punti in cui e definita, cioe negli x in cui cosx 6= 0).

Proveremo in seguito che anche le funzioni ax, loga x e xα sono continue. Vedremo ancheche e continua la funzione n

√x, dove n e un qualunque numero naturale (cio, come potrebbe

sembrare, non deriva dalla continuita di x1/n, perche n√x e definita in [0,+∞) per n pari

e in tutto R per n dispari, mentre x1/n e definita soltanto nella semiretta aperta (0,+∞)).

12 - Ven. 30/9/05

Teorema (di esistenza degli zeri). Sia f : [a, b] → R continua e tale che f(a)f(b) ≤ 0.Allora l’equazione f(x) = 0 ammette almeno una soluzione in [a, b].

Dimostrazione fac. Se f(a)f(b) = 0, allora almeno uno dei due estremi dell’intervallo [a, b]e soluzione dell’equazione f(x) = 0. Si puo quindi supporre f(a)f(b) < 0. Si puo anchesupporre f(a) < 0 (e, di conseguenza, f(b) > 0), altrimenti basta sostituire f con −f .

Definiamo l’insieme X = {x ∈ [a, b] : f(x) < 0} e consideriamo il numero c = supX.Chiaramente c ∈ [a, b], dato che a ∈ X e b e un maggiorante per X. Mostriamo che ilnumero f(c) non puo essere ne minore di zero ne maggiore di zero e, pertanto, non puoche essere zero.

Se fosse f(c) < 0, si avrebbe c 6= b (avendo supposto f(b) > 0) e quindi c < b (dato che c ≤b). Allora, per il teorema della permanenza del segno (per funzioni continue), esisterebbeun intervallo (c, c+ δ) contenuto in [a, b] in cui f risulterebbe negativa. Pertanto, a destradi c ci sarebbero dei punti di X, contraddicendo il fatto che c e un maggiorante per X.

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Quindi il numero f(c) non puo essere minore di zero.

Se fosse f(c) > 0, si avrebbe c 6= a (dato che f(a) < 0) e quindi c > a. Esisterebbe alloraun sottointervallo (c− δ, c) di [a, b] in cui f risulterebbe positiva. Pertanto, essendo c unmaggiorante per X, e non essendoci elementi di X tra c− δ e c, sarebbe un maggioranteanche c−δ, contraddicendo il fatto che c e il piu piccolo maggiorante per X. Di conseguenzaf(c) non puo essere maggiore di zero.

Illustriamo un semplice algoritmo numerico, detto metodo delle bisezioni, per trovareuna soluzione di un’equazione del tipo f(x) = 0, dove f : [a, b] → R verifica le ipotesi delteorema di esistenza degli zeri. Si puo supporre f(a) ≤ 0. In caso contrario basta cambiaref in −f (le equazioni f(x) = 0 e −f(x) = 0 sono infatti equivalenti). Poniamo, percomodita, a0 = a e b0 = b, e consideriamo il punto di mezzo c0 = (b0 +a0)/2 dell’intervallo[a0, b0]. Se f(c0) > 0 poniamo a1 = a0 e b1 = c0, altrimenti poniamo a1 = c0 e b1 = b0. Inaltre parole, una volta diviso [a0, b0] in due intervalli uguali, denotiamo con [a1, b1] quello disinistra o quello di destra a seconda che f(c0) sia maggiore di zero o non lo sia. In ogni casosi ha f(a1) ≤ 0 e f(b1) > 0. Pertanto, per il teorema di esistenza degli zeri, nell’intervallochiuso [a1, b1] c’e almeno una soluzione della nostra equazione. Ripetiamo il procedimentoconsiderando il punto di mezzo c1 = (b1 +a1)/2 del nuovo intervallo e calcolando f(c1). Sef(c1) > 0 poniamo a2 = a1 e b2 = c1, altrimenti poniamo a2 = c1 e b2 = b1. Procedendoricorsivamente si considera il punto cn−1 = (bn−1 + an−1)/2 e si calcola f(cn−1). Sef(cn−1) > 0 si pone an = an−1 e bn = cn−1, altrimenti si pone an = cn−1 e bn = bn−1. Adogni passo si ottiene un intervallo [an, bn] di ampiezza la meta del precedente che contienealmeno una soluzione. Quindi an e un’approssimazione per difetto di tale soluzione e bnun’approssimazione per eccesso. L’errore massimo che si commette considerando una delledue approssimazioni e dato dall’ampiezza bn−an dell’ennesimo intervallo (e addirittura lameta di tale ampiezza se si approssima la soluzione col punto di mezzo di tale intervallo).Dunque, per determinare una soluzione dell’equazione f(x) = 0 con un errore inferiore adun assegnato ε > 0 non occorre eseguire il test bn − an < ε ad ogni passo: e sufficienteripetere la procedura di bisezione (senza eseguire il test) un numero n di volte, dove n ∈ Nverifica la disequazione (b−a)/2n < ε. Risolvendo detta disequazione rispetto all’incognitan si ottiene

n > log2

b− a

ε=

1log 2

logb− a

ε.

Il piu piccolo n che verifica tale condizione e

n = 1 + int(

1log 2

logb− a

ε

).

Ad esempio, se b − a = 1, per ottenere una soluzione con un errore inferiore a 10−3 esufficiente ripetere il procedimento di bisezione dieci volte.

Esempio. Consideriamo l’equazione x + ex − 3 = 0. La funzione f(x) = x + ex − 3 econtinua, essendo somma di funzioni continue, ed e definita in tutto R. Per provare che lasuddetta equazione ammette una soluzione basta determinare, mediante dei sondaggi, duepunti a e b in cui la funzione f assume segno discorde. Per x = 0 si ottiene f(0) = −2 < 0,

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mentre per x = 1 si ha f(1) = 1+e−3 = 0, 718 · · · > 0. In base al teorema di esistenza deglizeri si puo dunque concludere che la suddetta equazione ammette una soluzione c ∈ (0, 1).Possiamo anche affermare che tale soluzione e unica perche f(x) e strettamente crescente,essendo somma di due funzioni strettamente crescenti e di una costante. Applicando ilprocedimento delle bisezioni dieci volte si ottiene c = 0, 792 . . .

Esempio. L’equazione intx− 1/2 = 0 non ha soluzioni (dato che intx assume soltantovalori interi), eppure agli estremi dell’intervallo [0, 1] la funzione f(x) = intx − 1/2 hasegno discorde (spiegare l’apparente contraddizione).

Il risultato che segue e una facile conseguenza del teorema di esistenza degli zeri, noncheuna sua generalizzazione.

Teorema (dei valori intermedi). Sia f : J → R una funzione continua in un intervalloJ ⊆ R. Allora l’immagine f(J) di f e un intervallo. In particolare, se f assume valorisia positivi sia negativi, esiste almeno un punto del dominio in cui si annulla.

Dimostrazione. In base alla definizione di intervallo, occorre provare che se y1 e y2 sonodue punti di f(J) tali che y1 < y2 e y ∈ R verifica la condizione y1 < y < y2, allora anche ysta in f(J); cioe, esiste x ∈ J tale che f(x) = y. Per definizione di immagine, esistono duepunti x1 e x2 appartenenti a J tali che f(x1) = y1 e f(x2) = y2. Consideriamo l’intervalloI = x1x2 ⊆ J di estremi x1 e x2 (cioe I = [x1, x2] se x1 < x2 e I = [x2, x1] in casocontrario) e definiamo la funzione continua g : I → R nel seguente modo: g(x) = f(x)− y.E immediato verificare che dall’ipotesi y1 < y < y2 segue g(x1) < 0 e g(x2) > 0. Pertanto,per il teorema di esistenza degli zeri, esiste un punto x ∈ I tale che g(x) = 0, e da ciosegue f(x) = y.

Ad esempio, la funzione f(x) := x + ex e continua (essendo somma di funzioni continue)ed e definita in un intervallo (tutto R). In base al teorema dei valori intermedi la suaimmagine e un intervallo di estremi infx∈R f(x) e supx∈R f(x). Poiche f(x) non e limi-tata ne inferiormente ne superiormente (verificarlo per esercizio), si ha necessariamenteinfx∈R f(x) = −∞ e supx∈R f(x) = +∞. Dunque Imf = R.

Esempio. La funzione f(x) = 1/x, sebbene sia continua, non ha per immagine unintervallo (perche?).

Esercizio. Dedurre, dal teorema dei valori intermedi, che le funzioni signx, intx e H(x)non sono continue.

Ricordiamo che, in generale, data una qualunque funzione iniettiva f : A → R, la leggef−1 : Imf → R che ad ogni y dell’immagine di f associa l’unica soluzione dell’equazionef(x) = y si chiama funzione inversa di f . Ricordiamo inoltre che l’immagine di f−1

coincide col dominio A di f , mentre il suo codominio, per convenzione, e R (se non ealtrimenti specificato). Pertanto f−1 e suriettiva se e solo se f e definita su tutto R.

Esempio (di funzione inversa). La funzione f(x) := x + ex, di cui abbiamo determi-nato l’immagine, e strettamente crescente (essendo somma di due funzioni strettamentecrescenti). Quindi, fissato un qualunque y ∈ R, esiste un’unica soluzione x = f−1(y) del-

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l’equazione f(x) = y. Tranne che in alcuni casi speciali (come quando y = 1), per trovarlaoccorre l’aiuto di qualche algoritmo numerico come, ad esempio, il metodo delle bisezioni(applicato alla funzione g(x) = f(x)− y ).

Osserviamo che la funzione tangente, essendo periodica, non e iniettiva e, pertanto, non einvertibile. Tuttavia, come vedremo in seguito, la sua restrizione all’intervallo (−π/2, π/2)e strettamente crescente, e quindi invertibile. La funzione inversa di tale restrizione sichiama arcotangente (l’arcotangente di un numero y si denota con arctang y). Proveremoin seguito che gli estremi inferiore e superiore della restrizione della tangente all’intervallo(−π/2, π/2) sono, rispettivamente, −∞ e +∞. Pertanto, dato che la tangente e unafunzione continua (essendo rapporto di funzioni continue), in base al teorema dei valoriintermedi, l’immagine di tale restrizione e tutto R. Si puo concludere che la funzionearcotangente e definita in tutto R ed ha per immagine l’intervallo (−π/2, π/2), cioe ildominio della funzione di cui e l’inversa.

Applichiamo il teorema dei valori intermedi per provare che, dato un numero naturalen ed assegnato un numero reale non negativo y, esiste un’unica soluzione non negativadell’equazione xn = y (ricordiamo che tale soluzione si chiama radice n-esima aritmetica diy). Denotiamo con f(x) la restrizione della funzione xn all’intervallo [0,+∞). La funzionef(x) e continua, essendo prodotto di funzioni continue. Pertanto, per il teorema dei valoriintermedi, la sua immagine e un intervallo. Per determinarlo e sufficiente calcolare gliestremi di f . Chiaramente inf f = min f = 0, dato che f(0) = 0 e f(x) ≥ 0 per ognix ∈ [0,+∞). Poiche f(x) ≥ x per ogni x ≥ 1, la funzione f non e limitata superiormente(vale a dire sup f = +∞). Dunque Imf = [0,+∞), e cio significa che per ogni y ≥ 0 esistealmeno un x ≥ 0 tale che xn = y. Per provare che un tale x e unico si osservi che f estrettamente crescente. Infatti, dati a e b in [0,+∞) con a < b, si ha

bn − an = (b− a)(bn−1 + bn−2a+ bn−3a2 + · · ·+ an−1) > 0 .

In seguito vedremo un altro metodo, piu semplice (anche se meno elementare), per provarela stretta crescenza in [0,+∞) della funzione xn (mediante il calcolo della derivata).

Esercizio. Provare che, se n ∈ N e dispari, la funzione xn ha per immagine tutto R.

Esercizio. Provare che, se n ∈ N e dispari, la funzione xn e strettamente crescente.Quindi e ben definita la sua funzione inversa (denotata n

√y).

Si osservi che per determinare l’immagine della restrizione della funzione 1/x all’inter-vallo [0,+∞) non occorre scomodare il teorema dei valori intermedi (perche?), mentre enecessario per la funzione x2 (perche?).

13 - Ven. 30/9/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Principio di Induzione. Sia {Pn} una famiglia di proposizioni dipendenti da n ∈ N.Supponiamo che siano verificate le seguenti condizioni:

(i) P1 e vera;(ii) Pn vera =⇒ Pn+1 vera.

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Allora Pn e vera per ogni n ∈ N.

Esercizio. Provare che la disuguaglianza

(Pn) (1 + h)n ≥ 1 + nh , con h ≥ −1 ,

e verificata per ogni n ∈ N.

Svolgimento. Applichiamo il principio di induzione. Innanzitutto osserviamo che per n = 1si ottiene

1 + h ≥ 1 + h ,

che e ovviamente una proposizione vera. La condizione (i) e dunque verificata. Inoltre,supponendo che la Pn sia vera per un dato n ∈ N, risulta

(1 + h)n+1 = (1 + h)(1 + h)n ≥ (1 + h)(1 + nh) = 1 + (n+ 1)h+ nh2 ≥ 1 + (n+ 1)h .

Quindi, dall’ipotesi induttiva “Pn vera” si e dedotto che e vera anche Pn+1. Pertanto anchela (ii) e verificata (si osservi che la condizione h ≥ −1 e necessaria per poter effettuare laprima minorazione).

Osservazione. Nel principio di induzione l’ipotesi “P1 vera” puo essere sostituita da“Pk vera”, dove k e un assegnato numero intero (anche negativo). In tal caso il principiodi induzione afferma che la proposizione Pn e vera qualunque sia l’intero n ≥ k (suppostoche la (ii) sia verificata per n ≥ k).

Esercizio. Sia S(n) = 1+2+ · · ·+n la somma dei primi n numeri naturali. Provare, perinduzione, che S(n) = n(n+ 1)/2.

Svolgimento. Osserviamo che, l’uguaglianza

(Pn) S(n) =n(n+ 1)

2

e banalmente verificata per n = 1. Inoltre, supponendo vera Pn per un dato n, risulta

S(n+ 1) = 1 + 2 + · · ·+ n+ (n+ 1) = S(n) + n+ 1 =n(n+ 1)

2+ n+ 1 =

(n+ 1)(n+ 2)2

,

che completa la dimostrazione dell’esercizio.

Esercizio. Sia Z2 l’insieme dei punti del piano cartesiano a coordinate intere. Si proviche un triangolo equilatero non puo avere tutti i vertici in Z2.

Svolgimento. Siano A,B e C i tre vertici di un triangolo equilatero, e sia ` la misura delsuo lato. Vogliamo dimostrare che, se A e B hanno coordinate intere, C non puo averecoordinate intere. Supponiamo inizialmente che A coincida con l’origine degli assi. Dettoα l’angolo fra il segmento AB e il semiasse positivo dell’asse delle x, risulta

A = (0, 0) B = (` cosα, ` senα) , C = (` cos(α+ π/3), ` sen(α+ π/3)) .

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Quindi, per l’ordinata di C si ha

` sen(α+ π/3) = ` senα cos(π/3) + ` cosα sen(π/3) =` senα+ `

√3 cosα

2.

Dal momento che, per ipotesi, le coordinate di B sono intere e√

3 e un numero irrazionale,si ha

` senα2

∈ Q e`√

3 cosα2

/∈ Q .

Quindi, l’ordinata di C risulta essere la somma di un razionale e un irrazionale, e pertantoe irrazionale. Cio completa l’esercizio nel caso in cui A coincida con l’origine. L’estensioneal caso generale in cui A = (m,n) con m ed n interi e immediata e lasciata per esercizio.

Esercizio. Si consideri una sezione (A,B) nei numeri razionali; ossia una partizione diQ mediante due insiemi A e B con le seguenti proprieta:

(i) A e B non vuoti;(ii) A ∪B = Q;

(iii) α ∈ A e β ∈ B =⇒ α < β .Si provi che non puo capitare che esista sia il massimo di A sia il minimo di B.

Svolgimento. Neghiamo la tesi, e poniamo a = maxA e b = minB. Il numero c = (a+b)/2,cioe la media tra a e b, e razionale e verifica la condizione a < c < b (si osservi, infatti,che per la (iii) risulta a < b). Dal momento pero che a = maxA e b = minB, c non puoappartenere ne ad A ne a B, in contraddizione con la (ii), e cio conclude l’esercizio.

14 - Ven. 30/9/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Si consideri la funzione f : R → R cosı definita:

f(x) =|x|

1 + |x|.

(i) Si provi che Imf e un intervallo.(ii) Si determino gli estremi (inf e sup) di Imf , valutando se sono minimo e massimo.

(iii) Denotata con f1 la restrizione di f all’intervallo [0,+∞), si provi che Imf = Imf1.(iv) f1 e invertibile?(v) La funzione g(x) = 1

10 − f1(x) ha uno zero nell’intervallo [0, 1]?

Svolgimento.

(i) E noto il teorema che assicura che se una funzione e continua, e il suo dominio e unintervallo, allora la sua immagine e un intervallo. Nel nostro caso f e definita su tutto R,e quindi su un intervallo. Ci chiediamo se f e continua. Ma |x| e continua (dimostrato alezione), percio:|x| continua =⇒ 1 + |x| continua (perche somma di funzioni continue) =⇒ |x|/(1 + |x|)continua (perche rapporto di funzioni continue).Quindi il punto (i) e provato.

(ii) Osserviamo che

0 ≤ |x|1 + |x|

≤ 1 , ∀x ∈ R .

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Quindi 0 e un minorante di Imf e 1 un maggiorante. Dato che f(0) = 0, 0 e il minimoper Imf (oltre ad esserne l’estremo inferiore). Per quanto riguarda 1, ci chiediamo se e ilminimo dei maggioranti di Imf . Per esserlo deve valere la proposizione

∀ ε > 0 esiste x ∈ R tale che f(x) > 1− ε ,

il cui significato e il seguente: qualunque sia ε > 0, il numero 1− ε non e un maggioranteper Imf . Fissiamo dunque ε > 0 e proviamo che la disequazione f(x) > 1 − ε ammettealmeno una soluzione. Si osservi, per inciso, che se ε > 1 la disequazione e verificataper ogni x ∈ R. Quindi, volendo, si potrebbe supporre ε ≤ 1; ma in questo caso non siotterrebbe nessuna semplificazione. Infatti, si ha

|x|1 + |x|

> 1− ε ⇐⇒ |x| > (1− ε)(1 + |x|) ⇐⇒ |x| > 1− ε

ε,

e pertanto una soluzione della disequazione f(x) > 1 − ε e, per esempio, x = 1/ε, comee facile controllare sostituendo (si invitano gli studenti a determinare, per esercizio, tuttele soluzioni della disequazione). Dunque 1 e effettivamente l’estremo superiore di f (cioedi Imf). Si fa notare pero che f non ha massimo, in quanto l’equazione f(x) = 1 non hasoluzioni (ossia 1 /∈ Imf).

(iii) Ovviamente Imf1 ⊆ Imf . Osserviamo che f e una funzione pari, cioe f(x) = f(−x)per ogni x ∈ R. Se y ∈ Imf , allora esiste un x ∈ R tale che f(x) = y e quindi anchef(−x) = y. Dal fatto che almeno uno dei due numeri, x e −x, risulta non negativo, segueche y ∈ Imf1. Quindi Imf ⊆ Imf1, e cio prova il punto (iii).

(iv) Se una funzione e strettamente monotona, allora e iniettiva, e quindi e invertibile.Mostriamo che f1 e strettamente crescente; cioe, fissati due (arbitrari) punti x1, x2 ∈ D(f1)tali che x1 < x2, proviamo che f1(x1) < f1(x2). Si ha infatti

f1(x2)− f1(x1) =|x2|

1 + |x2|− |x1|

1 + |x1|=

|x2| − |x1|(1 + |x2|)(1 + |x1|)

e quindi

f1(x2)− f1(x1) =x2 − x1

(1 + |x2|)(1 + |x1|)> 0 ,

poiche |x1| = x1 e |x2| = x2 (ricordiamo che D(f1) = [0,+∞) ).

(v) Osserviamo che g e continua (in tutto R) e che g(0)g(1) < 0. Pertanto, per il teoremadi esistenza degli zeri, l’equazione g(x) = 0 ammette almeno una soluzione nell’intervallo[0, 1], e cio conclude l’esercizio.

Esercizio. Determinare il dominio della funzione√(3x+ 4)4x+6 − (3x+ 4)

Suggerimento. L’argomento della radice quadrata dovra essere non negativo. L’esercizioconsiste quindi nel risolvere una disequazione contenente potenze ad esponente reale. Sirisolva ricordando che, in una potenza ad esponente reale, la base deve essere positiva,

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e che, fra due potenze aventi la stessa base, risulta maggiore quella che ha esponentemaggiore, se la base non e minore di uno, mentre risulta maggiore quella che ha esponenteminore, se la base e compresa fra 0 e 1.

15 - Mar. 4/10/05

Teorema (di continuita per le funzioni monotone). Sia f : A→ R una funzione monotona.Se l’immagine di f e un intervallo, allora f e continua (non occorre che sia definita in unintervallo).

Dimostrazione fac. Ovviamente si puo supporre f crescente, altrimenti basta considerarela funzione −f . Occorre provare che f e continua in qualunque punto del suo dominio A.Allo scopo consideriamo un arbitrario x0 ∈ A e fissiamo ε > 0. Si hanno quattro casi:

(1) f(x0)− ε/2 ∈ f(A) e f(x0) + ε/2 ∈ f(A);

(2) f(x0)− ε/2 ∈ f(A) e f(x0) + ε/2 6∈ f(A);

(3) f(x0)− ε/2 6∈ f(A) e f(x0) + ε/2 ∈ f(A);

(4) f(x0)− ε/2 6∈ f(A) e f(x0) + ε/2 6∈ f(A).

Nel primo caso esistono x1 e x2 in A tali che f(x1) = f(x0)− ε/2 e f(x2) = f(x0) + ε/2.Poiche si e supposto f crescente, si deve avere x1 < x0 < x2 (verificare che in caso contrariosi ha una contraddizione). Sempre per la crescenza di f , fissato un qualunque punto x ∈ Atale che x1 < x < x2, risulta f(x1) ≤ f(x) ≤ f(x2). Dunque, in questo caso, i puntidel dominio di f che appartengono all’intervallo [x1, x2] vengono mandati nell’intervallo[f(x1), f(x2)] = [f(x0)− ε/2, f(x0) + ε/2] e quindi, a maggior ragione, anche nell’intornoI(f(x0), ε) = (f(x0) − ε, f(x0) + ε) di f(x0). Dunque, nel primo caso, col linguaggiodell’epsilon-delta, basta scegliere un qualunque δ > 0 in modo che l’intorno (x0−δ, x0 +δ)di x0 sia contenuto nell’intervallo [x1, x2]. Ad esempio, δ = min{|x0 − x1|, |x0 − x2|}.Per inciso si osservi che, in questo primo caso, l’ipotesi che f(A) sia un intervallo non eintervenuta nel nostro ragionamento.

Analizziamo ora il secondo caso. Ragionando come prima si trova un x1 < x0 tale chef(x1) = f(x0) − ε/2, e tutti i punti x di A che stanno nell’intervallo [x1, x0] vengonomandati da f nell’intervallo [f(x0) − ε/2, f(x0)]. Osserviamo ora che i punti di A cheappartengono alla semiretta [x0,+∞) vanno a finire nell’intervallo [f(x0), f(x0) + ε/2].Infatti, se non fosse vero, esisterebbe un punto x > x0 tale che x ∈ A e f(x) > f(x0) +ε/2 (si osservi che, per la crescenza di f , f(x) non puo essere minore di f(x0)), e ciocontraddirebbe l’ipotesi che f(A) sia un intervallo perche ci sarebbero due punti, f(x0) ef(x), in f(A) e un punto intermedio, f(x0) + ε/2, non appartenente a f(A). Dunque, inquesto secondo caso, tutti i punti della semiretta [x1,+∞) che stanno nel dominio A dif vengono mandati nell’intervallo [f(x0) − ε/2, f(x0) + ε/2] (e quindi anche nell’intorno(f(x0)− ε, f(x0) + ε) di f(x0)). Pertanto, anche in questo caso esiste un δ > 0 (trovarlo)tale che se |x− x0| < δ e x ∈ A allora |f(x)− f(x0)| < ε.

Il terzo caso e analogo al precedente (i dettagli sono lasciati allo studente).

Nel quarto caso, ragionando come prima, si prova addirittura che tutti i punti di A vengono

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mandati nell’intervallo (f(x0) − ε/2, f(x0) + ε/2), e quindi siamo liberi di scegliere unqualunque δ > 0.

Il risultato che segue e un’importante e diretta conseguenza del teorema di continuita perle funzioni monotone.

Teorema (di continuita della funzione inversa). Sia f : J → R una funzione strettamentemonotona. Se il dominio J di f e un intervallo, allora f−1 : f(J) → R e una funzionecontinua (non occorre che f sia continua).

Dimostrazione. La funzione f−1 e strettamente crescente o decrescente, a seconda che siastrettamente crescente o decrescente la f . La sua immagine, inoltre, coincide col dominioJ della f , che per ipotesi e un intervallo. Pertanto la continuita di f−1 e assicurata dalteorema di continuita per le funzioni monotone.

Esempio. La funzione f(x) = x + intx e strettamente crescente ed e definita in tuttoR. Pertanto, per il teorema di continuita di una funzione inversa, f−1 risulta continua,sebbene f non lo sia.

Esercizio. Dedurre, dal teorema di continuita della funzione inversa, che, se n ∈ N e pari,la funzione g : [0,+∞) → R definita da y 7→ n

√y e continua.

Esercizio. Dedurre, dal teorema di continuita della funzione inversa, che, se n ∈ N edispari, la funzione g : R → R definita da y 7→ n

√y e continua.

Esercizio. Dedurre, dal teorema di continuita della funzione inversa, che la funzionearcotangente e continua.

Esercizio. Dedurre, dal precedente teorema, che la funzione inversa di f(x) = x + ex

e continua. Applicare il teorema dei valori intermedi per determinare il dominio di talefunzione inversa.

16 - Mar. 4/10/05

Ricordiamo che, data una funzione f : A → R, un punto x0 del dominio A di f si dice diminimo assoluto se f(x0) ≤ f(x), ∀x ∈ A. Il valore f(x0) e il minimo di f ed appartieneal codominio (anzi, all’immagine) di f . Analogamente, x0 e un punto di massimo assolutose . . . (completare il discorso).

Si fa presente che nel piano cartesiano i punti di minimo e di massimo stanno nell’asse delleascisse (dove giace il dominio della funzione) mentre il minimo e il massimo appartengonoall’asse delle ordinate (dove sta l’immagine).

Teorema di Weierstrass sd. Se una funzione e continua in un intervallo limitato echiuso, allora ammette minimo e massimo assoluti.

Le ipotesi del Teorema di Weierstrass sono tre: continuita della funzione; il dominio eun intervallo limitato; il dominio e un intervallo chiuso. Mostriamo con degli esempi chenessuna delle tre ipotesi puo essere rimossa (ferme restando le altre due) senza pregiudicarel’esistenza del minimo o del massimo.

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Esempio 1. La funzione f : [0, 1] → R definita da f(x) = x− intx non ammette massimo(provarlo per esercizio). Quale ipotesi del Teorema di Weierstrass non e soddisfatta?

Esempio 2. La funzione f : [0, 1) → R definita da f(x) = x non ammette massimo(provarlo per esercizio). Quale ipotesi del Teorema di Weierstrass non e soddisfatta?

Esempio 3. La funzione f : [0,+∞) → R definita da f(x) = x non ammette massimo(provarlo per esercizio). Quale ipotesi del Teorema di Weierstrass non e soddisfatta?

Esercizio. Trovare un esempio di funzione che, pur non soddisfacendo una (o due, oanche tre) delle ipotesi del Teorema di Weierstrass, ammetta massimo e minimo assoluti(cio implica che le tre ipotesi non sono necessarie per l’esistenza del massimo e del minimo,ma sono soltanto sufficienti).

Definizione (di punto di accumulazione). Dato un insieme A ⊆ R e dato un numero realex0 (non necessariamente appartenente ad A), si dice che x0 e un punto di accumulazionedi A se ogni intorno di x0 contiene infiniti punti di A (o, equivalentemente, ogni intornodi x0 contiene un punto di A diverso da x0). L’insieme dei punti di accumulazione di Asi denota con A′ e si chiama derivato di A. I punti di A che non sono di accumulazione sidicono isolati.

Si invita lo studente a riflettere sui seguenti esempi:• se A = (0, 1], allora A′ = [0, 1];• se A = N, allora A′ = ∅;• se A = Q, allora A′ = R;• se A = R \ {0}, allora A′ = R;• se A = Z, allora A′ = ∅;• se A = {1, 2, 3}, allora A′ = ∅;• se A = {1/n : n ∈ N}, allora A′ = {0}.

Definizione (di funzione derivabile in un punto). Sia f : A → R una funzione reale divariabile reale e sia x0 ∈ A ∩ A′. Si dice che f e derivabile in x0 se esiste una funzioneϕ : A→ R continua in x0 e tale che

f(x)− f(x0) = ϕ(x)(x− x0), ∀x ∈ A.

Il numero ϕ(x0) si chiama derivata di f in x0 e si denota con uno dei seguenti simboli:

f ′(x0), Df(x0),df

dx(x0), Dx0f, Df(x)|x=x0 .

La funzione ϕ(x) che appare nella suddetta definizione si chiama rapporto incrementale dif nel punto x0. Il motivo e che per x 6= x0 (e x ∈ A) si ha necessariamente

ϕ(x) =f(x)− f(x0)

x− x0,

dove il numeratore, ∆f = f(x) − f(x0), si chiama incremento della funzione (o dellavariabile dipendente) e il denominatore, ∆x = x − x0, si dice incremento della variabile(o della variabile indipendente).

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Esercizio fac. Sia f : A→ R una funzione derivabile in x0 ∈ A∩A′. Dedurre, dal teoremadella permanenza del segno (per funzioni continue), che la funzione ϕ della precedentedefinizione e unica. In altre parole, mostrare che se ϕ1 e ϕ2 sono due funzioni (da A in R)continue in x0 che verificano la condizione

f(x)− f(x0) = ϕ1(x)(x− x0) = ϕ2(x)(x− x0), ∀x ∈ A ,

allora ϕ1(x) = ϕ2(x) per ogni x ∈ A (si osservi che e necessario, ma e anche sufficiente,provare che le due funzioni coincidono nel punto x0).

Definizione (di estensione di una funzione). Data una funzione f : A→ R ed un insiemeB contenente A, una qualunque funzione g : B → R la cui restrizione ad A coincida con fsi dice un’estensione di f o un prolungamento di f .

Osservazione. Una funzione continua f : A→ R e derivabile in x0 ∈ A ∩ A′ se e solo seil rapporto incrementale

r(x) =f(x)− f(x0)

x− x0

(definito soltanto per x ∈ A\{x0}) ammette un’estensione continua ϕ : A→ R (si potrebbeprovare fac che, essendo x0 un punto di accumulazione per A, tale estensione e unica).

Definizione (di funzione derivabile). Una funzione f : A → R si dice derivabile se ederivabile in ogni punto di accumulazione del suo dominio. Quando cio accade, la funzionef ′ : A ∩A′ → R che ad ogni x ∈ A ∩A′ assegna il numero f ′(x) si chiama derivata di f .

Esercizio. Provare che se f : R → R e costante, allora e derivabile e f ′(x) = 0, ∀x ∈ R.

Esercizio. Provare che la funzione f(x) = x e derivabile e si ha f ′(x) = 1 per ogni x ∈ R.

Vedremo in seguito che dal fatto che la funzione x e derivabile segue subito che lo e anchex2, essendo prodotto di due funzioni derivabili. Tuttavia, a titolo di esempio, e istruttivodedurre la derivabilita di f(x) = x2 direttamente dalla definizione. Fissato un x0 ∈ R siha infatti:

x2 − x20 = (x+ x0)(x− x0) , ∀x ∈ R .

Dunque, in questo caso, la funzione ϕ della definizione e data da ϕ(x) = x+x0. Poiche talefunzione e continua, x2 e derivabile in x0 e la sua derivata nel punto e ϕ(x0) = 2x0. Datal’arbitrarieta del punto x0 si puo concludere che x2 e una funzione derivabile e Dx2 = 2x.

Esercizio. Provare che la funzione x3 e derivabile e che Dx3 = 3x2. Piu in generale, daton ∈ N, provare che Dxn = nxn−1.

Suggerimento. Sfruttare l’uguaglianza bn−an = (b−a)(bn−1+bn−2a+bn−3a2+· · ·+an−1).

17 - Gio. 6/10/05

Osservazione. Se f : A → R e derivabile in un punto x0, allora in quel punto e anchecontinua. Infatti, dalla definizione di funzione derivabile segue che

f(x) = f(x0) + ϕ(x)(x− x0) ,

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dove ϕ(x) e continua in x0. Di conseguenza f(x) si puo esprimere come somma e prodottodi funzioni continue in x0.

Lemma sd. La funzione

α(x) =

senxx

se x 6= 0

1 se x = 0

e continua nel punto x0 = 0 (e continua anche negli altri punti perche in R\{0} e rapportodi funzioni continue).

Dal suddetto lemma discende immediatamente che la funzione senx e derivabile nel puntox0 = 0. Infatti, dalla definizione di α(x) si deduce che senx− sen 0 = α(x)(x− 0), ∀x ∈ R(compreso il punto x0 = 0). Pertanto, dato che α(x) e continua nel punto x0 = 0, si puoaffermare (in base alla definizione di derivabilita) che senx e derivabile in tal punto e lasua derivata e α(0) = 1.

Teorema. Le funzioni senx e cosx sono derivabili e si ha

D senx = cosx , D cosx = − senx , ∀x ∈ R.

Dimostrazione. Fissato un arbitrario x0 ∈ R, dalla prima formula di prostaferesi si ha

senx− senx0 = 2 cos(x+ x0

2) sen(

x− x0

2) .

Quindi, tenendo conto dell’uguaglianza senx = α(x)x, possiamo scrivere

senx− senx0 = 2 cos(x+ x0

2)α(

x− x0

2)(x− x0

2) .

Pertantosenx− senx0 = ϕ(x)(x− x0) ,

doveϕ(x) = cos(

x+ x0

2)α(

x− x0

2)

e continua (in base al precedente lemma e al teorema di continuita delle funzioni combi-nate). Dunque senx e derivabile in x0 e D senx0 = ϕ(x0) = cosx0.

La derivabilita di cosx si prova in modo analogo (i dettagli sono lasciati agli studenti).

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18 - Gio. 6/10/05

Teorema (di derivabilita delle funzioni combinate). Se f e g sono due funzioni derivabili,allora (quando ha senso) lo sono anche f + g, fg, f/g e g◦f , e risulta:

(f + g)′(x) = f ′(x) + g′(x),

(fg)′(x) = f ′(x)g(x) + f(x)g′(x),

(f/g)′(x) =f ′(x)g(x)− f(x)g′(x)

g(x)2,

(g◦f)′(x) = g′(f(x))f ′(x).

Dimostrazione.(Somma) Fissato x0 ∈ D(f + g), per ipotesi si ha

f(x) = f(x0) + ϕ(x)(x− x0) e g(x) = g(x0) + ψ(x)(x− x0),

con ϕ e ψ continue in x0. Quindi . . . (esercizio)(Prodotto) Fissato x0 ∈ D(fg), per ipotesi si ha

f(x) = f(x0) + ϕ(x)(x− x0) e g(x) = g(x0) + ψ(x)(x− x0),

con ϕ e ψ continue in x0. Quindi

f(x)g(x) = f(x0)g(x0) +(ϕ(x)g(x0) + f(x0)ψ(x) + ϕ(x)ψ(x)(x− x0)

)(x− x0).

Pertanto (fg)(x)− (fg)(x0) = α(x)(x− x0), dove la funzione

α(x) = ϕ(x)g(x0) + f(x0)ψ(x) + ϕ(x)ψ(x)(x− x0)

e continua in x0 (essendo espressa tramite somma e prodotto di funzioni continue in x0).Questo prova che fg e derivabile in x0 e

(fg)′(x0) = α(x0) = ϕ(x0)g(x0) + f(x0)ψ(x0) = f ′(x0)g(x0) + f(x0)g′(x0).

(Quoziente) Fissato un punto x0 nel dominio di 1/g, e sufficiente provare che se g ederivabile in x0, allora lo e anche 1/g e

(1/g)′(x0) = − g′(x0)g(x0)2

.

La derivata del rapporto f/g si ottiene applicando la regola precedente al prodotto di fcon 1/g. Per ipotesi si ha g(x)− g(x0) = ψ(x)(x− x0), con ψ continua in x0. Quindi

1g(x)

− 1g(x0)

=g(x0)− g(x)g(x)g(x0)

= − ψ(x)g(x)g(x0)

(x− x0) = α(x)(x− x0),

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Poiche la funzioneα(x) = − ψ(x)

g(x)g(x0)risulta continua in x0 (essendo quoziente di funzioni continue), 1/g e derivabile in x0 e lasua derivata e

(1/g)′(x0) = α(x0) = − g′(x0)g(x0)2

.

(Composizione) Fissiamo un punto x0 nel dominio di g◦f e supponiamo che f sia derivabilein x0 e che g sia derivabile in y0 = f(x0). Per ipotesi si ha

f(x) = f(x0) + ϕ(x)(x− x0), ∀x ∈ D(f),g(y) = g(y0) + ψ(y)(y − y0), ∀ y ∈ D(g),

dove ϕ : D(f) → R e ψ : D(g) → R sono due funzioni continue nei punti x0 e y0, rispet-tivamente. Osserviamo ora che se x appartiene al dominio di g ◦f , il numero f(x) stanecessariamente nel dominio D(g) di g (in base alla definizione di dominio di una com-posizione). Quindi, la seconda uguaglianza, dato che e valida per ogni numero y in D(g),restera valida anche sostituendo f(x) al posto di y. Dunque, tenendo conto che f(x0) = y0,si ottiene

g(f(x))− g(f(x0)) = ψ(f(x))(f(x)− f(x0)) = [ψ(f(x))ϕ(x)] (x− x0), ∀x ∈ D(g◦f).

Questo prova che g◦f e derivabile in x0, visto che ψ(f(x))ϕ(x) e continua in x0 essendocomposizione e prodotto di funzioni continue (infatti f e ϕ sono continue in x0 e ψ iny0 = f(x0)). Pertanto

(g◦f)′(x0) = ψ(f(x0))ϕ(x0) = ψ(y0)ϕ(x0) = g′(y0)f ′(x0),

e la tesi e dimostrata.

Esercizio. Usando la regola della derivata del quoziente provare che

D tang x = 1 + tang2 x = 1/ cos2 x.

Esercizio. Provare che la funzione |x| non e derivabile nel punto x0 = 0 (esistono quindifunzioni continue ma non derivabili).

Suggerimento. Occorre mostrare che la funzione r(x) = |x|/x (che e definita e continua inR\{0}) non ammette un’estensione continua ϕ : R → R. Infatti, se una tale ϕ esistesse,per il teorema dei valori intermedi la sua immagine dovrebbe essere un intervallo, e cio eimpossibile perche . . .

Esercizio. Provare che la funzione |x|x e derivabile anche nel punto x0 = 0 (quindi ilprodotto di una funzione derivabile e di una non derivabile puo essere derivabile).

Esercizio. Dedurre, dal teorema di derivabilita delle funzioni combinate, che la seguentefunzione non e derivabile nel punto x0 = 0:

f(x) =x2 − |x| cosx

2 + x2.

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Suggerimento. Se (per assurdo) f(x) fosse derivabile, allora . . .

Esercizio. Mostrare che la seguente funzione e derivabile (anche nel punto x0 = 0):

f(x) =x2 − |x| senx

2 + x2.

Esercizio. Provare che la somma di una funzione derivabile e di una non derivabile nonpuo essere derivabile. Mostrare con un esempio che la somma di due funzioni non derivabilipuo essere derivabile.

E opportuno anticipare alcune nozioni (in parte gia incontrate nella scuola secondaria)che avremo modo di approfondire durante il corso. Mediante il concetto di integraledefinito daremo una conveniente definizione di funzione logaritmica (naturale), denotatalog x o lnx. Proveremo che tale funzione e definita in (0,+∞), e strettamente crescente,e suriettiva ed e nulla nel punto x = 1. Di conseguenza, la sua inversa, detta funzioneesponenziale (naturale) e denotata exp y (provvisoriamente e conveniente indicare con y lavariabile), risulta definita in tutto R (cioe nell’immagine di log x), e strettamente crescente,ha per immagine il dominio di log x (ossia, la semiretta aperta (0,+∞)) e vale 1 nel puntoy = 0. Vedremo inoltre che le funzioni log x e exp y sono derivabili e risulta: D log x = 1/x,D exp y = exp y.

Le potenze ad esponente reale si definiscono nel seguente modo: ab = exp(b log a), dove a eun numero positivo (altrimenti non ha senso log a) e b e un qualunque numero reale. Taledefinizione, come vedremo, non e campata in aria: estende la nozione classica di potenzaad esponente razionale (i.e. an/m = m

√an). Dalla definizione di potenza ad esponente

reale segue facilmente che expx = (exp 1)x. Il misterioso e importantissimo numero exp 1si denota (per brevita) con la lettera e e si chiama numero di Nepero (e un irrazionalecompreso tra 2, 7182 e 2, 7183). Pertanto, expx coincide con la funzione ex, detta funzioneesponenziale in base e (o in base naturale). In generale, ax, dove a e un qualunque numeropositivo, si dice funzione esponenziale in base a. Se a 6= 1, tale funzione e invertibile e lasua inversa si chiama funzione logaritmica in base a e si denota con loga x. Non e difficileprovare che loge x = log x (e siamo tornati al punto di partenza).

Esercizio. Dedurre, dal teorema di derivabilita delle funzioni combinate, che ax e xα sonoderivabili e calcolarne le derivate.

Definizione (delle funzioni iperboliche). Le funzioni

senhx =ex − e−x

2e coshx =

ex + e−x

2

si chiamano, rispettivamente, seno iperbolico e coseno iperbolico. Il rapporto

tanhx =senhxcoshx

si dice tangente iperbolica.

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Esercizio. Provare che (cosh t)2 − (senh t)2 = 1 per ogni t ∈ R. In altre parole, perogni t in R, il punto (cosh t, senh t) di R2 appartiene all’iperbole di equazione y2 − x2 = 1(per questo le due funzioni senh t e cosh t si chiamano iperboliche, mentre le funzionitrigonometriche cosx e senx si chiamano anche circolari; infatti . . . bla bla).

Esercizio. Provare che le funzioni iperboliche sono derivabili e calcolarne la derivata.

19 - Ven. 7/10/05

Definizione (di retta tangente). Data una funzione reale di variabile reale f , consideriamoun punto (x0, y0) del suo grafico (cioe tale che x0 ∈ D(f) e y0 = f(x0)). Se f e derivabilein x0, la retta tangente al grafico di f nel punto corrispondente a x0 e la retta passanteper (x0, y0) di coefficiente angolare f ′(x0). Ossia, e la retta di equazione

y − y0 = f ′(x0)(x− x0).

Ad esempio, se f(x) = 2x − x3, per x0 = 0 si ottiene la retta y = 2x, per x0 = −1 si hay + x+ 2 = 0, mentre per x0 = 1 . . . (esercizio)

Ricordiamo che dato un punto x0 ∈ R e dato un numero positivo δ, l’insieme dei puntix ∈ R che distano da x0 meno di δ si chiama intorno di x0 di raggio δ e si denota I(x0, δ).

Definizione (di punto interno). Un punto x0 ∈ R si dice interno ad un sottoinsieme A diR se esiste un intorno di x0 (interamente) contenuto in A. In altre parole, x0 e interno adA se esiste un intervallo (x0 − δ, x0 + δ), con δ > 0, contenuto in A. L’insieme dei puntiinterni ad A si chiama interno di A e si denota A.

Osserviamo che un punto interno ad un insieme deve necessariamente appartenere all’insie-me, dato che l’intorno di un punto (qualunque esso sia) contiene il punto stesso. Tuttavia,non tutti i punti di un insieme sono necessariamente interni. Ad esempio, se A = [0, 1],i punti 0 e 1, pur appartenendo ad A, non sono interni perche ogni loro intorno contienedegli elementi che non stanno in A (come per la negazione della proposizione “esiste unapecora nera”, negare che “esiste un intorno interamente contenuto in A” equivale ad af-fermare che “ogni intorno non e interamente contenuto in A”, e quindi contiene punti delcomplementare).

Esercizio. Provare che l’insieme dei punti interni ad un intervallo chiuso [a, b] e l’intervalloaperto (a, b).

Definizione (di punto di frontiera). Un punto x0 ∈ R si dice di frontiera per un insieme Ase non e ne interno ad A ne interno al complementare Ac di A. In altre parole (ricordandoil discorso sulle pecore), x0 e di frontiera per A se ogni suo intorno contiene sia punti diA sia punti di Ac. L’insieme dei punti di frontiera per A si denota ∂A.

Ecco alcuni esempi significativi:

∂(0, 2] = {0, 2}, ∂(R\{0}) = {0}, ∂N = N, ∂(1,+∞) = {1}, ∂{−2} = {−2}.

Osservazione. Qualunque sia il sottoinsieme A di R, risulta A ⊆ A ∪ ∂A e A ∩ ∂A = ∅.

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Un insieme A ⊆ R si dice aperto se ogni punto di frontiera appartiene al suo complementare(cioe se ∂A ⊆ Ac), si dice chiuso se contiene tutti i suoi punti di frontiera (cioe se ∂A ⊆ A).La nozione di chiuso non e la negazione di aperto (al massimo si puo affermare che el’opposto). Esistono infatti insiemi che non sono ne chiusi ne aperti (come, ad esempio,l’intervallo (a, b]). Infatti, se un insieme contiene alcuni punti di frontiera, ma non tutti,non e ne aperto ne chiuso.

Definizione (di punto estremante). Sia f : A → R una funzione reale di variabile reale.Un punto x0 ∈ A si dice di minimo relativo (o locale) per f in A se esiste un intorno Udi x0 tale che f(x) ≥ f(x0) per ogni x ∈ U ∩ A. In modo analogo si definisce il concettodi massimo relativo. Un punto di minimo o di massimo relativo per f (in A) si diceestremante per f (in A).

Si osservi che un punto di minimo assoluto per una funzione e anche di minimo relativoma, in generale, non e vero il contrario. Tuttavia, un punto di minimo relativo e di minimoassoluto per la restrizione della funzione ad un opportuno intorno del punto.

Esempio. Il punto x = 0 e di minimo assoluto (e quindi anche relativo) per la funzionef(x) = 1 + |x|, visto che f(0) = 1 e f(x) ≥ 1 per ogni x ∈ R.

Esempio. Vedremo in seguito (mediante lo studio del segno della derivata) come siapossibile stabilire con certezza che il punto x = 0 e di minimo relativo per la funzionef(x) = 1 + |x| − x2. Per ora, tanto per avere un’idea, accontentiamoci del seguenteragionamento euristico: per valori piccoli di x il numero 1+ |x|−x2 e approssimativamenteuguale a 1 + |x|, dato che x2 e molto piu piccolo di |x|. Pertanto, vicino al punto x = 0,f(x) e circa uguale alla funzione g(x) = 1+ |x|, che ha un minimo per x = 0. Ovviamentex = 0 non e di minimo assoluto per f (anche se lo e per g), perche f(x) in alcuni punti(quali?) assume valori minori di f(0).

Attenzione. I punti di massimo o di minimo relativo di una funzione (cioe i puntiestremanti) stanno nel dominio, e non sul grafico. I minimi e i massimi relativi (o assolu-ti), cioe i valori assunti nei punti estremanti, detti estremi della funzione, appartengonoall’immagine (e neppure quelli stanno sul grafico).

Teorema di Fermat. Sia f : A → R una funzione reale di variabile reale e sia x0 ∈ A.Supponiamo che:

(1) x0 sia interno ad A;(2) f sia derivabile in x0;(3) x0 sia un punto estremante per f in A.

Allora f ′(x0) = 0.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo f ′(x0) 6= 0. Ad esempio supponiamo f ′(x0) > 0.Per l’ipotesi (2) esiste ϕ : A→ R continua in x0 e tale che f(x)−f(x0) = ϕ(x)(x−x0) perogni x ∈ A. Essendo ϕ(x0) = f ′(x0) > 0, esiste un intorno (x0 − δ, x0 + δ) di x0 (che perl’ipotesi (1) possiamo supporre contenuto in A) in cui ϕ(x) > 0. Quindi, in tale intorno,f(x) < f(x0) per x < x0 e f(x) > f(x0) per x > x0. Ne segue che x0 non puo essere neun punto di minimo ne un punto di massimo, contraddicendo l’ipotesi (3). Pertanto non

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puo essere f ′(x0) > 0. In maniera analoga si prova che non puo essere f ′(x0) < 0. Dunquef ′(x0) = 0.

Si osservi che il Teorema di Fermat si puo enunciare anche nel modo seguente (versionegarantista): se in un punto interno al dominio di una funzione la derivata e diversa dazero, allora tale punto non e estremante.

Osserviamo che, in base al Teorema di Fermat, i punti estremanti per f : A → R vannocercati tra le seguenti tre categorie (sono quelli che rimangono dopo aver scartato i puntiinterni ad A con derivata non nulla):

• punti di A non interni (quindi di frontiera);• punti di A in cui la funzione non e derivabile;• punti interni ad A in cui si annulla la derivata.

Nessuna delle suddette tre condizioni ci assicura che un punto sia estremante. Tuttavia,se lo e, almeno una delle tre deve necessariamente essere soddisfatta.

20 - Ven. 7/10/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Premettiamo agli esercizi la definizione di funzione derivabile in un punto gia introdottaa lezione: una funzione f : A → R e derivabile in un punto x0 ∈ A ∩ A′ se esiste ϕ(x)continua in x0 tale che

(20.1) f(x)− f(x0) = ϕ(x)(x− x0) , ∀x ∈ A ,

e il valore della derivata in x0 e

(20.2) f ′(x0) = ϕ(x0) .

Esercizio. Provare che la funzione sen3x e derivabile e calcolarne la derivata.

Svolgimento. Fissiamo un arbitrario x0 ∈ R e proviamo ad applicare la definizione diderivata alla funzione in oggetto:

sen3x− sen3x0 = (senx− senx0)(sen2x+ senx senx0 + sen2x0)

= ϕ(x)(x− x0)(sen2x+ senx senx0 + sen2x0) .

La seconda uguaglianza e giustificata dal fatto che la funzione seno e derivabile in x0 ∈ R,e quindi per questa funzione vale la (20.1), con ϕ(x) continua in x0. Ponendo adesso

ω(x) = ϕ(x)(sen2x+ senx senx0 + sen2x0)

si ottienesen3x− sen3x0 = ω(x)(x− x0) ,

con ω(x) continua in x0 perche somma e prodotto di funzioni continue in x0. Quindi sen3xe derivabile in x0. Inoltre, per la (20.2), risulta

f ′(x0) = ω(x0) = ϕ(x0)(sen2x0 + senx0 senx0 + sen2x0) = 3 cosx0 sen2x0 ,

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e per l’arbitrarieta di x0 si ottiene

D(sen3x) = 3 cosx sen2x .

Un metodo alternativo, e probabilmente piu veloce, per risolvere l’esercizio e quello diconsiderare la funzione sen3x come prodotto di funzioni derivabili. Cioe

sen3x = senx senx senx .

La derivabilita su R e quindi assicurata dalla derivabilita della funzione seno, e dalle regolesulla derivazione di un prodotto. Si ha infatti

D sen3x = D(senx sen2x) = (D senx) sen2x+ senx (D sen2x)

= cosx sen2x+ senx(2 senx cosx) = 3 sen2x cosx .

Cioe lo stesso risultato trovato in precedenza.

Un terzo metodo, ancor piu veloce, per risolvere l’esercizio e quello di considerare lafunzione sen3x come composizione di due funzioni: la prima ad ogni numero x associa ilnumero senx; la seconda eleva al cubo (i.e. y 7→ y3). Ricordando che Dy3 = 3y2, si ottiene

D sen3x = 3 sen2xD senx = 3 sen2x cosx .

Esercizio. Provare che la funzione sen2(x+ x3) e derivabile su R e calcolarne la derivata.

Svolgimento. Fissato un punto x0 ∈ R, si ha

sen2(x+ x3)− sen2(x0 + x30) = [sen(x+ x3)− sen(x0 + x3

0)][sen(x+ x3) + sen(x0 + x30)]

= ϕ(x0 + x30)(x+ x3 − x0 − x3

0)[sen(x+ x3) + sen(x0 + x30)]

= cos(x0 + x30)[(x− x0)(1 + x2 + xx0 + x2

0)][sen(x+ x3) + sen(x0 + x30)] .

Ponendo allora

ω(x) = cos(x0 + x30)(1 + x2 + xx0 + x2

0)[sen(x+ x3) + sen(x0 + x30)]

si ottienesen2(x+ x3)− sen2(x0 + x3

0) = ω(x)(x− x0) ,

con ω(x) continua in R perche prodotto di funzioni continue in R, e cio prova la derivabilitadella funzione in x0. Inoltre

f ′(x0) = ω(x0) = cos(x0 + x30)(1 + x2

0 + x0x0 + x20)[sen(x0 + x3

0) + sen(x0 + x30)]

= 2 cos(x0 + x30) sen(x0 + x3

0)(1 + 3x20) .

Da cui, per l’arbitrarieta di x0, si ottiene

D sen2(x+ x3) = 2 cos(x+ x3) sen(x+ x3)(1 + 3x2) .

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Anche in questo caso potevamo procedere in modo diverso osservando che

sen2(x+ x3) = (h◦g◦f)(x) con f : x 7→ x+ x3, g : y 7→ sen y, h : z 7→ z2.

La derivabilita di f , g ed h comporta la derivabilita della funzione in oggetto. Inoltre dallaregola di derivazione delle funzioni composte otteniamo

D sen2(x0 + x30) = h′(z0)g′(y0)f ′(x0) ,

dove si e posto y0 = f(x0) = x0 + x30 e z0 = g(y0) = sen y0 = sen(x0 + x3

0). Tenendoconto che f ′(x0) = 1 + 3x2

0, g′(y0) = cos y0 e h′(z0) = 2z0, arriviamo allo stesso risultato

ottenuto col metodo precedente.

Esercizio. Provare che la funzione coshx e derivabile su R e calcolarne la derivata.

Svolgimento. Il coseno iperbolico e definito come la semisomma di due funzioni derivabilisu tutto R, e da cio segue la sua derivabilita. Inoltre vale

Dex = ex e De−x = D1ex

= − ex

(ex)2= − 1

ex= −e−x ,

da cui

D coshx = Dex + e−x

2= D

ex − e−x

2= sinhx .

Esercizio. Calcolare la derivata della funzione

16(coshx sinhx)

3 coshxsinhx

− 12(sinhx)2.

Svolgimento. Operando le opportune semplificazioni otteniamo

D[16(coshx sinhx)

3 coshxsinhx

− 12(sinhx)2

]= D

[12(coshx)2 − 1

2(sinhx)2

]= D

12

= 0 .

21 - Ven. 7/10/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Data la funzione f : A→ R definita da

f(x) = x4 − 43x3 + 2 con A = {−2} ∪ [−4

3, 2] ∪ {3} ,

si determini:(i) il derivato A′ di A;

(ii) l’interno di A;(iii) la frontiera di A;(iv) i punti estremanti di f .

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Svolgimento. Risulta:(i) A′ = [−4

3 , 2], (ii) A = (−43 , 2), (iii) ∂A = {−2,−4

3 , 2, 3}.

(iv) La funzione e continua e quindi, per il Teorema di Weierstrass, deve avere (almeno)un punto di minimo assoluto e (almeno) un punto di massimo assoluto (si osservi che edefinita nell’unione di tre intervalli limitati e chiusi). Per il teorema di Fermat, i puntiestremanti di f vanno cercati in A∩ ∂A, nei punti di A dove si annulla la derivata di f , enei punti interni ad A in cui f non e derivabile (che in questo caso non ci sono). Risulta:

f(−2) = 86/3 , f(−4/3) = 674/81 , f(2) = 22/3 , f(3) = 47 .

Inoltre

f ′(x) = 4x3 − 4x2 = 4x2(x− 1) =⇒ f ′(x) = 0 se x = 0 oppure x = 1 ,

e si ha f(0) = 2, f(1) = 5/3. Quindi la funzione ha un massimo assoluto in 3, ed unminimo assoluto in 1. Puo essere interessante pero vedere se gli altri punti determinatisono estremanti relativi. Ovviamente non guarderemo i punti isolati di A, che soddisfanosicuramente alla definizione di estremante relativo (verificare per esercizio), e sono con-temporaneamente massimi e minimi relativi, ma studieremo se 0 e un punto estremante.Trascuriamo, per ora, l’analisi del comportamento di f nei punti di frontiera −4/3 e 2.Come vedremo in una prossima lezione, dal fatto che la derivata di f in quei punti ediversa da zero si dedurra che sono estremanti.

Se f ha un minimo (massimo) relativo in x0 = 0, deve esistere un δ > 0 tale che

f(x) ≥ f(0) (f(x) ≤ f(0)) , ∀x ∈ (−δ, δ) ∩A .

Mostriamo che un tale δ non esiste. Cioe mostriamo che, qualunque sia δ > 0, l’incremento

∆f = f(x)− f(0)

cambia segno nell’intorno (−δ, δ)∩A (relativo ad A) di centro x = 0 e raggio δ (ricordarsiche la negazione della proposizione “esiste una pecora bianca” e “ogni pecora e non bian-ca”). Fissiamo quindi un qualunque δ > 0. Scegliendo ε tale che 0 < ε < min{δ, 4/3},risulta

f(ε)− f(0) = ε3(ε− 43) < 0 ,

in quanto prodotto fra una quantita negativa ed una positiva. Inoltre

f(−ε)− f(0) = (−ε)3(−ε− 43) > 0 ,

in quanto prodotto fra due quantita negative. Da cui segue che in 0 la funzione f non haun estremo relativo (cioe 0 non e un punto estremante per f).

Esercizio. Data la funzione f : (0,+∞) → R definita da f(x) = x2 − 8 lnx, se nedeterminino i punti estremanti.

Svolgimento.

f ′(x) = 2x− 8x

=⇒ f ′(x) = 0 solo se x = 2.

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Risulta f(2) = 4− 8 ln 2 < 0. Consideriamo l’intervallo chiuso [1, 3] e osserviamo che, peril Teorema di Weierstrass, la restrizione f1 della f a tale intervallo deve avere (almeno) unpunto di minimo (assoluto) e (almeno) un punto di massimo (assoluto). Per il teorema diFermat, gli unici candidati ad essere estremanti per la funzione f1 sono i punti di frontiera1 e 3, e il punto interno 2 in cui si annulla la derivata. Un confronto tra i valori f(1) > 0,f(2) < 0 e f(3) > 0, ci assicura che il punto 2 e di minimo assoluto per f1, e cio implicache sicuramente e di minimo relativo per f (e infatti di minimo assoluto per la restrizionedi f ad un intorno di 2). Con un altro metodo che vedremo in seguito (i.e. mediante lostudio del segno della derivata) e possibile provare che tale punto e addirittura di minimoassoluto per f .

Esercizio. Determinare i punti estremanti della funzione f(x) = x3 − 3x+ 2.

Suggerimento. Si verifichi, applicando la definizione, che i punti in cui si annulla la derivatasono estremanti relativi.

22 - Mar. 11/10/05

Teorema di Rolle. Sia f : [a, b] → R una funzione soddisfacente le seguenti condizioni:(1) f e continua in [a, b];(2) f e derivabile in (a, b);(3) f(a) = f(b).

Allora esiste un punto c ∈ (a, b) tale che f ′(c) = 0.

Dimostrazione. Poiche f e continua in un intervallo limitato e chiuso, per il Teorema diWeierstrass ammette minimo e massimo assoluti. Esistono cioe (almeno) due punti c1 ec2 in [a, b] per i quali risulta f(c1) ≤ f(x) ≤ f(c2) per ogni x ∈ [a, b]. Se uno dei duepunti, ad esempio c = c1, e interno all’intervallo [a, b], allora, essendo f derivabile in talpunto, dal Teorema di Fermat segue f ′(c) = 0 (e la tesi, in questo caso, e dimostrata). Se,invece, nessuno dei due punti e interno ad [a, b], allora sono entrambi di frontiera per [a, b],e quindi, per l’ipotesi (3) si ha f(c1) = f(c2). Pertanto, essendo f(c1) ≤ f(x) ≤ f(c2), lafunzione risulta costante e, di conseguenza, la derivata e nulla in ogni punto c ∈ (a, b).

I seguenti esempi mostrano che nessuna delle tre ipotesi del Teorema di Rolle puo essererimossa, ferme restando le altre due.

Esempio. La funzione f(x) = |x| e continua in [−1, 1] e f(−1) = f(1), ma la sua derivatanon si annulla mai in (−1, 1). Perche non si puo applicare il Teorema di Rolle?

Esempio. La funzione f(x) = x−[x] e definita in [0, 1], e derivabile in (0, 1) e f(0) = f(1).Tuttavia la sua derivata non si annulla mai in (0, 1). Come mai?

Esempio. La funzione f(x) = x e derivabile in [0, 1] (quindi anche continua), sebbene lasua derivata non si annulli mai in (0, 1). C’e un motivo?

23 - Mar. 11/10/05

Il seguente risultato e un’importante estensione del Teorema di Rolle, nonche una sua

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facile conseguenza.

Teorema di Lagrange (o del valor medio). Sia f : [a, b] → R una funzione soddisfacentele seguenti condizioni:

(1) f e continua in [a, b];(2) f e derivabile in (a, b).

Allora esiste un punto c ∈ (a, b) tale che

f ′(c) =f(b)− f(a)

b− a.

Dimostrazione. Definiamo una nuova funzione

ϕ(x) := f(x)− kx ,

determinando la costante k in modo che ϕ soddisfi (in [a, b]) le ipotesi del Teorema di Rolle.Le prime due sono ovviamente verificate qualunque sia la costante k. E facile mostrareche l’unica costante che rende ϕ(a) = ϕ(b) e

k =f(b)− f(a)

b− a.

Per il Teorema di Rolle esiste c ∈ (a, b) tale che ϕ′(c) = 0, e la tesi segue immediatamenteosservando che ϕ′(x) = f ′(x)− k.

Dati due arbitrari punti a, b ∈ R, l’intervallo che ha per estremi tali punti si chiamasegmento di estremi a e b e si denota con ab. In altre parole: ab = [a, b] se a < b, ab = {a}se a = b e ab = [b, a] se a > b.

Esercizio. Dedurre dal Teorema di Lagrange che se f e derivabile in un intervallo J ,allora, dati x1, x2 ∈ J , esiste un punto c ∈ x1x2 tale che f(x2)− f(x1) = f ′(c)(x2 − x1).

Diamo ora alcune importanti conseguenze del Teorema di Lagrange.

Corollario. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J e tale che f ′(x) ≥ 0 (risp.f ′(x) ≤ 0) per ogni x ∈ J . Allora f e crescente (risp. decrescente) in J .

Dimostrazione. Siano x1, x2 ∈ J tali che x1 < x2. Per il Teorema di Lagrange esisteun punto c ∈ (x1, x2) per cui f(x2) − f(x1) = f ′(c)(x2 − x1). Poiche f ′(c) ≥ 0, si haf(x1) ≤ f(x2).

Esercizio fac. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J . Provare che la condizione“f ′(x) ≥ 0, ∀x ∈ J” non e soltanto sufficiente, ma anche necessaria affinche f sia crescentein J .Suggerimento. Osservare che se f e crescente allora, fissato x0 ∈ J , risulta

ϕ(x) =f(x)− f(x0)

x− x0≥ 0 , ∀ x ∈ J, x 6= x0,

e quindi non puo essere f ′(x0) < 0, altrimenti, per il teorema della permanenza del segnoper le funzioni continue . . .

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Corollario. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J e tale che f ′(x) > 0 (risp. f ′(x) <0) per ogni x ∈ J . Allora f e strettamente crescente (risp. strettamente decrescente) in J .

Dimostrazione. E analoga a quella del precedente corollario.

Esercizio. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J . Mostrare, con un esempio, chela condizione “f ′(x) > 0 per ogni x ∈ J” non e necessaria affinche f sia strettamentecrescente in J (e soltanto sufficiente).

Si potrebbe provare fac, mediante il Teorema di Lagrange, che una condizione necessaria esufficiente affinche una funzione f : J → R, derivabile in un intervallo J , sia strettamentecrescente e che siano soddisfatte le seguenti due condizioni (verificate, ad esempio, dallafunzione f(x) = x3):

• f ′(x) ≥ 0 per ogni x ∈ J ;• in ogni sottointervallo non banale di J esiste almeno un punto c in cui f ′(c) > 0.

Corollario. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J e tale che f ′(x) = 0 per ognix ∈ J . Allora f e costante in J .

Dimostrazione. E analoga a quella del precedente corollario.

Osservazione. Nei tre precedenti corollari, l’ipotesi che f sia definita in un intervallonon puo essere rimossa. Ad esempio, per quanto riguarda l’ultimo dei tre, si osservi chela funzione f(x) = |x|/x e derivabile nel suo dominio R\{0}, ha derivata nulla, ma non ecostante (lo e in ogni sottointervallo del dominio).

Esercizio. Denotiamo con f(x) la restrizione di |x3 + 1| all’intervallo [−2, 1]. Dopo avertrovato i punti estremanti di tale restrizione, se ne determini l’immagine.

Svolgimento. Innanzitutto osserviamo che f e continua in un intervallo compatto (cioelimitato e chiuso). Pertanto, per il Teorema di Weierstrass, ammette minimo e massimoassoluti. Inoltre, essendo definita in un intervallo, per il teorema dei valori intermedi, la suaimmagine e un intervallo (necessariamente limitato e chiuso, dato che f ammette minimoe massimo). Per trovare i punti estremanti (relativi e assoluti) conviene suddividere ildominio di f in intervalli in cui risulta monotona. Studiamo percio il segno della suaderivata. Poiche

f(x) =

−x3 − 1 se −2 ≤ x ≤ −1

x3 + 1 se −1 ≤ x ≤ 1 ,

risulta

f ′(x) =

−3x2 se −2 < x < −1

3x2 se −1 < x < 1 .

Quindi f(x) e decrescente nell’intervallo [−2,−1] ed e crescente in [−1, 1]. Da cui si deduceche x = −2 e x = 1 sono punti di massimo e x = −1 e un punto di minimo. Calcolando ivalori di f(x) in detti punti si puo affermare che il valore massimo di f e 7 ed e assuntoin x = −2, mentre il minimo vale 0 ed e assunto nel punto x = −1. In base al teorema deivalori intermedi si puo concludere che l’immagine di f e l’intervallo [0, 7].

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Esercizio. Rispondere alla seguente domanda: per quali valori del parametro λ l’equazione|x3 + 1|+ 2λ = 0 ammette almeno una soluzione nell’intervallo [−2, 1]?

Svolgimento. Si osservi che l’equazione |x3 +1|+2λ = 0 ammette almeno una soluzione in[−2, 1] se e solo se il numero −2λ appartiene all’insieme dei valori assunti dalla funzione|x3 + 1| nell’intervallo [−2, 1], cioe se e solo se −2λ sta nell’immagine della funzione f(x)definita nel precedente esercizio. Pertanto la suddetta equazione ammette una soluzionein [−2, 1] se e solo se 0 ≤ −2λ ≤ 7, da cui si ricava (moltiplicando i tre membri delladoppia disequazione per −1/2) che 0 ≥ λ ≥ −7/2 (ovvero λ ∈ [−7/2, 0]).

Esercizio. Determinare i punti estremanti delle seguenti funzioni: xe−x, |x|e−x, |x| − x2.

Suggerimento. Suddividere il dominio di ciascuna funzione in intervalli in cui risultamonotona.

Esercizio. Determinare i punti estremanti della restrizione di |x|e−x all’intervallo [−1, 2].

Suggerimento. Suddividere il dominio della funzione in intervalli in cui risulta monotona.

Esercizio. Determinare i punti estremanti della restrizione della funzione |x + 1| all’in-tervallo [−2, 2]. Si osservi che per il Teorema di Weierstrass tale restrizione deve averealmeno due punti estremanti.

24 - Ven. 14/10/05

Teorema. Sia f : [a, b] → R derivabile nell’estremo a del suo dominio [a, b]. Se f ′(a) > 0(risp. f ′(a) < 0), allora a e un punto di minimo (risp. massimo) relativo. Analogamente,se f e derivabile in b e f ′(b) > 0 (risp. f ′(b) < 0), allora b e un punto di massimo (risp.minimo) relativo.

Dimostrazione. Proviamo il caso “f ′(a) > 0” (gli altri tre si provano in modo analogo).Per ipotesi esiste una funzione ϕ(x) continua in a e tale che f(x) − f(a) = ϕ(x)(x − a),∀x ∈ [a, b]. Per il teorema della permanenza del segno (per funzioni continue) esiste unintorno U = (a− δ, a+ δ) di a tale che per ogni x ∈ U ∩ [a, b] si ha ϕ(x) > 0. Pertanto, sex ∈ U ∩ [a, b], si ottiene

∆f = f(x)− f(a) = ϕ(x)(x− a) ≥ 0 ,

essendo x− a ≥ 0.

Osserviamo che il suddetto teorema rappresenta (soltanto) una condizione sufficiente af-finche un punto sia estremante, mentre il teorema di Fermat da (soltanto) una condizionenecessaria.

Esempio. La funzione f : [0, 1] → R, definita da f(x) = x2, mostra che la condizione“f ′(a) > 0” del precedente teorema non e necessaria affinche il punto a sia di minimo.Si invitano gli studenti a dedurre (dal suddetto teorema) che una condizione necessaria(nell’ipotesi che f sia derivabile nell’estremo a del dominio [a, b]) e la seguente: “f ′(a) ≥ 0”.

Teorema (della derivata di una funzione inversa). Sia f : J → R una funzione stretta-mente monotona in un intervallo. Se f e derivabile in un punto x0 ∈ J e f ′(x0) 6= 0,

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allora f−1 e derivabile in y0 = f(x0) e

(f−1)′(y0) =1

f ′(x0)=

1f ′(f−1(y0))

.

Dimostrazione fac. Essendo f derivabile in x0, esiste ϕ : J → R continua in x0 e tale chef(x)− f(x0) = ϕ(x)(x− x0) per ogni x ∈ J . Poiche (per definizione di funzione inversa)risulta f−1(y) ∈ J per ogni y ∈ f(J), ponendo nella suddetta uguaglianza f−1(y) al postodi x (e tenendo conto che x0 = f−1(y0) ), si ottiene

f(f−1(y))− f(f−1(y0)) = ϕ(f−1(y))(f−1(y)− f−1(y0));

che possiamo scrivere nella forma

y − y0 = ϕ(f−1(y))(f−1(y)− f−1(y0)).

Di conseguenza, se y 6= y0, si ha necessariamente ϕ(f−1(y)) 6= 0, ed avendo inoltresupposto ϕ(f−1(y0)) = ϕ(x0) = f ′(x0) 6= 0, si ottiene l’uguaglianza

f−1(y)− f−1(y0) =1

ϕ(f−1(y))(y − y0), ∀ y ∈ f(J).

Osserviamo ora che f−1 : f(J) → R e continua, visto che e monotona ed ha per immaginel’intervallo J . Risulta quindi continua in y0 anche la funzione 1/(ϕ◦f−1). Questo provache f−1 e derivabile in y0 e

(f−1)′(y0) =1

ϕ(f−1(y0))=

1f ′(x0)

.

Esempio. Calcoliamo la derivata nel punto y0 = 2 della funzione inversa di f(x) =log x+ 2x (notiamo che f e strettamente crescente nell’intervallo (0,+∞) e quindi esistela sua funzione inversa). Dal teorema precedente si ha

(f−1)′(2) =1

f ′(x0)=

11/x0 + 2

,

dove x0 = f−1(2). Occorre quindi trovare x0, cioe risolvere l’equazione f(x) = 2. Ingenerale un’equazione del tipo f(x) = y0 si risolve con metodi numerici (ad esempio colmetodo delle bisezioni), ma nel nostro caso si vede subito che x0 = 1 e l’unica soluzionedell’equazione log x+ 2x = 2 (l’unicita dipende dalla stretta crescenza di f). Pertanto

(f−1)′(2) = 1/3 .

Come applicazione del teorema della derivata di una funzione inversa, mostriamo chearctang y e derivabile e si ha

D arctang y =1

1 + y2.

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Fissato un punto y0 ∈ R, dal suddetto teorema segue

D arctang y0 =1

D tang x0=

11 + tang2 x0

,

dove x0 = arctang y0 (o, equivalentemente, tang x0 = y0). Dunque

D arctang y0 =1

1 + tang2 x0=

11 + y2

0

.

Esercizio fac. Sia f : J → R una funzione strettamente monotona in un intervallo. Provareche se f e derivabile in un punto x0 ∈ J e f ′(x0) = 0 (come nel caso di f(x) = x3 e x0 = 0),allora f−1 non e derivabile in y0 = f(x0).

Suggerimento. Procedere per assurdo, tenendo conto dell’uguaglianza f−1(f(x)) = x.

Esercizio. Dal teorema della derivata di una funzione inversa dedurre che la funzione√y

e derivabile in (0,+∞) e si ha

D√y =

12√y, ∀ y > 0 .

Esercizio. Dal teorema della derivata di una funzione inversa dedurre che la funzione 3√y

e derivabile in R\{0} e si ha

D 3√y =

1

3 3√y2, ∀ y 6= 0 .

Esercizio. Dal teorema della derivata di una funzione inversa dedurre che le funzioniarcsen y e arccos y sono derivabili in (−1, 1) e risulta

D arcsen y =1√

1− y2, ∀ y ∈ (−1, 1) e D arccos y =

−1√1− y2

, ∀ y ∈ (−1, 1).

Esercizio. Sapendo che D log x = 1/x (lo vedremo subito dopo aver definito la funzio-ne logaritmica) provare (mediante il teorema della derivata di una funzione inversa) cheD exp y = exp y.

25 - Ven. 14/10/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Determinare i punti estremanti della funzione f(x) = xe−x.

Svolgimento. La funzione f e continua e derivabile in R, in quanto prodotto di funzionicontinue e derivabili. In questo caso, per il Teorema di Fermat, condizione necessaria (manon sufficiente) affinche f abbia un punto estremante e che in quel punto si annulli la suaderivata. Risulta

f ′(x) = e−x − xe−x = e−x(1− x) =⇒ f ′(x) = 0 ⇐⇒ x = 1.

Inoltref ′(x) > 0 se x < 1 e f ′(x) < 0 se x > 1.

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Pertanto f e (strettamente) crescente in (−∞, 1] e (strettamente) decrescente in [1,+∞).Cio ci assicura che f ha un massimo in x = 1.

Esercizio. Determinare i punti estremanti della funzione f(x) = |x| − x2.

Svolgimento. Osserviamo che f(x) = f(−x), ∀x ∈ R. Quindi la funzione e pari. Limi-tiamoci inizialmente a studiarla nell’insieme R+

0 = R+ ∪ {0}. In tale insieme possiamoscrivere f(x) = x − x2 con f funzione continua e derivabile in tutto il “nuovo” dominio.Risulta che

f ′(x) = 1− 2x =⇒ f ′(x) = 0 ⇐⇒ x =12.

Inoltref ′(x) > 0 se x ∈ [0,

12) e f ′(x) < 0 se x >

12.

Quindi f ha un massimo in x = 1/2. Estendendo il risultato a tutto R risulta, persimmetria, che f ha un massimo in −1/2. Inoltre e crescente in [0, 1/2] ed e decrescentein [−1/2, 0]. Quindi f ha un minimo relativo in 0.Per esercizio si verifichi che: 1) Il fatto che f abbia un minimo in 0 non contraddice ilteorema di Fermat; 2) f ha un minimo “solo” relativo in 0 mentre ha massimi assoluti inx = 1/2 e x = −1/2.

Esercizio. Fra tutti i rettangoli di prefissato perimetro 2p, si determini quello di areamassima.

Svolgimento. Si indichi con x la misura di un lato del rettangolo. Risulta allora che l’altrolato misura p−x. Si indichi allora con f la funzione che associa ad x l’area di un rettangolodi perimetro 2p e lato x. Risulta

f(x) = x(p− x).

Ovviamente f e definita nell’insieme chiuso e limitato [0, p], e si ha

f(x) > 0 se x ∈ (0, p) e f(x) = 0 se x = 0 oppure x = p

(geometricamente significa che l’area di un rettangolo e sempre positiva, eccetto quandoil rettangolo “degenera” in un segmento. In tal caso l’area e zero). Risulta

f ′(x) = p− 2x =⇒ f ′(x) = 0 ⇐⇒ x =p

2.

Quindi, senza bisogno di studiare il segno di f ′, possiamo affermare che f ha un massimoin x = p/2.Per esercizio si dettagli meglio la precedente affermazione tenendo conto che:• f e continua in un intervallo chiuso e limitato;• f e non negativa e si annulla agli estremi del suo dominio;• f ′ si annulla solo in x = p/2.Geometricamente significa che, fra tutti i rettangoli di perimetro fissato, quello avente areamassima e il quadrato (ricordarsi che abbiamo denotato con 2p il perimetro).

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26 - Ven. 14/10/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Si provi che il Teorema di Weierstrass, valido (nella versione classica) perfunzioni continue su un intervallo chiuso e limitato, puo essere esteso a funzioni continuesu un’unione finita di intervalli chiusi e limitati.

Svolgimento. Sia f una funzione continua in un insieme A unione di intervalli chiusi elimitati A1, A2, . . . , An. Denotiamo, rispettivamente, con m1,m2, . . . ,mn i (valori) minimiassunti da f negli intervalli A1, A2, . . . , An. Dunque, il minimo assoluto di f in A em = min{m1,m2, . . . ,mn}, ed e assunto in ciascuno degli intervalli Ai tali che m = mi

(almeno un intervallo esiste, ma non e detto che sia unico). In modo analogo si prova chef ammette massimo assoluto.

Esercizio. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J . Provare che f e strettamentecrescente se e solo se valgono le seguenti condizioni:(1) f ′(x) ≥ 0, ∀x ∈ J ;(2) in qualunque sottointervallo non banale di J , esiste un punto c tale che f ′(c) > 0.

Svolgimento.(Solo se) Proviamo che le condizioni (1) e (2) sono necessarie per la stretta crescenza dellaf . Supponiamo quindi f strettamente crescente. Poiche f e derivabile in J , fissato x0 ∈ J ,esiste ϕ : J → R continua in x0 e tale che

f(x)− f(x0) = ϕ(x)(x− x0), ∀x ∈ J,

ed essendo f strettamente crescente, si ha

(25.1) ϕ(x) =f(x)− f(x0)

x− x0> 0, ∀x ∈ J\{x0}.

Ne consegue, per il teorema di permanenza del segno (per funzioni continue), che

f ′(x0) = ϕ(x0) ≥ 0 .

Infatti, se fosse ϕ(x0) < 0, ϕ(x) dovrebbe essere negativa in un intorno di x0, e cio e incontrasto con la (25.1). Dall’arbitrarieta di x0 segue la (1).Scegliamo ora un qualunque intervallo non banale [x1, x2] ⊆ J . Per il Teorema di Lagrangeesiste un c ∈ (x1, x2) tale che

f(x2)− f(x1)x2 − x1

= f ′(c) ,

ed essendo il primo termine maggiore di zero (per la “stretta crescenza” di f), lo saraanche f ′(c), che prova la (2).

(Se) Proviamo adesso la sufficienza, cioe che se le condizioni (1) e (2) sono verificate, alloraf e strettamente crescente. Innanzi tutto sappiamo che la (1) implica la crescenza dellaf . Quindi, se per assurdo f non fosse strettamente crescente, sarebbe necessariamentecostante in qualche intervallo non banale e, di conseguenza, in tutti i punti di tale intervallola derivata di f sarebbe nulla, contraddicendo la (2).

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Esercizio. Sia f : R → R cosı definita:

f(x) = 3 coshx+ 8(sinh

x

3

)2+

173x− 4

si provi che:(i) esiste un punto c ∈ [−5, 5] tale che f ′(c) = 17/3;

(ii) f ′(0) = 17/3.

Svolgimento. Osserviamo che f e derivabile (e quindi anche continua) su tutto R, in quantosomma di prodotti di funzioni derivabili. Si ponga adesso

g(x) = 3 coshx+ 8(sinhx

3)2 − 4 .

Ovviamente g ha la stessa regolarita di f su tutto R, e quindi, in particolare, nell’intervallo[−5, 5]. Risulta che

(25.2) f(x) = g(x) +173x .

Osserviamo che

cosh(−x) =e−x + e−(−x)

2=ex + e−x

2= coshx .

Quindi il coseno iperbolico e una funzione pari. Inoltre

sinh(−x) =e−x − e−(−x)

2=e−x − ex

2= − sinhx ,

per cui il seno iperbolico e dispari. Ma

(sinh(−x))2 = (− sinh(x))2 = (sinh(x))2 ,

e pertanto il seno iperbolico al quadrato e una funzione pari. Ne consegue che g e sommadi funzioni pari e quindi e pari a sua volta. Quindi g(x) = g(−x) per ogni x ∈ R e, inparticolare, g(5) = g(−5). Sono allora verificate tutte le ipotesi del Teorema di Rolle perla funzione g in [−5, 5], e quindi esiste un c ∈ (−5, 5) tale che g′(c) = 0. Per la (25.2)segue che

f ′(x) = g′(x) +173,

da cui f ′(c) = 17/3, che conclude il punto (i).Provare la (ii) e equivalente a dimostrare che g′(0) = 0, con g definita come al puntoprecedente. Supponiamo per assurdo g′(0) = L 6= 0, e fissiamo ε = |L| (quindi ε > 0).Dal momento che g′ e continua in 0, esiste δ > 0 tale che

|g′(0)− g′(x)| < ε, ∀x ∈ [−δ, δ].

Ma per la funzione g, nell’intervallo [−δ, δ] sussistono tutte le ipotesi del Teorema di Rolle,per cui esiste un c ∈ (−δ, δ) tale che g′(c) = 0. Allora risulta

|L| = |g′(0)| = |g′(0)− g′(c)| < ε = |L|,

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che rappresenta ovviamente un assurdo, derivato dall’aver posto g′(0) 6= 0. Di conseguenzag′(0) = 0, che completa la dimostrazione.

27 - Mar. 18/10/05

Definizione (di intorno laterale) Dato un punto x0 ∈ R e assegnato un numero δ > 0,l’intorno sinistro (risp. l’intorno destro) di x0 di raggio δ e l’intervallo (x0 − δ, x0] (risp.[x0, x0 + δ)) costituito dai punti x ≤ x0 (risp. x ≥ x0) che distano da x0 meno di δ.

Esercizio. Sia x0 un punto interno ad una funzione f : A → R. Supponiamo che f siadecrescente in un intorno sinistro di x0 e crescente in un intorno destro di x0. Provareche x0 e un punto di minimo relativo per f (n.b. x0 appartiene sia all’intorno sinistro siaall’intorno destro).

Definizione (di punto di accumulazione sinistro). Dato un insieme A ⊆ R e dato unnumero reale x0 (non necessariamente appartenente ad A), si dice che x0 e un punto diaccumulazione sinistro per A se ogni intorno sinistro di x0 contiene infiniti punti di A (o,equivalentemente, se x0 e un punto di accumulazione per l’insieme (−∞, x0] ∩A).

Esercizio. Definire la nozione di punto di accumulazione destro.

Osservazione. I punti interni ad un insieme sono di accumulazione sia sinistri sia destri.

Esercizio. Determinare i punti di accumulazione sinistri (destri) per i seguenti insiemi:[1, 3], (1, 3), R\{0}, N, {1/n : n ∈ N}.

Definizione (di derivata laterale). Data una funzione f : A→ R e dato un punto x0 ∈ Adi accumulazione sinistro per A, la derivata (laterale) sinistra di f in x0 e (quando esiste)la derivata in x0 della restrizione di f all’insieme (−∞, x0]∩A. Tale derivata si denota conD−f(x0) o con f ′−(x0). In modo analogo (purche x0, oltre che appartenere ad A, sia diaccumulazione destro per A) si definisce la derivata (laterale) destra di f in x0, denotataD+f(x0) o f ′+(x0).

Esercizio. Provare che se f : A → R e derivabile in un punto x0 interno ad A, alloraesistono D−f(x0) e D+f(x0) e coincidono con Df(x0).

Si osservi che se due funzioni f e g coincidono in un intorno sinistro (risp. destro) di x0 (x0

incluso), allora hanno la stessa derivata sinistra (risp. destra) in x0 (ammesso che esista).Quindi, se g e addirittura derivabile in x0, allora esiste la derivata sinistra di f in x0 erisulta D−f(x0) = g′(x0). Ad esempio, per f(x) = |x| − x|x| si ha D−f(0) = −1, percheper x ≤ 0 la funzione f(x) coincide con la funzione derivabile g(x) = x2−x la cui derivatanel punto x0 = 0 e −1.

Esercizio fac. Provare che una funzione f e derivabile in un punto x0 interno al dominio se(quindi anche solo se, in base all’esercizio precedente) entrambe le derivate laterali esistonoe sono uguali.

Un punto si dice angoloso per una funzione se in tal punto la funzione e derivabile siaa sinistra sia a destra ma le derivate laterali sono diverse. In particolare, una funzione

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in un punto angoloso non e derivabile (ma non e difficile provare che e necessariamentecontinua).

Esercizio. Determinare i punti angolosi della funzione f(x) = |x2 − 1| e provare che talipunti sono di minimo.

28 - Mar. 18/10/05

La derivata della derivata di una funzione f si chiama derivata seconda di f e si indicacon f ′′, con D2f o con

d

dx

(df

dx

)=d2f

dx2.

In generale, la derivata della derivata (n − 1)-esima di f si chiama derivata n-esima e sidenota con f (n), con Dnf o con

d

dx

(dn−1f

dx

)=dnf

dxn.

Definizione. Una funzione f si dice di classe C0 se e continua. Si dice di classe C1 (o cheappartiene alla classe C1) se e derivabile e la sua derivata e di classe C0. Piu in generale,f e (di classe) Cn, n ∈ N, se e derivabile e la sua derivata prima e Cn−1. Si dice infine chef e (di classe) C∞ se e Cn per ogni n ∈ N. Per indicare che f e di classe Cn (risp. C∞)si scrive f ∈ Cn (risp. f ∈ C∞).

Abbiamo visto che le funzioni derivabili sono anche continue, pertanto, se f e C1, essendoderivabile, e anche di classe C0. Piu in generale vale il seguente risultato (per provarlooccorre il Principio di Induzione, che vedremo in seguito):

Lemma. Se f e Cn allora e anche Cn−1.

Dimostrazione fac.Indichiamo con Pn la proposizione “Cn =⇒ Cn−1 ”. Abbiamo appena osservato che P1

e vera. Procediamo per induzione: supponiamo, per ipotesi induttiva, che sia vera Pn−1

e deduciamo da tale ipotesi che e vera anche Pn. Supponiamo quindi che f sia Cn, ossiache f ′ sia Cn−1. Dall’ipotesi induttiva si deduce che f ′ e anche Cn−2, e quindi f e Cn−1

(per definizione di Cn−1).

Per meglio comprendere il concetto di funzione di classe Cn, osserviamo che se f ∈ Cn,allora f ′, essendo di classe Cn−1, e ancora derivabile e la sua derivata, f ′′, e di classe Cn−2,e cosı via fino ad arrivare alla derivata n-esima di f , che deve esistere e risultare continua.In altre parole, possiamo affermare che f e Cn se (e solo se) e derivabile n volte e la suaderivata n-esima e continua (una dimostrazione rigorosa di tale affermazione richiede ilPrincipio di Induzione).

Teorema (di regolarita delle funzioni combinate). La somma, il prodotto, il quoziente ela composizione di funzioni di classe Cn (C∞), e ancora una funzione di classe Cn (C∞).

Dimostrazione fac.

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(Somma) Sia Pn la proposizione “ f, g ∈ Cn =⇒ (f + g) ∈ Cn ”. Dal teorema delladerivata della somma si ha (f + g)′ = f ′ + g′, e questo implica immediatamente che P1

e vera. Assumiamo vera Pn−1 e dimostriamo che allora e vera anche Pn. Supponiamoquindi che f, g ∈ Cn (ovvero che f ′, g′ ∈ Cn−1) e mostriamo che (f + g) ∈ Cn (ossia che(f + g)′ ∈ Cn−1). Poiche (f + g)′ = f ′ + g′, dall’ipotesi induttiva si ha (f + g)′ ∈ Cn−1,che per definizione significa (f + g) ∈ Cn.

(Prodotto) Analogamente alla dimostrazione precedente denotiamo con Pn la proposizione“ f, g ∈ Cn =⇒ fg ∈ Cn ”. Dal teorema della derivata del prodotto si ha (fg)′ = f ′g+g′f ,e questo implica che P1 e vera. Assumiamo (per ipotesi induttiva) vera Pn−1 e supponiamoche f, g ∈ Cn. Vogliamo provare che il prodotto fg e di classe Cn, ovvero che la funzione(fg)′, che coincide con f ′g + g′f , e di classe Cn−1. Questo segue facilmente dal lemmaprecedente, dall’ipotesi induttiva, e da quanto gia provato per la somma.

(Quoziente) La dimostrazione e simile alle due precedenti ed e lasciata per esercizio allostudente.

(Composizione) La dimostrazione e basata sulla formula della derivata di una funzionecomposta: (g◦f)′(x) = g′(f(x))f ′(x). Questa ci dice che (g◦f)′ e prodotto e composizione difunzioni di una classe inferiore di un’unita rispetto a quella di appartenenza di f e g. Comeper i casi precedenti, si puo procedere per induzione denotando con Pn la proposizione“ f, g ∈ Cn =⇒ g◦f ∈ Cn ”.

Si osservi che le costanti e la funzione f(x) = x sono di classe C∞ (verificarlo per esercizio).Poiche il prodotto di funzioni C∞ e una funzione C∞, ogni monomio axn e una funzionedi classe C∞. Quindi, in base al precedente teorema, anche i polinomi sono di classe C∞,dato che si ottengono sommando monomi. Di conseguenza, anche le funzioni razionali,essendo rapporto di polinomi, sono C∞ (compresa la funzione f(x) = 1/x).

Esercizio. Mostrare che le funzioni senx, cosx, log x e ex sono di classe C∞.

Esercizio. Dedurre dall’esercizio precedente che la funzione tang x e di classe C∞.

Esercizio. Mostrare che la funzione |x| = x signx e C0 ma non C1.

Esercizio fac. Provare che la funzione x|x| = x2 signx e C1 ma non C2.

Suggerimento. Provare che la derivata di x|x| e 2|x| (anche nel punto x = 0) ed usarel’esercizio precedente (oltre alla definizione di funzione C2).

Esercizio fac. Provare che la funzione xn|x| e Cn ma non Cn+1.

Suggerimento. Provare che la derivata di xn|x| e (n+1)xn−1|x| (anche per x = 0) ed usareil principio di induzione).

Esercizio fac. Sia f : (a, b) → R di classe Cn e tale che f ′(x) > 0, ∀x ∈ (a, b). Provareche anche f−1 e di classe Cn.

Suggerimento. Denotare con Pn l’affermazione “f ∈ Cn =⇒ f−1 ∈ Cn ”; mostrare cheP0 e vera (per un importantissimo teorema); supporre Pn−1 vera per ipotesi induttivae dedurre che allora e vera anche Pn tramite la seguente formula della derivata di una

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funzione inversa:(f−1)′(y) =

1f ′(f−1(y))

.

29 - Gio. 20/10/05

Da ora in avanti, col simbolo ε(x) denoteremo una qualunque funzione continua e nullanel punto x = 0. Ovviamente, la variabile di detta funzione potra essere indicata con unaqualunque lettera (e non solo con x).

Riguardo al calcolo con funzioni del tipo ε(x) facciamo le seguenti osservazioni:• la somma (o la differenza) di due funzioni ε(x) e una funzione ε(x);• il prodotto di una funzione continua (nel punto x = 0) per una funzione ε(x) e una

funzione ε(x);• se f e continua in un punto x = x0, allora f(x0 + h) = f(x0) + ε(h) o, equivalente-

mente, f(x) = f(x0) + ε(x− x0);• se f(x) e una funzione continua e nulla in zero, allora la composizione ε(f(x)) e una

funzione ε(x);• se f(x) e una funzione continua e nulla in zero, allora la composizione f(ε(x)) e una

funzione ε(x).

Esercizio. Stabilire quali delle seguenti funzioni sono del tipo ε(x): x− cosx, 1− cosx,senx+ x2, x/(1 + x), |x|ex, ex, cosx− ex, sen3(x− x2), x2 − log(cosx), tang x.

Esercizio. Stabilire quali delle seguenti funzioni possono essere scritte nella forma ε(x)x:ε(x)x2, x− cosx, x3 cosx, x senx+ x2, x/(1 + x), |x|ex, x2ex, |x|xex.

Sia f : J → R definita in un intervallo J e derivabile in un punto x0 ∈ J . Per la definizionedi funzione derivabile, sappiamo che esiste ϕ : J → R continua in x0 e tale che

f(x)− f(x0) = ϕ(x)(x− x0) , ∀x ∈ J.

Denotando con h l’incremento x− x0 della variabile si ha l’uguaglianza

f(x0 + h) = f(x0) + ϕ(x0 + h)h ,

valida per ogni numero h ammissibile, cioe tale che x0 + h ∈ J .

Notiamo che ϕ(x0+h) = ϕ(x0)+ε(h), dove la funzione ε(h) := ϕ(x0+h)−ϕ(x0) e continuae nulla per h = 0. Quindi, tenendo conto che ϕ(x0) = f ′(x0) si ottiene l’uguaglianza

f(x0 + h) = f(x0) + f ′(x0)h+ ε(h)h ,

valida per ogni h ammissibile. Tale uguaglianza si chiama formula di Taylor del primoordine di f in x0 (col resto nella forma di Peano). Dato che h rappresenta l’incrementox− x0 della variabile, la stessa uguaglianza puo essere scritta anche nel modo seguente:

f(x) = f(x0) + f ′(x0)(x− x0) + ε(x− x0)(x− x0).

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Ovviamente, quando x0 = 0, e inutile porre h = x − x0: equivarrebbe a cambiare nomealla variabile x (non servirebbe a un tubo!). Quindi, se x0 = 0 si ottiene l’uguaglianza

f(x) = f(0) + f ′(0)x+ ε(x)x ,

detta formula di MacLaurin del primo ordine di f .

30 - Gio. 20/10/05

Definizione (di formula di Taylor). Siano J un intervallo, f : J → R una funzione realedi variabile reale e x0 un punto di J . La formula di Taylor di ordine n di f in x0 (colresto nella forma di Peano) e un’uguaglianza del tipo

f(x0 + h) = pn(h) + ε(h)hn,

dove pn(h) e un polinomio di grado minore o uguale ad n (nella variabile h), detto polinomiodi Taylor di ordine n di f in x0 (o di centro x0), e la funzione ε(h)hn, chiamata restodella formula, e il prodotto di hn per una funzione ε(h) continua in zero e nulla in zero.La formula di Taylor di centro x0 = 0 si dice anche di MacLaurin. In tal caso anche ilpolinomio e il resto si dicono di MacLaurin (oltre che di Taylor di centro zero).

Osservazione. Se f : J → R e continua in x0 ∈ J , allora risulta f(x0 +h) = f(x0)+ε(h),e tale uguaglianza rappresenta la formula di Taylor di f di ordine zero in x0.

Osservazione. La formula di Taylor di centro x0 di f(x) non e altro che la formula diMacLaurin della funzione g(h) := f(x0 + h).

Il polinomio di Taylor di ordine n di una funzione f avra la seguente espressione:

pn(h) = a0 + a1h+ a2h2 + · · ·+ anh

n,

dove a0, a1, . . . , an sono delle opportune costanti (che, come vedremo, sono univocamenteassociate ad f). Non e detto pero che il grado di pn(h) sia proprio n (lo e soltanto quandoan 6= 0). Non confondiamo quindi l’ordine di una formula di Taylor col grado del suopolinomio (che non deve superare l’ordine, ma puo essere anche minore). In altre parole,l’ordine di una formula di Taylor si giudica dal resto, e non dal polinomio. Ad esempio,vedremo in seguito che le uguaglianze

senx = x+ ε(x)x e senx = x+ ε(x)x2

sono entrambe vere. La prima e la formula di MacLaurin di senx del prim’ordine e laseconda e del second’ordine. Entrambe hanno lo stesso polinomio di MacLaurin, ma laseconda, ovviamente, da piu informazioni della prima. Ad esempio, ci dice che la funzione

f(x) =

{ senx− x

x2se x 6= 0

0 se x = 0

e del tipo ε(x), un’affermazione vera che non puo essere dedotta dalla prima formula (puressendo anch’essa vera).

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Attenzione: la formula di Taylor di una funzione non e un’approssimazione della funzio-ne, ma un’uguaglianza. Il polinomio di Taylor, invece, fornisce una buona approssimazionedella funzione in un intorno del centro (piu piccolo e l’intorno e piu elevato e il grado delpolinomio, migliore e l’approssimazione).

Si ricorda che, dato un numero naturale n, il simbolo n! (che si legge “enne fattoriale”)denota il prodotto di tutti i numeri naturali minori o uguali ad n. Pertanto 1! = 1,2! = 2 · 1, 3! = 3 · 2 · 1, ecc. E inoltre conveniente definire 0! = 1 (cio semplifica la scritturadi alcune formule).

Teorema sd (di esistenza della formula di Taylor). Se f : J → R e di classe Cn in unintervallo J , allora, fissato x0 ∈ J , si ha

f(x0 + h) =f(x0)

0!+f ′(x0)

1!h+

f ′′(x0)2!

h2 + · · ·+ f (n)(x0)n!

hn + ε(h)hn,

per ogni h ammissibile (ossia, tale che x0 + h ∈ J).

Uno degli scopi della formula di Taylor e quello di esprimere il valore di una funzionef in un punto x tramite informazioni riguardanti il suo comportamento in un punto diriferimento x0 (si osservi infatti che nella suddetta formula il polinomio di Taylor dipendeesclusivamente dai valori assunti da f e dalle sue derivate in x0). In generale non sarapossibile valutare con esattezza il valore di f in x conoscendo soltanto cio che accade inx0. Tuttavia, nella suddetta formula, tutto cio che non riguarda il comportamento di f inx0 e confinato in un solo termine: il resto della formula. Se nel valutare f(x) si trascurail resto, si commette un errore, ma tale errore, talvolta, puo essere maggiorato facilmentese si sa maggiorare il resto. Vedremo in seguito come cio sia possibile.

Esercizio. Applicare il teorema di esistenza della formula di Taylor per determinare legeneriche (cioe di ordine n arbitrario) formule di MacLaurin di senx, cosx, ex, log(1+x).

Teorema (di unicita della formula di Taylor). Sia f : J → R di classe Cn in un intervalloJ e sia x0 ∈ J . Supponiamo che

f(x0 + h) = a0 + a1h+ a2h2 + · · ·+ anh

n + ε(h)hn

per ogni h ammissibile (ossia, tale che x0 + h ∈ J). Allora

a0 = f(x0), a1 =f ′(x0)

1!, a2 =

f ′′(x0)2!

, . . . , an =f (n)(x0)

n!.

Dimostrazione. Il teorema di esistenza della formula di Taylor ci assicura che

f(x0 + h) = f(x0) +f ′(x0)

1!h+

f ′′(x0)2!

h2 + · · ·+ f (n)(x0)n!

hn + ε(h)hn,

per ogni h ammissibile. Quindi, sottraendo le due uguaglianze, si ha

0 = (a0 − f(x0)) + (a1 −f ′(x0)

1!)h+ (a2 −

f ′′(x0)2!

)h2 + · · ·+ (an −f (n)(x0)

n!)hn + ε(h)hn,

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per ogni h ammissibile (osserviamo infatti che la differenza di due funzioni ε(h) e ancorauna funzione ε(h)). Dobbiamo dunque dimostrare che se

0 = c0 + c1h+ c2h2 + · · ·+ cnh

n + ε(h)hn , ∀h tale che x0 + h ∈ J,

allora c0 = 0, c1 = 0, . . . , cn = 0. Poiche la suddetta uguaglianza e vera anche per h = 0(ricordarsi che x0 ∈ J , e quindi h = 0 e ammissibile), si ottiene c0 = 0. Conseguentemente,cancellando c0, si ha

0 = c1h+ c2h2 + · · ·+ cnh

n + ε(h)hn, ∀h tale che x0 + h ∈ J.

Pertanto, raccogliendo h, si ottiene

0 = h (c1 + c2h+ · · ·+ cnhn−1 + ε(h)hn−1), ∀h tale che x0 + h ∈ J.

La funzionec1 + c2h+ · · ·+ cnh

n−1 + ε(h)hn−1

e dunque nulla per tutti gli h 6= 0 tali che x0 + h ∈ J e, di conseguenza, poiche e continuanel punto per h = 0 (essendo somma e prodotto di funzioni continue), possiamo concludereche e nulla anche per h = 0 (altrimenti si contraddirebbe il teorema della permanenza delsegno per funzioni continue). Vale allora l’uguaglianza

0 = c1 + c2h+ · · ·+ cnhn−1 + ε(h)hn−1, ∀h tale che x0 + h ∈ J.

Di conseguenza, ponendo h = 0, si deduce che anche il coefficiente c1 deve essere nullo. Ilrisultato si ottiene procedendo allo stesso modo per passi successivi.

31 - Ven. 21/10/05

Esercizio. Applicare il teorema di esistenza della formula di Taylor per determinare lagenerica formula di MacLaurin di (1 + x)α, detta formula (di MacLaurin) binomiale.

Definizione. Dato un numero reale α ed un numero naturale k, l’espressione

α(α− 1)(α− 2) . . . (α− k + 1)k!

che, in base all’esercizio precedente, e il coefficiente di xk nella formula di MacLaurin di(1 + x)α, si chiama coefficiente binomiale (generalizzato) e si denota col simbolo(

α

k

)che si legge “α su k” (da non confondere con il rapporto α/k). Per poter scrivere la formulabinomiale in modo sintetico (utilizzando il simbolo di sommatoria) e conveniente definire“α su k” anche per k = 0, ponendo (

α

0

)= 1 .

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Nel caso particolare in cui α sia un numero naturale n e k sia un intero tra 0 e n (estremiinclusi), il coefficiente “n su k” e un numero naturale (verificarlo per esercizio fac) e, comevedremo in seguito, comparira nello sviluppo di (a+b)n (chiamato Binomio di Newton). Iveri coefficienti binomiali (non generalizzati) sono proprio quelli che si riferiscono a questocaso speciale. Vedremo in seguito il loro significato combinatorio, utile, tra l’altro, incalcolo delle probabilita.

Esercizio. Riscrivere la generica formula di MacLaurin di (1+x)α utilizzando i coefficientibinomiali (generalizzati).

Esercizio. Riscrivere la generica formula di MacLaurin di (1+x)α utilizzando i coefficientibinomiali (generalizzati) e il simbolo di sommatoria.

Esercizio. Scrivere l’espressione della generica formula di MacLaurin di (1+x)α nel casospeciale in cui α = −1.

Esercizio. Dedurre, dall’esercizio precedente, la formula di MacLaurin di 1/(1− x).

La generica formula di Taylor di log x si deduce facilmente dalla formula di MacLaurin dilog(1 + x). Fissato x0 > 0, si ha infatti

log(x0 + h) = log(x0(1 +

h

x0))

= log x0 + log(1 +h

x0)

= log x0 +h

x0− h2

2x20

+h3

3x30

− · · ·+ (−1)n+1 hn

nxn0

+ ε(h)hn.

Anche la generica formula di Taylor della funzione 1/x puo essere facilmente dedotta dauna formula di MacLaurin. Infatti, fissato x0 ∈ R, si ha

1x0 + h

=1

x0(1 + h/x0)=

1x0− h

x20

+h2

x30

− · · ·+ (−1)n hn

xn+10

+ ε(h)hn.

Abbiamo visto che il teorema di esistenza della formula di Taylor e utile per trovare leformule di MacLaurin delle funzioni elementari (cioe quelle non esprimibili combinandonealtre mediante operazioni di somma, prodotto, quoziente e composizione), per le altrefunzioni e molto (ma molto) piu pratico procedere combinando tra loro le formule diMacLaurin delle funzioni elementari.

Esempio (di calcolo di una formula di MacLaurin di una funzione combinata). Conside-riamo la funzione f(x) = x2 sen 2x e determiniamone la formula di MacLaurin del quintoordine. Si dovra scrivere un’uguaglianza del tipo

f(x) = p5(x) + ε(x)x5,

dove p5(x) e un polinomio di grado minore o uguale a cinque. Grazie alla presenza deltermine x2, e sufficiente determinare la formula di MacLaurin del terzo ordine di sen 2x,e moltiplicarla poi per x2. Si osservi infatti che il prodotto di x2 per p3(x) + ε(x)x3, dove

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p3(x) e un polinomio di grado non superiore a tre, diventa p5(x) + ε(x)x5, dove p5(x) e digrado non superiore a cinque. Ricordiamo che per senx si ha

senx = x− x3

6+ ε(x)x3.

Poiche tale uguaglianza e verificata per ogni numero x, sostituendo il numero 2x al postodi x si ottiene

sen 2x = 2x− 43x3 + 8ε(2x)x3 (∀x ∈ R).

Tenendo conto che 8ε(2x) e una funzione del tipo ε(x), si ha

sen 2x = 2x− 43x3 + ε(x)x3

e quindi

f(x) = x2(2x− 43x3 + ε(x)x3) = 2x3 − 4

3x5 + ε(x)x5.

Esempio (di calcolo della derivata n-esima in un punto mediante la formula di Taylor).Determiniamo le derivate quarta e quinta nel punto x0 = 0 della funzione f(x) = x2 sen 2x.Poiche abbiamo gia provato che f(x) = 2x3 − 4

3 x5 + ε(x)x5, il teorema di unicita della

formula di Taylor ci assicura che f (4)(0)/4! = 0 e f (5)(0)/5! = −4/3. Quindi f (4)(0) = 0 ef (5)(0) = −160.

Esempio (di calcolo di una formula di MacLaurin di una funzione combinata). Determi-niamo la formula di MacLaurin del quinto ordine di

f(x) =x5e−x cos 2x|2− x8 + 3x10|

.

Si osservi che f(x) = x5g(x), dove

g(x) =e−x cos 2x

|2− x8 + 3x10|

e una funzione continua. Pertanto g(x)− g(0) = ε(x), e da cio si deduce che

f(x) = x5(g(0) + ε(x)) =x5

2+ ε(x)x5

o, equivalentemente, che

f(x) =x5

2+ o(x5) .

Esempio (di calcolo di una formula di Taylor di centro x0 6= 0). Calcoliamo la formuladi Taylor del quarto ordine e centro x0 = −1 di

f(x) = 2x+ (x+ 1)2 cosπx .

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Poiche il centro x0 non e zero, conviene effettuare la sostituzione

x = x0 + h = −1 + h .

In questo modo e come se si calcolasse la formula di MacLaurin di g(h) := f(−1 + h).

Si haf(−1 + h) = 2(−1 + h) + h2 cos(πh− π)

= −2 + 2h+ h2[cos(πh) cos(−π)− sen(πh) sen(−π)]

= −2 + 2h− h2 cos(πh) = −2 + 2h− h2(1− π2

2h2 + ε(h)h2)

= −2 + 2h− h2 +π2

2h4 + ε(h)h4.

Supponiamo ora di voler calcolare la derivata quarta nel punto x0 = −1 della funzione

f(x) = 2x+ (x+ 1)2 cosπx.

Dato che di f(x) abbiamo gia determinato la formula di Taylor del quarto ordine inx0 = −1, e sufficiente applicare il teorema di unicita della formula di Taylor, il quale ciassicura che f (4)(−1)/4! coincide col coefficiente π2/2 del monomio di quarto grado didetta formula. Pertanto

f (4)(−1) =π2

24! = 12π2.

Esempio (di calcolo della derivata n-esima in un punto mediante la formula di Taylor).Calcoliamo la derivata quinta nel punto x0 = 2 della funzione

f(x) =(2− x)6 cosx+ (2− x)5x2

1 + x7.

Allo scopo e sufficiente determinare la formula di Taylor di f(x) del quinto ordine inx0 = 2. Ponendo x = 2 + h e sostituendolo nell’espressione di f(x) si ottiene

f(2 + h) =(−h)6 cos(2 + h) + (−h)5(2 + h)2

1 + (2 + h)7

= ε(h)h5 − h5 (2 + h)2

1 + (2 + h)7= ε(h)h5 − h5(

4129

+ ε(h)) = − 4129

h5 + ε(h)h5.

Quindi, per l’unicita della formula, risulta

f (5)(2) = − 4129

5! = −480129

= −16043

= −3.72093 . . .

Esempio (di calcolo di una formula di MacLaurin di una funzione combinata). Determi-niamo la formula di MacLaurin dell’ottavo ordine della funzione

f(x) = 2x− x3 cos 2x+ |x|x8e−x cosx .

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Osserviamo che il termine |x|x8e−x cosx e della forma ε(x)x8, con ε(x) = |x|e−x cosx.Quindi e sufficiente calcolare la formula di MacLaurin del quinto ordine di cos 2x (lamoltiplicazione per x3 produrra infatti un resto del tipo ε(x)x8). Poiche l’uguaglianza

cosx = 1− x2

2!+x4

4!+ ε(x)x5

e verificata per ogni numero x, sostituendo il numero 2x al posto di x si ottiene

cos 2x = 1− 2x2 +23x4 + ε(x)x5.

In conclusione, si ha

f(x) = 2x− x3 + 2x5−23x7 + ε(x)x8.

Esercizio. Determinare la derivata quinta e la derivata sesta nel punto x0 = 0 dellafunzione f(x) dell’esempio precedente.

Esercizio. Determinare la formula di MacLaurin del quinto ordine della funzione

f(x) = |x|x5 cosx− x2 sen 2x

e calcolare f (5)(0).

32 - Ven. 21/10/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Due lati di un triangolo misurano rispettivamente a e b. Si determini la misuradel terzo lato affinche l’area del triangolo sia massima.

Svolgimento. Osserviamo che se in un triangolo sono fissate le misure dei lati, questo eunivocamente determinato (a meno di rotazioni e traslazioni). Siano A, B e C i vertici deltriangolo, con CA = a e BC = b, e si indichi con x la misura da determinare del lato ABaffinche l’area del triangolo sia massima. Sia CH l’altezza relativa al lato AB e siano x1,x2 le lunghezze, rispettivamente, dei segmenti AH e BH (con un disegno tutto risulterapiu chiaro). Ovviamente vale che x1+x2 = x. Indicando con A l’area del triangolo, risulta

A =12AB CH con AB = x e CH =

√a2 − x2

1 =√b2 − x2

2 .

Dall’ultima relazione risulta che

a2 − x21 = b2 − x2

2 =⇒ x21 − x2

2 = a2 − b2 =⇒ x21 = a2 − b2 + x2

2 .

Da x1 + x2 = x segue che

x21 = a2 − b2 + x2 + x2

1 − 2xx1 =⇒ x1 =a2 − b2 + x2

2x.

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Sostituendo ad AB e CH le relative espressioni in funzione di x (indicando l’area con A(x)anziche con A, per evidenziare la dipendenza da x) si ottiene

A(x) =12x

√a2 − (a2 − b2 + x2)2

4x2=

14

√4a2x2 − (a2 − b2 + x2)2.

Posto f(x) = 4a2x2−(a2−b2+x2)2, risulta A(x) = 14

√f(x) ; ed essendo la radice quadrata

una funzione crescente, un punto nel dominio di A(x) e di massimo (o di minimo) per A(x)se e solo se lo e per f(x). Si osservi che f e derivabile (quindi anche continua), e risulta

f ′(x) = 8a2x− 4x(x2 + a2 − b2) = 4x(a2 + b2 − x2).

Da cuif ′(x) = 0 se x = 0 oppure a2 + b2 − x2 = 0 ,

cioe x = 0 oppure x = ±√a2 + b2. Inoltre

(31.1a) f ′(x) > 0 se x < −√a2 + b2 oppure 0 < x <

√a2 + b2 ,

(31.1b) f ′(x) < 0 se −√a2 + b2 < x < 0 oppure x >

√a2 + b2

(anche in questo caso la rappresentazione grafica semplificherebbe la determinazione degliintervalli). Segue che f assume massimo nei punti x = ±

√a2 + b2. Scartiamo ovviamente

la soluzione negativa, e verifichiamo che per x =√a2 + b2 si abbia:

(1) f(x) ≥ 0, altrimenti A(x) non e definita;(2) x ≤ a + b, perche in un triangolo la lunghezza di un lato non puo essere superiorealla somma della lunghezza degli altri due.

Risultaf(√a2 + b2) = 4a2(a2 + b2)− 4a4 = 4a2b2 ≥ 0,

quindi la (1) e verificata. Inoltre

x =√a2 + b2 ≤

√a2 + b2 + 2ab = a+ b,

ed e verificata anche la (2). Pertanto il triangolo di lati fissati di misura a e b assume areamassima se il terzo lato misura

√a2 + b2, cioe se il triangolo e rettangolo.

Esercizio. Con riferimento all’esercizio precedente, supponiamo a ≥ b > 1. Fissato n ∈ N,sia Jn = [a− b+ 1/n, a+ b], e sia g : Jn → R la restrizione a Jn della funzione f definitaal punto precedente. Verificare che g ha un minimo relativo nel punto x = a − b + 1/n,ma non assoluto.

Svolgimento. Notiamo che la funzione g e derivabile in Jn e

(31.2) g(x) = f(x) e g′(x) = f ′(x), ∀x ∈ Jn.

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Per ipotesi a− b+ 1/n > 0 e

a− b+1n≤ a− b+ 1 < a ≤

√a2 + b2 .

Quindi, per le (31.1a) e (31.2), risulta

g′(a− b+1n

) = f ′(a− b+1n

) > 0 ,

da cui, per un noto teorema, g ha in a − b + 1/n un minimo relativo. Per verificare chenon e assoluto, mostriamo che g si annulla in a+ b (cioe nell’estremo destro di Jn) e chee positiva in a− b+ 1/n.

Si hag(a+ b) = f(a+ b) = 4a2(a+ b)2 − [(a+ b)2 + a2 − b2]2

= 4a2(a+ b)2 − [(a+ b)(a+ b+ a− b)]2 = 4a2(a+ b)2 − 4a2(a+ b)2 = 0.

Si osservi ora che per la (31.1a) la derivata di f e positiva in [a − b, a − b + 1/n] e, diconseguenza, f e strettamente crescente in tale intervallo. Quindi, essendo

f(a− b) = 4a2(a− b)2 − [(a− b)2 + a2 − b2]2

= 4a2(a− b)2 − [(a− b)(a− b+ a+ b)]2 = 4a2(a− b)2 − 4a2(a− b)2 = 0 ,

si ottieneg(a− b+ 1/n) = f(a− b+ 1/n) > f(a− b) = 0 .

Si conclude che il punto x = a− b+ 1/n non e di minimo assoluto per g.

Geometricamente il fatto che f si annulli in a− b ed a+ b, significa che, se x assume talivalori, il triangolo degenera in un segmento, e quindi ha area zero.

33 - Ven. 21/10/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Tramite il teorema di derivabilita della funzione inversa, si provi che la funzioneinversa del seno iperbolico, chiamata settore seno iperbolico e denotata settsenh y, ha leseguenti proprieta:

(i) e derivabile (e se ne calcoli la derivata);(ii) settsenh y = ln(y +

√1 + y2), ∀ y ∈ R.

Svolgimento.(i) Il seno iperbolico e una funzione strettamente crescente (quindi invertibile). Infatti ederivabile e

D senhx = coshx > 0 , ∀ x ∈ R .

Inoltre, fissato x0 ∈ R, settsenh y e derivabile in y0 = senhx0 (in quanto valgono tutte leipotesi del teorema di derivabilita per funzioni inverse) e si ha

D settsenh y0 =1

D senhx0=

1coshx0

=1√

1 + senh2 x0

,

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dove nell’ultima uguaglianza si e usato la relazione cosh2 x − senh2 x = 1 e il fatto cheil coseno iperbolico e una funzione sempre positiva (e quindi abbiamo scelto la radicearitmetica). Pertanto, dato che y0 = senhx0, risulta che

D settsenh y0 =1√

1 + y20

e, per l’arbitrarieta di y0, si ottiene

D settsenh y =1√

1 + y2, ∀ y ∈ R.

(ii) Si osservi che

D ln(y +

√1 + y2

)=

1

y +√

1 + y2

y +√

1 + y2√1 + y2

=1√

1 + y2.

Per cuiD settsenh y = D ln

(y +

√1 + y2

)=⇒

D(

settsenh y − ln(y +

√1 + y2

))= 0 =⇒

(32.1) settsenh y − ln(y +

√1 + y2

)= costante.

Per determinare il valore della costante nella (32.1) e sufficiente trovare un punto y in cuisia facile calcolare la funzione

g(y) := settsenh y − ln(y +

√1 + y2

).

E immediato verificare che settsenh 0 = 0, infatti 0 e l’unico x per cui senhx = 0. Dunque,ponendo y = 0 nella (32.1) si ottiene

g(0) := settsenh 0− ln 1 = 0 ,

e quindi la costante e zero. Percio vale l’uguaglianza

settsenh y = ln(y +

√1 + y2

), ∀ y ∈ R,

cioe la (ii).

Esercizio (richiede l’uso di una calcolatrice scientifica). Data la funzione f(x) = 3x+ ex,(i) si provi che la sua inversa e derivabile,

(ii) si calcoli il valore di tale derivata in y0 = 2 a meno di un errore di 1/30.

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Svolgimento.(i) Lasciato per esercizio. (ii) Osservando che f ′(x) = 3 + ex segue, dal teorema diderivabilita per funzioni inverse, che

(f−1)′(2) =1

3 + ex0,

con x0 tale che f(x0) = 2. Il problema e quello di determinarlo.Si consideri allora la funzione

g(x) = 3x+ ex − 2 .

Osserviamo che g e continua su tutto R e

g(0) = e0 − 2 = −1 < 0 e g(1) = 3 + e− 2 > 0 .

Quindi, per il teorema di esistenza degli zeri, esiste x0 ∈ [0, 1] tale che g(x0) = 0 (ede proprio il valore che stavamo cercando). Dal momento che non ci sono metodi direttiper determinare x0 tale che g(x0) = 0, cercheremo una soluzione approssimata tramiteil metodo delle bisezioni. Il testo ci richiede di determinare il valore della derivata dellafunzione inversa a meno di un errore di 1/30. Ci chiediamo quindi quanto dovremo “avvi-cinarci” alla soluzione x0, e quindi quante volte dovremo iterare il metodo delle bisezioni,per essere sicuri di soddisfare tale approssimazione. Siano allora x1, x2 ∈ [0, 1] tali chex1 < x0 < x2. Risulta che∣∣∣∣ 1

3 + ex1− 1

3 + ex2

∣∣∣∣ = ∣∣∣∣ ex2 − ex1

(3 + ex2)(3 + ex1)

∣∣∣∣ ≤ ex2 − ex1

9=ex1

9(ex2−x1 − 1) ,

dove la disuguaglianza e ottenuta minorando il denominatore, e quindi maggiorando lafrazione (abbiamo tolto il valore assoluto perche l’argomento e maggiore di zero, avendosupposto x1 < x2). Poiche x1 ≤ 1, si ha ex1 ≤ e1 = e (ricordiamo che la funzione ex ecrescente) e quindi

ex1

9(ex2−x1 − 1) ≤ e

9(ex2−x1 − 1) <

13(ex2−x1 − 1) ,

dove l’ultima maggiorazione risulta dal fatto che e < 3.

Concludendo, per essere sicuri di soddisfare l’approssimazione richiesta, deve essere

13(ex2−x1 − 1) <

130

⇐⇒ ex2−x1 − 1 <110

⇐⇒ ex2−x1 <1110

⇐⇒ x2 − x1 < ln(11

10

)Dal momento che

2−4 < ln(11

10

)= 0.09531 . . . ,

se si sceglie un intervallo (x1, x2) ⊆ [0, 1] tale che(1) x0 ∈ (x1, x2),

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(2) x2 − x1 ≤ 2−4,si puo essere sicuri che, per ogni x in tale intervallo, il numero

13 + ex

approssima (f−1)′(2) a meno di 1/30. Applichiamo quindi il metodo delle bisezioni allafunzione g ristretta all’intervallo [0, 1]. Risulta

g(12) > 0 =⇒ x0 ∈ (0,

12) ,

g(14) > 0 =⇒ x0 ∈ (0,

14) ,

g(18) < 0 =⇒ x0 ∈ (

18,14) ,

g(316

) < 0 =⇒ x0 ∈ (316,14) .

L’ultimo intervallo contiene x0 ed ha ampiezza 2−4. Soddisfa quindi (1) e (2). Scegliamocome x il punto di mezzo dell’ultimo intervallo e calcoliamo 1/f ′(x). Risulta

1f ′(x)

=1

3 + ex=

13 + e7/32

= 0.23559 . . .

e cio conclude l’esercizio.

34 - Mar. 25/10/05

Teorema (della derivata n-esima per i punti estremanti). Sia f : J → R di classe Cn inun intervallo J e sia x0 un punto interno a J . Supponiamo che

f ′(x0) = f ′′(x0) = · · · = f (n−1)(x0) = 0

e f (n)(x0) 6= 0 (ossia, supponiamo che la prima derivata che non si annulla in x0 siadi ordine n). Se n e pari, allora x0 e un punto estremante per f e, in particolare, e diminimo quando f (n)(x0) > 0 ed e di massimo quando f (n)(x0) < 0. Se invece n e dispari,allora x0 non e un punto estremante.

Dimostrazione fac. Dalla formula di Taylor di centro x0 e ordine n si ottiene

f(x0 + h)− f(x0) =f (n)(x0)

n!hn + ε(h)hn (∀h tale che x0 + h ∈ J).

Dunque,∆f(x0)(h) = ϕ(h)hn ,

dove ∆f(x0)(h) = f(x0 +h)− f(x0) e l’incremento subito dalla funzione f nel passare dalpunto x0 al punto x0 +h e ϕ(h) = f (n)(x0)/n!+ ε(h). Supponiamo, per fissare le idee, chef (n)(x0) sia positiva. Allora, ϕ(0) > 0, e quindi, essendo ϕ(h) continua nel punto h = 0,

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per il teorema della permanenza del segno esiste un δ > 0 per cui risulta ϕ(h) > 0 perogni h tale che |h| < δ. Dunque, se n e pari si ha ∆f(x0)(h) > 0 per 0 < |h| < δ e,conseguentemente, x0 e un punto di minimo relativo per f . Se invece n e dispari, si ha∆f(x0)(h) < 0 per −δ < h < 0 e ∆f(x0)(h) > 0 per 0 < h < δ, e pertanto x0 non e unpunto estremante. Il caso f (n)(x0) < 0 si tratta in modo analogo.

Teorema sd (formula di Taylor col resto nella forma di Lagrange). Sia f : J → R unafunzione di classe Cn+1 in un intervallo J e sia x0 ∈ J . Allora, fissato x ∈ J , esiste unpunto c appartenente al segmento x0x per il quale si ha

f(x) = f(x0) +f ′(x0)

1!(x− x0) +

f ′′(x0)2!

(x− x0)2 + · · ·+ f (n)(x0)n!

(x− x0)n + rn(x),

dove il resto, ossia la differenza tra f(x) e il polinomio di Taylor di ordine n di f in x0,ha la forma

rn(x) =f (n+1)(c)(n+ 1)!

(x− x0)n+1,

detta forma di Lagrange.

Osserviamo che, con la sostituzione x = x0 + h, la suddetta formula si scrive nel modoseguente:

f(x0 + h) = f(x0) +f ′(x0)

1!h+

f ′′(x0)2!

h2 + · · ·+ f (n)(x0)n!

hn +f (n+1)(c)(n+ 1)!

hn+1,

dove il punto c, anche se (in generale) non e noto, appartiene al segmento di estremi x0

e x0 + h. Per questo motivo e talvolta conveniente denotarlo col simbolo c(h), mettendocosı in risalto la sua dipendenza da h.

Esercizio. Dedurre, dalla formula di Taylor col resto nella forma di Lagrange, che se unafunzione f : R → R ha derivata (n+1)-esima nulla, allora e un polinomio di grado minoreo uguale ad n (in particolare, se la derivata prima e nulla, allora f e costante).

Esercizio. Mediante la formula di MacLaurin col resto nella forma di Lagrange, calcolareil seno di 0.1 radianti con un errore inferiore a 10−5.

Esercizio. Mediante la formula di MacLaurin col resto nella forma di Lagrange, calcolareil numero e con un errore inferiore a 10−3.

35 - Mar. 25/10/05

Definizione (di limite finito-finito). Sia f : A→ R una funzione reale di variabile reale esia x0 un punto di accumulazione per il dominio A di f (non occorre che x0 appartenga adA). Si dice che f(x) tende ad un numero reale l per x che tende ad x0, e si scrive f(x) → lper x → x0, se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che da 0 < |x − x0| < δ e x ∈ A segue|f(x)− l| < ε.

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Notazione. Per indicare che f(x) → l per x → x0 si usa anche dire che il limite per xche tende ad x0 di f(x) e uguale a l, e si scrive

limx→x0

f(x) = l.

L’esercizio che segue mostra per quale motivo nel definire il concetto di limite si richiedeche il punto x0 sia di accumulazione.

Esercizio fac (sull’unicita del limite). Provare che se per x → x0 risulta f(x) → l1 ef(x) → l2, allora l1 = l2.

Suggerimento. Provarlo per assurdo fissando ε = |l1 − l2|/2 e sfruttando il fatto che x0 eun punto di accumulazione per il dominio di f .

Si fa notare che il concetto di limite per x → x0 di una funzione e definito soltantoquando x0 e un punto di accumulazione per il dominio della funzione ma non occorre cheappartenga al dominio, mentre per la continuita il punto deve stare nel dominio ma nonoccorre che sia di accumulazione. L’esercizio che segue illustra il legame tra continuita eil concetto di limite nel caso in cui il punto x0 sia contemporaneamente appartenente aldominio e di accumulazione.

Esercizio (sul legame tra limite e continuita). Sia f : A→ R una funzione reale di variabilereale e sia x0 ∈ A∩A′ (ricordiamo che A′ denota l’insieme dei punti di accumulazione perA). Provare che f e continua in x0 se e solo se f(x) → f(x0) per x→ x0.

Esercizio. Provare che int(cosx) → 0 per x → 0 (pertanto la funzione int(cosx) non econtinua nel punto x0 = 0).

Esempio. La funzione f(x) =√

cosx− 1 e continua, dato che e ottenuta combinandofunzioni continue, tuttavia il suo dominio e costituito soltanto da punti isolati (cioe non diaccumulazione) e pertanto non ha senso il limite per x che tende ad un qualunque puntox0 ∈ D(f).

36 - Gio. 27/10/05

Esercizio. Provare che se f e derivabile in un punto x0, allora esiste il limite del rapportoincrementale di f in x0 ed e uguale a f ′(x0). In simboli si ha

limx→x0

f(x)− f(x0)x− x0

= f ′(x0) .

Esercizio. Provare che selim

x→x0

f(x)− f(x0)x− x0

= l ∈ R ,

allora f e derivabile in x0 e risulta f ′(x0) = l.

Suggerimento. Definire ϕ(x) uguale al rapporto incrementale (di f in x0) quando ha senso(cioe per x 6= x0) ed estenderla in modo che risulti continua nel punto x0.

21 giugno 2006 63

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Definizione (di limite finito-infinito). Sia x0 un punto di accumulazione per il dominiodi f : A→ R. Si dice che f(x) tende a +∞ (risp. −∞) per x che tende ad x0 se per ognik > 0 esiste δ > 0 tale che da 0 < |x− x0| < δ e x ∈ A segue f(x) > k (risp. f(x) < −k).

Ad esempio, risulta

limx→0

1x2

= +∞ .

Infatti, fissato un arbitrario k > 0, studiamo la disequazione 1/x2 > k e proviamo che esoddisfatta in un intorno forato di x0 = 0 (cioe un intorno di x0 privato del punto x0).Dato che x2 e k sono positivi (ricordarsi che x 6= 0), tale disequazione e equivalente a0 < x2 < 1/k. Quindi 1/x2 > k se (e solo se) 0 < |x| < 1/

√k . Di conseguenza, un

qualunque intorno forato di raggio (positivo) δ ≤ 1/√k fa il caso nostro.

Definizione (di limite laterale nel caso finito). Sia x0 un punto di accumulazione destroper il dominio di f : A → R. Si dice che f(x) tende ad l per x che tende ad x+

0 (o per xche tende ad x0 da destra) se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che da x0 < x < x0 + δ ex ∈ A segue |f(x)− l| < ε. Analogamente, se x0 e un punto di accumulazione sinistro perA, si dice che f(x) → l per x→ x−0 se . . . (completare per esercizio).

Definizione (di limite laterale nel caso infinito). Sia x0 un punto di accumulazione destroper il dominio di f : A→ R. Si dice che f(x) tende a +∞ (risp. −∞) per x che tende adx+

0 se per ogni k > 0 esiste δ > 0 tale che da x0 < x < x0 + δ e x ∈ A segue f(x) > k(risp. f(x) < −k). Analogamente, se x0 e un punto di accumulazione sinistro per A, sidice che f(x) → +∞ (risp. −∞) per x→ x−0 se . . . (completare per esercizio).

Mostriamo ad esempio che la funzione f(x) = 1/x tende a −∞ per x→ 0−. A tale scopofissiamo k > 0 e determiniamo δ > 0 in modo che si abbia 1/x < −k per x ∈ (0 − δ, 0).Occorre quindi studiare la disequazione 1/x < −k. Poiche x < 0, moltiplicando per xentrambi i membri della disequazione si ottiene 1 > −kx. Moltiplicando ancora entrambi imembri per −1/k risulta −1/k < x. Tenendo ancora conto che x < 0, possiamo concludereche la disequazione 1/x < −k e verificata per x ∈ (−δ, 0), dove δ = 1/k.

Teorema. Sia x0 un punto di accumulazione bilatero (cioe sia sinistro che destro) per ildominio di f : A→ R. Allora f(x) → γ (γ = l,+∞,−∞) per x→ x0 se e solo se

limx→x−0

f(x) = limx→x+

0

f(x) = γ .

Esercizio fac. Provare il suddetto teorema.

Come applicazione del precedente teorema mostriamo che il limite di signx per x→ 0 nonesiste. Infatti, essendo signx = −1 per x < 0, si ha

limx→0−

signx = −1.

Analogamente, dato che signx = 1 per x > 0, risulta

limx→0+

signx = 1.

21 giugno 2006 64

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Dunque, i limiti sinistro e destro per x→ 0 di signx non coincidono. In base al precedenteteorema si puo concludere che signx non ammette limite per x → 0. Di conseguenza lafunzione signx e discontinua nel punto x0 = 0 (per convenzione, a differenza del testodi riferimento, si suppone che la funzione signx sia definita anche per x = 0 ponendosign 0 = 0).

Esercizio. Dedurre dal teorema precedente che la funzione intx non ammette limite perx→ x0 se x0 e un intero. Pertanto nei punti x ∈ Z la funzione non e continua.

Definizione (di limite infinito-finito). Sia f : A→ R una funzione reale di variabile realee supponiamo che ogni semiretta destra (a,+∞) contenga infiniti punti del dominio A dif (per brevita si dice che +∞ e un punto di accumulazione per A). La funzione f(x) tendead un numero reale l per x che tende a +∞ se per ogni ε > 0 esiste h ∈ R tale che dax > h e x ∈ A segue |f(x) − l| < ε. Analogamente, se −∞ e un punto di accumulazioneper A (ovvero se ogni semiretta (−∞, b) contiene infiniti punti di A), si dice che f(x) tendead l ∈ R per x che tende a −∞ se fissato ε > 0 esiste h ∈ R tale che da x < h e x ∈ Asegue |f(x)− l| < ε.

Ad esempio, la funzione 1/x tende a zero per x → −∞ (anche per x → +∞). Infatti,fissato ε > 0, mostriamo che esiste un intorno di −∞ (cioe una semiretta sinistra) incui e soddisfatta la disequazione |1/x − 0| < ε. Poiche x → −∞ si puo supporre che xsia negativo (infatti per la verifica del limite basta restringere la funzione 1/x all’intorno(−∞, 0) di −∞). Per x < 0 la disequazione |1/x − 0| < ε e equivalente a −1/x < ε.Moltiplicando per x entrambi i membri di quest’ultima disequazione (e tenendo conto chex e negativo) si ottiene −1 > εx. Dato che ε > 0, dalla moltiplicazione di entrambi imembri dell’ultima disequazione per 1/ε si ottiene −1/ε > x. Possiamo quindi concludereche, fissato ε > 0, la disuguaglianza |1/x− 0| < ε e soddisfatta per x < h, dove h = −1/ε(o un qualunque altro numero minore di −1/ε).

37 - Gio. 27/10/05

Si potrebbe continuare a dare tutte le possibili definizioni di limite nei seguenti venticinquecasi: f(x) tende a l, l−, l+, −∞, +∞ per x che tende a x0, x−0 , x+

0 , −∞, +∞. E invece piusemplice dare un’unica definizione valida per tutti i casi, mettendo cosı in evidenza comeil concetto di limite, cosı fondamentale in Analisi Matematica, sia in realta unico. Perquesto occorre che sia chiaro il concetto di intorno (e di intorno forato) di uno qualunquedei seguenti simboli: c, c−, c+, −∞, +∞, dove c e un qualunque numero reale (spessodenotato con x0, quando e il valore a cui tende la variabile indipendente, e con l quandoe il valore a cui tende la variabile dipendente).

Un intorno di c, ricordiamo, e un intervallo del tipo (c − r, c + r), dove r (detto raggiodell’intorno) e un numero positivo. Un intorno di c−, per definizione, non e altro che unintorno sinistro di c, cioe un intervallo del tipo (c − r, c] con r > 0. In modo analogo sidefinisce un intorno di c+ (detto anche intorno destro di c). Un intorno di −∞ (nell’uni-verso dei reali) non e altro che una semiretta del tipo (−∞, b), con b ∈ R (nei reali estesisi aggiunge anche il punto −∞ e si scrive [−∞, b)). La definizione di intorno di +∞ e

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lasciata allo studente. La panoramica sugli intorni e quindi conclusa.

Prima di dare la definizione generale di limite e utile introdurre una comoda nozione cheaiuta a semplificare il linguaggio: la nozione di intorno forato.

Definizione (di intorno forato). Sia λ uno dei seguenti simboli: c, c−, c+, −∞, +∞. Unintorno forato di λ e un intorno di λ privato del punto λ.

Ovviamente i simboli c− e c+ come numeri reali rappresentano ancora c. Quindi, adesempio, togliere c− dal suo intorno (c − r, c] significa togliere c (si ottiene cosı l’intornoforato (c − r, c) di c−). Al fine di semplificare il calcolo dei limiti e importante estendereai seguenti casi le convenzioni gia introdotte per l’algebra dei reali estesi:

10+

= +∞ ,10−

= −∞ ,1

+∞= 0+ ,

1−∞

= 0− .

Numerosi altri casi si ottengono facilmente dai precedenti quattro. Ecco un paio di esempi:

−20+

= (−2) · 10+

= (−2) · (+∞) = −∞ ,

−∞0−

= (−∞) · 10−

= (−∞) · (−∞) = +∞ .

Siamo ora in grado di dare la nozione unitaria di limite comprendente tutti e venticinquei casi possibili. Nella definizione che segue la lettera α rappresenta uno qualunque deisimboli x0, x−0 , x+

0 , −∞, +∞ e la lettera γ uno qualunque dei simboli l, l−, l+, −∞, +∞(x0 e l sono numeri reali). Diremo che α (cioe uno dei cinque simboli rappresentati daα) e un punto di accumulazione per un sottoinsieme A di R se ogni intorno di α contieneinfiniti punti di A o, equivalentemente, ogni intorno forato di α contiene almeno un puntodi A (si potrebbe dimostrare, ad esempio per assurdo, che allora ne contiene infiniti).

Definizione (generale di limite). Supponiamo che α sia un punto di accumulazione peril dominio D(f) di una funzione f . Si dice che f(x) tende a γ per x che tende ad α (siscrive f(x) → γ per x→ α) se per ogni intorno V di γ esiste un intorno forato U di α taleche se x ∈ U e x ∈ D(f) allora f(x) ∈ V .

Come per i casi particolari precedentemente analizzati, per indicare che f(x) → γ perx→ α si usa anche dire che il limite per x che tende ad α di f(x) e uguale a γ, e si scrive

limx→α

f(x) = γ.

Abbiamo visto con degli esempi che per verificare un limite (cioe per provare la veridicita diun limite mediante la definizione) occorre studiare una disequazione. Si osservi, pero, chenon importa trovarne tutte le soluzioni (talvolta e un’impresa impossibile senza ricorrereai metodi numerici): e sufficiente provare che la disequazione e soddisfatta in un intornoforato del punto a cui tende la variabile indipendente. Ad esempio, facciamo la verificadel seguente limite:

limx→+∞

1x2 + x3 + 2 + senx

= 0 .

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Fissato ε > 0, occorre provare che la disequazione∣∣∣∣ 1x2 + x3 + 2 + senx

∣∣∣∣ < ε

e soddisfatta in un intorno di +∞ (ossia in una semiretta del tipo (h,+∞)). Per far cioe conveniente maggiorare ∣∣∣∣ 1

x2 + x3 + 2 + senx

∣∣∣∣con una funzione piu semplice g(x) per la quale risulti facile verificare che g(x) → 0 perx→ +∞. Innanzi tutto, poiche x→ +∞, si puo supporre che x > 0 (basta restringere lafunzione alla semiretta (0,+∞)). Avendo supposto cio, si ha∣∣∣∣ 1

x2 + x3 + 2 + senx

∣∣∣∣ = 1x2 + x3 + 2 + senx

≤ 1x2 + x3 + 2− 1

<1

x2 + 1<

1x2.

Dunque, la disequazione iniziale e indubbiamente verificata se 1/x2 < ε, e questo accadenella semiretta x > h := 1/

√ε.

Il risultato che segue facilita il calcolo dei limiti evitando di ricorrere ogni volta alladefinizione. Ovviamente per dimostrarlo la definizione e inevitabile.

Teorema sd (fondamentale per il calcolo dei limiti). Siano f1 ed f2 due funzioni reali divariabile reale. Supponiamo che per x → α risulti f1(x) → γ1 e f2(x) → γ2. Allora,quando (nei reali estesi) ha senso, per x→ α si ha:

1) f1(x) + f2(x) → γ1 + γ2;2) f1(x)f2(x) → γ1γ2;3) f1(x)/f2(x) → γ1/γ2.

Esempio. Calcoliamo illim

x→π2−

tang x.

Poiche senx e cosx sono funzioni continue, per x→ π/2 risulta

senx→ sen(π/2) = 1 e cosx→ cos(π/2) = 0.

D’altra parte la funzione cosx e positiva nell’intervallo (−π/2, π/2), e quindi, tenendoconto che x tende a π/2 da sinistra, cosx tende addirittura a 0+. Dunque, per x→ (π/2)−,si ottiene

tang x =senxcosx

→ 10+

= +∞.

Esercizio. Calcolare i seguenti limiti:

limx→π

2+

tang x , limx→−π

2+

tang x , limx→0−

1x, lim

x→3−intx , lim

x→3+intx .

Riportiamo alcuni esempi per mostrare come, nell’algebra dei reali estesi, non sia con-veniente dare un senso alle espressioni ∞ − ∞, 0/0, 0 · ∞ e ∞/∞, dette anche forme

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indeterminate (per motivi di sintesi il simbolo ∞ rappresenta +∞ o −∞). Ogni defini-zione infatti porterebbe a delle incongruenze. Il significato di forma indeterminata e ilseguente: se il limite della somma o del prodotto di due funzioni si presenta in uno deisuddetti quattro casi, senza ulteriori informazioni sulle funzioni non e possibile concludereniente. Ad esempio, se per lo studio del limite per x → +∞ di f1(x) + f2(x) un tizio cidice soltanto che f1(x) → +∞ e f2(x) → −∞ e ci chiede a cosa tende f1(x) + f2(x), lanostra risposta non puo essere che uno sbrigativo “ boh?! ”. Ovviamente, se in base ad unanostra richiesta di ulteriori informazioni il tizio ci precisa che f1(x) = x2 e f2(x) = −x, lanostra risposta dovrebbe essere la seguente: “caro amico, non ti sei accorto che x2 − x sipuo scrivere anche x(x − 1)? Quindi, in base al teorema fondamentale per il calcolo deilimiti, si ottiene x(x− 1) → (+∞) · (+∞− 1) = +∞”. Ecco quattro esempi di coppie diforme (apparentemente) indeterminate dal comportamento contrastante:

(∞−∞) x− x→ 0 per x→ +∞;(∞−∞) x2 − x→ +∞ per x→ +∞;

(0 · ∞) x(1/x) → 1 per x→ 0;(0 · ∞) x2(1/x) → 0 per x→ 0;

(0/0) x/x→ 1 per x→ 0;(0/0) x2/x→ 0 per x→ 0;

(∞/∞) x/x→ 1 per x→ +∞;(∞/∞) x2/x→ +∞ per x→ +∞.

38 - Ven. 28/10/05

Teorema (di esistenza del limite per le funzioni monotone). Sia f : (α, β) → R unafunzione monotona definita in un intervallo (α, β), dove α e β sono reali estesi. Allora,esistono (nei reali estesi) i limiti per x→ α e per x→ β di f(x), e risulta

limx→α

f(x) = inf f e limx→β

f(x) = sup f

se f e crescente elimx→α

f(x) = sup f e limx→β

f(x) = inf f

se f e decrescente.

Dimostrazione. Proviamo il risultato nel caso speciale di f crescente e x→ β = +∞. Glialtri casi si provano in modo analogo (i dettagli sono lasciati agli studenti). Si hanno duepossibilita: sup f < +∞ e sup f = +∞. Supponiamo prima che l’estremo superiore dif(x) sia finito e denotiamolo, per brevita, con la lettera λ. Fissiamo un arbitrario ε > 0.Occorre trovare una semiretta (h,+∞) in cui valga λ − ε < f(x) < λ + ε. Poiche (perdefinizione di estremo superiore) λ e il minimo maggiorante per f(x), il numero λ− ε nonpuo essere un maggiorante per f(x). Non e vero quindi che tutti i numeri f(x) verificanola condizione f(x) ≤ λ − ε. Ne esiste quindi (almeno) uno, denotiamolo f(x) , che non

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verifica tale condizione (ripensare alla negazione della proposizione “tutte le pecore sononere”). Esiste cioe un x per il quale risulta f(x) > λ−ε. Dato che abbiamo supposto f(x)crescente, se x e un qualunque numero maggiore di x, si ha f(x) ≤ f(x) e quindi, a maggiorragione, λ − ε < f(x). D’altra parte λ e un maggiorante per f(x) e, di conseguenza, perogni x (e non solo per quelli maggiori di x) risulta f(x) ≤ λ. In conclusione, possiamoaffermare che per gli x > h := x si ha λ − ε < f(x) < λ + ε , e quindi, per la definizionedi limite, f(x) → λ = sup f .Supponiamo ora sup f = +∞ e fissiamo un k > 0. Poiche (in base al significato dellanotazione sup f = +∞) la funzione non e limitata superiormente, il numero k non puoessere maggiore o uguale di tutti gli f(x). Esiste quindi un numero x per il quale risultaf(x) > k (ricordarsi del discorso sulle pecore, ma se non se ne vede il nesso, belare). Datoche la funzione e crescente, quando x > h := x si ha f(x) > k. Dunque, per la definizionedi limite, f(x) → +∞ = sup f .

Come applicazione del teorema (di esistenza) del limite per le funzioni monotone, mostria-mo che

limx→+∞

arctang x = π/2.

Allo scopo ricordiamo che la funzione arcotangente e l’inversa della restrizione della tan-gente all’intervallo (−π/2, π/2). Essendo la tangente, in tale intervallo, una funzione stret-tamente crescente, anche l’arcotangente risulta strettamente crescente. Di conseguenza,ricordandosi che l’immagine di una funzione inversa coincide col dominio della funzioneche viene invertita, si ha

limx→+∞

arctang x = supx∈R

arctang x = sup (−π/2, π/2) = π/2.

Esercizio. Dal fatto che la funzione esponenziale (naturale) e l’inversa della funzionelogaritmica (naturale), dedurre che

limx→−∞

expx = 0 e limx→−∞

expx = +∞.

Esercizio. Provare che la funzione f(x) = log x+2x3 e invertibile e studiarne la funzioneinversa (si danno per note le proprieta basilari di log x, che proveremo in seguito). Deter-minare cioe il dominio e l’immagine della funzione inversa, mostrare che il dominio e unintervallo e calcolare i limiti importanti di f−1(y), ossia i limiti per y che tende agli estremidell’intervallo di definizione e per y che tende ad un qualunque punto di discontinuita (seesiste).

Esercizio. Sia f−1(y) la funzione inversa di f(x) = log x+ 2x3. Il

limy→2

f−1(y)

non e importante per lo studio di f−1(y). Per quale motivo? Calcolarlo lo stesso, applican-do un noto teorema (si tenga conto della definizione di funzione inversa per determinareil punto x0 corrispondente a y0 = 2).

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39 - Ven. 28/10/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Provare che una funzione f : A→ R e derivabile in un punto x0 interno ad Ase e solo se in x0 esistono, e coincidono, entrambe le derivate laterali di f .

Svolgimento. Fissato x0, definiamo gli insiemi As e Ad nel seguente modo:

As = (−∞, x0] ∩A , Ad = A ∩ [x0,+∞) .

Si osservi che x0 appartiene ad entrambi gli insiemi. Inoltre, essendo interno ad A, edi accumulazione sia per As sia per Ad. Ha senso quindi il concetto di derivata per lerestrizioni di f ad entrambi i suddetti insiemi. In altre parole, ha senso porsi il proble-ma dell’esistenza delle derivate laterali di f in x0. Data una funzione ϕ definita in A,denotiamo con ϕs e ϕd le restrizioni di ϕ ad As e Ad, rispettivamente.

(Solo se) Supponiamo f derivabile in x0. Proviamo che allora esistono le derivate lateralidi f in x0, e che valgono f ′(x0). Per ipotesi esiste una funzione ϕ, continua in x0, tale che

f(x)− f(x0) = ϕ(x)(x− x0) , ∀x ∈ A.

In particolare risulta

f(x)− f(x0) = ϕd(x)(x− x0) , ∀x ∈ Ad,

f(x)− f(x0) = ϕs(x)(x− x0) , ∀x ∈ As.

Le funzioni ϕs e ϕd sono continue in x0 (essendo restrizioni di funzioni continue in x0), ecio equivale a dire che esistono le due derivate laterali nel punto. Inoltre

ϕ(x0) = ϕs(x0) = ϕd(x0) =⇒ f ′(x0) = D+f(x0) = D−f(x0)

e quindi la tesi.

(Se) Proviamo ora che se le derivate laterali esistono e D+f(x0) = D−f(x0), allora f ederivabile in x0, e f ′(x0) = D+f(x0) = D−f(x0). Per ipotesi esistono due funzioni, ϕs eϕd, continue in x0, tali che

f(x)− f(x0) = ϕd(x)(x− x0) , ∀x ∈ Ad,

f(x)− f(x0) = ϕs(x)(x− x0) , ∀x ∈ As,

con ϕs(x0) = ϕd(x0). Definendo

ϕ(x) =

{ϕs(x) se x ∈ As

ϕd(x) se x ∈ Ad

si ottienef(x)− f(x0) = ϕ(x)(x− x0) , ∀x ∈ A.

Osserviamo che la definizione della funzione ϕ (pur essendo ridondante) non contienecontraddizioni, proprio per il fatto che abbiamo supposto che le due funzioni ϕs e ϕd

coincidano in x0, cioe nell’unico punto dell’insieme As ∩Ad.

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Dobbiamo adesso dimostrare che ϕ e continua in x0. Fissiamo quindi ε > 0. Deve esistereun δ > 0 tale che

|ϕ(x)− ϕ(x0)| < ε , ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ).

Per la continuita di ϕs, esiste un δs > 0 tale che

|ϕs(x)− ϕs(x0)| < ε, ∀x ∈ (x0 − δs, x0].

Inoltre, per la continuita di ϕd, esiste un δd > 0 tale che

|ϕd(x)− ϕd(x0)| < ε, ∀x ∈ [x0, x0 + δd).

Sia allora δ = min{δs, δd}. Se x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si hanno due casi:1) x ∈ (x0 − δ, x0] ⊆ (x0 − δs, x0] =⇒ |ϕ(x)− ϕ(x0)| = |ϕs(x)− ϕs(x0)| < ε,2) x ∈ [x0, x0 + δ) ⊆ [x0, x0 + δd) =⇒ |ϕ(x)− ϕ(x0)| = |ϕd(x)− ϕd(x0)| < ε.In ogni caso si puo affermare che

|ϕ(x)− ϕ(x0)| < ε,

e cio completa la dimostrazione.

Esercizio. Determinare i punti angolosi della funzione f(x) = |x3−1|, calcolando il valoredelle derivate laterali in tali punti.

Svolgimento. Osserviamo che f(x) e sicuramente derivabile per x 6= 1 (infatti la funzione|y| e derivabile per y 6= 0, e cio implica la derivabilita di |x3 − 1| per x3 − 1 6= 0).Quindi, l’unico candidato ad essere punto angoloso per f(x) e x = 1. Con una notazionevolutamente ridondante, risulta

f(x) =

{1− x3 se x ≤ 1

x3 − 1 se x ≥ 1

PercioD−f(1) = −3 e D+f(1) = 3.

Quindi le derivate laterali esistono ed hanno valori differenti in x = 1, da cui segue che 1e punto angoloso per f . Per inciso si fa notare che x = 1 e un punto di minimo.

Esercizio. Provare che se f(x) e una funzione pari, derivabile con derivata continua inun intervallo, allora f ′(x) e del tipo ε(x).

Svolgimento. Osserviamo che il dominio di una funzione pari (in base alla definizione)deve essere simmetrico rispetto al punto x = 0, ed essendo per ipotesi un intervallo, devecontenere il punto x = 0. Inoltre (si veda il secondo punto dell’ultimo esercizio dellalezione 26) risulta che f ′(0) = 0. L’esercizio si conclude osservando che si e supposto f ′(x)continua.

Esercizio. Si determini la formula di MacLaurin del nono ordine della funzione f(x) =x5 cos 3x. Si calcoli successivamente f (6)(0) e f (7)(0).

Svolgimento. Dobbiamo arrivare ad un’uguaglianza del tipo

f(x) = p9(x) + ε(x)x9,

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dove p9(x) e un polinomio di grado non superiore al nono. Se quindi determiniamo laformula di MacLaurin del quarto ordine della funzione cos 3x, che sara del tipo

cos 3x = p4(x) + ε(x)x4,

con p4(x) un polinomio di grado non superiore al quarto, otteniamo l’uguaglianza cercata.Ricordiamo la formula di MacLaurin del quarto ordine di cosx:

cosx = 1− 12x2 +

14!x4 + ε(x)x4.

Poiche la suddetta uguaglianza e verificata per ogni numero x ∈ R, sostituendo x con 3x,e osservando che una funzione del tipo 81ε(3x) e anche del tipo ε(x), si ottiene

cos 3x = 1− 92x2 +

278x4 + ε(x)x4.

Pertantox5 cos 3x = x5 − 9

2x7 +

278x9 + ε(x)x9,

che e la formula MacLaurin cercata. Poiche, fissato l’ordine, la formula di MacLaurin eunica (teorema di unicita), dal teorema di esistenza si deduce che

f (6)(0) = 0 ef (7)(0)

7!= −9

2=⇒ f (7)(0) = −22680,

che conclude il quesito.

Esercizio. Si determini la formula di Taylor di centro x0 = π del quarto ordine dellafunzione

f(x) =

senxπ − x

se x 6= π

1 se x = π

Si calcoli successivamente f ′′(π).

Svolgimento. Dal momento che x0 6= 0, ponendo x− x0 = h, si ottiene

f(π + h) = −sen(π + h)h

= −senπ cosh+ cosπ senhh

=senhh

per h 6= 0

e f(π + h) = 1 per h = 0. Determinare la formula di Taylor di f(x) con centro in x0 = πequivale a determinare la formula di MacLaurin della funzione

g(h) := f(π + h) =

senhh

se h 6= 0

1 se h = 0

Per risolvere il quesito dobbiamo quindi ottenere un’uguaglianza del tipo

g(h) = p4(h) + ε(h)x4,

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dove p4(h) e un polinomio di grado non superiore al quarto. In analogia col precedenteesercizio possiamo pensare di dividere per h la formula di MacLaurin del quinto ordinedi senh per ottenere quella del quarto ordine della funzione g(h). Tale ragionamento ecorretto solo se (ma non necessariamente se) il termine noto (quello di grado zero) dellaformula di MacLaurin per la funzione seno e nullo. Ricordando che

senh = h− h3

3!+h5

5!+ ε(h)h5,

si ottiene

g(h) =

1− h2

3!+h4

5!+ ε(h)h4 se h 6= 0

1 se h = 0

e poiche la funzione 1−h2/3!+h4/5!+ ε(h)h4 (che coincide con g(h) per h 6= 0) e definitaanche per h = 0 e vale proprio g(0) in tal punto, e superfluo distinguere i due casi “h 6= 0”e “h = 0”: possiamo piu semplicemente scrivere l’uguaglianza

f(π + h) = g(h) = 1− h2

3!+h4

5!+ ε(h)h4, ∀h ∈ R,

che da la formula cercata. Quindi

f ′′(π)2!

= − 13!

=⇒ f ′′(π) = −13,

che conclude il quesito.

40 - Ven. 28/10/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Si determini il valore della costante e a meno di un errore di 10−3.

Svolgimento. Sappiamo che la derivata di qualunque ordine di ex e sempre ex, quindi, ilvalore di tale derivata in x = 0 e sempre 1. Percio la formula di MacLaurin per ex risulta

ex = 1 + x+x2

2+x3

3!+ · · ·+ xn

n!+

ec

(n+ 1)!xn+1,

dove il resto e stato espresso nella forma di Lagrange, e c ∈ [0, x]. A noi interessa calcolareil valore di e, quindi sostituiremo ad x nella precedente formula il valore 1, ottenendol’uguaglianza

e = 1 + 1 +12

+13!

+ · · ·+ 1n!

+ec

(n+ 1)!

valida per un c ∈ [0, 1], che non conosciamo. La domanda che ci poniamo e quanti terminidella formula sara necessario considerare per ottenere un’approssimazione non peggioredi 10−3. In altre parole, denotando con r l’errore che si commette trascurando il resto,dobbiamo determinare n tale che

|r| =∣∣∣∣ ec

(n+ 1)!

∣∣∣∣ ≤ 10−3.

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Essendo ∣∣∣∣ ec

(n+ 1)!

∣∣∣∣ = ec

(n+ 1)!<

3(n+ 1)!

,

se n soddisfa3

(n+ 1)!≤ 10−3

il quesito e risolto. Risulta

3(n+ 1)!

≤ 10−3 ⇐⇒ (n+ 1)! ≥ 3000 ⇐⇒ n ≥ 6.

Infatti 6! = 720 e 7! = 5040. Quindi, scegliendo n = 6, otteniamo

e = 1 + 1 +12

+13!

+14!

+15!

+16!

+ r = 2 +517720

+ r = 2.718 . . .

che conclude il quesito.

Esercizio. Si calcolilimx→0

senxx

Svolgimento. Risolveremo questo limite usando la formula di MacLaurin. E doverosoricordare comunque che per applicare tale formula e necessario che la funzione seno siaderivabile nello zero (non e difficile infatti provare fac che l’esistenza della formula di Taylordi una funzione in un punto e equivalente alla derivabilita della funzione in quel punto).Tale regolarita della funzione seno ci e garantita dal fatto che

limx→0

senxx

= 1.

In pratica quindi risolveremo un limite mediante una formula (quella di MacLaurin) cheha come condizione necessaria per poter essere applicata che quel limite esista e sia 1.Nonostante questa considerazione, risolveremo ugualmente il limite, per avere la confermadi quanto gia sappiamo. Scriviamo allora la formula di MacLaurin del seno fermandoci alprim’ordine:

senx = x+ ε(x)x .

Quindi, sostituendo nel limite, si ottiene

limx→0

senxx

= limx→0

x+ ε(x)xx

= limx→0

(1 + ε(x)) = 1 + ε(0) = 1 .

Esercizio. Si calcoli illimx→0

x− senxx3

.

Svolgimento. Adoperiamo anche in questo caso la formula di MacLaurin, e, avvalendocidi quanto fatto nell’esercizio precedente, scriviamo la formula di MacLaurin del seno delprim’ordine:

senx = x+ ε(x)x.

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Pertanto, sostituendo x+ ε(x)x al posto di senx nel limite da calcolare, si ottiene

limx→0

x− x− ε(x)xx3

= limx→0

ε(x)x2

.

Ci troviamo quindi nuovamente di fronte ad una forma indeterminata. Proviamo allora aconsiderare la formula di MacLaurin andando oltre il prim’ordine:

senx = x− x3

3!+ ε(x)x3.

Quindi

limx→0

x− senxx3

= limx→0

x− x+ x3/3!− ε(x)x3

x3= lim

x→0

( 13!

+ ε(x))

=16.

Conclusioni. Fino a che ordine scrivere la formula di MacLaurin (o di Taylor) per risolvereun limite e l’esercizio (e una dose di esperienza) a suggerirlo. Teniamo pero presente chefermarsi ad un certo ordine puo non essere sufficiente (si veda l’ultimo esercizio), mentrenon esiste il rischio opposto. In altre parole scrivere la formula di Taylor o MacLaurin diordine maggiore del necessario puo comportare uno spreco di tempo e di energie, ma portaugualmente al risultato corretto (per esercizio si provi a sostituire la formula di MacLaurindel terzo ordine per la funzione seno, nel primo esercizio sui limiti).

41 - Gio. 3/11/05

La formula di MacLaurin (o, piu in generale, quella di Taylor) e particolarmente utile peril calcolo dei limiti. Ad esempio, supponiamo di voler determinare il

limx→0

sen 2x− 2xx4 cosx+ x3

.

Ricordiamo che per senx si ha

senx = x− x3

6+ ε(x)x3 .

Poiche tale uguaglianza e valida per ogni numero x, sostituendo 2x al posto di x si ottiene

sen 2x = 2x− 43x3 + 8ε(2x)x3 = 2x− 4

3x3 + ε(x)x3 ,

che e ancora un’uguaglianza. D’altra parte x4 cosx = (x cosx)x3 = ε(x)x3. Quindi

limx→0

sen 2x− 2xx4 cosx+ x3

= limx→0

(2x− 43 x

3 + ε(x)x3)− 2xε(x)x3 + x3

= limx→0

−43 x

3 + ε(x)x3

ε(x)x3 + x3= lim

x→0

−43 + ε(x)ε(x) + 1

=−4

3 + ε(0)ε(0) + 1

= −43.

21 giugno 2006 75

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Teorema (del passaggio al limite per funzioni continue). Siano f e g due funzioni realidi variabile reale. Se f(x) → l ∈ R per x→ α e g e continua in l, allora quando ha senso(cioe quando α e un punto di accumulazione per g ◦ f) si ha

limx→α

g(f(x)) = g(

limx→α

f(x))

= g(l).

Esercizio fac. Provare il suddetto teorema.

Sfruttiamo ancora la formula di MacLaurin (e il teorema precedente) per calcolare il

limx→−∞

(√x2 + 2x+

x2

1 + x

).

Cominciamo col mettere in evidenza (cioe raccogliere) i termini di

f(x) =√x2 + 2x+

x2

1 + x

che prevalgono quando x→ −∞ (e una buona norma da seguire). Si ha

f(x) =√x2(1 + 2/x) +

x2

x(1/x+ 1)=

|x|√

1 + 2/x+x

1 + 1/x= |x|(1 + 2/x)1/2 + x(1 + 1/x)−1.

Sostituendo, rispettivamente, i numeri 2/x e 1/x al posto del numero x nelle due ugua-glianze

(1 + x)1/2 = 1 + x/2 + ε(x)x e (1 + x)−1 = 1− x+ ε(x)x

si ha

f(x) = |x|(

1 + 1/x+2ε(2/x)

x

)+ x

(1− 1/x+

ε(1/x)x

).

Tenendo conto che si puo supporre |x| = −x (dato che x→ −∞), risulta

f(x) = −x− 1− 2ε(2/x) + x− 1 + ε(1/x) = −2− 2ε(2/x) + ε(1/x).

Quindi, applicando il teorema del passaggio al limite per funzioni continue, per x→ −∞si ottiene

f(x) → −2− 2ε(0) + ε(0) = −2.

42 - Gio. 3/11/05

Teorema (del confronto dei limiti). Siano f1, f2 : A → R due funzioni reali di variabilereale e sia α un punto di accumulazione per A. Supponiamo f1(x) ≤ f2(x) per ogni x ∈ A.Se, per x→ α, f1(x) → γ1 e f2(x) → γ2, allora γ1 ≤ γ2.

Dimostrazione (caso γ1, γ2 ∈ R). Supponiamo (per assurdo) γ1 > γ2. Poiche per x → αla funzione f1(x) − f2(x) tende a l = γ1 − γ2 > 0. Fissato ε = l, esiste un intorno forato

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U di α tale che per ogni x ∈ U ∩ A si ha l − ε < f1(x) − f2(x) < l + ε. Quindi, datoche l − ε = 0, per tali x (la cui esistenza e assicurata dall’ipotesi che α sia un punto diaccumulazione) risulta f1(x) > f2(x), in contrasto con l’ipotesi f1(x) ≤ f2(x).Gli altri casi (cioe quando almeno uno dei due limiti non e finito) si dimostrano in manieraanaloga, e sono lasciati per esercizio fac al lettore.

Esercizio. Sia ϕ : A → R tale che ϕ(x) ≥ 0 per ogni x ∈ A. Dedurre, dal teorema delconfronto dei limiti, che se x0 e un punto di accumulazione per A e se

limx→x0

ϕ(x) = γ ∈ R ,

allora γ ≥ 0. Rispondere alla seguente domanda: se (ferme restando le altre ipotesi) sisuppone ϕ(x) > 0 per ogni x ∈ A, si puo affermare che γ > 0?

Esercizio. Sia f : R → R una funzione derivabile. Provare che se f e crescente, allora(necessariamente) risulta f ′(x) ≥ 0 per ogni x ∈ R.

Suggerimento. Fissato un x0 ∈ R, si osservi che il rapporto incrementale

f(x)− f(x0)x− x0

e sempre maggiore o uguale a zero. Quindi, per il teorema del confronto dei limiti . . .

Teorema (dei carabinieri). Siano f, g, h : A→ R tre funzioni reali di variabile reale e siaα un punto di accumulazione per A. Supponiamo f(x) ≤ g(x) ≤ h(x) per ogni x ∈ A. Sef(x) → γ e h(x) → γ per x→ α, allora anche g(x) → γ (per x→ α).

Dimostrazione (caso γ ∈ R). Fissiamo ε > 0. Poiche f(x) → γ, esiste un intorno forato Udi α tale che per ogni x ∈ U ∩ A si ha γ − ε < f(x) < γ + ε. Dato che anche h(x) → γ,esiste un intorno forato W di α tale che x ∈ W ∩ A =⇒ γ − ε < h(x) < γ + ε. Diconseguenza, se x ∈ A appartiene all’intorno forato U ∩W di α, si ha

γ − ε < f(x) ≤ g(x) ≤ h(x) < γ + ε .

Tenendo conto soltanto di cio che ci serve, si ottiene γ − ε < g(x) < γ + ε per ognix ∈ U ∩W ∩A, e la definizione di limite e verificata.I due casi γ = −∞ e γ = +∞ sono lasciati per esercizio fac allo studente. Uno deicarabinieri, pero, in ciascuno dei due suddetti casi, e superfluo (quale?).

Esercizio. Dire perche la seguente “dimostrazione” del teorema dei carabinieri (nel casoγ ∈ R) e errata:Cavolata madornale. Denotiamo con l il limite (per x→ α) di g(x). Occorre provare chel = γ. Poiche f(x) ≤ g(x) e f(x) → γ, dal teorema del confronto dei limiti si deduceγ ≤ l. Analogamente, tenendo conto che g(x) ≤ h(x) e che anche h(x) → γ, si ha l ≤ γ.Pertanto l = γ.

Esercizio. Provare che una funzione f(x) tende a zero per x → α se e solo se tende azero |f(x)|.Suggerimento. Scrivere le definizioni di limite per entrambi i casi e confrontarle tra loro.

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Il risultato che segue e una conseguenza del teorema dei carabinieri e del precedenteesercizio.

Corollario. Siano f e g due funzioni reali di variabile reale. Supponiamo che f(x) sialimitata e che g(x) → 0 per x→ α. Allora f(x)g(x) → 0 per x→ α.

Dimostrazione. Dato che f(x) e limitata, esiste una costante c tale che |f(x)| ≤ c per ognix ∈ D(f). Pertanto (per ogni x ∈ D(f) ∩ D(g)) risulta

0 ≤ |f(x)g(x)| = |f(x)||g(x)| ≤ c|g(x)| .

La funzione |f(x)g(x)| e dunque “incastrata” tra due carabinieri che tendono a zero: ilprimo costituito dalla funzione costante uguale a zero (cioe il carabiniere a sinistra delprigioniero se ne sta fermo e buono in 0 aspettando che l’altro lo raggiunga) e il secondorappresentato dalla funzione c|g(x)| (che tende a zero in base all’esercizio precedente). Pos-siamo dunque concludere che |f(x)g(x)| → 0 e quindi (ancora per l’esercizio precedente)anche f(x)g(x) → 0.

Per esprimere il fatto che una funzione f(x) tende a zero per x → α, si usa dire che einfinitesima (per x → α) o che e un infinitesimo (spesso, quando risulta evidente dalcontesto, la precisazione “per x → α” viene omessa). Il precedente corollario puo esserequindi enunciato anche cosı: il prodotto di una funzione limitata per una infinitesima euna funzione infinitesima.

Esempio. La funzione f(x) = x2 sen(1/x) e infinitesima per x → 0. Infatti x2 → 0 perx → 0 e sen(1/x) e una funzione limitata. Si osservi che il teorema fondamentale per ilcalcolo dei limiti non e applicabile in questo caso perche sen(1/x) non ammette limite perx→ 0 (provarlo per esercizio fac).

Esercizio. Provare (mediante il precedente corollario) che

limx→+∞

senx+ 2 cos 3xx2 + x+

√x

= 0 .

Siano f(x) e g(x) due infinitesimi per x→ α. Supponiamo g(x) 6= 0 in un intorno foratodi α. Si dice che f(x) e un infinitesimo di ordine superiore a g(x), per x → α, se ilrapporto f(x)/g(x) tende a zero per x → α. Per esempio x2 e un infinitesimo di ordinesuperiore a x (in questo caso si puo omettere la precisazione “per x → 0”, perche x2 e xsono infinitesimi soltanto per x→ 0).

Si dice che f(x) e g(x) sono infinitesimi dello stesso ordine (per x → α) se il rapportof(x)/g(x) tende ad un numero finito e diverso da zero (per x → α). Si dice che f(x) eg(x) sono due infinitesimi equivalenti (per x→ α), e si scrive “ f(x) ∼= g(x) per x→ α ”,se f(x)/g(x) → 1 per x → α. Si osservi che se due infinitesimi sono equivalenti, allorasono anche dello stesso ordine (ma in generale non e vero il contrario).

Esempi di infinitesimi per x→ 0:

x, senx, |x|, x+ x2, 1− cosx,√|x|,

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x2/(1 + cosx), 2x, x2 − x, tang(πx) .

Riguardo ai suddetti esempi, osserviamo che x ∼= senx, che 1− cosx e di ordine superioread x, che 1 − cosx e dello stesso ordine di x2 (ma non equivalente), che x e di ordinesuperiore a

√|x|, che 1− cosx ∼= x2/2 ∼= x2/(1 + cosx), che 2x e x2 − x sono dello stesso

ordine, che tang(πx) ∼= πx.

Esempi di infinitesimi per x→ +∞:

1/x, 1/x2, 1/|x|, 1/(x+ x2), senx/(x− cosx),

1/√x, 2/x+ 1/x3, x/(1 + x− x2), sen(1/x), sen(1/x) + 1/x2 .

Osserviamo che (per x→ +∞) 1/x2 e di ordine superiore a 1/x, che 1/(x+x2) e equivalentea 1/x2; che 1/x e dello stesso ordine di 2/x+ 1/x3, che x/(1 + x− x2) e sen(1/x) + 1/x2

sono dello stesso ordine.

Ulteriori esempi di infinitesimi:senx per x→ π; senx/x per x→ −∞;

√2− x per x→ 2;

√2− x per x→ 2−;

√|2− x|

per x → 2;√|2− x| per x → 2+; 1/x per x → −∞; 1/x per x → +∞; x +

√x2 − 1 per

x→ −∞; x−√x2 − 1 per x→ +∞; tang x per x→ π.

Osservazione. La relazione (tra infinitesimi per x → α) di “essere equivalenti” e unaeffettiva relazione di equivalenza; ossia, e riflessiva (f(x) ∼= f(x)), e simmetrica (se f(x) ∼=g(x) allora g(x) ∼= f(x)), ed e transitiva (se f(x) ∼= g(x) e g(x) ∼= h(x) allora f(x) ∼= h(x)).

La piu semplice funzione infinitesima per x → 0 e g(x) = x. Per questo motivo talefunzione viene spesso considerata un riferimento per gli altri infinitesimi per x → 0. Siusa dire infatti che f(x) e un infinitesimo del primo ordine se e dello stesso ordine di x,che e del secondo se e dello stesso ordine di x2, che e di ordine superiore al primo se e diordine superiore ad x, e cosı via.

43 - Ven. 4/11/05

Talvolta, per esprimere il fatto che, per x→ α, f(x) e un infinitesimo di ordine superiore ag(x) si usa il cosiddetto simbolo o-piccolo di Landau: si scrive “f(x) = o(g(x)) per x→ α”e si legge “f(x) uguale ad o-piccolo di g(x) per x tendente ad α”. Ad esempio x2 = o(x)per x→ 0 (in questo caso si potrebbe omettere la precisazione “per x→ 0” perche non cisono possibilita di equivoci).

Esercizio. Verificare le seguenti proprieta:• se f(x) = o(xn), allora xmf(x) = o(xn+m);• se f(x) = o(xn) e g(x) = o(xm) allora f(x)g(x) = o(xn+m);• se f(x) = o(xn) ed m < n, allora f(x) = o(xm);• se f(x) = o(xn) e g(x) = o(xn) allora f(x) + g(x) = o(xn);• se f(x) = o(xn) e g(x) e continua per x = 0, allora g(x)f(x) = o(xn).

Osservazione. E evidente che se f(x) = ε(x)xn, allora f(x) = o(xn). Non e difficileprovare fac che se f(0) = 0, allora vale anche il contrario e, quindi, in questo caso, le dueaffermazioni “f(x) = o(xn)” e “f(x) = ε(x)xn ” sono addirittura equivalenti.

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Mediante il simbolo di Landau, la formula di Taylor di ordine n in x0 di una funzione f(x)si scrive nel modo seguente:

(43.1) f(x0 + h) = pn(h) + o(hn) ,

dove pn(h) e un polinomio di grado non superiore ad n. Ricordiamo inoltre che, per iteoremi di esistenza e di unicita della formula di Taylor, risulta

pn(h) =n∑

k=0

f (k)(x0)k!

hk =f(x0)

0!+f ′(x0)

1!h+

f ′′(x0)2!

h2 + · · ·+ f (n)(x0)n!

hn.

La (43.1) altro non e che un’affermazione sul comportamento per h→ 0 del resto

rn(h) := f(x0 + h)− pn(h)

della formula di Taylor: equivale cioe ad affermare che il resto rn(h) e un o(hn), ovveroche

limh→0

f(x0 + h)− pn(h)hn

= 0 .

Quindi, a rigor di logica, la formula di Taylor col resto espresso mediante il simbolo diLandau non puo essere considerata un’uguaglianza vera e propria, cioe verificata per ognih ammissibile (ossia tale che x0 + h ∈ D(f)). Tuttavia, dato che in questo caso risultarn(0) = 0 (com’e facile dedurre fac dal suddetto limite sapendo che f e definita ed econtinua nel punto x0), da ora in avanti, in base alla precedente osservazione, il simboloo(hn) della formula di Taylor verra pensato come un sinonimo di ε(h)hn. Si fa presenteche in altri contesti tale equivalenza non e scontata: affermare che una funzione e un o(hn)non implica che questa sia definita per h = 0 e, anche quando lo e, non e affatto detto chesia nulla in tal punto.

Il risultato che segue e una facile conseguenza del teorema di collegamento dei limiti (chevedremo piu avanti).

Teorema (di cambiamento di variabile nei limiti). Siano f(x) e g(t) due funzioni realidi variabile reale ottenute una dall’altra mediante i cambiamenti di variabile t = ϕ(x) ex = ϕ−1(t), dove ϕ e una funzione iniettiva. Se t (cioe ϕ(x)) tende a β per x → α e x(cioe ϕ−1(t)) tende ad α per t→ β, allora

limx→α

f(x) = limt→β

g(t) ,

ossia, se uno dei due limiti esiste, anche l’altro esiste, e i limiti coincidono.

Esempio (di calcolo di un limite mediante un cambiamento di variabile). Consideriamoil seguente limite:

limx→−∞

x sen1x,

che puo essere scritto nella forma

limx→−∞

sen(1/x)1/x

.

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Ponendo t = 1/x, risulta che t → 0− se e solo se x → −∞. Quindi, per il precedenteteorema, si ottiene

limx→−∞

sen(1/x)1/x

= limt→0−

sen tt

= 1 .

44 - Ven. 4/11/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Si calcoli il

limx→±∞

(1 +

1x

)x

Svolgimento. Risulta

limx→±∞

(1 +

1x

)x

= limx→±∞

eln(1+1x)x

= limx→±∞

ex ln(1+ 1x)

Ponendo t = 1x , risulta che se x tende a +∞ o a −∞, allora t tende a 0+ o a 0−,

rispettivamente. Viceversa, se t → 0±, allora x → ±∞. Pertanto (per il teorema dicambiamento di variabile nei limiti) e vera la seguente uguaglianza (nel senso che se unodei due limiti esiste, esiste anche l’altro, e i due limiti sono uguali):

limx→±∞

ex ln(1+ 1x) = lim

t→0e

1t

ln(1+t).

Scrivendo la formula di MacLaurin del prim’ordine della funzione logaritmo, otteniamo

ln(1 + t) = t+ ε(t)t ,

e quindilimt→0

e1t

ln(1+t) = limt→0

e1t(t+ε(t)t) = lim

t→0e1+ε(t).

Pertanto, essendo g(t) := e1+ε(t) una funzione continua, si ottiene

limx→±∞

(1 + 1/x)x = limt→0

g(t) = g(0) = e ,

che conclude l’esercizio.

Esercizio. Si calcoli il

limx→±∞

(1 +

k

x

)x

Svolgimento. L’esercizio e analogo al precedente, e si puo svolgere anche senza trasformareun limite per x→ ±∞ in uno per t→ 0. Svolgiamolo utilizzando il teorema di passaggioal limite per le funzioni continue.

Dalla formula di MacLaurin del prim’ordine di ln(1 + x), si ricava l’uguaglianza

(44.1) ln(1 +

k

x

)=k

x+ ε(kx

)kx,

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valida per ogni k/x ∈ R, cioe per ogni x 6= 0 (si fa presente che la (44.1) non e unaformula di Taylor, ma e pur sempre un’uguaglianza, perche e ottenuta da un’uguaglianzasostituendo il numero x col numero k/x).

Quindilim

x→±∞ex ln(1+ k

x) = limx→±∞

ex(kx+ε( k

x) k

x) = limx→±∞

ek+kε( kx)

e, tenendo conto che (per il teorema di passaggio al limite per le funzioni continue) risultaε(k/x) → ε(0) per x→ ±∞, si ottiene

limx→±∞

(1 +

k

x

)x

= limx→±∞

ek+kε( kx) = ek+kε(0) = ek,

che conclude l’esercizio.

Esercizio. Si calcoli illimx→0

(1 + tang x)cotang x

Svolgimento. Possiamo riscrivere il limite come

limx→0

(1 + tang x)1

tang x

Ponendo t = tang x (con x ∈ (−π/2, π/2), in modo che la funzione sia iniettiva) risulta(per la continuita delle funzioni tangente e arcotangente) che x → 0 se e solo se t → 0.Quindi (per il teorema di cambiamento di variabile nei limiti) si ottiene

limx→0

(1 + tang x)1

tang x = limt→0

(1 + t)1t = e ,

che conclude l’esercizio.

Osservazione. I limiti che abbiamo visto costituiscono dei limiti notevoli, e sono estrema-mente utili nella risoluzione di limiti ben piu complessi.

Esercizio. Dimostrare il teorema del passaggio al limite per le funzioni continue.

Svolgimento. Ricordiamo l’enunciato del teorema:Siano f e g due funzioni reali di variabile reale. Se f(x) → l per x→ α e g e continua inl, e se α e punto di accumulazione per g◦f , allora

limx→α

g(f(x)) = g( limx→α

f(x)) .

Per ipotesi g e continua in l, quindi, fissato un qualunque intorno V di g(l), esiste unintorno U di l tale che

(44.2) y ∈ U ∩ D(g) =⇒ g(y) ∈ V.

Inoltrelimx→α

f(x) = l ,

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e quindi, fissato il suddetto intorno U di l (quello trovato in corrispondenza di V ), esisteun intorno forato W di α, tale che

(44.3) x ∈W ∩ D(f) =⇒ f(x) ∈ U.

Osserviamo ora che se x ∈ D(g ◦ f), allora (per la definizione del dominio di una funzionecomposta) x ∈ D(f) e f(x) ∈ D(g). Di conseguenza, tenendo anche conto delle (44.3) e(44.2), risulta

x ∈W ∩ D(g◦f) =⇒ f(x) ∈ U ∩ D(g) =⇒ g(f(x)) ∈ V ,

e cio conclude la dimostrazione.

45 - Ven. 4/11/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Provare che la funzione f(x) = lnx+2x3 e invertibile e determinare il dominioe l’immagine della sua inversa. Calcolare inoltre i limiti importanti per f−1, e il

limy→2

f−1(y) .

Svolgimento. Osserviamo che f e strettamente crescente (in quanto somma di funzionistrettamente crescenti) e quindi invertibile. Inoltre, dal fatto che f e definita nell’intervalloJ = R+ possiamo aggiungere che f−1 e continua (si applica il teorema di continuita diuna funzione inversa), e dalla stretta crescenza di f segue quella di f−1. La sua immaginee data dal dominio di f (quindi R+), e il suo dominio e l’immagine di f , quindi R perche(per il teorema dei valori intermedi) l’immagine di f e un intervallo che, come e facileverificare, risulta non limitato ne superiormente ne inferiormente.

Per il teorema del limite delle funzioni monotone (in questo caso crescenti), risulta

limy→+∞

f−1(y) = sup{Im(f−1)} = sup{R+} = +∞

elim

y→−∞f−1(y) = inf{Im(f−1)} = inf{R+} = 0

Dato che f−1 e continua, illimy→2

f−1(y)

e f−1(2); ossia, in base alla definizione di funzione inversa, e il valore di x che risolvel’equazione

lnx+ 2x3 = 2 .

Generalmente tale valore si puo trovare solo approssimato tramite metodi di calcolo nu-merico, ma, in questo caso, si vede facilmente che la soluzione della suddetta equazione(unica per la stretta monotonia di f) e x = 1. Quindi

limy→2

f−1(y) = f−1(2) = 1 ,

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che conclude l’esercizio.

Esercizio. Provare che illimx→0

sen1x

non esiste.

Svolgimento. Supponiamo per assurdo che

limx→0

sen1x

= l ∈ R .

Scegliamo un intorno V = (l − ε, l + ε) di ampiezza minore di 2 (cioe scegliamo ε < 1).Per la definizione di limite, esiste un intorno forato U = (−δ, 0) ∪ (0, δ) del punto x0 = 0con la proprieta che

sen1x∈ V , ∀x ∈ U.

Ma cio e impossibile perche in ogni intorno forato (−δ, 0) ∪ (0, δ) esistono punti in cui lafunzione sen 1/x assume valore 1 (provarlo per esercizio) e punti in cui sen 1/x assumevalore −1 (provarlo per esercizio), e l’intervallo V , avendo ampiezza minore di 2, non puocontenere entrambi i valori 1 e −1.

Esercizio. Si calcoli il

limx→2

x3 − 8x− 2

Svolgimento.

limx→2

x3 − 8x− 2

= limx→2

x3 − 23

x− 2= lim

x→2

(x− 2)(x2 + 2x+ 4)x− 2

= limx→2

(x2 + 2x+ 4) = 12 .

Esercizio. Si calcoli il

limx→0

√1 + x−

√1− x

x

Svolgimento.

limx→0

√1 + x−

√1− x

x= lim

x→0

√1 + x−

√1− x

x

√1 + x+

√1− x√

1 + x+√

1− x

= limx→0

1 + x− (1− x)x(√

1 + x+√

1− x)= lim

x→0

2√1 + x+

√1− x

= 1 .

Esercizio. Si calcoli illim

x→±∞exp

(1x

)Svolgimento. Applicando il teorema di passaggio al limite per le funzioni continue, si ha

limx→±∞

exp(1x

)= exp

(lim

x→±∞

1x

)= exp(0) = 1 ,

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e cio conclude l’esercizio.

46 - Mar. 8/11/05

Ricordiamo che una funzione si dice infinitesima per x → α se tende a zero per x → α.Analogamente, diremo che una funzione e infinita (per x → α) se tende all’infinito (perx→ α). I teoremi di De L’Hopital (o de L’Hopital, o L’Hospital, o L’Hopital, a seconda deitesti) sono utili strumenti per il calcolo del limite del rapporto di due funzioni entrambeinfinitesime o infinite per x → α. In altre parole, rappresentano un artificio (anche senon l’unico) per determinare il limite delle cosiddette forme indeterminate 0/0 e ∞/∞.Uno dei teoremi di De L’Hopital riguarda il rapporto di due infinitesimi per x → x0, unaltro il rapporto di due infinitesimi per x → x+

0 , un altro il rapporto di due infiniti perx → x0, un altro ancora il rapporto di due infinitesimi per x → +∞, e cosı via fino adesaurire tutti e dieci i casi. A titolo di esempio enunciamo quello riguardante il rapportodi due infinitesimi per x→ x0. Dopo, per il gusto della sintesi, daremo un enunciato cheli comprende tutti.

Teorema di De L’Hopital (per la forma 0/0 quando x→ x0) sd.Siano f e g due funzioni infinitesime per x → x0 e derivabili in un intorno forato U dix0 (cioe U e un intorno di x0 privato del punto x0). Supponiamo che in U sia definito ilrapporto f ′(x)/g′(x) (ossia, supponiamo g′(x) 6= 0 per x ∈ U) e che esista il limite (finitoo infinito) per x→ x0 di f ′(x)/g′(x). Allora risulta

limx→x0

f(x)g(x)

= limx→x0

f ′(x)g′(x)

.

Esercizio. Applicare il precedente teorema per il calcolo del seguente limite:

limx→0

ex − 1sen(2x)

.

Teorema di De L’Hopital (versione generale) sd.Siano f, g : A→ R due funzioni (entrambe) infinitesime o (entrambe) infinite per x→ α.Supponiamo che il rapporto f ′(x)/g′(x) sia definito in un intorno forato di α e che talerapporto tenda ad un limite (finito o infinito) per x→ α. Allora si ha

limx→α

f(x)g(x)

= limx→α

f ′(x)g′(x)

.

Il Teorema di De L’Hopital si puo applicare anche in alcuni casi in cui il rapporto f(x)/g(x)non e immediatamente riconoscibile. Per esempio, il

limx→0

x log x

si puo determinare con De L’Hopital scrivendo

x log x =log x1/x

.

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Analogamentelimx→0

xx

si determina scrivendo xx = ex log x.

Osservazione. E spesso conveniente trasformare una funzione della forma f(x)g(x) nellaforma eg(x) log f(x), perche in tal modo abbiamo una potenza con la base costante rispettoalla x.

Nell’applicare il Teorema di De L’Hopital si deve fare attenzione che le ipotesi sianorispettate; per esempio che il limite di un rapporto f(x)/g(x) sia una forma indeterminata.Se infatti lo applicassimo al rapporto x/(x+ 1), otterremmo

limx→0

x

x+ 1= 1 ,

che e palesemente sbagliato.

Un’altra osservazione importante: il Teorema di De L’Hopital fornisce una condizione suffi-ciente, ma non necessaria, per il calcolo del limite di un rapporto f(x)/g(x). Consideriamoinfatti la funzione

x+ senxx

.

Supponiamo di volerne calcolare il limite per x che tende all’unico punto in cui non edefinita (cioe per x→ 0). Passando alle derivate prime osserviamo che non esiste

limx→+∞

1 + cosx1

,

ma questo non implica la non esistenza di

limx→+∞

x+ senxx

,

che infatti esiste e vale 1 (ricordiamo che il prodotto di una funzione limitata per unainfinitesima e una funzione infinitesima).

Notiamo che ci sono casi in cui l’uso del Teorema di De L’Hopital non porta a nulla. Adesempio basta considerare il

limx→+∞

√x2 + 1x

.

Esercizio. Calcolare i seguenti limiti:

limx→+∞

log xxb

, limx→+∞

ex

xb, lim

x→0

(x+ 2)x+3 − 8x

, limx→0

x− senxx3

.

I primi due limiti vanno affrontati al variare di b in R. Nel quarto conviene applicare DeL’Hopital piu volte; nel senso che dopo averlo applicato conviene applicarlo di nuovo perstudiare f ′(x)/g′(x), dato che ci troviamo ancora di fronte ad una forma indeterminata.

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Esempio. Da

limx→+∞

log xx

= 0

si deduce facilmente che x1/x → 1 per x→ +∞. Infatti

limx→+∞

x1x = lim

x→+∞e

log xx = e0 = 1 .

47 - Mar. 8/11/05

Sia f : A → R una funzione reale il cui dominio contenga una semiretta destra (ossia, unintorno di +∞). Una retta y = mx + q si dice asintoto destro (o asintoto per x → +∞)per f , se

limx→+∞

(f(x)− (mx+ q)) = 0.

Se il coefficiente angolare m e uguale a zero, l’asintoto si dice orizzontale, altrimenti si diceobliquo. Un’analoga definizione vale per il concetto di asintoto sinistro (i dettagli sonolasciati per esercizio agli studenti).

Esempio. Consideriamo la funzione

f(x) = 2x− 1 +senxx

.

Dalla definizione di asintoto segue subito che la retta y = 2x−1 e l’asintoto destro (e anchesinistro) per f . Infatti, la funzione senx/x, che coincide con la differenza f(x)− (2x− 1),tende a zero per x→ ±∞ (e il prodotto di una funzione limitata per una infinitesima).

Esempio. La funzione f(x) = x2 non ammette asintoto destro. Infatti, la differenza trax2 e un polinomio di primo grado e un polinomio di secondo grado, e non puo quinditendere a zero per x→ +∞.

Esercizio fac. Provare che l’asintoto destro (sinistro) di una funzione, se esiste, e unico.

Osservazione. Se f(x) → c ∈ R per x → +∞, allora la retta y = c e l’asintoto destroper f .

Esercizio. Provare che la retta y = mx + q e un asintoto destro per f(x) se e solo se sipuo scrivere f(x) = mx+ q + r(x), dove r(x) → 0 per x→ +∞.

Definizione. Una retta x = x0 si dice asintoto verticale per una funzione f : A → R se|f(x)| → +∞ per x→ x0.

Osserviamo che l’informazione “x = x0 e un asintoto verticale per f ” non dice molto sulcomportamento di f(x) in un intorno di x0. Per disegnare il grafico di f , infatti, occorreconoscere i due limiti per x→ x−0 e per x→ x+

0 di f(x). Pertanto se, ad esempio, in unostudio di funzione, elencando i limiti importanti si e gia affermato che f(x) → +∞ perx → x−0 e f(x) → −∞ per x → x+

0 , e inutile aggiungere poi che x = x0 e un asintotoverticale per f : cosı facendo non si danno ulteriori informazioni.

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Teorema. Condizione necessaria e sufficiente affinche y = mx + q sia l’asintoto destro[sinistro] per una funzione reale di variabile reale f e che

limx→+∞

f(x)x

= m e limx→+∞

(f(x)−mx) = q .[lim

x→−∞

f(x)x

= m e limx→−∞

(f(x)−mx) = q

].

Dimostrazione. Supponiamo che la retta y = mx+ q sia l’asintoto destro di f(x). Allora,posto r(x) = f(x) −mx − q, risulta f(x) = mx + q + r(x), dove r(x) → 0 per x → +∞.Pertanto

limx→+∞

f(x)x

= limx→+∞

mx+ q + r(x)x

= m+q

+∞+

0+∞

= m.

elim

x→+∞(f(x)−mx) = lim

x→+∞(mx+ q + r(x)−mx) = q.

Viceversa, se

limx→+∞

f(x)x

= m e limx→+∞

(f(x)−mx) = q ,

allora dal secondo limite si ottiene

limx→+∞

(f(x)− (mx+ q)

)= lim

x→+∞

((f(x)−mx)− q

)= q − q = 0 .

Attenzione: puo capitare che, nonostante esista finito il limite per x→ +∞ del rapportof(x)/x, la funzione f(x) non ammetta asintoto per x→ +∞. Ecco un semplice esempio:f(x) = x+ log x.

Si puo provare che se una funzione ammette asintoto destro ed esiste il limite per x→ +∞della sua derivata, allora questo coincide col coefficiente angolare dell’asintoto. Non e dettocomunque che se una funzione ammette asintoto per x → +∞, debba necessariamenteesistere il limite per x → +∞ della derivata. Ad esempio, l’asintoto destro di f(x) =x + sen(x2)/x e la retta y = x, ma non esiste il limite per x → +∞ di f ′(x). Puo anchecapitare che una funzione non abbia asintoto destro ma la derivata ammetta limite finitoper x→ +∞. Un esempio di quest’ultimo caso e dato da log x.

48 - Gio. 10/11/05

Definizione. Una funzione reale definita in un intervallo si dice convessa [concava ] sela corda (cioe il segmento) che congiunge due punti qualunque del suo grafico sta sopra[sotto] il grafico.

Teorema sd. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J . Allora f e convessa [concava]se e solo se la sua derivata e crescente [decrescente].

Teorema sd. Sia f : J → R derivabile in un intervallo J . Allora f e convessa [concava]se e solo se la retta tangente ad un punto qualunque del suo grafico sta sotto [sopra] ilgrafico.

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Teorema sd. Sia f : J → R derivabile due volte in un intervallo J . Allora f e convessa[concava] se e solo se f ′′(x) ≥ 0 [f ′′(x) ≤ 0] per ogni x in J .

Definizione. Un punto x0 interno al dominio di una funzione f si dice di flesso (perf) se f e derivabile in x0 e se in un suo semi-intorno la funzione e convessa e nell’altrosemi-intorno e concava (ossia, se esistono un intorno destro e un intorno sinistro di x0 conconcavita discordi: da una parte la funzione e convessa e dall’altra e concava).

In base al precedente teorema, se una funzione e di classe C2, una condizione che assicurache in un punto x0 del dominio si abbia un flesso e che la derivata seconda cambi segnoin x0 (da una parte positiva e dall’altra negativa). In tal caso si ha necessariamentef ′′(x0) = 0 (perche?).

Esempio. La funzione f(x) = x+ x3 ha un flesso nel punto x0 = 0, perche in tal punto(appartenente al dominio) f ′′(x) cambia segno.

Esempio. La derivata seconda di f(x) = x + x4 si annulla nel punto x0 = 0, ma f nonha un flesso in tal punto, perche la sua derivata seconda e positiva in un intorno forato dix0 = 0 (cioe privato del punto x0 = 0) e quindi non esiste un semi-intorno del punto incui la funzione e concava.

Esempio. La funzione f(x) = 1/x non ha un flesso in x0 = 0, perche tal punto nonappartiene al dominio di f (anche se f e concava per x < 0 e convessa per x > 0).

Esempio. La funzione f(x) = |x| + x3 non ha un flesso in x0 = 0, perche (pur essendocontinua) non e derivabile in quel punto (sebbene f sia concava per x < 0 e convessa perx > 0).

49 - Gio. 10/11/05

Consideriamo il limite per x → α di una funzione del tipo f(x)g(x), dove f(x) > 0.Supponiamo che, per x→ α, f(x) → a ∈ R e g(x) → b ∈ R. Per la definizione di potenzaad esponente reale si ha

f(x)g(x) = eg(x) log f(x) .

E importante quindi studiare il limite per x→ α della funzione g(x) log f(x). Per sempli-cita di linguaggio, in cio che segue, facciamo le seguenti convenzioni: e−∞ = 0, e+∞ = +∞,log 0 = −∞, log(+∞) = +∞. Nel caso che b log a sia un numero reale esteso, non sia cioeuna forma indeterminata, in base a dette convenzioni risulta

limx→α

f(x)g(x) = limx→α

eg(x) log f(x) = elimx→α g(x) log f(x) = eb log a.

Nei suddetti passaggi, nel caso che b log a sia un numero reale (e non un reale esteso), sie tenuto conto del teorema di passaggio al limite per le funzioni continue. Quando inveceb log a = −∞ o b log a = +∞, l’uguaglianza

limx→α

f(x)g(x) = eb log a ,

21 giugno 2006 89

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e ancora valida (con le convenzioni e−∞ = 0, e+∞ = +∞) ma la dimostrazione di cio lalasciamo per esercizio fac agli studenti.

Analizziamo ora in quali casi la forma b log a risulta indeterminata. Si hanno solo duepossibilita:

1) b = 0 e log a = ∞;2) b = ∞ e log a = 0.

Il primo caso da luogo a due sottocasi: a = 0 e a = +∞. Il caso 2) puo capitare solo sea = 1. La forma b log a risulta quindi indeterminata nelle seguenti tre situazioni:

a) a = 0 e b = 0 (forma indeterminata 00);b) a = +∞ e b = 0 (forma indeterminata ∞0);c) a = 1 e b = ∞ (forma indeterminata 1∞).

Nei reali estesi, all’infuori dei casi 00, ∞0 e 1∞ (che rappresentano le tre forme in-determinate delle potenze), e conveniente estendere la definizione di potenza nel modoseguente:

ab = eb log a ,

comprendendo cosı i casi 0+∞ = 0, 0−∞ = +∞, (+∞)+∞ = +∞, (+∞)−∞ = 0. Ov-viamente, affinche nei reali estesi abbia senso log a, a deve verificare la condizione che0 ≤ a ≤ +∞. In base a tale definizione, se non si ha una forma indeterminata, si puodunque affermare che

limx→α

f(x)g(x) =(

limx→α

f(x))limx→α g(x)

Esempi di forme indeterminate delle potenze:

(00) limx→0

xx = limx→0

exp(x log x) = exp 0 = 1;

(∞0) limx→+∞

x1/x = limx→+∞

exp(

log xx

)= exp 0 = 1;

(1∞) limx→0

(1 + x)1/x = limx→0

exp(

log(1 + x)x

)= exp 1 = e.

Esercizio. Siano f(x) e g(x) due funzioni infinitesime per x→ α. Provare che se

limx→α

f(x)g(x)

= γ ∈ R ,

allora

limx→α

(1 + f(x)

) 1g(x) = eγ .

Suggerimento. In base alla definizione di potenza ad esponente reale, risulta

(1 + f(x)

) 1g(x) = exp

(ln(1 + f(x))

g(x)

).

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Inoltre, dall’uguaglianza ln(1 + x) = x+ ε(x)x si deduce che

ln(1 + f(x)

)= f(x)

(1 + ε(f(x))

), ∀x ∈ D(f) .

Quindi

(1 + f(x)

) 1g(x) = exp

(f(x)g(x)

(1 + ε(f(x))

))→ exp

(γ (1 + ε(0))

).

Osservazione. Il limite di f(x) per x che tende ad un α (α = x0, x−0 , x

+0 ,−∞,+∞) e

considerato importante (per disegnare il grafico di f) nei seguenti due casi:• α non appartiene al dominio di f (ma, ovviamente, e di accumulazione);• f e discontinua in α (ricordiamo che ha senso solo se α ∈ D(f)).

Nello studio di una funzione f(x) e conveniente procedere come segue:• determinare il dominio;• elencare i limiti importanti;• determinare (se esistono) gli asintoti sinistro e destro;• determinare i punti in cui non e derivabile;• determinare i punti in cui la derivata e nulla;• determinare l’insieme in cui la derivata e positiva;• elencare i punti di minimo (relativo);• elencare i punti di massimo (relativo);• determinare l’immagine;• studiare (possibilmente) il segno di f ′′(x);• disegnare il grafico.

Esercizio. Studiare la funzione f(x) = |x|ex.

Esercizio. Studiare la funzione f(x) = max {x/2, 1− x}.

Esercizio. Studiare la funzione f(x) = |x|ex nell’intervallo (−∞, 2].

Esercizio. Studiare la funzione

f(x) =1−

√x2 − 1x

.

50 - Ven. 11/11/05

Definizione (di successione). Dato un insieme X, una successione in X e un’applicazionea : N → X. Se il codominio X e uguale a R la successione si dice reale, se X = C si dicecomplessa, se X = N si dice di numeri naturali, se X = R2 si dice di punti di R2, ecc.

Data una successione a : N → X, per motivi di tradizione e di semplicita, l’immagine di ungenerico n ∈ N si denota col simbolo an, invece che con a(n). Il valore an associato ad n

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si chiama il termine n-esimo della successione o l’elemento di indice n. I numeri naturalisono detti gli indici della successione.

Vari modi per denotare una successione a : N → X:• a : N → X (corretto, ma poco usato);• a1, a2, . . . , an, . . . (elencando i termini);• {an} (il piu comune).

Per il momento, a meno che non venga diversamente specificato, ci occuperemo di succes-sioni di numeri reali.

Esempi di successioni reali:• 1, 1

2 ,13 , ,

1n , . . .

• −1, 1,−1, . . . , (−1)n, . . .• 2, 4, 6, . . . , 2n, . . .• 1

2 ,23 ,

34 , . . . ,

nn+1 , . . .

Alcune successioni sono definite in modo ricorsivo, cioe:1) assegnando il primo termine (o i primi k-termini);2) dando una legge per ricavare il termine (n+ 1)-esimo dai termini precedenti.Si osservi che una successione definita ricorsivamente e ben definita (ovvero definita perogni n ∈ N) grazie al Principio di Induzione.

Un esempio di successione definita in modo ricorsivo e il seguente:

a1 = 2 , an+1 = an −a2

n − 22an

.

Esercizio. Calcolare i primi cinque termini della suddetta successione (si consiglia l’usodi un foglio elettronico o di una calcolatrice).

Un’altra successione definita in modo ricorsivo e quella di Fibonacci (matematico pisanodella prima meta del XIII secolo), dove sono assegnati i primi due termini, a1 = 1 e a2 = 1,ed ogni altro termine e somma dei due precedenti, cioe an+1 = an + an−1 (se ne calcolinoi primi 50 termini con l’ausilio di un foglio elettronico). Tale successione governa alcunifenomeni naturali come, ad esempio, il numero dei discendenti dei conigli e il numero degliantenati delle api (nelle varie generazioni).

Attenzione a non fare confusione tra i termini di una successione (che sono sempreinfiniti) e i suoi valori assunti, che possono essere anche in numero finito. Ad esempio, lasuccessione {an} = {(−1)n} assume solo i valori 1 e −1 ma, ciascuno, infinite volte.

Definizione. Si dice che una successione {an} tende (o converge) ad ` ∈ R, e si scrivean → ` (per n → +∞), se per ogni ε > 0 esiste un n ∈ N tale che per n > n si ha|an − `| < ε. In questo caso si dice anche che ` e il limite di {an} e si scrive

limn→+∞

an = ` oppure limnan = ` oppure lim an = `.

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Le ultime due notazioni (apparentemente incomplete) sono giustificate dal fatto che (neireali estesi) l’unico punto di accumulazione per il dominio di una successione e +∞, equindi l’unica nozione di limite che ha senso e per n→ +∞.

Esercizio. Provare (mediante la definizione di limite) che an → 0 se e solo se |an| → 0(in questo caso si dice che la successione {an} e infinitesima).

Esercizio. Provare che se una successione e definitivamente costante (ossia, a partire daun certo indice n tutti i suoi termini sono uguali), allora e convergente.

Esercizio. Verificare, mediante la definizione di limite, che

n

n+ 1→ 1 .

Esercizio. Verificare, mediante la definizione di limite, che

an =senn

n3 + 3n+ 1→ 0 .

Svolgimento. Fissiamo ε > 0. Occorre provare che esiste un n tale che

n > n =⇒∣∣∣∣ sennn3 + 3n+ 1

∣∣∣∣ < ε .

Allo scopo non occorre risolvere la suddetta disequazione; ossia, non e necessario trovaretutti gli n che la verificano (e un’impresa ardua, se non impossibile, con carta e penna):e sufficiente provare che e verificata definitivamente, cioe che e vera per n maggiore di uncerto n (che occorre trovare, in funzione di ε). Maggioriamo quindi

|an| =∣∣∣∣ sennn3 + 3n+ 1

∣∣∣∣con gli elementi di una successione infinitesima {bn}, la piu semplice possibile, in modoche sia facile risolvere la disequazione bn < ε. Si ha

|an| =∣∣∣∣ sennn3 + 3n+ 1

∣∣∣∣ = | senn|n3 + 3n+ 1

≤ 1n3 + 3n+ 1

<13n

= bn .

Quindi, affinche sia verificata la disuguaglianza |an| < ε e sufficiente (ma non necessario)che gli indici n ∈ N della successione {an} siano maggiori di n := 1

3ε , dato che per talin risulta |an| < bn < ε (se si desidera un n intero si puo definire n = int( 1

3ε), ma non eimportante).

Definizione. Si dice che {an} tende (o diverge) a +∞ (si scrive an → +∞) se per ognik > 0 esiste n tale che per n > n si ha an > k. In questo caso si dice anche che il limitedi {an} e +∞ e si scrive

limn→∞

an = +∞ oppure lim an = +∞.

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Analogamente, una successione {an} tende (o diverge) a −∞ se per ogni k > 0 esiste ntale che per n > n si ha an < −k. Per indicare che −∞ e il limite di {an} si puo usareuna delle seguenti notazioni:

an → −∞, limn→∞

an = −∞, lim an = −∞.

Esercizio. Verificare, mediante la definizione di limite, che

n3 + 3n+ 1 → +∞ e n− 3n3 → −∞.

Definizione. Una successione {an} si dice convergente se ammette limite finito, divergentese il limite e −∞ o +∞ e indeterminata negli altri casi (cioe quando non ammette limitenei reali estesi). Le successioni che ammettono limite (finito o infinito) si dicono regolari .

Non tutte le successioni sono regolari. Ad esempio {(−1)n} non ammette limite (ne finitone infinito).

Teorema (di unicita del limite). Il limite di una successione, se esiste, e unico (finito oinfinito che sia).

Esercizio fac. Provare il teorema di unicita del limite per le successioni.

Esercizio fac. Provare che se due successioni {an} e {bn} sono definitivamente uguali (cioeesiste un n tale che {an} = {bn} per tutti gli n > n), allora hanno lo stesso carattere. Piuprecisamente, se una delle due ammette limite, anche l’altra lo ammette ed e lo stesso.

Teorema sd (fondamentale dei limiti per le successioni). Siano {an} e {bn} due successionitali che an → α e bn → β (dove α, β ∈ R). Allora, quando ha senso nei reali estesi (cioetranne i casi ∞−∞, 0/0, 0 · ∞ e ∞/∞), si ha:

1) an + bn → α+ β;2) anbn → αβ;3) an/bn → α/β;4) abn

n → αβ.

I concetti di funzione limitata superiormente, limitata inferiormente, limitata, nonche diestremo inferiore e di estremo superiore, gia definiti per arbitrarie funzioni a valori reali,rimangono validi anche per le successioni reali, essendo queste delle particolari funzioni avalori reali (l’unica distinzione riguarda il dominio, non il codominio). Una successione{an} e, per esempio, limitata superiormente se esiste una costante b tale che an ≤ b perogni n (e in tal caso b si dice un maggiorante per la successione), ed e limitata se esisteuna costante c per la quale si ha |an| ≤ c per ogni n. Analogamente a cio che si e visto perle funzioni, gli estremi inferiore e superiore di {an} sono gli estremi inferiore e superioredell’immagine di {an} e si denotano, rispettivamente, con

infn∈N

an e supn∈N

an,

o piu semplicemente con inf an e sup an.

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Per le successioni si hanno dei teoremi sui limiti analoghi a quelli gia visti per le funzionireali di una variabile reale. Con le opportune modifiche, valgono infatti i seguenti risultati:

• teorema della permanenza del segno;• teorema del confronto dei limiti;• teorema dei carabinieri.

Teorema della permanenza del segno (per le successioni). Sia {an} una successionereale. Se an → a > 0, allora esiste un n ∈ N per il quale si ha an > 0 per ogni n > n (ossiaan > 0 definitivamente). Analogamente, se an → a < 0, allora an < 0 definitivamente. Inaltre parole, se {an} ammette limite non nullo (finito o infinito), allora ha definitivamentelo stesso segno del limite.

Dimostrazione fac. Supponiamo che il limite a sia finito e positivo (gli altri casi sonolasciati per esercizio agli studenti). Fissato ε = a, dalla definizione di limite si deduceche a − ε < an < a + ε definitivamente. Quindi, essendo a − ε = 0, si ottiene 0 < an

definitivamente. Analizziamo ora il caso a = +∞. Fissato un qualunque k > 0, si ha(sempre per la definizione di limite) an > k definitivamente e quindi, a maggior ragione,an > 0 definitivamente.

Il risultato che segue e una facile conseguenza del teorema della permanenza del segno.

Teorema del confronto dei limiti (per le successioni). Se an → a, bn → b e an ≤ bnper ogni n, allora a ≤ b.

Dimostrazione fac. Se, per assurdo, a fosse maggiore di b, la successione {an − bn} tende-rebbe al numero positivo a−b. Di conseguenza, per il teorema della permanenza del segno,risulterebbe an− bn > 0 definitivamente, in contrasto con l’ipotesi “ an ≤ bn , ∀n ∈ N ”.

Esercizio. Dedurre, dal teorema del confronto dei limiti, che se an → a, bn → b e an < bnper ogni n, allora a ≤ b. Rispondere alla seguente domanda con una dimostrazione (incaso di risposta affermativa) o con un esempio (in caso di risposta negativa): le suddetteipotesi implicano a < b ?

Teorema dei carabinieri (per le successioni). Siano {an}, {bn} e {cn} tre successionitali che

an ≤ bn ≤ cn , ∀n ∈ N.

Se an → a e cn → a, allora anche bn → a.

Dimostrazione fac. Proviamo il risultato nel caso che il limite a sia finito. I casi a = −∞ ea = +∞ sono lasciati per esercizio fac agli studenti (si osservi che se a = −∞ il carabinierea sinistra del prigioniero non serve, e se a = +∞ non serve quello a destra). Fissiamo unε > 0. Poiche an → a, esiste un n1 tale che a − ε < an < a + ε per tutti gli n > n1. Perlo stesso ε e possibile determinare un n2 tale che a− ε < cn < a+ ε per n > n2. Quindi,se n > n := max{n1, n2}, allora a− ε < an ≤ bn ≤ cn < a+ ε. Tenendo conto soltanto dicio che ci serve, si ottiene a− ε < bn < a+ ε per tutti gli n > n.

Esempio. La successione {sennn

}

21 giugno 2006 95

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e rapporto di due successioni: {senn} e {n}. Il suo limite non si puo determinare appli-cando il teorema fondamentale dei limiti perche la successione {senn}, come vedremo piuavanti, non ha limite per n→∞. D’altra parte si ha

− 1n≤ senn

n≤ 1

n,

e quindi dal teorema dei carabinieri si deduce che

sennn

→ 0 .

Osserviamo che il teorema dei carabinieri e ancora valido se si suppone che la condizionean ≤ bn ≤ cn (ferme restando le altre ipotesi) valga definitivamente (non occorre sia veraper ogni n ∈ N). L’importante e che i carabinieri {an} e {cn} prima o poi catturino {bn}e si dirigano entrambi dalla stessa parte.

Esercizio. Dire perche la seguente “dimostrazione” del teorema dei carabinieri e errata:

Cavolata madornale. Denotiamo con b il limite di {bn}. Poiche an ≤ bn (per ogni n) ean → a, dal teorema del confronto dei limiti si deduce a ≤ b. Analogamente, tenendoconto che bn ≤ cn e che anche cn → a, si ha b ≤ a. Pertanto a = b, e quindi bn → a.

Esercizio (Corollario del teorema dei carabinieri). Dedurre, dal teorema dei carabinie-ri, che il prodotto di una successione limitata per una infinitesima e una successioneinfinitesima.

51 - Ven. 11/11/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Provare che una funzione tende a zero se e solo se tende a zero il suo valoreassoluto.

Svolgimento. Notiamo innanzitutto che D(f) = D(|f |), quindi α e un punto di accumula-zione per il dominio di f se e solo se lo e per il dominio di |f |. Partendo dall’esistenza dellimite di f (di |f |) per x→ α, implicitamente assumiamo che α sia un punto di accumu-lazione per il dominio di f (di |f |), e quindi lo e anche per il dominio di |f | (di f), ed hapertanto senso parlare del limite per x→ α di |f | (di f).(Se) Supponiamo che

limx→α

|f(x)| = 0

e proviamo chelimx→α

f(x) = 0 .

Dal teorema del passaggio al limite per funzioni continue otteniamo che

limx→α

(−|f(x)|) = − limx→α

|f(x)| = 0 .

Inoltre risulta−|f(x)| ≤ f(x) ≤ |f(x)| ∀x ∈ D(f)

21 giugno 2006 96

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La tesi segue quindi dal teorema dei carabinieri applicato alle funzioni −|f |, f e |f |.(Solo se) Supponiamo che

limx→α

f(x) = 0

e proviamo chelimx→α

|f(x)| = 0

Ponendo g(x) = |x|, otteniamo che |f(x)| = g(f(x)). Risulta che g e continua in zero, eche α e un punto di accumulazione per g◦f . Sono allora valide le ipotesi del teorema delpassaggio al limite per funzioni continue, da cui

limx→α

g(f(x)) = g( limx→α

f(x)) .

Quindilimx→α

|f(x)| = | limx→α

f(x)| = 0 ,

che conclude l’esercizio.

Un modo diverso, e piu diretto, per svolgere il precedente esercizio e utilizzando la defini-zione di limite: se si scrivono le definizioni relative ai due casi ci si accorge di aver scrittola stessa cosa.

Esercizio. Si provi che

limx→∞

senx+ cos 3xx2 + x+

√x

= 0 .

Svolgimento. Risulta

limx→∞

senx+ cos 3xx2 + x+

√x

= limx→∞

1x2 + x+

√x

(senx+ cos 3x) .

Ponendof(x) =

1x2 + x+

√x

e g(x) = senx+ cos 3x ,

risulta che f e una funzione infinitesima per x che tende a piu infinito, mentre g e limitata;infatti, per qualunque x ∈ R si ha

|g(x)| = | senx+ cos 3x| ≤ | senx|+ | cos 3x| ≤ 1 + 1 = 2 .

Dal corollario sul prodotto fra una funzione infinitesima ed una limitata, segue che

limx→∞

f(x)g(x) = 0 ,

da cui la tesi.

Esercizio. Si calcoli illimx→0

cosx− 12x2

.

21 giugno 2006 97

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Svolgimento. Ponendo f(x) = cosx− 1 e g(x) = 2x2, risulta che:- f e g sono funzioni infinitesime per x che tende a zero;- f e g sono derivabili in un intorno forato di zero;- g′(x) e diversa da zero in tale intorno.

Per poter applicare il teorema di De L’Hopital (nella forma 0/0 per x→ x0) manca ancoral’ipotesi che esista il

limx→0

f ′(x)g′(x)

= limx→0

− senx4x

.

Ma anche tale limite appare della forma zero su zero. Ponendo allora

h(x) = f ′(x) = − senx e l(x) = g′(x) = 4x ,

otteniamo che:- h e l sono funzioni infinitesime per x che tende a zero;- h e l sono derivabili in un intorno forato di zero;- l′(x) e diversa da zero in tale intorno.Inoltre esiste

limx→0

h′(x)l′(x)

.

Possiamo quindi applicare il teorema di De L’Hopital alle funzioni l e g ottenendo che

limx→0

h(x)l(x)

= limx→0

h′(x)l′(x)

= limx→0

− cosx4

= −14.

Ma cio implica anche che

limx→0

f ′(x)g′(x)

= limx→0

h(x)l(x)

= −14.

Quindi possiamo applicare il teorema di De L’Hopital anche alle funzioni f e g, ottenendoche

limx→0

cosx− 12x2

= limx→0

f(x)g(x)

= limx→0

f ′(x)g′(x)

= −14.

Si osservi che un metodo alternativo per calcolare il limite puo essere tramite la formuladi MacLaurin. Infatti sapendo che

cosx = 1− x2

2+ ε(x)x2,

otteniamo

limx→0

cosx− 12x2

= limx→0

1− x2

2 + ε(x)x2 − 12x2

= limx→0

−12 + ε(x)

2=−1

2 + ε(0)2

= −14,

che conclude l’esercizio.

Esercizio. Si calcoli

limx→+∞

x3

ex.

21 giugno 2006 98

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Svolgimento. Poniamo f(x) = x3 e g(x) = ex. Sia f(x) che g(x) sono funzioni infiniteper x tendente a piu infinito. Inoltre il rapporto fra le loro derivate e definito in qualsiasiintorno forato di piu infinito. Risulta pero che

limx→+∞

f ′(x)g′(x)

= limx→+∞

3x2

ex,

Quindi anche f ′(x) e g′(x) sono funzioni infinite per x tendente a piu infinito, e il rapportofra le loro derivate e definito in qualsiasi intorno forato di piu infinito. Ma anche in talcaso risulta

limx→+∞

f ′′(x)g′′(x)

= limx→+∞

6xex,

che e ancora della forma ∞∞ . Risulta pero che il rapporto tra f ′′(x) e g′′(x) e definito in

qualsiasi intorno forato di piu infinito. Inoltre

limx→+∞

f ′′′(x)g′′′(x)

= limx→+∞

6ex

= 0 .

Quindi, per il Teorema di De L’Hopital nella versione generale, otteniamo

limx→+∞

x3

ex= lim

x→+∞

f ′(x)g′(x)

= limx→+∞

f ′′(x)g′′(x)

= limx→+∞

f ′′′(x)g′′′(x)

= 0

che conclude l’esercizio.

Esercizio. Si calcolilim

x→+∞

xn

ex

con n ∈ N.

Svolgimento. Il procedimento e analogo al precedente, soltanto che dovremo derivareper n volte le funzioni al numeratore e al denominatore per ottenere una forma nonindeterminata. Cioe

limx→+∞

f (n)(x)g(n)(x)

= limx→+∞

n!ex

= 0 ,

da cui segue

limx→+∞

xn

ex= 0 ,

e cio conclude l’esercizio.

Si osservi che limx→+∞ n!/ex = 0, in quanto n e fissato e x tende a piu infinito, mentre(come vedremo in seguito, se ne avremo il tempo) risulta limn→+∞ n!/en = +∞. In altreparole il fattoriale tende all’infinito piu velocemente della funzione esponenziale.

Esercizio. Provare che

limx→+∞

ex= 0 ,

21 giugno 2006 99

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con λ ∈ R.

Svolgimento. Sia n = intλ. Risulta che

n ≤ λ < n+ 1 =⇒ xn

ex≤ xλ

ex<xn+1

ex

La tesi segue quindi dal teorema dei carabinieri applicato alle funzioni xn/ex, xλ/ex exn+1/ex, tenendo conto dell’esercizio precedente.

52 - Ven. 11/11/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Si consideri il

limx→+∞

(1 +

1x4

+1x2

)x2

.

Assumendo che tale limite esista, provare che vale e = exp 1.

Svolgimento. Si osservi che (1 +

1x4

+1x2

)x2

≥(1 +

1x2

)x2

,

e che la funzione al secondo membro tende ad e per x che tende a piu infinito (si veda lalezione 44, unita al teorema del cambiamento di variabili nei limiti). Per il teorema delconfronto dei limiti (si osservi che le ipotesi di tale teorema sono verificate per le ipotesidell’esercizio) segue che

limx→+∞

(1 +

1x4

+1x2

)x2

≥ e .

Vogliamo provare che nella precedente relazione vale l’uguaglianza. Supponiamo alloraper assurdo che

limx→+∞

(1 +

1x4

+1x2

)x2

= l > e .

Allora il logaritmo (naturale) di l e maggiore di 1, e quindi la disequazione nella variabileintera k,

1 + k

k< ln l ,

ammette soluzioni. Sia k0 una tale soluzione e scegliamo un x0 > k20. Risulta allora

x4 > k0x2, ∀x > x0 ,

da cui1x4

<1

k0x2, ∀x > x0 .

Quindi per ogni x > x0 si ha(1 +

1x4

+1x2

)x2

<(1 +

1k0x2

+1x2

)x2

=(1 +

1 + k0

k0

1x2

)x2

.

21 giugno 2006 100

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Si noti che la funzione al secondo membro tende ad ek0+1

k0 per x che tende a piu infinito(si veda ancora la lezione 44, sempre unita al teorema del cambiamento di variabili neilimiti). Sempre per il teorema del confronto dei limiti risulta che

l < ek0+1

k0

ma, dato che k0 verifica k0+1k0

< ln l, risulta anche

ek0+1

k0 < eln l = l ,

che rappresenta ovviamente un assurdo, nato dall’aver supposto l > e. Quindi l = e, checonclude l’esercizio.

Si osservi che l’aver assunto nel testo dell’esercizio che quel limite esistesse non era ne-cessario, ma ci ha comunque semplificato le cose. Omettendo tale ipotesi, non avremmopotuto applicare il teorema del confronto fra i limiti in quanto tale teorema presupponel’esistenza dei limiti in questione, e nemmeno il teorema dei carabinieri, perche presupponeche le funzioni maggiorante e minorante convergano allo stesso limite, cosa che nel nostrocaso non avviene. La soluzione sarebbe scaturita da una sapiente miscela dei due teoremisotto opportuni accorgimenti.

Un modo diverso per calcolare il

limx→+∞

(1 +

1x4

+1x2

)x2

e suggerito in un esercizio della lezione 49.

Esercizio. Si determini l’asintoto destro, se esiste, della funzione

f(x) =7x2 + 5x+ 3

2x.

Svolgimento. Si osservi che esiste finito il

limx→+∞

f(x)x

=72.

Inoltre, ponendo m = 72 , esiste finito il

limx→+∞

(f(x)−mx) =52,

per cui la retta y = 72x+ 5

2 e l’asintoto (obliquo) richiesto.

Un altro modo per svolgere il suddetto esercizio e mediante la definizione di asintotodestro: la retta y = mx + q e l’asintoto destro della funzione f(x) se si puo scriveref(x) = mx + q + r(x), dove il resto r(x) := f(x) − (mx + q) tende a zero per x → +∞.

21 giugno 2006 101

Registro di Analisi Matematica 1 – c.l. IAT – a.a. 2005/2006 – M. Furi

Si osservi infatti che la funzione del precedente esercizio si puo rappresentare nel seguentemodo:

f(x) =72x+

52

+32x

.

Esercizio. Si determini l’asintoto sinistro, se esiste, della funzione

f(x) = 2x+ 1 .

53 - Mar. 15/11/05

La nozione di successione monotona (monotona crescente, strettamente crescente, ecc.)e un caso particolare del concetto gia introdotto per le funzioni reali di variabile reale.Pertanto, una successione {an} e crescente se da n1 < n2 segue an1 ≤ an2 , e strettamentecrescente se da n1 < n2 segue an1 < an2 , ecc.

Osservazione. Una successione {an} e crescente (risp. strettamente crescente, decre-scente, strettamente decrescente) se e solo se an ≤ an+1 (risp. an < an+1, an ≥ an+1,an > an+1) per ogni n ∈ N.

Teorema (di esistenza del limite per le successioni monotone). Se {an} e una successionemonotona, allora e regolare (cioe ammette limite). Precisamente si ha lim an = sup an se{an} e crescente e lim an = inf an se e decrescente. In particolare se {an}, oltre ad esseremonotona, e anche limitata, allora e convergente. Se invece non e limitata, e divergente.

Dimostrazione fac. Assumiamo, per fissare le idee, che la successione {an} sia crescente (ilcaso “{an} decrescente” e lasciato per esercizio fac agli studenti).Supponiamo prima che l’estremo superiore di {an} sia finito e denotiamolo, per brevita,con la lettera a. Fissiamo un arbitrario ε > 0. Poiche (per definizione di estremo superiore)a e il minimo maggiorante per {an}, il numero a− ε non puo essere un maggiorante (per{an}). Non e vero quindi che tutti gli an verificano la condizione an ≤ a − ε. Ne esistequindi (almeno) uno, denotiamolo an , che non verifica tale condizione (ripensare allanegazione della proposizione “tutte le pecore sono nere”). Esiste cioe un indice n per ilquale risulta an > a− ε. Dato che abbiamo supposto {an} crescente, se n e un qualunqueindice maggiore di n, si ha an ≤ an e quindi, a maggior ragione, a − ε < an. D’altraparte a e un maggiorante per gli an e, di conseguenza, per ogni n (e non solo per quellimaggiori di n) risulta an ≤ a. In conclusione, possiamo affermare che per gli n > n si haa− ε < an < a+ ε , e quindi, per la definizione di limite, an → a = sup an.Supponiamo ora sup an = +∞ e fissiamo un k > 0. Poiche (in base al significato dellanotazione sup an = +∞) la successione non e limitata superiormente, il numero k non puoessere un maggiorante per tutti gli an. Esiste quindi un indice n per il quale risulta an > k(ricordarsi del discorso sulle pecore, ma se non se ne vede il nesso, belare). Dato che lasuccessione e crescente, quando n > n si ha an > k. Dunque, per la definizione di limite,an → +∞ = sup an.

21 giugno 2006 102

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Teorema (di collegamento dei limiti). Sia f una funzione reale di variabile reale. Con-dizione necessaria e sufficiente affinche f(x) → γ per x → α e che per ogni successione{xn} in D(f)\{α} tale che xn → α si abbia f(xn) → γ.

Esercizio fac. Provare il teorema di collegamento dei limiti.

Il teorema di collegamento e particolarmente utile per provare la non esistenza (ma anchel’esistenza) di alcuni limiti. Mostriamo, ad esempio, che la funzione senx non ammettelimite per x → +∞. Consideriamo infatti le due successioni {an} = {2nπ} e {bn} ={π/2 + 2nπ}. E immediato verificare che entrambe tendono ad α = +∞ (e che i lorotermini sono sempre diversi da α). Poiche sen an → 0 e sen bn → 1, la funzione senx nonha limite per x→ +∞. Abbiamo infatti provato che non e vero che per tutte le successioni{xn} che tendono a +∞ la successione {senxn} ha sempre lo stesso limite (per provareche non e vero che tutte le pecore hanno lo stesso colore e sufficiente trovare due pecoredi colore diverso).

La non esistenza del limite per x→ 0 di sen(1/x) si puo provare in modo analogo. Bastainfatti considerare le successioni

an =1

2nπe bn =

1π/2 + 2nπ

e osservare che limn→∞ sen(1/an) = 0 mentre limn→∞ sen(1/bn) = 1.

Esercizio. Usare il teorema di collegamento per provare che non esiste il limite per x→ 0di signx.

Esercizio fac. Mostrare che il teorema di cambiamento di variabile nei limiti e un corollariodel teorema di collegamento dei limiti.

54 - Mar. 15/11/05

Data una successione {an}, l’espressione

∞∑n=1

an

si legge “serie (o somma) per n che va da 1 a +∞ di an” e rappresenta, in modo sintetico,il

limn→+∞

n∑k=1

ak .

In altri termini, posto Sn = a1 + a2 + · · ·+ an, per definizione si ha

∞∑n=1

an = limn→+∞

Sn .

La successione {Sn} si dice successione delle somme parziali (o delle ridotte) della serie,mentre an e detto il termine generale. Il carattere della serie e, per definizione, il carattere

21 giugno 2006 103

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della successione {Sn}. In altre parole: se {Sn} converge, si dice che converge la serie; se{Sn} diverge, la serie diverge; se il limite di {Sn} non esiste, la serie e indeterminata. Illimite S (finito o infinito) di {Sn}, quando esiste, si dice somma della serie e si scrive

S =∞∑

n=1

an .

Talvolta, invece di sommare a partire da n = 1, si parte da un indice n0 ∈ Z (anchenegativo). Scriveremo allora

∞∑n=n0

an .

Si osservi che se una serie∑∞

n=n0an e a termini positivi (ossia an > 0 per ogni n), allora

la successione {Sn} delle sue somme parziali e crescente (anzi, e strettamente crescente)e quindi non puo essere indeterminata (per quale teorema?). In tal caso la somma dellaserie e ben definita e rappresenta un numero reale esteso (ovviamente positivo).

Il risultato che segue e utile per provare la non convergenza di alcune serie (non di tutte).Afferma infatti che se il termine generale di una serie non tende a zero, allora la serienon converge o, equivalentemente, se una serie converge, allora (necessariamente) il suotermine generale tende a zero. E bene mettere in guardia gli studenti che tale risultatonon puo (e non deve) essere utilizzato per mostrare la convergenza di una serie (e un errorefrequente nei compiti d’esame).

Criterio di non convergenza (per le serie numeriche). Condizione necessaria affincheuna serie sia convergente e che il termine generale tenda a zero.

Dimostrazione. Sia∑∞

n=n0an una serie convergente. Cio significa, per definizione, che la

successione {Sn} delle somme parziali converge ad un numero finito S. Osserviamo chean = Sn−Sn−1 e che anche Sn−1 converge ad S (infatti la proposizione “|Sn−S| < ε pern > n” implica “|Sn−1 − S| < ε per n > n+ 1”). Si ha allora

limn→∞

(Sn − Sn−1) = S − S = 0 ,

e quindi an → 0.

La suddetta condizione necessaria per la convergenza di una serie non e sufficiente. Infattivedremo che la serie

∑∞n=1 1/n dei reciproci dei numeri naturali (detta serie armonica) non

e convergente, sebbene il suo termine generale sia infinitesimo. Piu in generale proveremo(mediante la teoria degli integrali impropri) che la serie

∞∑n=1

1nα

,

detta serie armonica generalizzata, converge se e solo se α > 1. In particolare la seriearmonica (che si ottiene per α = 1) e divergente (non puo essere indeterminata perche ea termini positivi).

21 giugno 2006 104

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Definizione. Una serie∑∞

n=n0an e detta geometrica se il rapporto an+1/an e costante

(ossia, non dipende da n). In tal caso il rapporto si chiama ragione della serie.

Teorema. Una serie geometrica converge se e solo se la sua ragione e in valore assolutominore di uno. In tal caso, denotato con a il primo termine e con q ∈ (−1, 1) la ragione,la somma e a/(1− q).

Dimostrazione. Sia∑∞

n=0 aqn una serie geometrica di ragione q e primo termine a (che

possiamo supporre diverso da zero, altrimenti la serie non esiste). Abbiamo gia vistoche, affinche la serie converga, il termine generale aqn deve tendere a zero. Si puo quindisupporre |q| < 1, altrimenti la serie non converge perche aqn 6→ 0 (infatti |q| ≥ 1 =⇒|aqn| = |a||q|n ≥ |a|, e quindi |aqn| non puo essere definitivamente minore di ε = |a| > 0).Moltiplicando per 1− q entrambi i membri dell’uguaglianza

Sn = a+ aq + aq2 + · · ·+ aqn−1

si ha(1− q)Sn = (1− q)(a+ aq + aq2 + · · ·+ aqn−1) =

a− aq + aq − aq2 + aq2 − · · · − aqn−1 + aqn−1 − aqn = a− aqn.

Pertanto, essendo q 6= 1, si ottiene

Sn =a(1− qn)

1− q.

Poiche |q| < 1, si ha |qn| = |q|n → 0 =⇒ qn → 0. Pertanto Sn → a/(1− q).

A titolo di esempio, consideriamo il numero decimale periodico 3, 17 = 3, 17777 . . . Si puoscrivere

3, 17 = 3, 1 + 0, 07 + 0, 007 + 0, 0007 + · · · = 3, 1 +7

102+

7103

+7

104+ . . .

Ovvero

3, 17 =3110

+∞∑

n=2

710n

.

La serie∑∞

n=2 7/10n e geometrica di ragione 1/10 e il suo primo termine e 7/100. Si hapertanto

3, 17 =3110

+7/100

1− 1/10=

14345

.

In modo analogo si prova che ogni numero decimale periodico e razionale e se ne determinala frazione generatrice.

55 - Gio. 17/11/05

Il risultato che segue e utile per provare sia la convergenza sia la non convergenza di alcuneserie a termini positivi mediante il confronto con altre serie (sempre a termini positivi)

21 giugno 2006 105

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di cui si conosce il carattere (ad esempio, mediante il confronto con una serie armonicageneralizzata).

Criterio del confronto (per le serie a termini positivi). Se due serie a termini positivi,∑∞n=n0

an e∑∞

n=n0bn , verificano la condizione an ≤ bn (per ogni indice n), allora, nei

reali estesi, risulta∞∑

n=n0

an ≤∞∑

n=n0

bn.

Di conseguenza, se la serie∑∞

n=n0an, detta minorante, diverge, allora diverge anche la

serie∑∞

n=n0bn, detta maggiorante. Se invece converge la serie maggiorante, converge

anche la minorante.

Dimostrazione fac. Denotiamo, rispettivamente, con {Sn} e {Tn} le successioni delle sommeparziali della prima e della seconda serie. Tali successioni risultano crescenti, essendo ledue serie a termini positivi. Di conseguenza, per il teorema del limite delle successionimonotone, {Sn} e {Tn} ammettono limite (nei reali estesi). Dall’ipotesi an ≤ bn (per ognin) si deduce Sn ≤ Tn (per ogni n). La tesi segue immediatamente applicando il teoremadel confronto dei limiti a {Sn} e {Tn}.

Si mettono in guardia gli studenti che il precedente criterio non puo essere adoperato perstudiare il carattere di serie che non siano a termini positivi (e un errore frequente neicompiti d’esame).

Esempio. La serie∞∑

n=1

1n2 + 3

e convergente (per il criterio del confronto) perche il suo termine generale 1/(n2 + 3)si puo maggiorare (per ogni indice n) col termine generale 1/n2 della serie armonicageneralizzata

∞∑n=1

1nα

con α = 2 > 1 (che e convergente).

Esempio. La serie∞∑

n=2

1n−

√n

non e convergente (per il criterio del confronto) perche il suo termine generale 1/(n−√n)

si puo minorare (per ogni indice n) col termine generale 1/n della serie armonica

∞∑n=1

1n,

che e divergente.

21 giugno 2006 106

Registro di Analisi Matematica 1 – c.l. IAT – a.a. 2005/2006 – M. Furi

Esercizio. Provare che se una serie∑+∞

n=n0an e convergente e c ∈ R, allora

+∞∑n=n0

can = c+∞∑

n=n0

an .

Esercizio. Provare che se una successione {an} e convergente, allora e limitata (cioe esistec ∈ R tale che |an| ≤ c per ogni n ∈ N).

Criterio del confronto asintotico (per le serie a termini positivi). Siano∑+∞

n=n0an e∑+∞

n=n0bn due serie a termini positivi. Se an/bn → `, con 0 < ` < +∞, allora le due serie

hanno lo stesso carattere.

Dimostrazione fac. Ricordiamo che le serie a termini positivi o convergono o divergonoa +∞ (non possono essere indeterminate, perche la successione delle somme parziali emonotona). Occorre provare che se una delle due serie converge, allora converge anchel’altra (di conseguenza, se una diverge, l’altra non puo convergere). Supponiamo che laseconda serie sia convergente e proviamo che allora converge anche la prima. Poiche lasuccessione {an/bn} e convergente, in base all’esercizio precedente, esiste c > 0 tale che|an/bn| ≤ c per ogni n . Pertanto, tenendo conto che an e bn sono numeri positivi, si haan ≤ cbn per ogni n. La convergenza della prima serie segue immediatamente dal teoremadel confronto e dall’uguaglianza

+∞∑n=n0

cbn = c+∞∑

n=n0

bn .

Supponiamo ora che la prima serie sia convergente. Poiche abbiamo supposto che il limite` (oltre ad essere finito) sia diverso da zero, allora bn/an → 1/` < +∞. Quindi, se la serie∑+∞

n=n0an converge, per la tesi appena provata, converge anche

∑+∞n=n0

bn.

Possiamo concludere che se una delle due serie converge, converge anche l’altra (quindi seuna delle due diverge, diverge anche l’altra).

56 - Gio. 17/11/05

Esempio. La serie∞∑

n=1

1n2 − 3

e convergente (per il criterio del confronto asintotico) perche il rapporto tra il suo terminegenerale 1/(n2 − 3) e il termine generale 1/n2 della serie armonica generalizzata

∞∑n=1

1n2

tende ad uno (che e un numero diverso da zero e diverso da infinito). Pertanto le due seriehanno lo stesso carattere.

21 giugno 2006 107

Registro di Analisi Matematica 1 – c.l. IAT – a.a. 2005/2006 – M. Furi

Esempio. La serie∞∑

n=1

1n+

√n

non e convergente (per il criterio del confronto asintotico) perche il rapporto tra il suotermine generale 1/(n+

√n) e il termine generale 1/n della serie armonica tende ad uno

(che e un numero diverso da zero e diverso da infinito). Pertanto le due serie hanno lostesso carattere.

Il risultato che segue e utile per provare la convergenza di alcune serie a termini non tuttipositivi. Si avvisano gli studenti che, essendo un criterio di convergenza, non puo (e nondeve) essere adoperato per provare la non convergenza di una serie (e un errore che siincontra in alcuni compiti d’esame).

Criterio della convergenza assoluta sd (per le serie numeriche). Sia∑∞

n=n0an una

serie numerica. Se la serie dei valori assoluti∑∞

n=n0|an| converge, allora converge anche∑∞

n=n0an e risulta ∣∣∣∣∣

∞∑n=n0

an

∣∣∣∣∣ ≤∞∑

n=n0

|an|.

Si osservi che la disuguaglianza del precedente teorema ha senso in virtu dell’affermazioneche la serie

∑∞n=n0

an e convergente. In questo caso, infatti, tale serie rappresenta unnumero reale, e quindi ha senso il suo valore assoluto.

Se la serie∑∞

n=n0|an| dei valori assoluti di una serie

∑∞n=n0

an e convergente, allora que-st’ultima si dice convergente assolutamente. Il precedente teorema afferma che la conver-genza assoluta implica la convergenza. L’implicazione opposta, tuttavia, non e vera: enoto infatti che la serie

∑∞n=1(−1)n/n e convergente, sebbene non lo sia la serie dei suoi

valori assoluti, che e la serie armonica.

Esempio. La serie∞∑

n=1

cosnn2 + 3

converge (assolutamente) perche il valore assoluto del suo termine generale si puo mag-giorare con 1/n2, che e il termine generale di una serie convergente (in questo caso siapplicano due criteri: del confronto, per provare che la serie dei valori assoluti converge, edell’assoluta convergenza, per provare che converge la serie assegnata).

Esempio. La serie∞∑

n=1

n(−1)n

n+ 3

non converge perche il suo termine generale non tende a zero. Infatti il valore assoluto deltermine generale e n/(n+ 3), che tende a 1 (ricordiamo che una successione tende a zerose e solo se tende a zero il suo valore assoluto).

21 giugno 2006 108

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Esercizio. Determinare il carattere delle seguenti serie:

∞∑n=1

cosn+ sen 2nn3 +

√n+ 3

,

∞∑n=1

(−1)n cos(

2πn3 + 3

),

∞∑n=1

sen(1/n),∞∑

n=1

sen(1/n2).

57 - Ven. 18/11/05

Una partizione di un intervallo limitato e chiuso [a, b] e un insieme finito

P = {x0, x1, . . . xn}

di punti con la seguente proprieta:

a = x0 < x1 < x2 < · · · < xn−1 < xn = b .

Gli intervalliJ1 = [x0, x1], J2 = [x1, x2], . . . , Jn = [xn−1, xn]

si dicono intervalli (parziali) della partizione. Una scelta di punti nella partizione P e uninsieme finito S = {c1, c2, . . . cn} di punti tali che

c1 ∈ J1, c2 ∈ J2, . . . , cn ∈ Jn .

Una coppia α = (P, S) costituita da una partizione P di [a, b] e da una scelta S di puntiin P si dice una partizione puntata.

Sia ora assegnata una funzione f : [a, b] → R (per convenzione, se una funzione non edefinita in alcuni punti di [a, b], la estendiamo considerandola nulla in tali punti, purchequesti siano un numero finito). Ad ogni partizione puntata α = (P, S) di [a, b] possiamoassociare il numero

Sf (α) =n∑

i=1

f(ci)∆xi ,

dove ∆xi = xi−xi−1 denotano le ampiezze degli intervalli Ji della partizione P e ci i puntidella scelta S. Si ha cosı una funzione reale (di variabile non reale) Sf : P → R definitanell’insieme P delle partizioni puntate di [a, b].

Intuitivamente l’integrale (classico) in [a, b] della funzione f e, quando esiste, il valorelimite che si ottiene facendo tendere a zero le ampiezze ∆xi degli intervalli delle possibilipartizioni puntate. Diremo infatti che un numero I e l’integrale di f in [a, b] se, fissato un“errore” ε > 0, esiste un δ > 0 tale che, comunque si assegni una partizione puntata α conintervalli parziali tutti di ampiezza minore di δ, la somma Sf (α) sopra definita dista da Imeno di ε. In altre parole, denotando con |α| la massima ampiezza degli intervalli dellapartizione puntata α (|α| si legge “parametro di finezza di α” e non “valore assoluto diα”), l’integrale I di f in [a, b] e il limite per |α| → 0 della sommatoria Sf (α). In simboli

lim|α|→0

Sf (α) = I

21 giugno 2006 109

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significa che per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che se |α| < δ allora |Sf (α) − I| < ε.Diremo che la funzione f e integrabile (in [a, b]) secondo Cauchy-Riemann quando talelimite esiste finito (si invita lo studente a verificarne l’unicita). Detto limite si denota conuno dei seguenti simboli: ∫ b

af,

∫ b

af(x) dx ,

il primo dei quali si legge “integrale tra a e b di f ” e il secondo “integrale tra a e b di f(x) indx ”. La f si chiama “funzione integranda” e la variabile x che appare nella seconda delledue notazioni si dice “variabile di integrazione”. Detta variabile, non intervenendo nelladefinizione di integrale, potra anche essere omessa (come nella prima delle due notazioni)o essere indicata con una qualunque altra lettera. Ad esempio, l’integrale tra a e b di f sipuo scrivere anche ∫ b

af(t) dt o

∫ b

af(s) ds .

Talvolta pero la variabile di integrazione, per evitare ambiguita, non potra essere omessa.E il caso, ad esempio, di un integrale del tipo∫ b

af(x, y) dx ,

dove f : R2 → R e una funzione di due variabili, che in questo caso viene pensata funzionedella sola variabile x fissando un qualunque valore della y (si dice funzione parziale). Intale integrale il simbolo dx sta ad indicare che, delle due funzioni parziali, l’integranda equella di variabile x (pensando y come un parametro assegnato). Riguardo a tale integrale,si osservi che ∫ b

af(x, y) dx ,

essendo un numero per ogni valore della y, rappresenta una funzione g(y) di una solavariabile.

Esercizio fac. Provare che se una funzione f : [a, b] → R non e limitata, allora il

lim|α|→0

Sf (α) ,

ammesso che esista, non puo essere finito (e pertanto f non puo essere integrabile).

Suggerimento. Fissare una qualunque partizione P di [a, b] e variare la scelta S in P inmodo da rendere |Sf (α)| arbitrariamente grande (cio implica che |Sf (α)| puo essere grandequanto si vuole indipendentemente dal parametro di finezza di α).

58 - Ven. 18/11/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Sia f : R → R definita da f(x) = − 112x

4+ 56x

3−3x2. Determinare gli intervallinei quali f e convessa.

Svolgimento. La funzione f(x) e derivabile e

f ′(x) = −13x3 +

52x2 − 6x .

21 giugno 2006 110

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Anche f ′(x) e derivabile ef ′′(x) = −x2 + 5x− 6 .

Sappiamo che, se f e derivabile due volte in un intervallo J , f e convessa (in tale intervallo)se e solo se f ′′(x) ≥ 0 per ogni x ∈ J . Studiamo quindi l’insieme in cui f ′′(x) ≥ 0:

−x2 + 5x− 6 ≥ 0 ⇐⇒ x2 − 5x+ 6 ≤ 0 ⇐⇒ 2 ≤ x ≤ 3 .

Ponendo quindi A = [2, 3], risulta che:• f e convessa in A;• se f e convessa in un intervallo J , allora J ⊆ A.Inoltre, dato che f e derivabile in x1 = 2 e x2 = 3, e che in un intorno di ciascunodei suddetti punti f ′′(x) cambia segno (cioe in un semi-intorno e positiva e nell’altro enegativa), x1 e x2 sono punti di flesso per f .

Esercizio. Studiare la funzione f(x) = |x|ex.

Svolgimento. Si osservi che:D(f) = R ;f(x) ≥ 0, ∀x ∈ R;f e continua su tutto R.I limiti importanti di f sono quindi:

limx→+∞

|x|ex = +∞

elim

x→−∞|x|ex = lim

x→−∞−xex = lim

x→−∞

−xe−x

,

che e una forma indeterminata del tipo ∞∞ . Sussistono tutte le ipotesi del teorema di De

L’Hopital. Pertanto possiamo derivare denominatore e numeratore ottenendo

D(−x)D(e−x)

=−1−e−x

=1e−x

= ex,

che tende a zero per x tendente a meno infinito. Quindi

limx→−∞

|x|ex = 0.

Individuiamo gli eventuali asintoti. Risulta

limx→+∞

|x|ex

x= lim

x→+∞ex = +∞ .

Quindi f non ha asintoto destro. Inoltre, come abbiamo gia visto, risulta

limx→−∞

|x|ex = 0 ,

da cui si deduce facilmente (in base alla definizione di asintoto) che l’asse delle x (cioe laretta y = 0) e l’asintoto (ovviamente orizzontale) sinistro per f .

21 giugno 2006 111

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La f e prodotto di due funzioni derivabili in R\{0}, e quindi anch’essa e derivabile inR\{0}. Non e derivabile in x = 0, dato che in tal punto la sua derivata destra vale 1(essendo la derivata in x = 0 di fd(x) = xex) mentre la derivata sinistra vale −1 (dato chee la derivata in x = 0 di fs(x) = −xex). Possiamo quindi affermare che x = 0 e un puntoangoloso (ed e un punto di minimo perche la derivata sinistra e negativa e la derivatadestra e positiva).

Risulta:

f ′(x) ={

ex(x+ 1) se x > 0−ex(x+ 1) se x < 0

Da cui segue che f ′(x) = 0 ⇐⇒ x = −1. Inoltre

f ′(x) > 0 ⇐⇒ (x > 0) ∨ (x < −1) e f ′(x) < 0 ⇐⇒ −1 < x < 0 ,

da cui si deduce (studiando gli intervalli di crescenza e di decrescenza della f) che lafunzione ha un massimo relativo (ma non assoluto) in x = −1 ed un minimo relativo (cheavevamo gia trovato) in x = 0. Inoltre, osservando che f(0) = 0 e sapendo che f e nonnegativa, x = 0 e addirittura un punto di minimo assoluto per f .

La funzione e continua e definita su tutto R, quindi la sua immagine e un intervallo, e daquanto abbiamo visto segue che Imf = [0,+∞). Risulta anche che f ′(x) e derivabile inR\{0} e

f ′′(x) ={

ex(x+ 2) se x > 0−ex(x+ 2) se x < 0

Da cui segue che f ′′(x) = 0 ⇐⇒ x = −2. Inoltre

f ′′(x) > 0 ⇐⇒ (x > 0) ∨ (x < −2) e f ′′(x) < 0 ⇐⇒ −2 < x < 0 .

Quindi f e convessa negli intervalli (−∞,−2] e [0,+∞), ed ha un flesso in x = −2, cosache invece non accade in x = 0 perche f non e derivabile in quel punto. Possiamo oradescrivere il grafico di f partendo da meno infinito:f e asintoticamente vicino a zero, cresce, ed e convessa fino a x = −2, dove ha un flessoe diventa concava continuando a crescere fino ad x = −1, dove ha un massimo relativo.Dopodiche f decresce (e sempre concava) fino ad assumere il valore zero in x = 0, dove haun punto angoloso. Successivamente f diventa convessa e crescente in tutto R+, tendendoa piu infinito.

Esercizio. Studiare la funzione f(x) = max{x2 , 1− x}.

Svolgimento. Risolviamo la disequazione

x

2≥ 1− x ⇐⇒ x ≥ 2

3

Quindi possiamo riscrivere f come

f(x) =

{x2 se x ≥ 2

3

1− x se x ≤ 23

21 giugno 2006 112

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Si osservi che x2 = 1 − x = 1

3 se x = 23 , per cui f e continua. Dal momento che f e una

funzione “rettilinea a tratti” possiamo disegnarne il grafico senza studiare limiti, derivatee quant’altro, ma anzi, dal grafico stesso possiamo dedurre il comportamento asintotico, ilimiti, l’immagine e le derivate. Si osserva quindi che:• D(f) = R;• limx→±∞ f(x) = +∞;• gli asintoti sinistro e destro esistono e coincidono (parzialmente) con la funzione;• f non e derivabile in x = 2

3 dove ha un punto angoloso;• f ′(x) < 0 se x < 2

3 mentre f ′(x) > 0 se x > 23 ;

• f ha un punto di minimo (assoluto) in x = 23 ;

• f non ha punti di massimo relativi;• L’immagine di f e un intervallo (perche f e continua su R), e risulta Imf = [13 ,+∞);• f ′′(x) = 0, ∀x 6= 2

3 .

59 - Ven. 18/11/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Applicando la definizione di limite di successioni, provare che

limn

n+ 1= 1 .

Svolgimento. Si fissi ε > 0, e si risolva la disequazione nella variabile naturale n:∣∣∣∣ n

n+ 1− 1∣∣∣∣ < ε ⇐⇒

∣∣∣∣ −1n+ 1

∣∣∣∣ < ε ⇐⇒ 1n+ 1

< ε ⇐⇒ n >1ε− 1 .

Ponendo n = int(1ε − 1), risulta∣∣∣∣ n

n+ 1− 1∣∣∣∣ < ε , ∀n > n ,

che equivale alla definizione dilim

n

n+ 1= 1

e conclude l’esercizio.

Esercizio. Applicando la definizione di limite di successioni, provare che

limn2

3n2 + 1=

13.

Svolgimento. Fissiamo ε > 0 e procediamo in analogia con l’esercizio precedente:∣∣∣∣ n2

3n2 + 1− 1

3

∣∣∣∣ < ε ⇐⇒ n >

√13

( 13ε− 1).

Ponendo n = int(√

13( 1

3ε − 1)), risulta∣∣∣∣ n2

3n2 + 1− 1

3

∣∣∣∣ < ε , ∀n > n ,

21 giugno 2006 113

Registro di Analisi Matematica 1 – c.l. IAT – a.a. 2005/2006 – M. Furi

che equivale alla definizione di

limn2

3n2 + 1=

13

e conclude l’esercizio.

Esercizio. Provare che il limite di una successione, se esiste, e unico.

Svolgimento. Supponiamo, per assurdo, che una successione {an} ammetta due limitidistinti, `1 e `2, entrambi finiti (gli altri casi si lasciano per esercizio) e scegliamo ε = |`1−`2|

2 .Risulta che:

lim an = `1 ⇐⇒ esiste n1 tale che |an − `1| < ε, ∀n > n1 ,

lim an = `2 ⇐⇒ esiste n2 tale che |an − `2| < ε, ∀n > n2 .

Quindi, se n > n := max(n1, n2), si ottiene

2ε = |`1 − `2| = |`1 − an + an − `2| ≤ |an − `1|+ |an − `2| < ε+ ε ,

che rappresenta ovviamente un assurdo e conclude l’esercizio.

Osservazione. Dal teorema del confronto fra limiti, sappiamo che, se an → a, bn → be an ≤ bn per ogni n ∈ N, allora a ≤ b. Ci chiediamo adesso se restringendo le ipotesi,cioe supponendo che an < bn per ogni n ∈ N, possiamo affermare che a < b. La risposta enegativa. Si considerino ad esempio le successioni {an} = { 1

n} e {bn} = { 2n}.

Esercizio. Provare che se an → `, allora |an| → |`|. Mostrare con un esempio che ilcontrario non e vero.

Svolgimento. Risulta

lim an = ` =⇒ | lim an| = |`| =⇒ lim |an| = |`| ,

che prova la prima parte dell’esercizio (la seconda implicazione e giustificata dalla conti-nuita della funzione valore assoluto). Sia ora

an = (−1)n n

n+ 1, n ∈ N .

Abbiamo gia provato in precedenza che |an| = nn+1 → 1. Proviamo pero che {an} non ha

limite, supponendo per assurdo che esista ` = lim an. Risulta che

−|an| ≤ an ≤ |an| =⇒ |`| ≤ 1 .

Inoltre si osservi che, se n > 1, risulta |an − an+1| > 1. Si scelga allora ε = 12 . Per n

sufficientemente grande si ha

|an − `| < 12,

ma ovviamente anche|an+1 − `| < 1

2.

21 giugno 2006 114

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Quindi1 > |an − `|+ |an+1 − `| ≥ |an − `+ `− an+1| = |an − an+1| > 1 ,

che rappresenta un assurdo e conclude l’esercizio.

Esercizio. Si calcoli la somma della seguente serie:∞∑

n=0

(12

)n

Svolgimento. Si osservi chean+1

an=

12

indipendentemente da n. Quindi la serie e geometrica con ragione q = 12 ∈ (−1, 1), ed e

pertanto convergente. Dato che il primo termine della serie e a = (12)0 = 1, risulta

∞∑n=0

(12

)n=

a

1− q=

11− 1

2

= 2 ,

e l’esercizio e concluso.

Esercizio. Si calcoli∞∑

n=3

(12

)n

Svolgimento. Procedendo in analogia con l’esercizio precedente, si ricava che il primotermine della serie ha valore a = (1

2)3 = 18 , da cui:

∞∑n=3

(12

)n=

1/81− 1/2

=14.

Si osservi che potevamo arrivare allo stesso risultato da:∞∑

n=3

(12

)n=

∞∑n=0

(12

)n−(1

2

)0−(1

2

)1−(1

2

)2= 2− 1− 1

2− 1

4=

14.

che conclude l’esercizio confermando il risultato precedente.

60 - Mar. 22/11/05

Il risultato che segue e una facile conseguenza del teorema fondamentale per il calcolo deilimiti (valido anche in questo contesto).

Teorema (proprieta di linearita dell’integrale definito). Siano f, g : [a, b] → R due funzioniintegrabili (in [a, b]) e λ una costante. Allora anche f + g e λf sono integrabili e risulta∫ b

a(f(x) + g(x)) dx =

∫ b

af(x) dx+

∫ b

ag(x) dx (additivita),∫ b

aλf(x) dx = λ

∫ b

af(x) dx (omogeneita).

21 giugno 2006 115

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Il seguente risultato e un’immediata conseguenza del teorema del confronto per i limiti(valido anche in questo contesto).

Teorema (proprieta di monotonia dell’integrale definito). Siano f, g : [a, b] → R integrabilie tali che f(x) ≤ g(x) per ogni x ∈ [a, b]. Allora∫ b

af(x) dx ≤

∫ b

ag(x) dx .

Esercizio. Provare che (analogamente alla ben nota disuguaglianza che afferma che “ilvalore assoluto di una sommatoria e minore o uguale alla sommatoria dei valori assoluti”)per l’integrale si ha ∣∣∣∣∫ b

af(x) dx

∣∣∣∣ ≤ ∫ b

a|f(x)| dx .

Suggerimento. Partire dalla disuguaglianza −|f(x)| ≤ f(x) ≤ |f(x)| e applicare laproprieta di monotonia degli integrali.

Si dice che due insiemi A e B hanno la stessa cardinalita (o la stessa potenza), e siscrive cardA = cardB, se esiste un’applicazione biiettiva f : A → B. In altre parole,due insiemi hanno la stessa cardinalita se si possono mettere in corrispondenza biunivoca.Ovviamente, in caso contrario, si dice che i due insiemi hanno cardinalita diversa, e siscrive cardA 6= cardB.

Si dice che la cardinalita di un insieme A e minore o uguale alla cardinalita di un altroinsieme B, e si scrive cardA ≤ cardB, se A puo essere messo in corrispondenza biunivocacon un sottoinsieme di B. Se cardA 6= cardB e cardA ≤ cardB, si dice che la cardinalitadi A e minore di quella di B e si scrive cardA < cardB.

Teorema (di Cantor-Bernstein) sd. Se cardA ≤ cardB e cardB ≤ cardA, allora A e Bhanno la stessa cardinalita.

Definizione (di insieme numerabile). Un insieme si dice numerabile se ha la stessacardinalita dei numeri naturali; si dice contabile se e numerabile o finito.

Teorema. L’unione di un numero finito (o anche di un’infinita numerabile) di insieminumerabili e un insieme numerabile.

Dimostrazione fac. Vedere gli appunti presi a lezione.

Esercizio. Provare che l’insieme Z dei numeri interi e numerabile.

Teorema. L’insieme Q dei numeri razionali e numerabile.

Dimostrazione fac. Vedere gli appunti presi a lezione.

Teorema sd. L’insieme R dei numeri reali non e numerabile.

21 giugno 2006 116

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Esercizio. Dedurre dai due precedenti teoremi che l’insieme dei numeri irrazionali non enumerabile.

Il seguente risultato, dovuto a Cantor, mostra che esistono “infiniti tipi di infinito”.

Teorema sd. Dato un qualunque insieme A, esiste un insieme B tale che cardA < cardB.

Definizione (di insieme trascurabile in R). Un sottoinsieme A di R si dice trascurabile,o di misura nulla secondo Lebesgue (si legge “lebeg”) se fissato un arbitrario ε > 0si puo ricoprire A con una famiglia F (finita o infinita) di intervalli aperti di lunghezzacomplessiva minore o uguale ad ε (significa che se si considera una qualunque sottofamigliafinita di intervalli di F , la somma delle loro lunghezze non deve superare ε).

Ovviamente gli insiemi finiti sono trascurabili. Infatti, se si considerano n punti e si fissaε > 0, basta coprire ciascun punto con un intervallo di ampiezza ε/n.

Anche gli insiemi numerabili (cioe quelli che possono essere messi in corrispondenza biu-nivoca con i numeri naturali) sono trascurabili. Infatti, se A = {x1, x2, . . . , xn, . . . } e uninsieme numerabile, allora, fissato ε, per ricoprire A con intervalli di ampiezza complessivaminore o uguale ad ε e sufficiente coprire il primo punto con un intervallo di ampiezza ε/2,il secondo con un intervallo di ampiezza ε/4, e cosı via dividendo per due, ad ogni passo,l’ampiezza del precedente intervallo. In base alla teoria delle serie geometriche, l’ampiezzatotale di tali intervalli e data da

∞∑n=1

ε

2n=

ε/21− 1/2

= ε .

Esercizio. Provare che se A e trascurabile e B ⊆ A, allora anche B e trascurabile.

Esercizio fac. Provare che l’unione di due insiemi trascurabili e un insieme trascurabile.

Teorema (di integrabilita) sd. Una funzione f : [a, b] → R e integrabile (secondo Cauchy-Riemann) in [a, b] se e solo se e limitata e l’insieme dei suoi punti di discontinuita etrascurabile.

61 - Mar. 22/11/05

Definizione (di polo di una funzione). Un punto x0 si dice un polo di una funzione f se

limx→x0

|f(x)| = +∞ .

Esercizio. Provare che una funzione limitata non puo avere poli.

Non e detto che una funzione f : [a, b] → R priva di poli sia limitata. Esistono cioefunzioni non limitate, definite in un intervallo limitato e chiuso, prive di poli. Una diqueste e f : [0, 1] → R cosı definita:

f(x) =

sen(1/x)

xse x ∈ (0, 1]

0 se x = 0 .

21 giugno 2006 117

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Si invitano gli studenti a verificarlo per eserciziofac (mediante il teorema di collegamento).

Osservazione. Se una funzione f ha un polo in [a, b], allora, in base all’esercizio prece-dente, non e limitata in [a, b]. Pertanto, per il teorema di integrabilita, non e integrabilein tale intervallo. In altre parole ∫ b

af(x) dx

non rappresenta un numero (e un simbolo privo di significato concreto).

Esercizio. Provare che se due funzioni sono limitate, allora anche la loro somma, il loroprodotto e la loro composizione sono funzioni limitate (non e cosı per il quoziente).

Una facile conseguenza del teorema di integrabilita e che la somma, il prodotto e la com-posizione di funzioni integrabili e ancora integrabile (il quoziente potrebbe essere unafunzione non limitata, e quindi non integrabile). Facciamo notare, inoltre, che se una fun-zione e continua in un intervallo limitato e chiuso [a, b], allora e anche integrabile (in taleintervallo), essendo limitata per il Teorema di Weierstrass, ed avendo un insieme vuoto(quindi trascurabile) di punti di discontinuita. Piu in generale, se una funzione ha unnumero finito (o un’infinita numerabile) di punti di discontinuita, allora, purche sia limi-tata, e integrabile (la limitatezza, questa volta, non e assicurata). Si potrebbe dimostrareche le funzioni monotone in un intervallo limitato e chiuso [a, b] hanno al massimo un’in-finita numerabile di punti di discontinuita. Quindi anch’esse, essendo limitate (visto cheammettono massimo e minimo agli estremi dell’intervallo [a, b]), sono integrabili.

In pratica possiamo affermare che tutte le funzioni che uno studente di ingegneria puoincontrare nello svolgere gli esercizi hanno un insieme trascurabile di punti di disconti-nuita. Il motivo e dovuto al fatto che ogni “ragionevole funzione” puo essere ottenutacombinando (con un numero finito di operazioni di somma, prodotto, quoziente, composi-zione, restrizione ad un intervallo e inversione) le seguenti funzioni (dette fondamentali),che hanno un insieme trascurabile di punti di discontinuita (c e una costante):

c , x , senx , lnx , signx , intx .

Diremo che f e una funzione dedotta se si puo ottenere dalle suddette funzioni fonda-mentali con un numero finito di operazioni di somma, prodotto, quoziente, composizione,restrizione ad un intervallo e inversione. Ecco alcuni esempi di funzioni dedotte:

• cosx si ottiene componendo x+ π/2 con senx (ossia cosx = sen(x+ π/2));• tang x e il rapporto tra senx e cosx;• arctang x si ottiene invertendo la restrizione di tang x all’intervallo (−π/2, π/2);• |x| = x signx;• expx e si ottiene invertendo lnx;• ax = exp(x ln a);• x2 e il prodotto di x per x;•√x e l’inversa della restrizione di x2 all’intervallo [0,+∞);

• 3√x e l’inversa di x3;

• la funzione di Heaviside e H(x) = (1 + signx)/2.

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Teorema sd. Ogni funzione dedotta ha un insieme trascurabile di punti di discontinuita.

Tenendo conto del suddetto risultato e del teorema di integrabilita, data una funzionededotta f e dato un intervallo compatto [a, b] (cioe limitato e chiuso), per controllare se∫ b

af(x) dx

rappresenta un numero, ossia se f e integrabile in [a, b], e necessario (ed e anche sufficiente)verificare che f sia definita in [a, b] tranne al piu un numero finito di punti (possiamo infattiestenderla supponendo che valga zero nei punti in cui non e definita) e che sia limitata intale intervallo.

Ad esempio ∫ 2

0

ex

x2 − 9dx e

∫ 1

−1

senxx

dx

sono numeri reali (si calcolano con metodi numerici), mentre non lo sono∫ 4

2

ex

x2 − 9dx e

∫ 1

−1

cosxx

dx .

Per quale motivo?

Definizione. Una funzione f : A → R si dice localmente integrabile se e integrabile inogni sottointervallo compatto (cioe limitato e chiuso) del suo dominio A.

Si osservi che, in base al teorema di integrabilita, le funzioni continue sono localmente inte-grabili, dato che in ogni intervallo compatto sono limitate (per il Teorema di Weierstrass)e l’insieme dei punti di discontinuita e trascurabile (essendo vuoto).

Definizione (di integrale orientato). Sia f : J → R localmente integrabile in un intervalloJ . Dati due punti a, b ∈ J , con a ≥ b, si pone∫ b

af(x) dx = −

∫ a

bf(x) dx se a > b, e

∫ b

af(x) dx = 0 se a = b.

Si osservi che, quando a > b, il numero∫ baf(x) dx non rappresenta l’integrale della funzione

f nell’intervallo [b, a], ma il suo opposto.

Vale la seguente proprieta:

Teorema sd (di additivita rispetto all’intervallo). Sia f : J → R localmente integrabile inun intervallo J . Allora, dati tre arbitrari punti a, b, c ∈ J , si ha∫ b

af(x) dx =

∫ c

af(x) dx+

∫ b

cf(x) dx .

Non presentiamo la dimostrazione del precedente teorema. Si osservi comunque che lasuddetta formula risulta piuttosto intuitiva nel caso in cui a < c < b. Si suggerisce allo

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studente di dimostrare per esercizio che tale formula vale in generale, supponendone lavalidita nel caso a < c < b (si sfrutti l’uguaglianza

∫ baf(x) dx = −

∫ ab f(x) dx).

62 - Gio. 24/11/05

Il concetto di integrale fornisce un utile strumento per introdurre nuove funzioni, dettefunzioni integrali. Ad esempio, definiamo

F (x) =∫ x

0

cos t1− t

dt .

Il dominio di F e l’insieme dei numeri x ∈ R per i quali il suddetto integrale rappresentaun numero. In altre parole, e l’insieme dei numeri x per i quali la funzione integranda

f(t) =cos t1− t

risulta integrabile (secondo Cauchy-Riemann) nell’intervallo compatto 0x di estremi 0 ex. Il teorema di integrabilita e tutto cio che occorre per determinare tale dominio. Peresempio, se x = 2 si ha

F (2) =∫ 2

0

cos t1− t

dt ,

e tale integrale non definisce un numero (e un puro simbolo privo di significato) perchela funzione integranda f(t) non e limitata nell’intervallo di integrazione [0, 2] e quindinon e integrabile (secondo Cauchy-Riemann) in tale intervallo (infatti |f(t)| → +∞ pert→ 1). Il numero F (−2) e invece ben definito (anche se per calcolarlo occorre l’ausilio diun computer) perche f(t) e continua nell’intervallo [−2, 0] e, di conseguenza, integrabile intale intervallo. In conclusione, tenendo conto del teorema di integrabilita, si puo affermareche un numero x sta nel dominio di F se e solo se l’intervallo (compatto) di estremi 0 e xnon contiene il punto t = 1. Dato che uno dei due estremi e minore di 1, x sta nel dominiose e solo se e anch’esso minore di 1. Quindi D(F ) = (−∞, 1).

Esercizio. Determinare il dominio della funzione

F (x) =∫ 1−2x

x

cos tt+ t2

dt .

Suggerimento. La funzione integranda tende all’infinito, in valore assoluto, per t che tendea 0 e per t che tende a −1. Pertanto, in base al teorema di integrabilita (parte necessaria),affinche F (x) rappresenti un numero occorre che l’intervallo di integrazione non contenganessuno dei due punti 0 e −1 (in caso contrario la funzione integranda non e limitata intale intervallo). D’altra parte, sempre per il teorema di integrabilita (parte sufficiente), sel’intervallo di integrazione non contiene nessuno dei due punti 0 e −1, allora la funzioneintegranda risulta integrabile in tale intervallo. Infatti . . .

Riordinando un po’ le idee, abbiamo visto la definizione di integrale di una funzione in unintervallo [a, b] e la caratterizzazione delle funzioni integrabili tramite il teorema di inte-grabilita. Tale teorema, essendo formulato attraverso il concetto di insieme trascurabile,

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non e di immediata comprensione, ma almeno siamo in grado di capire con chiarezza unasua utile conseguenza: se f : [a, b] → R e limitata e ha al piu un’infinita numerabile dipunti di discontinuita, allora e integrabile.

Ci poniamo il seguente problema: data f : [a, b] → R integrabile, abbiamo strumenti dicalcolo agili per ricavare il numero

∫ ba f(x) dx senza far ricorso alla definizione? Non c’e

una risposta univoca a tale domanda. In alcuni casi favorevoli, come vedremo, la rispostae affermativa. In altri casi e necessario ricorrere ad algoritmi numerici, i quali non sidiscostano molto dalla definizione di integrale come limite di una sommatoria.

Prima di dare un importante strumento analitico per il calcolo degli integrali definiti (laformula fondamentale del calcolo integrale) occorrono alcuni risultati preliminari.

Esercizio. Provare (mediante la definizione di integrale) che∫ b

ac dx = c(b− a) ,

dove c ∈ R e una (funzione) costante.

Primo teorema della media per gli integrali (Teorema della media semplice). Siaf : [a, b] → R una funzione integrabile. Allora la media di f in [a, b], ossia∫ b

a f(x) dxb− a

,

e un numero compreso tra l’estremo inferiore e l’estremo superiore di f . In particolare,se f e continua, allora (per il teorema dei valori intermedi) esiste un punto c ∈ [a, b] peril quale si ha ∫ b

af(x) dx = f(c)(b− a) .

Dimostrazione. Denotiamo, rispettivamente, con m e M l’estremo inferiore e l’estremosuperiore della funzione f(x) per x ∈ [a, b]. Si ha

m ≤ f(x) ≤M , ∀x ∈ [a, b].

Quindi, per la proprieta di monotonia, risulta∫ b

amdx ≤

∫ b

af(x) dx ≤

∫ b

aM dx .

Dividendo i tre membri della suddetta disuguaglianza per b − a (e tenendo conto dell’e-sercizio precedente) si ottiene la tesi.

La dimostrazione del seguente risultato e analoga a quella del teorema precedente ed elasciata per eserciziofac agli studenti.

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Secondo teorema della media per gli integrali (Teorema della media ponderata).Siano f, g : [a, b] → R due funzioni integrabili. Supponiamo che g(x) non cambi segno in[a, b]. Allora (quando ha senso) la media ponderata di f in [a, b] (con peso g), ossia∫ b

a f(x)g(x) dx∫ ba g(x) dx

,

e un numero compreso tra l’estremo inferiore e l’estremo superiore di f . Inoltre, se f econtinua, esiste un punto c ∈ [a, b] per il quale si ha∫ b

af(x)g(x) dx = f(c)

∫ b

ag(x) dx ,

incluso il caso in cui l’integrale di g sia zero.

Dimostrazione fac (traccia). Senza perdere in generalita si puo supporre g(x) ≥ 0 in [a, b].Denotiamo, rispettivamente, con m e M l’estremo inferiore e l’estremo superiore dellafunzione f(x) per x ∈ [a, b]. Si ha

mg(x) ≤ f(x)g(x) ≤Mg(x) , ∀x ∈ [a, b].

Quindi, per la proprieta di monotonia, risulta . . .

Il seguente importantissimo risultato mostra che ogni funzione continua su un intervalloe la derivata di un’altra funzione (detta primitiva), anche se per calcolare tale funzione espesso necessario ricorrere a metodi di integrazione numerica.

Teorema fondamentale del calcolo integrale. Sia f una funzione continua in unintervallo J e sia a ∈ J un punto assegnato (non occorre che a sia un estremo di J).Allora la funzione F : J → R definita da

F (x) =∫ x

af(t) dt

e derivabile, e per ogni x ∈ J si ha F ′(x) = f(x).

Dimostrazione fac. Fissiamo un arbitrario punto x0 ∈ J . Occorre provare che F e derivabilein tal punto e risulta F ′(x0) = f(x0). A tale scopo calcoliamo il

limx→x0

F (x)− F (x0)x− x0

mediante il teorema di collegamento. Consideriamo quindi una qualunque successione{xn} in J\{x0} tale che xn → x0 e studiamo il seguente limite:

limn→∞

F (xn)− F (x0)xn − x0

= limn→∞

∫ xn

a f(t) dt−∫ x0

a f(t) dtxn − x0

.

Per la proprieta di additivita rispetto all’intervallo di integrazione, risulta∫ xn

a f(t) dt−∫ x0

a f(t) dtxn − x0

=

∫ x0

a f(t) dt+∫ xn

x0f(t) dt−

∫ x0

a f(t) dt

xn − x0=

1xn − x0

∫ xn

x0

f(t) dt.

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Essendo f continua, per il primo teorema della media per gli integrali, per ogni n ∈ Nesiste un punto cn appartenente all’intervallo x0 xn di estremi x0 e xn tale che

f(cn) =1

xn − x0

∫ xn

x0

f(t) dt.

Poiche xn → x0, anche cn → x0 (si osservi infatti che 0 ≤ |cn − x0| ≤ |xn − x0|, datoche la distanza di un punto di un intervallo da uno qualunque dei due estremi non superal’ampiezza dell’intervallo). Quindi, essendo f continua, risulta

F (xn)− F (x0)xn − x0

= f(cn) → f(x0),

e la tesi segue dall’arbitrarieta di {xn}.

Con riferimento al suddetto teorema, si osservi che la funzione integranda f(t), essendo(per ipotesi) continua, risulta localmente integrabile, e quindi la funzione integrale F (x)e ben definita per tutti gli x ∈ J .

Esercizio. Determinare il dominio della seguente funzione e calcolarne la derivata:

ϕ(x) =∫ −2x2

0

sen t1− t2

dt .

Suggerimento. Si osservi che ϕ(x) = F (−2x2), dove

F (x) =∫ x

0

sen t1− t2

dt.

Pertanto (per il teorema della derivata di una funzione composta) si ha

ϕ′(x) = −4xF ′(−2x2).

Quindi, dato che F ′(x) = . . . , risulta ϕ′(x) = . . .

Esercizio. Determinare il dominio delle seguenti funzioni e calcolarne la derivata:

ϕ(x) =∫ x2

x

cos tt

dt , ϕ(x) =∫ x2

−x

cos tt

dt .

Suggerimento. Fissato un opportuno x0 ∈ R, si ha∫ β(x)

α(x)f(t) dt =

∫ β(x)

x0

f(t) dt−∫ α(x)

x0

f(t) dt .

Si ricorda che una funzione f : A → R si dice periodica di periodo T > 0 (o T -periodica)se per ogni x ∈ A si ha x+ T ∈ A e f(x) = f(x+ T ).

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Esercizio. Provare che se f : R → R e continua e T -periodica, allora l’integrale∫ a+T

af(x) dx

non dipende da a (il risultato e vero anche se f non e continua, ma meno semplice daprovare).

Suggerimento. Mostrare che la funzione ϕ : R → R definita da

ϕ(a) =∫ a+T

af(x) dx

ha derivata nulla, e quindi e costante.

Esercizio. Calcolare ∫ 100

0intx dx .

Suggerimento. Usare la seguente nota formula per il calcolo della somma dei primi nnumeri naturali:

1 + 2 + 3 + · · ·+ n =n(n+ 1)

2.

63 - Gio. 24/11/05

La piu conveniente definizione della funzione logaritmica (naturale) e la seguente:

lnx =∫ x

1

1tdt.

Poiche un estremo di integrazione e positivo, in base al teorema di integrabilita, affincheil suddetto integrale abbia senso, e necessario e sufficiente che sia positivo anche l’altroestremo. Quindi il dominio della funzione logaritmica e la semiretta (0,+∞). Dal teoremafondamentale del calcolo integrale si deduce che tale funzione e derivabile e la sua derivata e1/x. Da cio segue che la funzione logaritmica e strettamente crescente (essendo positiva lasua derivata) e quindi invertibile. La sua inversa si chiama funzione esponenziale (naturale)e si denota (per ora) con exp y (poi, piu comunemente, con expx).

Osservazione. Dalla definizione di lnx segue immediatamente ln 1 = 0. Quindi, per lastretta crescenza di lnx, risulta lnx < 0 se x ∈ (0, 1) e lnx > 0 se x > 1.

Osservazione. La funzione lnx e concava, essendo la sua derivata seconda negativa intutto il dominio (0,+∞), che e un intervallo.

Esercizio. Mostrare che exp 0 = 1.

Il dominio della funzione esponenziale coincide (per definizione di funzione inversa) conl’immagine della funzione logaritmica, che e necessariamente un intervallo in base al teo-rema dei valori intermedi (si osservi che la funzione logaritmica e continua, dato che e

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derivabile). Mostriamo che tale intervallo e R (cioe la funzione logaritmica e suriettiva).A tale scopo e utile la seguente importantissima proprieta fondamentale della funzionelogaritmica:

ln ab = ln a+ ln b, ∀ a, b > 0,

la cui dimostrazione e basata sul fatto che, fissato b > 0, la funzione g : (0,+∞) → Rdefinita da

g(a) = ln ab− ln a− ln b

e costante (come si vede facilmente derivando rispetto alla variabile a) e quindi identica-mente nulla (essendo g(1) = 0). Da tale proprieta si deduce che, fissati a > 0 e n ∈ Z,risulta ln an = n ln a. Dunque, essendo ln 2 > 0, si ha

supn∈N

ln 2n = +∞ e infn∈N

ln 2−n = −∞.

L’immagine della funzione logaritmica non e quindi ne limitata superiormente ne limitatainferiormente e, di conseguenza, coincide con R. Possiamo dunque concludere che lafunzione esponenziale, essendo l’inversa della funzione logaritmica, e definita in tutto Red ha per immagine la semiretta aperta (0,+∞).

Osservazione. Dal teorema del limite per le funzioni monotone segue che

limx→−∞

expx = inf (0,+∞) = 0 e limx→+∞

expx = sup (0,+∞) = +∞.

Esercizio. Provare che

limx→0+

lnx = −∞ e limx→+∞

lnx = +∞.

Suggerimento. Applicare il teorema del limite per le funzioni monotone.

Si osservi che, se a > 0 e n ∈ Z, risulta an = exp(ln an) = exp(n ln a). Tale proprieta(vera per le potenze ad esponente intero) suggerisce la seguente definizione di potenza adesponente reale:

Definizione (di potenza ad esponente reale). Dati a > 0 e b ∈ R, si definisce

ab = exp(b ln a).

La funzione ax si chiama funzione esponenziale in base a. Si osservi che a deve essere unnumero positivo, altrimenti ln a e privo di significato.

Esercizio. Dedurre, dalla precedente definizione di potenza ad esponente reale, che lafunzione expx coincide con la funzione esponenziale avente per base il numero exp 1, dettonumero di Nepero e denotato con la lettera e. In altre parole, provare che

expx = (exp 1)x, ∀x ∈ R .

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Si osservi che il numero e e l’unica soluzione dell’equazione lnx = 1. Si potrebbe provare,ad esempio con metodi numerici, che 2, 718281 < e < 2, 718282.

Esercizio (proprieta fondamentale della funzione esponenziale). Provare che, dati duearbitrari numeri reali x e y, si ha exp(x+ y) = expx exp y.

Suggerimento. Poiche la funzione logaritmica e iniettiva, basta verificare che

ln(exp(x+ y)) = ln(expx exp y).

Esercizio. Dedurre, dall’esercizio precedente, che

exp(−x) =1

expx.

Esercizio. Provare le seguenti proprieta delle potenze (valide per ogni a > 0 e per ognix, y ∈ R):1) ax+y = axay;2) (ax)y = axy;3) axbx = (ab)x;4) a0 = 1;5) a−x = 1/ax.

Esercizio. Calcolare la derivata della funzione xα (dove α e una costante reale).

Esercizio. Mostrare che la funzione ax e strettamente crescente se a > 1 ed e strettamentedecrescente se 0 < a < 1.

Definizione (di logaritmo con base arbitraria). Dato un numero a > 0, a 6= 1, la funzionelogaritmica in base a, denotata con loga y, e la funzione inversa di ax. In altre parole,fissato y > 0, il numero loga y e l’unica soluzione dell’equazione ax = y. In particolare, lafunzione loge y si chiama funzione logaritmica in base naturale (per convenzione, quandola base e naturale, si puo semplicemente scrivere log y al posto di loge y).

Osserviamo che dalla definizione di logaritmo in base a segue subito che loga x e decrescentese a ∈ (0, 1) ed e crescente se a > 1.

Esercizio fac. Mostrare che log x = lnx (per questo motivo il numero e si dice anche “basedei logaritmi naturali”, o “neperiani”).

Esercizio fac. Dato un numero a > 0, a 6= 1, calcolare la derivata della funzione loga x.

Esercizio fac. Provare la seguente formula di cambiamento di base per i logaritmi:

loga b = loga c logc b.

Suggerimento. Usare le proprieta delle potenze e, ovviamente, la definizione di logaritmocon base arbitraria.

Esercizio. Dedurre dall’esercizio precedente che loga b = 1/ logb a.

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64 - Mar. 29/11/05

Definizione. Sia f : A→ R una funzione reale di variabile reale. Si dice che una funzionederivabile F : A→ R e una primitiva di f se F ′(x) = f(x) per ogni x ∈ A.

E evidente che se f(x) ammette una primitiva F (x), allora ogni funzione della formaF (x) + c, dove c e una costante reale, e ancora una primitiva di f(x). Ad esempio, ognifunzione del tipo log |x|+ c e una primitiva di 1/x, come si verifica facilmente derivando.Tuttavia, come vedremo, non tutte le primitive di 1/x si ottengono aggiungendo unacostante a log |x|. Il motivo e che il dominio di 1/x non e un intervallo.

Una conseguenza del Teorema di Lagrange e che se due primitive di una stessa funzionesono definite in un intervallo, allora la loro differenza e costante (essendo zero la derivatadella differenza). Pertanto, data una funzione f(x) definita in un intervallo e data una suaprimitiva F (x), ogni altra primitiva di f(x) si ottiene da F (x) aggiungendo un’opportunacostante. Ossia, l’insieme delle primitive di f(x) si esprime nella forma F (x) + c, con ccostante arbitraria. E bene notare che tale affermazione e falsa se viene rimossa l’ipotesiche il dominio di f sia un intervallo. Ad esempio, le due funzioni

F (x) = log |x| e G(x) = log |x|+ x/|x|

hanno la stessa derivata (i.e. 1/x) ma non differiscono per una costante (si osservi che illoro dominio non e un intervallo: e R\{0}).

La seguente importante conseguenza del teorema fondamentale del calcolo integrale for-nisce un utilissimo strumento per il calcolo di alcuni integrali. Tuttavia, non sempree possibile utilizzare tale strumento: in alcuni casi non rimane che rivolgersi ai metodinumerici (piu aderenti alla definizione di integrale).

Formula fondamentale del calcolo integrale. Sia f : J → R continua in un intervalloJ . Se G : J → R e una primitiva di f , allora, fissati a, b ∈ J , si ha∫ b

af(x) dx = G(b)−G(a) .

Dimostrazione. Il teorema fondamentale del calcolo integrale ci assicura che anche lafunzione F : J → R, definita da

F (x) =∫ x

af(t) dt,

e una primitiva di f . Quindi la funzione G(x)−F (x), avendo derivata nulla nell’intervalloJ , e costante. Poiche dalla definizione di F si deduce che F (a) = 0, tale costante coincidecon G(a). Dunque

G(x)−∫ x

af(t) dt = G(a), ∀x ∈ J.

La tesi segue ponendo x = b.

21 giugno 2006 127

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Notazione. Data una funzione G : A → R e due punti a, b ∈ A, col simbolo [G(x)]ba sidenota la differenza G(b)−G(a). La formula fondamentale del calcolo integrale puo esserequindi scritta nel seguente modo:∫ b

af(x) dx =

[G(x)

]ba.

Possiamo ora tentare di dare una risposta alla precedente domanda sulla possibilita diottenere strumenti di calcolo degli integrali definiti. Se vogliamo calcolare

∫ ba f(x) dx ed f

e continua in [a, b], possiamo tentare di ricavare una primitiva di f . Questa ricerca non esempre facile; anzi, in molti casi si rivela assai complessa. Esistono, come abbiamo visto,tecniche per la determinazione di primitive per alcune funzioni continue, ma in molti casiil calcolo di

∫ ba f(x) dx e affidato ad algoritmi numerici (che forniscono approssimazioni del

valore cercato).

Concludiamo con un’osservazione che cerca di fare chiarezza sul “rapporto” fra integrazionee derivazione. Spesso, purtroppo, alle scuole medie superiori, si insegna che l’integrale eil contrario della derivata e viceversa. In matematica l’espressione “e il contrario di” vuoldire ben poco. E bene pensare che la teoria dell’integrazione (che risale ad Archimede)nasce come tentativo di risolvere il problema del calcolo delle aree (siamo nel III secoloa.C.), mentre la piu recente teoria della derivazione, basata sui contributi fondamentali diNewton e Leibniz (siamo nella seconda meta del secolo XVII), affronta il problema delladeterminazione delle tangenti: due problemi assai diversi tra loro.

Il legame che si instaura tra integrazione e derivazione e dovuto al teorema fondamentaledel calcolo integrale, perche, se f e continua in un intervallo, allora la funzione integraleF (x) =

∫ xx0f(t) dt e una primitiva della funzione integranda, e quindi il calcolo di

∫ ba f(x) dx

e riconducibile a quello della differenza G(b)−G(a), dove G(x) e una qualsiasi primitivadi f(x).

65 - Mar. 29/11/05

Notazione (utile per il calcolo degli integrali). Data una funzione derivabile f , il prodottof ′(x) dx della derivata di f (in x) per il simbolo dx si chiama differenziale di f (in x) e sidenota col simbolo df(x).

Ad esempio, in base alla suddetta notazione, scrivere∫ π

0sen2x dx

oppure

−∫ π

0senx d cosx

non fa alcuna differenza.

21 giugno 2006 128

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Formula di integrazione per parti per gli integrali definiti. Siano f e g duefunzioni C1 in un intervallo J . Allora, fissati a, b ∈ J , vale la seguente formula:∫ b

af(t) dg(t) =

[f(t)g(t)

]ba−∫ b

ag(t) df(t).

Dimostrazione. Posto

ϕ(x) =∫ x

af(t)g′(t) dt−

[f(t)g(t)

]xa

+∫ x

ag(t)f ′(t) dt,

basta provare che ϕ(b) = 0. Questo segue immediatamente dal fatto che ϕ(a) = 0 eϕ′(x) = 0 per ogni x ∈ ab.

Esempio. Supponiamo di voler calcolare il seguente integrale:∫ 1

0xex dx .

In base alla suddetta notazione risulta∫ 1

0xex dx =

∫ 1

0x dex.

Quindi, applicando la formula di integrazione per parti, si ottiene∫ 1

0x dex =

[xex]10−∫ 1

0ex dx = e−

[ex]10

= 1 .

Esempio. Calcoliamo il seguente integrale:∫ 2

1lnx dx .

Risulta ∫ 2

1lnx dx =

[(lnx)x

]21−∫ 2

1x d lnx = 2 ln 2−

∫ 2

1dx = 2 ln 2− 1 .

Esempio. Calcoliamo il seguente integrale:∫ π

0cos2x dx .

Si ha ∫ π

0cosx d senx =

[cosx senx

]π0−∫ π

0senx d cosx =

∫ π

0sen2x dx .

Quindi ∫ π

0cos2x dx =

∫ π

0sen2x dx =

∫ π

0(1− cos2x) dx = π −

∫ π

0cos2x dx .

21 giugno 2006 129

Registro di Analisi Matematica 1 – c.l. IAT – a.a. 2005/2006 – M. Furi

Da cui si deduce che ∫ π

0cos2x dx =

π

2.

Osservazione (utile per comprendere le ipotesi della seguente formula di integrazioneper sostituzione). Supponiamo che la composizione f(ϕ(t)) di due funzioni sia definitaper ogni t appartenente ad un segmento di estremi α, β ∈ R. Allora, se ϕ e continua, lafunzione f(x) e necessariamente definita per ogni x appartenente al segmento di estremiϕ(α) e ϕ(β). Tale segmento, infatti, per il teorema dei valori intermedi, e contenutonell’immagine ϕ(αβ) di αβ, e tale immagine (avendo supposto f(ϕ(t)) definita per ognit ∈ αβ) deve essere contenuta nel dominio di f(x).

Formula di integrazione per sostituzione (o di cambiamento di variabile) pergli integrali definiti. Sia f(x) una funzione continua e sia x = ϕ(t) un’applicazione diclasse C1 (non occorre che sia monotona). Allora, fissati due punti α e β nel dominio diϕ, purche f(ϕ(t)) sia definita per ogni t ∈ αβ, risulta∫ ϕ(β)

ϕ(α)f(x) dx =

∫ β

αf(ϕ(t)) dϕ(t) .

Dimostrazione. Consideriamo la funzione g : αβ → R definita da

g(s) =∫ ϕ(s)

ϕ(α)f(x) dx−

∫ s

αf(ϕ(t))ϕ′(t) dt .

Occorre provare che g(β) = 0. Dalla definizione di g(s) si ricava immediatamente g(α) = 0.Derivando si ha

g′(s) = f(ϕ(s))ϕ′(s)− f(ϕ(s))ϕ′(s) = 0 , ∀ s ∈ αβ.

Quindi g e costante e, conseguentemente, g(β) = g(α) = 0.

Esempio. Calcoliamo il seguente integrale:∫ a

−a

√a2 − x2 dx ,

dove a e un numero positivo. Ponendo x = a sen t si ottiene√a2 − x2 = a|cos t| e dx = a cos t dt.

Occorre trovare due punti, α e β, tali che ϕ(α) = −a e ϕ(β) = a, dove, in questo caso,ϕ(t) = a sen t. Di punti α tali che a sen t = −a ce ne sono tanti (addirittura infiniti) e lostesso vale per i punti β tali che a sen t = a. Come si effettua allora la scelta dei punti?La risposta e: “come ci pare e piace”, dato che, qualunque intervallo αβ si scelga, lafunzione f(ϕ(t)) =

√a2 − a2 sen2 t risulta definita per ogni t ∈ αβ (non occorre che ϕ(t)

sia monotona in tale intervallo). E allora? Cosa conviene fare? Dato che si dovra integrare

21 giugno 2006 130

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(tra α e β) la funzione |a cos t| cos t, e bene fare in modo che in αβ la funzione a cos t noncambi mai segno: cosı si potra tranquillamente togliere il valore assoluto (eventualmentemoltiplicando per −1 la funzione a cos t) senza essere costretti a spezzare l’integrale in piuparti. Scegliendo α = −π/2 e β = π/2 e tenendo conto che cos t ≥ 0 per t ∈ (−π/2, π/2)si ottiene ∫ a

−a

√a2 − x2 dx =

∫ π/2

−π/2|a cos t| d(a sen t) = a2

∫ π/2

−π/2cos2t dt =

πa2

2.

66 - Mer. 30/11/05

Abbiamo visto che se una funzione e integrabile (secondo Cauchy-Riemann) in un intervallocompatto [a, b], allora (per il teorema di integrabilita) deve essere necessariamente limitatain tale intervallo. Supponiamo ora che una funzione f sia definita in un intervallo noncompatto (a, b] e che in tale intervallo risulti localmente integrabile, cioe supponiamo chesia integrabile in ogni intervallo compatto [c, b] con a < c < b (ad esempio, f potrebbeessere continua in (a, b], ma non definita in a). Il fatto che f possa non essere definita ina non costituisce un problema: e sempre possibile estenderla assegnandole un arbitrariovalore f(a) (ad esempio, si puo porre f(a) = 0). Comunque, che si estenda o no, i casi sonodue: o f e limitata o non lo e. Nel primo caso non ci sono problemi: ogni sua estensione eintegrabile (secondo Cauchy-Riemann), ed e facile provare fac che l’integrale non dipendedal valore f(a) scelto. Se invece f e non limitata (in questo caso si dice che f ha unasingolarita in a), nessuna sua estensione ad [a, b] potra eliminare tale difetto (per fissarele idee si pensi ad una f continua in (a, b] e tale che |f(x)| → +∞ per x→ a+). In questosecondo caso l’integrale ∫ b

af(x) dx

non ha senso secondo la teoria di Cauchy-Riemann e per questo viene detto improprio.Tuttavia, usando il fatto che f e integrabile (nel senso di Cauchy-Riemann) in ogni sot-tointervallo compatto di (a, b], e possibile attribuirgli un significato. Il suo valore (quandoesiste nei reali estesi) e cosı definito:∫ b

af(x) dx = lim

c→a+

∫ b

cf(x) dx .

Se tale limite e finito, diremo che l’integrale (di f in [a, b]) e convergente, se vale +∞ o−∞ diremo che e divergente (a +∞ o a −∞, rispettivamente). Se il limite non esiste,l’integrale improprio si dira indeterminato.

Analogamente, se una funzione f e localmente integrabile in [a, b), ma non limitata,definiamo ∫ b

af(x) dx = lim

c→b−

∫ c

af(x) dx .

Come per il caso della singolarita in a, tale integrale potra essere convergente, divergenteo indeterminato.

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Esempio. L’integrale improprio ∫ 1

0

1xα

dx , α > 0,

converge se 0 < α < 1 e diverge se α ≥ 1 (verificarlo per esercizio).

Consideriamo ora una funzione f localmente integrabile in un intervallo [a, b] privato diun punto interno x0. Si pensi, ad esempio, ad una funzione continua in [a, b]\{x0} manon definita in x0. Se f e limitata, non ci sono problemi: basta definirla in un modoqualunque nel punto x0, e la nuova funzione risultera integrabile secondo Cauchy-Riemann(e l’integrale risultera indipendente dal valore assegnato in x0). Se invece f non e limitata(ad esempio, se x0 e un polo per f), allora l’integrale tra a e b di f e improprio e si definiscericonducendosi ai casi precedentemente visti:∫ b

af(x) dx =

∫ x0

af(x) dx+

∫ b

x0

f(x) dx ,

purche non si abbia la forma indeterminata ∞−∞.

Ovviamente si possono presentare casi di funzioni con piu di una singolarita in [a, b]. Sequeste sono in numero finito, e sufficiente spezzare l’integrale nella somma di integrali consingolarita in uno solo dei due estremi di integrazione, riconducendosi cosı ai due casi giatrattati.

Sia f : [a,+∞) → R una funzione localmente integrabile. Poiche l’intervallo [a,+∞) none limitato, l’integrale ∫ +∞

af(x) dx

non ha senso secondo Cauchy-Riemann (si osservi infatti che ogni partizione dell’intervallodi integrazione non puo avere parametro di finezza finito). Tale integrale si dice improprioe il suo valore (quando esiste, finito o infinito) si definisce nel modo seguente:∫ +∞

af(x) dx = lim

c→+∞

∫ c

af(x) dx .

In altre parole, l’integrale tra a e +∞ di f non e altro che il limite per c → +∞ dellafunzione integrale

F (c) :=∫ c

af(x) dx .

Se tale limite e finito, diremo che l’integrale e convergente, se vale +∞ o −∞ diremo che edivergente (a +∞ o a −∞, rispettivamente). Se il limite non esiste, l’integrale impropriosi dira indeterminato.

Esercizio. Provare che l’integrale ∫ +∞

1

1xα

dx

21 giugno 2006 132

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converge se e solo se α > 1.

Esercizio. Provare che ∫ +∞

0

11 + x2

dx =π

2.

Osservazione. Sia f : [a,+∞) → R una funzione localmente integrabile. Supponiamof(x) ≥ 0 per ogni x ≥ a. Allora la funzione integrale

F (c) :=∫ c

af(x) dx

e crescente. Pertanto, per il teorema del limite per le funzioni monotone, l’integrale di f in[a,+∞) converge o diverge a +∞ (non puo essere indeterminato). Rappresenta quindi unben definito numero reale esteso diverso da −∞ (per quale ragione non puo essere −∞ ?).

Criterio del confronto (per gli integrali impropri su una semiretta destra). Sianof, g : [a,+∞) → R due funzioni positive e localmente integrabili. Se f(x) ≤ g(x) perogni x ≥ a, allora risulta ∫ +∞

af(x) dx ≤

∫ +∞

ag(x) dx .

Pertanto, se converge (in [a,+∞)) l’integrale della funzione g (detta maggiorante), con-verge anche l’integrale della f (detta minorante), e se diverge l’integrale della f , divergeanche l’integrale della g.

Dimostrazione. Consideriamo le funzioni integrali

F (c) =∫ c

af(x) dx e G(c) =

∫ c

ag(x) dx

e osserviamo che, per la proprieta di monotonia dell’integrale, risulta F (c) ≤ G(c) perogni c≥ a. La tesi segue immediatamente facendo tendere c a +∞ e applicando il teoremadel confronto dei limiti (il teorema si puo applicare perche, nei reali estesi, i limiti perc→ +∞ delle funzioni monotone F (c) e G(c) esistono).

Esempio. Studiamo il carattere del seguente integrale:∫ +∞

1

dx

x2 + 1− cosx.

Poiche 1− cosx ≥ 0, si ha

1x2 + 1− cosx

≤ 1x2

(∀x ≥ 1).

Quindi, dato che la funzione integranda e positiva (condizione senza la quale il criterio delconfronto non e applicabile) e l’integrale (tra 1 e +∞) di 1/x2 e convergente, risulta con-vergente anche l’integrale assegnato. In base alla disuguaglianza del criterio del confrontopossiamo addirittura affermare che detto integrale e un numero compreso tra 0 e 1.

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Esempio. Studiamo il carattere del seguente integrale:∫ +∞

1

dx√x+ cosx

.

La funzione integranda e sicuramente positiva nell’intervallo di integrazione e quindi pos-siamo tentare di applicare il criterio del confronto. Il fatto che per valori grandi di x lafunzione integranda sia “approssimativamente uguale” a 1/

√x ci fa nascere il sospetto

che l’integrale assegnato sia divergente (come lo e, infatti, l’integrale di 1/√x). Proviamo

a vedere se si puo minorare la funzione integranda con una funzione il cui integrale siadivergente. Dato che (nell’intervallo di integrazione)

√x ≥ 1, risulta anche

√x ≥ cosx.

Quindi1

2√x≤ 1√

x+ cosx(∀x ≥ 1)

e, di conseguenza, l’integrale assegnato e divergente.

67 - Mer. 30/11/05

Esercizio. Sia f : [a,+∞) → R una funzione localmente integrabile e positiva (o ne-gativa). Dalla proprieta di additivita dell’integrale (classico) rispetto all’intervallo e dalteorema fondamentale per il calcolo dei limiti dedurre che (nei reali estesi) si ha∫ +∞

af(x) dx =

∫ b

af(x) dx+

∫ +∞

bf(x) dx , ∀ b ≥ a.

Criterio del confronto asintotico (per gli integrali impropri su una semiretta destra).Siano f, g : [a,+∞) → R due funzioni localmente integrabili e positive. Se

limx→+∞

f(x)g(x)

= ` < +∞,

allora, se converge l’integrale di g, converge anche l’integrale di f (quindi se l’integrale dif diverge, l’integrale di g non puo convergere). Di conseguenza, se `, oltre ad essere unnumero finito, e anche diverso da zero, gli integrali di f e di g hanno lo stesso carattere.

Dimostrazione fac. Fissato ε = 1, per la definizione di limite esiste x ≥ a tale che da x ≥ xsegue

`− 1 <f(x)g(x)

< `+ 1 .

Quindi, per il criterio del confronto, risulta∫ +∞

xf(x) dx ≤ (`+ 1)

∫ +∞

xg(x) dx .

Il risultato segue dal fatto che, nei reali estesi, l’integrale (sia di f che di g) esteso allasemiretta [a,+∞) e uguale all’integrale tra a e x piu l’integrale tra x e +∞.

21 giugno 2006 134

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Esercizio. Provare la convergenza del seguente integrale improprio:∫ +∞

0e−x2

dx .

Suggerimento. Applicare il criterio del confronto asintotico con g(x) = 1/x2.

E noto che ∫ +∞

0e−x2

dx =√π/2 .

Pertanto la funzione integrale

erf x =2√π

∫ x

0e−t2 dt =

1√π

∫ x

−xe−t2 dt ,

detta funzione degli errori (error-function in inglese), particolarmente utile in statistica ecalcolo della probabilita, ha la seguente proprieta:

limx→+∞

erf x = 1 .

Esercizio. Studiare i seguenti integrali:∫ +∞

1sen

1x2

dx ,

∫ +∞

1

√sen

1x2

dx ,

∫ +∞

1

(1− cos

1x

)dx ,

∫ +∞

1

√1− cos

1xdx .

Il risultato che segue e importante per provare la convergenza (e mai la non convergenza)di integrali impropri di funzioni di segno non costante (si osservi che lo studio dell’integraledi una funzione negativa si riconduce a quello di una funzione positiva portando −1 fuoridall’integrale).

Criterio della convergenza assoluta sd (per gli integrali impropri su una semirettadestra). Sia f : [a,+∞) → R una funzione localmente integrabile. Se converge (in [a,+∞))l’integrale di |f(x)|, allora converge anche l’integrale di f(x), e risulta∣∣∣∣∫ +∞

af(x) dx

∣∣∣∣ ≤ ∫ +∞

a|f(x)| dx .

Si fa notare che la suddetta disuguaglianza ha senso in virtu del fatto che l’integrale dif e convergente (in questo caso si dice che l’integrale di f e assolutamente convergente).Infatti, detto integrale rappresenta un numero reale, e quindi ha senso il suo valore assoluto.

Esercizio. Studiare il seguente integrale:∫ +∞

0

cosx1 + x2

dx .

21 giugno 2006 135

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Analogamente a come si e definito l’integrale improprio su una semiretta destra, data unafunzione localmente integrabile f : (−∞, b] → R, il suo integrale improprio, che denoteremocol simbolo ∫ b

−∞f(x) dx ,

e il limite per c→ −∞ della funzione

F (c) =∫ b

cf(x) dx.

E evidente che per gli integrali impropri su una semiretta sinistra valgono ancora, con ovviemodifiche, i criteri del confronto, del confronto asintotico e della convergenza assoluta (siinvitano gli studenti a formularne gli enunciati). Criteri analoghi valgono anche per gliintegrali impropri di funzioni non limitate in intervalli limitati.

Criterio integrale (per le serie numeriche). Sia n0 ∈ Z e sia f : [n0,+∞) → R unafunzione positiva e decrescente. Allora

∞∑n=n0

f(n) e∫ +∞

n0

f(x)dx

hanno lo stesso carattere. Piu precisamente si ha∫ +∞

n0+1f(x) dx ≤

∞∑n=n0+1

f(n) ≤∫ +∞

n0

f(x) dx .

Dimostrazione fac. Vedere gli appunti presi a lezione.

Esercizio. Dal criterio integrale per le serie numeriche dedurre che la serie

∞∑n=1

1nα

converge se e solo se α > 1.

Esercizio fac. Mediante un elaboratore elettronico (o una calcolatrice scientifica) valutare,con un errore inferiore a 10−5, la somma S della serie

∑∞n=1 1/n3.

Suggerimento. Usare la disuguaglianza del criterio integrale per stimare il resto

Rn = S − Sn =∞∑

n=n+1

1/n3

della serie. Determinare (anche a tentativi) n in modo che la stima approssimata Rn diRn differisca da Rn meno di 10−5. Calcolare la somma finita Sn =

∑nn=1 1/n3 (mediante

un computer) e aggiungere Rn a Sn.

21 giugno 2006 136

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68 - Mer. 30/11/05

Sia f : J → R una funzione definita in un intervallo J ⊆ R. Col simbolo∫f(x) dx ,

detto integrale indefinito di f(x) in dx, si denota l’insieme delle primitive di f . Poiche ildominio di f e un intervallo, se F e una primitiva di f , si ha∫

f(x) dx = F (x) + c ,

dove c ∈ R e un’arbitraria costante. Se il dominio di una funzione f : A → R non e unintervallo (come nel caso di f(x) = 1/x), col simbolo∫

f(x) dx ,

si intendera (tacitamente) l’insieme delle primitive della restrizione di f ad un qualunquesottointervallo del dominio e, di conseguenza, se F e una di queste primitive, sara ancoravalido scrivere ∫

f(x) dx = F (x) + c .

Per esempio, scriveremo ∫1xdx = log |x|+ c ,

sottintendendo di avere scelto uno dei due intervalli (−∞, 0) o (0,+∞) che compongonoil dominio R\{0} della funzione f(x) = 1/x. La scelta dipende dallo scopo che si vuoleraggiungere (vedremo piu avanti a cosa puo servire il calcolo di una primitiva di unafunzione).

Analogamente si ha ∫1

cos2 xdx = tang x+ c ,

sottintendendo di avere scelto uno degli infiniti intervalli che compongono il dominio dellafunzione integranda (o, equivalentemente, di tang x).

Esempi di integrali indefiniti elementari:∫xαdx =

xα+1

α+ 1+ c (α 6= −1) ,

∫x−1dx = log |x|+ c ,

∫senx dx = − cosx+ c ,

∫cosx dx = senx+ c ,

∫ex dx = ex + c ,∫

senhx dx = coshx+ c ,

∫coshx dx = senhx+ c ,

21 giugno 2006 137

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∫1

1 + x2dx = arctang x+ c ,

∫1√

1− x2dx = arcsenx+ c .

Esercizio. Verificare che l’integrale indefinito gode delle seguenti due proprieta:∫(f(x) + g(x)) dx =

∫f(x) dx+

∫g(x) dx ;∫

cf(x) dx = c

∫f(x) dx (dove c ∈ R) .

Formula di integrazione per parti per l’integrale indefinito. Siano f e g due fun-zioni derivabili in un intervallo J . Allora gli integrali (indefiniti) delle funzioni f(x)g′(x)e g(x)f ′(x) sono legati dalla seguente relazione:∫

f(x)g′(x)dx = f(x)g(x)−∫g(x)f ′(x)dx .

Dimostrazione. La relazione da dimostrare e un’uguaglianza tra due insiemi: il primo ecostituito dalle primitive di fg′ e il secondo dalle funzioni esprimibili come differenza trafg ed una qualunque primitiva di gf ′. Mostriamo prima che se H e una primitiva di gf ′,allora fg −H e una primitiva di fg′. Si ha infatti

(fg −H)′(x) = f(x)g′(x) + f ′(x)g(x)− g(x)f ′(x) = f(x)g′(x).

In modo analogo si prova che se K e una primitiva di fg′, allora questa e la differenza trala funzione fg e una primitiva di gf ′. Basta infatti scrivere K = fg − (fg −K).

Osservazione. Con i differenziali, la formula di integrazione per parti puo essere scrittanel modo seguente: ∫

f(x)dg(x) = f(x)g(x)−∫g(x)df(x) .

I termini f(x) e g(x) si chiamano fattori finiti, mentre dg(x) e df(x) sono i cosiddettifattori differenziali.

Esercizio. Calcolare i seguenti integrali indefiniti:∫x senx dx ,

∫ex cosx dx ,

∫log x dx ,

∫x log x dx ,

∫cos2x dx .

Formula di integrazione per sostituzione (o di cambiamento di variabili) per gliintegrali indefiniti. Sia f una funzione definita su un intervallo I e sia ϕ : J → I unafunzione derivabile su un intervallo J , a valori nel dominio I di f . Se F e una primitivadi f , allora la funzione composta G(t) = F (ϕ(t)) e una primitiva di f(ϕ(t))ϕ′(t). Valequindi la relazione ∫

f(x) dx =∫f(ϕ(t))ϕ′(t) dt (modulo x = ϕ(t)),

21 giugno 2006 138

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il cui significato e il seguente: ogni funzione del secondo insieme si ottiene da una delprimo con la sostituzione x = ϕ(t).

Dimostrazione. Data una primitiva F di f , per il teorema di derivazione di una funzionecomposta si ha

d

dtF (ϕ(t)) = F ′(ϕ(t))ϕ′(t) = f(ϕ(t))ϕ′(t) .

Pertanto F (ϕ(t)) e una primitiva di f(ϕ(t))ϕ′(t).

Nella formula di integrazione per sostituzione il termine ϕ′(t) dt rappresenta il differenzialedi ϕ(t). Si potra quindi scrivere∫

f(x) dx =∫f(ϕ(t)) dϕ(t) (modulo x = ϕ(t)),

mettendo cosı in risalto come si possa ricondurre il calcolo di un integrale del secondo tipoad uno del primo: in pratica, per calcolare il secondo integrale, basta trovare una primitivaF (x) di f(x) e sostituire poi ϕ(t) al posto della variabile x, e per far cio l’invertibilita diϕ non e necessaria. Piu problematico e invece il calcolo di un integrale del primo tiporiconducendolo ad uno del secondo. Il motivo e che, dopo aver effettuato la sostituzionex = ϕ(t) ed aver calcolato una primitiva G(t) di f(ϕ(t))ϕ′(t), per trovarne una di f(x)occorre ricavare t in funzione di x dalla relazione x = ϕ(t) (che costituisce l’equazione delgrafico di ϕ). Cio e possibile (almeno teoricamente) se si suppone ϕ : J → I strettamentemonotona e suriettiva.

Esempio. L’integrale ∫t cos(t2) dt

si puo scrivere12

∫cos(t2) d(t2) .

Quindi, in base alla formula di integrazione per sostituzione, risulta

12

∫cos(t2) d(t2) =

12

∫cosx dx =

12

senx+ c (modulo x = t2) .

Di conseguenza ∫t cos(t2) dt =

12

sen(t2) + c ,

com’e facile verificare derivando il secondo membro.

Ovviamente, la scelta della lettera per indicare la variabile indipendente e solo una que-stione di forma, non di sostanza. Quindi anche l’integrale∫

x cos(x2) dx

21 giugno 2006 139

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si calcola nel seguente modo:∫x cos(x2) dx =

12

∫cos(x2) d(x2) =

12

sen(x2) + c .

69 - Gio. 1/12/05

Ricordiamo che se il dominio di una funzione f e un sottoinsieme di R, allora si dice che fe una funzione di una variabile reale. Analogamente, se il dominio di f e un sottoinsiemedi R2 (di R3, di Rk), allora si dice che f e una funzione di due (di tre, di k) variabili reali.Abbiamo gia visto che quando il codominio di una funzione f e R (o un suo sottoinsieme),allora f e detta una funzione reale. Ad esempio, la legge che ad ogni cilindro circolareretto di altezza h e raggio di base r fa corrispondere il volume v del cilindro e una funzionereale di due variabili reali definita dall’equazione v = πhr2 (l’equazione del grafico). Inquesto caso h ed r si dicono le variabili indipendenti, mentre v e la variabile dipendente(da h e da r).

Ricordiamo, dal corso di Geometria, che dati due punti p1 = (x1, y1) e p2 = (x2, y2) di R2,la loro distanza d(p1, p2) e la norma della loro differenza. Pertanto:

d(p1, p2) = ‖p1 − p2‖ =√

(x1 − x2)2 + (y1 − y2)2.

In maniera analoga si definisce la distanza di due punti in R3 o in Rk.

La definizione di continuita per le funzioni reali di due (o piu) variabili reali e analoga aquella gia vista per il caso di una sola variabile.

Definizione (di continuita in un punto). Sia f : A→ R una funzione reale di due variabilireali e sia p0 un punto del suo dominio A. Si dice che f e continua in p0 se per ogni ε > 0esiste un δ > 0 tale che da p ∈ A e da d(p, p0) < δ segue |f(p)− f(p0)| < ε.

In modo piu esplicito, una funzione reale f(x, y) definita in un insieme A ⊆ R2 si dicecontinua in un punto p0 = (x0, y0) ∈ A se fissato un ε > 0 e possibile determinareun δ > 0 tale che se un punto p = (x, y) del dominio A di f verifica la condizione√

(x− x0)2 + (y − y0)2 < δ, allora risulta |f(x, y)− f(x0, y0)| < ε.

Il concetto di continuita (in un punto del dominio) per una funzione di tre o piu variabilireali si definisce in maniera analoga. I dettagli sono lasciati allo studente.

Definizione (di funzione continua). Una funzione reale di k variabili reali f : A → R sidice continua (senza ulteriori precisazioni), se e continua in ogni punto del suo dominioA. Si dice che f e continua in un sottoinsieme B di A se e continua la sua restrizione f |B.

Esercizio. Provare che se f : R2 → R e una funzione costante, allora e continua.

Osserviamo che la funzione di una sola variabile x puo essere pensata anche come unafunzione di due variabili (costante rispetto alla seconda variabile y). Precisamente, lafunzione x, pensata definita in R2, e quella legge che ad ogni punto p ∈ R2 associa la sua

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ascissa (cioe la prima coordinata). Analogamente la funzione y e quell’applicazione chead ogni p ∈ R2 fa corrispondere la seconda coordinata di p. Le funzioni x e y si chiamano,rispettivamente, prima e seconda funzione coordinata (cartesiana).

Esercizio fac. Provare che le funzioni coordinate x e y sono continue.

Il risultato che segue (la cui dimostrazione e basata sulla definizione di funzione continua) edi fondamentale importanza perche permette di riconoscere facilmente le funzioni continuedi due o piu variabili senza bisogno di ricorrere alla definizione (meno male che c’e questoteorema!).

Teorema sd (di continuita delle funzioni combinate). Se una funzione reale di una o piuvariabili reali e ottenuta combinando funzioni continue mediante operazioni di somma,prodotto, quoziente e composizione, allora e continua.

Si osservi che dal precedente teorema si deduce che i monomi di due variabili, cioe lefunzioni del tipo axnym (dove a e una costante ed n ed m sono interi non negativi) sonofunzioni continue. Di conseguenza anche i polinomi di due variabili (essendo somma dimonomi) e le funzioni razionali (cioe rapporto di polinomi) sono funzioni continue.

Sia f(x, y) una funzione reale di due variabili reali. Se si fissa una delle due variabili, adesempio se si fissa y = y0, si ottiene la funzione di una sola variabile x 7→ f(x, y0), dettafunzione parziale della x (per y = y0). Si osservi che esistono infinite funzioni parziali dellaprima variabile: una per ogni fissato valore della y. Analogamente, se si fissa un valoredella prima variabile, si ottiene una delle tante funzioni parziali della seconda variabile.Tuttavia, le funzioni parziali (delle funzioni di due variabili), anche se sono infinite, sidividono in due sole classi: quelle della prima variabile e quelle della seconda.

Il concetto di funzione parziale si estende in modo naturale al caso di tre o piu variabili.I dettagli sono lasciati allo studente.

Definizione. Dato un punto p0 di R2 (o di Rk) e dato r > 0, l’insieme dei punti chedistano da p0 meno di r si chiama intorno di p0 di raggio r e si denota I(p0, r).

Si osservi che I(p0, r) in R2 e un cerchio (di raggio r e centro p0), in R3 e una palla e inR e un intervallo (di ampiezza 2r).

Definizione. Dato un sottoinsieme A di R2 (o di Rk), un punto p0 si dice interno adA se esiste un intorno I(p0, r) interamente contenuto in A, si dice di frontiera per A seogni suo intorno contiene sia punti di A sia punti del complementare Ac. Un insieme A diR2 (o di Rk) si dice aperto se ogni suo punto e interno (o, equivalentemente, se ogni suopunto di frontiera appartiene ad Ac). Se tutti i punti di frontiera di A appartengono adA, allora A si dice chiuso.

Convenzione. Da ora in poi, a meno che non venga esplicitamente affermato il contrario,supporremo che le funzioni di due o piu variabili siano definite in insiemi aperti.

Sia f : A → R una funzione reale di due variabili reali e sia p0 = (x0, y0) un punto diA. La derivata (parziale) nel punto p0 di f rispetto alla x (o meglio, rispetto alla prima

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variabile) e (se esiste) la derivata in x0 della funzione parziale (reale di variabile reale)x 7→ f(x, y0). In modo analogo si definisce la derivata (parziale) rispetto alla secondavariabile. La derivata parziale di f rispetto ad x in p0 = (x0, y0) si denota con uno deiseguenti simboli:

∂f

∂x(x0, y0) ,

∂f

∂x(p0) , ∂1f(x0, y0) , ∂1f(p0) , D1f(x0, y0) , D1f(p0) .

Un’analoga notazione vale per la derivata rispetto ad y.

Si dice che f e derivabile (parzialmente) rispetto ad x se e derivabile (rispetto ad x) inogni punto del dominio. In questo caso risulta ben definita la funzione ∂f/∂x (denotataanche ∂1f o D1f), detta derivata rispetto ad x, che ad ogni punto (x, y) del dominio A dif associa il numero

∂f

∂x(x, y) .

La definizione della funzione derivata rispetto alla seconda variabile, ∂f/∂y, e analoga.

Si dice che f e derivabile se e derivabile sia rispetto ad x sia rispetto ad y. Se la derivatadi f rispetto ad x e di nuovo derivabile rispetto ad x, allora f si dice derivabile due volterispetto ad x (o che ammette derivata seconda rispetto ad x due volte). La derivatarispetto ad x della derivata rispetto ad x, calcolata in un punto (x, y), si indica con unodei seguenti simboli:

∂2f

∂x2(x, y) , ∂1∂1 f(x, y) , D1D1 f(x, y)

In modo simile si definiscono le altre derivate seconde:

∂2f

∂y∂x(x, y) ,

∂2f

∂x∂y(x, y) ,

∂2f

∂y2(x, y) .

Esercizio. Definire le derivate parziali di ordine superiore al secondo (per le funzioni didue variabili).

Definizione (di funzione di classe Cn). Una funzione f(x, y) si dice di classe C0 (o chee C0, o che appartiene a C0) se e continua; si dice di classe C1 se e derivabile e le suederivate parziali sono C0. In generale, si dice che f e di classe Cn se e derivabile e le suederivate parziali sono di classe Cn−1. Infine, si dice che f e di classe C∞ se e Cn per ognin ∈ N.

La nozione di funzione di classe Cn (C∞) puo essere banalmente estesa alle funzioni di treo piu variabili. I dettagli sono lasciati allo studente.

Il risultato che segue (la cui dimostrazione e basata sulla definizione di funzione Cn) edi fondamentale importanza perche permette di riconoscere facilmente le funzioni Cn (oanche C∞) senza bisogno di ricorrere alla definizione (un bel vantaggio!).

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Teorema sd (di regolarita delle funzioni combinate). La somma, il prodotto, il quozientee la composizione di funzioni di classe Cn (C∞), quando (e dove) ha senso, e ancora unafunzione di classe Cn (C∞).

Si osservi che in R2 le funzioni costanti e le funzioni coordinate x e y sono di classe C∞

(verificarlo per esercizio), quindi, in base al suddetto teorema, i polinomi (e le funzionirazionali) di due variabili sono funzioni C∞.

Esercizio. Dedurre dal teorema di regolarita delle funzioni combinate che le seguentifunzioni di due variabili sono di classe C∞:

y2 cos(x− y)1− xy

,(2y − x2y

)3,

log(xy)x+ y

, arctang(y/x) ,1

x2 + y2.

70 - Gio. 1/12/05

Sia g : W → R una funzione continua su un aperto W di R3. Un’uguaglianza del tipo

g(x, y, y′) = 0

o del tipog(x, y(x), y′(x)) = 0

si chiama equazione differenziale ordinaria del prim’ordine.

Si fa presente che per capire cosa sia un’equazione (anche non differenziale), a parte il mododi chiamarla o di scriverla, e indispensabile aver ben definito il concetto di soluzione. Inaltre parole, e necessario avere un criterio chiaro per decidere quando, in un assegnatoinsieme in cui si cercano le soluzioni, un elemento di detto insieme e o non e una soluzione.Per quanto riguarda la suddetta equazione, l’insieme in cui si cercano le soluzioni e datodalle funzioni reali di classe C1 definite in un intervallo non banale (l’intervallo puo variareda funzione a funzione). Una funzione y(x), di classe C1 in un intervallo J , e una soluzionese per ogni x ∈ J si ha (x, y(x), y′(x)) ∈W e

g(x, y(x), y′(x)) = 0 .

In particolare, data una soluzione y : J → R, la sua restrizione ad un sottointervallo nonbanale di J e ancora una soluzione. Tra tutte le soluzioni, quelle che non sono restrizionepropria di altre soluzioni si dicono massimali (o non prolungabili). Si potrebbe dimostrareche ogni soluzione non massimale e la restrizione di una massimale. In altre parole, ognisoluzione non massimale si puo prolungare fino ad ottenere una soluzione massimale.L’insieme di tutte le soluzioni di un’equazione differenziale si dice soluzione generale ointegrale generale.

Talvolta la funzione g(x, y, y′) e del tipo y′ − f(x, y), con f definita (e continua) in unaperto U di R2. Si osservi che in questo caso l’aperto W in cui e definita la funzioneg(x, y, y′) := y′ − f(x, y) e U × R, e l’equazione puo essere scritta nella forma

y′ = f(x, y) ,

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detta forma normale.

Da ora in avanti, a meno che non sia altrimenti specificato, ci occuperemo di equazionidifferenziali in forma normale.

Il piu banale esempio di equazione differenziale e

y′ = f(x) ,

dove f e una funzione continua definita in un intervallo J ⊆ R. In questo caso la soluzionegenerale e data dall’insieme delle primitive di f .

Non sempre la variabile di un’equazione differenziale viene indicata con x, e non semprela funzione incognita si denota con y. Ad esempio,

x′ = f(t, x)

e un’equazione differenziale dove t e la variabile e x(t) la funzione incognita.

Sia y′ = f(x, y) un’equazione differenziale del prim’ordine in forma normale e sia U ⊆ R2

l’aperto in cui e definita la funzione f . Dato un punto (x0, y0) ∈ U , ci si pone il problemadi trovare, tra tutte le soluzioni y(x) della suddetta equazione, quella che verifica (o quelleche verificano) la condizione y(x0) = y0. In altre parole, tra tutte le soluzioni, si cercanoquelle il cui grafico contiene il punto (x0, y0) assegnato. Tale problema viene detto diCauchy ; cosı come di Cauchy si chiama la condizione y(x0) = y0.

Il risultato che segue asserisce che la continuita della funzione f assicura l’esistenza dialmeno una soluzione del problema di Cauchy per l’equazione y′ = f(x, y).

Teorema sd (di esistenza di Peano). Sia f : U → R una funzione continua su un apertoU ⊆ R2. Allora, per ogni (x0, y0) ∈ U , l’equazione y′ = f(x, y) ammette almeno unasoluzione che verifica la condizione y(x0) = y0.

Esempio (di non unicita della soluzione di un problema di Cauchy). Si osservi che lefunzioni y1(x) ≡ 0 e y2(x) = x3 sono due soluzioni (massimali) dell’equazione differenziale

y′ = 3 3√y2

e verificano entrambe la condizione di Cauchy y(0) = 0.

71 - Ven. 2/12/05

Il risultato che segue fornisce una condizione sufficiente affinche il problema di Cauchy am-metta un’unica soluzione massimale. Ovviamente se si considerano le soluzioni non mas-simali non si puo avere unicita perche la restrizione di una soluzione ad un sottointervallonon banale del dominio e ancora una soluzione (ed e diversa dalla precedente).

Teorema sd (di esistenza e unicita per le equazioni del prim’ordine). Consideriamol’equazione differenziale

y′ = f(x, y) ,

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dove f e una funzione continua in un aperto U ⊆ R2. Se f e derivabile rispetto ad y e∂f/∂y e continua, allora, per ogni (x0, y0) ∈ U , la suddetta equazione ammette un’unicasoluzione massimale che verifica la condizione y(x0) = y0.

Dal teorema di esistenza e unicita si deduce un’importante conseguenza:

Corollario. Consideriamo l’equazione differenziale

y′ = f(x, y) ,

dove f e una funzione continua in un aperto U ⊆ R2. Supponiamo che f sia derivabilerispetto ad y con derivata continua. Allora i grafici di due differenti soluzioni massimalinon possono intersecarsi.

Una proprieta significativa delle soluzioni di un’equazione differenziale e espressa dal teo-rema che segue. Per enunciarlo occorre introdurre la seguente nozione: una soluzioney : J → R che non sia restrizione di un’altra soluzione definita in un intervallo piu ampioa destra (sinistra) si dice massimale a destra (a sinistra), o non prolungabile a destra (asinistra). Ovviamente, una soluzione e massimale se e solo se e massimale sia a destra siaa sinistra.

Teorema sd (di Kamke). Sia f : U → R una funzione continua su un aperto U ⊆ R2. Ilgrafico di una soluzione massimale a destra (a sinistra) dell’equazione differenziale

y′ = f(x, y)

non puo essere contenuto in un sottoinsieme limitato e chiuso di U .

In un certo senso il Teorema di Kamke afferma che il grafico di ogni soluzione massimale(che, ricordiamo, e un sottoinsieme del dominio U della funzione f) e una curva che“prosegue” (sia verso destra sia verso sinistra) finche le e consentito proseguire. In parolepovere prosegue verso destra (ma anche verso sinistra) fino a raggiungere la frontiera diU (e allora si deve arrestare), oppure se ne va all’infinito (sempre rimanendo dentro U).Cio che non puo accadere e che il grafico di una soluzione non prolungabile si arresti in unpunto interno ad U : il Teorema di Peano gli consentirebbe di proseguire, contraddicendola non prolungabilita.

Nel caso (molto frequente) in cui la funzione f di un’equazione differenziale in forma nor-male y′ = f(x, y) sia definita in una striscia U = (a, b) × R (con a e b reali estesi), ildominio di una qualunque soluzione e necessariamente contenuto nella base (a, b) dellastriscia. Talvolta pero puo coincidere con l’intervallo (a, b) stesso. In tal caso si dice chela soluzione e persistente (o globale). Ovviamente ogni soluzione persistente e necessa-riamente massimale (ossia non e prolungabile). L’esempio che segue mostra che possonoesistere soluzioni massimali non persistenti (il Teorema di Kamke implica che tali soluzioninon possono essere limitate).

Esempio. Consideriamo il problema di Cauchy{y′ = y2

y(0) = 1 .

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In questo caso la funzione f(x, y) coincide con y2, e quindi la striscia (a, b)× R del pianoxy in cui f e definita e R×R (cioe a = −∞ e b = +∞). Il metodo per risolvere il suddettoproblema sara visto in seguito. Per ora si osservi che la funzione

α(x) =1

1− x

soddisfa sia l’equazione differenziale sia la condizione di Cauchy (si invitano gli studenti averificarlo per esercizio). Non possiamo pero affermare che detta funzione sia una soluzionedel problema assegnato, perche il suo dominio non e un intervallo (come invece e richiestodalla definizione di soluzione di un’equazione differenziale). Tuttavia la restrizione y(x) ditale funzione all’intervallo (−∞, 1) e certamente una soluzione del problema, ed e anchemassimale dato che non e prolungabile ne a sinistra (perche l’estremo inferiore del suodominio e −∞) ne a destra (perche limx→1− y(x) = +∞).

Esercizio fac. Provare che se f(x, y) e una funzione di classe C∞ (in un aperto U di R2),allora sono C∞ anche tutte le soluzioni dell’equazione differenziale y′ = f(x, y).

Suggerimento. Usare la definizione di soluzione, la definizione di funzione Cn, il teoremadi regolarita delle funzioni combinate, il principio di induzione.

72 - Ven. 2/12/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Studiare il carattere delle seguenti serie:

1)∞∑

n=0

cosn+ sen 2nn3 +

√n+ 3

; 2)∞∑

n=0

(−1)n cos( 2πn3 + 3

); 3)

∞∑n=1

sen1n

; 4)∞∑

n=1

sen1n2

.

Svolgimento.

1) Consideriamo il termine generale in valore assoluto. Si ha∣∣∣∣cosn+ sen 2nn3 +

√n+ 3

∣∣∣∣ = | cosn+ sen 2n|n3 +

√n+ 3

≤ | cosn|+ | sen 2n|n3 +

√n+ 3

≤ 2n3 +

√n+ 3

<2n3

quindi, per il criterio del confronto, risulta

∞∑n=0

∣∣∣∣cosn+ sen 2nn3 +

√n+ 3

∣∣∣∣ < ∞∑n=0

2n3

< +∞ .

Dunque∞∑

n=0

∣∣∣∣cosn+ sen 2nn3 +

√n+ 3

∣∣∣∣e convergente (ricordarsi che le serie a termini positivi non possono essere indeterminate)e quindi, per il criterio della convergenza assoluta, converge anche la serie

∞∑n=0

cosn+ sen 2nn3 +

√n+ 3

.

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2) Consideriamo anche in questo caso il termine generale in valore assoluto. Poiche

0 <2π

n3 + 3<π

2=⇒ cos

( 2πn3 + 3

)> 0 , ∀n ∈ N ,

si ha ∣∣∣∣(−1)n cos( 2πn3 + 3

)∣∣∣∣ = cos( 2πn3 + 3

)e dal fatto che

limn

cos( 2πn3 + 3

)= cos

(limn

2πn3 + 3

)= cos 0 = 1

segue che il termine generale della serie non tende a zero (ricordarsi che |an| → 0 se e solose an → 0), e quindi la serie non converge perche non e soddisfatta la condizione necessariaper la convergenza (si puo affermare che e divergente?).

3) Si osservi che la serie e a termini positivi perche 0 < 1n < π per ogni n ∈ N. Inoltre,

dato che xn = 1/n→ 0 (e xn 6= 0 ,∀n ∈ N), per il teorema di collegamento dei limiti si ha

limx→0

senxx

= 1 =⇒ limn

sen 1n

1n

= 1 .

Quindi, per il criterio del confronto asintotico, la serie in esame ha lo stesso carattere dellaserie armonica

∑∞n=1

1n , che e divergente.

4) Procediamo in analogia con il quesito precedente, osservando che, stavolta, il criteriodel confronto asintotico verra effettuato con la serie

∑∞n=1

1n2 che e convergente.

Esercizio. Provare la proprieta di monotonia degli integrali.

Svolgimento. Ricordiamo l’enunciato di tale teorema: siano f, g : [a, b] → R integrabili etali che f(x) ≤ g(x), ∀x ∈ [a, b]. Allora∫ b

af(x) dx ≤

∫ b

ag(x) dx .

Qualunque sia la partizione puntata α = (P, S), per l’ipotesi f(x) ≤ g(x), risulta che

f(ci)∆xi ≤ g(ci)∆xi , ∀ i = 1, 2, . . . , n ,

dove n denota il numero degli intervalli [xi−1, xi] della partizione P , ∆xi = xi−xi−1 sonole ampiezze di tali intervalli, e ci ∈ [xi−1, xi] sono i punti della scelta S. Sommando da 1a n entrambi i membri della precedente disuguaglianza, si ottiene

Sf (α) =n∑

i=1

f(ci)∆xi ≤n∑

i=1

g(ci)∆xi = Sg(α).

Quindi, per il teorema del confronto dei limiti, risulta∫ b

af(x) dx := lim

|α|→0Sf (α) ≤ lim

|α|→0Sg(α) =:

∫ b

ag(x) dx ,

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che e la tesi.

Esercizio. Provare che ∣∣∣∣∫ b

af(x) dx

∣∣∣∣ ≤ ∫ b

a|f(x)| dx .

Svolgimento. Si applichi la proprieta di monotonia dell’integrale tenendo conto che

−|f(x)| ≤ f(x) ≤ |f(x)|

qualunque sia x ∈ [a, b].

Esercizio Provare che:1) una funzione limitata non puo avere poli;2) una funzione priva di poli, non e detto che sia limitata.

Svolgimento.1) Supponiamo f limitata. Allora esiste c > 0 tale che |f(x)| ≤ c, ∀x ∈ D(f). Se f avesseun polo in un punto x0 (cioe se |f(x)| → +∞ per x → x0), allora scegliendo (c,+∞)come intorno di piu infinito, dovrebbe esistere un intorno forato U di x0 (in D(f)) taleche |f(x)| > c, ∀x ∈ U , in contrasto con l’aver supposto |f(x)| ≤ c, ∀x ∈ D(f).

2) Occorre trovare un esempio di una funzione priva di poli e non limitata. Definiamof : [0, 1] → R nel seguente modo:

f(x) =

sen 1

x

xse x ∈ (0, 1]

0 se x = 0

Mostriamo che tale funzione non e limitata. Fissato un arbitrario c > 0, scegliamo unintero n maggiore di c e consideriamo il punto

x =1

2nπ + π2

∈ [0, 1] = D(f) .

Risulta

|f(x)| =

∣∣∣∣∣sen(2nπ + π2 )

12nπ+π

2

∣∣∣∣∣ = 2nπ +π

2> n > c ,

da cui la non limitatezza di f .

Mostriamo ora che f non ha poli. L’unico possibile candidato e lo zero, perche neglialtri punti f e continua. Se f avesse un polo in x = 0, per il teorema di collegamentoil valore assoluto di f , calcolato lungo una qualunque successione infinitesima di puntidi (0, 1], dovrebbe tendere a piu infinito. Mostriamo che cio non accade, cioe che esisteuna successione lungo la quale |f | non tende a +∞ (ricordarsi il discorso delle pecore).Consideriamo la successione {xn} = { 1

2nπ} di punti di (0, 1]. Si osservi che xn → 0 e chef(xn) = 0 per ogni n ∈ N. Quindi |f(xn)| → 0 6= +∞, e cio conclude la dimostrazione.

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73 - Ven. 2/12/05 (Lezione svolta dal Prof. Alessandro Bocconi)

Esercizio. Determinare il dominio della funzione

F (x) =∫ 1−2x

x

cos tt+ t2

dt

Svolgimento. La funzione integranda f(t) = cos t/(t + t2) e continua (essendo rapportodi funzioni continue) ed ha due poli, t = −1 e t = 0, in cui non e definita perche siannulla il denominatore. Il fatto che il dominio di f(t) non sia tutto R non e un problema:possiamo estenderla ponendola (ad esempio) uguale a zero dove non e definita (qualunqueestensione non altera l’integrale). Cosı facendo la funzione integranda acquista due puntidi discontinuita, che costituiscono un insieme trascurabile. Il problema e che, fissato x,se l’intervallo di integrazione (i cui estremi sono i numeri a = x e b = 1 − 2x) contieneuno dei due poli (o entrambi), la funzione integranda non e limitata in tale intervallo e,di conseguenza (in base al teorema di integrabilita), l’integrale e un puro simbolo privodi significato (non rappresenta un numero). Viceversa, se l’intervallo di integrazione noncontiene nessuno dei due poli, allora la funzione integranda e continua in tale intervalloe quindi anche integrabile. Dunque, fissato x ∈ R, F (x) rappresenta un numero se esolo se l’intervallo di estremi x e 1 − 2x non contiene nessuno dei due poli della funzioneintegranda. In altre parole, x sta nel dominio di F se e solo se entrambi i punti x e1− 2x stanno in uno solo dei seguenti tre intervalli: (−∞,−1), (−1, 0), (0,+∞). Quindix ∈ D(F ) se e solo se

(1) x < −1 e 1− 2x < −1

oppure

(2) −1 < x < 0 e − 1 < 1− 2x < 0

oppure

(3) 0 < x e 0 < 1− 2x .

Il dominio di F si ottiene facendo l’unione degli insiemi definiti dai tre casi: (1), (2), (3).Nel primo caso si ottiene l’insieme vuoto perche se x e negativo, allora 1−2x > 0, e quindinon puo essere 1 − 2x < −1. Analogamente, anche il secondo caso da l’insieme vuoto.Analizzando il terzo si ha x > 0 e x < 1/2. Quindi D(F ) = (0, 1/2).

Esercizio. Determinare il dominio e la derivata della funzione

ϕ(x) =∫ x2

x

cos tt

dt .

Svolgimento. In base al teorema di integrabilita, fissato un numero x ∈ R, la funzione ϕe definita in x se e solo se l’intervallo di integrazione (di estremi x e x2) non contiene lozero, e cio accade se e solo se x > 0. Dunque D(ϕ) = (0,+∞).

Per trovare la derivata di ϕ utilizziamo il teorema fondamentale del calcolo integrale e il

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teorema della derivata di una funzione composta. Scegliamo un arbitrario c > 0. In talmodo i punti x, c e x2 stanno tutti e tre nello stesso intervallo contenuto nel dominio dellafunzione integranda f(t) = cos t/t (che, essendo continua, risulta localmente integrabile).Possiamo quindi applicare il teorema di additivita rispetto all’intervallo di integrazione.Risulta

ϕ(x) =∫ x2

x

cos tt

dt =∫ x2

c

cos tt

dt+∫ c

x

cos tt

dt =∫ x2

c

cos tt

dt−∫ x

c

cos tt

dt .

Quindi, definendo

F (x) =∫ x

c

cos tt

dt ,

si haϕ(x) = F (x2)− F (x) .

Pertanto, tenendo conto che (per il teorema fondamentale del calcolo integrale) risulta

F ′(x) =cosx

x,

si ottiene

ϕ′(x) = F ′(x2)2x− F ′(x) =cosx2

x22x− cosx

x= 2

cosx2

x− cosx

x,

che conclude l’esercizio.

Esercizio. Provare cheexp(x+ y) = expx exp y

Svolgimento. Per l’iniettivita della funzione logaritmica, la tesi e provata se

ln(exp(x+ y)) = ln(expx exp y) .

Essendo la funzione esponenziale l’inversa della logaritmica, il primo membro dell’equazio-ne risulta uguale a x+y. Inoltre, per la proprieta fondamentale della funzione logaritmica,il secondo membro risulta

ln(expx exp y) = ln(expx) + ln(exp y) = x+ y ,

che conclude l’esercizio.

Esercizio. Provare cheexp(−x) =

1expx

Svolgimento. Affermare che un numero a coincide con b/c significa (per definizione dirapporto) che ac = b. Occorre quindi provare che

exp(−x) exp(x) = 1 ,

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e cio segue immediatamente dall’esercizio precedente. Infatti

exp(−x) exp(x) = exp(−x+ x) = exp(0) = 1 ,

e abbiamo concluso.

74 - Mar. 6/12/05

Un’equazione differenziale del tipo

y′ = a(x)h(y) ,

dove a(x) e h(y) sono funzioni di una sola variabile, si dice a variabili separabili. Suppo-niamo a(x) continua e h(y) di classe C1. Con tali ipotesi la funzione

f(x, y) := a(x)h(y)

soddisfa le condizioni del teorema di esistenza e unicita (perche?). E inoltre convenientesupporre che a(x) si possa annullare soltanto in punti isolati.

Si fa notare che se c ∈ R e un punto in cui h(y) si annulla, allora la funzione costantey(x) ≡ c e una soluzione dell’equazione differenziale. Viceversa (avendo supposto che a(x)si possa annullare soltanto in punti isolati) ogni soluzione costante y(x) ≡ c e tale cheh(c) = 0. Le soluzioni costanti sono quindi in corrispondenza biunivoca con gli zeri dih(y).

Cerchiamo di determinare le soluzioni non costanti. Se y(x) e una tale soluzione, per ilteorema di esistenza e unicita si deve avere h(y(x)) 6= 0 per ogni x nell’intervallo J incui e definita y(x), altrimenti il grafico di y(x) intersecherebbe il grafico di una soluzionecostante. Dividendo l’uguaglianza

y′(x) = a(x)h(y(x))

per h(y(x)) si ha alloray′(x)h(y(x))

= a(x) .

Quindi la funzione y(x) verifica l’equazione differenziale

1h(y)

dy

dx= a(x) ,

che, per abuso di notazioni (e per tradizione), viene talvolta scritta nella forma

1h(y)

dy = a(x)dx ,

dove la variabile dipendente y e separata dalla variabile indipendente x, nel senso che unasta soltanto nel primo membro dell’equazione e l’altra nel secondo (ed ecco perche l’equa-zione iniziale si dice “a variabili separabili”). Il metodo tradizionale (ma poco ortodosso)

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per risolvere l’ultima equazione (quella con le variabili separate) consiste nell’integrareentrambi i membri. Si ha quindi ∫

dy

h(y)=∫a(x) dx .

Dunque, denotando con H(y) una primitiva di 1/h(y) e con A(x) una primitiva di a(x),si ottiene la seguente equazione (del grafico delle soluzioni non costanti):

H(y) = A(x) + c ,

dove c e un’arbitraria costante. Ricavando la y si ha la formula

y = H−1(A(x) + c)

che da soltanto le soluzioni non costanti dell’equazione in esame (le soluzioni costantile avevamo gia trovate, ed e bene ricordarselo quando c’e da risolvere un problema diCauchy). Si fa notare che H(y) e strettamente monotona, quindi invertibile, perche lastiamo considerando in un intervallo in cui la sua derivata H ′(y) = 1/h(y) ha segnocostante (altrimenti h(y) si annullerebbe in qualche punto di tale intervallo). Si lascia peresercizio fac la verifica che ogni funzione del tipo

y(x) = H−1(A(x) + c) ,

purche la si consideri definita in un intervallo, e effettivamente una soluzione dell’equazione

y′ = a(x)h(y) .

Si avverte che nell’eseguire la verifica, la presenza di H−1 rende indispensabile l’uso delteorema di derivazione di una funzione inversa.

Un metodo piu convincente per ottenere la suddetta formula risolutiva (per le soluzioninon costanti) e quello di integrare direttamente entrambi i membri dell’uguaglianza

y′(x)h(y(x))

= a(x) ,

che avevamo precedentemente ottenuto. Con le notazioni introdotte, si ha

H(y(x)) = A(x) + c ,

come segue facilmente dal fatto che H(y(x)) e A(x) hanno la stessa derivata (ovviamente,per verificare cheH(y(x)) e una primitiva di y′(x)/h(y(x)), occorre tener conto del teoremadi derivazione di una funzione composta). Ricavando la y(x) si ha infine

y(x) = H−1(A(x) + c) .

Esempio. Consideriamo l’equazione differenziale

y′ = y2 .

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Essa e a variabili separabili con a(x) = 1 e h(y) = y2. Ovviamente l’equazione ammettela soluzione nulla, che e l’unica soluzione costante. Sia quindi y(x) una soluzione noncostante. Come gia osservato, essa non potra mai annullarsi, e quindi sara o semprepositiva o sempre negativa. Dividendo per y2(x) entrambi i membri dell’uguaglianzay′(x) = y2(x) e integrando si ottiene∫

y′(x)y2(x)

dx =∫dx ,

da cui− 1y(x)

= x+ c , c ∈ R

Di conseguenza, le soluzioni non costanti dell’equazione sono date dalla formula

y(x) = − 1x+ c

,

e l’intervallo massimale di definizione e (−∞,−c) se y(x) > 0 e (−c,+∞) se y(x) < 0. Adesempio, la soluzione (massimale) dell’equazione con dato iniziale y(0) = 1 si ottiene perc = −1 ed e data dalla restrizione della funzione

y(x) =1

1− x

all’intervallo (−∞, 1). Si osservi che anche la soluzione con dato iniziale y(2) = −1 siottiene per c = −1, ma non coincide con la precedente soluzione perche in questo casol’intervallo di definizione e la semiretta (1,+∞).

Esempio. Consideriamo il problema di Cauchy y′ =1 + y2

1 + x2

y(0) = 1 .

L’equazione differenziale e a variabili separabili con h(y) = 1 + y2, che e di classe C1 equindi il problema di Cauchy ammette una e una sola soluzione massimale. Seguendo ilmetodo precedentemente illustrato si ha∫

y′(x)1 + y2(x)

dx =∫

11 + x2

dx ,

da cuiarctang y(x) = arctang x+ c , c ∈ R .

Considerando la condizione iniziale y(0) = 1, si ricava

c = arctang 1 = π/4 ,

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per cui la soluzione massimale y(x) del problema di Cauchy verifica la condizione

arctang y(x) = arctang x+π

4,

definita se | arctang x + π/4| < π/2, cioe nell’intervallo (−∞, 1). In questo caso, facendouso delle formule di addizione delle funzioni seno e coseno, si riesce anche a ricavarel’espressione esplicita della soluzione. Si ottiene

y(x) = tang(arctang x+

π

4

)=x+ 11− x

.

Esercizio. Trovare le soluzioni dell’equazione differenziale

y′ = 1− y2 .

75 - Mar. 6/12/05

Un’equazione differenziale del prim’ordine si dice lineare se e della forma

y′ = a(x)y + b(x) ,

dove a(x) e b(x) sono due funzioni continue definite in un intervallo J . In particolare,quando il termine noto b(x) e identicamente nullo, l’equazione si dice lineare omogenea, ein questo caso la funzione identicamente nulla e soluzione dell’equazione differenziale (sichiama soluzione banale o nulla).

Teorema. Sia a(x) una funzione continua in un intervallo J ⊆ R. Le soluzioni (massi-mali) dell’equazione (lineare omogenea del prim’ordine)

y′ = a(x)y

sono le funzioni del tipoy(x) = ceA(x) ,

dove A(x) e una primitiva di a(x) e c un’arbitraria costante.

Dimostrazione. L’equazione e a variabili separabili. Si osserva che l’unica soluzione co-stante e quella banale (cioe la funzione identicamente nulla). Per trovare le soluzioni noncostanti separiamo le variabili con il metodo pratico (anche se poco ortodosso). Si ottiene

1ydy = a(x) dx ,

da cui ∫1ydy =

∫a(x) dx .

Quindilog |y| = A(x) + k ,

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dove A(x) e una primitiva di a(x) e k e un’arbitraria costante. Pertanto

|y| = eA(x)+k = ekeA(x),

cioey = ±ekeA(x)

o, equivalentemente, tenendo conto che ek e un’arbitraria costante positiva, il grafico diuna qualunque soluzione non costante verifica l’equazione

y = ceA(x), con c 6= 0 .

Poiche ponendo c = 0 nella suddetta equazione si ottiene la soluzione banale (che avevamoconsiderato a parte), si puo affermare che la soluzione generale dell’equazione differenzialey′ = a(x)y e data da

y = ceA(x),

con c costante arbitraria, anche nulla.

Teorema. Supponiamo che y(x) sia una soluzione dell’equazione differenziale lineare

y′ = a(x)y + b(x) ,

dove a(x) e b(x) sono funzioni continue in un intervallo J ⊆ R. Allora ogni altra soluzionesi ottiene aggiungendo ad y(x) la soluzione generale dell’equazione omogenea associatay′ = a(x)y.

Dimostrazione. Proviamo prima che se u(x) e una soluzione dell’equazione omogenea,allora y(x) := y(x) + u(x) e soluzione della non omogenea. Dalle uguaglianze

y′(x) = a(x)y(x) + b(x) e u′(x) = a(x)u(x)

seguey′(x) + u′(x) = (a(x)y(x) + b(x)) + a(x)u(x) =

a(x)(y(x) + u(x)) + b(x) .

Quindiy′(x) = a(x)y(x) + b(x) ,

e cio prova che y(x) := y(x) + u(x) e soluzione della non omogenea.

Rimane da verificare che se y(x) e una soluzione dell’equazione non omogenea, allora esisteuna soluzione u(x) dell’omogenea tale che y(x) = y(x) + u(x). In altre parole, rimane daprovare che la funzione u(x) := y(x)− y(x) e soluzione dell’equazione omogenea, e questoe un esercizio che lasciamo allo studente.

Osserviamo che il suddetto teorema, nel caso particolare in cui la funzione a(x) sia nulla,si riduce ad un risultato ben noto: data una primitiva y(x) di b(x), ogni altra primitiva siottiene aggiungendo ad y(x) un’arbitraria costante (ossia, la soluzione generale di y′ = 0).

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Abbiamo visto che per trovare la soluzione generale di un’equazione non omogenea occorreprima trovarne almeno una (comunemente detta) soluzione particolare. Un metodo pertrovare una soluzione particolare e il cosiddetto metodo di variazione della costante (perequazioni di ordine superiore al primo, che incontreremo piu avanti, si chiama metodo divariazione delle costanti).

Consideriamo l’equazioney′ = a(x)y + b(x) .

Sappiamo che la soluzione generale dell’omogenea associata e data da

u(x) = ceA(x),

dove A(x) e una primitiva di a(x) e c una costante arbitraria. Il metodo consiste nel cercareuna soluzione particolare dell’equazione non omogenea, pensando variabile la costante c (euna contraddizione in termini, ma l’espressione “variazione delle costanti” fa ormai partedel folclore matematico). In altre parole, si cerca una soluzione del tipo

y(x) = c(x)eA(x).

Derivando si ottieney′(x) = c′(x)eA(x) + c(x)a(x)eA(x).

Quindi y(x) e soluzione se (e anche solo se, ma non ci interessa)

c′(x)eA(x) + a(x)c(x)eA(x) = a(x)c(x)eA(x) + b(x) ,

ossia sec′(x) = e−A(x)b(x) ,

ovvero se c(x) e una primitiva di e−A(x)b(x). Di conseguenza, la soluzione generaledell’equazione non omogenea e data da

y(x) = ceA(x) + eA(x)

∫e−A(x)b(x) dx ,

dove c e un’arbitraria costante.

Esempio. Consideriamo l’equazione differenziale

y′ + 2xy = x .

Supponiamo di voler trovare, tra tutte le soluzioni, quella che verifica la condizione diCauchy y(0) = 0. Poiche A(x) = −x2, si ha

y(x) = ce−x2+ e−x2

∫ex

2x dx = ce−x2

+12e−x2

∫ex

2dx2 =

ce−x2+

12e−x2

ex2

= ce−x2+

12.

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Dobbiamo ancora determinare la costante c in modo che sia verificata la condizione inizialey(0) = 0. Abbiamo

y(0) = c+12

= 0 ,

da cui si ricava c = −1/2. La soluzione cercata e dunque

y(x) =12

(1− e−x2

),

come si puo facilmente verificare (si invita lo studente a farlo).

Il metodo di variazione della costante per determinare una soluzione particolare di un’e-quazione lineare non omogenea puo essere, talvolta, troppo elaborato. Esistono dei metodi,detti “rapidi”, che funzionano bene quando l’equazione omogenea associata ha il coeffi-ciente costante (ossia, e del tipo y′ = ay, con a costante) e quando il termine noto sipresenta in una forma molto particolare. Il metodo (che possiamo chiamare “del pescato-re”) consiste nel “tirare ad indovinare”, ovvero nel cercare una soluzione dell’equazione inuna classe di funzioni dove si suppone debba essercene almeno una. Se poi non si trova,pazienza, si puo sempre procedere col metodo di variazione della costante. Analizziamoalcuni casi in cui il metodo funziona.

Consideriamo l’equazioney′ = ay + b(x) .

Supponiamo che b(x) sia un polinomio di grado n. Se a 6= 0, si cerca una soluzioneparticolare tra i polinomi di grado n. Se, invece, a = 0, una soluzione particolare e unaprimitiva di b(x), che in tal caso e un polinomio di grado n+ 1.Supponiamo ora che b(x) sia del tipo α cosωx + β senωx, con ω > 0. In questo caso sicerca una soluzione particolare dello stesso tipo, dove, ovviamente, al posto delle costantiα e β si scrivono dei coefficienti da determinare.Un terzo caso importante si ha quando b(x) = αeγx, con γ ∈ R. Se a 6= γ, si cerca unasoluzione particolare del tipo ceγx, con c costante da determinare. Se a = γ (ossia seeγx e soluzione dell’equazione omogenea associata), si determina una soluzione particolaremoltiplicando per x la funzione ceγx e si trova c in modo da ottenere una soluzione dellanon omogenea.

76 - Mer. 7/12/05

Un’espressione del tipoy′′ = f(x, y, y′) ,

dove f e una funzione continua definita su un aperto U di R3, si dice un’equazione dif-ferenziale del second’ordine (in forma normale). Come precedentemente affermato, se diun’equazione non e ben definito il concetto di soluzione, non e ben definita l’equazionestessa; e per introdurre in modo corretto la nozione di equazione occorrono due ingredien-ti: 1) un insieme, detto universo, in cui si cercano le soluzioni; 2) un criterio chiaro perstabilire quando un elemento dell’universo ha il diritto di chiamarsi soluzione.

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Per quanto riguarda la suddetta equazione differenziale, le soluzioni si cercano nell’insiemedelle funzioni di classe C2, ciascuna delle quali e definita in un intervallo (dipendente dallafunzione stessa). Una funzione y(x) di tale insieme si dira una soluzione se per ogni xappartenente all’intervallo J in cui e definita risulta

(x, y(x), y′(x)) ∈ U e y′′(x) = f(x, y(x), y′(x)) .

Dal punto di vista fisico, un’equazione del secondo ordine puo rappresentare la leggedi moto di un punto materiale di massa unitaria vincolato a muoversi in una retta esottoposto ad una forza f dipendente dal tempo (che in questo caso si denota con t inveceche con x), dalla posizione e dalla velocita (spesso denotate rispettivamente con x e conx). Ovviamente questa non e l’unica possibile interpretazione della suddetta equazione:molti fenomeni fisici (non solo di dinamica) sono governati da equazioni differenziali delsecond’ordine.

Piu in generale, un’equazione differenziale di ordine n (in forma normale) e un’espressionedel tipo

y(n) = f(x, y, y′, . . . , y(n−1)) ,

dove f : U → R e una funzione continua da un aperto U di Rn+1 in R. Una soluzione euna funzione y(x) di classe Cn in un intervallo J tale che

y(n)(x) = f(x, y(x), y′(x), . . . , y(n−1)(x)), ∀x ∈ J.

Ovviamente, affinche abbia senso la suddetta uguaglianza, si sottintende che

(x, y(x), y′(x), . . . , y(n−1)(x)) ∈ U, ∀x ∈ J.

Come per le equazioni del prim’ordine, anche per quelle di ordine n il problema di Cauchyconsiste nella ricerca delle soluzioni che “passano” per un punto assegnato dell’aperto Uin cui e definita la f . Piu precisamente, dato un punto p0 = (x0 , y0 , y

′0, . . . , y(n−1)

0) ∈ U ,

tra tutte le soluzioni y(x) dell’equazione

y(n) = f(x, y, y′, . . . , y(n−1)) ,

si cercano quelle che verificano le condizioni

y(x0) = y0 , y′(x0) = y′

0, . . . , y(n−1)(x0) = y(n−1)

0.

Il numero x0 si dice istante (o punto) iniziale (del problema di Cauchy) e i numeriy0 , y

′0, . . . , y(n−1)

0sono i valori iniziali.

Anche per le equazioni di ordine n si puo definire il concetto di soluzione massimale e valeancora un teorema di esistenza e unicita. Ci limitiamo a dire che se f(x, y, y′, . . . , y(n−1))e continua e derivabile rispetto alle variabili y, y′, . . . , y(n−1) con derivate continue (adesempio, se e C1), allora il problema di Cauchy ammette una ed una sola soluzione mas-simale. Per l’equazione di moto di un punto vincolato ad una retta, cio significa che se

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ad un certo istante t0 si conoscono sia la posizione sia la velocita, il moto e univocamentedeterminato.

Denotiamo con C∞(R) l’insieme costituito dalle funzioni di classe C∞ da R in se. Osser-viamo che due funzioni di C∞(R) si possono sommare ottenendo ancora una funzione diC∞(R). Inoltre, se si moltiplica una funzione di C∞(R) per uno scalare reale (ossia peruna costante appartenente ad R) si ottiene ancora una funzione dello stesso insieme. Siha cosı quello che viene chiamato uno spazio vettoriale sui reali (i reali si dicono gli scalarie gli elementi dello spazio i vettori). In tale spazio c’e un vettore che e neutro rispettoalla somma (cioe, sommato ad un qualunque vettore da il vettore stesso): e la funzioneidenticamente nulla (chiamata zero dello spazio).

L’applicazione D : C∞(R) → C∞(R) che ad ogni funzione y(x) dello spazio C∞(R) associala funzione derivata Dy := y′ gode delle seguenti due proprieta:(additivita) D(y1 + y2) = Dy1 +Dy2, per ogni y1, y2 ∈ C∞(R);(omogeneita) D(cy) = cDy, per ogni c ∈ R e per ogni y ∈ C∞(R).

Poiche D gode di tali proprieta, si dice che e un’applicazione lineare (o un operatorelineare) dallo spazio C∞(R) in se. Un altro esempio di operatore lineare da C∞(R) inse e l’operatore identico (o identita) I : C∞(R) → C∞(R); ossia quell’applicazione chead ogni funzione associa la funzione stessa. Due operatori lineari si possono sommare,ottenendo ancora un operatore lineare, cosı come un operatore lineare si puo moltiplicareper una costante (e il risultato e ancora un operatore lineare). Nel caso di applicazioni dauno spazio in se, come quello che stiamo considerando, ha senso anche la composizione.Ad esempio, la composizione di D con D, denotata con D2, e l’operatore che ad ognifunzione di C∞(R) associa la sua derivata seconda (ossia, D2y = y′′). Piu in generale, Dn

rappresenta l’operatore lineare che ad ogni funzione y ∈ C∞(R) associa la sua derivatan-esima Dny = y(n). Allo scopo di semplificare le notazioni si fa la convenzione che D0

rappresenti l’identita I dello spazio C∞(R). In un certo senso e come se D0y significassederivare zero volte la funzione y (cioe lasciarla invariata).

In generale, dato un intervallo J e dato un intero n non negativo, con Cn(J) si denotalo spazio vettoriale delle funzioni (reali) di classe Cn definite in J . Analogamente C∞(J)rappresenta lo spazio delle funzioni C∞ in J . Si osservi che C∞(J) e un sottospazio diCn(J) qualunque sia n e che Cn ⊆ Cn−1 per ogni n ∈ N (in base alla definizione di funzioneC∞ si puo addirittura affermare che C∞(J) e l’intersezione di tutti gli spazi Cn(J) ). Siosservi che l’operatore D e definito anche in C1(J), e non solo in C∞(J), e manda C1(J)in C0(J). In generale D manda Cn(J) in Cn−1(J) qualunque sia n ∈ N (ed e per questomotivo che manda C∞(J) in se).

Si fa notare che l’equazione lineare del prim’ordine

y′ = a(x)y + b(x) ,

dove a(x) e b(x) sono funzioni continue in un intervallo J , puo essere scritta nella forma

Ly = b ,

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dove y ∈ C1(J) rappresenta la funzione incognita, b ∈ C0(J) e il termine noto ed L :C1(J) → C0(J) e quell’operatore lineare che ad ogni funzione y(x) di classe C1 (in J)associa la funzione continua y′(x)− a(x)y(x).

Un’equazione differenziale di ordine n si dice lineare se e del tipo

y(n) + an−1(x)y(n−1) + an−2(x)y(n−2) + · · ·+ a1(x)y′ + a0(x)y = b(x) ,

dove a0(x), . . . , an−1(x) e b(x) sono funzioni continue in un intervallo J (di solito J = R).Le funzioni a0(x), . . . , an−1(x) si dicono i coefficienti dell’equazione e b(x) rappresenta iltermine noto. Quando b(x) ≡ 0, l’equazione si dice omogenea.

Si osservi che per le equazioni lineari vale il teorema di esistenza e unicita, dato che lederivate rispetto alle variabili y, y′, . . . , yn−1 sono i coefficienti a0(x), a1(x), . . . , an−1(x),che abbiamo supposto continui.

Teorema sd (di persistenza). Le soluzioni massimali di un’equazione differenziale linearesono tutte persistenti, ossia sono definite in tutto l’intervallo J in cui sono definiti icoefficienti e il termine noto.

Da ora in avanti ci occuperemo esclusivamente di equazioni differenziali lineari a coefficienticostanti con termine noto definito in tutto R e di classe C∞; ossia di equazioni del tipo

y(n) + an−1y(n−1) + · · ·+ a1y

′ + a0y = b(x) ,

dove a0 , . . . , an−1 sono numeri reali e b ∈ C∞(R). In questo caso, per il precedenteteorema, le soluzioni massimali sono definite in tutto R. Si potrebbe provare fac, usando ilprincipio di induzione, che tali soluzioni sono tutte di classe C∞.

Notiamo che un’equazione lineare a coefficienti costanti

y(n) + an−1y(n−1) + · · ·+ a1y

′ + a0y = b(x)

si puo scrivere in modo sintetico nella forma

Ly = b ,

dove L : C∞(R) → C∞(R) e l’operatore lineare, detto operatore differenziale (di ordinen), che ad ogni y(x) di classe Cn in R associa la funzione

y(n)(x) + an−1y(n−1)(x) + · · ·+ a1y

′(x) + a0y(x) ,

anch’essa di classe C∞.

Si osservi che il suddetto operatore lineare puo essere rappresentato nel modo seguente:

L = Dn + an−1Dn−1 + an−2D

n−2 + · · ·+ a1D + a0I ,

mettendo cosı in evidenza come L si possa esprimere mediante somma e composizione dioperatori lineari piu elementari.

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L’operatore L si puo ottenere a partire dal polinomio

p(λ) = λn + an−1λn−1 + an−2λ

n−2 + · · ·+ a1λ+ a0 ,

detto polinomio caratteristico dell’equazione differenziale considerata, semplicemente so-stituendo D al posto della variabile λ (notiamo che il termine a0 si puo scrivere a0λ

0, esostituendo D al posto di λ si ha a0D

0 = a0I).

In generale, se p(λ) e un polinomio qualunque (anche non associato ad un’equazionedifferenziale), l’operatore che si ottiene sostituendo D al posto di λ si denota con p(D).

Esercizio. Scrivere il polinomio caratteristico dell’equazione differenziale y′′ + ω2y = 0 ecalcolarne le radici.

Osservazione. Ogni equazione differenziale lineare a coefficienti costanti con termine notob ∈ C∞(R) si puo scrivere nella forma p(D)y = b, dove p(λ) e il polinomio caratteristicodell’equazione.

Ad esempio, il polinomio caratteristico dell’equazione differenziale

y′′′ − 2y′′ − y′ + 3y = x− cosx

ep(λ) = λ3 − 2λ2 − λ+ 3

e l’operatore differenziale associato e

p(D) = D3 − 2D2 −D + 3I ,

L’equazione puo quindi essere scritta nella forma p(D)y = b, dove b(x) = x− cosx.

Teorema. Le soluzioni di un’equazione differenziale lineare non omogenea

P (D)y = b

si ottengono sommando ad una soluzione dell’equazione non omogenea tutte le possi-bili soluzioni dell’equazione omogenea associata. In altre parole, se y e una soluzionedell’equazione non omogenea, ogni altra soluzione e del tipo y = y + u, dove P (D)u = 0.

Dimostrazione. Mostriamo prima che, fissata una soluzione (detta particolare) y dell’e-quazione non omogenea, ogni funzione del tipo y = y + u, dove u soddisfa la condizioneP (D)u = 0, e ancora una soluzione dell’equazione non omogenea. Per la linearita di P (D)si ha infatti P (D)(y + u) = P (D)y + P (D)u = P (D)y = b.Rimane da provare che se y e una qualunque soluzione dell’equazione non omogenea, allorala differenza u := y − y e una soluzione dell’omogenea. Risulta infatti

P (D)u = P (D)(y − y) = P (D)y − P (D)y = b− b = 0 ,

e l’affermazione e dimostrata.

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In base al precedente risultato, il problema di determinare tutte le soluzioni di un’equazionedifferenziale lineare non omogenea si scinde in due sottoproblemi:1) risolvere l’equazione omogenea associata;2) trovare almeno una soluzione dell’equazione non omogenea.

Occupiamoci prima dei metodi per risolvere le equazioni omogenee a coefficienti costanti.E necessario prima richiamare alcune nozioni di algebra lineare.

Definizione. Una combinazione lineare di n funzioni y1(x), y2(x), . . . , yn(x) dello spazioC∞(R) e una funzione del tipo

c1y1(x) + c2y2(x) + · · ·+ cnyn(x),

dove c1, c2, . . . , cn sono n costanti (detti coefficienti della combinazione lineare).

Ad esempio, un polinomio di grado minore o uguale ad n non e altro che una combinazionelineare delle funzioni 1, x, x2, . . . , xn (il polinomio e di grado n se il coefficiente di xn ediverso da zero).

Definizione. Si dice che n funzioni di C∞(R), y1(x), y2(x), . . . , yn(x), sono linearmenteindipendenti se dall’uguaglianza

c1y1(x) + c2y2(x) + · · ·+ cnyn(x) = 0, ∀x ∈ R

segue c1 = c2 = · · · = cn = 0; ossia, se l’unica combinazione lineare che da la funzione(identicamente) nulla e quella con i coefficienti tutti nulli.

Esempio. Mostriamo che le funzioni cosωx e senωx (dove ω > 0) sono linearmenteindipendenti. Supponiamo infatti che la funzione

y(x) := a cosωx+ b senωx

sia (identicamente) nulla. Poiche y(x) e zero per ogni x, deve esserlo anche per x = 0.Ponendo x = 0 si ottiene a = 0. Per provare che anche il coefficiente b e nullo, basta porrex = π/(2ω).

Esercizio. Provare che se α1 e α2 sono due numeri reali differenti, allora le funzioni eα1x

e eα2x sono linearmente indipendenti.

Suggerimento. Se la funzione y(x) := aeα1x +beα2x e identicamente nulla, allora lo e anchela sua derivata. In particolare si ha y(0) = 0 e y′(0) = 0. Applicare il Teorema di Crameral sistema (di due equazioni in due incognite) cosı ottenuto per dedurre che a = b = 0.

Esercizio. Provare che le funzioni 1, x e x2 sono linearmente indipendenti.

Esercizio. Dato α ∈ R, provare che le funzioni eαx e xeαx sono linearmente indipendenti.

Esercizio. Dati due numeri reali α e β, provare che se β 6= 0, allora le due funzionieαx cosβx e eαx senβx sono linearmente indipendenti.

Il risultato che segue e una facile conseguenza dei teoremi di esistenza e unicita e dipersistenza. Per brevita ne omettiamo la dimostrazione.

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Teorema sd (della dimensione del nucleo di un operatore differenziale). L’insieme dellesoluzioni (massimali) di un’equazione differenziale omogenea di ordine n a coefficienticostanti (o, piu in generale, a coefficienti di classe C∞) e un sottospazio vettoriale n-dimensionale di C∞(R).

Osservazione (riguardante il metodo per risolvere le equazioni lineari omogenee). Inbase al suddetto teorema possiamo affermare che se di un’equazione differenziale lineareomogenea di ordine n a coefficienti costanti se ne determinano n soluzioni linearmenteindipendenti, tutte le altre si ottengono combinando linearmente le n soluzioni trovate.

Ad esempio, e immediato verificare che le funzioni cosωx e senωx (con ω > 0) sonosoluzioni dell’equazione differenziale y′′ + ω2y = 0 (detta equazione del moto armonico).Poiche, come abbiamo visto, tali funzioni sono linearmente indipendenti, ogni soluzionedella suddetta equazione e del tipo y(x) = a cosωx+b senωx, con a e b costanti arbitrarie.

Esercizio. Provare che ogni funzione del tipo y(x) = a cosωx+ b senωx (con ω > 0) puoessere rappresentata nella forma y(x) = A sen(ωx + ϕ), con A ≥ 0 (la costante ω si dicepulsazione, A si chiama ampiezza e ϕ e la fase dell’oscillazione y(x)). Si osservi che y(x)e una funzione periodica e se ne determini il periodo T in funzione della pulsazione ω.

Esercizio. Provare che ex e e−x sono due soluzioni linearmente indipendenti dell’equa-zione differenziale y′′ = y. Trovare la soluzione generale di detta equazione e determinarequella che verifica il seguente problema di Cauchy: y(0) = 0, y′(0) = 1 (risposta: senhx).

Esercizio. Verificare che senhx e coshx sono soluzioni dell’equazione differenziale y′′ = ye provare che sono linearmente indipendenti. Determinare la soluzione generale di y′′ = ycombinando linearmente le suddette funzioni e risolvere il seguente problema di Cauchy:y(0) = 1, y′(0) = 1 (e la funzione ex).

77 - Mer. 7/12/05

Il polinomio caratteristico di un’equazione differenziale (lineare) a coefficienti costanti diordine n gioca un ruolo fondamentale nella risoluzione dell’equazione omogenea associata.Come vedremo, la conoscenza delle radici di detto polinomio ci permettera di determinarefacilmente n soluzioni linearmente indipendenti (dell’omogenea associata). Dato che l’in-sieme delle soluzioni di un’equazione differenziale omogenea e uno spazio vettoriale di di-mensione uguale all’ordine dell’equazione, la soluzione generale (dell’omogenea associata)si otterra combinando linearmente le n soluzioni trovate.

Il seguente risultato, la cui dimostrazione risultera chiara nella prossima lezione (dopo averintrodotto il concetto di soluzione complessa di un’equazione differenziale lineare), fornisceuna regola pratica per trovare due soluzioni linearmente indipendenti di un’equazionedifferenziale omogenea del second’ordine a coefficienti costanti.

Teorema fondamentale per la risoluzione delle edo del second’ordine (lineari,omogenee, a coefficienti costanti). Sia y′′ + by′ + cy = 0 un’equazione omogenea del secon-d’ordine a coefficienti (reali) costanti. Se il polinomio caratteristico p(λ) = λ2 + bλ+ c ha

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due radici reali e distinte α1 e α2, allora eα1x e eα2x sono due soluzioni linearmente indi-pendenti dell’equazione differenziale. Se p(λ) ha una radice doppia α, allora due soluzionilinearmente indipendenti sono eαx e xeαx. Se p(λ) ha una radice complessa α + iβ (conβ 6= 0) allora ammette anche la radice coniugata α − iβ, e le funzioni reali eαx cosβx eeαx senβx sono due soluzioni linearmente indipendenti.

Esempio. Consideriamo l’equazione differenziale delle oscillazioni smorzate:

y′′ + 2εy′ + ω2y = 0 ,

dove 0 < ε < ω. Il polinomio caratteristico e p(λ) = λ2 + 2ελ + ω2, le cui radici sono−ε± i

√ω2 − ε2. Dunque la soluzione generale e data da

y(x) = c1e−εx cos

(√ω2 − ε2 x

)+ c2e

−εx sen(√

ω2 − ε2 x)

o, equivalentemente, da

y(x) = Ae−εx sen(√

ω2 − ε2 x+ ϕ),

dove A e ϕ sono costanti arbitrarie.

Il metodo espresso nel precedente teorema riguardante le equazioni del second’ordine siestende facilmente al caso generale. Data un’equazione differenziale

y(n) + an−1y(n−1) + an−2y

(n−2) + · · ·+ a1y′ + a0y = 0 ,

ad ogni radice reale α del polinomio caratteristico

p(λ) = λn + an−1λn−1 + an−2λ

n−2 + · · ·+ a1λ+ a0 ,

si fa corrispondere:– la soluzione eαx se α e semplice;– le due soluzioni eαx e xeαx se α e doppia;. . .– le k soluzioni eαx, xeαx, . . . , xk−1eαx se α e di molteplicita k.

Ad ogni coppia di radici complesse α± iβ di p(λ) si fa corrispondere:– le due soluzioni eαx cosβx e eαx senβx se α+iβ e semplice (in tal caso lo e anche α−iβ);– le quattro soluzioni

eαx cosβx, eαx senβx, xeαx cosβx, xeαx senβx

se α+ iβ e doppia (in tal caso lo e anche α− iβ);. . .– le 2k soluzioni

eαx cosβx, eαx senβx, . . . xk−1eαx cosβx, xk−1eαx senβx

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se α+ iβ e di molteplicita k (in tal caso lo e anche α− iβ).

Poiche il polinomio caratteristico p(λ) ammette esattamente n radici in campo complesso(contate con la loro molteplicita), le soluzioni dell’equazione differenziale che si determina-no col suddetto metodo sono esattamente n. Si potrebbe provare (ma non lo facciamo) chele soluzioni cosı determinate sono linearmente indipendenti. Pertanto, dato che l’insiemedelle soluzioni di

y(n) + an−1y(n−1) + an−2y

(n−2) + · · ·+ a1y′ + a0y = 0

e uno spazio vettoriale n-dimensionale, l’integrale generale della suddetta equazione siottiene combinando linearmente le n soluzioni trovate.

Esempio. Consideriamo l’equazione differenziale y(n) = 0. Il polinomio caratteristico ep(λ) = λn, e quindi α = 0 e una radice di molteplicita n (n radici coincidenti). In base alprocedimento illustrato si puo affermare che le funzioni

e0x, xe0x, x2e0x, · · · , xn−1e0x

sono n soluzioni linearmente indipendenti dell’equazione differenziale considerata. Dun-que, l’integrale generale e

y(x) = a0 + a1x+ a2x2 + · · · , an−1x

n−1 .

Di conseguenza, le funzioni con derivata n-esima nulla sono (soltanto) i polinomi di gradominore o uguale ad n − 1. Si osservi che cio estende una nota conseguenza del Teoremadi Lagrange: le funzioni con derivata nulla sono (soltanto) i polinomi di grado zero, cioele costanti.

Esempio. Determiniamo l’integrale generale dell’equazione differenziale

y′′′ + 2y′′ + 2y′ = 0 .

Il polinomio caratteristico e p(λ) = λ(λ2 + 2λ+ 2), le cui radici sono λ1 = 0, λ2 = −1 + ie λ3 = −1− i. Quindi, per quanto visto, la soluzione generale e data da

y(x) = c1 + c2e−x cosx+ c3e

−x senx ;

che puo essere anche scritta nella forma

y(x) = c+Ae−x cos(x+ ϕ) ,

con c, A e ϕ costanti arbitrarie.

Esempio. Risolviamo la seguente equazione differenziale:

y(4) + 8y(2) + 16y = 0 .

Occorre trovare le quattro radici del polinomio caratteristico p(λ) = λ4 + 8λ2 + 16.Consideriamo quindi l’equazione algebrica λ4 + 8λ2 + 16 = 0. Ponendo λ2 = µ si ha

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µ2 + 8µ + 16 = (µ + 4)2 = 0, da cui si ricavano due soluzioni coincidenti: µ1 = −4 eµ2 = −4. Avendo posto λ2 = µ, si ottiene λ2 = −4, dove il valore −4 va consideratodue volte. Le quattro radici del polinomio caratteristico sono quindi λ1 = 2i, λ2 = −2i,λ3 = 2i e λ4 = −2i. Poiche 2i e radice doppia (cosı come lo e la sua coniugata −2i) lasoluzione generale dell’equazione differenziale e

y(x) = c1 cos 2x+ c2 sen 2x+ c3x cos 2x+ c4x sen 2x

o, equivalentemente,

y(x) = A1 cos(2x+ ϕ1) +A2x cos(2x+ ϕ2) .

Esempio. Tra tutte le soluzioni dell’equazione differenziale

y(4) + y = 0

determiniamo quelle che tendono a zero per x→ +∞. Le soluzioni dell’equazione algebricaλ4 + 1 = 0 sono le radici quarte del numero −1 (che e un numero complesso di modulo 1e argomento π). Risolviamo quindi l’equazione

[r(cosϕ+ i senϕ)]4 = cosπ + i senπ

(o, equivalentemente, l’equazione (reiϕ)4 = eiπ). Si ha

r4 cos(4ϕ) + ir4 sen(4ϕ) = cosπ + i senπ ,

da cui si deduce r = 1 e 4ϕ = π + 2kπ, con k ∈ Z. Per ottenere le quattro radici bastadare a k quattro valori consecutivi. Per k = 0 si ottiene λ0 = cos(π/4) + i sen(π/4) =√

2/2+ i√

2/2, e per k = 1 si ha λ1 = cos(3π/4)+ i sen(3π/4) = −√

2/2+ i√

2/2. Le altredue radici si ottengono ponendo k = −1 e k = 2 oppure, piu semplicemente, considerandole coniugate delle due radici trovate (dipende dal fatto che il polinomio caratteristico ereale). Pertanto, la soluzione generale e

y(x) = e−√

22

x

(c1 cos

√2

2x+ c2 sen

√2

2x

)+ e

√2

2x

(c3 cos

√2

2x+ c4 sen

√2

2x

)

o, equivalentemente,

y(x) = Ae−√

22

x cos (√

22x+ ϕ) +Be

√2

2x cos (

√2

2x+ ψ) .

Quindi, le soluzioni che tendono a zero per x→ +∞ sono

y(x) = Ae−√

22

x cos (√

22x+ ϕ) ,

dove A e ϕ sono due arbitrarie costanti.

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Esempio. Consideriamo l’equazione

y′′′ − 3y′′ + 4y = 0 .

Il polinomio caratteristico e p(λ) = λ3− 3λ2 +4. Si vede subito che λ1 = −1 e una radice,e quindi il polinomio e divisibile per λ+1. Il quoziente della divisione e λ2−4λ+4, perciop(λ) = (λ2−4λ+4)(λ+1). Le altre due radici sono λ2 = 2 e λ3 = 2 (ossia, 2 e una radicedoppia). Dunque, la soluzione generale e

y(x) = c1e−x + c2e

2x + c3xe2x .

Supponiamo ora di voler trovare, tra tutte le soluzioni, quella che verifica il seguenteproblema di Cauchy: y(1) = 0, y′(1) = 0, y′′(1) = 0. La risposta e semplice, non c’ebisogno di fare calcoli: la soluzione si vede a occhio (ed e unica, perche l’equazione elineare e sono percio verificate le ipotesi del teorema di esistenza e unicita).

78 - Mer. 7/12/05

Ricordiamo che, dato un arbitrario numero complesso z = x+ iy, si definisce

ez = ex(cos y + i sen y) .

Ossia, ex+iy e un numero complesso di modulo ex e argomento y. Pertanto, in base allasuddetta definizione, ogni numero complesso z puo essere rappresentato nella forma ρeiθ

(detta forma esponenziale dei numeri complessi), dove ρ e il modulo (di z) e θ e unqualunque argomento. Ricordiamo inoltre che la funzione ez gode della seguente proprietafondamentale: ez1+z2 = ez1ez2 , ∀ z1, z2 ∈ C.

La funzione ez, denotata anche exp z, e un esempio di funzione complessa di variabile com-plessa; ossia, di una funzione con dominio e codominio in C. Un altro esempio e dato dallapotenza zn o, piu in generale, da un polinomio di variabile complessa a coefficienti realio complessi. Anche le funzioni razionali complesse, ossia le funzioni ottenute mediante ilquoziente di polinomi complessi, sono esempi di funzioni complesse di variabile complessa.

Per provare il teorema fondamentale per la risoluzione delle edo del second’ordine (o, piuin generale, per provare la validita del metodo illustrato nella lezione precedente) occorreintrodurre la nozione di soluzione complessa di una edo lineare a coefficienti costanti (ilmotivo risultera chiaro in seguito).

Osserviamo che una funzione z(x) da R in C si scrive nella forma z(x) = α(x) + iβ(x),dove α(x) e β(x), dette rispettivamente parte reale e parte immaginaria della funzionez(x), sono funzioni reali di variabile reale. La derivata di z(x) e, per definizione, lafunzione z′(x) = α′(x) + iβ′(x). Si dice che z(x) e di classe C∞ (o che appartiene allospazio C∞(R,C)) se sono di classe C∞ entrambe le funzioni α(x) e β(x). Ovviamente, ognifunzione dello spazio C∞(R) puo essere pensata anche in C∞(R,C), con parte immaginarianulla (quindi C∞(R) e un sottospazio vettoriale di C∞(R,C)).

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Esercizio fac. Fissato un numero complesso λ = α + iβ, si consideri la funzione da R inC definita da eλx. Provare che tale funzione e derivabile e risulta Deλx = λeλx.

Definizione (di soluzione complessa di una edo lineare a coefficienti costanti). Sia

y(n) + an−1y(n−1) + · · ·+ a1y

′ + a0y = b(x)

un’equazione differenziale (lineare a coefficienti costanti) con termine noto b ∈ C∞(R,C).Una funzione z ∈ C∞(R,C) e una soluzione complessa di tale equazione se

z(n)(x) + an−1z(n−1)(x) + · · ·+ a1z

′(x) + a0z(x) = b(x) ,

per ogni x ∈ R.

Consideriamo, ad esempio, l’equazione differenziale

y′′ + y = 0 .

Proviamo a vedere se ammette soluzioni del tipo z(x) = eλx, dove λ e un numero complesso.Si ha z′(x) = λeλx e z′′(x) = λ2eλx. Quindi z(x) e soluzione se e solo se

(λ2 + 1)eλx = 0 , ∀x ∈ R ,

ossia (essendo eλx 6= 0) se e solo se λ2 + 1 = 0, da cui si ricava λ = ±i. Pertanto

eix = cosx+ i senx e e−ix = cosx− i senx

sono soluzioni dell’equazione differenziale considerata, e sono le uniche del tipo eλx.

Esercizio. Dato λ ∈ C, mostrare che la funzione complessa z(x) = eλx e soluzionedell’equazione differenziale y′′ + by′ + cy = 0 se e solo se λ2 + bλ+ c = 0 (cioe se e solo seλ e radice del polinomio caratteristico dell’equazione).

Esercizio fac. Provare che la combinazione lineare a coefficienti complessi di due (o piu)soluzioni complesse di una edo lineare omogenea e ancora una soluzione.

In base al suddetto esercizio si puo affermare che l’insieme delle soluzioni complesse di unaedo lineare omogenea e uno spazio vettoriale sui complessi (sono gli scalari dello spazio).Si potrebbe dimostrare (ma non lo facciamo) che, come nel caso reale, la dimensione ditale spazio e uguale all’ordine dell’equazione.

Esercizio. Siano z(x) = α(x) + iβ(x) e z(x) = α(x) − iβ(x) due funzioni complesse econiugate di C∞(R,C). Si osservi che

z(x) + z(x)2

= α(x) ez(x)− z(x)

2i= β(x) .

Dedurre da cio che se z(x) = α(x) + iβ(x) e soluzione di un’equazione differenzialeomogenea, allora lo sono anche la parte reale α(x) e la parte immaginaria β(x).

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Esercizio. Dedurre dagli esercizi precedenti che se α + iβ, con β 6= 0, e una radicedel polinomio λ2 + bλ + c, allora le due funzioni eαx cosβx e eαx senβx sono soluzionidell’equazione differenziale y′′ + by′ + cy = 0.

Esercizio fac. Fissato α ∈ R, provare che le due funzioni eαx e xeαx sono soluzionidell’equazione differenziale y′′ + by′ + cy = 0 se e solo se α e radice doppia del polinomioλ2 + bλ+ c (in tal caso risulta ∆ = b2 − 4c = 0 e α = −b/2).

Abbiamo gia visto come sia possibile, conoscendo le radici del polinomio caratteristico,determinare l’integrale generale di un’equazione differenziale del tipo

y(n) + an−1y(n−1) + · · ·+ a0y = b(x) ,

quando b(x) ≡ 0, cioe nel caso omogeneo. Ricordiamo che se il termine noto b(x) non eidenticamente nullo, l’integrale generale si ottiene sommando ad una soluzione della nonomogenea (comunemente detta soluzione particolare) tutte le possibili soluzioni dell’omo-genea associata. Tuttavia, a meno che il termine noto non sia di un tipo molto speciale,non e possibile in generale determinare in modo esplicito una soluzione dell’equazionenon omogenea. E necessario allora ricorrere a metodi numerici, tramite i quali si riescea tabulare, con una buona approssimazione, la soluzione (particolare) dell’equazione (nonomogenea) che soddisfa una determinata condizione di Cauchy (si puo, ad esempio, fissarei valori iniziali y(0) = y′(0) = · · · = yn−1(0) = 0).

Ci sono alcuni casi (piuttosto speciali, ma importanti per le applicazioni) in cui e possibiledeterminare con carta e penna una soluzione particolare dell’equazione non omogenea. Adesempio, quando il termine noto si presenta in una delle seguenti due forme:

b(x) = r(x)eαx cosβx , b(x) = r(x)eαx senβx ,

dove α e β sono due numeri reali (eventualmente nulli) e r(x) e un polinomio (eventual-mente di grado zero). In questo caso si cerca una soluzione in una forma molto particolare(ecco l’origine dell’espressione “soluzione particolare”!). Per decidere in che forma cer-carla e fondamentale il ruolo giocato dal numero complesso α + iβ. Impariamo, innanzitutto, a riconoscere quando il termine noto b(x) si presenta in una delle suddette forme ea determinarne il corrispondente numero α+ iβ. Ecco alcuni esempi:

b(x) r(x) α β

senx 1 0 1x2e−2x x2 −2 0−3 −3 0 0

−ex cos 2x −1 1 2x3 − x x3 − x 0 0

2ex 2 1 0

Regola pratica (per determinare una soluzione particolare). Consideriamo l’equazionedifferenziale

y(n) + an−1y(n−1) + · · ·+ a0y = b(x)

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e supponiamo che il termine noto b(x) sia del tipo r(x)eαx cosβx oppure r(x)eαx senβx,dove r(x) e un polinomio e α, β ∈ R.Se α+iβ non e radice del polinomio caratteristico, allora si cerca una soluzione particolaredella forma

eαx(a(x) cosβx+ b(x) senβx

),

dove a(x) e b(x) sono polinomi dello stesso grado di r(x), i cui coefficienti sono da deter-minare.Se α+ iβ e radice semplice del polinomio caratteristico, allora si cerca una soluzione mol-tiplicando per x la forma relativa al caso precedente.Se α + iβ e radice doppia del polinomio caratteristico, allora si cerca una soluzione mol-tiplicando per x la forma relativa al caso precedente (cioe moltiplicando per x2 quella incui α+ iβ non e radice).Se α+ iβ e radice tripla. . . uffa!.

Esempio. Tra tutte le soluzioni dell’equazione differenziale

y′′ = xe−x,

determiniamo quella che verifica il problema di Cauchy y(0) = 0 e y′(0) = 0.

L’equazione omogenea associata e y′′ = 0 e il suo polinomio caratteristico ha due radicicoincidenti: λ1 = 0 e λ2 = 0. Quindi, la soluzione generale dell’equazione omogenea eu(x) = c0 + c1x. Occorre trovare una soluzione particolare dell’equazione non omogenea(per poi sommarla alla soluzione generale dell’omogenea). Osserviamo che λ = −1 none radice del polinomio caratteristico. Cerchiamo quindi una soluzione del tipo y(x) =(a+ bx)e−x. Derivando due volte si ha

y′′(x) = (a− 2b)e−x + bxe−x.

Quindi y(x) e soluzione se (e solo se) e verificata la condizione

(a− 2b)e−x + (b− 1)xe−x = 0 , ∀x ∈ R ,

ossia se (e solo se) a−2b = 0 e b−1 = 0 (si osservi che l’affermazione “y(x) e soluzione solose a−2b = 0 e b−1 = 0”, anche se non e importante per il nostro scopo, e conseguenza delfatto che le funzioni e−x e xe−x sono linearmente indipendenti). Dunque, una soluzione(particolare) dell’equazione non omogenea e data da y(x) = (2 + x)e−x e la soluzionegenerale e

y(x) = c0 + c1x+ (2 + x)e−x .

Determiniamo ora c0 e c1 in modo che siano soddisfatte le condizioni assegnate. Poichey(0) = c0 + 2 e y′(0) = c1 − 1, ponendo y(0) = 0 e y′(0) = 0 si ricava c0 = −2 e c1 = 1.Pertanto, la soluzione che verifica il problema di Cauchy assegnato e

y(x) = −2 + x+ (2 + x)e−x .

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Esempio. Tra tutte le soluzioni dell’equazione differenziale

y′′ − 2y′ + 2y = 2x ,

determiniamo quella che verifica il problema di Cauchy y(0) = 2, y′(0) = 2.

Troviamo prima tutte le soluzioni dell’equazione differenziale e imponiamo poi le condizioniiniziali assegnate. Il polinomio caratteristico ha due radici complesse coniugate: λ1 = 1+ ie λ2 = 1− i. Quindi, in campo complesso, la soluzione generale dell’equazione omogeneaassociata e data da

u(x) = c1e(1+i)x + c2e

(1−i)x .

A questo punto, volendo, si potrebbe determinare anche la soluzione generale in camporeale, ma per risolvere il nostro problema non e necessario: il teorema di esistenza e unicita(valido anche per le soluzioni complesse) ci assicura che il problema di Cauchy ha una euna sola soluzione, e questa deve essere reale (visto che sia l’equazione sia le condizioniiniziali sono reali). Procediamo quindi in campo complesso. Occorre trovare una soluzioneparticolare dell’equazione non omogenea e sommarla alla soluzione generale dell’omogenea.Il termine noto si presenta nella forma r(x)eαx cosβx, dove r(x) e un polinomio di primogrado, α = 0 e β = 0. Poiche λ = 0 non e radice del polinomio caratteristico, si cerca unasoluzione nella forma r(x) = ax+ b. Con semplici calcoli si vede che r(x) e soluzione se (esolo se) a = 1 e b = 1. La soluzione generale dell’equazione non omogenea e dunque

y(x) = c1e(1+i)x + c2e

(1−i)x + x+ 1 ,

dove c1 e c2 sono arbitrarie costanti complesse. Occorre determinare c1 e c2 in modo chesi abbia y(0) = 2, y′(0) = 2. Poiche

y′(x) = (1 + i)c1e(1+i)x + (1− i)c2e(1−i)x + 1 ,

le costanti c1 e c2 devono verificare il sistema{c1 + c2 = 1

(1 + i)c1 + (1− i)c2 = 1 ,

da cui si ricava l’unica soluzione (c1, c2) = (1/2, 1/2). Possiamo concludere che la soluzionedell’equazione differenziale che verifica le condizioni iniziali assegnate e

y(x) =e(1+i)x + e(1−i)x

2+ x+ 1 = ex cosx+ x+ 1

che, come ci aspettavamo, e una funzione reale. Si invita a verificare che la funzioney(x) = ex cosx+x+1 e effettivamente una soluzione dell’equazione differenziale consideratae che soddisfa le condizioni iniziali y(0) = 2, y′(0) = 2.

Esempio. Determiniamo l’integrale generale della seguente equazione differenziale:

y′′ − 4y = ex − xe−2x + 1 .

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Registro di Analisi Matematica 1 – c.l. IAT – a.a. 2005/2006 – M. Furi

Il polinomio caratteristico e p(λ) = λ2 − 4 e le sue radici sono λ1 = −2 e λ2 = 2. Quindi,la soluzione generale dell’equazione omogenea associata e

u(x) = c1e−2x + c2e

2x .

Per determinare una soluzione particolare osserviamo che il termine noto e somma di tretermini, tutti del tipo r(x)eαx cosβx, dove r(x) e un polinomio. Poiche 1 non e radice dip(λ), il primo termine ci induce a cercare una soluzione (dell’equazione p(D)y = ex) deltipo y(x) = aex. Riguardo al secondo termine, osserviamo che −2 e una radice semplicedel polinomio caratteristico, e quindi si cerca una soluzione (di p(D)y = −xe−2x) nellaforma y2(x) = x(bx + c)e−2x. Infine, per quanto riguarda il terzo termine, si cerca unasoluzione (di p(D)y = 1) del tipo y3(x) = d, cioe costante (in questo caso, infatti, 0 non eradice di p(λ)). Cerchiamo quindi una soluzione dell’equazione differenziale non omogeneanella forma

y(x) = aex + x(bx+ c)e−2x + d .

Sostituendo y(x) nell’equazione differenziale, si ricava a = −1/3, b = 1/8, c = 1/16 ed = −1/4. Pertanto, l’integrale generale dell’equazione non omogenea e

y(x) = c1e−2x + c2e

2x − ex

3+ (

x2

8+

x

16)e−2x − 1

4,

dove c1 e c2 sono due arbitrarie costanti.

Esercizio. Determinare l’integrale generale delle seguenti equazioni differenziali:

y′′ + y = senx , y′′ = x3 + ex cos 2x , y′′′ + y′′ = x , y′′′ + y = e−x.

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